Intervista a Khaled Meshaal: l’alto dirigente sostiene che ora è Hamas a guidare la lotta palestinese

David Hearst

25 maggio 2021 – MIDDLE EAST EYE

Parlando a MEE Meshaal chiede a tutti i palestinesi di unirsi in una “rivolta totale” contro l’occupazione israeliana

Hamas è ora alla guida del popolo palestinese perché il ruolo principale di una leadership durante l’occupazione è condurre i palestinesi verso la libertà e la liberazione, ha detto a Middle East Eye Khaled Meshaal, capo dell’organizzazione nella diaspora.

Nella prima intervista in inglese del gruppo militante dal momento del cessate il fuoco con Israele di venerdì scorso, Meshaal invita ad una rivolta totale in “tutte le località” del territorio storico della Palestina: Gerusalemme e la Città Vecchia, la Cisgiordania e l’interno dello stesso Israele.

L’anziano dirigente, alla guida dell’ufficio politico di Hamas fino al 2017, afferma inoltre che il movimento sarebbe pronto a discutere con gli Stati Uniti.

Dice che è strano che l’amministrazione del presidente Joe Biden continui a parlare con i talebani, che hanno combattuto attivamente le truppe statunitensi in Afghanistan per quasi due decenni, e si rifiuti di parlare con Hamas, che non è impegnata a combattere gli Stati Uniti ma dal 1997 è ritenuta da Washington un’organizzazione terroristica.

In un messaggio diretto a Biden Meshaal ha aggiunto: Non vi consideriamo nostri nemici, anche se ci opponiamo a molte delle vostre politiche di parte a favore di Israele e contro i nostri interessi arabi e islamici. Ma non vi combattiamo. Quindi siamo pronti a comunicare con qualsiasi partito senza condizioni.”

Ma avverte che Hamas non sarebbe disposta a cambiare la sua posizione su Israele. “Non importa quanto tempo ci vorrà, questo è il mio messaggio a Biden, agli Stati Uniti e a tutti gli Stati occidentali che continuano a inserire Hamas nelle liste del terrorismo. Dico loro: non importa quanto tempo ci vorrà, Hamas non soccomberà alle vostre condizioni “

Meshaal sostiene che i Paesi arabi che hanno normalizzato le relazioni con Israele non solo hanno pugnalato alle spalle i palestinesi, ma hanno anche danneggiato i loro interessi rischiando di provocare una rivolta popolare.

“Ciò che sperano di ottenere da Israele è un’illusione e una fantasia”, avverte Meshaal. “Anche se non si vergognano, hanno prospettive molto limitate perché l’opinione pubblica sarà contro di loro”.

Hamas ha verificato un aumento del sostegno popolare in Palestina in seguito della sua decisione di lanciare razzi contro Israele in risposta alle aggressioni israeliane alla moschea di al-Aqsa e ai residenti di Sheikh Jarrah.

Tale sostegno viene da aree al di fuori del suo controllo tradizionale dove i suoi membri sono stati sottoposti a ripetuti arresti, ma dalla Cisgiordania e tra i cittadini palestinesi di Israele.

Alla domanda se ritenga che Mahmoud Abbas possegga ancora una qualche autorevolezza come presidente palestinese dopo l’ultimo round di combattimenti, Meshaal ha risposto: Non escludiamo nessuno e non disconosciamo il ruolo di nessuno.

Tuttavia, indubbiamente tutti hanno notato che le credenziali di Hamas e il suo status nella leadership palestinese si sono rafforzati poichè ha guidato la lotta nelle ultime fasi e specialmente in quella attuale”.

Per la prima volta in molti anni le bandiere di Hamas sono state viste sventolare accanto a quelle di Fatah in manifestazioni e proteste a Nablus, e venerdì un imam che si era rifiutato di menzionare Gaza nel suo sermone settimanale ad al-Aqsa è stato costretto a lasciare la moschea a causa della rabbia dei fedeli.

A Gerusalemme e a Umm al Fahm, nel nord di Israele, i manifestanti hanno gridato il nome di Mohamed ad-Deif, il capo dell’ala militare di Hamas, le Brigate al-Qassam, che Israele ha cercato di uccidere durante il recente conflitto.

Meshaal afferma che la funzione primaria della leadership in queste condizioni sia la lotta e la resistenza, e la guida dei palestinesi verso la libertà e la liberazione.

Le elezioni non sono l’unica opzione

Solo poche settimane prima che scoppiassero i combattimenti, Hamas era propenso a contestare le elezioni insieme a Fatah e ad altre fazioni palestinesi prima che le stesse fossero rinviate da Abbas.

Meshaal sostiene che Hamas ha fiducia in se stesso e che sia comunque pronto a presentarsi al ballottaggio, ma che le elezioni non rappresentino l’unica opzione.

Hamas non ha paura di proporsi alla sua gente tramite le urne. Forse altri hanno paura”, ha detto, con un’evidente stoccata ad Abbas.

Ma ha proseguito: Eppure, ancora una volta, le elezioni sono l’unica opzione? È l’unico strumento del sistema di riconciliazione ed in grado di rimettere ordine in casa palestinese? No.”

Meshaal afferma che i palestinesi sono un unico popolo con un’unica causa e invita ad una “rivolta totale in tutti i luoghi”.

A Gerusalemme, dove incombe la minaccia su al-Aqsa, su Sheikh Jarrah, sulla Città Vecchia e su tutta Gerusalemme; in Cisgiordania, dove sono presenti l’occupazione, gli insediamenti coloniali, la scissione dei legami e la confisca di terre; e nella Palestina del 1948, dove vige la discriminazione razziale, i tentativi di espellere e bandire il nostro popolo coll’uso di norme giuridiche; anche la resistenza di Gaza; fino alla diaspora. Tutti sono partecipi della responsabilità della liberazione”.

Mentre Meshaal parlava, i coloni israeliani, sostenuti dalla polizia, prendevano ancora una volta d’assalto al Aqsa.

Alla domanda su cosa abbia indotto Hamas a lanciare nuovamente razzi, Meshaal ha affermato che il cessate il fuoco non era condizionato solo alla cessazione degli attacchi israeliani a Gaza, ma alla fine delle incursioni delle forze di sicurezza israeliane ad al-Aqsa e alla fine dello sfollamento degli abitanti palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah e di Gerusalemme Est.

La battaglia è scoppiata per questi motivi. A tali condizioni cesserà iI lancio da Gaza dei razzi della resistenza”, ha detto.

Tuttavia ha proseguito affermando come ogni area sotto occupazione possa scegliere la propria forma di resistenza.

“Non esiste una formula che vada bene per tutti e nello stesso momento.”

Israele “sta pagando un prezzo”

Meshaal sostiene che l’ultimo conflitto abbia evidenziato il ruolo dei palestinesi che vivono all’interno dei confini della Palestina del 1948.

“Hanno inviato il messaggio che siamo del tutto parte di questo popolo e che vengono in aiuto di al-Aqsa, del quartiere di Sheikh Jarrah e di Gaza proprio come fa ogni altro palestinese che viene in aiuto dell’altro fratello”, dice.

Aggiunge che Israele stia anche pagando il prezzo delle politiche razziste e delle violazioni dei diritti dei suoi cittadini palestinesi, tanto da mettere a nudo la “fragilità” del suo Stato.

È diventato evidente a tutte le comunità palestinesi, arabe e islamiche e alle persone libere di tutto il mondo che Israele sta contando i suoi giorni e che questa occupazione, gli insediamenti, il colonialismo, non hanno futuro nella regione”.

MEE ha chiesto a Meshaal di spiegare in che modo Hamas sia passato da una posizione di contestazione delle elezioni, anche mentre centinaia dei suoi membri venivano arrestati in Cisgiordania, al lancio dei razzi.

In quel momento c’era un acceso dibattito all’interno di Hamas sull’opportunità di contestare le elezioni, dal momento che non sarebbe stato in grado di agire liberamente come partito politico. Alla fine le elezioni sono state rinviate, molti credono annullate, da Abbas che ha usato come scusa il rifiuto di Israele di consentire ai gerosolimitani di votare.

Meshaal ha confermato che c’è stato un “dibattito interno” sull’opportunità di candidarsi alle elezioni in Cisgiordania. Ma ha insistito sul fatto che il principio riguardante la sua candidatura alle elezioni non fosse in discussione.

Spiegando il passaggio dalle urne ai razzi, Meshaal dice che la decisione di annullare le elezioni abbia creato “rabbia e frustrazione” e un senso di stupore: “Perché questo passo?”

Poi sono arrivate le violenze ad al-Aqsa contro fedeli e manifestanti e la minaccia di sfollamento degli abitanti dalle loro case a Sheikh Jarrah.

Accusa Israele di aver iniziato l’aggressione. Afferma che Hamas aveva avvertito Israele, in modo che Israele non fosse sorpreso dal lancio di razzi.

“Quando hanno assalito la moschea di al-Aqsa alla fine del Ramadan la resistenza è stata costretta a rispondere … e la battaglia è iniziata”, prosegue Meshaal.

Sostiene che non c’è contraddizione tra impegnarsi nella battaglia politica attraverso elezioni e alleanze sostenendo la causa e mobilitandosi in suo favore nei forum internazionali, e impegnarsi in combattimenti. Le due battaglie sono collegate fra loro“.

Alla domanda su chi abbia preso la decisione di lanciare i razzi, Meshaal risponde che il movimento ha un’unica leadership, ma ogni singola parte prende le sue decisioni personali.

“Quando la dirigenza di al-Qassam prende una decisione su come portare avanti la lotta decide in conformità con la strategia e l’orientamento comune del movimento. Lo stesso vale per coloro che lavorano nel campo della mobilitazione di massa o delle relazioni politiche. Queste sono decisioni complesse prese di volta in volta durante i percorsi di lavoro. Derivano dalla risoluzione stabilita a livello centrale dalla leadership del movimento”.

Reciprocità di interessi” con l’Egitto

Meshaal riserva parole gentili per l’Egitto, nonostante il presidente Abdel Fatteh el-Sisi abbia organizzato un colpo di stato militare contro il presidente eletto Mohamed Morsi sostenuto dai Fratelli Musulmani e abbia massacrato i suoi sostenitori a Rabaa, oltre ad aver rafforzato l’assedio di Gaza distruggendo i tunnel di Hamas e la parte egiziana del valico di confine di Rafah.

Meshaal dice che il ruolo dell’Egitto negli affari palestinesi è fondamentale, anche se ci sono stati disaccordi.

La reciprocità degli interessi richiede che entrambe le parti lavorino insieme e possano prevedere dei ruoli sui quali concordare e collaborare nonostante le differenti opinioni, come lei ha detto, sulla questione della Fratellanza o altro”.

“Noi di Hamas, sebbene siamo una parte essenziale della Fratellanza, costituiamo un movimento di resistenza e non interferiamo negli affari degli altri, trattando con i Paesi islamici, e con gli altri, in base alla nostra causa e ai relativi interessi, senza interferenze reciproche negli affari di ognuno.

