Israele prosegue gli attacchi a Gaza, i palestinesi rispondono con i razzi

Redazione Al Jazeera

10 maggio 2023- Al Jazeera

Almeno cinque palestinesi sono stati uccisi e un altro ferito, mentre gli attacchi israeliani continuano tra il lancio di razzi per rappresaglia.

Secondo i funzionari della sanità palestinese almeno cinque palestinesi sono stati uccisi negli attacchi aerei israeliani che hanno colpito la Striscia di Gaza per il secondo giorno consecutivo.

La ripresa mercoledì dei bombardamenti ha provocato una raffica di razzi di rappresaglia dall’enclave assediata verso il sud di Israele.

I raid aerei israeliani hanno colpito diverse località dell’enclave assediata, sia a sud che a nord, e una serie di siti appartenenti al movimento della Jihad islamica palestinese (PIJ).

I media locali hanno riferito che almeno un altro palestinese è stato ferito a est di Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza. Il PIJ non ha confermato che le vittime fossero membri del suo gruppo.

In un reportage da Gaza City, Youmna El Sayed di Al Jazeera afferma che la gente del posto è in “massima allerta” ed estremamente preoccupata: a seguito della serie di attacchi di martedì che hanno ucciso almeno 15 persone, tra cui diversi civili, le scuole e le strutture pubbliche e private hanno chiuso e le persone cercano di rimanere in casa.

Aggiunge: “C’è un altissimo senso di tensione e preoccupazione tra i residenti di Gaza dopo gli attacchi israeliani di ieri. Tutto a Gaza è chiuso e le persone sono rimaste nelle loro case”.

I media arabi hanno riferito che Hamas, il gruppo che gestisce la Striscia di Gaza, ha detto che i razzi lanciati da lì erano una risposta al “massacro commesso dall’occupazione israeliana”, dato che i media palestinesi hanno riferito che i razzi di rappresaglia erano “a nome del coordinamento delle fazioni [di Gaza]’” che comprende Hamas e altri gruppi armati con sede a Gaza.

Il giornalista israeliano Barak Ravid cita il portavoce dell’esercito israeliano Daniel Hagari che afferma non esservi alcuna indicazione immediata che Hamas sia coinvolta nei combattimenti.

Da parte israeliana le autorità hanno detto ai cittadini che vivono nelle città lungo la barriera di Gaza di evacuare o rimanere nei rifugi.

In un reportage da Ashkelon, nel sud di Israele, Willem Marx di Al Jazeera ha affermato che l’esercito israeliano era in massima allerta quando sono state avviate le sirene. Il sistema di difesa aerea israeliano Iron Dome ha anche intercettato dei razzi.

“Negli ultimi istanti, ci sono state istruzioni [dalle autorità] alle persone di rimanere all’interno dei rifugi a causa di questi lanci”, ha detto. “Molte comunità sono state incoraggiate ad allontanarsi da qui”.

Il bombardamento arriva il giorno dopo che le forze israeliane hanno attaccato Gaza City e i suoi dintorni, uccidendo 15 persone, tra cui quattro minori, in quella che hanno definito un’operazione contro tre comandanti della PIJ.

In un attacco notturno, le forze israeliane hanno anche ucciso due persone nella città occupata di Qabatiya, in Cisgiordania, a sud di Jenin. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa palestinese WAFA il ministero della salute li ha identificati come Ahmad Jamal Assaf, 19 anni, e Warani Walid Qatanat, 24. Un palestinese di 17 anni è stato colpito al petto e portato in ospedale.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




L’esercito israeliano ha condotto un’azione psicologica online rivolta all’opinione pubblica israeliana durante la guerra di Gaza

Hagar Shezafand e Yaniv Kubovich

22 marzo 2023 Haaretz

L’esercito israeliano ha utilizzato falsi account di social media per diffondere il messaggio secondo cui stava “compiendo una dura rappresaglia contro Hamas”. Ha pubblicato decine di video #Gazaregrets [Gaza rimpiange] nei gruppi Facebook di Netanyahu taggando i politici di destra. Un alto ufficiale ha detto: “Questo è illegale, non si deve fare”, e l’esercito ha risposto: “Abbiamo sbagliato.”

Durante l’operazione Guardian of the Walls [Guardiano delle mura] nel maggio 2021 a Gaza l’Unità portavoce delle Forze di Difesa israeliane ha condotto un’operazione di guerra psicologica rivolta ai cittadini israeliani con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle manovre offensive dell’esercito israeliano e sul “prezzo” che queste iniziative avrebbero imposto ai palestinesi.

I militari hanno utilizzato falsi account di social media per nascondere l’origine della campagna. Hanno usato Twitter, Facebook, Instagram e TikTok per caricare immagini e clip degli attacchi dell’esercito a Gaza utilizzando l’hashtag #Gazaregrets con didascalie come “Perché mostrano solo Israele che viene attaccato invece dei nostri attacchi a Gaza? Dobbiamo dimostrare a tutti quanto siamo forti!” e “Condividi in modo che tutti possano vedere come reagiamo alla grande” o ” Facciamo in modo che Gaza si penta… Am Israel Chai [La Nazione israeliana è viva]”.

Haaretz ha appreso che questa “campagna di propaganda” è stata lanciata diversi giorni dopo l’inizio dei combattimenti, dopo che l’Unità portavoce dell’esercito israeliano ha ritenuto che l’opinione pubblica israeliana fosse più colpita dagli attacchi missilistici lanciati contro Israele da Gaza che dalle azioni dell’esercito israeliano all’interno della Striscia. Secondo il dibattito interno, l’uso da parte dell’Unità di account falsi – “bot” – aveva lo scopo di impedire che fossero “attribuiti” all’esercito. Questo, sperava l’esercito, li avrebbe fatti sembrare autentici, come se provenissero direttamente dall’opinione pubblica.

Per dare ulteriore voce alla campagna, l’Unità portavoce ha collaborato con discrezione con due popolari account Instagram israeliani – @idftweets e @pazam_gram – che hanno centinaia di migliaia di follower. Il primo giorno di questa campagna, @idftweets ha condiviso post e storie di un attacco dell’esercito israeliano con l’hashtag #Gazaregrets. Il contenuto ha ricevuto centinaia di like e commenti entusiasti come “uccideteli tutti” o “perché ci sono ancora degli edifici in piedi a Gaza?” @pazam_gram ha seguito l’esempio con altre storie sui propri account.

L’Unità portavoce dell’esercito intendeva utilizzare anche gli influencer dei social media per manipolare l’opinione pubblica israeliana.

Non è chiaro se l’esercito abbia pagato i titolari dell’account Instagram per i loro servizi. Secondo una fonte a conoscenza del funzionamento interno dell’Unità, questa non è l’unica volta in cui si è realizzata una simile collaborazione.

L’operazione Guardian of the Walls è stata lanciata il 10 maggio, dopo che Hamas aveva lanciato razzi contro Gerusalemme durante la Marcia delle Bandiere tenutasi in quella giornata di tensione, ed è stata seguita da una raffica di razzi puntati contro il centro di Israele. L’esercito israeliano ha risposto con massicci attacchi a Gaza, che hanno raso al suolo una serie di grattacieli. La campagna è durata 11 giorni e ha visto 4.000 razzi lanciati verso Israele, che hanno provocato la morte di dieci israeliani e tre cittadini stranieri. A seguito degli attacchi dell’esercito israeliano sono stati uccisi 350 abitanti di Gaza, la maggior parte dei quali miliziani di Hamas e della Jihad islamica.

Subito dopo l’inizio dei combattimenti, l’Unità portavoce dell’esercito ha deciso di lanciare la sua campagna di guerra psicologica contro i cittadini israeliani. Il 12 maggio ha aperto un falso account Twitter appartenente a “Moshe Vaknin” con la foto della bandiera israeliana.

Il soldato che gestiva l’account ha twittato 27 volte in sole tre ore. Con l’hashtag #Gazaregrets ogni post conteneva immagini degli attacchi israeliani a Gaza o della distruzione da essi prodotta. Per aumentarne la portata e la visibilità, ogni tweet è stato pubblicato come risposta a popolari account Twitter con decine di migliaia di follower: la maggior parte di questi account apparteneva a persone note per essere sostenitori del primo ministro Benjamin Netanyahu. I tweet hanno taggato anche politici di destra e personalità dei media.

In risposta a un tweet pubblicato dal parlamentare di estrema destra Itamar Ben-Gvir, che chiedeva di “trasformare in parcheggio il quartiere di Gaza con le ville di Hamas”, il soldato che gestiva il falso account ha risposto con l’immagine di un grattacielo crollato a Gaza e la didascalia “Itamar, condividilo subito in modo che tutto Israele possa vedere che #Gazaregrets”.

In risposta al tweet del conduttore televisivo israeliano di destra Yinon Magal, che prendeva in giro l’allora ministro della Difesa Benny Gantz, il falso “Moshe Vaknin” ha risposto con la foto di un attacco dell’esercito e la didascalia “Yinon #Gazaregrets condividi subito in modo che tutti possano vedere”.

Il 12 maggio è stato creato un altro account falso su Facebook con il nome Dana Lock e come immagine del profilo una ragazza drappeggiata con la bandiera israeliana. In due giorni l’account ha pubblicato otto video di attacchi israeliani con la didascalia “Non rimarremo in silenzio! Non siamo fessi! #Gazaregrets! Condividere!!”

Per raggiungere un pubblico più ampio, i video sono stati pubblicati su diversi gruppi Facebook di sostenitori di Netanyahu, per un totale di oltre 100.000 follower collegati.

Altri due falsi account su Instagram e TikTok hanno pubblicato 13 post simili.

Nel complesso, la campagna di propaganda ha coinvolto molto poco l’opinione pubblica israeliana: con l’eccezione di un solo video di TikTok che ha ricevuto alcune decine di like e commenti, il resto dei post sui social media non ha quasi provocato commenti, condivisioni o like. Fallito anche il tentativo di promuovere l’hashtag #Gazaregrets. Solo sei profili organici (cioè autentici) hanno utilizzato l’hashtag su Facebook, ma su altre piattaforme non si è visto alcun uso reale del tag.

