Gaza dichiara il disastro da COVID-19 con un sistema sanitario prossimo al collasso

Walid Mahmoud

23 novembre 2020 – ALJAZEERA

Con la mancanza di ventilatori, DPI e medicine, le autorità affermano che l’assedio di Israele rappresenta una “condanna a morte” per i malati di coronavirus di Gaza.

Gaza City – Le autorità sanitarie avvertono che un rapido incremento delle infezioni da coronavirus nella Striscia di Gaza ha raggiunto un “livello catastrofico” e che il sistema sanitario dell’enclave palestinese assediata rischia l’imminente collasso.

Il COVID si sta diffondendo in modo esponenziale a Gaza – uno dei luoghi più affollati della Terra – soprattutto nei campi profughi, e il ministero della Salute ha lanciato l’allarme sulle “disastrose” conseguenze.

Il dottor Fathi Abuwarda, consigliere del ministero della Salute, ha detto ad Al Jazeera che il recente picco di infezioni potrebbe presto diventare incontrollabile, con centinaia di persone che contraggono il virus ogni giorno e nessun posto dove curarle.

“Siamo entrati nella fase della catastrofe e se continuiamo in questo modo, il sistema sanitario crollerà“, ha detto Abuwarda. “La soluzione migliore è un blocco totale per 14 giorni, che consentirebbe alle squadre mediche di controllare e combattere il virus, tendendo aperti solo i negozi di alimentari“.

Abuwarda afferma che il ministero della Salute ha destinato l’ospedale europeo di Gaza per la cura dei pazienti da COVID-19, ma che la capacità dell’ospedale è insufficiente, dato che sono già occupati 300 dei suoi 360 posti letto.

Nella Striscia di Gaza – ha detto – ci sono circa 500 posti letto sparsi per l’enclave costiera…. Ma considerando che a Gaza per ogni chilometro quadrato vivono circa 5.000 palestinesi, questi ospedali non sono in grado di ospitare tutti i casi”.

Anche la mancanza di kit per il test del coronavirus e di dispositivi di protezione individuale (DPI) complica la lotta, poiché Israele continua a imporre restrizioni sulle forniture sanitarie che raggiungono Gaza.

Gaza si trova da più di 13 anni sotto uno stretto assedio di terra, aria e mare da parte di Israele ed Egitto, tagliata fuori dal resto del mondo. Le iniziali speranze che l’isolamento di Gaza l’avrebbe risparmiata dalla pandemia sono state deluse, dal momento che la sovrappopolata regione costiera si trova in grave pericolo a causa di un sistema sanitario fatiscente che non è in grado di gestire l’assalto dei pazienti.

Al 24 agosto nella Striscia di Gaza solo quattro palestinesi risultavano stati infettati dal virus. Fino a lunedì scorso 14.768 persone hanno contratto il COVID-19, con 65 morti. Il numero di casi critici si attesta a 79.

“Una catastrofe imminente”

Le autorità affermano che l’assedio di Israele è una condanna a morte per i malati di COVID-19 di Gaza.

“Nella Striscia di Gaza mancano macchinari per la generazione di ossigeno, ventilatori, equipaggiamento protettivo e materiali per l’igiene”, ha detto il dott. Basim Naim, responsabile delle relazioni internazionali nel governo guidato da Hamas.

“Il 32% dei farmaci di base e il 62% dei farmaci e dei materiali per i laboratori medici non sono disponibili”.

L’ex ministro della Salute ha chiesto alla comunità internazionale e alle agenzie umanitarie di intervenire immediatamente per fermare la “catastrofe imminente”, accusando Israele di limitare l’ingresso delle forniture sanitarie con “il pretesto della sicurezza”.

“La leadership di Hamas non accetterà la morte del popolo palestinese né per fame né consentendone la morte per la pandemia”, ha detto Naim. “Chiediamo alla comunità internazionale di fornirci le risorse finanziarie indispensabili per acquistare tutti gli strumenti necessari per combattere il virus”.

Salama Marouf, a capo dell’ufficio informazioni del governo, ha sottolineato l’esigenza di portare ventilatori salvavita a Gaza. Ha aggiunto che “tutte le misure sono ora sul tavolo, incluso un blocco completo” per tenere i contagi sotto controllo.

Le autorità affermano che, nonostante la mediazione egiziana, Israele si rifiuta ancora di consentire l’ingresso a Gaza dei ventilatori, subordinando la concessione di tale autorizzazione alla restituzione dei corpi dei soldati trattenuti da Hamas dalla guerra israeliana contro Gaza del 2014.

La Striscia di Gaza – un’area costiera lunga 100 km che ospita oltre 2,1 milioni di palestinesi – è stata una delle ultime regioni al mondo ad essere colpita dal COVID-19.

Ma molte persone qui hanno ignorato il consiglio di indossare le mascherine, hanno tenuto grandi feste di matrimonio e proteste contro l’occupazione israeliana e continuano ad interagire nel corso di riunioni di massa.

Abuwarda ha evidenziato lo “scarso impegno” dei palestinesi quando si tratta di indossare le mascherine, di praticare il distanziamento e un’igiene adeguata. “Dobbiamo contare sulla consapevolezza delle persone per fermare la diffusione del virus”, ha detto.

Misure drastiche

L’afflusso di pazienti affetti da coronavirus negli ospedali appropriati minaccia anche quelli destinati ad altre patologie.

“Questi ospedali non sono del tutto preparati per affrontare i pazienti da COVID-19 e ciò avrà un impatto negativo sul servizio sanitario fornito ai pazienti normali”, ha detto Naim.

Molti palestinesi erano favorevoli a che il governo adottasse misure drastiche per frenare la rapida diffusione del coronavirus.

Ma alcuni responsabili affermano di non poter imporre un blocco generale poiché i bisogni minimi essenziali delle persone rimarrebbero insoddisfatti a causa del deterioramento della situazione economica.

Ahmad Abu Mustapha, 35 anni, proprietario di un negozio di apparecchiature elettriche, chiede al governo di applicare un blocco totale per “consentire di salvare vite umane”, anche se ciò imporrebbe sofferenze sul piano economico.

Temiamo per noi stessi, per le nostre famiglie e per i bambini. Vogliamo un blocco totale anche se questo ci danneggierebbe economicamente”, ha detto Mustapha.

Il giornalista Hassan Islayih, 32 anni, concorda sulla necessità di interrompere gli spostamenti all’interno della Striscia di Gaza, sottolineando che “la presa di coscienza della gente non è come dovrebbe essere”.

Oggi – sostiene – la situazione è pericolosa. Alcune persone perderanno il lavoro, il che è triste, ma non c’è altra soluzione che un blocco totale”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Militari israeliani uccidono ufficiale dell’Autorità Nazionale Palestinese e sparano a un insegnante

Tamara Nassar

9 novembre 2020 – The Electronic Intifada

Domenica scorsa le forze di occupazione israeliane hanno sparato ad un palestinese all’ingresso del campo profughi di al-Fawwar, vicino alla città di Hebron in Cisgiordania.

L’esercito israeliano ha affermato che quando hanno aperto il fuoco Ali Suleiman Amro, 40 anni, stava tentando di aggredirli con un coltello.

Come in molti casi precedenti di uccisione di un presunto aggressore palestinese, nel corso dell’accaduto nessun soldato israeliano è rimasto ferito.

L’esercito ha dichiarato che Amro è stato ricoverato in ospedale, ma i media israeliani hanno riferito che le sue condizioni erano ignote.

Dei testimoni palestinesi hanno filmato la sparatoria dal loro veicolo.

È possibile scorgere Amro mentre viene circondato da almeno tre soldati quando si sentono due colpi di arma da fuoco.

I media palestinesi hanno riferito che Amro era un insegnante di una scuola superiore nella città di Dura, vicino a Hebron, nella Cisgiordania occupata.