“Pertanto, accogliamo con favore il ruolo egiziano così come accogliamo con favore i ruoli di tutti gli Stati arabi e islamici o di qualsiasi Paese del mondo fintanto che sia inteso a servire il nostro popolo fermando l’aggressione contro di esso e assecondando la sua determinazione”.

Il leader anziano di Hamas ha affermato che gli stati arabi hanno la responsabilità di elaborare una nuova strategia per recuperare la Palestina, Gerusalemme e al-Aqsa e porre fine all’occupazione.

Credo che tutti abbiano capito l’inutilità dei negoziati, l’inutilità del processo di pace e degli accordi di pace con Israele e l’inutilità della normalizzazione. Coloro che avevano visto Israele come parte naturale della regione si sono sbagliati. Alcuni pensavano di poter trarre vantaggio da Israele nel confronto con i loro diversi nemici.

“Tutti sono ormai certi che Israele costituisca il vero nemico della regione e che Israele sia un’entità fragile e che possiamo sconfiggerlo invece di lamentarci delle sue politiche”.

Sostiene che l’Egitto sia scontento delle politiche israeliane nei confronti della Diga del Rinascimento in Etiopia, che il Cairo vede come una minaccia alla sicurezza nazionale. Di certo l’Egitto è scontento delle notizie sui presunti piani israeliani di scavare un canale navigabile alternativo al Canale di Suez.

“Pertanto, invece di sentirci impotenti riguardo alle violazioni e ai piani di Israele, questa è un’opportunità … la resistenza in Palestina e questa grande rivolta del nostro popolo sta dicendo agli arabi, ‘Gente, siamo una sola Ummah [termine arabo che designa la comunità dei fedeli dell’Islam, ndtr.], abbiamo gli stessi interessi, quindi partiamo da questo risultato.’

“Combattiamo un’unica battaglia, non solo per salvare e rivendicare la Palestina, ma anche per proteggere l’intera Ummah”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Israele vanifica la distinzione tra civili e militari

Muhammad Ali Khalidi – 24 maggio 2021

Institute for Palestine Studies

Basta un’occhiata alle cifre delle vittime civili durante l’offensiva israeliana su Gaza per rendersi conto del numero terribilmente sproporzionato di civili palestinesi uccisi o feriti rispetto al numero dei militanti. Secondo i dati preliminari, a Gaza gli attacchi aerei e di artiglieria israeliani hanno ucciso 248 persone di cui almeno 66 bambini (il 27% di tutti i decessi), facendo 1.900 feriti. Il 16 maggio in un unico attacco Israele ha distrutto quattro case uccidendo 42 civili, seppellendo gli abitanti sotto le macerie.

L’elevata percentuale di vittime civili è una caratteristica degli attacchi militari israeliani sia sul fronte palestinese che su quello libanese. Nel 2014 l’assalto israeliano a Gaza ha provocato un totale di 2.189 morti, di cui 1.486 civili (68%) e circa 360 bambini sotto i 12 anni (16% del totale). Negli attentati del 2008-2009 sono stati uccisi ben 1.419 palestinesi, di cui 1.167 civili (82%) e 318 bambini (il 22% di tutte le vittime). Nella guerra del 2006 in Libano sono stati uccisi dall’esercito israeliano circa 1.200 civili libanesi (circa il 96% del totale).

I principali media hanno dato le vittime civili palestinesi come semplici incidenti e deplorevoli danni collaterali di una campagna israeliana diretta precisamente contro i militanti di Hamas. Ma è una forzatura credere che Israele, con una delle macchine militari tecnologicamente più avanzate che il mondo abbia mai visto possa essere così incapace ad evitare di causare danni ai civili. Data la pubblicità negativa associata all’infliggere morte e ferite a una popolazione civile disarmata, cosa c’è dietro il numero elevato e enormemente sproporzionato di vittime civili palestinesi?

Una risposta parziale si trova in uno stupefacente articolo pubblicato nel 2005 su una rivista accademica dall’ex capo dell’intelligence militare israeliana, Amos Yadlin, e da un professore israeliano, Asa Kasher. Il documento delineava l’ “etica militare” che dovrebbe guidare la guerra di Israele al “terrore”. Gli autori spiegavano il loro rifiuto del “principio di distinzione” del diritto internazionale, che richiede alle parti in conflitto di distinguere tra combattenti e non, e di adottare tutte le misure necessarie per evitare danni ai non combattenti.

Secondo Michael Walzer, una delle maggiori autorità in materia di etica militare (e talvolta difensore delle azioni militari israeliane), il principio di distinzione afferma che gli eserciti dovrebbero fare attenzione a evitare danni ai non combattenti dell’altra parte, anche a rischio dei propri militari. Come dice Walzer, “se salvare vite di civili significa rischiare la vita di soldati, il rischio dev’essere accettato.” (Walzer, Just and Unjust Wars, p. 156).

Ma Kasher e Yadlin ignorano tale principio. A loro avviso, la sicurezza dei loro soldati dovrebbe avere la meglio sulla sicurezza dei civili dall’altra parte. Scrivono: “Se lo Stato non ha controllo effettivo sulle adiacenze, non deve assumersi la responsabilità del fatto che le persone coinvolte nel terrorismo operino in prossimità di persone che non lo sono” (p. 18). Ma anche se si accetta che i civili “operino” nelle adiacenze dei combattenti, ciò non esonera i militari dall’adottare tutte le misure per evitare di danneggiarli. Questo tentativo di giustificazione è moralmente e legalmente inaccettabile.

Gli apologeti di Israele affermano regolarmente che le vittime civili sono giustificate dal presunto uso di scudi umani da parte di Hamas. Ma il Rapporto Goldstone delle Nazioni Unite non ha trovato prove dell’uso di scudi umani da parte di Hamas a Gaza nel 2009. Invece è stato ampiamente documentato l’uso di scudi umani palestinesi da parte di Israele in precedenti attacchi a Gaza, nel Rapporto Goldstone, da Amira Hass su Haaretz e da Clancy Chassay sul Guardian. In effetti, la Corte Suprema israeliana ha riscontrato come l’esercito israeliano abbia usato palestinesi come scudi umani in 1.200 occasioni nei cinque anni precedenti al 2014. Per citare solo un caso, durante l’invasione di Gaza del 2008-2009 due soldati israeliani hanno ordinato a un ragazzo di nove anni, puntandogli il fucile, di aprire una borsa che sospettavano fosse una trappola esplosiva.

Ci sono numerose prove di come questa deviazione dalle regole di guerra da parte dell’ex capo dell’intelligence militare israeliana e del suo coautore non sia solo un esercizio accademico o un proclama teorico. È stata indubitabilmente trasmessa agli alti ufficiali militari, ai comandanti di medio livello e alla base. Ora fa parte della dottrina militare israeliana, corroborata da numerose dichiarazioni e interviste.

Per quel che riguarda il personale militare superiore, il concetto di fondo è stato chiaramente articolato nel 2006 in riferimento al Libano dal generale israeliano Gadi Eisenkot, allora capo del Comando Settentrionale dell’esercito israeliano e in seguito Capo di Stato Maggiore dell’esercito israeliano. Ha affermato che i militari israeliani avrebbero esercitato una forza sproporzionata sulle aree civili considerando tali aree basi militari. Divenne nota come “Dottrina Dahiya” (dal sobborgo meridionale di Beirut) ed Eisenkot segnalò che si trattava di un piano “autorizzato”.

I rapporti di organizzazioni come il Comitato Pubblico contro la Tortura in Israele e Breaking the Silence [organizzazione di soldati veterani che espongono al pubblico israeliano la realtà dei Territori occupati, ndtr.] da dieci anni confermano che dai comandi militari vengono date istruzioni di privilegiare la vita dei soldati israeliani rispetto ai civili palestinesi. Riferiscono anche dell’ordine di non fare distinzione tra civili palestinesi e militanti e di non correre alcun rischio per evitare danni ai civili.

Tutto ciò porta inesorabilmente alla lampante conclusione che Israele semplicemente rifiuta il principio di distinzione sancito dal diritto internazionale e rifiuta di riconoscere la differenza legale e morale tra civili e militari. Lo fa sia in teoria che nella pratica, eppure questo fatto evidente sembra essere ignorato dalla copertura mediatica e dal discorso politico prevalente a proposito dell’ultima offensiva israeliana. Quasi a giustificare questa equazione tra i civili palestinesi e i militanti da parte dei media occidentali, la CNN ha recentemente ordinato al suo staff di riferirsi al Ministero della Salute a Gaza come “gestito da Hamas”. Questa direttiva conferma efficacemente il rifiuto israeliano di distinguere tra obiettivi civili e militari.

Muhammad Ali Khalidi è Professore Emerito di filosofia presso il Graduate Center della City University di New York e ha lavorato sugli aspetti filosofici della questione palestinese.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Quali sono i Paesi e le imprese che vendono armi a Israele?

Frank Andrews

Venerdì 21 maggio 2021 – Middle East Eye

Gli Stati Uniti, che hanno esportato armi verso Israele ogni anno dal 1961, sono in assoluto il primo fornitore di armi a Israele.

Per undici giorni, fino all’entrata in vigore di un cessate il fuoco questo venerdì mattina, Israele ha flagellato la Striscia di Gaza, affermando di prendere di mira i “terroristi” di Hamas. Però sono stati anche rasi al suolo edifici residenziali, librerie, ospedali e il principale laboratorio di analisi del COVID-19.

Secondo Amnesty International i bombardamenti israeliani sull’enclave assediata, che hanno causato almeno 243 morti, tra cui 66 bambini, 39 donne e 17 anziani, costituiscono probabilmente un crimine di guerra.

Secondo l’associazione di difesa dei diritti umani, potrebbero costituire un crimine di guerra anche le migliaia di razzi lanciati alla cieca da Hamas verso il nord oltre Gaza, che hanno causato 12 morti [israeliani, ndtr.].

Ma mentre Hamas dispone di bombe fabbricate per la maggior parte con materiale artigianale e di contrabbando, pericolose perché non guidate, Israele possiede armi di precisione all’avanguardia e la sua industria degli armamenti è in pieno sviluppo. Il Paese è l’ottavo maggior esportatore di armi del pianeta.

L’arsenale militare di Israele è anche supportato da importazioni di armi del valore di parecchi miliardi di dollari.

Ecco i Paesi e le imprese che forniscono armi ad Israele, nonostante i crimini di guerra di cui da anni è accusato.

Stati Uniti

Gli Stati Uniti sono di gran lunga il maggior esportatore di armi verso Israele. In base ai dati sui trasferimenti di armi dell’Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma (SIPRI), che contabilizza soltanto le principali armi convenzionali, tra il 2009 e il 2020 più del 70% delle armi acquistate da Israele proveniva dagli Stati Uniti.

Secondo i dati del SIPRI, gli Stati Uniti hanno esportato armi verso Israele ogni anno a partire dal 1961.

Benché sia più difficile seguire le effettive spedizioni di armi, l’organizzazione britannica Campagna Contro il Commercio di Armi (CAAT) segnala che tra il 2013 e il 2017 gli Stati Uniti hanno spedito 4,9 miliardi di dollari di armi a Israele.

