Gli abitanti di Gaza possono dire liberamente cosa pensano di Hamas e dell’attacco del 7 ottobre?

Amira Hass

8 gennaio 2024 – Haaretz

La portata delle morti e delle distruzioni causate dagli attacchi aerei e di artiglieria israeliani indebolisce ogni volontà di esprimere critiche o mettere in discussione la logica della strategia di Hamas.

L’imbarazzo celato durante ogni conversazione telefonica – quando c’è tempo tra gli attacchi aerei e la fila per l’acqua – rappresenta il punto di vista degli abitanti di Gaza sull’attacco di Hamas del 7 ottobre. Sembra che la stragrande maggioranza non si senta libera di esprimere le proprie opinioni in modo sincero, non al telefono – ogni volta che il collegamento consente una discussione politica – e non sui social media.

C’è un insieme di ragioni per questo. In generale il perenne senso di terrore provocato dalle bombe, dalla morte e dalla fuga, così come la lotta quotidiana per procurarsi acqua, cibo, vestiti caldi e riparo dalla pioggia non sono una buona base per un dibattito politico-ideologico aperto. Con il passare del tempo la portata delle morti e delle distruzioni causate dagli attacchi aerei e di artiglieria israeliani indebolisce ogni volontà di esprimere critiche o mettere in discussione la logica della strategia di Hamas.

La conclusione [che viene tratta, ndt] dalla dimensione [di questa operazione militare, ndt] è che Israele non si sta semplicemente vendicando, ma sta portando avanti uno dei suoi piani tesi a cogliere l’occasione per conseguire la fine del progetto nazionale palestinese. L’autocritica pubblica potrebbe essere considerata un’assoluzione di Israele dalle sue intenzioni e dalla responsabilità diretta per quello che i palestinesi stanno vivendo come un genocidio.

Se Israele pensa di poter rovesciare Hamas attraverso uccisioni di massa che provocherebbero la furia popolare contro questa organizzazione islamica dimentica che anche i più fermi oppositori di Hamas non considerano Israele come un attore o una vittima neutrale, e che, [quest’ultimo, ndr], sarà sempre percepito come un regime che mira a danneggiare i palestinesi. La gente non vuole essere un partner, nemmeno indirettamente, della macchina di propaganda israeliana.

Un’altra ragione è che la “resistenza” e la “lotta armata” rimangono un’etica nazionale sacra, anche per la maggior parte dei palestinesi che non possono o non intendono parteciparvi. Anche gli avversari di Hamas credono che esso sia nato da una legittima opposizione all’occupazione israeliana, considerano questa organizzazione come parte del tessuto sociale e politico palestinese.

Più la politica di insediamento e assedio dimostra che Israele mira a sventare ogni possibilità di indipendenza palestinese, anche sui territori occupati nel 1967 (Cisgiordania e Gaza), maggiore sarà il sostegno alla resistenza armata. La diplomazia è fallita e la lotta popolare disarmata è stata repressa da Israele. I negoziati e ciò che resta di loro, il coordinamento della sicurezza, hanno di fatto spazzato via l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e hanno reso l’Autorità Palestinese odiata dalla maggior parte dei palestinesi.

In mezzo a questi fallimenti spiccano la lotta armata e il suo sex appeal. Il sostegno alla lotta armata può avere diverse ragioni: il desiderio di vendicare 75 anni di espulsione e oppressione, la convinzione che questa sia una tattica logica contro un nemico che capisce solo la forza (come dimostrato, ad esempio, dall’egiziano Anwar Sadat nella Guerra dello Yom Kippur del 1973), o una profonda convinzione nell’inevitabile necessità di una lotta contro un progetto coloniale di insediamento come il sionismo. Il fatto che oggi l’opposizione alla lotta armata sia associata all’Autorità Palestinese corrotta aumenta di fatto il sostegno a quest’ultima.

La resistenza disarmata all’occupazione – summud (fermezza) – è un qualcosa di istintivo per ogni palestinese, qualcosa che si beve con il latte della propria madre. La resistenza armata, al contrario, è considerata superiore perché implica una consapevole volontà di sacrificio.

A tre mesi dall’inizio della guerra i palestinesi sono impressionati dalle capacità dimostrate da Hamas durante e dopo l’attacco, compresa la sua pianificazione a lungo termine pur mantenendo la segretezza. È stata in grado di armarsi e creare tunnel sotto Gaza oltre ogni valutazione dell’intelligence israeliana, ingannando un nemico potente che possiede un’ampia rete di collaboratori e capacità di sorveglianza. Hamas ha anche dimostrato capacità di combattimento individuale e di gruppo che hanno causato molte vittime all’esercito israeliano.

I palestinesi che negano il massacro del 7 ottobre o non credono alla maggior parte dei resoconti israeliani (soprattutto sugli stupri) e quelli che ammettono che ci sono state uccisioni deliberate di civili, mettono costantemente in relazione l’attacco di Hamas con gli attacchi sistematici e deliberati di Israele contro i civili nel corso di decenni. Quindi per loro, nella competizione sul male e sulla crudeltà, Israele rimane il vincitore.

La questione politica sconvolgente ma rilevante – se valga la pena pagare il prezzo pagato dagli abitanti di Gaza per l’attacco di Hamas – emerge qua e là, ma timidamente sotto forma di accenni. Una risposta indiretta la danno i commoventi post che esprimono nostalgia per la Gaza che non c’è più, per la vita comunitaria e sociale, per il paesaggio urbano e il mare.

Ma sembra che ci sia anche il timore che i membri di Hamas possano sentire tali dichiarazioni e punire le persone che le fanno. Questo è ciò che ha detto ad Haaretz un ex abitante di Gaza che ora vive in Cisgiordania. Alcuni membri della sua famiglia sono stati uccisi dagli attacchi aerei israeliani, mentre altri sono dovuti fuggire nell’area di Muwasi, nel sud di Gaza. È ancora difficile verificare in modo indipendente se tale paura nei confronti di Hamas si basi su voci, o su una sorta di bavaglio, o misure punitive. Ma la paura c’è.

Commenti sul timore di criticare pubblicamente l’attacco di Hamas sono stati espressi anche da persone nate a Gaza ma che ora vivono in Cisgiordania. Non temono le molestie fisiche, ma piuttosto il silenziamento aggressivo della loro opinione a causa del sostegno della gente all’attacco.

Un uomo nato a Gaza e residente a Ramallah ha commentato con amarezza: “Sembra che più le persone sono lontane da Gaza, più è determinato il loro sostegno al diritto e alla ragione di Hamas di combattere il colonialismo israeliano fino all’ultimo abitante di Gaza”.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Dentro il campo di tortura israeliano per i prigionieri di Gaza

Yuval Abraham

5 gennaio 2024 – + 972 Magazine

I palestinesi arrestati nel nord della Striscia di Gaza descrivono gli abusi sistematici dei soldati israeliani sia sui civili che sui combattenti, dalle gravi deprivazioni alla crudele violenza fisica.

Allinizio di dicembre sono circolate in tutto il mondo immagini che mostravano decine di palestinesi nella città di Beit Lahiya, nel nord della Striscia di Gaza, mentre venivano svestiti e lasciati in mutande, fatti inginocchiare o sedere piegati in avanti, poi bendati e caricati come bestiame sul retro di camion militari israeliani. Come confermato in seguito da funzionari della sicurezza israeliani la stragrande maggioranza di questi uomini era costituita da civili senza affiliazione ad Hamas, portati via dallesercito senza che le loro famiglie venissero informate sul luogo di detenzione. Alcuni di loro non sono mai tornati.

+972 Magazine e Local Call hanno parlato con quattro dei civili palestinesi apparsi in quelle foto, o arrestati vicino al luogo del fatto e portati nei centri di detenzione militare israeliani, dove sono stati trattenuti per diversi giorni o addirittura settimane prima di essere rilasciati per tornare a Gaza. Le loro deposizioni, insieme a 49 testimonianze video pubblicate da vari media arabi di palestinesi arrestati nelle ultime settimane in circostanze simili nei distretti settentrionali di Zeitoun, Jabalia e Shujaiya, rivelano abusi e torture sistematiche da parte dei soldati israeliani contro tutti i detenuti, sia civili che militanti.

Secondo queste testimonianze i soldati israeliani hanno sottoposto i detenuti palestinesi a scosse elettriche, ustionato la loro pelle con gli accendini, sputato loro in bocca, li hanno privati del sonno, del cibo e dellaccesso ai bagni fino a costringerli a defecarsi addosso. Molti sono stati legati a una recinzione per ore, ammanettati e bendati per gran parte della giornata. Alcuni hanno testimoniato di essere stati picchiati su tutto il corpo e che gli sono state spente delle sigarette sul collo e sulla schiena. Si è saputo che in seguito a tali condizioni di detenzione diverse persone sono morte.

I palestinesi con cui abbiamo parlato hanno detto che la mattina del 7 dicembre, quando sono state scattate le foto a Beit Lahiya, i soldati israeliani sono entrati nel quartiere e hanno ordinato a tutti i civili di lasciare le loro case. Gridavano: Tutti i civili devono scendere e arrendersi’”, ha detto a +972 e Local Call Ayman Lubad, un ricercatore in legge presso il Centro Palestinese per i Diritti Umani, arrestato quel giorno insieme al fratello minore.

Secondo le testimonianze, i soldati hanno ordinato a tutti gli uomini di spogliarsi, li hanno riuniti in un unico luogo e hanno scattato le foto che sono state poi diffuse sui social media (alti funzionari israeliani hanno poi rimproverato i soldati per aver diffuso le immagini). Nel frattempo è stato ordinato a donne e bambini di recarsi all’ospedale Kamal Adwan.

Quattro diversi testimoni hanno riferito separatamente a +972 e Local Call che mentre erano seduti ammanettati per strada i soldati sono entrati nelle case del quartiere e appiccato il fuoco; +972 e Local Call hanno ottenuto le foto di una delle case bruciate. I soldati hanno detto ai detenuti che erano stati arrestati perché “non si erano trasferiti nel sud della Striscia di Gaza”.

Un numero imprecisato di civili palestinesi è rimasto nella parte settentrionale della Striscia nonostante gli ordini di espulsione israeliani che sin dalle prime fasi della guerra hanno portato centinaia di migliaia di persone a fuggire verso sud. Coloro con cui abbiamo parlato hanno elencato diversi motivi per cui non sono partiti: paura di subire il bombardamento da parte dell’esercito israeliano durante il viaggio verso sud o mentre vi si trovavano rifugiati; paura di essere presi di mira dai combattenti di Hamas; difficoltà motorie o disabilità tra i membri della famiglia e lincertezza della vita nei campi di sfollati nel sud. La moglie di Lubad, ad esempio, aveva appena partorito e loro temevano i rischi insiti nel lasciare casa con un neonato.

In un video girato sul posto a Beit Lahiya un soldato israeliano con in mano un megafono è di fronte agli abitanti prigionieri, disposti in fila nudi, in ginocchio e con le mani dietro la testa, e proclama: L’esercito israeliano è arrivato. Abbiamo distrutto Gaza [City] e Jabalia a vostro discapito. Abbiamo occupato Jabalia. Stiamo occupando tutta Gaza. E’ questo quello che volete? Siete dalla parte di Hamas?” I palestinesi ribattono che sono dei civili.

“La nostra casa è bruciata davanti ai miei occhi”, ha detto a +972 e Local Call Maher, uno studente dell’Università Al-Azhar di Gaza, che appare in una fotografia dei prigionieri a Beit Lahiya (ha chiesto di usare uno pseudonimo per paura che lesercito israeliano si vendichi contro i suoi familiari, ancora reclusi in un centro di detenzione militare). Testimoni oculari hanno detto che il fuoco si è diffuso in modo incontrollabile, la strada si è riempita di fumo e i soldati hanno dovuto spostare i palestinesi legati a qualche decina di metri dalle fiamme.

“Ho detto al soldato: ‘La mia casa è andata a fuoco, perché state facendo questo?’ E lui ha risposto: ‘Dimentica questa casa’”, ricorda Nidal, un altro palestinese presente anche lui in una fotografia a Beit Lahiya che ha chiesto di usare uno pseudonimo per gli stessi motivi.

“Mi ha chiesto dove mi faceva male e poi mi ha colpito con violenza”

Si sa che attualmente sono detenuti nelle carceri israeliane più di 660 palestinesi di Gaza, la maggior parte dei quali nella prigione di Ketziot nel deserto del Naqab/Negev. Un ulteriore numero, che l’esercito si rifiuta di rivelare ma potrebbe arrivare a diverse migliaia, è detenuto in diverse basi militari tra cui quella di Sde Teyman vicino a Be’er Sheva, dove si presume avvengano gran parte degli abusi sui prigionieri.

Secondo le testimonianze, i detenuti palestinesi di Beit Lahiya sono stati caricati su camion e portati su una spiaggia. Sono stati lasciati lì legati per ore e un’altra loro foto è stata scattata e diffusa sui social media. Lubad racconta come una delle soldatesse israeliane abbia ordinato a diversi detenuti di ballare e poi li abbia filmati.

