L’incursione israeliana a Jenin ha provocato l’attacco terroristico che aveva proclamato di voler contrastare

Gideon Levy

29 gennaio 2023- Haaretz

Cosa stavate pensando? Che l’uccisione di 146 palestinesi in Cisgiordania nel 2022, secondo B’Tselem, la maggior parte dei quali non combattenti, sarebbe stata accettata docilmente? Che l’uccisione di circa 30 persone ad oggi nell’ultimo mese sarebbe passata in sordina?

Che i residenti del campo profughi di Shoafat, maltrattati ogni giorno e ogni notte da poliziotti e agenti della polizia di frontiera che invadono le loro case in pretestuose operazioni, dalle incursioni fiscali agli arresti notturni, distruggendo i loro beni e la loro dignità, facciano piovere riso sui loro aguzzini? Che qualcuno il cui nonno è stato assassinato da un colono e il cui amico di 17 anni è stato ucciso la scorsa settimana dalla polizia di frontiera non fosse incentivato a commettere un attacco?

E cosa stavano pensando i comandanti della folle operazione di giovedì nel campo profughi di Jenin? Qual era lo scopo dell’operazione, a parte una dimostrazione di potere? Sopprimere il terrorismo? Ha solo alimentato le fiamme.

Sapevano che se avessero fatto irruzione nel centro del campo ne sarebbe derivato un grande spargimento di sangue. Le forze di difesa israeliane e l’unità speciale antiterrorismo della polizia non possono più invadere questo coraggioso e determinato campo profughi senza versare molto sangue. Sapevano anche che nessun “enorme attacco terroristico all’interno di Israele” sarebbe stato sventato dall’operazione, come ha proclamato venerdì la voce dell’IDF nota anche come Yedioth Ahronoth. Hanno invaso il campo la mattina, mentre i bambini stavano andando a scuola – fortunatamente, almeno le scuole dell’UNRWA quel giorno erano in sciopero – solo perché potevano farlo.

“Se il Maggior General Yehuda Fuchs, capo del comando centrale, avesse saputo che questo sarebbe stato il risultato, avrebbe potuto non approvarlo”, ha detto il giornalista Alon Ben-David a Channel 13 News. E qual’ era l’opinione generale, che ci fosse un’altra opzione? In fin dei conti tutti sapevano che l’operazione Jenin avrebbe scatenato una pericolosa ondata di violenza. Non è possibile invadere il campo profughi di Jenin senza un massacro, ho scritto qui dopo la mia visita circa tre settimane fa (Haaretz.com, 12 gennaio), e nessun massacro nel campo potrebbe passare inosservato.

I capi militari possono aver pensato di sventare attacchi terroristici, ma hanno alimentato una nuova ondata di attacchi e lo sapevano. Ne consegue, quindi, che non solo il sangue dei morti a Jenin, ma anche a Gerusalemme, indirettamente, è sulle mani di coloro che hanno effettuato l’operazione nel campo di Jenin.

Ancora una volta, Israele è quello che ha iniziato. Non c’è altro modo per descrivere la catena di eventi. Oggi nel campo profughi di Jenin ci sono dozzine di giovani uomini armati disposti a sacrificare la propria vita. Uccidere alcuni di loro non diminuisce la determinazione degli altri. Jenin è un campo profughi speciale, il cui spirito combattivo può essere oggi paragonato solo a quello nella Striscia di Gaza. La militanza del campo è sorta nei vicoli i cui abitanti sono cresciuti sapendo che la patria gli era stata tolta e che sono condannati a una vita di miseria. La tortura in corso sotto forma di uccisioni quasi quotidiane negli ultimi mesi in Cisgiordania doveva anche portare a Neve Yaakov [colonia israeliana a Gerusalemme est presso la cui Sinagoga è avvenuto l’attacco in risposta ai fatti di Jenin, ndt] e a Silwan [uno dei quartieri più popolati di Gerusalemme Est, ndt] .

Il fatto schiacciante che entrambi gli attacchi sono avvenuti negli insediamenti non può essere ignorato. Non c’è differenza tra Neve Yaakov e la Città di Davide, tra Esh Kodesh e Havat Lucifer [altre colonie israeliane, ndt]. Sono tutti nei territori occupati, tutti ugualmente illegali secondo il diritto internazionale, anche se Israele ha inventato un proprio mondo di concetti.

Anche ciò che verrà dopo è nelle mani di Israele. È dubbio che una terza intifada sia inevitabile, ma qualsiasi grandiosa operazione di vendetta israeliana getterà olio sul fuoco. Qualsiasi punizione collettiva non farà che aggravare la situazione, anche se soddisfa la sete di vendetta della destra.

Arrestare 42 membri della famiglia? A che fine, se non per soddisfare questa sete?

Radere al suolo la casa del colpevole? Dopotutto, la precedente demolizione a Shoafat, che comprendeva l’invasione del campo da parte di non meno di 300 poliziotti, grandi distruzioni e l’uccisione di un ragazzo innocente di 17 anni, ha solo spinto il residente del campo Khairi Alkam a prendere la pistola venerdì sera ed uscire per uccidere gli ebrei a Neveh Yaakov, lasciando Israele scioccato solo per la crudeltà dei palestinesi.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Uomo armato uccide 7 persone in un attacco nella Gerusalemme est occupata

Redazione di Al Jazeera

27 gennaio 2023 – Al Jazeera

La sparatoria ha fatto seguito a una sanguinosa incursione israeliana nel campo profughi di Jenin, nella Cisgiordania occupata, che ha ucciso nove palestinesi.

In un’escalation di violenza dopo una sanguinosa incursione dell’esercito israeliano in Cisgiordania il giorno prima, nella Gerusalemme est occupata un uomo armato ha ucciso sette persone nei pressi di una sinagoga in una colonia israeliana prima di essere colpito a morte.

Dopo la sparatoria di venerdì il pronto soccorso di Magen David Adom [la Croce Rossa israeliana, ndt.] ha confermato che sette persone, cinque uomini e due donne, sono morte, mentre erano ancora ricoverate in ospedale altre tre sono rimaste ferite, una delle quali in condizioni gravissime.

Per quanto abbiamo capito, è arrivata un’auto davanti a una sinagoga, ne è uscito un uomo armato che ha aperto il fuoco,” ha informato James Bays di Al Jazeera dalla scena dell’attacco nell’illegale colonia israeliana di Neve Yaakov.

Il bilancio che abbiamo finora è di sette morti,” ha affermato Bays, aggiungendo che secondo la polizia il sospettato non aveva “precedenti penali”.

Il pronto soccorso ha informato di un totale di dieci vittime dell’attacco armato, tra cui una donna di 60 anni e un ragazzo di 15.

Immagini televisive mostrano sulla strada fuori dalla sinagoga varie vittime che vengono assistite da operatori del pronto soccorso.

Ho sentito molti spari,” ha detto all’agenzia di notizie AFP Matanel Almalem, uno studente diciottenne che vive nei pressi della sinagoga.

Un primo comunicato della polizia afferma che si è trattato di un “attacco terroristico a una sinagoga di Gerusalemme” e che “il terrorista che ha sparato è stato neutralizzato (ucciso)”.

In seguito la polizia ha detto che il sospettato è un ventunenne abitante di Gerusalemme est che nell’attacco avrebbe agito da solo in una zona che Israele ha annesso a Gerusalemme dopo la guerra del 1967 in Medio Oriente [la guerra dei Sei Giorni, ndt.].

[La polizia] ha affermato che [l’attentatore] ha cercato di scappare in auto, ma è stato inseguito dalla polizia e colpito a morte.

L’attacco è avvenuto un giorno dopo una sanguinosa incursione israeliana nel campo profughi di Jenin, nella Cisgiordania occupata. Sono rimasti uccisi nove palestinesi, tra cui una donna anziana, dopo che decine di soldati israeliani hanno attaccato una casa che secondo l’esercito ospitava sospetti combattenti, provocando duri scontri durati alcune ore.