Sono state anche fotografate bombe di fabbricazione americana a Gaza in questi ultimi giorni.

Queste esportazioni sono aumentate nonostante le diverse accuse di crimini di guerra a danno dei palestinesi rivolte alle forze israeliane.

Gli Stati Uniti hanno così continuato ad esportare armi in Israele quando nel 2009 si è saputo che le forze israeliane avevano utilizzato indiscriminatamente bombe al fosforo bianco contro la popolazione palestinese, pratica definita crimine di guerra da Human Rights Watch.

Nel 2014 Amnesty International ha sollevato le stesse accuse contro Israele in seguito agli attacchi sproporzionati che hanno causato molte decine di vittime civili a Rafah, nel sud di Gaza. L’anno seguente, secondo i dati del SIPRI, il valore delle esportazioni di armi americane verso Israele è praticamente raddoppiato.

Lunedì il presidente americano Joe Biden ha “espresso il suo sostegno ad un cessate il fuoco”, in seguito alle pressioni dei democratici al senato. Tuttavia nella giornata si è ugualmente saputo, secondo il Washington Post, che la sua amministrazione aveva recentemente approvato vendite di armi ad Israele per un totale di 735 milioni di dollari. I democratici della Commissione affari esteri della Camera dei rappresentanti hanno chiesto all’amministrazione di rinviare la vendita, in attesa di un riesame.

Nel quadro di un accordo di assistenza per la sicurezza riferito al periodo 2019-2028, gli Stati Uniti hanno accettato, con riserva dell’approvazione del Congresso, di versare ad Israele 3,8 miliardi di dollari all’anno come finanziamento militare estero, di cui la maggior parte deve essere spesa in armi di fabbricazione americana.

Secondo la NBC [National Broadcasting Company, azienda radiotelevisiva statunitense, ndtr.], ciò rappresenta circa il 20% del budget israeliano destinato alla difesa e quasi i tre quinti del finanziamento militare estero degli Stati Uniti nel mondo.

Ma succede anche che gli Stati Uniti concedano dei fondi supplementari, oltre la contribuzione annuale. Cosi, dal 2011, il Paese ha versato 1,6 miliardi di dollari supplementari per il sistema antimissile israeliano Iron Dome [Cupola di Ferro], alcune parti del quale sono fabbricate negli Stati Uniti.

Israele dispone di un’industria degli armamenti molto avanzata, potenzialmente in grado di sostenere bombardamenti almeno per un breve periodo”, spiega Andrew Smith di CAAT a Middle East Eye.

Tuttavia i suoi principali aerei da combattimento provengono dagli Stati Uniti”, precisa riferendosi agli aerei da combattimento F-16 americani che continuano a colpire la Striscia di Gaza. “Anche se Israele è in grado di costruirli sul proprio territorio, sarebbe sicuramente necessario molto tempo prima di poterli assemblare.

Per quanto riguarda le munizioni, molte vengono importate, ma io penso che potrebbero essere prodotte in Israele. Evidentemente in questo ipotetico scenario la transizione verso una produzione nazionale di armi prenderebbe del tempo e costerebbe cara.

Tuttavia le vendite di armi non dovrebbero essere analizzate separatamente. Si basano su un forte sostegno politico”, aggiunge Andrew Smith. “Il sostegno degli Stati Uniti, in particolare, è prezioso per mantenere l’occupazione e legittimare campagne di bombardamento come quella a cui stiamo assistendo.”

Secondo CAAT, il lungo elenco delle imprese private americane coinvolte nelle forniture di armi a Israele comprende Lockheed Martin, Boeing, Northrop Grumman, General Dynamics, Ametek, UTC Aerospace e Raytheon.

Germania

Il secondo maggior esportatore di armi a Israele è la Germania, che rappresenta il 24% delle importazioni di armi di Israele nel periodo 2009-2020.

La Germania non fornisce dati sulle armi che spedisce, ma, secondo la CAAT, il Paese ha concesso licenze per vendite di armi a Israele valutate in 1,6 miliardi di euro tra il 2013 e il 2017.

In base ai dati del SIPRI la Germania ha venduto armi ad Israele durante tutti gli anni ’60 e ’70 del ‘900 e lo fa ogni anno dal 1994.

Secondo Haaretz, che nota che nel 1960 il Primo Ministro (israeliano) David Ben Gurion aveva incontrato a New York il Cancelliere tedesco Konrad Adenauer ed aveva sottolineato “la necessità di Israele di piccoli sottomarini e di missili anti-aereo”, i primi colloqui in materia di difesa tra i due Paesi risalgono al 1957.

Se gli Stati Uniti hanno soddisfatto parecchie necessità di Israele in materia di difesa aerea, la Germania continua a fornire sottomarini.

Secondo la CAAT il costruttore navale tedesco ThyssenKrupp Marine Systems ha costruito sei sottomarini Dolphin per conto di Israele, mentre la società Renk AG con sede in Germania contribuisce all’equipaggiamento dei carri armati Merkava israeliani.

Secondo il suo portavoce, lunedì durante una conversazione telefonica con Benjamin Netanyahu la cancelliera tedesca Angela Merkel ha espresso la sua “solidarietà” ad Israele ed ha riaffermato “il diritto (del Paese) a difendersi” contro i lanci di razzi di Hamas.

Italia

Segue poi l’Italia, che secondo SIPRI rappresenta il 5,6% delle importazioni delle principali armi convenzionali di Israele nel periodo dal 2009 al 2020.

La CAAT segnala che dal 2013 al 2017 le spedizioni di armi dall’Italia a Israele sono arrivate a 476 milioni di euro.

Secondo Defense News [sito web e giornale americano su politica e armamenti, ndtr.] negli ultimi anni i due Paesi hanno concluso accordi in base ai quali Israele ha ottenuto aerei da addestramento in cambio di missili ed altre armi.

Anche se l’Italia a inizio maggio si è unita ad altri Paesi europei nel criticare la colonizzazione israeliana a Sheikh Jarrah e altrove, il Paese continua ad esportare armi.

Venerdì scorso i portuali di Livorno hanno rifiutato di caricare una nave che trasportava armi con destinazione il porto israeliano di Ashdod, dopo essere stati informati dall’Ong italiana ‘The Weapon Watch’ del contenuto del carico.

Il porto di Livorno non sarà complice del massacro del popolo palestinese”, ha dichiarato l’Unione Sindacale di Base in un comunicato.

The Weapon Watch’ ha esortato le autorità italiane a sospendere “del tutto o in parte le esportazioni militari italiane verso le zone di conflitto israelo-palestinese”.

Secondo la CAAT l’Augusta Westland, controllata della società italiana Leonardo, fabbrica componenti per gli elicotteri d’attacco Apache utilizzati da Israele.

Regno Unito

La CAAT segnala che il Regno Unito, benché non sia presente nella banca dati del SIPRI relativamente agli ultimi anni, vende ugualmente armi a Israele e dal 2015 ha concesso licenze per la produzione di armamenti per un totale di 400 milioni di sterline.

L’Ong chiede al Regno Unito di porre fine alla vendita di armi ed al sostegno militare alle forze israeliane e di aprire un’inchiesta per stabilire se siano state usate armi britanniche per bombardare Gaza.

L’ammontare reale delle esportazioni del Regno Unito verso Israele è molto più alto delle cifre disponibili pubblicamente, a causa di un sistema opaco di vendite di armi basato su “licenze aperte”, autorizzazioni all’esportazione relativamente alle quali il valore delle armi e la loro quantità sono tenuti segreti.

Andrew Smith di CAAT spiega a MEE che dal 30 al 40% circa delle vendite di armi britanniche ad Israele è probabilmente effettuato in base a questo sistema di licenze aperte, ma che “ci è semplicemente impossibile sapere” di quali armi si tratti, né in che modo vengano utilizzate.

A meno che il governo britannico non apra una propria inchiesta, il solo modo per stabilire quali armi siano state utilizzate è affidarsi alle foto scattate in una delle peggiori zone di conflitto al mondo, mezzo che non è appropriato per chiedere conto all’industria degli armamenti”, deplora Andrew Smith.

Per scoprire queste atrocità dobbiamo contare sulle persone presenti nelle zone di guerra che scattino foto delle armi che cadono attorno a loro, o sui giornalisti”, aggiunge.

Perciò possiamo sempre supporre che enormi quantità di armi siano utilizzate in un modo che non conosceremo mai.”

La CAAT segnala che tra le imprese britanniche che contribuiscono a fornire armi o materiale militare ad Israele figurano BAE Systems, Atlas Elektronik UK, Meggit, Penny & Giles Controls, Redmayne Engineering, Senior PLC, Land Rover e G4S.

Inoltre il Regno Unito spende ogni anno parecchi milioni di sterline in sistemi di armamenti israeliani. Elbit Systems, il maggiore produttore di armi israeliano, possiede diverse società affiliate nel Regno Unito, come molti fabbricanti di armi americani.

Una delle loro fabbriche, situata a Oldham, nel nord dell’Inghilterra, è stata l’obbiettivo di manifestanti filopalestinesi durante gli ultimi mesi.

Molte armi esportate dal Regno Unito verso Israele – in particolare aerei, droni, granate, bombe, missili e munizioni – “rientrano nel tipo di armi che possono essere utilizzate in questo genere di campagna di bombardamenti”, sottolinea la CAAT in un comunicato relativo ai recenti bombardamenti.

Non sarebbe la prima volta”, precisa l’organizzazione.

Nel 2014 un’indagine del governo britannico ha rivelato la concessione di dodici licenze per armi probabilmente utilizzate nel corso del bombardamento di Gaza in quello stesso anno, mentre nel 2010 David Miliband, allora segretario agli Affari Esteri, ha dichiarato che armi fabbricate nel Regno Unito erano state” quasi certamente” utilizzate durante la campagna di bombardamenti dell’enclave condotta da Israele nel 2009.

Sappiamo che armi di fabbricazione britannica sono già state utilizzate contro i palestinesi, ma ciò non ha minimamente contribuito a fermare il flusso di armi”, afferma Andrew Smith.

Deve esserci una sospensione delle vendite di armi ed un esame completo per stabilire se siano state utilizzate armi britanniche e se siano coinvolte in eventuali crimini di guerra.”

Da molti decenni i successivi governi parlano del loro impegno per il consolidamento della pace, pur continuando ad armare e sostenere le forze israeliane”, prosegue. “Queste vendite di armi non costituiscono solo un sostegno militare, ma mandano anche un segnale chiaro di sostegno politico all’occupazione e al blocco, come anche alla violenza che ne consegue.”

Canada

Secondo i dati di SIPRI, il Canada rappresenta circa lo 0,3% delle importazioni israeliane di armi convenzionali nel periodo 2009-2021.

Alla luce dei recenti avvenimenti il politico canadese Jagmeet Singh, del Nuovo Partito democratico, ha invocato la fine delle vendite di armi da parte del suo Paese ad Israele,

Secondo Globe and Mail [quotidiano canadese in lingua inglese, ndtr.], nel 2019 il Canada ha inviato a Israele materiali e tecnologie militari per un ammontare di 13,7 milioni di dollari, cioè lo 0,4% del totale delle sue esportazioni di armi.