Nonostante ciò, Haaretz ha appreso che una volta conclusa la guerra su Gaza del 2021 l’Unità ha ricevuto un premio per la “migliore campagna operativa” durante Guardian of the Walls. Il premio è stato assegnato al tenente colonnello Merav Stollar-Granot, capo del dipartimento media dell’Unità portavoce dell’esercito.

L’Unità Campagne del dipartimento opera come una sorta di ufficio stampa per l’esercito e organizza campagne interne ed esterne per aumentare la conoscenza delle diverse unità dell’esercito e le questioni militari. All’epoca era diretta da Yuval Horowitz, un civile assunto come attivista di marketing che ora lavora per Keshet Media [società di mass media israeliana privata il cui notiziario online è molto seguito, ndt.]. L’Unità è composta da riservisti che lavorano come pubblicitari e designer.

In risposta l’esercito ha dichiarato: “Durante la campagna Guardian of the Walls l’Unità portavoce ha diffuso filmati autentici dei combattimenti dall’interno della Striscia di Gaza, ottenuti dalle piattaforme dei social media. Tutti i contatti dell’esercito con gli influencer israeliani sui social media sono avvenuti a titolo ufficiale. Poiché il filmato è stato girato da palestinesi a Gaza, la sua diffusione non può essere attribuita all’esercito.

L’esercito ha infatti creato un certo numero di account falsi che hanno pubblicato il filmato sui social media al fine di massimizzare l’accesso del pubblico. In retrospettiva, l’uso di quegli account è stato un errore ed è stato limitato a 24 ore. Non vi è stato alcun ulteriore utilizzo negli ultimi due anni. L’Unità portavoce dell’esercito è impegnata nella verità ed esige rapporti affidabili e per quanto possibile accurati al fine di trasmettere informazioni all’opinione pubblica in modo corretto.”

Guerra psicologica

L’esercito ha impiegato per anni la guerra psicologica contro i nemici di Israele nel tentativo di sminuire le loro narrazioni, influenzare la popolazione (per esempio a Gaza, in Libano e in Iran) e pubblicizzare i propri risultati operativi. Un’unità di guerra psicologica è stata costituita nel 2005 sotto l’egida dell’intelligence militare. Come parte delle attività contro il “nemico”, l’intelligence israeliana ha raccolto informazioni che includevano l’opinione pubblica della popolazione nemica e le sue posizioni in quel momento sui governanti e sulla guerra. Ha anche cercato di influenzare il discorso pubblico dei nemici per seminare incertezza, minare la credibilità dei messaggi del potere dominante e incoraggiare la pressione dell’opinione pubblica sulla rispettiva leadership. La maggior parte di queste attività è stata condotta di nascosto e ha diffuso informazioni destinate ad essere utili in un modo o nell’altro a Israele.

Durante l’operazione Guardian of the Walls nel 2021 l’intelligence israeliana ha condotto una campagna sui social media in arabo diretta alla popolazione di Gaza con il titolo “Hamas sta uccidendo la Nazione” e “la colpa è di Hamas “.

L’intelligence militare poteva raggiungere le popolazioni civili a vari livelli. Tuttavia la legge israeliana vieta all’esercito di operare tali attività all’interno, il che significa che una guerra psicologica segreta contro i cittadini israeliani è illegale.

“Quelle competenze sono state sviluppate per identificare la mentalità dei Paesi nemici e per influenzarli dall’esterno – senza che l’esercito compaia – sulla situazione nazionale del popolo con cui Israele sta combattendo una guerra”, ha detto ad Haaretz un alto funzionario della Difesa. “Nessuna operazione di guerra psicologica è stata condotta contro cittadini israeliani. Questo è proibito dalla legge. [È una questione così delicata che] anche durante il COVID-19 l’esercito non è stato autorizzato a impiegare alcune di quelle competenze per individuare i casi conclamati”.

Durante il mandato dell’ex capo di stato maggiore Aviv Kochavi è stata data la massima priorità alla guerra psicologica, principalmente nei confronti dei palestinesi, e il nome dell’Unità è stato cambiato in Impact Division. Sebbene siano stati fatti tentativi per trasferirne l’autorità al portavoce dell’esercito – che si occupa del pubblico israeliano – rimane sotto la competenza dell’intelligence militare.

“Il tentativo è arrivato ai più alti livelli della dirigenza ma è fallito, almeno ufficialmente”, ha detto il funzionario. “Coloro che si sono opposti hanno ritenuto che la cosa potesse essere fatta solo da persone identificate come appartenenti all’esercito e in modo che fosse chiaro che il messaggio proveniva dall’esercito. È stato chiarito a tutti coloro che volevano cambiare la legge esistente che la cosa era inaccettabile”.

Questa fonte non era a conoscenza dell’operazione #Gazaregrets e si è stupita nello scoprire che fosse stata effettivamente condotta agli ordini dell’ex portavoce dell’esercito, il maggiore generale Hidai Zilberman, che Kochavi aveva nominato portavoce dell’esercito nel 2019. Prima di allora Zilberman aveva iniziato la sua carriera nel Corpo di artiglieria, e in seguito era diventato comandante senior nel Comando settentrionale e nella Direzione per la pianificazione dell’esercito. Nel 2021 è stato nominato addetto alla difesa e alle forze armate israeliane per gli Stati Uniti

Il quarto giorno dell’operazione Guardian of the Walls, l’esercito ha lanciato l’operazione Lightning Strike [Colpo di Fulmine], che mirava a utilizzare centinaia di aerei da combattimento per colpire la rete di tunnel di Hamas sulla base del presupposto che al momento la maggior parte del suo braccio armato e gli alti dirigenti di Hamas si trovassero lì.

Il portavoce dell’esercito ha ingannato i media riferendo che le forze di terra avevano iniziato a entrare a Gaza. L’idea era di far entrare rapidamente politici e combattenti di Hamas nei tunnel, dove sarebbero stati poi uccisi. L’operazione è fallita perché Hamas ha riconosciuto l’inganno per quello che era. Nonostante il lancio di centinaia di tonnellate di esplosivo, furono uccisi solo pochi giovani miliziani.

Tuttavia, quando è trapelata la notizia dell’inganno e solo per la stampa estera, la credibilità del portavoce e l’immagine mondiale di Israele sono state gravemente danneggiate.

Zilberman è stato costretto a scusarsi nel tentativo di ripristinare la fiducia dei media stranieri. È arrivato persino a scrivere una lettera al presidente dell’Associazione della stampa estera in cui diceva: “Mi scuso per l’errore. Il portavoce dell’esercito non intraprende guerre psicologiche, il suo ruolo è quello di riferire all’opinione pubblica nient’altro che la verità”.

Ciò che il portavoce dell’esercito non ha detto è che esattamente nello stesso momento i militari che prestavano servizio nell’Unità erano impegnati in un’operazione fraudolenta e senza precedenti nei confronti dell’opinione pubblica israeliana. “Non è meno scandaloso se l’operazione #Gazaregrets è uscita dall’ufficio del portavoce dell’esercito”, ha detto un alto funzionario della difesa quando gli sono state mostrate le prove raccolte da Haaretz. “Una cosa del genere non sarebbe dovuta accadere.”

Nonostante l’assicurazione di Zilberman che l’Unità portavoce dell’esercito non avesse preso parte alla guerra psicologica, tre mesi dopo un’indagine di Haaretz ha scoperto che l’esercito aveva assunto Gilad Cohen – che gestisce il canale Ali Express Telegram [canale di blog informativi, ndt.] – come consulente per la “guerra psicologica” sui social media. La censura militare ha inizialmente vietato la pubblicazione del suo nome, ma dopo diversi giorni ha cambiato la sua decisione.

Ali Express ha più di 100.000 follower ed è diventata negli ultimi anni una delle fonti più influenti in Israele sui temi della difesa e del mondo arabo. Propone servizi esclusivi, video e immagini in cui appare il suo logo, mentre molti giornalisti la usano come fonte citandola direttamente. Più di una volta il portavoce dell’esercito ha indirizzato ad Ali Express i giornalisti che chiedevano cosa stesse succedendo a Gaza, chiarendo che la notizia “non è stata fornita da alcun funzionario militare”.

Cohen ha ricevuto la nomina nel 2019, quando è iniziata la Marcia del Ritorno con gli scontri al confine di Gaza, da Herzl Halevi, che era allora a capo del comando meridionale dell’esercito ed è oggi Capo di Stato Maggiore. Cohen ha continuato a lavorare con il successore di Halevi, Eliez Toledano. Ali Express non conferma che il suo manager funga da consulente retribuito per il comando meridionale dell’esercito. Allo stesso modo l’esercito non riconosce pubblicamente di collaborare con Cohen.

In testi anonimi Ali Express attacca spesso l’affidabilità e la professionalità di eminenti giornalisti israeliani che hanno criticato le politiche dell’esercito nei confronti di Hamas. Attacca anche i politici, tra cui l’ex Ministro della Difesa Avigdor Lieberman, che aveva annunciato le sue dimissioni dall’incarico dopo un incidente in cui un’unità delle forze speciali dell’esercito era stata scoperta a Khan Yunis, a sud di Gaza. “Davvero non avresti potuto scegliere un momento migliore per dimetterti? Hamas ha regalato ai suoi cittadini un risultato incredibile, un incidente per cui Hamas è riuscito a far dimettere un Ministro della Difesa in carica”, scherza un post anonimo.