I prigionieri, ancora in mutande, sono stati poi portati in un’altra spiaggia all’interno di Israele, vicino alla base militare di Zikim, dove, secondo le loro testimonianze, i soldati li hanno interrogati e picchiati duramente. Secondo quanto riportato dai media, i primi interrogatori sono stati condotti da membri dell’Unità 504 dell’esercito, un corpo di intelligence militare.

Maher ha raccontato la sua esperienza a +972 e Local Call: Un soldato mi ha chiesto: Come ti chiami?e ha iniziato a darmi pugni allo stomaco e calci. Mi ha detto: Fai parte di Hamas da due anni, dimmi come ti hanno reclutato”. Gli ho risposto che ero uno studente. Due soldati mi hanno aperto le gambe e mi hanno dato un pugno lì e in faccia. Ho iniziato a tossire e mi sono reso conto che non riuscivo a respirare. Ho detto loro: Sono un civile, sono un civile”.

“Ricordo di aver fatto allungato la mano lungo il corpo e di aver sentito qualcosa di pesante”, continua Maher. Non mi ero reso conto che era la mia gamba. Non riuscivo più a sentire il mio corpo. Ho detto al soldato che mi faceva male e lui si è fermato e ha chiesto dove; gli ho risposto allo stomaco e allora mi ha colpito forte allo stomaco. Mi hanno detto di alzarmi. Non riuscivo a sentire le gambe e non potevo camminare. Ogni volta che cadevo mi picchiavano di nuovo. Sanguinavo dalla bocca e dal naso e sono svenuto”.

I soldati hanno interrogato alcuni prigionieri in questo stesso modo, li hanno fotografati, hanno controllato le loro carte d’identità e poi li hanno divisi in due gruppi. La maggior parte, compresi Maher e il fratello minore di Lubad, sono stati rimandati a Gaza dove hanno raggiunto quella stessa notte le loro case. Lo stesso Lubad faceva parte di un secondo gruppo di circa 100 prigionieri di Beit Lahiya che quel giorno sono stati trasferiti in una struttura di detenzione militare all’interno di Israele.

Mentre erano lì i prigionieri sentivano regolarmente aerei che decollavano e atterravano”, quindi è probabile che fossero trattenuti nella base di Sde Teyman accanto a Beer Sheva, che comprende un aeroporto; secondo lesercito israeliano questo è il luogo in cui i prigionieri di Gaza vengono trattenuti per essere esaminati, vale a dire per decidere se devono essere classificati come civili o combattenti illegali”.

Secondo lufficio del portavoce dellesercito israeliano, le strutture di detenzione militare sono destinate solo agli interrogatori e allo screening iniziale dei prigionieri, prima che vengano trasferiti al servizio carcerario israeliano o fino al loro rilascio. Le testimonianze dei palestinesi trattenuti allinterno della struttura, tuttavia, dipingono un quadro completamente diverso.

Siamo stati torturati per l’intera giornata”

All’interno della base militare, i palestinesi sono stati trattenuti in gruppi di circa 100 persone. Secondo le testimonianze, sono rimasti ammanettati e bendati per tutto il tempo, e potevano riposare solo tra mezzanotte e le 5 del mattino.

Uno dei detenuti di ciascun gruppo, scelto dai soldati in base alla conoscenza dell’ebraico e denominato “Shawish” (un termine gergale per servitore o subordinato), era l’unico senza benda sugli occhi. Gli ex detenuti hanno spiegato che i soldati che li sorvegliavano avevano delle torce laser verdi che usavano per indicare chiunque si muovesse, cambiasse posizione a causa del dolore o emettesse un suono. Gli Shawish portavano questi detenuti dai soldati che si trovavano dalla parte opposta della rete di filo spinato che circondava la struttura per essere puniti.

Secondo le testimonianze, la punizione più comune consisteva nell’essere legati ad una recinzione e costretti a tenere le braccia sollevate per diverse ore. Chiunque le abbassasse veniva portato via dai soldati e picchiato.

“Siamo stati torturati per tutto il giorno”, riferisce Nidal a +972 e Local Call. Stavamo inginocchiati, a testa bassa. Quelli che non ci riuscivano venivano legati alla recinzione, [per] due o tre ore, finché il soldato non decideva di lasciarli andare. Sono rimasto legato per mezz’ora. Tutto il mio corpo era coperto di sudore; le mani sono diventate insensibili.

A proposito delle regole Lubad ricorda: Non puoi muoverti. Se ti muovi, il soldato punta un laser verso di te e dice allo Shawish: Portalo fuori, sollevagli le braccia. Se abbassi le braccia lo Shawish ti porta fuori e i soldati ti picchiano. Sono stato legato alla recinzione due volte. E ho tenuto le mani alzate perché c’erano persone intorno a me che erano state ferite. Una persona è tornata con una gamba rotta. Si sentivano i colpi e le urla provenire dall’altro lato della recinzione. Hai paura di guardare o sbirciare attraverso la benda. Se ti vedono guardare, c’è una punizione. Portano fuori anche te o ti legano alla recinzione”.

Un altro giovane rilasciato dalla detenzione ha detto ai media dopo essere tornato a Gaza che le persone venivano torturate continuamente. Sentivamo le urla. Loro [i soldati] ci hanno chiesto: Perché siete rimasti a Gaza, perché non siete andati a sud?” E io ho risposto: Perché dovremmo andare a sud?” Le nostre case sono ancora in piedi e non siamo legati ad Hamas”. Ci hanno detto: ‘andate a sud; il 7 ottobre avete festeggiato [per lattacco guidato da Hamas]”.

In un caso, dice Lubad, un prigioniero che si rifiutava di inginocchiarsi e abbassava le braccia invece di tenerle alzate è stato portato ammanettato dietro la rete di filo spinato. I prigionieri sentivano le percosse, poi hanno sentito il detenuto imprecare contro un soldato e poi uno sparo. Non sanno se il detenuto sia stato effettivamente colpito né se sia vivo o morto; in ogni caso non è tornato per il resto del tempo in cui sono stati trattenuti lì coloro con cui abbiamo parlato.

Nelle interviste con i media arabi degli ex prigionieri hanno testimoniato che altri reclusi sono morti accanto a loro. Lì dentro sono morte delle persone. Un prigioniero aveva una malattia cardiaca. Lo hanno buttato fuori, non volevano prendersi cura di lui”, ha riferito una persona ad Al Jazeera.

Anche diversi prigionieri che si trovavano insieme a Lubad gli hanno raccontato di questa morte. Hanno detto che prima del suo arrivo un uomo anziano del campo profughi di Al-Shati, che era malato, è morto nella struttura a causa delle condizioni di detenzione. I detenuti hanno deciso di iniziare uno sciopero della fame per protestare per la sua morte e hanno restituito ai soldati le razioni di formaggio e pane. I prigionieri hanno riferito a Lubad che di notte i soldati sono entrati e li hanno picchiati duramente mentre erano ammanettati, e poi hanno lanciato contro di loro bombolette di gas lacrimogeno. I detenuti hanno smesso di scioperare.

L’esercito israeliano ha confermato a +972 e Local Call che dei prigionieri provenienti da Gaza sono morti nella struttura. “Sappiamo di casi di morte di persone recluse nel centro di detenzione”, ha detto il portavoce dell’esercito. Secondo le procedure, per ogni morte di un detenuto viene condotta un’indagine che comprende una verifica sulle circostanze della morte. I corpi dei prigionieri vengono trattenuti in conformità con l’ordinamento militare”.

Nelle testimonianze video i palestinesi rilasciati a Gaza descrivono casi in cui i soldati spegnevano sigarette sui corpi dei prigionieri e davano loro persino scosse elettriche. “Sono stato detenuto per 18 giorni”, ha detto un giovane ad Al Jazeera. [Il soldato] vede che ti addormenti, prende un accendino e ti brucia la schiena. Mi hanno spento delle sigarette sulla schiena un paio di volte. Uno dei ragazzi [che era bendato] ha detto [al soldato]: ‘Voglio dell’acqua da bere‘, e il soldato gli ha detto di aprire la bocca e poi ci ha sputato dentro”.

Un altro detenuto riferisce di essere stato torturato per cinque o sei giorni. Racconta che gli veniva detto: “Vuoi andare in bagno? Proibito”. [Il soldato] ti picchia. Ma io non sono Hamas, di cosa ho la colpa? Ma continua a dirti: ‘Tu sei Hamas, tutti quelli che rimangono a Gaza [City] sono Hamas. Se non fossi stato Hamas saresti andato a sud. Ti avevamo detto di andare a sud.'”

Shadi al-Adawiya, un altro prigioniero poi rilasciato, ha riferito a TRT [l’azienda radiotelevisiva di Stato turca, ndt.] in una testimonianza videoregistrata: Ci spegnevano le sigarette sul collo, sulle mani e sulla schiena. Ci prendevano a calci nelle mani e in testa. E c’erano le scosse elettriche”.

Non puoi chiedere nulla”, ha detto ad Al Jazeera un altro detenuto rilasciato dopo essere arrivato in un ospedale di Rafah. Se dici: Voglio bere, ti picchiano su tutto il corpo. Non c’è differenza tra vecchi e giovani. Ho 62 anni. Mi hanno colpito alle costole e da allora ho difficoltà a respirare”.

“Ho provato a togliermi la benda e un soldato mi ha dato una ginocchiata in fronte”

I palestinesi arrestati da Israele a Gaza, siano essi combattenti o civili, sono detenuti ai sensi della Legge sui combattenti illegali” del 2002. Questa legge israeliana consente allo Stato di trattenere combattenti nemici senza concedere loro lo status di prigioniero di guerra e di trattenerli per lunghi periodi di tempo senza regolari procedimenti legali. Israele può impedire ai detenuti di incontrare un avvocato e rinviare l’esame giudiziario fino a 75 giorni o, su approvazione di un giudice, fino a sei mesi.

Dopo lo scoppio dellattuale guerra in ottobre questa legge è stata modificata: secondo la versione approvata dalla Knesset il 18 dicembre, Israele può trattenere tali detenuti anche fino a 45 giorni senza emettere un ordine di detenzione: una disposizione che comporta preoccupanti conseguenze.

Scompaiono per 45 giorni”, ha detto a +972 e Local Call Tal Steiner, direttore esecutivo del Comitato Pubblico Contro la Tortura in Israele. Le loro famiglie non vengono informate. Durante questo periodo le persone possono morire senza che nessuno lo venga a sapere. [Si deve] provare che sia successo davvero. Tante persone possono semplicemente scomparire”.

L’ONG israeliana per i diritti umani HaMoked ha ricevuto chiamate da persone di Gaza riguardanti 254 palestinesi detenuti dall’esercito israeliano e i cui parenti non hanno idea di dove si trovino. Alla fine di dicembre HaMoked ha presentato una petizione allAlta Corte israeliana chiedendo che lesercito pubblichi informazioni sugli abitanti di Gaza detenuti.

Una fonte del Servizio Carcerario Israeliano ha detto a +972 e Local Call che la maggior parte dei detenuti prelevati da Gaza sono trattenuti dai militari e non sono stati trasferiti nelle carceri. È probabile che lesercito israeliano stia cercando di ottenere informazioni di intelligence dai civili utilizzando la legge sui combattenti illegali per tenerli prigionieri.

I detenuti che hanno parlato con +972 e Local Call hanno affermato di essere stati trattenuti nella struttura militare insieme a persone che sapevano essere membri di Hamas o della Jihad islamica. Secondo le testimonianze, i soldati israeliani non fanno distinzioni tra i civili e i membri di queste organizzazioni e trattano tutti allo stesso modo. Alcuni degli arrestati in uno stesso gruppo a Beit Lahiya quasi un mese fa non sono stati ancora rilasciati.

Nidal descrive come, oltre alla violenza subita dai detenuti, le condizioni di detenzione fossero estremamente dure. “La toilette è una sottile apertura tra due pezzi di legno”, dice. Ci mettevano lì ammanettati e bendati. Entravamo e facevamo pipì vestiti. Ed è sempre lì che bevevamo”.

I civili rilasciati dalla base militare israeliana hanno raccontato a +972 e Local Call che dopo pochi giorni sono stati portati da una struttura all’altra per essere interrogati. La maggior parte ha affermato di essere stata picchiata durante gli interrogatori. È stato loro chiesto se conoscevano agenti di Hamas o della Jihad islamica, cosa pensavano di quanto accaduto il 7 ottobre, quale dei loro familiari fosse un agente di Hamas, chi fosse entrato in Israele il 7 ottobre e perché non fossero fuggiti a sud come ordinato.”

Tre giorni dopo Lubad è stato portato a Gerusalemme per l’interrogatorio. “L’inquirente mi ha dato un pugno in faccia e alla fine mi hanno portato fuori e mi hanno bendato”, dice. Ho provato a togliermi la benda perché mi faceva male e un soldato mi ha dato una ginocchiata in fronte, quindi l’ho lasciata.