(Traduzione dal francese di Cristiana Cavagna)

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Una lettera a Biden su Gaza

Sara Roy

21 maggio 2021 – Counterpunch

Caro Presidente Biden,

Le voglio scrivere di Gaza, un luogo su cui negli ultimi 35 anni ho studiato e scritto, un luogo che considero una seconda casa, piena delle persone più gentili e generose che si possano mai incontrare – c’è mai stato? Ma sto scrivendo non solo come studiosa della regione, ma come ebrea e come una [delle persone] i cui genitori sono sopravvissuti ad Auschwitz.

Ho una domanda per lei, Signor Presidente: quando è accettabile la morte di un bambino? O forse dovrei porre la domanda in questo modo: quando diventa inaccettabile la morte di un bambino palestinese? Lei ha vissuto l’indicibile perdita di una figlia [nel 1972 la prima moglie di Biden e la figlia più piccola, di 13 mesi, sono morte in seguito ad un incidente d’auto, ndtr.], quindi si trova in una posizione migliore della maggioranza delle persone per rispondere alle mie domande.

La scorsa settimana, dopo che a Gaza 87 palestinesi sono stati uccisi e oltre 500 feriti, lei ha affermato di non aver riscontrato una “risposta significativamente sproporzionata” da parte di Israele agli attacchi missilistici di Hamas. In quel momento tra i morti c’erano 18 bambini. Non conoscevo nessuno di loro, ma conosco persone che li conoscevano. Mi aiuterebbe per favore a spiegare ai miei amici perché la morte di questi 18 bambini non costituisce una risposta sproporzionata? Ciò fa sorgere un’altra domanda che ho per lei, Signor Presidente: quanti bambini dovranno morire a Gaza prima che lei consideri sproporzionata la risposta di Israele, soprattutto dal momento che ha posto i diritti umani al centro della sua politica estera? Ho bisogno di saperlo in modo da poterlo spiegare ai miei amici. Mentre le scrivo oltre 60 bambini palestinesi sono stati uccisi dal governo di Israele. È sufficiente per poter dare una risposta?

Conosco persone all’interno del nostro governo che lavorano intorno al tema del conflitto israelo-palestinese. Devo dirle qualcosa che ho sentito da uno di loro sulla morte dei bambini di Gaza. Questo individuo riteneva che alcuni dei morti fossero probabilmente figli di funzionari di Hamas, quindi che la loro morte non avesse molta importanza, che fosse quindi accettabile. È questa la risposta alla mia prima domanda? Dovrebbe essere questo il modo in cui spiegarlo ai miei amici? Per favore mi aiuti.

È tragico che dopo più di tre decenni di ricerche e di libri, debba trovare ancora la necessità di discutere a favore dell’umanità dei palestinesi, persino con lei.

Ancora una cosa prima di terminare questa lettera, se mi permette. Riguarda mia madre. Quando è stata imprigionata nel ghetto di Lodz [in Polonia, ndtr.] durante l’Olocausto, ha rischiato la vita nascondendo i bambini che erano stati scelti per essere deportati ad Auschwitz e in altri campi di sterminio. Alla fine i nazisti trovarono i bambini e li mandarono a morire. Ma mia madre ha cercato di salvarli anche se sapeva che non ci sarebbe riuscita. E posso assicurarle che, conoscendola e imparando da lei come ho fatto per tutta la vita, avrebbe fatto lo stesso per qualsiasi bambino, ebreo o cristiano o musulmano, fosse in pericolo. Sarebbe stata inorridita dall’assassinio di bambini in questo terribile conflitto, sia palestinesi che israeliani, e avrebbe inveito contro l’ingiustizia di tutto ciò. E questa è la mia ultima domanda per lei: perché non si è comportato nello stesso modo?

Cordiali saluti,

Dott.ssa Sara Roy

(traduzione dall’inglese di Aldo lotta)




Israele e Hamas dichiarano il cessate il fuoco dopo 11 giorni di conflitto 

20 maggio 2021 Al Monitor

Il Gabinetto di Sicurezza di Israele ha approvato all’unanimità una proposta egiziana di cessate il fuoco nell’undicesimo giorno di conflitto con i militanti palestinesi nella Striscia di Gaza, che ha causato più di 200 morti.

Giovedì il Gabinetto di Sicurezza di Israele ha approvato all’unanimità una proposta egiziana di cessate il fuoco, nell’undicesimo giorno di conflitto con i militanti palestinesi nella Striscia di Gaza, che ha causato più di 200 morti.

I rapporti dei media israeliani hanno informato che il cessate il fuoco inizierà venerdì alle 2 del mattino (ora locale), circa quattro ore dopo l’annuncio.

Hamas, il movimento islamista palestinese che dall’inizio delle ostilità il 10 maggio ha lanciato migliaia di razzi contro Israele, ha confermato il cessate il fuoco.

Mercoledì il vice capo politico di Hamas Mousa Abu Marzouk ha sottolineato che il cessate il fuoco sarà un’interruzione dei lanci, non una tregua. I colpi da entrambe le parti probabilmente continueranno fino a quando non inizierà il cessate il fuoco.

I dirigenti israeliani hanno smentito voci secondo cui avrebbero concordato ulteriori condizioni al di là dello stop alle operazioni militari, suggerendo che le ragioni sottostanti al conflitto – le denunce palestinesi di espropriazioni di fronte al mancato raggiungimento di una soluzione a due Stati o altra equa soluzione – continueranno.

I dirigenti di Hamas hanno richiesto che le forze di sicurezza di Israele si astengano dall’entrare nel complesso della moschea di Al- Aqsa e interrompano i tentativi da parte dei coloni israeliani di sfrattare attraverso pratiche legali sei famiglie palestinesi dal quartiere di Gerusalemme Sheikh Jarrah.

La settimana scorsa Israele ha respinto una precedente offerta accompagnata da simili richieste, optando per il proseguo dei bombardamenti mirati contro i comandanti di Hamas e della Jihad a Gaza.

Le bombe israeliane hanno ucciso almeno 230 persone a Gaza, tra cui moltissime donne e bambini. In seguito al lancio di 4.000 razzi all’interno di Israele sono morti dodici israeliani. La gran parte di essi comunque sono stati intercettati dal sistema di difesa antimissile israeliana Iron Dome.

L’annuncio è giunto poche ore dopo che il Presidente USA Joe Biden ha telefonato al Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. Dirigenti egiziani hanno condotto la mediazione tra Hamas e Israele. Anche diplomatici del Qatar e della Giordania, come anche funzionari delle Nazioni Unite, sono stati coinvolti nel compito di fare pressione per porre fine al conflitto.

Secondo una lettera del Congresso ottenuta da Al-Monitor, all’inizio di giovedì deputati USA ancora una volta hanno premuto su Biden perché chiedesse un immediato cessate il fuoco.

I rappresentanti democratici Hank Johnson della Georgia e Pramila Jayapal di Washington e leader democratici progressisti, compresa Alexandra Ocasio Cortez di New York, hanno chiesto a Biden di fare pressioni più intense sul governo Netanyahu ed hanno avvertito che non facendolo avrebbe potuto danneggiare ulteriormente la credibilità USA a livello internazionale.

Questa settimana si sono sollevate ulteriori proteste, in larghissima parte di democratici, sia nel Congresso che in Senato, dopo che è stato reso noto che l’amministrazione Biden ha programmato di concedere alla Boeing la licenza per rifornire Israele di armi teleguidate simili a quelle che sarebbero state usate nel conflitto.

La portavoce del Congresso Nancy Pelosi, democratica della California, all’inizio di questa settimana ha chiesto un immediato cessate il fuoco, quando si sono intensificate le critiche su una percepita riluttanza da parte della Casa Bianca a fare pressioni sul governo Netanyahu per un alleggerimento della sua devastante campagna.

Biden mercoledì ha detto a Netanyahu che si aspettava per quella sera una “significativa de-escalation” nel conflitto.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Unità, infine: il popolo palestinese si è sollevato

Ramzy Baroud

18 maggio 2021 – Middle East Monitor

 

Anzitutto qualche chiarimento sul linguaggio usato per descrivere le violenze in atto nella Palestina occupata ed anche in tutto Israele. Non è un ‘conflitto’. Non è neppure una ‘controversia’ o una ‘violenza settaria’, né una guerra in senso tradizionale.

Non è un conflitto perché Israele è una potenza occupante e il popolo palestinese è una nazione occupata. Non è una controversia perché libertà, giustizia e diritti umani non possono essere trattati come semplici divergenze politiche. I diritti inalienabili del popolo palestinese sono inscritti nel diritto internazionale e umanitario e l’illegalità delle violazioni israeliane dei diritti umani in Palestina sono riconosciute dalle stesse Nazioni Unite.

Se è una guerra, allora è una guerra unilaterale israeliana, che incontra una modesta, ma reale e determinata resistenza palestinese.

In realtà, si tratta di una rivolta palestinese, un’Intifada senza precedenti nella storia della lotta palestinese, sia per la sua natura che per la sua portata.

Per la prima volta da tanti anni vediamo il popolo palestinese unito, da Gerusalemme Al-Quds [nome arabo della città di Gerusalemme. Significa “la (città) santa”, ndtr.] a Gaza, alla Cisgiordania e, anche in modo più importante, alle comunità, città e villaggi nella Palestina storica – oggi Israele.

Questa unità conta più di qualunque cosa, è molto più carica di conseguenze di qualche accordo tra le fazioni palestinesi. Essa eclissa Fatah e Hamas e tutto il resto, perché senza un popolo unito non può esserci una resistenza significativa, una prospettiva di liberazione, una lotta vincente per la giustizia.

Il Primo Ministro israeliano di destra Benjamin Netanyahu non poteva certo prevedere che un’azione di routine di pulizia etnica nel quartiere di Gerusalemme est di Sheikh Jarrah avrebbe condotto ad una sollevazione palestinese, che unifica tutti i settori della società palestinese in una dimostrazione di unità senza precedenti.

Il popolo palestinese ha deciso di lasciarsi alle spalle tutte le divisioni politiche e le polemiche di fazione. Sta invece creando nuove terminologie, incentrate sulla resistenza, la liberazione e la solidarietà internazionale. Di conseguenza sta sfidando la faziosità, e contemporaneamente ogni tentativo di normalizzare l’apartheid israeliano. Di pari importanza, la voce palestinese sta ora bucando il silenzio internazionale, costringendo il mondo ad ascoltare un unico canto di libertà.

I capi di questo nuovo movimento sono giovani palestinesi, a cui è stato impedito di partecipare a qualunque forma di rappresentanza democratica, che vengono costantemente emarginati ed oppressi dalla loro stessa leadership e dalla incessante occupazione militare israeliana. Sono nati in un mondo di esilio, povertà ed apartheid, indotti a pensare di essere inferiori, di una razza inferiore. Il loro diritto all’autodeterminazione e tutti gli altri loro diritti sono stati rinviati indefinitamente. Sono cresciuti senza speranza, vedendo le loro case demolite, la loro terra rubata e i loro genitori umiliati.

Infine, si stanno sollevando.