All’epoca l’esercito cercò di negare le attività di Cohen. Ma dopo aver saputo del problema creato nei confronti dei cittadini israeliani, l’esercito ha annunciato di aver rescisso il contratto.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Netanyahu e i funzionari israeliani negano il congelamento degli insediamenti dopo il vertice di Aqaba

Redazione di MEE

27 febbraio 2023 MiddleEastEye

La smentita arriva dopo che in una dichiarazione congiunta Israele aveva affermato di accettare di “interrompere il dibattito su qualsiasi nuova unità di insediamento” per quattro mesi

Poche ore dopo l’incontro tra Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese conclusosi con una dichiarazione congiunta che delineava l’impegno israeliano a sospendere le discussioni sui nuovi insediamenti nella Cisgiordania occupata, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che la costruzione degli insediamenti israeliani proseguirà.

Le note apparentemente contraddittorie hanno portato a confusione, visto che anche un certo numero di funzionari israeliani si è affrettato a negare il congelamento della costruzione di insediamenti in Cisgiordania.

All’incontro, che si è svolto domenica nella città giordana di Aqaba, sul Mar Rosso, hanno partecipato anche Egitto e Stati Uniti.

Secondo un comunicato congiunto rilasciato domenica dal Dipartimento di Stato americano, Israele si è impegnato a “interrompere la discussione su qualsiasi nuova unità di insediamento per quattro mesi e a bloccare l’autorizzazione di qualsiasi avamposto per sei mesi”.

Poco dopo la pubblicazione del comunicato, Netanyahu ha twittato che “non ci sarà alcun congelamento” nella costruzione degli insediamenti.

Secondo il diritto internazionale, gli insediamenti costruiti nei territori occupati sono illegali.

Molti ministri importanti di Israele hanno concordato, affermando che non vi è alcun impegno a congelare la costruzione di nuove unità di insediamento.

Il consulente del Consiglio di Sicurezza Nazionale israeliano Tzachi Hanegbi ha affermato che il governo israeliano non ritirerà la sua decisione di legalizzare nove avamposti in Cisgiordania e di costruire 9.500 ulteriori unità abitative nella Cisgiordania occupata.

“Contrariamente ai rapporti e ai tweet sull’incontro in Giordania, non vi è alcun cambiamento nella politica israeliana”, ha detto Hanegbi.

Il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha dichiarato su Twitter di non avere “la più pallida idea di che cosa si sia detto o non detto in Giordania”, aggiungendo che non ci sarebbe stato alcun congelamento degli insediamenti, “nemmeno per un giorno”.

Fonti a conoscenza dei colloqui hanno detto ad Haaretz che l’impegno a non discutere la costruzione di nuovi insediamenti per quattro mesi non costituisce una vera concessione, dato che il processo di pianificazione richiederà diversi mesi prima che possano essere approvate nuove ulteriori unità abitative.

In risposta alle dichiarazioni di Netanyahu e di altri ministri israeliani, lunedì il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price ha detto ai giornalisti: “Pensiamo che la dichiarazione parli da sola. Proprio come ci aspettiamo che i palestinesi mantengano i loro impegni, ci aspettiamo che gli israeliani facciano lo stesso”.

Nessuna pressione dagli Stati Uniti

Zaha Hassan, avvocato per i diritti umani e membro del Carnegie Endowment for International Peace [Fondo Carnegie per la Pace Internazionale, think tank apartitico con sede a Washington, ndt.] ha affermato che l’incontro è stato un altro segno che gli Stati Uniti non sono disposti a usare la loro influenza per spingere Israele al rispetto del diritto internazionale.

“Tenere riunioni ad Aqaba o Sharm El Sheikh rappresenta una grande photo opportunity, ma è tutto ciò che può esserci se gli Stati Uniti non mettono in campo il loro potere per raffreddare la situazione”.

Hassan afferma che gli Stati Uniti hanno chiarito che i legami bilaterali di Washington con Israele sono di fondamentale importanza, e che il presidente Joe Biden ha “considerato oltraggioso” suggerire di mettere condizioni agli aiuti militari al Paese.

Ha aggiunto: “Dire a Israele che gli aiuti e la copertura politica non saranno mai ritirati o sospesi è esattamente il motivo per cui i funzionari israeliani si sentono incoraggiati ad andare avanti con l’annessione della Cisgiordania”.

“È anche il motivo per cui i membri della Knesset israeliana si sentono liberi di parlare a sostegno dei coloni israeliani che attaccano e danno fuoco ai villaggi palestinesi”.

Domenica dei coloni israeliani con la protezione dei militari israeliani hanno dato fuoco a decine di case e auto palestinesi nella città di Huwwara, vicino alla città di Nablus nella Cisgiordania occupata. L’attacco è avvenuto dopo che un palestinese armato ha sparato uccidendo due coloni israeliani che attraversavano la città palestinese.

L’attacco alla città è stato appoggiato dai funzionari israeliani, tra cui Smotrich che ha chiesto di “colpire senza pietà le città del terrore e i suoi istigatori con carri armati ed elicotteri”.

Almeno 62 palestinesi sono stati uccisi dagli israeliani quest’anno, al ritmo di più di un decesso al giorno.

Ciò fa seguito a un forte aumento della violenza nel 2022, quando almeno 167 palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania e Gerusalemme Est, il più alto numero di vittime in quei territori in un solo anno dalla Seconda Intifada.

Mentre i colloqui di Aqaba sono stati descritti come “un grande progresso” dal comunicato congiunto, il vertice è stato condannato da un certo numero di fazioni palestinesi.

Suhail al-Hindi, membro di spicco del movimento Hamas, ha affermato che l’incontro di Aqaba “mira a mettere in ginocchio il popolo palestinese”, mentre Maher Mezher, membro del gruppo di sinistra Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), ha affermato che al vertice il popolo palestinese non era rappresentato.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Esperimento fallito: tre motivi per cui Israele teme un ampio conflitto contro Gaza 

Ramzy Baroud

6 febbraio 2023 Middle East Monitor

Sebbene le precedenti guerre di Israele contro Gaza siano spesso state giustificate da Tel Aviv come risposta ai razzi palestinesi o generalmente come azioni di autodifesa, la verità è diversa. Storicamente la relazione di Israele con Gaza è stata determinata dalla necessità di Tel Aviv di creare diversivi alla propria complicata politica, per mostrare i muscoli ai suoi nemici nella regione e per testare le sue innovazioni belliche.

Sebbene la Cisgiordania occupata, e in effetti anche altri Paesi arabi, siano stati usati come campi di prova per la macchina militare israeliana, nessun altro luogo ha permesso a Israele di sperimentare le proprie armi così a lungo come Gaza, facendo di Israele nel 2022 il decimo esportatore globale di armi.

C’è un motivo per cui Gaza è ideale per tali grandiosi, seppur tragici, esperimenti.

Gaza è il posto perfetto per raccogliere informazioni dopo che le nuove armi sono state schierate e usate sul campo di battaglia. Nella Striscia abitano, ammassati in 365 km², due milioni di palestinesi che vivono una misera esistenza, praticamente senza acqua potabile e poco cibo. Infatti, grazie alle cosiddette ‘cinture di sicurezza’ di Israele, gran parte del terreno coltivabile di Gaza che confina con Israele è off limits. I contadini sono spesso uccisi da cecchini israeliani quasi con la stessa frequenza con cui anche i pescatori di Gaza sono presi di mira se si avventurano oltre le tre miglia nautiche a loro assegnate dalla marina israeliana.

The Lab“, [Il laboratorio, N.d.T.], un premiato documentario israeliano uscito nel 2013, descrive con angosciosi dettagli come Israele abbia trasformato milioni di palestinesi in un vero e proprio laboratorio umano per testare nuove armi. Anche prima, ma soprattutto da allora, Gaza è il principale campo di prova per usare questi armamenti.

Gaza è stato ‘ il laboratorio’ anche per esperimenti politici israeliani.

Dal dicembre 2008 al gennaio 2009, quando l’allora prima ministra israeliana pro-tempore Tzipi Livni decise, parole sue, di ” andarci giù pesante”, lanciò contro Gaza una delle guerre più letali sperando che la sua avventura militare l’avrebbe aiutata a consolidare il sostegno al suo partito nella Knesset.

All’epoca Livni era a capo di Kadima [partito politico israeliano centrista, N.d.T.], fondato nel 2005 dall’ex leader del Likud Ariel Sharon. Subentratagli, Livni volle dimostrare il suo valore di personalità forte capace di dare una lezione ai palestinesi.

Sebbene il suo esperimento le avesse guadagnato un certo consenso nelle elezioni del febbraio 2009, dopo la guerra del novembre 2012 le si ritorse contro, nelle elezioni del gennaio 2013 Kadima fu quasi annientata e alla fine scomparve completamente dalla mappa politica israeliana.

Quella non è stata né la prima né l’ultima volta in cui i politici israeliani hanno cercato di usare Gaza e distrarre dalle proprie sventure politiche o per dimostrare le loro credenziali come protettori di Israele uccidendo palestinesi.

Tuttavia nessuno ha perfezionato l’uso della violenza per guadagnare consensi politici quanto l’attuale primo ministro Benjamin Netanyahu. Ritornando a capo del governo più estremista nella storia di Israele, Netanyahu è ansioso di restare al potere, soprattutto perché la sua coalizione di destra ha un sostegno più solido nella Knesset di tutti gli altri cinque governi degli ultimi tre anni.

Con un elettorato di destra a favore della guerra che è molto più interessato all’espansione illegale delle colonie e alla ‘sicurezza’ che alla crescita economica o all’uguaglianza socioeconomica, Netanyahu dovrebbe, almeno tecnicamente, essere in una posizione più forte per lanciare un’altra guerra contro Gaza. Allora perché sta esitando?

Il primo febbraio un gruppo palestinese ha lanciato un razzo verso il sud di Israele causando una risposta israeliana intenzionalmente limitata.

Secondo le fazioni palestinesi della Striscia assediata il razzo fa parte della continua ribellione armata dei palestinesi della Cisgiordania. Doveva servire a dimostrare l’unità politica fra Gaza, Gerusalemme e la Cisgiordania.