Giovedì anche un ventiduenne palestinese è stato ucciso dalle forze israeliane nella città di al-Ram, a nord di Gerusalemme.

A indicare una potenziale ulteriore escalation, il ministero della Sanità palestinese ha affermato che tre palestinesi sono stati portati in ospedale dopo essere stati colpiti da un colono israeliano in un incidente nei pressi della città di Nablus, nel nord della Cisgiordania.

Ha aggiunto che è morto un sedicenne palestinese ferito da forze israeliane in un altro incidente mercoledì.

Poi i combattenti di Gaza hanno lanciato razzi e Israele ha effettuato raid aerei durante la notte, ma lo scontro è stato limitato.

Una risposta naturale”

Hazem Qassem, un portavoce di Hamas, la fazione palestinese che controlla la Striscia di Gaza, ha detto all’agenzia di notizie Reuter che l’attacco di venerdì è stato “una risposta al crimine perpetrato a Jenin dall’occupazione e una risposta naturale alle azioni criminali dell’occupazione.”

Qassam non ha rivendicato l’attacco a mano armata. Anche la Jihad Islamica palestinese ha elogiato [l’azione], ma non ha assunto la responsabilità dell’attentato.

Nell’ultimo anno le incursioni militari israeliane nella Cisgiordania occupata sono diventate quasi quotidiane, con la morte di almeno 200 combattenti e civili palestinesi. Anche civili e soldati israeliani sono stati uccisi in attacchi palestinesi in Israele e nei territori occupati.

La sparatoria di venerdì è avvenuta poche ore dopo che i palestinesi avevano sfilato con rabbia al funerale dell’ultima delle vittime uccise dai soldati israeliani il giorno precedente.

Durante tutto il giorno sono scoppiati scontri tra forze israeliane e manifestanti palestinesi nella Cisgiordania occupata, anche dopo il funerale del ventiduenne ucciso a nord di Gerusalemme. Folle di palestinesi hanno sventolato le bandiere sia di Fatah, il partito che controlla l’Autorità Nazionale Palestinese, che di Hamas. Nelle strade di al-Ram palestinesi mascherati hanno lanciato pietre e fatto scoppiare petardi contro la polizia israeliana, che ha risposto con lacrimogeni.

L’escalation di violenza è giunta pochi giorni prima della prevista visita del Segretario di Stato USA Antony Blinken in Israele e nella Cisgiordania occupata.

Gli Stati Uniti condannano nel modo più fermo l’orrendo attacco terroristico,” ha affermato Blinken in un comunicato. “Siamo in stretto contatto con i nostri partner israeliani e riaffermiamo il nostro incrollabile impegno per la sicurezza di Israele.”

Netanyahu convoca il gabinetto di sicurezza

Poco dopo l’attacco a Gerusalemme est il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, di estrema destra, ha visitato il luogo dell’attentato. “Dobbiamo reagire, la situazione non può continuare così,” ha detto.

Parlando ai giornalisti nel quartier generale della polizia nazionale israeliana, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha affermato di aver fatto una verifica riguardo alla sicurezza e deciso “azioni immediate”.

Ha detto che convocherà il gabinetto di sicurezza sabato sera, dopo la fine del Sabbath [giorno della festa settimanale per gli ebrei, ndt.], per discutere di un’ulteriore risposta. Netanyahu si è rifiutato di specificare, ma ha detto che Israele agirà con “determinazione e autocontrollo”.

Ha anche chiesto all’opinione pubblica di non farsi giustizia da sé.

Venerdì notte il presidente USA Joe Biden ha avuto un colloquio con il primo ministro israeliano, in cui ha definito le uccisioni “un attacco contro il mondo civilizzato” e offerto appoggio a Israele. Biden ha anche “sottolineato il ferreo impegno USA per la sicurezza di Israele”, ha affermato la Casa Bianca in un comunicato.

Secondo il ministero degli Esteri israeliano l’aggressione a mano armata è stata la più sanguinosa per gli israeliani dall’attacco del 2008 che uccise otto persone in una scuola religiosa ebraica.

Prima della sparatoria di venerdì finora almeno 30 palestinesi sono stati uccisi quest’anno e l’Autorità Nazionale Palestinese, che ha limitati poteri di governo in Cisgiordania, ha affermato che sospenderà l’accordo di cooperazione per la sicurezza con Israele.

Mesi di violenza nella Cisgiordania occupata hanno accresciuto le preoccupazioni che il già imprevedibile conflitto possa acuirsi vertiginosamente senza controllo, innescando ulteriore violenza da parte di Israele.

Israele e Hamas hanno combattuto quattro guerre e una serie di schermaglie minori contro Gaza da quando Hamas ha preso il potere nell’enclave costiera assediata dal 2007. Le tensioni si sono notevolmente accentuate dopo che dallo scorso marzo Israele ha moltiplicato le incursioni nella Cisgiordania occupata.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Il poliziotto israeliano che ha ucciso un palestinese autistico disarmato ‘è stato promosso’

Redazione MEE

3 gennaio 2023 – MiddleEastEye

L’agente della polizia di frontiera che ha ucciso Iyad al-Halak sta affrontando un processo relativo all’incidente.

Si è saputo che un poliziotto israeliano che a maggio 2020 ha colpito a morte Iyad al-Halak, un palestinese affetto da autismo, nella Gerusalemme est occupata, questa settimana è stato promosso nonostante sia sottoposto a processo per l’uccisione.

Il poliziotto, che fa parte della polizia di frontiera e la cui identità è riservata, ha sparato al 32enne Halak, sostenendo che sospettava che il palestinese avesse un’arma. Invece Halak era disarmato e il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha subito chiesto scusa alla sua famiglia, con una rara iniziativa da parte di un dirigente israeliano.

Lunedì i media israeliani hanno riferito che il poliziotto che ha ucciso Halak è stato promosso e recentemente ha agito come sergente operativo in una base della polizia di frontiera israeliana nell’area metropolitana di Tel Aviv.

Il poliziotto è attualmente sotto processo presso la corte distrettuale di Gerusalemme con l’accusa di aver sconsideratamente ucciso Halak e, se condannato, potrebbe trascorrere 12 anni in prigione.

La famiglia di Halak aveva in precedenza criticato l’indagine delle autorità israeliane sull’assassinio e aveva chiesto accuse molto più severe.

Halak indossava una mascherina mentre si recava in una scuola per disabili nella Città Vecchia della Gerusalemme est occupata, quando ha iniziato ad essere inseguito da poliziotti israeliani che gli hanno sparato.

A novembre il commissario di polizia ha affermato di appoggiare il poliziotto che ha ucciso Halak.

E’ importante per me affermare che siamo stati noi a mandarlo in missione ed abbiamo la responsabilità di stare dalla sua parte anche in queste circostanze”, ha detto Kobi Shabtai.

Itamar Ben Gvir, il parlamentare ebreo suprematista recentemente nominato ministro della sicurezza nazionale, che soprassiede alla polizia e alla polizia di frontiera, ha anch’egli precedentemente espresso il suo appoggio al poliziotto.

Nell’agosto 2021 la famiglia di Halak ha accusato la polizia di aver deliberatamente “distrutto le telecamere” che contenevano la prova dell’uccisione. L’indagine sulla sua uccisione è stata ostacolata dalla mancanza di prove video, nonostante testimonianze che nella zona dove è stato ucciso ci fossero almeno 10 telecamere CCTV.

