L’ANP ammette l’errore per la morte dell’attivista – poi continua a reprimere chi la critica

Dima Abumaria

27 luglio 2021 – +972 Magazine

L’Autorità Nazionale Palestinese si è assunta la responsabilità per l’uccisione di Nizar Banat, ma poi la sua repressione non ha fatto che aumentare, in alcuni casi arrivando alla tortura.

La sera del 5 luglio il giornalista radiofonico palestinese Akil Awawdeh stava seguendo una manifestazione a Ramallah, quando agenti della sicurezza palestinesi hanno iniziato a disperdere i manifestanti con eccessiva forza. Hanno attaccato e ferito gravemente Awawdeh, che è stato poi arrestato ed incarcerato. Egli ha riferito di essere stato nuovamente picchiato quando era sotto custodia e che gli sono state negate le cure per quasi due ore.

Dima Amin, un’attivista e medico anche lei arrestata nella stessa notte, ha testimoniato riguardo alle percosse a Awawdeh. Ha affermato di aver avvertito gli agenti che lui stava perdendo conoscenza. “Ho guardato Akil, che aveva un pessimo aspetto, e ho detto loro di smetterla e di permettermi di aiutarlo”, ha detto. “Mi sembrava che stesse per morire per colpa loro”.

I poliziotti hanno ignorato le sue richieste e hanno continuato a picchiare Awawdeh fino a quando non è più stato in condizione di muoversi, ricorda Amin. “Picchiavano e sferravano calci senza pensarci”, dice. “Io ho chiesto che lo trasferissero immediatamente in un ospedale”, continua, ma l’ambulanza è arrivata solo dopo 30 minuti.

Awawdeh ha detto che all’ospedale è stato avvicinato da un poliziotto in borghese che gli ha chiesto di non riferire ciò che gli era accaduto. Gli ha detto che in cambio la polizia non lo avrebbe accusato dell’aggressione di una poliziotta.

Ma io non sapevo di quale poliziotta stesse parlando”, ha detto Awawdeh in un’intervista telefonica, ancora con difficoltà di respirazione a causa delle ferite, giorni dopo essere stato attaccato. “È stato allora che ho capito che stavano complottando qualcosa per costringermi al silenzio.”

Dall’uccisione, il 24 giugno, dell’oppositore del governo Nizar Banat sotto custodia dell’Autorità Nazionale Palestinese, migliaia di palestinesi sono scesi in piazza a protestare, in alcuni casi chiedendo le dimissioni del presidente Mahmoud Abbas. In risposta, l’ANP ha scatenato una brutale campagna di repressione. Agenti della sicurezza hanno preso di mira attivisti, giornalisti e avvocati, arrestando almeno 15 persone in un solo giorno. Nonostante l’incessante reazione all’uccisione di Banat, gli avvocati dei diritti umani affermano che le forze di sicurezza palestinesi continuano ad aggredire i detenuti, in alcuni casi arrivando alla tortura.

Sento ancora le loro suppliche’

Il 5 luglio famigliari e sostenitori hanno organizzato un sit-in fuori dalla stazione di polizia Ballou a Ramallah per protestare contro l’arresto di sei palestinesi che avevano organizzato una manifestazione pacifica in città all’inizio della giornata. Secondo il resoconto di Amnesty International della protesta, la polizia palestinese inizialmente ha cercato di disperdere i dimostranti persuadendoli ad andarsene. Al loro rifiuto i poliziotti gli hanno dato un preavviso di 10 minuti e poco dopo la polizia antisommossa ha iniziato ad attaccare i manifestanti.

Appena io e la mia squadra siamo arrivati alla manifestazione, ci siamo presentati alle forze di sicurezza mostrando i nostri tesserini di giornalisti. Poi abbiamo incominciato le riprese in diretta dell’evento”, ha raccontato Awawdeh. Ma, ha affermato, che pochi minuti dopo gli si è avvicinato un poliziotto informando che il luogo era una “zona di sicurezza” e perciò non era consentito filmare.

Abbiamo ubbidito agli ordini e abbiamo interrotto la diretta sui social media”, ha detto Awawdeh. Quando è arrivata la polizia antisommossa, egli ha affermato, si è reso conto che la situazione si stava scaldando ed ha intimato alla sua equipe di allontanarsi di lì immediatamente. Ma prima che lui potesse andarsene i poliziotti lo hanno aggredito.

Appena è arrivata la polizia antisommossa gli eventi sono precipitati violentemente e i manifestanti sono stati attaccati con assoluta crudeltà”, ricorda Awawdeh. “Il primo colpo l’ho ricevuto da un poliziotto antisommossa che mi ha colpito forte col manganello al petto. Poi un altro poliziotto mi ha nuovamente picchiato nello stesso punto con lo scudo in vetro.”