La Cisgiordania sta vivendo i suoi giorni più cupi. Solo a gennaio sono stati uccisi dall’esercito israeliano 35 palestinesi, dieci dei quali sono morti a Jenin in un solo raid israeliano. Un palestinese che ha agito da solo ha reagito uccidendo sette coloni ebrei nella Gerusalemme Est occupata, la scintilla perfetta di quella che normalmente avrebbe causato una massiccia risposta israeliana.

Ma tale risposta per ora è stata limitata alla demolizione di case, arresti e tortura dei famigliari degli aggressori, assedio militare di varie città palestinesi e centinaia di attacchi individuali di coloni ebrei contro i palestinesi.

Una guerra vera e propria, specialmente a Gaza, non si è ancora concretizzata. Ma perché?

Primo, i rischi politici di attaccare Gaza con una lunga guerra, almeno per ora, prevalgono sui vantaggi. Sebbene la coalizione di Netanyahu sia relativamente stabile, le aspettative degli alleati estremisti del primo ministro sono molto alte. Una guerra con un esito incerto potrebbe essere considerato dai palestinesi come una vittoria, un’idea che da sola potrebbe mandare in pezzi la coalizione. Anche se Netanyahu potrebbe scatenare una guerra come ultima risorsa, al momento non ha bisogno di un’alternativa così rischiosa.

Secondo, la resistenza palestinese è più forte che mai. Il 26 gennaio Hamas ha dichiarato di aver usato missili terra-aria per respingere un attacco israeliano contro Gaza. Sebbene l’arsenale militare del gruppo di Gaza sia piuttosto rudimentale, quasi tutto prodotto in loco, è molto più avanzato e sofisticato se confrontato con le armi usate durante la cosiddetta “Operazione [israeliana] Piombo fuso ” nel 2008.

E infine le riserve di munizioni israeliane devono essere al loro punto più basso da molto tempo. Ora che gli USA, il maggiore fornitore di armi a Israele, ha attinto alla sua riserva di armi strategiche a causa della guerra Russia-Ucraina, Washington non sarà in grado di rifornire gli arsenali israeliani con costanti forniture di armamenti come aveva fatto l’amministrazione Obama durante la guerra del 2014. Persino più preoccupante per l’esercito israeliano, a gennaio il New York Times ha rivelato che “il Pentagono sta attingendo a una vasta, ma poco nota, scorta di forniture militari americane in Israele per andare incontro alla disperata necessità di proiettili di artiglieria in Ucraina …”

Sebbene ci sia un maggiore rischio di guerre israeliane contro Gaza rispetto al passato, un Netanyahu intrappolato e messo in difficoltà potrebbe ancora far ricorso a un tale scenario se avesse la sensazione che la sua leadership fosse in pericolo. Infatti nel maggio 2021 il leader israeliano ha fatto proprio questo. Eppure anche allora non ha potuto salvare sé stesso o il proprio governo da una sconfitta umiliante.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




L’esercito israeliano uccide 5 palestinesi durante l’incursione nel campo profughi di Aqbat Jabr

MARIAM BARGHOUTI

6 FEBBRAIO 2023 – MONDOWEISS

Dopo un assedio di dieci giorni imposto a Gerico e dintorni l’esercito israeliano ha assaltato il campo profughi di Aqbat Jabr e ha ucciso 5 palestinesi

Lunedì mattina, 6 febbraio, le forze israeliane hanno condotto un’incursione mortale nel campo profughi di Aqbat Jabr, situato a sud-ovest di Gerico, nella Valle del Giordano. Aqabat Jabr è il più grande campo profughi della Cisgiordania.

Il raid arriva più di una settimana dopo che un palestinese avrebbe aperto il fuoco in un ristorante vicino alla colonia illegale di Almog il 28 gennaio. Nessuno è rimasto ferito nella sparatoria e lo sparatore è fuggito. Le forze israeliane hanno successivamente lanciato una caccia all’uomo di una settimana che ha comportato la chiusura dell’area di Gerico e che è culminata con l’incursione di questa mattina.

I palestinesi descrivono l’incursione come una “missione omicida” che prende di mira i combattenti della resistenza ricercati nell’area.

L’esercito israeliano ha inizialmente riferito che almeno quattro palestinesi sono stati uccisi e uno gravemente ferito, anche se i media palestinesi e israeliani sostengono che il bilancio delle vittime sia più alto alcuni parlano dell’uccisione di sette persone.

I cinque palestinesi uccisi sono stati identificati dal Ministero della Salute palestinese (MOH) come Ra’fat Wael Oweidat, 21 anni, Ibrahim Wael Oweidat, 27, Malek Ouni Lafi, 22, Adham Majdi Oweidat, 22, e Thaer Oweidat, 28.

Inoltre i media israeliani hanno riferito che l’esercito ha trattenuto i corpi di tutti i palestinesi uccisi.

Il ministero della Salute palestinese deve ancora confermare ufficialmente il numero totale delle vittime. Prima di mezzogiorno ora locale ha rilasciato una dichiarazione secondo cui “non ci sono informazioni ufficiali sullo stato di salute dei cittadini arrestati dalle forze di occupazione durante l’attacco alla città”.

Secondo la Mezzaluna Rossa palestinese almeno tre palestinesi sono stati feriti con proiettili veri durante l’incursione. Nel campo sono stati arrestati altri otto palestinesi.

L’incursione su Aqbat Jabr

L’incursione di lunedì mattina avviene più di una settimana dopo una presunta sparatoria in un ristorante vicino ad Almog. Secondo fonti militari israeliane e l’agenzia di notizie Aqsa, affiliata ad Hamas, i combattenti che hanno effettuato la sparatoria erano membri delle Brigate Izz al-Din al-Qassam, l’ala militare di Hamas.

Sabato, appena due giorni prima dell’incursione mortale di lunedì, l’esercito ha condotto un’operazione simile nello stesso campo profughi con il pretesto di cercare i colpevoli della sparatoria, ma l’esercito israeliano ha annunciato di non essere stato in grado di arrestare i combattenti della resistenza responsabili.

L’incursione odierna è avvenuta all’alba, quando, secondo gli abitanti del campo, le forze israeliane hanno circondato una casa.secondo i rapporti militari israeliani che sono stati confermati da fonti di notizie palestinesi locali e dagli abitanti del campo.

Secondo i rapporti militari israeliani confermati da fonti di notizie palestinesi locali e dagli abitanti del posto l’invasione è durata almeno quattro ore

Secondo il corrispondente dell’esercito israeliano Itay Blumenthal l’esercito ha preso di mira e ucciso i due combattenti della resistenza armata presumibilmente responsabili della sparatoria all’incrocio della colonia di Almog e ne ha ucciso altri tre durante gli scontri.

Secondo i giornalisti e il personale medico sul posto è stato negato l’accesso al campo ai giornalisti e al personale medico.

Poche ore dopo l’incursione un testimone oculare ha detto: “Questa è una politica sistematica della macchina da guerra israeliana per prevenire la denuncia dei crimini quotidiani commessi contro i palestinesi”.

Aggiunge: “Questo mira a spezzare il popolo palestinese, siamo presi di mira nelle nostre case, nelle nostre fattorie e non si fa nulla. Ci sono crimini di guerra organizzati che vengono compiuti per allontanarci dalle nostre case” e chiede: “fino a quando la comunità internazionale rimarrà in silenzio e non sarà in grado di fermare questi crimini?”

Un assedio di dieci giorni

A seguito dell’incursione nel campo di sabato 4 febbraio, che ha visto scontri sia armati che disarmati da parte degli abitanti del campo, l’esercito israeliano ha rilasciato una dichiarazione in cui rilevava la sua incapacità di catturare i responsabili della sparatoria.

Dal 4 febbraio tutti i punti di entrata e di uscita intorno a Gerico sono stati bloccati dai militari, mentre l’esercito ha eretto diversi posti di blocco volanti nell’area circostante perquisendo le auto e trattenendo i palestinesi in viaggio da e per Gerico.

Secondo la Palestine Prisoners Society nell’arco di dieci giorni più di 23 palestinesi sono stati arrestati ad Aqbat Jabr , compresi almeno due minori. Altri 13 palestinesi sono stati arrestati durante incursioni militari in Cisgiordania, in particolare nei distretti di Nablus e Ramallah.

La scorsa settimana l’esercito israeliano ha anche chiesto di rafforzare la sua presenza in Cisgiordania dispiegando nuovi battaglioni in varie aree.

I palestinesi entrano in sciopero generale

In seguito alle uccisioni nel campo profughi i palestinesi di Gerico hanno risposto bruciando pneumatici e protestando contro le forze israeliane intorno ai punti di ingresso della città.

Vari gruppi politici palestinesi hanno chiesto di rispondere con ulteriori reazioni agli assalti israeliani e agli attacchi contro i palestinesi in Cisgiordania e Gerusalemme. A Gerico, Ramallah, Salfit, Hebron e Nablus i palestinesi hanno dichiarato uno sciopero generale, chiudendo i negozi per tutto il giorno. Gruppi di queste località hanno anche chiesto ad altri paesi e città di osservare lo sciopero.

I consigli studenteschi di Birzeit, Gerusalemme e Hebron hanno chiesto un “giorno della rabbia” pubblico e il confronto con l’esercito israeliano ai posti di blocco militari.

La resistenza armata palestinese ha continuato a diffondersi in Cisgiordania e a Gerusalemme. Mentre la resistenza armata era inizialmente concentrata nel campo profughi di Jenin e Nablus, si è poi diffusa fino alla nascita di piccoli gruppi armati in aree come Ramallah, Tubas, Salfit, Tulkarem, Hebron e Gerico.

Il 26 gennaio le forze israeliane hanno invaso il campo profughi di Jenin e ucciso dieci palestinesi in quello che è diventato noto come il massacro del giovedì nero. Da allora sono state segnalate diverse sparatorie in vari punti del territorio occupato.