L’uccisione di Halak nel 2020 ha anche suscitato la solidarietà internazionale, essendo coincisa con le proteste seguite all’uccisione da parte della polizia di George Floyd e le marce del movimento Black Lives Matter.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Un testo indispensabile per affrontare la ‘guerra delle narrazioni’

Recensione di Romana Rubeo

Dicembre 2022,

Le Parole Divise, Israele/Palestina: Narrazioni, a Confronto. Di Amedeo Rossi, Edizioni Q, Roma, 2022

In “Le Parole Divise, Israele/Palestina: Narrazioni, a Confronto” Amedeo Rossi compie un’operazione tanto mirabile quanto delicata: l’autore stila una sorta di glossario della causa israelo-palestinese, fornendo spiegazioni accurate dei concetti chiave che ne plasmano la narrazione.

Nel condurre questa operazione l’autore non parte da un terreno di assoluta neutralità, ma dalla analisi di testi fortemente filosionisti, che contengono miti e narrazioni da sfatare e scardinare, al fine di riportare la discussione su un terreno di confronto che sia scevro da fanatismi di sorta.

Ormai non esistono più ambiti in cui sia possibile affrontare una discussione pacata tra le due parti,” scrive infatti Rossi nell’introduzione, ponendo tra gli obiettivi del testo proprio “l’ambizione di mettere alcuni punti fermi (…) nel contesto italiano”.

Il testo ha un primo, importantissimo merito: capire che il cosiddetto “conflitto” israelo-palestinese è anche una guerra di narrazioni, di linguaggi, di quelle parole, appunto, evocate già nel titolo.

Da sempre i sostenitori dello stato di Israele pongono molta attenzione a tutto il corredo concettuale e linguistico che ha accompagnato l’impresa coloniale sionista.

Utilizzare un linguaggio che vada a edulcorare le efferatezze della storia non è, d’altra parte, un elemento di novità: ogni narrazione coloniale o neocoloniale ha fatto abbondante uso di questa pratica. Basti pensare ai racconti tesi a dipingere ogni azione coloniale come un’impresa di civilizzazione di popoli altresì “selvaggi” e “barbari”; ma anche, per fornire un esempio più recente, al linguaggio strumentale impiegato durante l’invasione statunitense dell’Afghanistan o dell’Iraq, in cui i concetti di “esportazione della democrazia” e “guerra al terrorismo” servivano a presentare una ricostruzione degli eventi falsata e fortemente manipolata.

L’ideologia sionista si pone in questo solco e ha il merito (se di merito si può parlare) di perfezionare questa manipolazione a livelli estremi. Lo stato di Israele, ben consapevole dell’importanza di tale aspetto del cosiddetto conflitto, impiega fondi ingenti per il mantenimento di un apparato istituzionale teso a perfezionare la hasbara, la propaganda israeliana funzionale a presentare all’esterno un’immagine assolutamente positiva dello stato sionista.

Tutti i miti fondanti di Israele, anche quello del “deserto da far fiorire” che Rossi ricorda nell’incipit del suo volume, sono parte integrante di questa vasta operazione, che può essere immaginata come un’appendice delle azioni militari e politico-istituzionali intraprese nel corso della storia dal regime di Tel Aviv.

Se sul piano militare la buona riuscita di qualsiasi operazione ha bisogno di un esercito strutturato, anche sul piano retorico questa guerra di narrazioni necessita di veri e propri soldati che la portino avanti con risolutezza.

È su questo terreno, che non concede spazi alla dialettica, ma che si presenta, appunto, con i ranghi ben serrati, che vanno interpretati gli scritti dei tre autori magistralmente analizzati da Rossi nel suo volume: Fiamma Nirenstein, Pierluigi Battista e Claudio Vercelli.

“Quasi nessuna delle molte affermazioni fatte da questi autori riguardo a questioni fondamentali della storia e dell’attualità di cui parlano”, si sorprende Rossi, “viene accompagnata da citazioni di testi autorevoli che le possano confermare”. Questo perché, appunto, non è la veridicità della storia a contare, bensì la narrazione edulcorata che, di quella storia, si deve fornire.

Diverso è l’approccio di Amedeo Rossi che, spogliandosi di ogni velleità orientalista e spinto invece da un profondo amore per la verità e la ricerca, elenca ben ventotto concetti chiave, da “Acqua” o “Aliyah”, passando per “Apartheid”, “Intifada”, “Nakba”, “Profughi”, “Shoa” e persino “Terrorismo”.

Pur nella sinteticità richiesta dalla natura di questo testo, a ogni significante viene attribuito un significato che è frutto di approfondite e validissime ricerche. Basterà, al lettore, sfogliare la bibliografia pregevole di questo testo per comprendere che l’autore non si è limitato a fornire ‘opinioni’ sulla base delle sue aprioristiche convinzioni personali – esercizio che ben riesce a chi, in questo libro, viene contestato – ma ha scavato a fondo per corredare le sue dichiarazioni da fonti autorevolissime.

Un esempio lampante della contrapposizione tra una narrazione che muove da fonti fortemente pregiudizievoli e una ricostruzione basata su fonti storiche e di diritto internazionale è il capitolo dedicato a Gerusalemme.

Per spiegare la connessione tra popolo ebraico e Gerusalemme – che nessuno, per inciso, intende negare – Battista si avvale del “puntiglio filologico” di Elie Wiesel, il quale afferma che la città sia citata una sola volta nel Corano e ben 600 volte nelle Sacre Scritture.

Al di là della fallacia lapalissiana di un’argomentazione di tipo spirituale-religioso per difendere pratiche di occupazione contrarie al diritto internazionale, fa riflettere che Battista scelga, come sua fonte Wiesel, per quella che lui definisce una “mitezza universalmente riconosciuta”.

Il “mite” Wiesel era, in realtà, un negazionista delle efferatezze compiute dall’esercito israeliano su Gaza, al punto che nel 2008 persino il Times si rifiutò di pubblicare un suo annuncio (finanziato dall’associazione ‘This World: The Values Network’) in cui si attribuiva la responsabilità della morte dei bambini palestinesi ad Hamas. Vale la pena ricordare che durante quel sanguinoso eccidio almeno 2.000 palestinesi furono trucidati dall’esercito israeliano, e tra loro centinaia di bambini.

Anche sui media israeliani Wiesel viene ricordato per aver deliberatamente scelto di negare, con fermezza, le sofferenze del popolo palestinese, disumanizzandolo oltre ogni limite accettabile.

Fiamma Nirenstein, dal canto suo, non si cura nemmeno di trovare una fonte autorevole e fornisce mere opinioni basate su sue personalissime convinzioni. A partire dall’assunto secondo cui agli ebrei è impedito professare la loro fede, fino ad arrivare a sostenere che Israele non ha alcuna intenzione di “cambiare lo status quo che vige sui luoghi santi di Gerusalemme”.
Rossi controbatte argomentando che, in realtà, era una disposizione rabbinica a vietare agli ebrei, “almeno fino al 1967 (…), di recarsi a pregare sul ‘Monte del Tempio’”: inoltre, l’autore fornisce una dettagliata ricostruzione delle operazioni di ‘ebraicizzazione’ della città, che sono messe nero su bianco da varie organizzazioni sioniste e che vengono denunciate a più riprese non solo dagli islamisti, tanto temuti da Nierenstein, ma anche dai cristiani in terra di Palestina.

Nel 2019, ad esempio, il capo della Chiesa greco-ortodossa a Gerusalemme, l’arcivescovo Atallah Hanna, ebbe a dire, durante una riunione con Médecins Sans Frontières, che “tutto è in pericolo, a Gerusalemme. I siti islamici e cristiani sono sotto attacco perché si vuole cambiare la nostra città, nascondere la sua identità, e marginalizzare l’esistenza degli arabi e dei palestinesi.”

Così come per quello dedicato alla Città Santa, ogni capitolo di questo libro contiene riflessioni autorevoli per smentire e scardinare le posizioni ultrasioniste che, soprattutto nel dibattito italiano, vengono fatte passare per “senso comune”, spesso senza alcun contraddittorio.