Questo è il secondo episodio nel corso di questo mese in cui i soldati israeliani sparano a dei palestinesi asserendo di essere stati attaccati.

Il precedente è stato fatale.

Ucciso un capitano dell’Autorità Nazionale Palestinese

Mercoledì scorso dei militari israeliani hanno sparato e ucciso un uomo palestinese vicino al posto di blocco militare di Huwwara, principale punto di transito in entrata e in uscita della città di Nablus, in Cisgiordania.

L’uomo è stato identificato come Bilal Adnan Rawajba, 29 anni. Era un consulente legale con il grado di capitano delle forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese.

L’esercito israeliano ha affermato che Rawajba aveva aperto il fuoco contro i militari israeliani “mentre usciva dalla città“.

L’esercito ha affermato che i soldati lo hanno “neutralizzato”.

La famiglia di Rawajba avrebbe sostenuto che egli si stava recando per lavoro nella città di Tubas, nel nord della Cisgiordania.

Dei palestinesi in un veicolo vicino hanno filmato la sparatoria. Il video diffuso sui social media mostra un soldato israeliano che spara più volte contro l’auto di Rawajba a distanza ravvicinata.

I filmati di sorveglianza diffusi dai media locali mostrano un’auto bianca che si avvicina ad una postazione militare dove si trovano due soldati. I soldati inizialmente correndo si allontanano  dal veicolo.

Da una barriera di cemento sembra levarsi della polvere, probabilmente originata da un colpo di arma da fuoco. In nessuno dei due video è visibile Rawajba o qualsiasi arma potesse avere con sé.

I media locali hanno anche diffuso un’immagine grafica che mostra Rawajba ucciso all’interno della sua auto.

Nessun soldato israeliano è rimasto ferito durante il fatto.

“Coordinamento della sicurezza”

Mercoledì l’Organizzazione per la liberazione della Palestina in un tweet ha ritenuto Israele “pienamente responsabile” di quella che ha definito “l’esecuzione extragiudiziale” di Rawajba.

L’OLP ha anche accusato Israele di “aver impedito agli equipaggi delle ambulanze di raggiungerlo, lasciandolo morire dissanguato”.

“Chiediamo alla Corte Penale Internazionale di accelerare le sue indagini”, ha aggiunto.

A maggio l’Autorità Nazionale Palestinese ha sospeso il suo coordinamento “civile” e relativo alla “sicurezza” con Israele per protestare contro i piani israeliani di annettere vaste aree della Cisgiordania occupata.

Ciò si è ripercosso sui pazienti palestinesi che richiedono cure mediche fuori Gaza, i quali si affidano al coordinamento dell’ANP con l’esercito israeliano per ottenere i permessi.

L’ Autorità Nazionale Palestinese ha anche rifiutato di accettare le entrate fiscali che Israele raccoglie dai palestinesi per conto della stessa ANP. Ciò per protestare contro la sottrazione da parte di Israele del denaro pari agli importi che l’ANP versa alle famiglie dei prigionieri palestinesi.

Questo ha danneggiato i funzionari dell’ANP come Rawajba, che a causa della controversia ricevono solo metà dei loro stipendi.

Il quotidiano di Tel Aviv Haaretz [quotidiano israeliano di orientamento progressista, ndtr.] ha affermato che la sospensione del coordinamento ha “danneggiato l’apparato di sicurezza palestinese più di quanto abbia fatto leva su Israele”.

La resistenza palestinese e le fazioni politiche Hamas e Jihad islamica hanno entrambe condannato l’uccisione di Rawajba.

Il partito politico di sinistra Fronte popolare per la liberazione della Palestina ha definito l’uccisione di Rawajba all’interno della sua auto “un altro crimine di guerra sionista da aggiungere all’elenco dei crimini contro il nostro popolo”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Le crescenti richieste di sostituire la leadership palestinese

27 ottobre 2020 – Middle East Monitor

I palestinesi sono ancora sorpresi del ripetersi periodico di appelli e dichiarazioni locali, regionali e internazionali che chiedono la “sostituzione” della leadership palestinese, in concomitanza con l’attuale verificarsi di un processo di normalizzazione, presupposto all’introduzione di una leadership che accetti e condivida questo percorso. I palestinesi sono ancora più sorpresi nel momento in cui queste richieste vengono fatte da consessi e figure che fino a poco tempo fa facevano parte dei circoli vicini alla leadership palestinese e con cui hanno lavorato per molti anni.

L’ex primo ministro britannico Tony Blair ha richiesto la sostituzione dell’attuale leadership palestinese dicendo: “Dobbiamo cercare di portare avanti una generazione di politici palestinesi che capiscano che l’unico modo per ottenere [la costituzione di] uno Stato palestinese è mediante un’intesa onesta e profonda tra popoli, tra culture e non solo [attraverso] un negoziato sui territori”.

Nel frattempo è stata erroneamente attribuita all’ambasciatore americano in Israele David Friedman una dichiarazione secondo cui gli Stati Uniti stavano valutando la possibilità di sostituire il presidente palestinese Mahmoud Abbas con il leader cacciato da Fatah, Muhammad Dahlan [espulso nel 2011 dal partito in seguito alle accuse di Mahmoud Abbas di aver ucciso Arafat avvelenandolo e per corruzione, ndtr.].

Tale dichiarazione è stata successivamente corretta con le parole: “Non abbiamo alcun desiderio di inventarci la leadership palestinese” e “la leadership palestinese non sta servendo adeguatamente il popolo”.

Quanto al colonnello Dror Shalom, a capo della divisione di ricerca dell’intelligence militare dell’esercito israeliano, egli ha affermato che ci sono due principali pericoli per Israele, uno dei quali è il crollo dell’Autorità Nazionale Palestinese, perché la sua posizione è diventata un indicatore strategico, soprattutto nella fase successiva ad Abbas, in cui dovremo affrontare una bomba a orologeria.

Nel frattempo, in seguito alla firma degli accordi di normalizzazione con Israele, gli organi di informazione sauditi ed emiratini hanno lanciato un ampio attacco contro l’Autorità Nazionale Palestinese e il suo presidente e hanno pubblicato articoli e rapporti che chiedono la fine dell’era di Abbas coinvolgendo Dahlan, loro alleato.

È chiaro che i rapidi sviluppi nell’agone palestinese possono minare la stabilità dell’Autorità Nazionale Palestinese, soprattutto con l’intensificarsi delle dichiarazioni sulla possibile defezione del presidente Abbas, per motivi di salute o politici. Questo soprattutto con la diffusione in corso del coronavirus in Cisgiordania, con le crescenti pressioni degli ultimi mesi sull’Autorità Nazionale Palestinese e mentre l’opinione pubblica palestinese si rende conto dell’entità delle difficoltà da affrontare.

Resta la domanda sulla possibilità che Abbas accetti di dimettersi dal suo incarico se si terranno le elezioni presidenziali – cosa su cui ha tenuto la bocca cucita – con l’accrescersi degli inviti dall’estero perché ponga fine al suo mandato e lasci l’incarico. Ma chi potrebbe succedergli?

Sebbene Israele sappia che Abbas ha molti difetti, ci sono buone ragioni per cui tema il giorno in cui non sarà più al comando dell’Autorità Nazionale Palestinese. È vero che ha interrotto il coordinamento sulla sicurezza e ha tagliato i rapporti politici, ma non ha ancora rotto tutti i legami.

Il capo del servizio di sicurezza israeliano Shin Bet Nadav Argaman ha messo in guardia riguardo l’indebolimento della posizione di Abbas, il rafforzamento di Hamas in Cisgiordania e il declino della popolarità nell’agone palestinese di quelli che ha definito “moderati”.