Dall’inizio dell’anno, le forze israeliane e i coloni armati hanno ucciso 41 palestinesi. Nelle prime cinque settimane del 2023 sono stati uccisi più palestinesi che in tutti i primi quattro mesi dello scorso anno, segnalando una probabile escalation della violenza nella regione.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Uomo armato uccide 7 persone in un attacco nella Gerusalemme est occupata

Redazione di Al Jazeera

27 gennaio 2023 – Al Jazeera

La sparatoria ha fatto seguito a una sanguinosa incursione israeliana nel campo profughi di Jenin, nella Cisgiordania occupata, che ha ucciso nove palestinesi.

In un’escalation di violenza dopo una sanguinosa incursione dell’esercito israeliano in Cisgiordania il giorno prima, nella Gerusalemme est occupata un uomo armato ha ucciso sette persone nei pressi di una sinagoga in una colonia israeliana prima di essere colpito a morte.

Dopo la sparatoria di venerdì il pronto soccorso di Magen David Adom [la Croce Rossa israeliana, ndt.] ha confermato che sette persone, cinque uomini e due donne, sono morte, mentre erano ancora ricoverate in ospedale altre tre sono rimaste ferite, una delle quali in condizioni gravissime.

Per quanto abbiamo capito, è arrivata un’auto davanti a una sinagoga, ne è uscito un uomo armato che ha aperto il fuoco,” ha informato James Bays di Al Jazeera dalla scena dell’attacco nell’illegale colonia israeliana di Neve Yaakov.

Il bilancio che abbiamo finora è di sette morti,” ha affermato Bays, aggiungendo che secondo la polizia il sospettato non aveva “precedenti penali”.

Il pronto soccorso ha informato di un totale di dieci vittime dell’attacco armato, tra cui una donna di 60 anni e un ragazzo di 15.

Immagini televisive mostrano sulla strada fuori dalla sinagoga varie vittime che vengono assistite da operatori del pronto soccorso.

Ho sentito molti spari,” ha detto all’agenzia di notizie AFP Matanel Almalem, uno studente diciottenne che vive nei pressi della sinagoga.

Un primo comunicato della polizia afferma che si è trattato di un “attacco terroristico a una sinagoga di Gerusalemme” e che “il terrorista che ha sparato è stato neutralizzato (ucciso)”.

In seguito la polizia ha detto che il sospettato è un ventunenne abitante di Gerusalemme est che nell’attacco avrebbe agito da solo in una zona che Israele ha annesso a Gerusalemme dopo la guerra del 1967 in Medio Oriente [la guerra dei Sei Giorni, ndt.].

[La polizia] ha affermato che [l’attentatore] ha cercato di scappare in auto, ma è stato inseguito dalla polizia e colpito a morte.

L’attacco è avvenuto un giorno dopo una sanguinosa incursione israeliana nel campo profughi di Jenin, nella Cisgiordania occupata. Sono rimasti uccisi nove palestinesi, tra cui una donna anziana, dopo che decine di soldati israeliani hanno attaccato una casa che secondo l’esercito ospitava sospetti combattenti, provocando duri scontri durati alcune ore.

Giovedì anche un ventiduenne palestinese è stato ucciso dalle forze israeliane nella città di al-Ram, a nord di Gerusalemme.

A indicare una potenziale ulteriore escalation, il ministero della Sanità palestinese ha affermato che tre palestinesi sono stati portati in ospedale dopo essere stati colpiti da un colono israeliano in un incidente nei pressi della città di Nablus, nel nord della Cisgiordania.

Ha aggiunto che è morto un sedicenne palestinese ferito da forze israeliane in un altro incidente mercoledì.

Poi i combattenti di Gaza hanno lanciato razzi e Israele ha effettuato raid aerei durante la notte, ma lo scontro è stato limitato.

Una risposta naturale”

Hazem Qassem, un portavoce di Hamas, la fazione palestinese che controlla la Striscia di Gaza, ha detto all’agenzia di notizie Reuter che l’attacco di venerdì è stato “una risposta al crimine perpetrato a Jenin dall’occupazione e una risposta naturale alle azioni criminali dell’occupazione.”

Qassam non ha rivendicato l’attacco a mano armata. Anche la Jihad Islamica palestinese ha elogiato [l’azione], ma non ha assunto la responsabilità dell’attentato.

Nell’ultimo anno le incursioni militari israeliane nella Cisgiordania occupata sono diventate quasi quotidiane, con la morte di almeno 200 combattenti e civili palestinesi. Anche civili e soldati israeliani sono stati uccisi in attacchi palestinesi in Israele e nei territori occupati.

La sparatoria di venerdì è avvenuta poche ore dopo che i palestinesi avevano sfilato con rabbia al funerale dell’ultima delle vittime uccise dai soldati israeliani il giorno precedente.

Durante tutto il giorno sono scoppiati scontri tra forze israeliane e manifestanti palestinesi nella Cisgiordania occupata, anche dopo il funerale del ventiduenne ucciso a nord di Gerusalemme. Folle di palestinesi hanno sventolato le bandiere sia di Fatah, il partito che controlla l’Autorità Nazionale Palestinese, che di Hamas. Nelle strade di al-Ram palestinesi mascherati hanno lanciato pietre e fatto scoppiare petardi contro la polizia israeliana, che ha risposto con lacrimogeni.

L’escalation di violenza è giunta pochi giorni prima della prevista visita del Segretario di Stato USA Antony Blinken in Israele e nella Cisgiordania occupata.

Gli Stati Uniti condannano nel modo più fermo l’orrendo attacco terroristico,” ha affermato Blinken in un comunicato. “Siamo in stretto contatto con i nostri partner israeliani e riaffermiamo il nostro incrollabile impegno per la sicurezza di Israele.”

Netanyahu convoca il gabinetto di sicurezza

Poco dopo l’attacco a Gerusalemme est il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, di estrema destra, ha visitato il luogo dell’attentato. “Dobbiamo reagire, la situazione non può continuare così,” ha detto.

Parlando ai giornalisti nel quartier generale della polizia nazionale israeliana, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha affermato di aver fatto una verifica riguardo alla sicurezza e deciso “azioni immediate”.

Ha detto che convocherà il gabinetto di sicurezza sabato sera, dopo la fine del Sabbath [giorno della festa settimanale per gli ebrei, ndt.], per discutere di un’ulteriore risposta. Netanyahu si è rifiutato di specificare, ma ha detto che Israele agirà con “determinazione e autocontrollo”.

Ha anche chiesto all’opinione pubblica di non farsi giustizia da sé.

Venerdì notte il presidente USA Joe Biden ha avuto un colloquio con il primo ministro israeliano, in cui ha definito le uccisioni “un attacco contro il mondo civilizzato” e offerto appoggio a Israele. Biden ha anche “sottolineato il ferreo impegno USA per la sicurezza di Israele”, ha affermato la Casa Bianca in un comunicato.

Secondo il ministero degli Esteri israeliano l’aggressione a mano armata è stata la più sanguinosa per gli israeliani dall’attacco del 2008 che uccise otto persone in una scuola religiosa ebraica.

Prima della sparatoria di venerdì finora almeno 30 palestinesi sono stati uccisi quest’anno e l’Autorità Nazionale Palestinese, che ha limitati poteri di governo in Cisgiordania, ha affermato che sospenderà l’accordo di cooperazione per la sicurezza con Israele.

Mesi di violenza nella Cisgiordania occupata hanno accresciuto le preoccupazioni che il già imprevedibile conflitto possa acuirsi vertiginosamente senza controllo, innescando ulteriore violenza da parte di Israele.

Israele e Hamas hanno combattuto quattro guerre e una serie di schermaglie minori contro Gaza da quando Hamas ha preso il potere nell’enclave costiera assediata dal 2007. Le tensioni si sono notevolmente accentuate dopo che dallo scorso marzo Israele ha moltiplicato le incursioni nella Cisgiordania occupata.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Ben Gvir entra ad Al-Aqsa: perché è considerata una provocazione?

Redazione

3 gennaio 2023 – Al Jazeera

Il ministro della sicurezza nazionale israeliano di estrema destra era stato avvertito dall’ex primo ministro israeliano che la sua mossa avrebbe scatenato la violenza

Il ministro della Sicurezza Nazionale israeliano di estrema destra, Itamar Ben-Gvir, è entrato nel complesso della moschea di Al-Aqsa nella Gerusalemme est occupata con una mossa che i palestinesi hanno definito una “provocazione deliberata”, ignorando gli avvertimenti dei politici israeliani che la sua apparizione nel luogo sacro avrebbe infiammato le tensioni.

Ben-Gvir ha detto che non “si sarebbe arreso alle minacce di Hamas” dopo che il gruppo palestinese ha avvertito che il suo ingresso nel sito martedì avrebbe oltrepassato una “linea rossa”.

Il ministro, ampiamente considerato un provocatore, ha già chiesto l’espulsione dei palestinesi .

Vediamo perché il suo ingresso nel complesso della moschea di Al-Aqsa è così controverso:

Qual è lo status di Al-Aqsa?

  • Il complesso della Moschea Al-Aqsa (noto anche come al-Haram al-Sharif per i musulmani e Monte del Tempio per gli ebrei) è un’ampia piazza cinta da mura nel cuore della Città Vecchia nella Gerusalemme Est occupata. Include la Moschea Al-Aqsa e la Cupola della Roccia.

  • È considerato sacro sia dai musulmani che dagli ebrei ed è un simbolo nazionale palestinese.

  • Una delle mura del complesso, il Muro Occidentale, chiamato anche Muro del Pianto o Muro di Buraq [dal nome del cavallo che avrebbe portato in volo il profesta, ndt.], è un luogo sacro per la preghiera ebraica. Gli ebrei pregano indisturbati sul lato del muro che si trova all’esterno del recinto.

  • Israele occupa Gerusalemme Est dal 1967. L’occupazione è illegale secondo il diritto internazionale.