“Le parole divise” è, in conclusione, un testo importante, sia per coloro che si avvicinano per la prima volta allo studio di questa annosa questione, sia per chi, pur avendo già adeguati strumenti di analisi, voglia approfondirne i vari aspetti e trovare spunti di riflessione ben esporti e articolati.

Se è vero che esiste una vera e propria guerra delle narrazioni, questo libro è fondamentale per non entrare in un terreno tanto spinoso completamente disarmati.

– Romana Rubeo è una giornalista italiana, caporedattrice del “The Palestine Chronicle”. I suoi articoli appaiono in varie pubblicazioni online e riviste accademiche. Laureata in Lingue e Letterature Straniere, è specializzata in traduzioni giornalistiche e audiovisive.




Un morto e diversi feriti in due esplosioni a Gerusalemme

Redazione di Al Jazeera

AlJazeera – 23 novembre 2022

Le due distinte esplosioni fanno seguito all’uccisione di un sedicenne palestinese da parte delle forze israeliane nella Cisgiordania occupata, affermano i funzionari.

Almeno una persona è stata uccisa e altre 12 ferite in due diverse esplosioni che hanno scosso la città di Gerusalemme, come riportano i funzionari israeliani.

La polizia israeliana ha affermato che si sospetta gli incidenti di mercoledì mattina essere attacchi palestinesi.

Secondo alcuni funzionari palestinesi le esplosioni sono avvenute poche ore dopo l’uccisione di un adolescente palestinese di 16 anni da parte delle forze israeliane nella città occupata di Nablus, in Cisgiordania.

La prima esplosione è avvenuta verso le 7 (le 6 ora italiana) vicino a una stazione degli autobus israeliana lungo un’autostrada all’entrata occidentale di Gerusalemme, di solito piena di pendolari.

Sette persone sono rimaste ferite nella prima esplosione, di cui, secondo i medici, almeno due in gravi condizioni.

La seconda esplosione, che i funzionari hanno definito “controllata”, è avvenuta meno di mezz’ora dopo allo svincolo di Ramot, a nord di Gerusalemme. I funzionari hanno detto che cinque persone sono rimaste leggermente ferite dalle schegge.

Secondo quanto riferito da Ramot da Alan Fisher di Al Jazeera, la polizia ritiene che il primo incidente sia stato causato da “esplosivi nascosti all’interno di una bicicletta lasciata alla fermata dell’autobus”.

Si ritiene che entrambe le esplosioni siano state attivate a distanza.

Il primo ministro uscente Yair Lapid ha annunciato la convocazione di una riunione straordinaria con i funzionari della sicurezza israeliani.

Le autorità israeliane hanno chiuso le strade principali e istituito posti di blocco nella parte orientale e occidentale di Gerusalemme e intanto conducono un’indagine sulle esplosioni e ricercano i sospetti.

Per una decisione del Ministro della Difesa, l’esercito israeliano ha anche annunciato la chiusura di due fondamentali posti di blocco nell’area di Jenin: Jalameh e Salem.

Il commissario di polizia israeliano ha affermato che il tipo di attacco che ha avuto luogo a Gerusalemme “non si vedeva da anni” e che le autorità stanno cercando gli assalitori. Ha aggiunto che la polizia sta cercando altri possibili esplosivi in città.

Il filmato della prima esplosione da una telecamera di sorveglianza è stato condiviso sui social.

Yosef Haim Gabay, un medico che era sul posto quando è avvenuta l’esplosione, ha detto ad Army Radio che c’erano “danni ovunque sul posto” e che alcuni dei feriti stavano sanguinando copiosamente.

Se la causa è ancora sotto indagine, l’incidente è avvenuto mentre dall’anno scorso continuano a crescere le tensioni nella zona. Le incursioni dell’esercito israeliano e le uccisioni di palestinesi nelle città e nei villaggi della Cisgiordania occupata sono recentemente aumentate parallelamente all’aumento degli attacchi armati palestinesi, nonché all’aumento degli attacchi dei coloni contro i palestinesi.

Almeno 200 palestinesi, tra cui più di 50 bambini, sono stati uccisi da Israele nei territori illegalmente occupati di Gerusalemme Est, Cisgiordania e nella Striscia di Gaza assediata nell’anno più letale per i palestinesi dal 2006.

Più di 25 persone sono state uccise anche fra gli israeliani.

Poco dopo la mezzanotte di mercoledì i funzionari sanitari palestinesi hanno confermato l’uccisione a Nablus di un ragazzo di 16 anni, Ahmad Amjad Shehadeh, con una pallottola al cuore.

Le forze israeliane avevano fatto irruzione a Nablus nella Cisgiordania occupata settentrionale per garantire l’ingresso dei coloni israeliani al sito sensibile del Santuario di Giuseppe, circa un chilometro dal centro di Nablus.

Almeno altri cinque palestinesi sono rimasti feriti dopo essere stati colpiti con proiettili veri e granate assordanti, di cui uno in gravi condizioni per un proiettile allo stomaco, ha detto il Ministero della Salute palestinese.

La Mezzaluna Rossa [la Croce Rossa, ndt.] palestinese ha affermato di aver curato altri 22 feriti da proiettili rivestiti di gomma e molti altri per l’inalazione di gas lacrimogeni. Ha aggiunto che “l’ambulanza della Mezzaluna Rossa è stata presa di mira con proiettili veri dalle forze di occupazione”.

Le esplosioni sono avvenute mentre il primo ministro eletto Benjamin Netanyahu continua i negoziati per formare una nuova coalizione di governo con i partiti di estrema destra e gli ultranazionalisti, che hanno ottenuto la maggioranza in parlamento alle elezioni generali di questo mese.

Itamar Ben-Gvir, il politico di estrema destra che ha chiesto la pena di morte per i palestinesi che compiono attacchi e che è destinato a diventare Ministro della Sicurezza Interna responsabile della polizia nel nuovo governo del Paese, ha affermato che le esplosioni di Gerusalemme significano che dovrà applicare misure più forti.

“Dobbiamo riprendere gli omicidi mirati e fargliela pagare”, ha detto Ben-Gvir, riferendosi all’aumento degli omicidi mirati di combattenti palestinesi da parte dell’esercito israeliano nella Cisgiordania occupata.

Hamas, il gruppo palestinese che governa la Striscia di Gaza assediata da Israele, ha elogiato l’attacco definendolo un’operazione eroica, ma si è fermato prima di rivendicarne la responsabilità.

“L’occupazione sta pagando il prezzo dei suoi crimini e dell’aggressione contro il nostro popolo”.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Gli ebrei australiani stanno cambiando idea su Israele. E hanno bisogno di una voce nuova

Antony Loewenstein

12 novembre 2022 – The Sunaday Morning Herald

 

L’establishment ebraico ha espresso il proprio sdegno in seguito al recente annuncio del governo di Albanese che non avrebbe più riconosciuto Gerusalemme Est come capitale di Israele, riportando Canberra nel consesso globale dopo la decisione di Scott Morrison nel 2018 di imitare Donald Trump,

L’opinione pubblica ha sentito i portavoce ebrei delle organizzazioni sioniste condannare il governo per la sua presunta indifferenza e ignoranza. Anche il governo israeliano ha criticato la decisione, dicendo che sperava che l’Australia avrebbe gestito “altre questioni più seriamente e professionalmente”.

Questi critici speravano che protestando avrebbero dissuaso il governo di Albanese dal riconoscere lo Stato palestinese, una delle promesse preelettorali, o dal criticare troppo veementemente le politiche del governo israeliano.

L’Australia è stata per molto tempo fra i principali sostenitori di Israele e, nonostante il recente polverone, l’era Albanese non promette un cambiamento radicale. La decisione su Gerusalemme sembra più che altro una nota a marginale. Allo stesso modo riconoscere la Palestina sarebbe un piccolo passo, sebbene sia importante che l’Australia dimostri di considerare i palestinesi come esseri umani che meritano l’uguaglianza dei diritti.