“Mezz’ora dopo hanno portato un altro prigioniero, un professore universitario”, continua Lubad. A quanto pare non ha collaborato con loro durante linterrogatorio. Lo hanno picchiato davvero senza pietà accanto a me. Gli hanno detto: ‘Stai difendendo Hamas, non rispondi alle domande. Mettiti in ginocchio, alza le mani.Ho sentito due persone venire verso di me. Pensavo che fosse il mio turno di essere picchiato e nell’attesa ero contratto in tutto il corpo. Qualcuno mi ha sussurrato allorecchio: Di’ cane”. Ho detto che non capivo. Mi ha risposto: Di‘: il giorno verrà per ogni cane’”, intendendo morte o punizione.

Lubad è stato poi riportato nella cella di detenzione. Secondo lui le condizioni a Gerusalemme erano migliori che nella struttura a sud. Per la prima volta non è stato ammanettato né bendato. “Avevo così tanto male ed ero così stanco che mi sono addormentato, e basta”, dice.

Siamo stati trattati come galline o pecore”

Il 14 dicembre, una settimana dopo essere stato portato via dalla sua casa a Beit Lahiya dove aveva lasciato moglie e tre figli, Lubad è stato messo su un autobus per tornare al valico di Kerem Shalom tra Israele e la Striscia di Gaza. Ha contato 14 autobus e centinaia di prigionieri. Lui e un altro testimone hanno riferito a +972 e Local Call che i soldati hanno detto loro di scappare e che chiunque si guarderà indietro, gli spareremo”.

Da Kerem Shalom i prigionieri si sono recati a Rafah, una città che nelle ultime settimane si è trasformata in un gigantesco campo profughi dovendo ospitare centinaia di migliaia di palestinesi sfollati. I prigionieri rilasciati indossavano pigiami grigi e alcuni hanno mostrato ai giornalisti palestinesi ferite ai polsi, alla schiena e alle spalle, esito evidente della violenza subita durante la reclusione. Indossavano braccialetti numerati che avevano ricevuto appena arrivati al centro di detenzione.

Euro-Med Monitor, un’organizzazione per i diritti umani con sede a Ginevra con diversi ricercatori sul campo a Rafah, ha dichiarato a +972 e Local Call che si stima che nelle ultime settimane almeno 500 abitanti di Gaza siano stati rilasciati e rientrati in città dopo essere stati trattenuti in centri di detenzione israeliani, riportando testimonianze di feroci torture e abusi.

I prigionieri hanno detto ai giornalisti che a Rafah non sapevano dove andare o dove fossero le loro famiglie. Molti di loro erano scalzi. “Sono rimasto bendato per 17 giorni”, ha riferito uno di loro. Siamo stati trattati come galline o pecore”, ha detto un altro.

Uno dei detenuti arrivati a Rafah ha detto a +972 e Local Call che dal momento del suo rilascio due settimane fa vive in una tenda di nylon. “Solo oggi ho comprato delle scarpe”, dice. A Rafah, ovunque guardi, vedi tende. Da quando sono stato rilasciato, per me è stata psicologicamente molto dura. Un milione di persone sono stipate qui, in una città di 200.000 abitanti [prima della guerra]”.

Lubad appena arrivato a Rafah ha chiamato sua moglie. Era felice di sapere che lei e i suoi figli erano vivi. «In carcere continuavo a pensare a loro, a mia moglie che si trova in una situazione difficile, sola con il nostro bambino appena nato», spiega.

Ma al telefono ha capito che c’era qualcosa che i suoi familiari non gli dicevano. Alla fine, Lubad ha scoperto che unora dopo che suo fratello minore era tornato dalla prigionia a Zikim Beach era stato ucciso da un proiettile israeliano che ha colpito la casa di un vicino.

Ricordando l’ultima volta che aveva visto suo fratello, Lubad dice: “Vedevo come eravamo seduti lì in mutande, e faceva un freddo terribile, e gli ho sussurrato: ‘Va bene, va tutto bene, tornerai sano e salvo.’

Durante la sua detenzione la moglie di Lubad ha detto ai figli che lui era in viaggio allestero; Lubad non è sicuro che ci credessero. Quel giorno suo figlio di 3 anni lo ha visto per strada senza vestiti. Mio figlio desiderava tanto andare allo zoo, ma a Gaza non c’è più nessuno zoo. Allora gli ho detto che durante il mio viaggio avevo visto una volpe a Gerusalemme – e in effetti la mattina, durante il mio interrogatorio, passavano alcune volpi. Gli ho promesso che, quando tutto sarebbe finito, avrei portato anche lui a vederle.

In risposta alle affermazioni fatte in questo articolo secondo cui i soldati israeliani avrebbero bruciato le case dei palestinesi arrestati a Beit Lahiya, il portavoce dellesercito ha commentato che le accuse saranno prese in esame”, aggiungendo che negli appartamenti delledificio sono stati trovati documenti appartenenti ad Hamas e una grande quantità di armi” e che dalledificio sarebbero stati sparati colpi contro le forze israeliane.

Il portavoce dellesercito ha affermato che i palestinesi di Gaza sarebbero stati arrestati per coinvolgimento in attività terroristiche” e che ai detenuti che risultano non coinvolti in attività terroristiche e per i quali un prolungamento della detenzione non è giustificato viene permesso di tornare nella Striscia di Gaza alla prima occasione.”

Per quanto riguarda le accuse di maltrattamenti e torture il portavoce dell’esercito ha affermato che tutte le accuse di condotta impropria nella struttura di detenzione vengono indagate approfonditamente. I detenuti vengono ammanettati in base al loro livello di rischio e alle condizioni di salute, secondo una valutazione quotidiana. Una volta al giorno la struttura di detenzione militare offre ai detenuti che la richiedano una consulenza medica per verificarne le condizioni di salute”.

Tuttavia, i prigionieri che hanno parlato con +972 e Local Call hanno affermato di essere stati visitati da un medico solo al loro arrivo nella struttura e di non aver ricevuto alcun trattamento medico successivo nonostante le ripetute richieste.

Yuval Abraham è un giornalista e attivista che vive a Gerusalemme.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Netanyahu voleva distruggere Hamas. Questa guerra potrebbe distruggere Israele

David Hearst

22 dicembre 2023 – Middle East Eye

La guerra di Gaza è stata un enorme errore di valutazione di Israele. Oltre a essere un disastro morale e militare, sta rinfocolando la resistenza e riaccendendo le braci della rabbia in tutto il mondo arabo.

Durante l’assedio di Beirut nel luglio 1982, dopo un bombardamento israeliano particolarmente intenso, il presidente degli USA Ronald Reagan chiamò il primo ministro israeliano Menachem Begin per chiedergli di porvi fine.

“Notte dopo notte qui sulle nostre televisioni vengono mostrati al nostro popolo i segni di questa guerra ed è un olocausto,” disse Reagan.

A differenza del democratico che siede oggi alla Casa Bianca, il presidente repubblicano poteva ed era pronto a sostenere con l’azione le proprie parole. Gli USA misero fine alle bombe a grappolo e alla vendita di F16 a Israele.

Il numero dei morti nella guerra del Libano varia enormemente. Secondo le stime libanesi nei quattro mesi che seguirono il lancio dell’invasione furono uccisi 18.085 libanesi e palestinesi. Le cifre dell’OLP sono di 49.600 civili uccisi o feriti.

In appena due mesi Israele ha ucciso lo stesso numero di persone, ma ha inflitto a Gaza un livello di distruzione molto maggiore. 

Secondo gli analisti militari intervistati dal Financial Times la devastazione di Israele nel nord di Gaza, dove dal 4 dicembre è stato distrutto il 68% degli edifici, è paragonabile al bombardamento alleato di Amburgo (75%), Colonia (61%), e Dresda (59%) avvenuto in quelle città dopo due anni di bombardamenti.

Circa 20.000 palestinesi, il 70% donne e minori, sono stati uccisi in metà del tempo che ci volle a costringere l’OLP a lasciare Beirut ovest nel 1982. Eppure la sete di sangue di Israele dopo l’attacco di Hamas il 7 ottobre non è ancora stata saziata. 

Interpretando un sentimento diffuso, Zvi Yehezkeli, corrispondente per gli affari arabi di Channel 13, ha detto che Israele dovrebbe uccidere 100.000 palestinesi. Daniella Weiss, capo del Movimento dei Coloni Israeliani, ha detto che Gaza deve essere rasa al suolo, in modo che i coloni possano vedere il mare.

Terra sacra

A differenza dell’assedio di Beirut o del massacro del 1982 nei campi profughi di Sabra e Shatila, il bombardamento notturno di Gaza viene trasmesso in diretta da Al Jazeera

Milioni di arabi non riescono a distogliere gli occhi dalle scene di orrore in tempo reale. Una signora di 91 anni ad Amman, in Giordania, ha detto al figlio di vergognarsi di mangiare davanti alla televisione mentre Israele sta riducendo Gaza alla fame. 

La fame forzata di massa non è un’esagerazione.

Human Rights Watch ha accusato Israele di usare la fame di massa come arma di guerra. La politica governativa di affamare Gaza è stata confermata da Miri Regev, ministra dei Trasporti, che, in un recente incontro di gabinetto ha chiesto se la fame potrebbe influenzare i leader di Hamas. I suoi colleghi hanno dovuto correggerla precisando che la fame è un crimine di guerra.

L’effetto che queste immagini sta avendo è una catastrofe non solo per questo governo, o per ogni futuro governo di Israele, ma anche per tutti quegli ebrei che decideranno di restare in questa terra quando il conflitto sarà finalmente terminato.

La distruzione di Gaza sta gettando le fondamenta per altri 50 anni di guerra. Generazioni di palestinesi, arabi e musulmani non dimenticheranno mai la barbarie con cui oggi Israele sta smantellando l’enclave. Gaza, di per sé un grande campo profughi, sta diventando terra sacra.

Crollo del sostegno all’ANP

Ci sono israeliani che hanno capito. Ami Ayalon, ex capo di Shin Bet e comandante della marina, è uno di loro. Ayalon ha identificato una debolezza fondamentale nel pensiero convenzionale nei circoli israeliani della sicurezza.

Ha detto ad Aaron David Miller, analista USA del Medio Oriente, che se l’esercito israeliano vede la vittoria attraverso il prisma dello strapotere – cioè più persone uccide e maggiore è la distruzione più pensa di aver vinto – Hamas considera la vittoria attraverso il prisma del potere di persuasione – più cuori e menti conquista, più grande è la vittoria.

Gli israeliani stanno commettendo lo stesso errore dei francesi in Algeria quando, fra il 1954 e il 1962, uccisero da mezzo milione a un milione e mezzo di algerini, dal 5% al 15% della popolazione, pensando che così facendo avrebbero vinto la guerra. Tuttavia alla fine della guerra dovettero andarsene e concedere l’indipendenza all’Algeria.

Null’altro può spiegare la spettacolare ascesa di Hamas nei sondaggi in Cisgiordania, Giordania e persino in posti come l’Arabia Saudita, dove i leader hanno cercato deliberatamente di seppellire la guerra organizzando dei festival.

Khalil Shikaki, sondaggista molto rispettato dell’OLP e che non ama molto Hamas, ha rilevato che il 72 % degli intervistati crede che Hamas sia stata nel “giusto” a lanciare il suo attacco del 7 ottobre, con l’82% di sostegno in Cisgiordania.

Allo stesso tempo il sostegno per l’Autorità Palestinese è di conseguenza crollato. Shikaki riporta che il 60% ne vorrebbe lo scioglimento.

Una serie di valutazioni dell’intelligence USA conferma la rapidissima ascesa della popolarità di Hamas dall’inizio della guerra. Funzionari a conoscenza delle diverse valutazioni dicono che il gruppo si è piazzato con successo in varie parti del mondo arabo e musulmano come difensore della causa palestinese e un combattente efficace contro Israele, come riportato dalla CNN.

Brutte notizie per tutti quei Paesi, naturalmente con gli USA in testa, che pensano che l’AP possa rimpiazzare Hamas a Gaza. Queste non sono solo cifre. È la nuova realtà politica dopo il 7 ottobre.

Ognuno degli alti papaveri di Fatah che la pensi diversamente viene immediatamente contestato. Oggi l’ambizioso esiliato palestinese Mohammed Dahlan [ex-capo della sicurezza di Fatah a Gaza, acerrimo nemico di Hamas e cacciato da Abu Mazen per corruzione, ndt.] e il suo clan sembrano sostenitori di lunga data di Hamas, non come quando si consideravano il fulcro di un piano internazionale per scacciare Hamas da Gaza nel 2007 dopo che aveva vinto le libere elezioni dell’anno prima.

Affare fatto

Ma Hussein al-Sheikh, segretario del comitato esecutivo dell’OLP e recentemente consacrato successore di Mahmoud Abbas, presidente dell’ANP, non ha ancora capito il cambiamento di atmosfera a Ramallah.

Sheikh, parlando a Reuters, ha attaccato Hamas dicendo che dal 2008 ha combattuto cinque guerre contro Israele e non ha ottenuto nulla con l’occupazione militare.

“Alcuni non accettano di credere che i suoi metodi e il suo approccio nella gestione del conflitto con Israele siano l’ideale e il migliore.

“Dopo tutte queste [morti] e dopo tutto quello che è successo, non vale la pena di fare una valutazione seria, onesta e responsabile per proteggere il nostro popolo e la nostra causa palestinese?