  • Il complesso è stato gestito ininterrottamente da musulmani, sotto un waqf (fondazione religiosa) da centinaia di anni.

  • Il waqf, finanziato dalla Giordania, ha continuato a gestire il sito dal 1967, mentre Israele ha il controllo della sicurezza. In base a un accordo di lunga data lo status quo del sito consente solo la preghiera musulmana e le visite di non musulmani sono consentite solo in orari specifici.

Perché il sito è così importante per i palestinesi?

  • I palestinesi sono attenti a qualsiasi tentativo di cambiare lo status quo di Al-Aqsa in quanto sito dal significato sia religioso che nazionale.

  • L’aumento del numero di ebrei ultranazionalisti che entrano nel complesso e i frequenti assalti al sito da parte delle forze di sicurezza israeliane, anche all’interno della sala di preghiera della moschea di Al-Aqsa, hanno aumentato la rabbia palestinese.

  • Scontri tra le forze di sicurezza israeliane e gruppi di coloni da una parte e palestinesi dall’altra si sono verificati numerose volte negli ultimi due anni, in particolare a seguito delle incursioni [dei coloni e dell’esercito, ndt.] ad Al-Aqsa.

  • I palestinesi vedono Al-Aqsa come uno dei pochi simboli nazionali su cui conservano un certo controllo. Ma temono una lenta invasione da parte di gruppi ebraici simile a quanto accaduto alla Moschea Ibrahimi [Abramo, ndt.] (Grotta dei Patriarchi) a Hebron, dove dopo il 1967 metà della moschea è stata trasformata in una sinagoga che è stata progressivamente ingrandita.

  • I palestinesi sono anche preoccupati perché i movimenti israeliani di estrema destra cercano di demolire le strutture islamiche nel complesso della moschea di Al-Aqsa e costruire un tempio ebraico al loro posto.

Gli ebrei pregano ad Al-Aqsa?

  • Tradizionalmente, gli ebrei ultraortodossi, comprese le autorità religiose di alto livello, hanno considerato inammissibile per ragioni religiose entrare nel complesso della moschea di Al-Aqsa, tanto meno pregarvi. Questo perché considerano il sito troppo sacro perché le persone possano calpestarlo.

  • Gli ebrei ultranazionalisti hanno cercato di pregare nel complesso con sempre maggiore insistenza, nonostante sia proibito dalle autorità israeliane.

  • Lo scorso maggio, un tribunale israeliano ha confermato il divieto dopo che era stato contestato da tre giovani ebrei che avevano ricevuto un’ordinanza restrittiva dopo aver pregato sul posto.

  • Tuttavia le forze di sicurezza israeliane hanno spesso chiuso un occhio davanti alla preghiera “silenziosa” degli ebrei scortati dalla polizia ad Al-Aqsa.

Cosa vuole Ben-Gvir?

  • Ben-Gvir fa parte del movimento ideologico israeliano del “sionismo religioso” nato per cercare di riconciliare gli ebrei religiosi e il sionismo. Molti ebrei religiosi erano sospettosi delle influenze secolari del sionismo.

  • Fa anche parte di un movimento in crescita in Israele, che ha sfidato le tradizionali restrizioni ebraiche sulla preghiera ad Al-Aqsa e invece vuole incoraggiarle.

  • In quanto membro dell’estrema destra israeliana, Ben-Gvir era visto da molti politici israeliani come troppo estremista per collaborare con lui, ma il primo ministro Benjamin Netanyahu è stato costretto a cercare alleati dell’estrema destra, tra cui Ben-Gvir, quando le forze più “rispettabili” della politica israeliana gli si sono opposte.

  • La posizione di Ben-Gvir nel governo, che include il controllo sulla polizia [di frontiera, che pattuglia i territori occupati, ndt.] israeliana, evidenzia la forza del movimento “religioso sionista” che vuole mantenere ed espandere il controllo israeliano sul territorio palestinese occupato.

  • Ben-Gvir è stato condannato per istigazione razzista contro gli arabi e sostegno al “terrorismo”. Ha anche manifestato favore nei confronti di Baruch Goldstein, un israeliano americano che ha ucciso 29 palestinesi nella moschea di Ibrahimi nel 1994.

Quale sarà la reazione palestinese?

  • Il portavoce di Hamas, Hazem Qassem, ha dichiarato ad Al Jazeera che l'”assalto” di Ben-Gvir ad Al-Aqsa è stato “una continuazione dell’aggressione dell’occupazione sionista contro i nostri luoghi santi e della sua guerra alla loro identità araba”.

  • Mentre sono stati fatti appelli generici per una risposta palestinese, nessun gruppo ha ancora chiesto specificamente attacchi contro obiettivi israeliani.

  • Gli analisti ritengono che, con Netanyahu in una posizione simile, Hamas e Fatah siano interessati ad evitare uno scontro armato con Israele.

  • Tuttavia, le tensioni, nella Cisgiordania occupata in particolare, potrebbero intensificarsi, tra i continui rastrellamenti israeliani, che hanno reso il 2022 l’anno più letale per i palestinesi nel territorio dal 2006, e la crescita di nuovi gruppi armati palestinesi.

  • Lunedì il leader dell’opposizione israeliana ed ex primo ministro Yair Lapid aveva avvertito che l’ingresso programmato di Ben-Gvir nel complesso avrebbe portato a violenze, definendola una “provocazione deliberata che metterà in pericolo vite”.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Palestinese colpito a morte in Cisgiordania dopo aver ucciso degli israeliani

Redazione di AL Jazeera 

15 novembre 2022 Al Jazeera e Agenzie di stampa

Mohammad Souf, di 18 anni, ha accoltellato diversi israeliani all’ingresso industriale della colonia di Ariel nella Cisgiordania occupata.

Un palestinese ha ucciso tre israeliani e ne ha feriti altri tre in un attacco in una colonia nella Cisgiordania occupata, prima di essere colpito e ucciso da agenti della sicurezza israeliani: questo è quanto hanno riferito paramedici israeliani e funzionari palestinesi.

Il servizio paramedico Zaka ha detto che i tre feriti nell’attacco nella colonia illegale di Ariel sono stati curati in ospedale e sono in gravi condizioni.

E’ stato l’ultimo attacco di un’ondata di violenza tra israeliani e palestinesi in questo anno, che ha visto incursioni israeliane quasi quotidiane nella Cisgiordania occupata, con arresti e uccisioni di palestinesi, così come attacchi di palestinesi contro israeliani.

L’esercito israeliano ha affermato che il palestinese, identificato dal Ministero della Salute palestinese come il 18enne Mohammad Souf, prima ha attaccato gli israeliani all’entrata della zona industriale della colonia, poi ha proseguito fino ad un vicino distributore di benzina e lì ha accoltellato altre persone. L’esercito ha detto che poi l’uomo ha rubato un’auto, si è intenzionalmente scontrato con un’automobile sulla vicina strada principale ed ha colpito ed ucciso un’altra persona prima di fuggire a piedi.

Ha riferito che l’aggressore è stato colpito da un soldato e che le truppe stavano perlustrando l’area per cercare altri sospetti.

Un video amatoriale diffuso dalla televisione israeliana sembra mostrare il sospetto aggressore percorrere di corsa una strada e crollare a terra dopo essere stato colpito. Più tardi il Ministero della Salute ha dichiarato che Souf proveniva dal vicino villaggio di Hares.

Le forze israeliane hanno fatto irruzione nella casa di famiglia di Souf e, secondo organi di stampa palestinesi, hanno aggredito fisicamente membri della famiglia.

Nessuna fazione palestinese ha rivendicato la responsabilità dell’attacco, ma esso è stato acclamato da portavoce di Hamas, Jihad islamica e Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina.

In una dichiarazione il portavoce di Hamas Abdel Latif al-Qanou ha affermato che l’operazione ha dimostrato “la capacità del nostro popolo di proseguire la sua rivoluzione e difendere la Moschea di Al-Aqsa da quotidiane incursioni”.

Il FPLP, di sinistra, ha affermato che l’attacco è stato una risposta “alla politica di esecuzioni sul campo perseguita dall’occupazione israeliana e dai suoi servizi di sicurezza contro il nostro popolo, delle quali l’uccisione della ragazza palestinese Fulla Masalmeh ieri a Beitunia non sarà l’ultima.”

L’anno più sanguinoso

Il Primo Ministro israeliano uscente Yair Lapid ha inviato le condoglianze alle famiglie degli israeliani uccisi nell’attacco e ha detto che Israele “sta combattendo il terrorismo senza sosta e col massimo delle forze.”

Le nostre forze di sicurezza lavorano 24 ore al giorno per proteggere i cittadini israeliani e danneggiano senza sosta le infrastrutture del terrorismo”, ha detto.

Quest’anno l’ondata di violenza tra israeliani e palestinesi in Cisgiordania e Gerusalemme est ha fatto almeno 25 morti dalla parte israeliana e più di 130 da quella palestinese, rendendo il 2022 l’anno con più vittime dal 2006.

Israele afferma che le sue incursioni ed arresti che avvengono quasi ogni notte in Cisgiordania sono necessari per smantellare le reti armate in un momento in cui le forze di sicurezza palestinesi non sono capaci o non vogliono farlo.

L’Autorità Nazionale Palestinese afferma che le incursioni indeboliscono le sue forze di sicurezza ed hanno lo scopo di consolidare l’occupazione illegale di Israele che continua da 55 anni nei territori che i palestinesi vogliono per il loro auspicato Stato.

In queste incursioni sono state fermate centinaia di palestinesi, molti dei quali sottoposti alla cosiddetta detenzione amministrativa, che consente ad Israele di detenerli a tempo indefinito senza processo né imputazione.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Il presidente palestinese Abbas si oppone alla riforma dell’OLP e fa il gioco di Israele

Amira Hass

10 novembre 2022 – Haaretz

Mahmoud Abbas ha istituito un nuovo consiglio per rafforzare la presa sul sistema giudiziario e continua la sua tradizionale linea oppressiva rimanendo fedele agli accordi di Oslo

Due provvedimenti separati e apparentemente non correlati compiuti di recente dall’Autorità Nazionale Palestinese e dal suo leader, Mahmoud Abbas sono indicativi della natura sempre più autoritaria e autocratica del regime nelle enclaves palestinesi in Cisgiordania.