Dopotutto Israele sta occupando illegalmente il territorio palestinese da oltre 55 anni. Il 2022 è destinato a essere il più letale per i palestinesi in Cisgiordania dal 2005. Israele sta accelerando la demolizione di case palestinesi e l’esercito israeliano è apertamente complice dei coloni ebrei in Cisgiordania. La fondazione di colonie è aumentata vertiginosamente.

Riportando la notizia su Gerusalemme inizialmente molti dei media australiani hanno ignorato le comunità palestinesi o arabe, intervistando solo esponenti ebrei. È stato solo alcuni giorni dopo che si è cominciato a chiedere ai palestinesi quali fossero le loro posizioni riguardo a Gerusalemme.

Ciò è un riflesso del potere politico in Australia sul conflitto israelo-palestinese: chi ce l’ha e chi no.

Quali sono le organizzazioni ebraiche che affermano di parlare per la comunità in Australia? Come sono state elette e chi garantisce loro legittimità? Molte parlano solo per se stesse, altre sono finanziate privatamente eppure quasi tutte parlano all’unisono.

L’obiettivo chiave della lobby israeliana è fare la guardia pretoriana dello Stato ebraico. Ogni opposizione è condannata come un tradimento e deve essere demonizzata. L’ho sperimentato di persona: messaggi di odio, minacce di morte e tentativi per far pressione sul mio editore nel 2006 affinché mandasse al macero il mio primo libro, il best-seller My Israel Question.

I principali gruppi cosiddetti sionisti, dall’Australia/Israel and Jewish Affairs Council [Consiglio degli Affari Australia/Israele ed Ebraici] (AIJAC) all’Executive Council of Australian Jewry [Consiglio Esecutivo dell’Ebraismo Australiano], si sono fossilizzati e sono incapaci di ammettere che stanno difendendo un Israele immaginario, un Paese “democratico” che esiste solo nelle loro menti. Una Nazione che occupa brutalmente 5 milioni di palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, non-cittadini soggetti a un governo militare che non possono votare in un’elezione israeliana, per definizione non è una democrazia.

Praticamente le principali organizzazioni per i diritti umani nel mondo, inclusi Human Rights Watch e Amnesty International e le principali associazioni israeliane hanno pubblicato rapporti che descrivono il sistema di apartheid dello Stato di Israele.

Le opinioni degli ebrei australiani su questi temi stanno cambiando, eppure ciò è raramente rispecchiato dalle loro associazioni comunitarie o dai principali media. Molti giovani ebrei votano per i Verdi, nonostante la vecchia generazione consideri il partito troppo favorevole ai diritti dei palestinesi.

Una ricerca del 2021 finanziata da Plus61J, organo di stampa ebraico, ha rivelato che il 62% dei circa 3500 intervistati sosteneva allo stesso modo gli israeliani e i palestinesi, l’11% era più a favore degli israeliani e il 19% più per i palestinesi. Il sostegno a favore dei palestinesi era particolarmente pronunciato fra i giovani tra i 18 e i 24 anni.

Queste cifre dovrebbero preoccupare l’establishment ebraico locale poiché seguono un trend simile a quello visto negli Stati Uniti nell’ultimo decennio, con numeri crescenti di giovani ebrei contrari a Israele. L’ex presidente USA Donald Trump ha accelerato questo spostamento sia appoggiando acriticamente il progetto coloniale israeliano durante il suo mandato che accusando recentemente gli ebrei americani di non essergli sufficientemente grati per il suo sostegno allo Stato ebraico. Un’inchiesta del 2021 fra gli ebrei americani ha rilevato che il 22% degli intervistati concorda sul fatto che “Israele sta commettendo un genocidio contro i palestinesi” e il 25% che “Israele è uno Stato di apartheid”.

Le elezioni israeliane di questo mese, con l’incremento del sostegno a partiti di estrema destra, illiberali, anti-LGBT e antipalestinesi, hanno causato ulteriori grattacapi ai più intransigenti sostenitori di Israele in Australia e nel resto del mondo. Prima delle elezioni, Jeremy Leibler, presidente della Federazione Sionista d’Australia, ha detto che l’aumento del “razzismo” del politico di estrema destra Itamar Ben-Gvir era pericoloso poiché è un politico con un’“ideologia di odio”.

Eppure non sono altro che nodi che finalmente vengono al pettine. Per decenni l’estrema destra israeliana è stata de facto al potere con Benjamin Netanyahu, ora in ottima posizione per un ritorno in carica come primo ministro, avendo stretto vari accordi in anni recenti per legittimare a livello politico e persino nel cuore del governo politici che sostengono apertamente la pulizia etnica dei palestinesi.

Dov’era lo sdegno dell’establishment ebraico riguardo a questa situazione prima della scorsa settimana? Al contrario, ha passato anni avallando il programma di colonizzazione israeliano e utilizzando come arma l’accusa di antisemitismo contro chi criticava la politica israeliana.

Al momento c’è solo un’alternativa possibile per quei gruppi ebraici che sono o silenti o paralizzati davanti all’estrema destra. Il New Israel Fund (NIF) è un’organizzazione progressista, sionista [statunitense no profit, ndt.] che si esprime contro l’estremismo e crede in una “democrazia per tutti i suoi cittadini”. Comunque, a parte NIF, non ci sono qui enti autorevoli non-sionisti paragonabili all’influente Jewish Voice for Peace [Voce Ebraica per la Pace, organizzazione ebraica antisionista che sostiene il movimento BDS. Fra i membri Noam Chomsky, Tony Kushner e Naomi Klein, ndt.] negli USA a offrire una visione più equilibrata.

La comunità ebraica locale ha fallito troppo a lungo nel sostenere davvero i diritti di tutti gli ebrei e delle minoranze dando la priorità invece alle forme più estreme di sionismo. È ora di essere responsabili e che voci nuove e più illuminate migliorino la nostra società multiculturale.

Molti ebrei della diaspora sentono che la propria identità è legata al destino dello Stato ebraico. Ma cosa succede quando quella Nazione occupa in modo arrogante un altro popolo per decenni? La comunità ebraica deve aprire la propria mente e creare coalizioni oltre la ristretta visione sionista del mondo.

Antony Loewenstein è un giornalista indipendente vissuto a Gerusalemme Est fra il 2016 e il 2020. Il suo prossimo libro è: The Palestine Laboratory: How Israel Exports The Technology Of Occupation Around The World [Il laboratorio Palestina: come Israele esporta la tecnologia dell’occupazione nel mondo].

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Israele uccide 4 palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme est occupate

Redazione di Al Jazeera

3 novembre 2022 – Al Jazeera

Un uomo, Daoud Rayan, è stato ucciso a Beit Dukku un giorno dopo che un altro abitante della città è stato ucciso vicino a un posto di blocco.

Le forze israeliane hanno ucciso quattro palestinesi in differenti incidenti in Cisgiordania e a Gerusalemme est occupate.

Giovedì la violenza è scoppiata mentre Israele conteggiava i voti definitivi nelle elezioni nazionali svoltesi questa settimana, e si prevede che l’ex Primo Ministro Benjamin Netanyahu sarà alla guida di un’ampia maggioranza sostenuta da alleati di estrema destra.

Il Ministero della Salute palestinese ha detto che un palestinese è stato ucciso dal fuoco israeliano in Cisgiordania. È stato identificato come il quarantaduenne Daoud Mahmoud Khalil Rayan di Beit Duqqu, in Cisgiordania.

La polizia israeliana ha dichiarato che le guardie di frontiera paramilitari hanno fatto irruzione in casa di un palestinese che sostenevano avesse lanciato la propria auto mercoledì contro un soldato israeliano. La polizia ha detto che lì gli agenti hanno affrontato una protesta durante la quale i dimostranti hanno lanciato pietre e ordigni incendiari contro i poliziotti. Allora questi hanno aperto il fuoco contro chi aveva scagliato l’ordigno.