Non vale la pena discutere come gestire questo conflitto con l’occupazione israeliana?” dice Sheikh.

Sheikh sembra insinuare che la presa di potere dell’ANP a Gaza dopo guerra sia un affare fatto. Ha detto all’israeliano Channel 12 che Israele e l’AP si sono accordati su un meccanismo che permetterà all’Autorità di ricevere i fondi trattenuti [da Israele] fin dall’inizio della guerra.

Ci sono voluti due giorni interi a Sheikh per fare dietrofront sul suo attacco contro Hamas. Gli è stato chiesto come un leader di Fatah che nei sondaggi ha il 3% possa criticare Hamas, con il suo 48% sul suo stesso terreno.

Sheikh, questa volta parlando con Al Jazeera, ha detto che i suoi commenti sulle responsabilità di Hamas erano stati “fraintesi”: “L’Autorità Palestinese è la prima a difendere la resistenza,” ha detto nervosamente.

Divide et impera

L’offensiva israeliana contro Gaza ha certamente cambiato l’intero Medio Oriente, come aveva promesso il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ma non in modi da cui trarranno beneficio il suo governo o quelli futuri.

Per 17 anni Gaza è stata dimenticata o ignorata dal resto del mondo, eccetto durante le guerre del 2009, 2012, 2014 e 2021, l’America e le maggiori potenze europee hanno fatto del loro meglio per rafforzare l’assedio di Gaza da parte di Israele e dell’egiziano Abdel Fattah el-Sisi.

Bene, con il 60% distrutto e la gran parte della sua popolazione di 2.3 milioni senza case, scuole, ospedali, strade, negozi o moschee a cui far ritorno, non c’è pericolo che Gaza venga più ignorata.

Se per 17 anni la politica di Israele è stata dividere per dominare, separando Gaza dalla Cisgiordania ed eliminando tutte le possibilità di prendere parte a un governo di unità nazionale, Gaza e la Cisgiordania sono riunite come mai prima.

Se la Giordania è stata tranquilla per 50 anni dopo la sanguinosa guerra fra il suo esercito e l’OLP, se le divisioni fra i giordani dell’est e i cittadini palestinesi della Giordania sono state improntate da mutua sfiducia, oggi la Giordania, sia giordani che palestinesi, è un calderone ribollente di odio contro Israele. Ci sono crescenti tentativi di contrabbandare armi verso la Cisgiordania nei 360 km di confine, lungo oltre quattro volte quello con Libano e Siria.

La Giordania stima che Israele avrà bisogno di cinque volte il numero di truppe schierate lungo il confine libanese per metterlo in sicurezza.

In Giordania, con 13 campi profughi e milioni di palestinesi che sono cittadini, c’è la più grande concentrazione della diaspora palestinese, circa sei milioni, superando in numero i palestinesi che vivono in Cisgiordania e a Gaza.

Se il 6 ottobre Netanyahu si è vantato dell’imminente vittoria dei sionisti, sventolando davanti all’assemblea generale delle Nazioni Unite una mappa di Israele dove la Palestina era cancellata, oggi le sue vanterie sembrano tristemente mal riposte; se la firma dell’Arabia Saudita sull’accordo che riconosce Israele era considerata solo una questione di tempo, oggi gli Accordi di Abramo si sono dissolti nel calderone che Israele ha acceso a Gaza.  

Lo scaricabarile di Netanyahu

E le opinioni in Arabia Saudita? L’ultimo sondaggio contiene due cifre sorprendenti per un Paese il cui leader sta deliberatamente cercando di scrollarsi di dosso vecchie abitudini, incluso il sostegno alla Palestina.  Il 91% concorda che la guerra a Gaza sia una vittoria per palestinesi, arabi e musulmani e il 40% ha un atteggiamento positivo su Hamas, un cambiamento di 30 punti dall’agosto di quest’anno.

Oggi se si legge e ascolta quello che hanno da dire sauditi, qatarioti, emiratini e bahreiniti, il riconoscimento di Israele assomiglia straordinariamente all’iniziativa araba di pace del 2002 che gli accordi [di Abramo] avrebbero dovuto sostituire.

La caratteristica principale degli Accordi di Abramo studiata dall’ex ambasciatore USA in Israele, David M Friedman, e da Jared Kushner [genero e consigliere di Trump, ndt.], era di rendere irrilevante il veto palestinese. Ora c’è di nuovo. Anche se altri Paesi li firmeranno ciò sta diventando irrilevante, dato che la vera lotta si è cristallizzata fra i palestinesi e Israele. 

Fra le rovine di tutti questi piani Netanyahu e la sua coalizione di estrema destra hanno una sola direzione in cui possono andare: avanti. Non possono ritirarsi.

Per la propria sopravvivenza politica e giudiziaria Netanyahu deve continuare la guerra. Così come il sionismo nazional-religioso [l’estrema destra dei coloni, ndt.]. Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich [ministri di estrema destra, ndt.] sanno che perderebbero un’opportunità che si presenta solo una volta nella vita per cambiare l’equilibrio demografico fra ebrei e palestinesi in Cisgiordania se Netanyahu è costretto dal presidente USA Joe Biden a porre fine alla guerra.

Alla domanda di Middle East Eye su quali piani abbia Israele per il “giorno dopo” la fine della guerra, esperti analisti israeliani ed ex diplomatici sono stati unanimi nelle loro risposte: non ce ne sono. 

Eran Etzion, ex diplomatico e membro del Consiglio Nazionale di Sicurezza, ha detto che Netanyahu sta sicuramente pensando al giorno dopo, ma solo a come ciò influenzerà le sue possibilità di sopravvivenza politica.

È molto chiaro che si è già reso conto che gli americani stanno per fermarlo prima che abbia raggiunto gli obiettivi della guerra,” ha detto.

Si sta già preparando per lo ‘scaricabarile’, i suoi bersagli saranno Biden, i capi militari, i media, e come si dice in ebraico, tutto il mondo e sua moglie che gli hanno impedito di raggiungere la vittoria.

“Quindi per lui il giorno dopo è la continuazione della guerra a ogni costo, dato che lo scopo è restare al potere.”

Etzion ha fatto notare che, anche dopo due mesi di campagna, non c’è nessun contesto ufficiale o gruppo di politici che pianifichi la gestione del dopoguerra a Gaza, e non ci sono discussioni ufficiali fra l’establishment della difesa israeliana e i funzionari USA a Washington.

Incredibile errore di valutazione

La guerra potrebbe esaurirsi sotto la pressione USA e continuare come un conflitto caratterizzato da attacchi dell’esercito israeliano contro i leader di Hamas e una guerriglia prolungata di combattenti in piccole unità. 

Ma questo comporta che Israele non solo si impadronisca del valico di Rafah e sigilli i tunnel per impedire ad Hamas di rifornirsi con armi contrabbandate oltre confine, significa che Israele provveda all’amministrazione civile del nord di Gaza, che ha completamente distrutto.

Per la destra gli ostaggi che Hamas continua a detenere sono praticamente come già morti, ma Netanyahu subirà una pressione crescente dalle loro famiglie perché abbandoni la sua guerra.

I fantasmi del Libano stanno veramente ritornando indietro a perseguitare Israele. Ci vollero 15 anni perché Israele se ne andasse quando Beirut era diventata indifendibile, ma nel 2000 se ne andò. Quando lo fece Hezbollah diventò la forza militare e politica predominante in quel Paese.

Questa guerra è stata un incredibile errore di valutazione per Israele. È un disastro militare oltre che morale. Sta dando alla resistenza una popolarità e uno status nel mondo arabo mai visti in molti decenni.

Neppure la prima e la seconda intifada hanno avuto il successo di Hamas a Gaza negli ultimi due mesi. Gaza ha riacceso le braci della rabbia araba per le umiliazioni subite per mano degli immigrati ebrei.

Il risultato di questa guerra potrà essere un continuo stato di conflitto che priverà Israele della sua affermazione di essere diventato un normale Stato occidentale. In queste condizioni, l’allargamento della guerra esisterà sempre, come mostrano gli attacchi degli Houthi dello Yemen contro i cargo occidentali che passano attraverso il mar Rosso.

Mitut Hamas” (crollo di Hamas) slogan in ebraico e scopo del gabinetto di guerra israeliano. Dopo due mesi di una tale distruzione, potrebbero aggiornarlo con questo: “Mitut Israel”, perché è questo l’effetto che potrebbe avere questa guerra.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

David Hearst è cofondatore e capo redattore di Middle East Eye. È un commentatore e conferenziere sulla regione e analista dell’Arabia Saudita. È stato capo redattore di politica estera per The Guardian e corrispondente in Russia, Europa e da Belfast. È arrivato a The Guardian da The Scotsman, dove si occupava del settore dell’istruzione.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Chi era Saleh al-Arouri, il dirigente di Hamas ucciso a Beirut?

Redazione di Al Jazeera

3 gennaio 2024 – Al Jazeera

L’uccisione del vice-capo dell’ufficio politico di Hamas potrebbe scatenare una rappresaglia da parte di Hamas ed Hezbollah.

Martedì un attacco con un drone nel quartiere periferico di Dahiyeh, roccaforte di Hezbollah a Beirut sud, ha ucciso l’importante politico di Hamas Saleh al-Arouri.

L’agenzia statale di notizie libanese ha informato che il drone ha colpito un ufficio di Hamas uccidendo sei persone.

Hamas ha confermato la morte di Al-Arouri e l’ha definita un “vigliacco assassinio” da parte di Israele, aggiungendo che gli attacchi contro i palestinesi “dentro e fuori dalla Palestina non riusciranno a spezzare la volontà e la tenacia del nostro popolo o a impedire la continuazione della nostra coraggiosa resistenza.”

“Ciò dimostra ancora una volta il totale fallimento del nostro nemico nel raggiungere i suoi scopi aggressivi nella Striscia di Gaza,” ha affermato l’organizzazione.

In seguito alla notizia della morte di al-Arouri le moschee di Arura, la città a nord di Ramallah nella Cisgiordania occupata, hanno pianto la sua morte ed è stato dichiarato uno sciopero generale per mercoledì.

Ecco quello che c’è da sapere del dirigente di Hamas morto in Libano.

Chi era Saleh al-Arouri?

Al-Arouri, 57 anni, era il vice-capo dell’ufficio politico di Hamas e uno dei fondatori dell’ala militare del gruppo, le brigate Qassam.

Dopo aver passato 15 anni in una prigione israeliana viveva in esilio in Libano. Prima che il 7 ottobre iniziasse la guerra, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu l’aveva minacciato di morte.

Nelle ultime settimane al-Arouri aveva assunto il ruolo di portavoce dell’organizzazione e lo scorso mese aveva detto ad Al Jazeera che Hamas non avrebbe discusso un accordo per lo scambio degli ostaggi detenuti dal gruppo prima della fine della guerra a Gaza.

Nel 2015 gli Stati Uniti avevano etichettato al-Arouri un “terrorista globale” e promesso una taglia di 5 milioni di dollari per ogni informazione su di lui.

Cosa ha detto Israele della morte di al-Arouri?

Mentre non ci sono state reazioni ufficiali di Israele sulla morte del politico di Hamas, Mark Regev, consigliere di Netanyahu, ha detto al sito di notizie statunitense MSNBC che Israele non si assume la responsabilità dell’attacco. Ma, ha aggiunto, “chiunque lo abbia fatto, deve essere chiaro che non si è trattato di un attacco contro lo Stato libanese.”

“Chiunque lo abbia fatto ha compiuto un attacco chirurgico contro la dirigenza di Hamas,” ha affermato.

Tuttavia Danny Danon, ex- ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, ha esaltato l’attacco e si è congratulato con l’esercito israeliano, lo Shin Bet, il servizio di sicurezza, e il Mossad, il servizio di intelligence, per l’uccisione di al-Arouri.

“Chiunque sia convolto nel massacro del 7 ottobre dovrebbe sapere che lo troveremo e faremo i conti con lui,” ha scritto su X in ebraico, in riferimento all’attacco del 7 ottobre di Hamas nel sud di Israele che ha ucciso circa 1.200 persone.

I continui bombardamenti e colpi di artiglieria israeliani contro Gaza hanno ucciso da allora più di 22.000 palestinesi, tra cui più di 8.000 minori.

Secondo i media israeliani, dopo il tweet di Danon il governo ha ordinato ai ministri di non rilasciare interviste riguardo alla morte di al-Arouri.

Quale è stata la risposta dal Libano?

Il primo ministro libanese ad interim Najib Mikati ha condannato l’attacco contro il quartiere di Beirut ed ha affermato che si è trattato di un “nuovo crimine israeliano” e di un tentativo di spingere il Libano in guerra.

Mikati ha anche messo in guardia verso “gli alti dirigenti politici israeliani che ricorrono all’esportazione del fallimento a Gaza sul confine meridionale [del Libano] per imporre nuovi fatti sul terreno e cambiare le regole d’ingaggio.”