Un provvedimento ha a che fare con il sistema giudiziario palestinese e l’altro con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina: entrambi mostrano quanto l’Autorità Nazionale Palestinese rimanga fedele al ruolo essenzialmente assegnatole dagli Accordi di Oslo: mantenere uno status quo fluido e dinamico a danno dei palestinesi e al servizio degli interessi di sicurezza israeliani.

La prima decisione è il decreto presidenziale firmato da Abbas e diffuso venerdì 28 ottobre che annuncia l’istituzione di un “Consiglio supremo degli organi e delle agenzie giudiziarie”. A capo di questo consiglio, il cui scopo dichiarato è discutere i disegni di legge relativi al sistema giudiziario, risolvere questioni amministrative correlate e sovrintendere al sistema giudiziario, non sarà altro che il presidente dell’ANP Abbas, che è anche presidente dell’OLP e di Fatah.

Gli altri membri sono i presidenti e i capi della Corte costituzionale, della Corte Suprema, della Corte di Cassazione, dell’Alta Corte per le questioni amministrative, dei tribunali delle forze di sicurezza e del tribunale della Sharia. Del consiglio faranno parte anche il Ministro della Giustizia, il procuratore generale e il consulente legale del presidente. È previsto che si incontri una volta al mese.

Esperti legali palestinesi e organizzazioni per i diritti umani hanno annunciato la loro ferma opposizione a questo nuovo consiglio supremo, affermando che contraddice il principio di separazione dei poteri – legislativo, giudiziario ed esecutivo – e viola diverse sezioni della Costituzione palestinese e le convenzioni internazionali di cui l’ANP è firmataria.

In diverse interviste ai media esperti e organizzazioni affermano che questa è l’ultima di una serie di decisioni che hanno trasferito l’autorità legislativa al ramo esecutivo e al suo capo, violando anche l’indipendenza del sistema giudiziario e subordinandolo ad Abbas e ai suoi compari.

Poco dopo la vittoria di Hamas alle elezioni palestinesi del 2006, Abbas e Fatah hanno impedito al Consiglio legislativo palestinese di riunirsi regolarmente e svolgere il proprio lavoro. In un primo momento hanno attribuito la colpa agli arresti israeliani di numerosi membri eletti di Hamas, nonché all’assenza del quorum necessario per promulgare la legislazione.

Dopo la breve guerra civile scoppiata a Gaza nel giugno 2007 tra Hamas e Fatah e la divisione dell’autogoverno palestinese tra le due regioni [Gaza e Cisgiordania, ndt.] e le due organizzazioni, il parlamento palestinese ha ufficialmente cessato di funzionare. Tuttavia i rappresentanti di Hamas a Gaza hanno continuato e continuano a riunirsi come consiglio legislativo e approvare leggi che si applicano solo a Gaza.

In Cisgiordania, invece, la “legislazione” si realizza tramite decreti presidenziali. Negli ultimi 15 anni Abbas ha firmato circa 350 decreti presidenziali, molto più degli 80 atti legislativi che sono stati discussi e promulgati dal primo consiglio legislativo durante il suo decennio di esistenza nel 1996-2006.

Abbas si basa su un’interpretazione molto ampia dell’articolo 43 della Costituzione palestinese emendata del 2003 che conferisce a un decreto presidenziale il potere di legge solo “in casi di necessità che non possono essere ritardati e quando il Consiglio legislativo non è in sessione”.

Fino al 2018, alcuni parlamentari in Cisgiordania hanno continuato a incontrarsi in modo non ufficiale e hanno tentato di essere coinvolti nelle discussioni sui “disegni di legge” in discussione al governo e di rappresentare l’opinione pubblica davanti alle autorità. Ma quell’anno, su ordine di Abbas, la Corte costituzionale ha stabilito che il Consiglio legislativo dovesse essere sciolto, nonostante la Costituzione preveda che il suo mandato termini solo quando si terranno nuove elezioni.

Secondo la Costituzione in caso di morte del presidente dell’ANP questi deve essere sostituito dal presidente del parlamento. Questa posizione era ricoperta dal rappresentante di Hamas Aziz Dweik di Hebron. L’opinione generale era che, sciogliendo il parlamento, Abbas e i suoi alleati stessero cercando di contrastare preventivamente un simile scenario. Anche se la Corte Costituzionale aveva ordinato all’epoca di tenere nuove elezioni entro sei mesi, Abbas e i suoi fedeli sono riusciti a rinviarla ripetutamente.

Nel frattempo, durante questo periodo Abbas ha anche aumentato il suo coinvolgimento nel processo di nomine giudiziarie, cercando di garantire la lealtà dei giudici a sé e a Fatah. Inoltre il ramo esecutivo, da lui controllato, spesso non si attiene alle sentenze indipendenti dei giudici, come gli ordini di rilasciare le persone detenute senza processo o gli ordini di riprendere il pagamento degli stipendi e delle varie indennità ai rivali politici di Abbas.

Il Ministro della Giustizia palestinese Mohammed al-Shalaldeh ha promesso che il nuovo Consiglio Supremo del sistema giudiziario non intende violare l’indipendenza del sistema. Ma l’esperienza dell’Egitto – che evidentemente ha ispirato gli autori del decreto presidenziale palestinese – indica che è vero il contrario.

Un consiglio supremo che sovrintende al sistema giudiziario egiziano è stato istituito dal presidente Gamal Abdel Nasser nel 1969. Nel primo decennio di questo secolo, grazie agli sforzi delle organizzazioni per i diritti umani e dei giuristi, il suo potere è stato ridimensionato, ma l’attuale presidente egiziano Abdel -Fattah al-Sissi gli ha conferito un’autorità più ampia e invasiva rispetto al passato.

In una conversazione con Haaretz, avvocati indipendenti hanno ipotizzato che uno dei motivi per l’istituzione di questo consiglio è contrastare la possibile opposizione legale – tramite la Corte costituzionale – all’incoronazione di Hussein al-Sheikh come prossimo presidente dell’ANP. Al-Sheikh, figlio di una famiglia di rifugiati che ha acquisito ricchezza nel corso degli anni come proprietaria di varie imprese e società a Ramallah, è uno dei funzionari di Fatah più vicini ad Abbas – e anche a Israele.

Per quasi 15 anni è stato a capo del Ministero degli affari civili palestinese, che è subordinato e coordinato alla politica del COGAT, l’organismo che coordina le attività di governo del ministero della Difesa israeliano nei territori, e ha svolto il ruolo di collegamento con i funzionari israeliani. A maggio, Abbas lo ha nominato segretario generale del Comitato Esecutivo dell’OLP al posto del defunto Saeb Erekat; da questa posizione dirige anche il dipartimento dei negoziati dell’OLP. Molti palestinesi ritengono che la sua nomina a prossimo presidente dell’ANP sarebbe molto gradita a Israele.

La seconda misura adottata di recente dall’Autorità Palestinese è stata quella di impedire che si tenesse a Ramallah la Conferenza Popolare Palestinese – 14 milioni (chiamata così per il numero di palestinesi nel mondo). L’idea alla base della conferenza era quella di riformare l’OLP, inizialmente tenendo un’elezione pan-palestinese in cui i palestinesi di tutta la diaspora e in tutto il territorio tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo potessero votare per il Consiglio nazionale palestinese, il parlamento dell’OLP. Il convegno si sarebbe dovuto tenere il 5 novembre presso la Cultural Hall di Ramallah, in Giordania e in diverse città in Europa e Sud America.

Gli organizzatori affermano che l’OLP, l’organizzazione che dovrebbe rappresentare i palestinesi in tutto il mondo ed essere la fonte della autorità politica e identità nazionale, è stata essenzialmente inghiottita dall’Autorità Nazionale Palestinese, dalla presidenza di Abbas e dal movimento Fatah. Il suo finanziamento dipende dall’Autorità Palestinese, le sue istituzioni sono state svuotate e Abbas controlla le date dei suoi incontri e la nomina dei suoi rappresentanti.

Gli organizzatori della Conferenza dei 14 milioni sono contrari agli Accordi di Oslo (“una seconda Nakba”, la chiamano alcuni) e sono del parere che solo un’OLP ricostruita e democratica “che non operi come subappaltatore per Israele” possa e debba sviluppare una strategia per combattere l’apartheid e il colonialismo israeliani e quindi servire come fonte di speranza per il popolo [palestinese]. Gli organizzatori sono ancora oggi associati ai vari gruppi palestinesi che compongono l’OLP – da Fatah alle organizzazioni di sinistra – o lo sono stati in passato, mentre alcuni sono indipendenti.

Ma all’inizio della scorsa settimana gli organizzatori della conferenza sono stati sorpresi quando sono stati informati dal Comune di Ramallah che le agenzie di sicurezza palestinesi avevano proibito alla conferenza di procedere. Hanno anche vietato al comune di El Bireh di assegnare una sala agli organizzatori allo scopo di tenere una conferenza stampa.

Nonostante gli ostacoli, gli organizzatori hanno deciso che la conferenza si sarebbe svolta come previsto tramite Zoom e Facebook e che i rappresentanti a Ramallah avrebbero parlato dagli uffici della Coalizione popolare palestinese, un’organizzazione relativamente nuova di attivisti politici di cui molti di lunga data. Sabato mattina le forze di sicurezza [dell’ANP], alcune in abiti civili, sono state dispiegate in gran numero accanto all’edificio dove sono ospitati gli uffici della conferenza, hanno avvertito le persone di non entrare e hanno arrestato l’attivista veterano Omar Assaf e lo hanno trattenuto per diverse ore.