In un altro incidente occorso giovedì, secondo la polizia un palestinese avrebbe accoltellato un agente di polizia nella Città Vecchia di Gerusalemme e gli agenti hanno aperto il fuoco, uccidendolo. L’agente è rimasto lievemente ferito.

Nel frattempo due palestinesi, compreso un combattente della Jihad islamica, sono stati uccisi nel corso di incursioni dell’esercito a Jenin.

Le violenze si sono verificate mentre in Israele sta avvenendo un cambiamento politico dopo le elezioni nazionali, con l’ex Primo Ministro Benjamin Netanyahu che probabilmente tornerà al potere con un governo di coalizione composto da alleati di estrema destra, incluso il parlamentare di estrema destra Itamar Ben-Gvir, che in risposta agli incidenti ha detto che Israele presto userà un approccio più duro nei confronti degli aggressori.

È arrivato il momento di riportare la sicurezza nelle strade”, ha twittato. “È arrivato il momento che un terrorista che sta per compiere un attacco venga eliminato!”

Gli incidenti sono stati gli ultimi di un’ondata di violenze in Cisgiordania e a Gerusalemme est che quest’anno ha ucciso più di 130 palestinesi, facendo del 2022 l’anno con il maggior numero di vittime dal 2015.

Le forze israeliane hanno compiuto incursioni quasi quotidiane in Cisgiordania e i combattenti palestinesi hanno risposto attaccando soldati israeliani.

Le incursioni sono state parte dell’operazione israeliana “Spezzare l’onda”, che è un tentativo di porre fine all’emergere di nuovi gruppi di resistenza palestinesi in Cisgiordania.

Nelle ultime settimane le incursioni sono state accompagnate da un aumento degli attacchi contro israeliani, che hanno fatto almeno tre morti.

Sempre giovedì Israele ha rimosso alcuni posti di blocco in entrata e uscita da Nablus. Israele ha imposto le restrizioni settimane fa, attuando un giro di vite sulla città in risposta ad un nuovo gruppo militante noto come “La fossa dei leoni”. Nelle settimane scorse l’esercito ha condotto ripetute operazioni in città, uccidendo o arrestando i comandanti al vertice del gruppo.

Israele ha conquistato la Cisgiordania nella guerra del 1967 e da allora ha mantenuto un’occupazione militare illegale sul territorio e vi ha insediato più di 500.000 persone. I palestinesi vogliono il territorio, insieme alla Cisgiordania e Gerusalemme est per il loro auspicato Stato indipendente.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Rapporto OCHA del periodo 27 settembre – 10 ottobre 2022

1- In Cisgiordania quotidiani scontri violenti fra palestinesi, coloni israeliani e forze israeliane hanno provocato la morte di 13 palestinesi (inclusi cinque minori) e un soldato israeliano, e il ferimento di 434 palestinesi e 7 israeliani. Ad oggi, in Cisgiordania, rispetto ai 16 anni precedenti, il 2022 è l’anno con il più alto numero di vittime palestinesi. Le Nazioni Unite hanno esortato i leader a “riportare la calma ed evitare un ulteriore inasprimento”.

2- Durante tre operazioni di ricerca-arresto condotte nei Campi profughi di Jenin e Al Jalazun, sono stati uccisi dalle forze israeliane 9 palestinesi, compreso un ragazzo, e altri 44 sono rimasti feriti (seguono dettagli). Il 28 settembre, secondo quanto riferito, le forze israeliane hanno sparato proiettili esplosivi contro un edificio nel Campo profughi di Jenin, uccidendo due palestinesi definiti “ricercati” (maggiori dettagli di seguito). Durante l’operazione, si è verificato uno scontro a fuoco tra forze israeliane e palestinesi. Altri tre palestinesi sono stati uccisi; tra cui un passante e un ragazzo di 12 anni che, essendo stato colpito, è morto successivamente per le ferite riportate. Altri 31 sono rimasti feriti, di cui 21 con proiettili veri. In una scuola vicina, circa 500 studenti sono rimasti bloccati per circa quattro ore. Il 3 ottobre, le forze israeliane hanno fatto irruzione nel Campo profughi di Al Jalazun (Ramallah), hanno aperto il fuoco, uccidendo due palestinesi alla guida di un’auto e ferendone un terzo. Le forze israeliane hanno confiscato il veicolo, hanno trattenuto i corpi degli uccisi ed hanno arrestato il palestinese ferito. Secondo le autorità israeliane, citate dai media israeliani, i palestinesi avevano cercato di investire i soldati; un’accusa contestata da fonti palestinesi locali. L’8 ottobre, le forze israeliane hanno nuovamente fatto irruzione nel Campo profughi di Jenin (Jenin), dove ha avuto luogo uno scambio a fuoco con i palestinesi. Due palestinesi, tra cui un ragazzo, sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco e altri dodici sono rimasti feriti, di cui dieci colpiti da proiettili veri. Uno è stato arrestato. In nessuna delle tre operazioni sono stati riportati ferimenti di israeliani ad opera di palestinesi. Ciò porta a 70 il numero totale di palestinesi uccisi nel 2022 dalle forze israeliane, in Cisgiordania, durante operazioni militari e operazioni di ricerca-arresto, 27 delle quali segnalate nei Campi profughi.

3 – Le forze israeliane hanno ucciso tre ragazzi palestinesi in tre distinti episodi avvenuti a Gerusalemme, a Qalqiliya e a Ramallah (seguono dettagli). Il 1° ottobre, nella città di Al ‘Eizariya (Gerusalemme), le forze israeliane hanno aperto il fuoco contro due palestinesi a bordo di una motocicletta, uccidendone uno, un ragazzo di 17 anni. Le autorità israeliane affermano che i ragazzi avevano tentato di lanciare una bottiglia incendiaria contro i soldati; affermazione contestata da testimoni oculari. Secondo fonti mediche, il ragazzo era stato colpito con arma da fuoco e con proiettili veri nella parte posteriore del collo da distanza ravvicinata e sul suo corpo non sono state trovate tracce di materiale incendiario. Il 7 ottobre, a Qalqilya, nei pressi della Barriera, le forze israeliane hanno aperto il fuoco contro un gruppo di ragazzi, uccidendo, con proiettili veri, un quattordicenne. Le forze israeliane sostengono che il ragazzo avrebbe lanciato una bottiglia incendiaria contro i soldati; questo è contestato da testimoni oculari palestinesi. Un altro ragazzo palestinese di 17 anni è stato ucciso dalle forze israeliane, con arma da fuoco, nei pressi di una sorgente d’acqua e di un parco pubblico nell’Area B del villaggio di Al Mazra’a Al Qibliya (Ramallah). In questo caso, mentre palestinesi lanciavano pietre contro forze israeliane presenti nell’area, questi ultimi hanno sparato proiettili di gomma e proiettili veri: il ragazzo è stato colpito con arma da fuoco e ucciso, mentre altri 51 sono rimasti feriti. In nessuno dei casi è stato registrato alcun ferito israeliano. Ciò porta a 27 il numero totale di minori palestinesi uccisi in Cisgiordania dall’inizio del 2022 (di cui almeno 24 uccisi dalle forze israeliane) rispetto ai 17 minori uccisi durante tutto il 2021.