Hezbollah ha affermato che l’attacco contro la capitale del Libano “non passerà impunito.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




‘Ottantunesimo giorno dell’operazione “Inondazione Al-Aqsa”: l’OMS afferma che il sistema sanitario di Gaza è stato “decimato” dai bombardamenti israeliani

Mustafa Abu Sneineh  

 26 dicembre 2023 – Mondoweiss

Vittime

  • Oltre 20.674 uccisi* e almeno 54.536 feriti nella Striscia di Gaza.

  • 305 palestinesi uccisi nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme est.

  • Israele ha rivisto al ribasso da 1.400 a 1.147 la stima del numero di morti del 7 ottobre.

  • 491 soldati israeliani uccisi e almeno 1.952 feriti dal 7 ottobre.

* Questo dato è stato confermato dal ministero della Sanità di Gaza il 25 dicembre. A causa delle interruzioni della rete di comunicazione all’interno della Striscia di Gaza da metà novembre il ministero della Sanità di Gaza non è in grado di aggiornare regolarmente e in modo accurato i propri dati. Tenendo conto dei dispersi, alcune associazioni per i diritti umani portano la stima del numero di morti a circa 28.000.

Avvenimenti principali

  • Il leader di Hamas Yahya Sinwar afferma che i combattenti hanno inflitto perdite e danni alle forze israeliane colpendo dal 7 ottobre non meno di 5.000 soldati e attaccando 750 veicoli militari.L’esercito israeliano sostiene che l’aviazione ha lanciato più di 100 attacchi in 24 ore contro Gaza.

  • La Mezzaluna Rossa palestinese afferma che i suoi uffici di Khan Younis sono stati bombardati dall’artiglieria israeliana, che ha distrutto il piano superiore e ha ferito parecchi palestinesi che vi si erano rifugiati.

  • Il personale dell’OMS ha sentito racconti strazianti di sopravvissuti palestinesi del bombardamento israeliano contro il campo profughi di Al-Maghazi, che ha ucciso 70 persone.

  • Le forze israeliane hanno pesantemente bombardato quartieri di Khan Younis e i dintorni dell’ospedale Nasser, cercando di conquistare un avamposto nel sud di Gaza.

  • Forze israeliane hanno ucciso due palestinesi nel campo profughi di Al-Fawwar a Hebron, nel sud della Cisgiordania.

  • Dopo aver fatto irruzione nella sua casa a Ramallah, le forze israeliane hanno arrestato la nota attivista politica Khalida Jarrar,.

  • Forze israeliane hanno fatto irruzione nel campo profughi di Nur Shams a Tulkarem per circa otto ore, hanno fatto saltare in aria tre proprietà e arrestato parecchi palestinesi.

Il leader di Hamas loda la tenacia dei palestinesi contro l’aggressione israeliana

In una lettera pubblicata dal sito in arabo di Al-Jazeera, nel suo primo messaggio pubblico dal 7 ottobre il leader di Hamas Yahya Sinwar ha affermato che le brigate Izz al-Din Al-Qassam stanno conducendo una feroce battaglia senza precedenti contro le forze dell’occupazione israeliana nella Striscia di Gaza.

La lettera di Sinwar era indirizzata ai membri dell’ufficio politico di Hamas durante il dialogo per i tentativi di mediazione egiziani e qatarini per raggiungere un accordo di cessate il fuoco e uno scambio di ostaggi con Israele. Tuttavia più tardi, lunedì, Al-Jazeera ha tolto dal sito la lettera.

Sinwar ha affermato che i combattenti della resistenza hanno inflitto perdite significative alle forze israeliane, colpendo almeno 5.000 soldati e uccidendone un terzo. Il leader di Hamas ha aggiunto che i combattenti della resistenza hanno attaccato un totale di 750 veicoli militari, determinandone a quanto ha affermato la distruzione totale o parziale.

Ha aggiunto che i palestinesi della Striscia di Gaza “hanno fornito un esempio di sacrificio, eroismo, lealtà, solidarietà e interdipendenza senza precedenti” durante la guerra, in cui le forze israeliane hanno ucciso più di 20.000 palestinesi e ne hanno feriti circa 55.000.

I dati ufficiali israeliani indicano che fino a lunedì nei combattimenti sono stati uccisi 156 soldati israeliani. Tuttavia questi numeri potrebbero essere più alti, in quanto in base a fonti indipendenti l’esercito israeliano avrebbe imposto un ordine di riservatezza che impedisce ai media israeliani di dare informazioni sulle vittime israeliane nella Striscia di Gaza.

Forze israeliane bombardano gli uffici della Mezzaluna Rossa palestinese a Gaza

Martedì mattina l’esercito israeliano ha affermato che nelle ultime 24 ore l’aviazione ha lanciato nella Striscia di Gaza più di 100 attacchi.

Martedì la Mezzaluna Rossa palestinese (PRCS) ha detto che i suoi uffici a Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, sono stati attaccati da un bombardamento dell’artiglieria israeliana che ha distrutto il piano superiore. Vari sfollati palestinesi che vi si erano rifugiati sono rimasti feriti.

La PRCS ha affermato che l’equipaggio di un’ambulanza è sopravvissuto “miracolosamente” al bombardamento israeliano di lunedì mentre stava trasportando i corpi di palestinesi uccisi nel quartiere di Al-Katiba a Khan Younis. Forze israeliane la scorsa settimana hanno anche arrestato parecchi dipendenti della PRCS nel centro ambulanze di Jabalia, nel nord di Gaza, dopo avervi fatto irruzione.

Dal 7 ottobre la PRCS, che nella Striscia di Gaza gestisce vari ambulatori medici e ospedali convenzionati, opera in condizioni durissime e con carenza di rifornimenti sufficienti di medicine e carburante. Dal 7 ottobre sono stati uccisi dai bombardamenti israeliani almeno 284 membri del personale, molti dei quali mentre stavano fornendo interventi di pronto soccorso e assistenza medica.

Lunedì pomeriggio il ministero della Sanità di Gaza ha detto che da ottobre 20.674 persone sono state uccise come martiri e 54.536 ferite nei bombardamenti israeliani.

Il personale dell’OMS ha sentito storie orribili dai sopravvissuti palestinesi del massacro di Al-Maghazi

Domenica notte almeno 70 palestinesi sono stati uccisi nel bombardamento israeliano di case nel campo profughi di Al-Maghazi, nella zona centrale di Gaza. Il direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) Tedros Adhanom Ghebreyesus ha scritto su X che nell’ospedale Al-Aqsa il personale dell’OMS ha sentito “storie terribili” da vittime del brutale bombardamento di Al-Maghazi.

“Il personale dell’OMS ha ascoltato resoconti strazianti, che sono condivisi sia da lavoratori sanitari che dalle vittime, delle sofferenze causate dalle esplosioni. Un bambino ha perso tutta la sua famiglia nell’attacco contro il campo. Un infermiere dell’ospedale ha sofferto la stessa perdita, in quanto tutta la sua famiglia è stata uccisa,” ha scritto Ghebreyesus.

Ha aggiunto che il personale sanitario dell’ospedale Al-Aqsa ha cercato di salvare la vita di Ahmad, un bambino di 9 anni, che aveva subito una ferita alla testa dovuta a schegge e detriti provocati da un’esplosione israeliana mentre stava attraversando una strada ad Al-Maghazi.

“I medici ci hanno detto che le sue ferite erano talmente serie che non sarebbe sopravvissuto,” ha scritto lunedì.

“L’ospedale (Al-Aqsa) sta assistendo molti più pazienti di quanti la sua capienza e il suo personale possano gestire. Molti non sopravviveranno all’attesa. Al momento l’ospedale ha in funzione cinque sale operatorie e altre due sono gestite da (Medici senza Frontiere), ma non è ancora sufficiente,” ha aggiunto.

Ghebreyesus ha chiesto un cessate il fuoco e ha affermato che il personale dell’OMS sta assistendo alla distruzione del sistema sanitario di Gaza, che è stato “messo in ginocchio” dalla prosecuzione dei bombardamenti israeliani.

Gemma Connell, dell’agenzia umanitaria dell’ONU (OCHA), martedì ha detto alla BBC che lunedì le condizioni dell’ospedale Al-Aqsa erano “una totale carneficina”.

Connell ha affermato che durante la sua visita all’ospedale “ci sono stati nuovi attacchi aerei che hanno colpito aree limitrofe all’ospedale nella zona centrale [della Striscia] e vi venivano portate nuove vittime.”

“Tragicamente ho visto spirare un bambino di nove anni con una terribile ferita alla testa,” ha aggiunto. “Quando dico che ci sono stati di nuovo attacchi oggi e che sono arrivate vittime, alcuni di questi attacchi sono avvenuti in zone in cui era stato detto alla gente di spostarsi, il che, penso, riprende ancora una volta il ritornello che sono così stanca di dire: a Gaza non ci sono posti sicuri.”

Le forze israeliane concentrano la potenza di fuoco contro Khan Younis, nel tentativo di conquistare un avamposto nel sud di Gaza

Nelle ultime 24 ore le forze israeliane hanno intensificato la campagna di bombardamenti nella Striscia di Gaza concentrando la loro potenza di fuoco contro Khan Younis e nelle zone meridionali [della Striscia di Gaza], mentre le forze di terra cercano di conquistare un avamposto nella seconda città più grande dell’enclave costiera.

Almeno dieci palestinesi sono stati uccisi in un attacco aereo israeliano nella città di Khan Younis. L’agenzia di stampa Wafa informa che le forze israeliane hanno bombardato anche i dintorni dell’ospedale Nasser, le case della famiglia Al-Najjar a sud dell’area di Kaizan Al-Najjar a Khan Younis e della famiglia Abu Rizqa nel quartiere olandese della città.

Lunedì pomeriggio gli attacchi aerei israeliani hanno ucciso cinque palestinesi nel quartiere di Al-Amal di Khan Younis. Il ministero della Sanità di Gaza ha affermato che da domenica pomeriggio le forze israeliane hanno commesso 25 massacri, uccidendo almeno 250 palestinesi e ferendone altri 500.

Ad est e a nord di Khan Younis le forze israeliane hanno colpito con bombardamenti di artiglieria e attacchi aerei le cittadine di Bani Suheila, Al-Bureij e i campi profughi di Al-Maghazi.

Anche Juhr Al-Dik, una zona a sud-est di Gaza City, è stata bombardata. Juhr Al-Dik è diventata il luogo di molti attacchi dei combattenti palestinesi contro le forze israeliane schierate nella zona da fine ottobre.

Nella città meridionale di Rafah molti palestinesi feriti dagli attacchi israeliani sono stati ricoverati nell’ospedale Kuwaitiano. Forze israeliane hanno bombardato la casa della famiglia Al-Amsi in piazza Al-Najmeh a Rafah e un’altra casa nel campo profughi di Al-Shaboura. Lunedì pomeriggio forze israeliane hanno bombardato anche la città di Deir Al-Balah.

Forze israeliane hanno assaltato il campo profughi di Nour Shams, uccidendo due palestinesi a Hebron

Martedì mattina forze israeliane hanno ucciso due palestinesi nella Cisgiordania occupata.

Il ministero della Sanità ha affermato che Ibrahim Majid Abdel Majeed al-Titi, 31 anni, e Ahmad Muhammad Yousef Yaghi, 17, sono stati uccisi da fuoco israeliano nel campo profughi di Al-Fawwar a Hebron, nel sud della Cisgiordania.

Martedì mattina forze israeliane hanno attaccato Al-Fawwar e hanno sparato proiettili veri contro palestinesi, uccidendo Yaghi e al-Titi. Il numero totale di palestinesi uccisi dalle forze israeliane e dai coloni nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme dal 7 ottobre è salito a 305.

La Wafa ha informato che durante la notte forze israeliane hanno arrestato 55 palestinesi. Gli arrestati più famosi sono l’attivista politica Khalida Jarrar, 60 anni, e Rashad Karaja, capo del consiglio comunale del villaggio di Safa, nei pressi di Ramallah. Sia Jarrar che Karaja sono importanti attivisti di sinistra.

Le forze israeliane hanno fatto irruzione nella casa di Jarrar nella città di al-Bireh, nei pressi di Ramallah, ed hanno perquisito i suoi effetti personali. Jarrar è stata arrestata molte volte nel corso degli anni ed ha scontato varie sentenze consecutive di detenzione amministrativa, l’ultima nel 2021, dopo di che è stata rilasciata dalla prigione israeliana. La figlia minore di Jarrar, Suha, è morta durante l’ultimo periodo di detenzione di sua madre, e Jarrar, nonostante fosse in prigione senza accuse né processo, non ha potuto partecipare al funerale della figlia.

A Hebron forze israeliane hanno arrestato anche 17 palestinesi delle famiglie Abu Hadid e Al-Atrash, mentre al check point militare di Barta’a, a sud della città di Jenin, sono stati arrestati anche altri 17 operai e commercianti prima di essere trasferiti nei centri di detenzione di Salem e Huwwara.

La Wafa ha informato che durante la notte a Betlemme sono stati arrestati 15 palestinesi, tra cui due donne e un giornalista.