Tuttavia vari relatori hanno potuto pronunciare i loro discorsi tramite Facebook, e hanno scelto di evidenziare diversi punti: aspre critiche all’Autorità Nazionale Palestinese e al coordinamento della sicurezza con Israele; un appello all’azione sulla base della Carta nazionale palestinese del 1968, di cui sono state annullate alcune parti negli anni ’90 a seguito delle pressioni israeliane e statunitensi e la richiesta di adempimento del diritto al ritorno. Ciò che tutti avevano in comune era l’enfasi posta sull’importanza delle elezioni generali democratiche per creare una leadership eletta e rappresentativa per l’intero popolo palestinese: nella Palestina storica su entrambi i lati della Linea Verde e in tutta la diaspora.

L’idea di indire un’elezione diretta per un parlamento panpalestinese nel quadro dell’OLP è stata suggerita per oltre un decennio da attivisti palestinesi in varie organizzazioni in tutto il mondo; gli organizzatori della conferenza hanno sottolineato di aver integrato diverse proposte simili che l’OLP sotto il controllo di Abbas ha costantemente ignorato.

A ulteriore riprova di quanto Abbas e i suoi seguaci siano contrari all’iniziativa di rianimare l’OLP, martedì mattina le forze di sicurezza palestinesi hanno fatto irruzione negli uffici di Ramallah del Bisan Center for Research and Development (una delle ONG che Israele ha dichiarato organizzazione terroristica) e hanno interrotto la conferenza stampa che stavano tenendo gli organizzatori della conferenza.

In questa fase il ripristino dell’OLP come fonte di autorità e potere decisionale sembra difficilmente realizzabile. Non è inoltre chiaro quanto sostegno riceverà l’iniziativa da i giovani che non hanno mai conosciuto l’OLP come quell’organizzazione un tempo percepita dai profughi palestinesi come casa politica e nazionale e motivo di orgoglio. Inoltre è ancora troppo presto per capire come e se Hamas e la Jihad islamica saranno incluse nel processo.

Tuttavia i giovani potrebbero essere entusiasti della prospettiva di indire elezioni generali per un’organizzazione panpalestinese che trascenda i confini di Gaza e della Cisgiordania. Gli organizzatori affermano apertamente che l’attuale leadership non eletta e antidemocratica non è un vero organo rappresentativo ed è incapace di affrontare i pericoli posti dalla politica israeliana.

Le azioni intraprese per sopprimere questa iniziativa tradiscono il timore dell’attuale leadership impopolare di qualsiasi discorso sulle elezioni, per non parlare del loro svolgimento, e sottolineano la riluttanza ad ammettere che gli accordi di Oslo hanno solo peggiorato la situazione dei palestinesi. Le sue azioni mostrano anche quanto questa leadership sia decisa a mantenere i vantaggi materiali e lo status che ha acquisito per sé e per i suoi circoli interni.

L’iniziativa per ricostruire l’OLP aspira a superare la spaccatura nella geografia, nella società e nella politica palestinese. Questa divisione è anche uno dei risultati politici più importanti della politica israeliana degli ultimi 30 anni. Le azioni oppressive dell’Autorità Nazionale Palestinese stanno aiutando direttamente a preservare questo risultato a favore di Israele.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Riconciliazione palestinese: scena uno, ripresa 10

Amira Abo el-Fetouh

17 ottobre 2022 – Middle East Monitor

Nessuno sano di mente potrebbe rifiutare la riconciliazione tra due parti, soprattutto se le parti in causa provengono dalla stessa terra. Eppure è altrettanto difficile capire come sia possibile la riconciliazione tra due parti opposte, ognuna delle quali va in direzione contraria all’altra, benché entrambe desiderino che l’Onnipotente cambi il corso della parte che va contro la storia, la geografia e la religione, in modo che ci possa essere un punto d’incontro. Allora, e solo allora, la riconciliazione sarebbe possibile e vincolante per entrambe le parti.

Dico questo in occasione dello sforzo dell’Algeria di sostenere la riconciliazione palestinese. Il governo di Algeri ha appena ospitato 16 fazioni palestinesi, le due principali senza i più importanti dirigenti e le altre con funzione solo decorativa sulla scena palestinese. L’incontro è terminato con la firma della cosiddetta Dichiarazione di Algeri per la Riconciliazione Intra-palestinese, alla presenza del Presidente dell’Algeria Abdelmadjid Tebboune e di alti funzionari statali militari e civili, nonché di ambasciatori. In particolare erano assenti il capo dell’Autorità Nazionale Palestinese e di Fatah, Mahmoud Abbas, il capo di Hamas Ismail Haniyeh ed il suo predecessore Khaled Meshaal. Se loro non erano presenti alla cerimonia della firma, si tratta di un accordo serio?

Non c’è dubbio che la scelta della dirigenza algerina del Centro Internazionale di Conferenze per celebrare la cerimonia sia stata intelligente, in quanto esso riveste uno speciale simbolismo. Fu in quella stessa sala che il Presidente Yasser Arafat annunciò la creazione dello Stato di Palestina.

La Dichiarazione di Algeri comprende una ‘tabella di marcia’ spaziale e temporale, che inizia con l’invito a tenere elezioni presidenziali e legislative in Cisgiordania, Striscia di Gaza e Gerusalemme entro un anno dalla firma dell’accordo; l’unificazione delle istituzioni nazionali palestinesi; la condivisione di sforzi e risorse per i progetti di ricostruzione; il rinnovamento delle infrastrutture e delle strutture sociali del popolo palestinese in modo tale da sostenere la sua risolutezza nel combattere l’occupazione israeliana. C’è anche un piano di prosecuzione e attuazione dell’accordo, con la supervisione di una squadra araba sotto la direzione algerina.

Certamente oggi più che mai i palestinesi hanno bisogno di una riconciliazione, in quanto stanno affrontando gravi sfide. L’unità palestinese è necessaria contro il complotto di Israele e di alcuni regimi arabi per liquidare la causa palestinese e per contrastare la normalizzazione araba con Israele prima che essa si espanda e coinvolga l’intero mondo arabo.

Non è ancora chiaro quale ruolo possa giocare l’Algeria nel mettere in pratica questo accordo, né se esso contribuirà a creare un clima ed un ambiente favorevole alla fine della divisione. Non c’è dubbio che questo pone una grande responsabilità in capo all’Algeria e fornisce una qualche copertura araba alla causa palestinese, in un momento in cui la popolazione della Palestina occupata è sotto forte pressione israeliana, che coincide con il processo di normalizzazione.

Questo accordo avrà successo laddove parecchi altri accordi firmati al Cairo, alla Mecca, a Mosca e a Beirut sono falliti?

Un elemento comune tra tutte le smancerie politiche e le paroline dolci è l’annuncio delle elezioni presidenziali e legislative, che in realtà non si svolgono mai. È come se la riconciliazione palestinese dipendesse dalle elezioni, ma la realtà è che probabilmente esse creerebbero ancor maggiore divisione piuttosto che riconciliazione.

Personalmente non penso che coloro che hanno firmato la Dichiarazione di Algeri credano che porterà ad alcunché di positivo; accordi simili sono stati già firmati e presto dimenticati. Non c’è nulla di nuovo che sia stato concordato ad Algeri che suggerisca che vi è una seria intenzione di mettere in atto i termini della dichiarazione.

Questo deve essere molto frustrante per il popolo palestinese che soffre dai tempi del violento conflitto tra i due principali firmatari a Gaza nel 2007. Perciò qualcuno crede davvero che quest’ultima dichiarazione porterà da qualche parte e cambierà la realtà sul campo nella Palestina occupata?

Per capire perché tutti i precedenti accordi di riconciliazione tra le due principali fazioni, Fatah e Hamas, sono falliti, dobbiamo porci una ovvia domanda: qual è la base per la riconciliazione tra le due fazioni ideologicamente opposte? Hamas crede nella resistenza per liberare la Palestina dal fiume (Giordano) al mare (Mediterraneo), mentre Fatah ha deviato da questa strada, vendendo al mercato degli schiavi degli Accordi di Oslo il sangue di migliaia di eroi che hanno sacrificato la propria vita per la Palestina.

Il movimento Fatah che ha negoziato a Madrid e Oslo e ne subisce gli amari frutti non è lo stesso Fatah che è stato creato sulla base della lotta, della resistenza e della liberazione. I suoi fondatori si sono trasformati in un movimento che criminalizza la resistenza. È una triste ironia e una fine ingloriosa per un grande movimento di liberazione. Eravamo abituati ad essere orgogliosi dell’eroismo dei suoi ‘feddain’ ed a rispettare i suoi leader, ma la leadership è cambiata ed è caduta tra le grinfie dei sionisti e della loro pericolosa ideologia.

Fin da quando il 13 settembre 1993 l’OLP firmò con il nemico sionista gli Accordi di Oslo, in base ai quali Israele venne riconosciuto e la clausola relativa alla lotta armata per liberare la Palestina dal fiume al mare fu stralciata dalla Carta Nazionale, il popolo palestinese è stato perduto. Tutto ciò che ha ottenuto da Oslo è la perdita di più terra e più sangue. Intanto Israele, sotto l’ombrello del cosiddetto processo di pace, ha avuto ciò che non poteva ottenere con la guerra: altra terra storica della Palestina per costruire colonie illegali e l’uccisione e l’arresto di ancor più palestinesi. Il tutto con la collaborazione degli “uomini di Oslo”. Il compito principale delle forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese è proteggere le colonie e i coloni illegali di Israele e sopprimere la resistenza palestinese.

Quindi di quale riconciliazione stanno parlando i firmatari della Dichiarazione di Algeri? Il documento si aggiungerà al lungo elenco di altri accordi che l’hanno preceduto: un accordo in più da aggiungere all’elenco di quelli che non sono stati applicati. Riconciliazione palestinese: scena uno, ripresa 10… e continuiamo a contare.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)