Senza un previo coordinamento e senza un manifesto politico, questa nuova generazione palestinese sta facendo sentire la sua voce, sta mandando un inequivocabile forte messaggio ad Israele e alla sua società sciovinista di destra, cioè che il popolo palestinese non è fatto di vittime passive: che la pulizia etnica di Sheikh Jarrah e del resto della Gerusalemme est occupata, il protratto assedio di Gaza, l’interminabile occupazione militare, la costruzione di colonie ebraiche illegali, il razzismo e l’apartheid non resteranno più sotto silenzio; benché stanchi, poveri, spossessati, assediati ed abbandonati, i palestinesi continueranno a difendere i propri diritti, i propri luoghi sacri e l’assoluta inviolabilità del proprio popolo.

Certo, l’attuale violenza è stata fomentata dalle provocazioni israeliane nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme est. Tuttavia non si è mai trattato solo della pulizia etnica di Sheikh Jarrah. Questo quartiere assediato non è che un microcosmo della più ampia lotta palestinese.

Netanyahu può aver sperato di usare Sheikh Jarrah come un modo per mobilitare il suo elettorato di destra intorno a sé, per formare un governo di emergenza o aumentare le sue possibilità di vincere anche le quinte elezioni. Il suo spericolato comportamento, inizialmente dovuto a motivi del tutto personali, ha scatenato una ribellione popolare tra i palestinesi, mostrando Israele come lo Stato violento, razzista e di apartheid quale è ed è sempre stato.

L’unità palestinese e la resistenza popolare si sono dimostrate vincenti anche sotto altri aspetti. Mai prima d’ora avevamo visto questa ondata di sostegno alla libertà palestinese, non solo da parte di milioni di persone comuni in tutto il mondo, ma anche da parte di celebrità – star del cinema, calciatori, intellettuali di primo piano ed attivisti politici, addirittura modelle e influencer dei social media. Gli hashtag ‘SaveSheikhJarrah’ e ‘FreePalestine’, tra i tanti altri, sono ora interconnessi e hanno pervaso tutte le piattaforme social per settimane. I continui tentativi di Israele di presentarsi come una vittima perenne di qualche immaginaria orda di arabi e musulmani non pagano più. Il mondo finalmente può vedere, leggere e ascoltare la tragica realtà della Palestina e la necessità di porre termine immediatamente a questa tragedia.

Nulla di tutto ciò sarebbe possibile se non per il fatto che tutti i palestinesi hanno legittime ragioni e stanno parlando all’unisono. Nella loro spontanea reazione e nella genuina, comune solidarietà tutti i palestinesi sono uniti, da Sheikh Jarrah all’intera Gerusalemme, a Gaza, Nablus, Ramallah, Al-Bireh e persino alle città palestinesi all’interno di Israele – Lod, Umm Al-Fahm, Kufr Qana ed altre.

Nella nuova rivoluzione popolare della Palestina le fazioni, la geografia e tutte le divisioni politiche sono irrilevanti. La religione non è fonte di divisione, ma di unità spirituale e nazionale.

Le attuali atrocità israeliane a Gaza continuano, con un crescente pedaggio di morte. Questa devastazione continuerà fino a quando il mondo tratterà il devastante assedio della impoverita e sottile Striscia (di Gaza) come irrilevante. La gente a Gaza moriva da molto prima che le bombe israeliane esplodessero sulle sue case e quartieri. Moriva per la mancanza di medicine, per l’acqua inquinata, per la carenza di elettricità e per le infrastrutture fatiscenti.

Dobbiamo salvare Sheikh Jarrah, ma dobbiamo anche salvare Gaza; dobbiamo chiedere la fine dell’occupazione militare israeliana della Palestina e, con essa, del sistema di discriminazione razziale e di apartheid. Le organizzazioni internazionali per i diritti umani sono ora precise e determinate nel descrivere questo regime razzista, con Human Rights Watch e l’associazione israeliana per i diritti B’Tselem che si uniscono all’appello per l’eliminazione dell’apartheid nell’intera Palestina.

Parlatene. Parlatene apertamente. I palestinesi si sono svegliati. E’ ora di schierarsi al loro fianco.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Perché i palestinesi protestano? Perché vogliamo vivere

Mariam Barghouti

Domenica 16 Maggio 2021 – The Guardian

Proprio come le proteste di Black Lives Matter non riguardavano solo un omicidio, noi stiamo fronteggiando un regime di totale oppressione

Ho iniziato ad andare alle manifestazioni quando avevo 17 anni. All’inizio andavo alle proteste contro l’occupazione militare israeliana. Poi abbiamo anche cominciato a protestare contro l’autoritarismo dell’Autorità Palestinese e di Hamas, e la disgustosa rivalità tra le fazioni politiche palestinesi. Per i palestinesi, la protesta è diventata uno stile di vita, un modo per essere risoluti, per perseverare.

Negli ultimi dieci anni gran parte di questo fardello di protesta è stato sostenuto da singole famiglie palestinesi che hanno subito l’espulsione o la violenza per mano di soldati e coloni. La minaccia di sfratti o demolizioni può provocare una protesta locale, nella speranza di prevenire questo o quel particolare oltraggio. Ma in questo momento l’attenzione del mondo è su di noi non come individui ma come collettività, come palestinesi. Non si tratta solo di un villaggio o di una famiglia o “solo di quelli della Cisgiordania” o “solo di quelli di Gerusalemme”.

Ciò per cui ora stiamo protestando per le strade non è un omicidio o un raid violento, ma un intero regime di oppressione che distrugge i nostri corpi, le nostre case, le nostre comunità, le nostre speranze, proprio come le proteste per le vite dei neri che l’anno scorso si sono propagate negli Stati Uniti non riguardavano solo George Floyd o Breonna Taylor o qualunque altro omicidio.

Questo è ciò che fa il colonialismo: soffoca ogni parte della tua vita, e poi finisce col seppellirti. È un processo strategico e deliberato che viene ostacolato o ritardato solo perché gli oppressori sono quasi sempre affrontati e sfidati da coloro che sono sotto il loro dominio. Alla fine, chi vuole rimanere incatenato per quelle che sono le sue origini?

La scorsa settimana ero nei pressi dell’insediamento illegale di Beit El, adiacente a Ramallah in Cisgiordania, mentre l’esercito israeliano inviava jeep che si precipitavano verso manifestanti, giornalisti e personale medico, martellando in pieno la folla con candelotti lacrimogeni.

Il suono di quei candelotti che a decine si dirigevano a spirale contro di noi mi fa ancora tremare. Mi ricorda il giorno del dicembre 2011, nel villaggio di Nabi Saleh [villaggio palestinese a 20 chilometri a nord-ovest di Ramallah, ndtr.] quando un soldato israeliano sparò un candelotto lacrimogeno, da distanza ravvicinata, direttamente sul volto del ventottenne Mustafa Tamimi, che stava lanciando delle pietre, poi morto a seguito delle ferite.

Ricordo il volto di Janna Tamimi, sua cugina, di sei anni, mentre gridava con la sua fragile voce: “Perché hai ucciso il mio migliore amico?” Dietro di lei c’era l’insediamento illegale di Halamish. La protesta di Mustafa era contro l’espansione degli insediamenti e l’impunità della violenza dei coloni mentre lui e la sua comunità erano imprigionati nel villaggio, senza accesso a sorgenti d’acqua o servizi pubblici.

Il fatto che queste proteste non abbiano dei leader illustra i decenni di deterioramento delle condizioni di tutti i palestinesi. Questo è l’esito di una generazione nata dai penosi accordi di Oslo del 1993-1995, cresciuta durante decenni che hanno solo consolidato l’espansione degli insediamenti coloniali israeliani e la stretta sulle vite dei palestinesi.

Più di questo, si tratta di una continua crescita di energia, di resistenza e di perdita di fiducia. Ma allo stesso tempo, è una completa rivendicazione della fiducia, non nei responsabili politici internazionali, non nei comitati di negoziazione, non negli osservatori umanitari e nelle ONG, ma in noi stessi.

“Perché devi sempre metterti in prima linea?” mia madre mi rimproverava anni fa, mentre gettava via i miei vestiti inzuppati della pestilenziale “kharara”, l’acqua puzzolente irrorata dai militari israeliani.

Utilizzata sovente nel corso delle proteste in Cisgiordania, le forze israeliane la stanno spargendo anche nelle strade di Sheikh Jarrah e nelle case dei palestinesi. È un tentativo di rendere le nostre vite così insopportabili da costringerci ad andarcene.

Volevo dirlo a mia madre, che se non fossi stata io lo avrebbe fatto qualcun altro. Volevo dirle come a Gaza le proteste pacifiche del 2018 sono state accolte con l’uccisione di centinaia di persone da parte dei cecchini, tanto che i soldati israeliani le hanno trasformate in un implacabile giostra del tiro a segno, provocando deliberatamente ferite invalidanti.

Ma sapevamo entrambe che ciò che la rendeva così arrabbiata era l’orribile riconoscimento che non avevamo altra scelta che protestare, che finché l’ingiustizia persiste e i nostri sogni di una migliore realtà continuano a spingerci verso la sfida, bagnarci nell’acqua puzzolente significava almeno che ero viva.

Questo è esattamente il motivo per cui stiamo protestando, perché siamo pronti ad essere vivi.

Mariam Barghouti è una scrittrice e ricercatrice palestinese.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




La violenza fa il gioco di Netanyahu

Akiva Eldar

16 maggio 2021- Al Jazeera

Permettendo l’escalation di violenza, il primo ministro uscente sta sabotando la formazione del governo da parte dell’opposizione.

All’inizio, gli unici israeliani a dirlo forte sono stati i soliti sospetti della sinistra. Poi è stato Moshe Ya’alon, già ministro della Difesa ed ex capo di stato maggiore, a stabilire un collegamento fra gli interessi personali del primo ministro Benjamin Netanyahu e i violenti scontri che, iniziati a Gerusalemme Est, si sono poi allargati alla Striscia di Gaza, alla Cisgiordania occupata e a Israele. “L’escalation della sicurezza serve a Netanyahu e ad Hamas per ragioni di politica interna di entrambi,” ha twittato Ya’alon.

Poi persino Avigdor Lieberman, ex ministro della Difesa e fondatore del partito Yisrael Beitenu [Israele Casa Nostra, ultranazionalista laico, rappresenta soprattutto gli immigrati russi, ndt.] ha dichiarato che: “Lo scopo strategico dell’operazione [militare] è modificare in meglio l’opinione pubblica verso Netanyahu. Fino a quando Lapid ha il mandato di formare un governo, Netanyahu cercherà di estendere l’operazione.”

Infatti il primo ministro israeliano in carica non ha fatto alcuno sforzo per contenere la violenza. Il mese scorso avrebbe potuto ordinare alla polizia di rimuovere i blocchi stradali dalla Porta di Damasco, nella Città Vecchia di Gerusalemme. Perché ha aspettato fino a quando non è diventata un terreno di scontro fra la polizia e centinaia di giovani palestinesi? Perché ha permesso alla polizia di gettare granate stordenti dentro la moschea di Al-Aqsa durante la preghiera?