Esiste una serie di scenari essenziali per il dopo Abbas: il primo, ottimista, prevede che il potere sia trasferito con tranquillità e che il prossimo presidente segua l’approccio di Abbas, attuando le sue politiche. Ciò eviterebbe la violenza e si concentrerebbe sul versante diplomatico.

Il secondo scenario, rappresentato dal caos, vedrebbe la presa del controllo della disputa da parte delle fazioni di Fatah più preoccupanti [per Israele]. Ciò potrebbe consentire ad Hamas di imporre la sua autorità sulla Cisgiordania, nonostante l’organizzazione venga continuamente perseguitata da Israele per cui in Cisgiordania farebbero la loro ricomparsa gli attacchi armati.

Per quanto riguarda il terzo scenario, sarebbe una via di mezzo, con un periodo di transizione in cui guiderebbe l’ANP una figura debole, ma con l’approvazione di tutte le parti fino al momento delle elezioni generali.

Gli israeliani considerano l’era di Abbas solo dal punto di vista della sicurezza. A differenza del suo predecessore Yasser Arafat, egli si è opposto alle operazioni armate e il suo governo ha visto il coordinamento israelo-palestinese sulla sicurezza raggiungere uno stadio molto avanzato. Esso comprendeva il coordinamento tra le forze di sicurezza di entrambe le parti, l’amministrazione civile [organo militare che governa i territori palestinesi occupati, ndtr.] e l’esercito israeliano, e il risultato è stato salvaguardare la vita degli israeliani. Israele potrebbe non trovare un presidente che cooperi più di Abbas, in quanto egli ha “fornito i benefici” che Israele voleva.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale del Middle East Monitor

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




La tecnologia israeliana scopre un tunnel d’attacco a Gaza e mette Hamas a dura prova

Ben Caspit

23 ottobre 2020 – AL-MONITOR

L’esercito israeliano sa che la scoperta di un grosso tunnel terroristico di Hamas non significa che l’organizzazione abbandonerà i suoi tentativi di attaccare Israele.

*Nota redazionale: nell’articolo di Ben Caspit sono riportate alcune affermazioni che non condividiamo anche se il contenuto è interessante e degno di essere pubblicato.

Questa settimana è iniziata con una intensa attività militare israeliana lungo tutta la barriera di confine con la Striscia di Gaza, caratterizzata da un ammassamento di truppe, dispiegamento di carri armati Merkava Mark 4 e allestimento di punti di raduno e di stazionamento provvisori. Le IDF [forze armate israeliane, ndtr.] hanno anche chiuso le strade al traffico civile e hanno ordinato ai lavoratori agricoli di stare lontano dai campi lungo il confine. Chiaramente qualcosa era in corso sotto terra, anche se una calma carica di tensione aleggiava sopra. Il 20 ottobre, il segreto è stato svelato con l’annuncio da parte delle IDF che avevano identificato un tunnel di attacco di Hamas scavato da Gaza che si estendeva per alcune decine di metri in Israele. “Un tunnel terroristico molto, molto importante”, come è stato definito il giorno dopo dal tenente generale delle IDF Aviv Kochavi.

Il tunnel non è solo importante e di natura strategica, è anche il primo risultato conosciuto della massiccia barriera sotterranea che Israele ha scavato lungo il confine di Gaza fino a una profondità di diverse decine di metri. La “barriera”, come viene definita, è un’innovazione israeliana unica e altamente complessa progettata per porre fine all’arma dei tunnel strategici sviluppata e utilizzata da Hamas negli ultimi anni, dopo essersi resa conto che non sarebbe stata in grado di prevalere contro le IDF sulla terra, nell’aria o sul mare. Con la recente realizzazione quasi completa della barriera, Hamas è stata privata anche di questo teatro militare sotterraneo.

Il nuovo tunnel è stato scoperto dalla sofisticata tecnologia dei sensori montati sulla barriera in profondità nel sottosuolo. Il muro – del costo di centinaia di milioni di dollari – è dotato di strumenti tecnologici capaci di rilevare movimenti, perforazioni e qualsiasi tipo di lavoro svolto sotto terra. Il tunnel sembra essere stato rilevato il 18 ottobre. Il giorno successivo, è stata introdotta una potente attrezzatura di perforazione ed è stato trovato il tunnel che attraversava il confine e si avvicinava molto alla barriera costruita sul lato israeliano. “Il tunnel più importante che abbiamo visto fino ad oggi, sia in termini di profondità che di infrastrutture”, ha detto sotto anonimato ad Al-Monitor una fonte militare israeliana di alto livello.

Le IDF hanno rifiutato di rivelare ulteriori dettagli, ma si ritiene che Hamas abbia investito pesantemente in un tunnel più profondo e più ampio di quelli scavati in precedenza, dotandolo di elettricità, linee telefoniche e altri strumenti che lo hanno trasformato in un’arma strategica con un potenziale particolarmente letale, adatto all’invio di terroristi in Israele per organizzare attacchi e rapimenti. Hamas ha impiegato per lo scavo del tunnel dozzine di operai che hanno lavorato in gran segreto con turni di 24 ore su 24, 7 giorni su 7. “Il danno ad Hamas derivante dalla scoperta di questo tunnel è notevole”, ha detto in anonimato ad Al-Monitor un’importante fonte della sicurezza israeliana. “Denaro, energia, lavoro e tempo che avrebbero potuto essere investiti nella cura degli abitanti impoveriti di Gaza”.

Israele e Hamas stanno ora giocando al gatto con il topo. Hamas non ha rinunciato del tutto all’idea del tunnel, ma ha iniziato a predisporre delle alternative, come alianti che esplodono, velivoli Buckeye a motore per parapendio e altri mezzi per attraversare la recinzione che Israele ha costruito sulla terra lungo il confine.

Contemporaneamente Hamas continua a esaminare i punti deboli e i limiti della barriera. “Cercheranno di scavare in profondità dove pensano che la barriera non arrivi”, ha riferito ad Al-Monitor un alto ufficiale delle IDF in incognito. Tuttavia questo tipo di risposta non appare ovvia. In effetti scavare così in profondità sarebbe probabilmente estremamente difficile – per non dire un’impresa impossibile, data la posizione della falda acquifera costiera, il bacino idrico più importante di Israele situato nella regione a una profondità relativamente bassa.

Tuttavia, entrambe le parti si rendono conto che la barriera, proprio come il sistema antimissile Iron Dome, fornisce a Israele una difesa efficace ma non infallibile. Proprio come gli intercettori Iron Dome non possono garantire che tutti i missili lanciati da Gaza contro Israele siano deviati, così la barriera non è un ostacolo totalmente impenetrabile. I palestinesi continueranno a cercare modi per aggirarlo, soprattutto perché non hanno altra scelta.

Dopo che le IDF hanno individuato il tunnel e iniziato a esaminarlo, sia Hamas che Israele hanno precisato che il fatto non avrebbe compromesso i tentativi in corso di organizzare un cessate il fuoco a lungo termine tra le parti e mantenere la calma preservata negli ultimi mesi lungo il confine. Queste dichiarazioni si sono volatilizzate davanti a due razzi lanciati da Gaza verso la città di Ashkelon nella tarda giornata del 22 ottobre. Uno è stato intercettato dall’Iron Dome, l’altro è caduto su una zona disabitata. Qualche ora dopo l’aviazione israeliana ha bombardato obiettivi di Hamas a Gaza, in quello che è diventato un ciclo quasi di routine di lanci occasionali di razzi e rappresaglie. Tuttavia entrambe le parti sanno che se anche un solo razzo attraversasse lo scudo dell’intercettore e provocasse vittime israeliane, tutti gli accordi salterebbero.