4- A Nablus e Gerusalemme, in aggressioni con armi da fuoco da parte palestinese e operazioni militari israeliane, un soldato israeliano e un palestinese sono stati uccisi e tre membri delle forze israeliane e 52 palestinesi sono rimasti feriti (seguono dettagli). Il 2 ottobre, nei pressi del checkpoint di Beit Furik (Nablus) palestinesi hanno aperto il fuoco contro veicoli di coloni israeliani, ferendo un colono. Successivamente, le forze israeliane hanno chiuso le strade vicine ed hanno condotto operazioni di ricerca-arresto. Il 5 ottobre, a Deir al Hatab (Nablus), le forze israeliane hanno fatto irruzione e circondato una casa palestinese; ne è seguito uno scambio a fuoco con i palestinesi, prima che uno degli occupanti si arrendesse. Le forze israeliane hanno sparato proiettili veri, proiettili di gomma e lacrimogeni contro palestinesi che hanno lanciato pietre. Un palestinese armato è stato ucciso e altri 52 sono rimasti feriti, di cui sei con proiettili veri. Durante l’episodio, le forze israeliane hanno sparato gas lacrimogeni contro tre giornalisti e un’ambulanza palestinese che prestava i primi soccorsi ai feriti. L’8 ottobre, un palestinese ha aperto il fuoco contro un checkpoint militare israeliano all’ingresso del Campo profughi di Shu’fat a Gerusalemme est, uccidendo una soldatessa israeliana e ferendone altre due, inclusa una guardia di sicurezza. L’aggressore è ancora latitante. Successivamente, le forze israeliane hanno chiuso tutti gli ingressi e le uscite nell’area, limitando pesantemente o spesso impedendo il movimento di almeno 130.000 persone, compreso il personale medico e umanitario. Il 2 ottobre palestinesi hanno aperto il fuoco contro soldati israeliani di stanza al checkpoint di Huwwara (Nablus); un soldato è rimasto ferito.

5- Il 29 settembre, un bambino palestinese di 7 anni è morto in concomitanza con una operazione militare israeliana condotta nel villaggio di Tuqu’ (Betlemme). Secondo fonti della Comunità locale, il bambino è stato trovato morto in circostanze poco chiare. L’Onu ha chiesto un’indagine.

6- In Cisgiordania, complessivamente, sono stati feriti dalle forze israeliane 433 palestinesi, tra cui almeno 45 minori, di cui 65 feriti con proiettili veri. Del totale dei feriti, 67 sono stati registrati vicino a Beita e Beit Dajan (entrambi a Nablus) e Kafr Qaddum (Qalqilya), in proteste contro gli insediamenti. Altri 95 palestinesi sono rimasti feriti in manifestazioni e scontri scoppiati a Nablus, Qalqilya, Ramallah, Betlemme e Hebron in segno di protesta contro la chiusura da parte delle forze israeliane del Campo profughi di Shu’fat e di ‘Anata a Gerusalemme e le operazioni militari israeliane nel Campo profughi di Jenin. Ad Al Mazra’a al Gharbiyeh e Al Bireh (entrambi a Ramallah), Burqa e Madama (entrambi a Nablus), 63 persone sono state ferite dalle forze israeliane che accompagnavano coloni all’interno delle Comunità palestinesi; quattro di questi casi si sono trasformati in scontri con palestinesi (più dettagli di seguito). Secondo fonti palestinesi, le forze israeliane hanno sparato bombe assordanti, lacrimogeni e proiettili di gomma contro i residenti che hanno lanciato pietre. Altre 198 persone sono rimaste ferite in operazioni militari e operazioni di ricerca-arresto (dettagli sopra). L’8 ottobre, in un episodio distinto, dieci palestinesi sono stati feriti e otto sono stati arrestati (di cui cinque minori) dalle forze israeliane dentro e intorno alla Città Vecchia di Gerusalemme; qui i palestinesi si erano riuniti per celebrare il compleanno del profeta Maometto. Secondo quanto riferito, le forze israeliane hanno ordinato ai palestinesi di allontanarsi, quindi hanno sparato proiettili di gomma, granate assordanti e lacrimogeni contro i palestinesi che avrebbero lanciato bottiglie.

7- In Cisgiordania, complessivamente, le forze israeliane hanno condotto 145 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 127 palestinesi, inclusi 13 minori. Il governatorato di Gerusalemme ha registrato il maggior numero di operazioni (59) e il maggior numero di arresti (43). Finora, nel 2022, il numero medio mensile di palestinesi arrestati dalle forze israeliane in Cisgiordania è il più alto dal 2017. Durante 15 di queste operazioni, le forze israeliane hanno sparato proiettili veri contro palestinesi che hanno lanciato pietre e, in alcuni casi, hanno aperto il fuoco contro le forze israeliane: dieci palestinesi sono stati uccisi e 198 feriti, di cui 40 con proiettili veri.

8- A Gerusalemme Est e nell’Area C della Cisgiordania, adducendo la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito, confiscato o costretto persone a demolire 24 strutture di proprietà palestinese; tre delle strutture erano state fornite come aiuti umanitari finanziati da donatori. Di conseguenza, 71 persone, tra cui 41 minori, sono state sfollate e sono stati colpiti i mezzi di sostentamento di circa altre 36. Circa 22 delle strutture si trovavano in Area C. A Gerusalemme Est, in seguito all’emissione di ordini di demolizione, altre due strutture sono state demolite dai proprietari per evitare di pagare le multe previste nel caso che la struttura venga demolita dalle autorità israeliane.

9- Il 28 settembre, nel Campo profughi di Jenin (Jenin), le autorità israeliane hanno demolito il primo piano di un edificio residenziale di quattro piani, provocando lo sfollamento di una famiglia, composta da cinque persone, tra cui un minore. La demolizione (citata prima) sarebbe avvenuta durante la fase finale di un’operazione militare per la cattura di “ricercati” che si erano nascosti, rifiutando di arrendersi. Le forze israeliane li hanno invitati a costituirsi ed hanno sparato proiettili esplosivi contro l’edificio, distruggendo un appartamento e provocando danni ad altri appartamenti residenziali all’interno degli stessi edifici o a quelli contigui. Durante l’operazione, quattro palestinesi sono stati uccisi; un quinto, che era rimasto ferito, è morto successivamente per le ferite riportate. In Cisgiordania, questa è la quinta volta, dall’inizio del 2022, in cui le forze israeliane hanno utilizzato, durante operazioni militari, proiettili esplosivi da spalla in aree urbane affollate.

10- Coloni israeliani hanno ferito 35 palestinesi e persone conosciute come coloni israeliani, o ritenute tali, hanno danneggiato proprietà palestinesi in 42 casi (seguono dettagli). Il 28 settembre e il 4 ottobre, coloni israeliani sono entrati nelle città di Madama e Huwwara (entrambe a Nablus) dove hanno appiccato il fuoco a terre incolte, hanno aggredito fisicamente palestinesi o hanno lanciato pietre contro persone e case. 19 palestinesi sono rimasti feriti. Nell’area H2 della città di Hebron, coloni israeliani hanno lanciato pietre contro case palestinesi e hanno spruzzato con liquido al peperoncino i residenti: otto palestinesi, tra cui tre minori, sono rimasti feriti. In almeno cinque occasioni, sulla strada 60 tra Nablus e Jenin, coloni israeliani hanno bloccato gli incroci, vicino ai checkpoints di Beit El (Ramallah) e Huwwara. Coloni israeliani hanno lanciato pietre contro veicoli palestinesi, causando gravi ingorghi. Tali episodi si sono trasformati in scontri tra palestinesi, che hanno lanciato pietre, e forze israeliane che sono intervenute sparando proiettili veri, proiettili gommati e lacrimogeni. Secondo quanto riferito, quattro palestinesi sono stati feriti da pietre lanciate da coloni e almeno dodici veicoli di proprietà palestinese sono stati danneggiati. In altri tre cassi accaduti a Biddya (Salfit), Ein el Beida (Tubas) e Jurat al Khiel (Hebron), tre pastori palestinesi che stavano lavorando le loro terre e accudendo il bestiame sono stati feriti da coloni che li hanno attaccati e aggrediti fisicamente. In almeno altri 16 episodi accaduti vicino a Nablus, Qalqiliya, Gerusalemme e Ramallah, almeno venti auto di proprietà palestinese sono state danneggiate dal lancio di pietre da parte di coloni israeliani. Inoltre, circa 500 alberi di proprietà palestinese sono stati dati alle fiamme, sradicati o vandalizzati in 13 distinti episodi. Altri 13 episodi registrati a Hebron, Gerusalemme, Nablus, Ramallah, Salfit e Tubas hanno provocato danni alle colture, al bestiame, alle attrezzature agricole, ai serbatoi d’acqua, alle strutture legate al sostentamento e alle reti idriche. Il 4 ottobre, coloni israeliani, secondo quanto riferito provenienti da Yitzhar, hanno preso d’assalto la scuola di Urif (Nablus) mentre si tenevano le lezioni, lanciando pietre e costringendo la Direzione a sospendere le lezioni e mettere in sicurezza gli studenti; due studenti e il preside della scuola sono rimasti feriti, 250 studenti sono stati colpiti in altro modo e sono stati segnalati danni alla proprietà. Successivamente, le forze israeliane hanno sparato gas lacrimogeni contro palestinesi che hanno lanciato pietre contro i coloni.