Secondo il Club dei Prigionieri Palestinesi da ottobre le forze israeliane hanno arrestato un totale di 4.785 palestinesi dalle loro case o ai posti di controllo militari. Dopo un’incursione di circa otto ore nel campo profughi di Nour Shams, a est della città di Tulkarem, martedì mattina le forze israeliane si sono ritirate dalla zona.

Forze israeliane hanno fatto saltare in aria tre case a Nour Shams, tra cui quella di Odeh Khalil Arif Hassan, 38 anni, nel quartiere di Al-Maslakh. Hassan era stato arrestato durante l’incursione.

La Wafa ha informato che l’esplosione ha provocato danni alle case vicine, tra cui quella di Abdul Hadi Arif e Muhammad Al-Azab.

La seconda casa che le forze israeliane hanno fatto saltare in aria è stata quella di Yousef al-Zindeeq, situata all’ingresso di Nour Shams. Il secondo piano della casa di Musa Al-Azb è stato in seguito fatto esplodere, provocando un incendio.

La Wafa ha riportato che durante il raid forze israeliane hanno vandalizzato case palestinesi e hanno requisito telefonini, arrestando Abdel Karim Omar Nasrallah, 27 anni, e Ahmad Muhammad Abu Zahra, 26.

Bulldozer israeliani hanno sfasciato vari veicoli palestinesi, distrutto muri e danneggiato strade a Nour Shams. Un edificio in costruzione nella zona di Aktaba è stato colpito con bombe anticarro Energa.

Secondo la Wafa forze israeliane hanno fatto irruzione anche nella città di Tulkarem, e Nour Shams è diventato una “zona militare” chiusa, il che impedisce l’ingresso e l’uscita di palestinesi del campo, mentre un aereo da ricognizione israeliano ha sorvolato a bassa quota la zona.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Trasferimento forzato, ‘imperativo morale’ e disprezzo coloniale

Ramona Wadi

26 dicembre 2023 Middle East Monitor

Due editoriali usciti il giorno di Natale, uno del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu pubblicato sul Wall Street Journal e l’altro di Joel Roskin, geologo e geografo all’Università Bar-Ilan, apparso sul Jerusalem Post, puntano entrambi verso la pulizia etnica dei palestinesi di Gaza. Solo che la retorica di Netanyahu, non i suoi ordini, lo fa in modo leggermente meno indelicato, per compiacere l’Occidente della cui approvazione ha bisogno per distruggere completamente Gaza.

Netanyahu elenca tre prerequisiti per la “pace” e non cita gli ostaggi israeliani che restano a Gaza sotto la minaccia di essere uccisi dai bombardamenti dell’IDF. “Hamas deve essere distrutto, Gaza deve essere demilitarizzata e la società palestinese deve essere deradicalizzata.” Naturalmente Netanyahu ha bisogno della complicità internazionale e insiste che la comunità internazionale “dovrebbe incolpare Hamas per le massicce perdite civili della guerra in corso”. No, non deve. Israele sta bombardando Gaza con il pretesto di eliminare Hamas per effettuare una campagna di pulizia etnica totale contro il popolo palestinese.

Tuttavia la comunità internazionale non ha fatto altro che mercanteggiare sulle pause umanitarie e gli aiuti umanitari. Nel frattempo, a porte chiuse, il piano di Netanyahu per i palestinesi di Gaza è la “migrazione volontaria” – l’eufemismo di Israele per il trasferimento forzato, vietato dal diritto internazionale, che la comunità internazionale ha normalizzato a favore di Israele nel corso della Nakba del 1948.

Queste notizie non sorprendono, dato che il ministero israeliana dell’Intelligence ritiene che il trasferimento forzato sia l’opzione preferita, e che lo scorso novembre il parlamentare del Likud Danny Danon ha promosso la violazione del diritto internazionale a “imperativo morale” per i Paesi occidentali. Se l’Occidente probabilmente non solleverà che poche obiezioni o nessuna ai piani israeliani di trasferimento forzato, non esiste alcun imperativo morale nell’assecondare la pulizia etnica. Il problema è che la comunità internazionale non ha l’imperativo morale per fermare permanentemente la violenza coloniale israeliana perché la sua complicità è a mala pena distinguibile dalle attuali azioni di Israele.

L’editoriale di Roskin gronda odio, arroganza e ricatto, e ignora completamente la realtà politica di Gaza, incluso il rifiuto della comunità internazionale di accettare i risultati elettorali del 2006 e di avviare un dialogo con Hamas. L’Egitto, scrive Roskin, sarebbe “accolto dalla comunità internazionale quale salvatore della disperata situazione dei gazawi” se accettasse di essere complice dei piani israeliani di pulizia etnica. Roskin considera la Penisola del Sinai il luogo ideale per il “reinsediamento” dei palestinesi cacciati da Gaza dalla campagna di bombardamenti israeliani. Chiamare i trasferimenti forzati “sinceri programmi di reinserimento”, afferma Roskin, “L’obliterazione di Hamas in corso, che terrorizza i funzionari dell’Autorità Palestinese e molti abitanti di Gaza, potrebbe spianare la strada comparsa della soluzione del Sinai prospettata, se presentata in modo accorto e discreto che sia conforme alla mentalità mediorientale.”

Tutte queste parole ostili non rivelano altro che disprezzo coloniale per la popolazione indigena palestinese. I palestinesi non sarebbero forse abbastanza maturi da formare il proprio percorso politico se avessero la possibilità di farlo, invece di diventare rifugiati perpetui secondo il paradigma umanitario, tutto a beneficio di Israele? Se i palestinesi di Gaza non possono ritornare alle proprie terre e sono trasferiti a forza con la completa benedizione della comunità internazionale, Gaza potrebbe essere persa, ma non si vedrà la fine della lotta anticolonialista palestinese.

Un popolo che ricorda non può perdersi, non se sa che il colonialismo è reversibile.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(tradotto dall’inglese da Mirella Alessio)




ESCLUSIVA: LA CENSURA MILITARE ISRAELIANA VIETA DI RIFERIRE SU QUESTI OTTO ARGOMENTI

Ken Klippenstein, Daniel Boguslaw

23 dicembre 2023, The Intercept

Un insolito ordine in lingua inglese sulla guerra di Gaza rompe la segretezza e l’informalità con cui normalmente funziona la censura dell’Esercito israeliano.

Armi usate dalle forze di difesa israeliane, fughe di notizie dal gabinetto di sicurezza, storie di persone tenute in ostaggio da Hamas… sono alcuni degli otto argomenti di cui, secondo un documento ottenuto da The Intercept, in Israele ai media è vietato parlare.

Il documento, un ordine di censura indirizzato ai media dall’esercito israeliano come parte della guerra contro Hamas, non era stato segnalato in precedenza. Il promemoria, scritto in inglese, è stata una mossa insolita per la censura dell’IDF che fa parte dell’esercito israeliano da più di settant’anni.

“Non ho mai visto istruzioni come queste inviate dalla censura, a parte avvisi generali che invitavano i media a conformarsi, e anche allora erano inviati solo a determinate persone”, ha detto Michael Omer-Man, ex redattore capo della rivista israeliana +972 Magazine e oggi direttore della ricerca su Israele-Palestina presso Democracy in the Arab World Now, o DAWN, un gruppo di pressione statunitense.

Intitolato “Direttiva del Capo Israeliano della censura ai media per l’Operazione ‘Spade di Ferro’”, l’ordine non è datato ma il suo riferimento all’Operazione Spade di Ferro – il nome dell’attuale operazione militare israeliana a Gaza – chiarisce che è stato emesso qualche tempo dopo l’attacco di Hamas contro Israele il 7 ottobre. L’ordine è firmato dal capo censore delle forze di difesa israeliane, Generale di Brigata Kobi Mandelblit. (Il censore militare israeliano non ha risposto a una richiesta di commento sul promemoria.)

Il documento è stato fornito a The Intercept da una fonte che ne ha avuto una copia dall’esercito israeliano. Un documento identico appare sul sito web del governo israeliano.

“Alla luce dell’attuale situazione di sicurezza e dell’intensa copertura mediatica, desideriamo incoraggiarvi a sottoporre alla censura tutto il materiale riguardante le attività delle Forze di difesa israeliane (IDF) e delle forze di sicurezza israeliane prima che sia reso pubblico”, dice l’ordine. “Si prega di informare il proprio staff sul contenuto di questa lettera, con particolare attenzione alla redazione e ai giornalisti sul campo.”

L’ordine elenca otto argomenti di cui è vietato ai media riferire senza previa approvazione da parte della censura militare israeliana. Alcuni degli argomenti toccano questioni politiche scottanti in Israele e a livello internazionale, come rivelazioni potenzialmente imbarazzanti sulle armi usate da Israele o catturate da Hamas, discussioni sulle riunioni del gabinetto di sicurezza e sugli ostaggi israeliani a Gaza – una questione per la cui cattiva gestione il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stato ampiamente criticato.

La nota vieta inoltre di riferire su dettagli di operazioni militari, intelligence israeliana, attacchi missilistici che abbiano colpito luoghi sensibili in Israele, attacchi informatici e visite di alti ufficiali militari sul campo di battaglia.

Le preoccupazioni circa una politicizzazione della censura militare non sono meramente ipotetiche. Il mese scorso, secondo quanto riferito, il censore israeliano si è lamentato del fatto che Netanyahu gli stesse facendo pressione affinché reprimesse alcuni media senza una ragione legittima. Netanyahu ha negato l’accusa.

Autocensura e segretezza

La Censura Militare Israeliana è un’unità situata all’interno della Direzione dell’Intelligence Militare dell’IDF. L’unità è comandata dal capo censore, un ufficiale militare nominato dal Ministro della Difesa.

Guy Lurie, ricercatore presso l’Israel Democracy Institute con sede a Gerusalemme, ha detto a The Intercept che da quando è iniziata la guerra di Israele contro Hamas più di 6.500 nuovi articoli sono stati completamente o parzialmente censurati dal governo israeliano.

Per contestualizzare la cifra, Lurie ha affermato che si tratta di circa quattro volte in più rispetto a prima della guerra, citando un articolo del quotidiano israeliano Shakuf sulle richieste di libertà di informazione. Il numero di contributi sottoposti alla censura, tuttavia, è significativamente più alto in questo momento di intenso conflitto, e Lurie ha osservato che le notizie sono sottoposte a un normale livello di censura considerando il totale dei contributi.

Il numero effettivo di nuovi articoli sottoposti a censura, tuttavia, non potrà mai essere quantificato. A causa di un sistema di strette relazioni e di una certa consapevolezza su cosa aspettarsi, i giornalisti israeliani finiscono per autocensurarsi.

“Le persone si autocensurano, non provano nemmeno a riferire le storie che sanno che non passeranno”, ha detto Omer-Man. “E questo è dimostrato proprio adesso da quanto poco i comuni israeliani sappiano dalla stampa ciò che sta accadendo a Gaza ai palestinesi”.

Sono questi modi di censura non ufficiale che danno potere alla censura in Israele, dicono gli esperti.

Nel 2022 un rapporto del Dipartimento di Stato sui diritti umani in Israele e nei territori palestinesi occupati ha affrontato la censura militare, selezionando due giornali in lingua araba nella Gerusalemme est occupata. Pur sottolineando che il censore dell’IDF non controllava gli articoli, il Dipartimento di Stato ha affermato: “I redattori e i giornalisti di quelle pubblicazioni, tuttavia, hanno riferito di essersi autocensurati per paura di ritorsioni da parte delle autorità israeliane”.

Un tempo la censura aveva un Comitato Editoriale composto da tre membri: uno della stampa, uno dell’esercito e un membro eletto pubblicamente che fungeva da presidente. Sebbene il Comitato Editoriale non esista più ufficialmente, un organismo simile, anche se informale, mantiene ancora una certa influenza.

Anche se la legge che istituisce la censura gli conferisce ampi poteri, il censore è rispettato in Israele perché è politicamente indipendente ed agisce con moderazione, soprattutto in confronto a altri paesi della regione.

“Se vedi la legge che governa la censura, è davvero draconiana in termini di autorità formali di cui dispone il censore”, ha detto Lurie a The Intercept. “Ma è mitigata da quell’accordo informale”.

Quasi tutto avviene in segreto: le discussioni del Comitato sono confidenziali, così come la maggior parte dei comunicati tra i media e la censura.

Alla domanda sul perché i procedimenti siano così segreti e perché anche le testate giornalistiche non ne parlino apertamente, un giornalista occidentale con sede in Israele e Palestina, che ha chiesto l’anonimato per evitare ritorsioni, ha dato una valutazione schietta: “Perché è imbarazzante”.

La stampa straniera e la censura

Il fatto che la nota di direttive per l’attuale guerra israeliana a Gaza sia in inglese suggerisce che sia destinato ai media occidentali. I giornalisti stranieri che lavorano in Israele devono ottenere il permesso del governo, inclusa una dichiarazione che rispetteranno la censura.

“Per ottenere un visto come giornalista devi ottenere l’approvazione del GPO (Ufficio stampa del governo) e quindi devi firmare un documento in cui dichiari che rispetterai la censura”, ha detto Omer-Man. “Questo è di per sé probabilmente contrario alle linee guida etiche di molti giornali.”