Yair Lapid, presidente del partito Yesh Atid, già ministro delle Finanze e leader della cosiddetta “coalizione per il cambiamento”, ha dato una risposta persino prima che iniziasse l’escalation.

Poco dopo le elezioni del 23 marzo ha incontrato Benny Gantz, ministro della Difesa e capo dell’Alleanza Blu e Bianco, e, secondo Yossi Verter, giornalista di Haaretz, gli ha detto ciò che segue: “C’è una cosa che devi considerare. Se Netanyahu sente che gli sta sfuggendo di mano il governo, cercherà di creare un incidente riguardante la sicurezza. A Gaza o lungo il confine nord. Se pensa che questo sia l’unico modo per salvarsi, non esiterà un attimo.”

Durante gli ultimi due anni Netanyahu ha lottato per la sua sopravvivenza politica con tutto quello che aveva a disposizione. È stato accusato di frode e corruzione e, se perdesse il potere, dovrebbe affrontare una pesante pena detentiva.

Ora egli teme la “coalizione per il cambiamento” di cui fanno parte Lapid e Gantz e che si è formata per spodestarlo. Include anche Lieberman, di destra, Naftali Bennett, capo di Yamina, partito di destra, e Gideon Sa’ar, capo di “Nuova Speranza”, formata da fuoriusciti dal Likud, Merav Michaeli, di sinistra, leader del partito laburista [partito di centro, ndtr.], e Nitzan Horowitz, capo di Meretz [partito della sinistra sionista, ndtr.]. Quest’alleanza eterogenea e piuttosto fragile aveva come unico scopo la formazione di un governo che escludesse Netanyahu.

Dopo che per la quarta volta in due anni Netanyahu non è riuscito a formare un governo, il presidente ha offerto il mandato a Lapid, il leader del maggiore partito della “coalizione per il cambiamento” e che ha 17 seggi alla Knesset. La recente ondata di violenza l’ha colto mentre stava per completare i negoziati con gli altri partiti.

Fino a pochi giorni fa alla “coalizione per il cambiamento” mancavano 4 voti sui 61 necessari per compiere questa missione. Ci si aspettava che questi voti arrivassero dal partito palestinese Ra’am, guidato da Mansour Abbas che aveva promesso di unirsi a ogni coalizione politica che fosse riuscita a formare un governo.

Mentre aumentava la tensione a Gerusalemme, Ya’alon ha sollecitato i leader della “coalizione per il cambiamento” ad accelerare la formazione di un nuovo governo. Ma sembra che questo consiglio sia arrivato un po’ troppo tardi.

Il 13 maggio, il blocco è andato a pezzi. Bennett ha annunciato che stava lasciando la “coalizione per il cambiamento” per riprendere i negoziati con Netanyahu. Lapid ha detto che avrebbe continuato il tentativo di formare un governo, ma le sue alternative si sono drammaticamente ridotte.

A parte Mansour, dovrà anche convincere la Lista Unita palestinese a “rimpiazzare” il partito di Bennett. Se fallisse in meno di tre settimane, dovrebbe restituire il mandato al presidente. In questo caso, Netanyahu potrebbe guidare il Paese verso la quinta elezione in due anni e nominare nel frattempo un Procuratore generale che trovi il modo di bloccare il suo processo.

A questo punto ci si deve chiedere se la “coalizione per il cambiamento” che si appoggia sulle forze politiche palestinesi sarebbe in grado di evitare il prossimo ciclo di scontri fra l’occupante e le forze della resistenza. Può un politico palestinese-israeliano rimanere in un governo che ordina alla polizia di attaccare la moschea di Al-Aqsa durante il Ramadan e manda i piloti a gettare bombe a Gaza, uccidendo bambini palestinesi innocenti?

Le differenti reazioni agli eventi attuali dimostrano l’enorme divario fra i partner potenziali della “coalizione per il cambiamento”. Se Abbas e gli altri membri palestinesi della Knesset devono prendere le distanze dai nuovi partner potenziali, i leader sionisti non possono voltare le spalle ai loro elettori che temono le raffiche di razzi di Hamas e la violenza intercomunitaria nelle città miste.

Sa’ar si è affrettato ad appellarsi a Netanyahu e Gantz affinché rispondano con forza agli attacchi contro i civili israeliani. Ha promesso che il suo partito sosterrà la forte risposta governativa a ripristinare la deterrenza. Anche Lapid ha dichiarato che sosterrà le azioni governative “nella guerra contro i nemici di Israele”. Nessuno dei leader del centro-destra ha detto una sola parola sull’origine del conflitto, né ha offerto una strategia per raggiungere un accordo politico.

L’escalation nei territori occupati è un avvertimento che la “coalizione per il cambiamento” deve innanzitutto cambiare la sua futile politica sul conflitto israelo-palestinese e la sua politica discriminatoria verso la minoranza palestinese in Israele. Gli eventi odierni ci ricordano che nessun governo israeliano può permettersi di ignorare questa questione senza danneggiare la sicurezza dei cittadini israeliani, compromettendo le relazioni con i vicini Paesi arabi e inimicandosi la comunità internazionale.

Il conflitto israelo-palestinese è come una macchina che ha solo due marce: “avanti” e “indietro”. Si deve scegliere fra queste due. Non ci sono “freno a mano” o “in folle”. Se non si fanno progressi, si è condannati ad andare indietro.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.

Akiva Eldar è un giornalista israeliano, ex editorialista e opinionista di Haaretz.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




#NOTINOURNAMES

Siamo un gruppo di giovani ebree ed ebrei italiani.
In questo momento drammatico e di escalation della violenza sentiamo il bisogno di prendere la parola e dire #NotInOurNames, unendoci ai nostri compagni e compagne attivisti in Israele e Palestina e al resto delle comunità ebraiche della diaspora che stanno facendo lo stesso.
Abbiamo già preso posizione come gruppo quest’estate condannando il piano di annessione dei territori della Cisgiordania da parte del governo israeliano (https://www.joimag.it/contro-lannessione-una-voce…/) e il nostro percorso prosegue nella sua formazione e autodefinizione.
-gli sfratti a Sheikh Jarrah e la conseguente repressione della polizia
-gli ultimi episodi repressivi sulla Spianata delle Moschee
-il governo israeliano che pretende di parlare a nome di tutti gli ebrei, in Israele e nella diaspora
-i giochi di potere (di Netanyahu, Hamas, Abu Mazen) che non tengono conto delle vite umane
-i linciaggi e gli atti violenti che si stanno verificando in molte città israeliane
-il bombardamento su Gaza
-il lancio di razzi indiscriminato da parte di Hamas
-la riduzione del dibattito a tifo da stadio
-l’utilizzo strumentale della Shoah sia per criticare che per sostenere Israele
-le posizioni unilaterali e acritiche degli organi comunitari ebraici italiani
-gli eventi di piazza organizzati dalle comunità ebraiche con il sostegno della classe politica italiana, compresi personaggi di estrema destra e razzisti
-la narrazione mediatica degli eventi in Medio Oriente che non tiene conto di una dinamica tra oppressi e oppressori
-qualunque iniziativa e discorso che veicoli rappresentazioni islamofobe e antisemite
La situazione attuale rappresenta l’apice di un sistema di disuguaglianze e ingiustizie che va avanti da troppi anni: l’occupazione israeliana dei Territori Palestinesi e l’embargo contro Gaza incarnano l’intollerabile violenza strutturale che il popolo palestinese subisce quotidianamente. Condanniamo le politiche razziste e di discriminazione nei confronti dei palestinesi.
All’interno delle nostre società riteniamo necessaria ogni forma di solidarietà e mobilitazione, ma ci troviamo spesso in difficoltà. Pur coscienti che antisionismo non sia sinonimo di antisemitismo, osserviamo come un antisemitismo non elaborato, che si riversa più o meno consciamente in alcune delle giuste e legittime critiche alle politiche di Israele, rende alcuni spazi di solidarietà difficili da attraversare. Si tratta di una impasse dalla quale vogliamo uscire, per combattere efficacemente ogni tipo di oppressione.
Aliza Fiorentino
Sara De Benedictis
Daniel Damascelli
Bruno Montesano
Teodoro Cohen
Micol Meghnagi
Michael Blanga-Gubbay
Susanna Montesano
Michael Hazan
Beatrice Hirsch
Giorgia Alazraki
Bianca Ambrosio
Alessandro Fishman
Tali Dello Strologo
Giulia Frova
Sara Missio
Alessandro Dayan
Ruben Attias
Keren Strulovitz
Enrico Campelli
Jonathan Misrachi
Yael Pepe
Claudia Pepe
Daniel Disegni
Sara Buda
Dana Portaleone
Ludovico Tesoro
Viola Gabbai
Edoardo Gabbai
Benjamin Fishman
Lorenzo Foà
Alessandro Foà
Giulio Ambrosio
Gaia Fiorentino
Joy Arbib
Nathan De Paz Habib
Joel Hazan
Tami Fiano
Emanuel Salmoni



Israele ammassa forze militari a ridosso di Gaza mentre continuano gli attacchi aerei: notizie in diretta*

Virginia Pietromarchi e Arwa Ibrahim

13 maggio 2021 – Al Jazeera

Secondo l’autorità sanitaria il bilancio delle vittime a Gaza sale a 87, mentre Israele accresce il numero di soldati e carri armati al confine dell’enclave palestinese sotto assedio.

*Nota redazionale. A oggi sabato sera 15 maggio il bilancio delle vittime e di feriti è il seguente: 140 morti di cui 39 bambini e 950 i feriti.

Giovedì i caccia israeliani hanno continuato ad attaccare gli edifici più alti e altri obiettivi nella Striscia di Gaza mentre Israele ha intensificato il suo dispiegamento di truppe e carri armati vicino all’enclave palestinese assediata.

I palestinesi hanno trascorso il primo giorno della festa religiosa di Eid al-Fitr [la festa al termine del mese di digiuno del Ramadan, ndtr.] sotto incessanti bombardamenti aerei, mentre il ministero della Salute di Gaza ha annunciato che almeno 87 persone, tra cui 18 bambini, sono state uccise dall’inizio dell’offensiva israeliana nella tarda serata di lunedì. Oltre 530 sono rimaste ferite.

Sono stati anche uccisi almeno sei israeliani e un cittadino indiano. L’esercito israeliano ha affermato che centinaia di razzi sono stati lanciati da Gaza verso varie località in Israele e che sono stati aggiunti rinforzi a ridosso della parte orientale dell’enclave.

In diverse città all’interno di Israele si è anche intensificata la violenza degli scontri tra ebrei israeliani e cittadini palestinesi di Israele.

Ecco gli ultimi aggiornamenti

43 minuti fa (16:52 )

Mentre divampa il conflitto israelo-palestinese Biden sollecita la riduzione degli attacchi missilistici.

Con l’intensificarsi del conflitto a Gaza il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha chiesto una de-escalation della violenza in Medio Oriente, affermando di voler assistere ad una significativa riduzione degli attacchi missilistici.

Parlando ai giornalisti alla Casa Bianca, Biden ha anche detto che si aspetta di avere più colloqui con i leader della regione. Ha aggiunto di non aver assistito a una risposta significativamente sproporzionata” da parte di Israele agli attacchi missilistici di Hamas da Gaza.