11- In Cisgiordania, in quattro distinti episodi, sono rimasti feriti quattro coloni israeliani. In un caso, vicino a Nablus, palestinesi hanno sparato contro un loro veicolo, mentre in altri tre casi persone conosciute come palestinesi (o ritenute tali) hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani che viaggiavano sulle strade della Cisgiordania. Secondo fonti israeliane, almeno quattro veicoli israeliani sono stati danneggiati.

12- Nella Striscia di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale israeliana o al largo della costa, presumibilmente per far rispettare le restrizioni di accesso nelle aree all’interno di Gaza, in almeno 25 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento: danni a due pescherecci, ma nessun ferito. Vicino a Beit Lahiya, un palestinese è stato arrestato, secondo quanto riferito, mentre cercava di entrare in Israele attraverso la recinzione perimetrale.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Dichiarazione di Lucia Elmi, coordinatrice umanitaria facente funzione per i territori palestinesi occupati, sull’allarmante incremento della violenza e delle restrizioni agli spostamenti in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est.

Gerusalemme, 18 ottobre 2022 – OCHA Reliefweb

Per i palestinesi che risiedono nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme est, con almeno 105 palestinesi uccisi dalle forze israeliane, tra cui 26 minorenni, il 2022 è stato l’anno più letale dal 2006 come media mensile, con un aumento del 57% delle vittime palestinesi rispetto all’anno scorso. Nel 2022 dieci civili israeliani, tre stranieri e quattro soldati israeliani sono stati uccisi da palestinesi della Cisgiordania.

Solo dall’inizio di ottobre 15 palestinesi, tra cui sei minorenni, sono stati uccisi dalle forze israeliane durante operazioni di rastrellamento e arresto, conflitti a fuoco o durante scontri tra forze israeliane e palestinesi in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, spesso in seguito ad attacchi o incursioni dei coloni nei villaggi palestinesi. In alcuni casi le persone uccise non sembravano rappresentare una concreta o imminente minaccia che giustificasse l’eliminazione fisica, sollevando preoccupazioni per l’uso eccessivo della forza.

Oltre a questa situazione allarmante, le Nazioni Unite sono preoccupate per le crescenti limitazioni agli spostamenti. All’inizio di questo mese, dopo che due soldati israeliani sono stati colpiti e uccisi a posti di controllo a Nablus e a Gerusalemme est, forze israeliane hanno imposto estese restrizioni agli spostamenti, limitando l’accesso di molte persone alle cure mediche, all’educazione e ai mezzi di sostentamento. Nel campo profughi di Shuafat queste restrizioni sono state in buona parte sospese, ma rimangono in vigore a Nablus. Anche Huwwara, uno dei pochi punti di accesso alla città di Nablus, ha visto un crescendo di gravità e frequenza nella violenza dei coloni.

Le autorità israeliane hanno la responsabilità legale di garantire la protezione di tutti i palestinesi,” ha affermato Lucia Elmi, coordinatrice per le questioni umanitarie ad interim. “Ciò include la garanzia che ogni misura intrapresa non colpisca in misura sproporzionata le persone.”

Un allentamento delle tensioni è fondamentale per evitare ulteriori vittime, proteggere i civili e garantire l’accesso a servizi umanitari essenziali.

(Traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Al-Haq: “65 organizzazioni inviano una lettera al nuovo alto commissario per i diritti umani, sollecitando misure concrete per assicurare giustizia e responsabilizzazione per il popolo palestinese”

Al-Haq

18 ottobre 2022 – IMEMC

Il 17 ottobre 65 organizzazioni palestinesi, regionali ed internazionali hanno inviato una lettera congiunta al nuovo alto commissario per i diritti umani, Volker Türk, dandogli il benvenuto per questa sua nuova posizione ed evidenziando alcune delle recenti e allarmanti politiche e pratiche israeliane imposte ai palestinesi.

In modo specifico la lettera sottolinea i 15 anni di chiusura e assedio della Striscia di Gaza da parte di Israele; l’inasprimento delle incursioni militari intrusive di Israele nelle città palestinesi nei mesi scorsi; la chiusura come atto di punizione collettiva dei campi profughi di Shuafat e ‘Anata, così come un aggravamento nell’uso della politica “sparare per uccidere” delle forze di occupazione israeliane.

Inoltre la lettera sottolinea l’incremento della campagna israeliana di arresti e detenzioni arbitrari di massa, inclusa l’arbitraria, coercitiva e punitiva politica della detenzione amministrativa [cioè senza processo né accuse e rinnovabile a tempo indeterminato, ndt.].

Notando come al popolo palestinese sia stato negato per decenni il diritto all’autodeterminazione, la lettera congiunta evidenzia che la situazione dei diritti umani in Palestina dovrebbe essere in cima all’agenda dell’alto commissario, incluso un incremento della priorità dell’aggiornamento annuale del database ONU sulle attività commerciali delle colonie, come prescritto [dalle norme dell’ONU, ndt.].

La lettera fa notare con preoccupazione i ripetuti e inspiegabili ritardi dell’aggiornamento del database che sono senza precedenti nel modo in cui l’ufficio dell’alto commissariato per i diritti umani (OHCHR) ha gestito i mandati precedenti e sono causati da pressioni e interferenze politiche esercitate su OHCHR.

A tal fine la lettera evidenzia gli sforzi sistematici di Israele per silenziare i difensori dei diritti umani che alzano la loro voce contro le politiche e pratiche illegali di Israele, inclusa la messa al bando arbitraria di sei importanti organizzazioni della società civile palestinese, e spingono per la giustizia e la responsabilizzazione internazionale Ciò detto, le organizzazioni hanno espresso la loro fiducia che tale pressione non farà sviare l’OHCHR dal suo impegno per i diritti umani, per la giustizia, e la responsabilizzazione e sollecitano il nuovo alto commissario e il suo ufficio a:

    1. Riconoscere e prendere atto delle cause prime della prolungata negazione dei diritti dei palestinesi, radicata nel colonialismo di insediamento e nell’apartheid dello Stato di Israele;
    2. Dare priorità all’aggiornamento annuale del database ONU, come prescritto dalla Risoluzione 31/36 del Consiglio per i Diritti Umani (HRC) ed assicurare che siano allocate le opportune risorse per permettere uno sviluppo continuativo del database;
    3. Continuare a lavorare con le organizzazioni della società civile e con i difensori dei diritti umani in piena trasparenza per il completamento e l’aggiornamento continuativo del database;
    4. Affrontare l’aggressione istituzionale e sistematica da parte di Israele del popolo palestinese, inclusi i 15 anni di blocco della Striscia di Gaza e le massicce e arbitrarie politiche di “sparare per uccidere” e detenzione amministrativa
    5. Indagare e segnalare, con visite in loco o altro, attacchi contro i difensori dei diritti umani che lavorano sulle questioni palestinesi e che affrontano intimidazioni o arbitrarie restrizioni legislative o amministrative e assicurarne la protezione

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)