Nondimeno molti giornalisti firmano il documento. Mentre l’Associated Press, ad esempio, non ha risposto alla domanda di The Intercept sulla sua collaborazione con la censura militare, il News Wire in passato ha parlato della questione, ammettendo anche di attenersi alla direttiva.

“L’Associated Press ha accettato, come altre organizzazioni, di rispettare le regole della censura, che è una condizione per ricevere il permesso di operare come organizzazione di informazione in Israele”, ha scritto l’agenzia in un articolo del 2006. “Ci si aspetta che i giornalisti si censurino e non riportino alcun materiale proibito.”

Alla domanda se rispettasse le linee guida della censura militare israeliana e se la sua ottemperanza fosse cambiata dall’inizio della guerra, Azhar AlFadl Miranda, direttore delle comunicazioni del Washington Post, ha dichiarato a The Intercept in una e-mail: “Non possiamo condividere informazioni”, aggiungendo che “non discutiamo pubblicamente le nostre decisioni editoriali”.

Il New York Times ha dichiarato a The Intercept: “Il New York Times riporta in modo indipendente l’intero spettro di questo complicato conflitto. Non sottoponiamo le nostre corrispondenze alla censura militare israeliana”. (Reuters non ha risposto alle domande di The Intercept.)

La stampa estera che collabora con la censura è soggetta allo stesso sistema: molti articoli non passano attraverso la censura, ma alcuni argomenti prevedono che gli articoli vengano sottoposti.

“Sanno che devono trasmettere alla censura gli articoli su determinati argomenti che vogliono pubblicare “, ha detto Lurie. “Ci sono argomenti per cui i media sanno di dover ottenere l’approvazione della censura.”

Una delle cose che rende insolito l’ordine di censura scritto in lingua inglese, tuttavia, è il riferimento esplicito alla guerra con Hamas. “Non l’ho mai visto per una guerra specifica”, ha detto Lurie.

“Ci sono argomenti per cui i media sanno di dover ottenere l’approvazione della censura.”

Un argomento noto come sensibile in Israele è l’arsenale nucleare segreto del paese. Nel 2004, il giornalista della BBC Simon Wilson aveva intervistato Mordechai Vanunu, un informatore sul programma nucleare che era appena stato rilasciato dal carcere. La censura israeliana richiese copie dell’intervista, ma Wilson non accettò.

A Wilson è stato quindi impedito il rientro e il governo israeliano ha richiesto delle scuse. Inizialmente, la BBC si rifiutò di fornirne, ma alla fine il colosso mondiale dell’informazione cedette.

“[Wilson] Conferma che dopo l’intervista a Vanunu è stato contattato dalla censura e gli è stato chiesto di consegnare loro le cassette. Non lo ha fatto. Si rammarica delle difficoltà che ciò ha causato”, ha affermato la BBC nelle scuse. “Si impegna a rispettare le norme in futuro e comprende che qualsiasi ulteriore violazione comporterà la revoca del suo visto.”

Le scuse, come gran parte del lavoro della censura, sarebbero dovute rimanere segrete secondo un articolo del Guardian del 2005, ma la BBC le pubblicò accidentalmente sul suo sito web prima di rimuoverle rapidamente.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Il caso di al-Shifa: indagine sull’attacco al più grande ospedale di Gaza

Louisa Loveluck, Evan Hill, Jonathan Baran, Jarrett Ley, Ellen Nakashima

21 dicembre 2023, Washington Post

Un’analisi del Washington Post su immagini open source e satellitari fa luce sulle affermazioni delle forze di difesa israeliane dell’uso da parte di Hamas dell’ospedale al-Shifa a Gaza City.

GERUSALEMME – Settimane prima che Israele inviasse truppe nell’ospedale al-Shifa, il suo portavoce iniziò a montare un caso.

Le affermazioni erano straordinariamente specifiche: che cinque edifici ospedalieri sarebbero stati direttamente implicati nelle attività di Hamas; che gli edifici si troverebbero sopra i tunnel sotterranei utilizzati dai militanti per dirigere attacchi missilistici e comandare i combattenti e che ai tunnel fosse possibile accedere dall’interno dei reparti ospedalieri. Le affermazioni sarebbero supportate da “prove concrete”, ha affermato il portavoce delle forze di difesa israeliane Daniel Hagari esponendo il caso in un briefing del 27 ottobre.

Dopo aver preso d’assalto il complesso il 15 novembre, l’IDF ha pubblicato una serie di fotografie e video che, secondo loro, ne dimostrerebbero la tesi centrale.

I terroristi venivano qui a dirigere le loro operazioni”, ha detto Hagari in un video pubblicato il 22 novembre, accompagnando gli spettatori attraverso un tunnel sotterraneo, illuminando stanze buie e vuote sotto al-Shifa.

Secondo l’analisi del Washington Post di immagini open source, satellitari e di tutti i materiali dell’IDF rilasciati pubblicamente, le prove presentate dal governo israeliano non riescono a dimostrare che Hamas utilizzasse l’ospedale come centro di comando e controllo. La cosa solleva interrogativi critici, dicono gli esperti legali e umanitari, sul fatto se i danni ai civili causati dalle operazioni militari israeliane contro l’ospedale – l’accerchiamento, l’assedio e infine il raid nella struttura e nel tunnel sottostante – fossero proporzionati alla minaccia stimata.

L’analisi del Post dimostra che:

Le stanze collegate alla rete di tunnel scoperte dalle truppe dell’IDF non offrono prove dirette di un uso militare da parte di Hamas.

Nessuno dei cinque edifici ospedalieri indicati da Hagari sembra essere collegato alla rete di tunnel.

Non ci sono prove che sia possibile accedere ai tunnel dall’interno dei reparti ospedalieri.

Ore prima che le truppe dell’IDF entrassero nel complesso, l’amministrazione Biden aveva desecretato le valutazioni dell’intelligence statunitense che supportavano le affermazioni di Israele. All’indomani del raid, i funzionari israeliani e statunitensi sono rimasti fedeli alle loro dichiarazioni iniziali.

“Abbiamo totale fiducia nell’intelligence… che Hamas lo stesse usando come nodo di comando e controllo”, ha detto la settimana scorsa al Post un alto funzionario dell’amministrazione statunitense, parlando a condizione di restare anonimo per discutere risultati sensibili. “Hamas aveva tenuto gli ostaggi nel complesso dell’ospedale fino a poco prima che Israele entrasse”.

Il governo degli Stati Uniti non ha reso pubblico il materiale desecretato e il funzionario non ha voluto condividere i dati su cui si basava questa valutazione.

“L’IDF ha pubblicato prove ampie e inconfutabili che indicano l’uso strumentale del complesso ospedaliero di Shifa da parte di Hamas per scopi terroristici e attività terroristiche clandestine”, ha detto al Post un portavoce dell’IDF.

Quando è stato chiesto se fossero disponibili ulteriori prove su al-Shifa, il portavoce ha detto: “Non possiamo fornire ulteriori informazioni”. Il 24 novembre l’esercito israeliano ha annunciato in un comunicato di aver distrutto il tunnel nell’area dell’ospedale; subito dopo le truppe si sono ritirate.

All’inizio ero convinto che [al-Shifa] fosse il luogo in cui si svolgevano le operazioni”, ha detto al Post un membro senior del Congresso americano, parlando a condizione di restare anonimo a causa della delicatezza della questione. Ma ora, ha detto, “Penso ci debba essere un nuovo livello di chiarimenti. A questo punto vorremmo avere più prove”.

Il fatto che un alleato degli Stati Uniti abbia preso di mira un complesso che ospita centinaia di pazienti malati e morenti e migliaia di sfollati non ha precedenti negli ultimi decenni. L’avanzata su al-Shifa ha causato il collasso delle operazioni dell’ospedale. Mentre le truppe israeliane si avvicinavano e i combattimenti si intensificavano finiva il carburante, i rifornimenti non potevano entrare e le ambulanze non riuscivano a raccogliere le vittime dalle strade.

Citando il personale ospedaliero, le Nazioni Unite hanno riferito che, prima che le truppe entrassero nel complesso, i medici avevano scavato una fossa comune per circa 180 persone. L’obitorio aveva cessato di funzionare da tempo. Diversi giorni dopo, quando i medici dell’OMS arrivarono per evacuare le persone ancora all’interno, dissero che il luogo della guarigione era diventato una “zona di morte”. Almeno 40 pazienti – tra cui quattro bambini prematuri – erano morti nei giorni precedenti il raid e per le sue conseguenze, hanno detto le Nazioni Unite.

Nelle settimane successive altri ospedali di Gaza sono stati attaccati in modo simile a quanto accaduto ad al-Shifa, facendone non solo un momento spartiacque nel conflitto, ma un fondamentale case study del rispetto di Israele della legislazione di guerra.

Status protetto

Il complesso medico di al-Shifa era l’ospedale più avanzato e meglio attrezzato di Gaza. Dopo che Israele ha lanciato la sua devastante campagna di attacchi aerei in rappresaglia per il brutale attacco di Hamas del 7 ottobre, al-Shifa è diventato il cuore pulsante del vacillante sistema sanitario dell’enclave, nonché un luogo di rifugio per decine di migliaia di sfollati di Gaza che temevano sarebbero stati uccisi nelle loro case.

Le strutture mediche godono di una protezione speciale – anche in tempo di guerra – perdendo il loro status solo “se vengono utilizzate al di fuori della loro funzione medica per commettere atti dannosi per il nemico”, ha affermato Adil Haque, professore di diritto alla Rutgers University.

Senza una conoscenza completa dei dati dell’intelligence israeliana e dei suoi piani di battaglia, la legalità delle operazioni militari israeliane contro al-Shifa rimane una questione aperta.

Ma nel suo briefing del 27 ottobre, Hagari ha fornito un quadro chiaro di ciò che pensava le forze israeliane avrebbero trovato, mostrando un video animato di ciò che presumibilmente si trovava sotto la struttura. Nel film militanti mascherati pattugliavano un livello collegato a un labirinto di stanze più sotterranee con computer portatili e zone notte.

“La legge riguarda ciò che l’aggressore avesse in mente nel momento in cui ha pianificato ed eseguito la missione rispetto sia al danno collaterale che si aspettava di causare sia al vantaggio militare che prevedeva di ottenere”, ha affermato Michael Schmitt, professore emerito presso il Naval War College degli Stati Uniti.

L’IDF non ha voluto commentare il vantaggio militare cercato o ottenuto.

Qual era l’urgenza? La cosa non è ancora stata dimostrata”, ha affermato Yousuf Syed Khan, avvocato senior presso Global Rights Compliance, lo studio legale che ha redatto i documenti delle Nazioni Unite sulla guerra d’assedio.

Anche se il tunnel sotterraneo scoperto dalle forze israeliane dopo il raid indicasse una possibile presenza di militanti sotto l’ospedale in un qualche momento, non prova che un nodo di comando operasse lì durante la guerra.

Stiamo avendo una comprensione più dettagliata e tridimensionale dell’ospedale al-Shifa e dei tunnel sottostanti”, ha affermato Brian Finucane, ex consulente legale del Dipartimento di Stato e ora consulente senior presso Crisis Group [ONG indipendente impegnata a prevenire e risolvere i conflitti, ndt.]

Ciò che manca davvero qui è una conoscenza affidabile e sicura della quarta dimensione, che è il tempo. Quando sono stati utilizzati in un determinato modo i vari elementi dell’ospedale? E i tunnel sotto il complesso ospedaliero?

La conferenza stampa del 27 ottobre ha provocato soprassalti di paura nell’ospedale, e il personale l’ha vista come il pretesto per un’azione militare. Poche ore dopo le reti di comunicazione dell’enclave si sono interrotte. “Dopodiché, sono iniziati i bombardamenti sugli edifici circostanti al-Shifa”, ricorda Ghassan Abu Sitta, un chirurgo anglopalestinese che lavorava all’ospedale quella notte. “Il bombardamento era molto vicino e l’edificio tremava violentemente.”

All’inizio di novembre migliaia di civili terrorizzati erano rimasti intrappolati all’interno dell’area dell’ospedale mentre l’operazione militare israeliana isolava di fatto il complesso dal mondo esterno.

Almeno due bambini prematuri sono morti l’11 novembre quando l’ospedale è rimasto senza elettricità per alimentare le incubatrici, ha detto il personale.

Diverse decine di altri pazienti in terapia intensiva sono morte nei giorni successivi, hanno riferito i medici. La Mezzaluna Rossa Palestinese ha detto che non ha più potuto inviare ambulanze per assistere o evacuare i feriti.

Nelle prime ore del 15 novembre l’IDF ha dichiarato che stava effettuando una “operazione precisa e mirata” contro Hamas in un’area specifica del complesso e che aveva ucciso un certo numero di militanti all’esterno del complesso “prima di entrare. “

Nella tarda mattinata i medici all’interno della struttura e i funzionari del Ministero della Sanità di Gaza hanno affermato che le forze israeliane ne avevano preso il completo controllo. Le truppe erano andate di stanza in stanza interrogando il personale e i pazienti e chiedendo ad alcuni di riunirsi nel cortile, non lontano dalla fossa comune dove i morti venivano sepolti senza nessuna cerimonia.