“La domanda è … in che modo si otterrà una significativa riduzione degli attacchi, in particolare gli attacchi missilistici, che vengono lanciati indiscriminatamente sui centri abitati”, ha detto Biden.

Biden ha parlato mercoledì con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e ha riferito che sono in corso conversazioni tra diplomatici, militari e funzionari dell’intelligence statunitensi con le controparti in Israele, Egitto e Arabia Saudita e altri su una riduzione della violenza.

56 minuti fa (16:39)

Israele chiama a raccolta 9.000 riservisti da schierare al confine di Gaza

Nel corso dei combattimenti con Hamas il ministro della Difesa israeliano ha approvato la mobilitazione di altre 9.000 riservisti e il portavoce militare israeliano riferisce che le forze militari si stanno schierando al confine con la Striscia di Gaza.

Il ministero della Difesa ha affermato che l’ultima mobilitazione approvata dal ministro della Difesa Benny Gantz è stata un “reclutamento eccezionale”.

1 ora fa (16:33)

Gli Stati Uniti si oppongono ad una riunione delle Nazioni Unite, venerdì, su Israele e Gaza

Fonti diplomatiche hanno riferito che gli Stati Uniti si sono opposti alla richiesta di Norvegia, Cina e Tunisia di una riunione allargata del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite venerdì per discutere l’aggravarsi della violenza tra Israele e militanti palestinesi, hanno riferito i diplomatici.

Hanno detto che Washington ha citato gli sforzi diplomatici come il motivo della sua opposizione, dicendo che una discussione del consiglio non sarebbe stata produttiva, ma ha lasciato la porta aperta per un possibile incontro martedì.

1 ora fa (16:27)

“Un incubo”: abitante di Gaza racconta l’attacco aereo israeliano

Yousef Al Hammash, un abitante della Striscia di Gaza, ha detto ad Al Jazeera: “Due giorni fa mi trovavo a casa mia con mia moglie incinta e mia figlia di tre anni, e cercavamo di convincerci che stare a casa fosse sicuro.

Alle 18:00 un drone ha colpito improvvisamente l’edificio. Poi è arrivato un attacco aereo che ha colpito l’appartamento sottostante. Sono dovuto scappare subito perché ci aspettavamo un razzo successivo.

“Non ho potuto prendere niente. Il giorno dopo sono tornato per due minuti per cercare di prendere dei vestiti e delle medicine, ma poi [Israele] ha colpito di nuovo.

“Oggi sono dovuto fuggire ancora una volta dalla casa dei miei nonni con tutta la mia famiglia. Tutto quello che possiamo fare è spostarci da un posto all’altro e cercare di convincerci che questa volta staremo al sicuro. È stato un incubo.”

1 ora fa (16:15)

Panico all’aeroporto Ben Gurion

Utenti dei social media hanno detto che i viaggiatori all’aeroporto principale di Israele, il Ben Gurion, erano spaventati e in preda al panico mentre correvano in cerca di riparo dopo che un razzo sparato da Hamas dalla Striscia di Gaza è caduto vicino all’aeroporto.

2 ore fa (15:47)

La Germania mette in guardia per le proteste mentre il conflitto si intensifica

In Germania le autorità hanno previsto ulteriori proteste per il conflitto tra Israele e palestinesi.

Mercoledì la polizia tedesca ha arrestato in tre città più di una decina di persone sospettate di aver danneggiato una sinagoga, bruciato bandiere israeliane e appiccato un incendio in un sito commemorativo ebraico.

I servizi di sicurezza si aspettano un’intensificazione delle azioni di protesta da parte dei palestinesi in Germania e di frange del movimento di sinistra”, ha riferito un portavoce del ministero dell’Interno.

Alcuni dei sospettati per gli incidenti hanno detto alla polizia che sarebbero stati spinti a lanciare pietre contro una sinagoga dalle violenze israeliane contro i palestinesi.

2 ore fa (15:36)

Il bilancio delle vittime a Gaza raggiunge le 87

Il numero dei palestinesi uccisi nella Striscia di Gaza è ora salito a 87, inclusi 18 bambini e otto donne, ha riferito il ministero della Sanità locale.

Almeno altre 530 persone sono state ferite in seguito al persistere della violenza.

2 ore fa (15:07)

La Francia chiede alla polizia di impedire le proteste filo-palestinesi a Parigi

Il ministero degli Interni francese ha chiesto alla polizia di impedire questo fine settimana a Parigi le proteste filo-palestinesi sul conflitto con Israele temendo il ripetersi degli scontri avvenuti nel 2014 in occasione di un evento analogo.

Gli attivisti hanno fatto un appello alla protesta nel quartiere Barbes, a nord di Parigi, per manifestare contro l’uso della forza da parte di Israele nella Striscia di Gaza in risposta al lancio di razzi da parte del gruppo militante Hamas contro lo Stato ebraico.

“Ho chiesto al capo della polizia di Parigi di impedire le proteste di sabato collegate alle recenti tensioni in Medio Oriente”, ha scritto su Twitter il ministro dell’Interno Gerald Darmanin.

“Nel 2014 ci sono state gravi violazioni dell’l’ordine pubblico”, ha aggiunto, esortando anche i comandanti della polizia in altre parti della Francia a rimanere all’erta sulle manifestazioni.

In una circolare visionata da AFP [Agence France-Presse, agenzia di stampa francese, ndtr.] ha anche esortato i comandanti della polizia locale a garantire la “protezione dei luoghi di culto, delle scuole, dei centri culturali e delle attività economiche della comunità ebraica”.

3 ore fa (14:52)

Il ruolo delle celebrità sul conflitto israelo-palestinese

Un’escalation nel conflitto israelo-palestinese, che ha visto decine di morti in pochi giorni, ha suscitato sconcerto e preoccupazioni internazionali sulle possibilità di una guerra totale.

Il conflitto ha preso il sopravvento nell’agenda delle notizie internazionali e ha portato a richieste internazionali per la riduzione dell’escalation.

Ha anche attirato l’attenzione da parte di personaggi pubblici e celebrità di spicco, tra cui le modelle palestinesi-olandesi Bella e Gigi Hadid, la cantante Rihanna, il premio Nobel pakistano Malala Yousafzai e l’attrice israeliana Gal Gadot.

3 ore fa (14:49)

I cittadini palestinesi di Israele riferiscono di attacchi da parte delle forze di sicurezza israeliane

Riya Al-Sanah, attivista palestinese residente ad Haifa, ha dichiarato ad Al Jazeera: Dobbiamo mettere le cose in chiaro su una cosa. Questa non è una guerra civile. Noi palestinesi nel cosiddetto Israele siamo un popolo colonizzato”.

Questo è iniziato nel 1948 con la creazione dello Stato israeliano e la colonizzazione della Palestina. Quindi, non è corretto descriverla [la violenza inter-comunitaria] come una guerra civile. Questa situazione è la continuazione di un processo iniziato molto tempo fa.

“C’è molta paura tra le comunità palestinesi. Non stiamo solo affrontando una violenza strutturale da parte dello Stato israeliano, delle istituzioni di polizia e dei militari, ma stiamo anche assistendo a bande di sionisti organizzate e armate che vagano per le strade, alla ricerca di palestinesi e li attaccano”, ha detto.

Ieri ad Haifa le bande che vagavano per le strade in cerca di palestinesi da aggredire erano protette dalla polizia. La polizia stessa è entrata nelle case delle persone e le ha assalite in modo feroce e violento”.

3 ore fa (14:25)

Putin e il capo delle Nazioni Unite chiedono la cessazione delle violenze

Durante una videochiamata il presidente russo Vladimir Putin e il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres hanno fatto appello perché si ponga fine ai combattimenti tra Israele e palestinesi, ha dichiarato il Cremlino.

“Alla luce dell’escalation del conflitto israelo-palestinese è stato precisato che l’obiettivo principale è fermare gli atti violenti da entrambe le parti e garantire la sicurezza della popolazione civile”, ha detto il Cremlino in un comunicato.

3 ore fa (14:14)

I cittadini palestinesi di Israele riferiscono di attacchi da parte di gruppi di ebrei

Famiglie palestinesi nella comunità mista arabo-ebraica di Haifa hanno detto ad Al Jazeera in arabo che mercoledì sera gruppi di ebrei israeliani stavano marcando le case della comunità araba della città per poterle identificare.

Nel frattempo, altri hanno usato la forza letale per attaccare gli arabi nelle loro case mentre le forze di polizia stavano a guardare.

“La scorsa notte centinaia se non migliaia di coloni [ebrei israeliani] hanno attaccato i quartieri arabi di Haifa”, ha detto Heba, un’abitante araba di Haifa.

Chiedevano dove abitavano gli arabi. Sotto la protezione delle forze di sicurezza ci hanno attaccato nella nostra casa con pietre. C’erano decine di agenti di polizia, automobili e persino cavalli. Non avevamo nulla con cui proteggerci nelle nostre case”, ha aggiunto.

Heba dice che i coloni andavano in giro contrassegnando in rosso le case arabe. Hanno promesso di tornare per attaccarci”.

Stanno assalendo tutti gli arabi che siano musulmani, cristiani o drusi. Siamo terribilmente spaventati dalla possibilità che tornino e ci aggrediscano nelle nostre case e per le strade. Non abbiamo nulla per proteggerci da questa violenza sponsorizzata dallo Stato.

Nessuno è stato arrestato. La polizia li ha chiaramente protetti. Questi gruppi si sentono protetti dallo Stato, dalla polizia, dai militari e da questa violenza”, dice ad Al Jazeera in arabo.

4 ore fa (13:39)

Israele prevede [di attivare] un aeroporto di emergenza in seguito alle crescenti cancellazioni dei voli

British Airways, Virgin Atlantic, Lufthansa e Iberia hanno cancellato i voli per Tel Aviv poiché i vettori europei si sono aggiunti alle compagnie aeree statunitensi nel sospendere i voli verso Israele che ha attivato un aeroporto di emergenza nell’estremo sud come misura precauzionale in difesa dai missili da Gaza.

“La sicurezza e la protezione dei nostri colleghi e clienti è sempre la nostra massima priorità, e continuiamo a monitorare la situazione da vicino”, ha detto British Airways dopo aver cancellato per giovedì i suoi voli da e per [l’aeroporto di] Ben Gurion.

5 ore fa (12:35)

Delegazione egiziana a Tel Aviv per colloqui sul cessate il fuoco

Funzionari dell’intelligence egiziana hanno dichiarato che una delegazione egiziana è a Tel Aviv per colloqui con funzionari israeliani come parte degli sforzi per negoziare un cessate il fuoco nell’escalation del conflitto con Gaza.

I due funzionari hanno parlato sotto anonimato perché non erano autorizzati a informare i media. Essi hanno affermato che la stessa delegazione ha incontrato prima i funzionari di Hamas nella Striscia di Gaza ed è entrata in Israele via terra. L’Egitto ha svolto in passato un ruolo di mediazione tra le parti.