Nel frattempo, anche se indirettamente negozia con Israele un cessate il fuoco, Hamas continua ad armarsi. Israele continua a seguire con grande preoccupazione i tentativi dell’organizzazione di migliorare la propria capacità militare nonostante sia isolata e sotto assedio sia da parte di Israele che dell’Egitto. “È proprio questo fatto che incoraggia gli ingegneri di Hamas a continuare a provare”, ha detto ad Al-Monitor un’altra importante fonte di sicurezza israeliana anonima. “A differenza di Hezbollah, che ottiene tutto pronto dall’Iran, Hamas non ha queste possibilità e deve prendere la via difficile”. Israele sta monitorando da vicino i nuovi test missilistici di Hamas lungo la costa di Gaza e i continui tentativi del gruppo islamista di ottenere capacità navali e sviluppare esplosivi evoluti in grado di violare la barriera di confine.

Allo stesso tempo, le IDF continuano a sostenere pienamente gli sforzi per migliorare l’economia di Gaza e sviluppare progetti di infrastrutture civili. Sostengono inoltre un incremento del numero di abitanti di Gaza autorizzati a lavorare in Israele nel tentativo di affrontare la dilagante disoccupazione dell’enclave, anche se devono affrontare un difficile dilemma sul consentire al Qatar di continuare a fornire ad Hamas massicce forniture di denaro per garantirne la sopravvivenza. “Sappiamo che parte del cemento che va a Gaza [per l’edilizia civile] viene utilizzato per costruire tunnel”, ha detto la seconda fonte della sicurezza israeliana. “Ancora non abbiamo su questo un controllo adeguato. Sappiamo che il tunnel scoperto questa settimana non è l’ultimo, ma speriamo che il miglioramento economico nella Striscia di Gaza migliori la stabilità. Le persone che lavorano per vivere, non scavano tunnel”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Aerei da guerra israeliani attaccano le posizioni di Hamas nella Striscia di Gaza

Al-Jazeera e agenzie

21 ottobre 2020 – Al Jazeera

Fonti palestinesi dicono che l’esercito israeliano ha colpito due aree agricole a Khan Younis e Deir al-Balah.

Secondo l’esercito israeliano aerei da guerra israeliani hanno effettuato un’incursione colpendo posizioni di Hamas nella Striscia di Gaza assediata.

Il portavoce dell’esercito israeliano Avichay Adraee ha detto su Twitter che le incursioni di martedì hanno colpito un presunto tunnel dell’organizzazione palestinese Hamas, aggiungendo che l’attacco è stato effettuato in risposta al lancio di razzi da Gaza.

Tuttavia, testimoni oculari palestinesi affermano che due aree agricole a Khan Younis e Deir al-Balah sono state colpite da tre missili.

In precedenza, l’esercito israeliano aveva detto che un razzo lanciato dalla zona di Khan Younis era stato “intercettato dal sistema di difesa aerea Iron Dome”, senza indicare se abbia causato vittime o danni.

Nessun gruppo ha rivendicato la responsabilità del razzo né è stato fatto alcun commento in merito da parte delle autorità palestinesi.

Finora non si hanno informazioni su vittime in nessuno dei due attacchi.

Alcune ore prima che il razzo fosse lanciato da Khan Younis martedì, l’esercito israeliano ha annunciato di aver trovato un tunnel che da Gaza sconfina “per decine di metri dentro Israele”.

Il portavoce dell’esercito israeliano Jonathan Conricus ha affermato che Israele non sa chi abbia scavato il tunnel, ma di ritenere Hamas responsabile di tutte le attività nell’enclave palestinese.

I palestinesi hanno usato i tunnel sotterranei per contrabbandare ogni sorta di merci a Gaza.

La Striscia di Gaza, impoverita e densamente popolata, dal 2007 è sottoposta a un paralizzante blocco israeliano, dopo che Hamas ha preso il controllo dell’enclave costiera.

Alla fine di settembre Hamas e Israele hanno raggiunto un accordo per la cessazione delle ostilità, ma gli attacchi sono continuati.

Israele ha lanciato tre offensive contro la Striscia di Gaza dal 2008, e ci sono state numerose fasi acute di scontri.




I palestinesi indicono la “giornata della rivolta” contro l’accordo di normalizzazione tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrain

Shatha HammadMohammed al-Hajjar

15 settembre 2020 – Middle East Eye

Un nuovo gruppo della società civile palestinese costituito da diverse fazioni ha protestato martedì contro la firma dei controversi accordi.

I palestinesi della Striscia di Gaza e della Cisgiordania occupata sono scesi in piazza per denunciare gli accordi di normalizzazione firmati martedì a Washington tra Israele, Bahrain ed Emirati Arabi Uniti (EAU).

Sia l’Autorità Palestinese (ANP) che il movimento di Hamas, che governa la Striscia di Gaza, hanno condannato gli accordi mediati dagli Stati Uniti come una “pugnalata alle spalle” al loro popolo.

Dalla prima mattina di martedì si sono svolte manifestazioni nella Cisgiordania occupata a Ramallah, Tulkarem, Nablus, Gerico, Jenin, Betlemme e Hebron, in altre località più piccole nonché a Gaza.

I manifestanti hanno cantato ed esposto cartelli che denunciavano la normalizzazione e si appellavano all’unità araba contro l’occupazione israeliana. 

Martedì il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e gli alti diplomatici degli Emirati Arabi Uniti e del Bahrain hanno firmato gli accordi per normalizzare le loro relazioni, senza alcun progresso verso un accordo israelo-palestinese.

Ismail Haniyeh, leader di Hamas, che martedì era a Beirut per un incontro con i segretari delle fazioni palestinesi, ha detto al presidente Mahmoud Abbas al telefono che tutte le fazioni palestinesi erano unite contro l’accordo e “non permetteranno che la causa palestinese sia un ponte per il riconoscimento e la normalizzazione della potenza occupante a scapito dei nostri diritti nazionali, della nostra Gerusalemme e del diritto al ritorno”.

Lunedì, il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh ha descritto gli accordi come un altro “giorno nero” per il mondo arabo.

“Un’altra data da aggiungere al calendario della disgrazia palestinese”, ha detto, aggiungendo che l’Autorità Nazionale Palestinese dovrebbe “rettificare” le proprie relazioni con la Lega Araba a causa del rifiuto di condannare i due accordi di normalizzazione conclusi nel mese scorso.

Il ministro degli Esteri del Bahrain Abdullatif al-Zayani e il ministro degli Affari Esteri degli Emirati Arabi Uniti Abdullah bin Zayed bin Sultan Al Nahyan sono arrivati a Washington domenica, mentre Netanyahu è arrivato lunedì nel pieno delle molte richieste in Israele di dimissioni per le indagini in corso sulla sua corruzione e la cattiva gestione del suo governo della pandemia di coronavirus.

Il Bahrain e gli Emirati Arabi Uniti non hanno combattuto guerre contro Israele, a differenza di Egitto e Giordania, che hanno firmato trattati di pace con Israele rispettivamente nel 1979 e nel 1994.

“Giornata di rivolta popolare”

Un nuovo gruppo della società civile, costituito da varie fazioni, ha chiamato martedì a una “giornata di rivolta popolare” in coincidenza con la firma dell’accordo.

Il gruppo, chiamato Leadership Palestinese Unita per la Resistenza Popolare (UPLPR), si è formato la scorsa settimana dall’incontro tra i leader di tutte le fazioni politiche palestinesi nella capitale libanese Beirut.

Nella sua prima dichiarazione, il gruppo ha lanciato un appello per manifestazioni nazionali –definite “il giorno nero” – in tutti i territori palestinesi per chiedere la cancellazione del cosiddetto “accordo del secolo” e dell’occupazione israeliana. 

Ha lanciato anche un altro giorno di protesta – denominato “giorno di lutto” – per venerdì, durante il quale dovranno essere issate bandiere nere per esprimere il rifiuto dell’accordo di normalizzazione.

Martedì, le proteste sono iniziate alle 11 in tutta la Cisgiordania occupata.