In oltre dieci anni di reportage dalla Cisgiordania, Awawdeh non aveva mai visto una simile brutale repressione, ha detto. Ha visto poliziotti gettare a terra bambini, sparare candelotti lacrimogeni contro anziani e trascinare i manifestanti nelle auto della polizia per arrestarli.

Ancor oggi continuo a vedere le loro facce e sentire le loro voci e suppliche. Rimbombano nella mia testa”, ha affermato. “Non dimenticherò mai quel giorno. Non dimenticherò mai ciò che ho visto.”

L’impunità alimenta la repressione

L’ANP ha una storia pluriennale di arresti arbitrari, maltrattamenti e tortura, dice Omar Shakir, il direttore per Israele e Palestina di Human Rights Watch. L’organizzazione continua a fare ricerche sui più recenti attacchi governativi contro palestinesi, ma nel 2018 HRW ha pubblicato un rapporto che documenta il sistema dell’ANP di repressione di chi la critica e degli oppositori del governo.

Saleh Hijazi, vicedirettore regionale di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nordafrica, sottolinea che ci sono stati precedenti casi di morti sotto custodia, con evidenti prove di torture, citando Haithan Amer come esempio. Amer, un infermiere di 33 anni che l’ANP sospettava di essere un militante di Hamas, morì nel 2009 mentre era detenuto dalle forze di sicurezza palestinesi a Hebron. Le autorità non lo avevano incriminato per alcun reato né motivato il suo arresto. Un processo in un tribunale militare del 2010 assolse i poliziotti accusati dell’uccisione di Amer, sostenendo la “mancanza di prove”, benché un referto autoptico ufficiale palestinese avesse determinato che la causa della morte era stata la tortura.

Nel 2018 agenti palestinesi in borghese hanno aggredito un collega di Hijazi, Laith Abu Zeyad, che stava documentando una protesta contro le sanzioni che l’ANP aveva imposto alla Striscia di Gaza sotto assedio. I poliziotti hanno preso il telefono di Abu Zeyad e lo hanno arrestato insieme ad almeno altre 18 persone, alcune delle quali sono state torturate dalla polizia palestinese mentre erano sotto custodia, afferma Hijazi.

Secondo Talal Dweikat, portavoce delle forze di sicurezza palestinesi, il rapporto sulle torture di HRW e simili resoconti di altre organizzazioni non sono né accurati né corretti. “I rapporti contengono falsità e inesattezze”, ha detto in un’intervista telefonica.

Dweikat ha ammesso che l’ANP è responsabile della morte di Banat, dato che un’inchiesta ufficiale ha dimostrato che è morto sotto la sua custodia. “I responsabili dell’uccisione di Banat erano militari [in realtà ufficialmente l’ANP non ha un esercito, ndtr.], perciò il Primo Ministro Mohammad Shtayyeh li ha consegnati al tribunale militare e verranno perseguiti in un processo pubblico”, ha detto.

Ha aggiunto che i palestinesi hanno il diritto di protestare, ma “i manifestanti hanno insultato in modo pesante le forze di sicurezza e chiesto le dimissioni del presidente.” Ha continuato: “I dimostranti erano furiosi per l’uccisione di Banat, che neppure noi abbiamo accettato ed abbiamo seguito la legge relativamente all’incidente. Ora, quale ragione sta dietro alle richieste di dimissioni di Abbas e di scioglimento dell’ANP?”.

Interpellato riguardo alla repressione delle proteste e alle violenze documentate alla stazione di polizia Ballou, Dweikat ha sollecitato le persone che sono state aggredite a sporgere denuncia presso il tribunale militare. “Non saremo mai in grado di stabilire questi comportamenti se i cittadini non parlano chiaramente e non fanno qualcosa a riguardo”, ha detto.

Ma, secondo Hijazi di Amnesty, le vittime e i difensori dei diritti umani hanno perso la fiducia nel sistema giudiziario palestinese. “Parallelamente al sistema di violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza, abbiamo anche riscontrato una quasi totale mancanza di attribuzione di responsabilità ed è questa impunità che alimenta e permette alla repressione e alla tortura di continuare”, ha detto.

Per ripristinare questa fiducia e spezzare il cerchio dell’impunità, il presidente Mahmoud Abbas, l’unico che ne ha l’autorità ed il potere, deve ordinare un’indagine indipendente, imparziale, trasparente ed efficace sugli eventi, a partire dalla morte sotto custodia dell’attivista politico Nizar Banat, e dalla copertura della brutale campagna di repressione scatenata dalle forze di sicurezza che ne è seguita. L’indagine deve consegnare alla giustizia i colpevoli e garantire un risarcimento alle vittime”, ha detto Hijazi.