6 ore fa (11:48)

Missile a lungo raggio lanciato verso l’aeroporto Ramon: Hamas

Il portavoce delle Brigate al-Qassam di Hamas ha dichiarato che l’ala armata ha lanciato per la prima volta un razzo verso l’aeroporto di Ramon, a sud del Paese.

lanciato verso l’aeroporto di Ramon, a circa 220 km da Gaza”, ha detto Abu Obeida.

Il razzo prende il nome da Yahya Ayyash, uno dei principali miliziani di Hamas assassinato da Israele nel 1996.

Abu Obeida ha definito il lancio del razzo come parte della risposta delle Brigate al-Qassam all’uccisione dei suoi alti comandanti.

6 ore fa (11:24)

Il primo ministro Johnson afferma che il Regno Unito vuole con urgenza una de-escalation

Il primo ministro Boris Johnson ha detto che la Gran Bretagna vuole vedere un’immediata riduzione della violenza in Israele.

Ovviamente noi nel Regno Unito siamo molto tristi nell’assistere a ciò che sta succedendo e al ciclo di violenze che sembra ora essere in atto”, ha detto Johnson ai giornalisti.

“Penso che sia importante interrompere questo ciclo e porre fine al monopolio della vendetta, e penso che ciò che tutti vogliono vedere sia una immediata, immediata de-escalation”.

6 ore fa (11:21)

Egitto e Russia sostengono che Israele debbano cessare gli attacchi a Gaza

Il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry e il suo omologo russo Sergey Lavrov hanno convenuto che Israele deve cessare gli attacchi contro la Striscia di Gaza.

Secondo una dichiarazione rilasciata dal ministero degli Esteri egiziano, in una telefonata i due massimi diplomatici hanno ribadito che Israele dovrebbe fermare lo spargimento di sangue.

6 ore fa (11:12)

“Le nostre armi sono per il bene della nostra terra, per difendere il nostro popolo”: Hamas

L’ala militare di Hamas, le Brigate al-Qassam, ha avvertito Israele che “non ci sono linee rosse se Al-Aqsa viene violata”.

Il portavoce Abu Obeida ha detto che [prendere] la decisione di bombardare Dimona, Tel Aviv e altre città israeliane “è più facile per noi che bere un bicchier d’acqua”.

“Rassicuriamo la nostra gente che abbiamo molti razzi nel nostro arsenale, e i nostri attacchi missilistici hanno rivelato la fragilità del nemico”, ha detto.

Mentre Israele sta preparando le truppe di terra a est della Striscia di Gaza, Obeida ha detto che l’esercito israeliano si pentirà molto nel caso effettuasse un’invasione via terra.

“Le nostre armi sono per la nostra terra, per la difesa del nostro popolo e per la vittoria nella difesa dei nostri luoghi sacri”, ha detto il portavoce militare.

“Ciò che distingue questa battaglia è la solidarietà dei palestinesi in tutto il paese e il loro sostegno unanime alla resistenza”.

8 ore fa (09:56)

Lufthansa sospende i voli per Tel Aviv fino a venerdì

La compagnia aerea tedesca Lufthansa ha dichiarato che sospenderà tutti i voli per Tel Aviv fino a venerdì 14 maggio.

“Lufthansa sta monitorando da vicino l’andamento della situazione in Israele e continua a mantenere uno stretto scambio con le autorità, i fornitori di servizi di sicurezza e il nostro personale sul campo”, si legge in una dichiarazione dell’azienda.

Lufthansa ha dichiarato che i voli per Israele riprenderanno sabato 15 maggio.

8 ore fa (09:43)

Israele organizza “consistenti rinforzi” per sedare la violenza interna

Il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz ha ordinato un “consistente rinforzo” delle forze di sicurezza per aiutare a contenere i letali disordini interni che hanno sconvolto le comunità miste ebraiche e arabe in tutto il Paese.

“Siamo in una situazione di emergenza a causa delle violenze interne e ora è necessario un consistente rinforzo delle forze sul campo, che devono essere inviate immediatamente per far rispettare la legge e l’ordine”, ha detto.

Ha specificato che le forze saranno costituite dai riservisti della polizia di frontiera israeliana, forze che operano in gran parte nella Cisgiordania occupata.

8 ore fa (09:28)

L’esercito israeliano provoca 35 feriti nella Cisgiordania occupata

Nida Ibrahim di Al Jazeera riferisce che almeno 35 palestinesi sono rimasti feriti negli scontri con l’esercito israeliano in varie località della Cisgiordania occupata.

Ibrahim ha detto che la maggior parte delle persone è stata colpita da proiettili veri e che i ferimenti hanno avuto luogo prevalentemente nella città di Hebron, nel sud della Cisgiordania.

“C’è stato un numero particolarmente alto di feriti in seguito ad incendi, il che ci mostra che la situazione potrebbe aggravarsi rapidamente”, ha aggiunto.

9 ore fa (09:01)

Il bilancio delle vittime a Gaza sale a 83

Il numero dei palestinesi uccisi nella Striscia di Gaza è ora salito a 83, inclusi 17 bambini, ha detto il ministero della Sanità locale. Più di altri 480 sono rimasti feriti a causa del ripetersi delle violenze.

9 ore fa (08:31)

1.600 razzi lanciati da Gaza: esercito israeliano

Secondo l’esercito israeliano, da quando all’inizio di questa settimana è iniziata l’ultima fiammata di combattimenti, più di 1.600 razzi sono stati lanciati da Gaza contro Israele da quando è scaturita l’ultima fiammata di combattimenti all’inizio di questa settimana.

Circa 400 razzi sono caduti su Gaza, ha detto il portavoce Jonathan Conricus. Il tasso di successo del sistema di difesa aerea israeliano Iron Dome nell’intercettazione dei razzi continua a raggiungere una media di circa il 90%, ha aggiunto.

L’esercito israeliano ha attaccato circa 600 obiettivi nella Striscia di Gaza, compresa la produzione di razzi e le strutture di stoccaggio. È stato anche preso di mira un tunnel che, secondo Conricus, è stato in parte utilizzato per nascondere i combattenti ed è stato costruito sotto una scuola in un’area sovrappopolata.

L’esercito israeliano ha anche affermato che presenterà alla dirigenza politica un piano per un’operazione di terra, ha riferito per Al Jazeera Harry Fawcett in un rapporto dal sud di Israele, vicino al confine con la Striscia di Gaza.

“Ciò non significa che [il piano] andrà avanti poiché un’offensiva di terra a Gaza sarebbe un enorme passo di escalation che comporta un’enorme quantità di rischi”, ha detto.

Fawcett ha riferito che nel frattempo altri razzi sono stati lanciati da Gaza nel corso della notte, aggiungendo che alcuni rapporti hanno rivelato che altri bombardamenti arriveranno durante il giorno.

“Quindi il carattere di grave evoluzione dei fatti rimane per lo più invariato.”

9 ore fa (08:27)

Nuovo raid aereo israeliano sulla città di Rafah

La città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, è stata colpita da un nuovo raid aereo israeliano, mentre una raffica di razzi è stata lanciata da Gaza verso le città israeliane vicine all’enclave, ha riferito Nida Ibrahim di Al Jazeera in un rapporto da Ramallah.

“Gaza è un pezzo di terra relativamente piccolo con due milioni di palestinesi – una delle aree a più elevata densità di popolazione del mondo, quindi potete immaginare l’impatto su questi obiettivi”, ha detto Ibrahim.

È anche una zona così chiusa che le possibilità di colpire i civili diventano molto alte, come i palestinesi possono testimoniare sulla base delle guerre precedenti”, ha aggiunto.

10 ore fa (07:45)

Israele distrugge la terza torre di Gaza

10 ore fa (07:26)

PODCAST: The take [Il furto, ndtr.] – A Sheikh Jarrah, i palestinesi affrontano il futuro della città

Quelle che erano iniziate come proteste contro le espulsioni forzate in un quartiere palestinese si sono trasformate in una repressione israeliana che ha travolto gran parte della Gerusalemme est occupata, compresi i luoghi sacri come la moschea di Al-Aqsa.

Ma Sheikh Jarrah è solo un quartiere e le evacuazioni sono in corso nella totalità dei territori occupati.

Man mano che si estendono le ripercussioni di Sheikh Jarrah, come influenzeranno il futuro dei palestinesi a Gerusalemme?

10 ore fa (07:23)

“Fate un passo indietro”: il ministro britannico

Il ministro britannico per il Medio Oriente ha esortato “entrambe le parti a fare un passo indietro” dal limite di quella che ha descritto come una terribile escalation.

“Abbiamo visto, tuttavia, un livello senza precedenti di attacchi missilistici contro Israele”, ha detto a Sky News James Cleverly, un giovane ministro degli Esteri che si occupa di Medio Oriente e Nord Africa. “Vogliamo che cessino gli attacchi missilistici”.

10 ore fa (07:23)

Prepararsi a “scenari multipli”: esercito israeliano

Il portavoce militare israeliano Jonathan Conricus ha riferito che gli attacchi a Gaza continueranno mentre Israele si prepara a “scenari multipli”.

“Abbiamo unità di terra che sono pronte e che si trovano in varie fasi della preparazione per le operazioni di terra”, ha detto ai giornalisti giovedì.

11 ore fa (06:16)

Preghiere dell’Eid

Centinaia di fedeli hanno assistito alle preghiere dell’Eid nel complesso della moschea di Al-Aqsa nella Città Vecchia di Gerusalemme, il terzo luogo più sacro dell’Islam.

“Noi a Gaza e in tutta la Palestina non proviamo gioia per questo Eid, a causa dell’attuale devastante aggressione compiuta dalle forze di occupazione su Gaza e su tutta la Palestina in generale”, ha detto Moe’n Ahmad, abitante di Gaza.

I leader religiosi hanno chiesto la tregua nel giorno che segna la fine del Ramadan per i musulmani di tutto il mondo.

12 ore fa (06:00)

La Turchia invita i musulmani a prendere una posizione chiara su Gaza

I Paesi musulmani devono mostrare una posizione unita e chiara sul conflitto di Israele con il movimento di Hamas a Gaza, ha detto il vicepresidente turco Fuat Oktay mentre criticava le potenze mondiali per aver condannato la violenza senza agire.

“Quello che desideriamo è che vengano prese misure attive”, ha detto Oktay ai giornalisti dopo le preghiere mattutine che segnano la fine del Ramadan.

Ci sono decisioni prese ripetutamente alle Nazioni Unite, ci sono condanne. Ma sfortunatamente non è stato ottenuto alcun risultato, perché non viene presa una posizione chiara“.

12 ore fa (05:58)

I razzi determinano il dirottamento dei voli da Tel Aviv

Le autorità aeroportuali hanno annunciato che tutti i voli passeggeri per l’aeroporto internazionale di Israele Ben Gurion, vicino a Tel Aviv, sono stati dirottati verso un aeroporto meridionale a causa del persistente lancio di razzi da Gaza.

Hanno detto che dalla mattina di giovedì è in corso la programmazione dell’atterraggio degli aerei passeggeri all’aeroporto di Ramon, vicino alla città turistica meridionale di Eilat.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)