A Hebron, secondo un corrispondente di Middle East Eye, a Bab al-Zaweya, al termine di una manifestazione sono scoppiati piccoli scontri tra giovani palestinesi e forze israeliane.

Fahmy Shaheen, rappresentante delle forze nazionali e islamiche a Hebron, ha affermato che le proteste in città riflettono la rabbia per i conflitti praticamente quotidiani tra gli abitanti, i coloni israeliani e le forze dell’esercito a causa della continua espansione degli insediamenti nella città storica.

“Stiamo manifestando il nostro rifiuto alla normalizzazione perché avviene a scapito dei diritti e dei sacrifici del popolo palestinese”, ha detto Shaheen a MEE.

“È anche un omaggio gratuito a Stati Uniti e Israele, offerto a scapito delle aspirazioni arabe alla libertà. Non contiamo sui regimi arabi che stanno svendendo le aspirazioni dei loro popoli e la nostra causa palestinese. Contiamo piuttosto sul popolo arabo che è unito [nella sua convinzione] che la causa della Palestina sia fondamentale”.

Anche Jamal Zahalka, a capo del partito Assemblea Nazionale Democratica, che martedì stava prendendo parte a una protesta a Wadi Ara, ha descritto la firma dell’accordo di normalizzazione come “un regalo pericoloso dagli Emirati Arabi Uniti e dal Bahrein a Trump e Netanyahu, vittime di una soffocante crisi politica nei loro paesi”.

“Oggi, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrain dichiarano di sostenere l’occupazione israeliana contro il popolo palestinese. Ciò che si sta discutendo non è la normalizzazione, ma piuttosto un’alleanza strategica”, ha detto.

“Chiunque stringa alleanza con Israele non potrà mai stare con il popolo palestinese e con i suoi giusti diritti”.

Faisal Salameh, capo del comitato popolare di Tulkarem, ha detto a MEE che le manifestazioni hanno portato “un messaggio di amore e rispetto per tutti i popoli arabi”, nonostante le critiche ai governi degli Emirati Arabi Uniti e del Bahrain.

Razzi e proteste da Gaza

Appena firmati gli accordi a Washington, sono giunte notizie di diversi razzi lanciati verso Israele dalla Striscia di Gaza. Sebbene non sia chiaro quale fosse il gruppo responsabile del lancio di razzi, Israele ritiene il movimento di Hamas responsabile di tutti gli attacchi dall’enclave.

Si sono viste a Gaza anche manifestazioni per tutto il giorno, con centinaia di persone che marciavano contro l’accordo di normalizzazione.

I manifestanti si sono radunati davanti al palazzo dell’Unesco a Gaza per esprimere la loro disapprovazione all’accordo.

Abdel-Haq Shehadeh, membro della più alta leadership del movimento di Fatah a Gaza, ha criticato gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrain per non aver rispettato l’Iniziativa di Pace araba del 2002, che delineava tutti i passi per porre fine al conflitto israelo-palestinese.

Shehadeh ha detto che vorrebbe chiedere a qualsiasi paese stia pensando di seguire le orme degli Emirati Arabi Uniti e del Bahrain di fermarsi e riconsiderare, sottolineando di non credere che la gente nel mondo arabo sia d’accordo con una scelta simile – messaggio rimbalzato martedì durante le proteste palestinesi.

Durante la manifestazione Ismail Radwan, alto funzionario di Hamas, ha definito l’iniziativa guidata dagli Stati Uniti “un pugnalata alle spalle del popolo palestinese” e ha assicurato che si stava organizzando “una strategia globale e unificata di tutte le fazioni palestinesi per contrastare Israele”.

“Ai governanti degli Emirati e del Bahrain: avete dismesso il sostegno al popolo palestinese ma le generazioni palestinesi non dimenticheranno le vostre scelte”, ha detto Radwan, lodando i cittadini che nei due paesi si erano espressi contro le decisioni dei loro governi.

A Washington, 50 ONG hanno lanciato una protesta davanti alla Casa Bianca durante la cerimonia della firma per esprimere la loro opposizione.

Martedì anche le fazioni palestinesi in Libano hanno organizzato proteste per condannare l’accordo.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




I palestinesi si uniscono mentre gli Stati arabi “normalizzano” le relazioni con Israele

Ali Adam

15 settembre 2020 Al Jazeera

Fatah, Hamas e le altre fazioni si riunificano dopo la “pugnalata alle spalle” degli Stati arabi negli accordi con Israele.

Gaza – Spinte dagli Stati arabi che vanno normalizzando le relazioni con Israele, le frammentate fazioni politiche palestinesi stanno lavorando scrupolosamente in colloqui multilaterali per ripristinare l’unità e ricucire la divisione tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, in negoziati molto più promettenti rispetto agli sforzi precedenti.

I Ministri degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti (EAU) e del Bahrain firmeranno martedì alla Casa Bianca un trattato con Israele che stabilisce pieni accordi in violazione all’Iniziativa Araba di Pace [iniziativa di pace per il conflitto arabo-israeliano proposta nel 2002 al vertice di Beirut della Lega Araba, ndtr.] La decisione è una minaccia per le richieste arabe di vecchia data, che Israele ponga fine alla decennale occupazione e concordi con i palestinesi una soluzione a due Stati.

Sabato i gruppi palestinesi di Hamas e Fatah hanno concordato una “leadership unificata sul campo” che comprenda tutte le fazioni per guidare “una resistenza popolare totale” contro l’occupazione israeliana, si legge in un comunicato.

Vi si fa appello affinché martedì – quando la cerimonia della firma si svolgerà a Washington – sia un giorno di “rifiuto popolare”. I palestinesi a Gaza e in Cisgiordania stanno pianificando dimostrazioni da “giorno della rabbia” e sono previste altre proteste davanti alle ambasciate di Israele, Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti e Bahrain in tutto il mondo.

La formazione di un gruppo di leadership congiunto e il progresso nei colloqui per l’unità intra-palestinese sono arrivati dopo il tanto atteso incontro del 3 settembre tra il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas, Ismail Haniya di Hamas, il capo della Jihad islamica Ziyad al-Nakhala e i leader di varie entità palestinesi. Le riunioni si sono svolte a Ramallah nella Cisgiordania occupata e a Beirut, in Libano.

Erano anni che Hamas e altri partiti palestinesi chiedevano che si tenesse un simile incontro, ma Abbas aveva sempre rifiutato, chiedendo che prima Hamas onorasse precedenti patti di unità.

Ma con le tante sfide che ultimamente sta affrontando la causa palestinese – la più grave delle quali è la normalizzazione tra i paesi arabi e Israele – Abbas ha accettato di intrattenere i colloqui

Un grande progresso”

Husam Badran, membro dell’ufficio politico di Hamas, ha elencato ad Al Jazeera i diversi fattori che stanno riunificando i palestinesi, tra cui “l’accordo del secolo” del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, i piani di annessione di Israele delle aree palestinesi e la normalizzazione da parte degli Stati arabi delle relazioni con “l’occupazione, e come questa rappresenti una sleale pugnalata alle spalle dei palestinesi “.

Badran ha definito l’incontro fra i dirigenti un “importante passo avanti”, che ha prodotto decisioni chiare su diverse questioni urgenti.

“La fretta di molti paesi arabi nel normalizzare le loro relazioni con lo Stato di occupazione ha spinto in cima all’agenda delle azioni palestinesi la questione della formazione di una leadership unificata per la resistenza popolare “, ha detto Badran.

Ha aggiunto che le decisioni di normalizzazione “richiedono che i palestinesi cooperino e rafforzino il fronte interno, e mettano da parte tutte le differenze per salvare la causa palestinese”.

“I leader palestinesi stanno trasformando il rifiuto di tutti i piani che vogliono liquidare la causa palestinese in realistiche azioni sul campo”, ha detto Badran.