Ansiosi e spaventati’

Ubai Aboudi, capo del Centro Bisan per la Ricerca e lo Sviluppo di Ramallah, era uno degli organizzatori della protesta del 5 luglio. Ha detto che appena arrivato a piazza Al-Manara, dove si stavano radunando i manifestanti, è stato arrestato.

Noi, come gruppo di palestinesi, eravamo là per chiedere i nostri diritti di libertà di espressione e soprattutto che si svolgessero le elezioni”, ha detto il 37enne padre di tre figli. “Siamo arrivati intorno alle 7 del pomeriggio e siamo stati immediatamente arrestati in due gruppi, cosa che mi fa pensare che fossimo nel mirino delle forze di sicurezza già prima del nostro arrivo.”

Aboudi ricorda che alla stazione di polizia Ballou è stato avvicinato da un poliziotto che si è scusato per l’arresto e gli ha detto che si trattava di una decisione presa a livello politico.

Quando la moglie di Aboudi, Hind Shraydeh, ha saputo del suo arresto, ha deciso di andare alla stazione di polizia a cercarlo, insieme ai suoi figli, a suo suocero e a suo cognato. Ha anche postato su Facebook la notizia dell’arresto. “Ero spaventata a morte perché proprio qualche giorno prima le forze di sicurezza palestinesi avevano ucciso Nizar Banat”, ha detto.

Quando è arrivata ha visto che anche altri famigliari si erano radunati davanti alla stazione di polizia, come anche attivisti, giornalisti ed avvocati. Subito un agente in borghese si è avvicinato a Shraydeh chiedendole di andarsene, ma lei si è rifiutata. Poi i poliziotti hanno accusato le famiglie di bloccare la strada. “Nessuno di noi era in mezzo alla strada, eravamo sul marciapiede”, ha aggiunto.

Pochi minuti dopo, la polizia antisommossa ha attaccato le persone radunate fuori dalla stazione. Shraydeh è andata in diretta su Facebook per documentare la violenza, prima di essere arrestata lei stessa. Ha detto che tre poliziotti le hanno tirato i capelli e le hanno spruzzato spray al peperoncino. Cercavano il suo telefono, che lei è riuscita a nascondere.

Mi hanno picchiata, mi insultavano ed hanno rotto la mia collana con il nome di mio figlio”, ha continuato. “Ricordo che guardavo i miei figli, che stavano urlando terrorizzati. Ricordo che cercavo mio cognato, che è anziano e ha il diabete e la pressione alta”.

Dentro la stazione di polizia un agente ha minacciato Shraydeh dicendole di firmare un documento di impegno a rispettare la legge, oppure sarebbe rimasta separata dai suoi figli tutta la notte. “Ho avuto la sensazione che mi ricattasse, dicendomi che dovevo firmare questa carta per poter vedere i miei figli”, ha detto.

Shraydeh era convinta di non aver violato alcuna legge e si è rifiutata di firmare. È stata rilasciata circa a mezzanotte. Suo marito è stato rilasciato il giorno dopo, con accuse di assembramento illegale. La sua udienza in tribunale è fissata il 2 settembre.

I loro figli adesso hanno paura della polizia, ha detto Aboudi. “La vedono come una forza che attacca i civili e non che garantisce la sicurezza.”

Mio padre mi ha detto di avere avuto molta paura che avrei fatto la stessa fine di Nizar Banat”, continua Aboudi. “Dopo l’omicidio di Banat da parte delle forze di sicurezza, la gente qui è diventata ansiosa e davvero spaventata.”

Dima Abumaria è una giornalista palestinese con oltre sei anni di esperienza nel giornalismo e nella comunicazione. La signora Abumaria è laureata in Scienze Politiche e Giornalismo all’università di Birzeit a Ramallah. Negli ultimi quattro anni ha lavorato come corrispondente per le questioni arabe dalla Cisgiordania e da Israele per un’agenzia di notizie americana. Inoltre ha contribuito a coordinare e condurre visite di delegazioni di alto livello in Cisgiordania e Israele allo scopo di renderle edotte sul conflitto in atto. Precedentemente Abumaria ha lavorato nel dipartimento di informazione di Sky News Arabia [canale arabo di notizie da Medioriente e Nordafrica, ndtr.], dove era responsabile delle notizie e delle edizioni straordinarie. Ha anche partecipato alla produzione di notizie e materiali per la televisione.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)