Durante gli incontri sono stati formati tre comitati: il primo centrato sulla formazione di una leadership unitaria sul campo per sollevare la lotta popolare contro l’occupazione israeliana; il secondo responsabile del raggiungimento di una visione concordata per porre fine alla divisione tra Gaza e la Cisgiordania; un terzo incaricato di rilanciare l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP).

Ai comitati è stato fissato un termine di cinque settimane per presentare suggerimenti al presidente palestinese. Abbas ha promesso che accetterà qualunque suggerimento gli arriverà.

Riconciliazione tra Hamas e Fatah

Hamas e Fatah sono divise dal 2007, quando dopo mesi di tensione Hamas ha destituito le forze di sicurezza di Fatah a Gaza. Da allora sono stati fatti diversi tentativi per colmare il divario tra i due, ma senza successo.

Le relazioni tra Hamas e Fatah, tuttavia, hanno di recente registrato significativi miglioramenti.

Negli ultimi due mesi, i due principali movimenti palestinesi, a causa del piano di annessione israeliano, si sono impegnati in colloqui positivi centrati sulla presentazione di un rifiuto unitario ai piani israelo-americani.

“L’intento di unità dei palestinesi arriva in un momento molto delicato, in cui la causa palestinese è sottoposta a serie minacce e sfide strategiche, a cominciare dagli sforzi dell’amministrazione americana di imporre sul terreno realtà che legittimino l’occupazione israeliana, e ai piani israeliani di annessione della Cisgiordania “, ha detto ad Al Jazeera l’analista politico palestinese Husam al-Dajani.

“L’ultima di queste minacce è stata la decisione degli Emirati Arabi Uniti di normalizzare le relazioni con Israele senza riguardo per i diritti palestinesi o per la causa palestinese. La decisione di normalizzazione degli Emirati Arabi Uniti ha reso urgente e accelerato i colloqui intra-palestinesi e ha convinto tutte le parti a riunirsi”.

Al-Dajani ha detto che se la causa palestinese vuole sopravvivere la divisione deve finire per sempre.

“Si deve fare un lavoro tenace per ripristinare l’attenzione sul progetto nazionale palestinese. Questo lavoro inizia con la fine della divisione, per essere in grado di affrontare tutte le minacce e le sfide”, ha detto al-Dajani.

Iyad Nasser, alto funzionario e portavoce di Fatah, ha dichiarato ad Al Jazeera: “Le minacce e i pericoli che il popolo palestinese deve affrontare e la causa palestinese sono ciò che ha portato al successo nella formazione dei comitati e nella istituzione di una leadership nazionale sul campo per la resistenza popolare”.

Nasser ha detto che il suo partito è ottimista sul fatto che gli sforzi per ricucire le divisioni avranno esito positivo.

“In questa fase, è necessaria l’unità per contrastare tutti i progetti e i piani che mirano a liquidare la causa palestinese e i diritti dei palestinesi. In questo momento critico, dobbiamo mettere da parte le piccole controversie delle fazioni per una piena dedizione nel difendere e far avanzare il problema centrale, che è il problema Palestina “, ha aggiunto Nasser.

“Contrastare la normalizzazione richiede l’accelerazione nel raggiungimento dell’unità nazionale e l’intensificarsi della resistenza popolare nella terra palestinese occupata”.

Contrastare Israele”

Il successo negli sforzi di riconciliazione tra Hamas e Fatah è stato invano perseguito per più di un decennio, e dunque il popolo palestinese generalmente guarda ogni nuovo tentativo con scetticismo.

Al-Dajani ha osservato: “La ragione dei progressi tra Hamas e Fatah è che questa volta il punto di partenza per i colloqui tra i due movimenti è stato di contrastare Israele e proteggere la causa palestinese, in contrapposizione alla divisione del potere e alle ambizioni politiche di ciascuno.

“Se l’equazione si mantiene, e il progresso della causa palestinese rimane la ragione dei colloqui per l’unità palestinese, allora questa verrà e sarà naturalmente raggiunta”.

Il dialogo tra Hamas e Fatah negli ultimi due mesi si è concentrato sulla messa da parte dei disaccordi e la ricerca di un terreno comune. 

Oltre all’unanime rifiuto dei provvedimenti israeliani e americani contro i palestinesi, i due movimenti hanno concordato che la resistenza popolare non violenta è la migliore strategia.

La leadership congiunta, guidata da Hamas e Fatah, dovrebbe attivare la resistenza popolare in Cisgiordania questa settimana, anche se non è stato progettato un piano in dettaglio.

Jibril Rajoub, segretario generale del comitato centrale di Fatah – che ha proposto all’interno di Fatah l’idea di rilanciare i colloqui con Hamas a giugno – ha detto ai giornalisti che le fazioni palestinesi hanno concordato che ci sarà un cambiamento nelle regole di ingaggio con le forze di occupazione israeliane.

“Non permetteremo all’occupazione di sradicare un ulivo o di ferire un palestinese senza pagarne il prezzo”, ha detto Rajoub.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Il Bahrein segue gli EAU e normalizza i rapporti con Israele

Al-Jazeera e agenzie

12 settembre 2020 – Al-Jazeera

La Palestina richiama l’inviato in Bahrein, denunciando l’ultimo accordo come “un’altra coltellata a tradimento contro la causa palestinese.”

Il Bahrein si è unito agli Emirati Arabi Uniti accettando di normalizzare i rapporti con Israele, con un accordo mediato dagli USA che i dirigenti palestinesi hanno denunciato come “un’altra coltellata a tradimento contro la causa palestinese”.

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato l’accordo venerdì su Twitter, dopo aver parlato per telefono con il re del Bahrain Hamad bin Isa Al Khalifa e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

È veramente un giorno storico,” ha detto Trump ai giornalisti nello Studio Ovale, affermando di credere che altri Paesi faranno altrettanto.

Era impensabile che ciò potesse avvenire e così in fretta.”

Con un comunicato congiunto gli Stati Uniti, il Bahrein e Israele hanno detto che “aprire un dialogo e rapporti diretti tra queste due società dinamiche e le loro economie avanzate continuerà la trasformazione positiva del Medio Oriente e aumenterà la stabilità, la sicurezza e la prosperità nella regione.”

Un mese fa gli EAU hanno accettato di normalizzare i rapporti con Israele in base ad un accordo mediato dagli USA che dovrebbe essere firmato martedì durante una cerimonia alla Casa Bianca ospitata da Trump, che sta cercando di essere rieletto il 3 novembre.

Alla cerimonia parteciperanno Netanyahu e il ministro degli Esteri degli Emirati, lo sceicco Abdullah bin Zayed Al Nahyan. Il comunicato congiunto afferma che il ministro degli Esteri del Bahrein Abdullatif al-Zayani si aggiungerà a questa cerimonia e firmerà una “storica dichiarazione di pace” con Netanyahu.

La storia della normalizzazione tra arabi e israeliani

Come l’accordo degli EAU, quello di venerdì tra il Bahrain e Israele normalizzerà le relazioni diplomatiche, commerciali, per la sicurezza ed altro tra i due Paesi. Il Bahrein, insieme all’Arabia Saudita, ha già annullato il divieto di passaggio sul suo spazio aereo ai voli israeliani.

Il comunicato congiunto di venerdì menziona solo marginalmente i palestinesi, che temono che le iniziative del Bahrein e degli EAU indeboliscano la tradizionale posizione di tutti i Paesi arabi di chiedere il ritiro di Israele dai territori già illegalmente occupati e l’accettazione di uno Stato palestinese in cambio della normalizzazione dei rapporti con i Paesi arabi.

Il comunicato afferma che il Bahrain, Israele e gli USA continueranno nel tentativo di “raggiungere una soluzione giusta, esauriente e duratura del conflitto israelo-palestinese per consentire al popolo palestinese di realizzare appieno il suo potenziale.”

Grave danno”

Netanyahu ha accolto positivamente l’accordo ed ha ringraziato Trump.

Ci sono voluti 26 anni tra il secondo accordo di pace con un Paese arabo e il terzo, ma solo 29 giorni tra il terzo e il quarto, e ce ne saranno altri,” ha detto in riferimento al trattato di pace del 1994 con la Giordania e all’accordo più recente.

Secondo l’agenzia di stampa statale [del Bahrein] BNA, per parte sua il Bahrein ha affermato di appoggiare una pace “giusta ed esauriente” in Medio Oriente. Questa pace dovrebbe essere basata su una soluzione a due Stati per risolvere il conflitto israelo-palestinese, dice l’articolo citando re Hamad.

Il genero di Trump e importante consigliere alla Casa Bianca Jared Kushner ha salutato gli accordi come “il culmine di quattro anni di grande lavoro” da parte dell’amministrazione Trump.

Parlando al telefono con i giornalisti dalla Casa Bianca subito dopo l’annuncio di venerdì, Kushner ha detto che gli accordi degli EAU e del Bahrein “contribuiranno a ridurre le tensioni nel mondo musulmano e consentiranno al popolo di separare la questione palestinese dai propri interessi nazionali e dalla politica estera, che dovrebbe essere concentrata sulle priorità interne.”

Tuttavia la dirigenza palestinese ha condannato l’accordo come un tradimento della causa palestinese e ha richiamato per consultazioni l’ambasciatore palestinese in Bahrein.

In un comunicato l’Autorità Nazionale Palestinese ha dichiarato di “respingere la decisione presa dal regno del Bahrein e gli chiede di ritrattarlo immediatamente per il grave danno che causa agli inalienabili diritti nazionali del popolo palestinese e all’azione congiunta degli arabi.”

L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), con sede a Ramallah, in Cisgiordania, ha definito la normalizzazione “un’altra coltellata a tradimento alla causa palestinese.” E a Gaza il portavoce di Hamas Hazem Qassem ha affermato che la decisione del Bahrein di normalizzare i rapporti con Israele “rappresenta un grave danno per la causa palestinese e appoggia l’occupazione.”

Una decisione puramente saudita”

Khalil Jahshan, direttore esecutivo dell’Arab Center [Centro Arabo] di Washington, ha detto che il consenso saudita è stato fondamentale per la decisione del Bahrain.

È una decisione puramente saudita. Non potendo rispondere positivamente a Trump a causa di contrasti interni, la dirigenza dell’Arabia Saudita gli ha dato il Bahrein su un piatto d’argento.”

Il Bahrein, un piccolo Stato insulare, è sede del quartier generale regionale della flotta USA. Nel 2011 l’Arabia Saudita ha inviato truppe in Bahrein per contribuire a reprimere una rivolta, e nel 2018, insieme al Kuwait e agli EAU, ha offerto al Bahrein un salvataggio finanziario di 10 miliardi di dollari.

Nida Ibrahim, inviata di Al Jazeera a Ramallah, nella Cisgiordania occupata, concorda, affermando che fonti ufficiali palestinesi credono che gli accordi di Bahrein e EAU non ci sarebbero stati “senza un sostegno regionale.”

Il timore tra i palestinesi è che questi accordi rappresentino la luce verde perché altri Stati arabi normalizzino i rapporti con Israele,” dice. “E molti palestinesi che dicono di aver per anni visto gli USA come avvocati o partner di Israele, ora li vedono come i rappresentanti di Israele. Perché è Trump che annuncia gli accordi di normalizzazione.”

Da quando ha assunto il potere, l’amministrazione Trump ha perseguito politiche risolutamente filo-israeliane, compreso lo spostamento dell’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme, ordinando la chiusura dell’ufficio di rappresentanza dell’OLP a Washington e riconoscendo l’occupazione israeliana delle Alture del Golan siriane. Il presidente USA e i suoi consiglieri hanno promosso la proposta del cosiddetto “accordo del secolo” per risolvere il conflitto israelo-palestinese ed hanno corteggiato gli Stati arabi del Golfo per cercare di ottenere appoggio all’iniziativa.

Per esempio nel giugno 2019 il Bahrein ha ospitato la conferenza organizzata dagli USA per rivelare gli aspetti economici della proposta, e all’epoca dirigenti emiratini e sauditi hanno espresso il loro appoggio a qualunque accordo economico che beneficiasse i palestinesi. Tuttavia i dirigenti palestinesi hanno boicottato quel summit, affermando che l’amministrazione Trump non era un mediatore imparziale per qualunque futuro negoziato con Israele.

Riferendo da Washington, Kimberly Halkett di Al Jazeera afferma che, mentre gli accordi tra Israele, il Bahrein e gli EAU non sono tra le principali priorità per molti elettori USA, gran parte dei sostenitori di Trump sono cristiani evangelici, favorevoli alle sue posizioni a favore di Israele.

Halkett dice che Trump sta cercando di dimostrare loro prima delle elezioni del 3 novembre che può ottenere l’“accordo del secolo” durante il suo secondo mandato.

Sta agendo come se questo fosse il quadro che porterà al cosiddetto “accordo del secolo”, afferma Halkett, nonostante il fatto che “finora il presidente e i rappresentanti della sua amministrazione non abbiano neppure parlato con i palestinesi.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Aggrapparsi ai corpi dei martiri è il modo in cui Gantz sfugge a questioni imbarazzanti

Ahmed El-Komi

10 settembre 2020 – Middle East Monitor

Due giorni dopo che la scorsa settimana i gruppi della resistenza palestinese e le autorità dell’occupazione israeliana hanno raggiunto un accordo per il cessate il fuoco, il ministro israeliano della Difesa Benny Gantz ha chiesto al gabinetto per la Sicurezza dello Stato di continuare a trattenere i corpi dei martiri palestinesi. Lo scorso mercoledì, in un momento accuratamente valutato da Israele, il gabinetto ha dato la sua approvazione.

Gli israeliani trattengono decine di corpi di palestinesi e rifiutano di restituirli alle loro famiglie, sostenendo che sono stati uccisi mentre compivano o cercavano di compiere attacchi contro lo Stato occupante. Sono tenuti in refrigeratori speciali e tombe circondate da pietre, ma senza lapidi. Su ogni tomba viene lasciata invece una placca metallica con un numero specifico, per cui sono chiamati “cimiteri di numeri”, in quanto alle tombe vengono assegnati numeri invece dei nomi dei martiri.

L’Autorità di Vigilanza israeliana ha informato dell’approvazione della richiesta di Gantz da parte del gabinetto anche nel caso in cui i martiri non fossero affiliati ad Hamas. È come se il ministro, e primo ministro in alternanza, volesse attirare l’attenzione sulla sua vendetta contro il movimento. Ciò gli consente anche di agire da leader e limitare la sua guerra a un solo avversario.

La mancata restituzione dei corpi di terroristi è parte del nostro impegno per la sicurezza dei cittadini israeliani,” ha spiegato Gantz, “e ovviamente per far tornare a casa i ragazzi.” Quest’ultimo è un riferimento ai quattro soldati israeliani catturati da Hamas nel 2014.

La decisione del gabinetto fa seguito a quella presa esattamente un anno fa, il 9 settembre, dalla Corte Suprema israeliana, che ha dato alle autorità dell’occupazione il permesso di continuare a trattenere i corpi dei palestinesi. Ciò fa di Israele l’unico Paese al mondo che continua ad adottare una politica di vilipendio dei cadaveri, con una chiara e provocatoria sfida alla comunità internazionale e in spregio ad ogni norma legale e sociale.

La tempistica dell’ultima decisione è servita a coprire il fallimento di Gantz contro la resistenza palestinese e come tentativo di placare i cittadini israeliani ed evitare le loro domande e critiche. Qualche settimana fa aveva affermato in modo arrogante: “Nel sud, Hamas continua a consentire che vengano lanciati attacchi con palloni esplosivi nello Stato di Israele. Non siamo disposti ad accettarlo e in seguito a ciò abbiamo chiuso il valico di Kerem Shalom.

Farebbero meglio a non violare l’incolumità e la sicurezza di Israele. Se ciò non avverrà, noi dovremo rispondere, e con la forza.” Tuttavia non ha osato toccare un solo ragazzo palestinese che lancia i palloni da Gaza.

Gantz ha fatto seguito alla sua decisione di trattenere i corpi con l’appoggio alla costruzione di 5.000 unità abitative nelle colonie illegali della Cisgiordania occupata, dimostrando che stava cercando un’immaginaria vittoria che gli fornisse una via d’uscita per evitare imbarazzanti domande dopo il suo fallimento. Vuole preservare la sua immagine di ministro forte di fronte al pericolo e di uomo politicamente “pulito” nel corrotto contesto politico di Israele.

Questo non è un comportamento tipico da parte di Gantz, diplomato alla scuola della leadership militare di Israele; è più adeguato a chi cerca una via d’uscita, come quelle utilizzate dagli ex-generali e ministri israeliani sempre in cerca di una vittoria di altro genere. Sfuggono al dovere di dare spiegazioni e risposte sulle sconfitte.

Nel caso di Gantz sembra che cinque mesi di lavoro con il primo ministro Benjamin Netanyahu gli abbiano insegnato come cavarsela da situazioni complicate bluffando. Tuttavia molte delle decisioni prese da Netanyahu e Gantz, entrambi abili nelle menzogne, sono condizionate dalle posizioni che impongono loro i gruppi della resistenza palestinese. L’unica risposta che un ministro del livello di Gantz può escogitare è mostrare i muscoli…e aggrapparsi ai corpi dei martiri palestinesi.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Israele: processi segreti per mettere in carcere con accuse false e ingiudicato l’operatore di un’associazione benefica palestinese

Asa Winstanley

5 settembre 2020 – MiddleEastMonitor

Il rilascio un mese fa di Mahmoud Nawajaa, dirigente palestinese del BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni), è stato un gradito promemoria del fatto che il potere delle persone può essere efficace.

Quando alla fine di luglio Nawajaa è stato rapito da una banda di soldati israeliani nel cuore della notte, il Comitato Nazionale Palestinese per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni ha mobilitato i suoi sostenitori in tutto il mondo.

L’appello è partito e in tutto il mondo le persone hanno risposto, chiedendo il suo rilascio. È stato liberato dopo 19 giorni di prigione senza accusa né processo.

“L’occupazione israeliana e il regime dell’apartheid coloniale e dei coloni mi hanno arrestato per ostacolare il movimento BDS, distorcerne l’immagine e intimidire gli attivisti”, ha affermato Nawajaa.

Le pressioni funzionano. Una forte pressione internazionale funziona ancora meglio. Sono profondamente grato a tutti coloro che hanno fatto pressione sull’apartheid Israele perché mi liberasse, la vostra solidarietà mi ha dato forza e ha mantenuto viva la speranza di riunirmi alla mia amata famiglia e alla più grande famiglia del BDS.”

Per quanto questo sia stato un risultato felice, Nawajaa è solo uno delle migliaia di prigionieri politici palestinesi detenuti in gravissime condizioni nelle prigioni israeliane.

L’associazione per i diritti dei prigionieri palestinesi Addameer afferma che attualmente i detenuti sono 4.500, tra cui 160 bambini, e 360 “detenuti amministrativi”, cioè prigionieri a tempo indeterminato senza accusa o processo.

Uno di loro era Daoud Talat Al-Khatib, morto mercoledì all’età di soli 45 anni per quello che pare sia stato un infarto.

Il Palestinian Prisoners Club ha accusato Israele di incuria sanitaria nei confronti di Al-Khatib. Mancavano solo pochi mesi alla fine della sua condanna a 18 anni.

La sua morte ha amaramente ricordato che i prigionieri politici palestinesi continuano a soffrire sotto l’occupazione, anno dopo anno, mese dopo mese. Il mondo fuori dimentica i loro nomi, ma il popolo palestinese ha la massima stima di chi venga fatto prigioniero nella lotta di liberazione.

Questa lotta assume molte forme.

Ricordate il nome di Mohammed El-Halabi?

Da quattro anni è chiuso nelle carceri israeliane per il “crimine” di aver operato nella beneficenza.

El-Halabi è il direttore di programma dell’associazione di beneficenza cristiana World Vision a Gaza. Secondo i suoi familiari, El-Halabi è stato torturato perché “confessasse” di aver finanziato il “terrorismo” a Gaza.

Suo padre, Khalil El-Halabi, è da lungo tempo un dipendente dell’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi. Aveva dichiarato a The Electronic Intifada di aver insistito perché nelle scuole dellagenzia fossero inclusi l’insegnamento dei diritti umani e gli studi sull’Olocausto.

“Educhiamo i nostri figli a rispettare le persone indipendentemente dalla razza o dalla religione”, ha spiegato. “Questo rispetto non è garantito a mio figlio, che è in prigione e viene torturato fisicamente e psicologicamente per qualcosa che non ha fatto. È questa la pace di cui parla Israele? “

Il giornalista palestinese Amjad Ayman Yaghi ha riferito da Gaza che “Khalil è convinto che Israele stia usando suo figlio per prendere di mira i programmi umanitari a Gaza”.

Sarebbe molto più facile per Israele bloccare i programmi di aiuto internazionale a Gaza se avesse la “confessione” di El-Halabi (non importa quanto forzata) di essersi appropriato indebitamente dei fondi di un importante ente di beneficenza internazionale.

Le accuse di Israele contro El-Halabi sono evidentemente false e non sono state provate in tribunale. Negli ultimi quattro anni è stato costretto a quasi 150 udienze in tribunale – per lo più segrete – e il suo avvocato è stato sottoposto a restrizioni senza precedenti. Gli è stato offerto un patteggiamento, ma ha rifiutato.

Amnesty International ha condannato il suo imprigionamento e ha detto: “I processi segreti sono la più flagrante violazione del diritto a un’udienza pubblica. Tenere procedimenti giudiziari a porte chiuse renderebbe infondate le condanne emanate “.

Le accuse contro El-Halabi sono state inventate senza nemmeno grande sforzo. Si vede chiaramente che sono fittizie e sono state costruite ad arte.

È stato accusato di aver stornato decine di milioni di dollari di aiuti finanziari a favore di Hamas, il partito politico palestinese al governo nella Striscia di Gaza che ha anche un’ala armata.

Ma c’è una grossa falla in questa storia: secondo World Vision, l’importo che è stato accusato di aver rubato sarebbe in realtà più del doppio dell’intero budget del programma di beneficenza a Gaza.

Non sarebbe stato possibile che una tale somma “scomparisse”.

Sia World Vision che il governo australiano (che ha fornito i fondi all’ente di beneficenza) hanno condotto approfondite indagini di polizia e hanno dichiarato infondate le accuse israeliane.

Nel 2017, il ministero degli Affari esteri australiano ha scagionato World Vision ed El-Halabi. “Il nostro costante monitoraggio legale non ha scoperto alcun denaro sottratto e secondo DFAT [il ministero] la loro indagine non è stata e non è fondata, e questa è un’ottima notizia”, ha rivelato il capo di World Vision Australia.

Che El-Halabi stia resistendo così a lungo alla pressione dei torturatori israeliani è un atto di resistenza al regime di occupazione israeliano non meno eroico della resistenza armata.

Le opinioni espresse in questo articolo sono all’autore e non riflettono necessariamente la politica redazionale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)