Il Post ha analizzato le immagini satellitari e le fotografie sui social media per mappare i danni all’ospedale e localizzare la fossa comune, appena dentro i cancelli orientali del complesso ospedaliero.

“Si è trattato di un’operazione militare molto precisa e mirata che Israele ha condotto con molti sforzi per ridurre le vittime civili”, ha detto l’alto funzionario dell’amministrazione americana.

Quando il 18 novembre sono arrivati gli operatori umanitari dell’OMS, medici e pazienti hanno implorato la squadra di fornire un passaggio sicuro, ha riferito l’organizzazione.

Nel pronto soccorso diverse decine di bambini prematuri piangevano, come hanno mostrato i video e detto i medici. Altri due erano morti prima dell’arrivo dei mezzi per l’evacuazione dell’OMS.

Emergono le prove

Durante l’occupazione di al-Shifa da parte dell’IDF, durata più di una settimana, l’IDF ha pubblicato numerose serie di foto e video che mostravano presunte prove dell’attività militare di Hamas all’interno e sotto l’ospedale.

Meno di 24 ore dopo che le forze israeliane erano entrate nel complesso, l’IDF ha diffuso un filmato che mostrava il portavoce Jonathan Conricus mentre attraversava l’unità di radiologia. Dietro una macchina per la risonanza magnetica indica quella che lui chiama una “pesca miracolosa” contenente un fucile tipo kalashnikov e un caricatore di munizioni.

Le foto rilasciate dai militari più tardi lo stesso giorno mostravano l’intero bottino di armi recuperate in ospedale: circa 12 fucili tipo kalashnikov oltre a caricatori di munizioni e diverse granate e giubbotti antiproiettile.

Il Post non è stato in grado di verificare in modo indipendente a chi appartenessero le armi o come fossero finite all’interno dell’unità di radiologia.

Nei giorni successivi sarebbero emerse prove più ampie che sembravano indicare l’attività dei militanti sotto la struttura. Il 16 novembre i militari israeliani hanno diffuso immagini che mostrano l’ingresso di un tunnel nell’angolo nord-est del complesso ospedaliero, vicino all’edificio della chirurgia specialistica.

Le immagini satellitari indicavano che le truppe israeliane avevano trovato l’ingresso all’interno di un piccolo edificio che avevano demolito.

In seguito i militari hanno pubblicato video delle loro truppe e di Hagari mentre esploravano la rete di tunnel collegata al pozzo d’ingresso. Il filmato mostrava un lungo tunnel che si estendeva a est dal pozzo e correva a sud sotto l’unità di chirurgia specialistica; un’altra sezione si dirigeva a nord, lontano dal complesso dell’ospedale. Dai video non è stato possibile determinare la distanza o la direzione finale della sezione nord del tunnel.

È bloccato e sigillato; sanno che saremmo venuti qui da più di un mese e l’hanno sigillato”, ha detto Hagari in un video.

Il Post ha mappato il percorso del tunnel geolocalizzando i siti scavati all’interno di al-Shifa e analizzando i video fotogramma per fotogramma per determinare la direzionalità e la lunghezza della rete. Il Post ha poi sovrapposto i percorsi dei tunnel sulla mappa originale rilasciata dall’IDF il 27 ottobre, che secondo loro mostrava l’intera estensione dell’infrastruttura di comando e controllo di Hamas.

Nessuno dei cinque edifici evidenziati dall’IDF sembra collegarsi ai tunnel, e non è stata prodotta alcuna prova che dimostri che si potesse accedere ai tunnel dall’interno dei reparti dell’ospedale, come aveva affermato Hagari.

Il Post ha analizzato le prove visive dell’IDF che mappano il tunnel sotto al-Shifa e le ha confrontate con le affermazioni iniziali dei militari.

In una sezione sotto l’edificio dell’ambulatorio sono collegati al tunnel due piccoli bagni, un lavandino e due stanze vuote. Hagari ha detto che le stanze e il tunnel ricevevano elettricità, acqua e aria condizionata da al-Shifa. Una stanza, ha detto Hagari, era una “sala operativa”, e l’ha detto dando il cablaggio elettrico come prova.

Le stanze spoglie, piastrellate di bianco, non mostravano alcuna prova immediata di utilizzo, per comando e controllo o altro. Non ci sono segni di abitazione recente come rifiuti, contenitori per cibo, vestiti o altri oggetti personali.

Questa stanza è stata evacuata e tutta l’attrezzatura è stata evacuata. Immagino che sia stato evacuato quando hanno saputo o capito che saremmo entrati nell’ospedale di Shifa”, ha detto Hagari nel video.

Non ha spiegato quando si pensa che i militanti avessero operato nel tunnel o quando sarebbe avvenuta la loro presunta partenza. L’IDF non ha risposto alle richieste di chiarimenti.

“Se alla fine non trovi quello che avevi detto che avresti trovato è legittimo essere scettici sul fatto che la tua valutazione del valore militare dell’operazione fosse fondata o meno”, ha detto Geoffrey Corn, professore di diritto alla Texas Tech University ed ex consigliere senior per la legislazione di guerra dell’esercito degli Stati Uniti. “Non è certamente decisivo. La domanda finale è se, date le circostanze, la valutazione del vantaggio militare fosse ragionevole”.

In una dichiarazione del 18 novembre Hamas ha descritto le affermazioni sul suo utilizzo di al-Shifa come parte di una “campagna di palesi bugie”. I funzionari non hanno risposto a una richiesta di commenti sul presunto utilizzo dei tunnel da parte del gruppo.

Il giorno successivo l’IDF ha pubblicato un’ulteriore prova: il filmato di una telecamera di sicurezza che mostrava militanti armati condurre attraverso l’ospedale due ostaggi dei circa 240 catturati durante l’assalto al sud di Israele il 7 ottobre. Uno sembrava ferito ed è su una barella. Non è chiaro se gli ostaggi siano stati portati in ospedale per cure mediche o per altri scopi.

La presa di ostaggi è un crimine secondo il diritto internazionale. Ma “l’uso improprio dell’ospedale cinque settimane prima dell’operazione dell’IDF non chiarisce la legalità dell’operazione dell’IDF”, ha detto Haque.

Gli ospedali come obiettivi

Mentre la polvere si depositava su al-Shifa, gli esperti mettevano in guardia sul precedente che aveva creato.

Penso che ci sia il rischio che ciò che Israele ha cercato di fare qui sia scusare in anticipo le future operazioni contro gli ospedali. Non si dovrebbe presumere che gli ospedali possano in genere essere presi di mira in base a ciò che Israele ha ipotizzato riguardo a Shifa”, ha affermato Finucane.

Al momento dell’operazione militare del 15 novembre quasi la metà delle principali strutture mediche nel nord di Gaza era stata presa di mira o danneggiata nei combattimenti, secondo un’analisi che il Post ha fatto dei dati di Insecurity Insight, un gruppo di ricerca senza scopo di lucro.

Nel mese seguente una serie di altri ospedali hanno chiuso o ridotto le operazioni al punto di essere a malapena funzionanti, mentre gli attacchi aerei continuano e le vittime aumentano.

Il direttore generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus ha dichiarato domenica di essere “sconvolto dall’effettiva distruzione” dell’ospedale Kamal Adwan nel nord di Gaza, che ha causato la morte di almeno otto pazienti e messo fuori servizio la struttura.

Martedì, dopo aver arrestato il direttore dell’ospedale Ahmed al-Kahlot, Israele ha diffuso un video di interrogatorio in cui Kahlot ammetteva di essere un membro di Hamas e affermava che l’ospedale era sotto il controllo delle Brigate Izzedine al-Qassam, il braccio armato del gruppo. In risposta, il Ministero della Sanità di Gaza ha affermato che la dichiarazione è stata fatta “sotto la forza dell’oppressione, della tortura e dell’intimidazione” per “giustificare i successivi crimini [di Israele], soprattutto contro il sistema sanitario”.

L’ospedale Al-Awda, tra gli ultimi ospedali funzionanti nel nord, è stato assediato dalle truppe israeliane all’inizio di questo mese mentre i medici continuavano a curare i loro pazienti e carburante e cibo scarseggiavano, come hanno detto medici e Medici Senza Frontiere (MSF).

Cerchiamo di essere chiari: Al-Awda è un ospedale funzionante con personale medico e molti pazienti in condizioni vulnerabili”, ha affermato in una nota il capo missione di MSF, Renzo Fricke.

Martedì MSF ha affermato che le forze israeliane avevano preso il controllo della struttura. Uomini e ragazzi sopra i 16 anni, compresi i medici, sono stati portati fuori e spogliati, legati e interrogati. C’erano ancora dozzine di pazienti nei reparti, ha aggiunto l’organizzazione, ma le scorte di anestetici e ossigeno erano finite.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




A Betlemme, il luogo della nascita di Gesù, è tempo di lutto per i cristiani palestinesi

Laura Kingstaff

19 dicembre 2023 – Los Angeles Times

Betlemme, Cisgiordania – Non è [un articolo] sommesso. Né intende essere tale

Invece della visione bucolica della Natività il presepe mostra Gesù bambino avvolto in una kefiah palestinese a quadri, circondato da schegge di pietra, che evocano gli edifici bombardati nella Striscia di Gaza e i bambini sepolti sotto di essi.

Vedo Dio tra le macerie,dice Munther Isaac, il pastore palestinese di una storica chiesa luterana di Betlemme, la città della Cisgiordania celebrata dai cristiani come luogo della nascita di Gesù. E Cristo nacque sotto occupazione”.

Insieme ai parrocchiani ha allestito una scena di guerra, che rimarrà in chiesa per tutto il periodo natalizio. Anche se la visione è stridente, riconosce Isaac, non riesce a riassumere gli orrori quotidiani che accadono a sole 45 miglia di distanza, a Gaza.

I cristiani palestinesi, una minoranza in rapido calo in Terra Santa, questanno celebrano un Natale particolarmente cupo, cancellando i festeggiamenti natalizi in segno di solidarietà con i connazionali mentre la guerra di Israele contro i combattenti di Hamas continua.

In questo terzo mese di bombardamenti israeliani di Gaza, affiancati da unoffensiva di terra ad ampio raggio, entrambi scatenati dopo l’attacco di Hamas che ha ucciso centinaia di israeliani nelle loro case e dove si teneva un festival di musica allaperto, il bilancio delle vittime allinterno dellaffollata enclave costiera è, secondo i funzionari palestinesi, pari a più di 19.000, di cui circa due terzi donne e bambini.

A Betlemme, dove molti dei cristiani locali hanno parenti a Gaza, le ricorrenze natalizie saranno caratterizzate da preghiere, servizi religiosi e dalla processione annuale dei patriarchi cristiani, ma verranno evitati gli ornamenti tradizionali più festosi. Nessuna scintillante luce natalizia, nessun albero riccamente addobbato in Piazza della Mangiatoia, nessuna parata festosa con bande musicali.

“Come potremmo festeggiare?” chiede il sindaco della città, Hanna Hanania, il cui ufficio si affaccia su una Piazza della Mangiatoia quasi deserta. La piazza lastricata di fronte alla Chiesa della Natività, luogo di pellegrinaggio per i cristiani di tutto il mondo, in questo periodo dell’anno è solitamente animata, ma la maggior parte dei negozi di souvenir e dei ristoranti che la costeggiano sono sbarrati.

Betlemme, dove un tempo la maggioranza era cristiana e oggi tale comunità costituisce meno di un quinto della popolazione cittadina di circa 30.000 abitanti, è un microcosmo delle sofferenze della Cisgiordania. I posti di blocco la accerchiano e le pietrose colline terrazzate, dove di notte i pastori sorvegliavano le loro greggi, come recita il tradizionale canto natalizio, sono attraversate da unenorme barriera di sicurezza israeliana.

Circondata da insediamenti coloniali ebraici, la città ospita due campi profughi palestinesi ribollenti di malcontento, che vengono regolarmente attaccati dalle truppe israeliane.

Non è più la cittadina della Bibbia, dice il reverendo Mitri Raheb, rettore dellUniversità Dar al-Kalima di Betlemme. A 61 anni ricorda quando la visuale dalla vicina casa di famiglia era aperta sul versante di una montagna che diventava verde durante le piogge primaverili. Ora è interamente occupato da un insediamento coloniale, uno dei quasi 150 della Cisgiordania considerati illegali sulla base del diritto internazionale.

Per i cristiani palestinesi lattuale guerra segna una catastrofe nella catastrofe: il potenziale sradicamento di quella che era già una minuscola presenza cristiana a Gaza. Con meno di 1.000 su una popolazione di oltre 2 milioni di abitanti, il declino numerico della comunità in tempo di guerra è avvertito in modo sproporzionato.

Molti cristiani della zona di Betlemme hanno parenti a Gaza e sono terrorizzati per la loro incolumità.

Secondo funzionari palestinesi, una dependance della più antica chiesa ancora attiva di Gaza City, San Porfirio, è stata colpita dai bombardamenti israeliani in ottobre, coll’uccisione di almeno 16 delle centinaia di persone che vi si rifugiavano. L’ex senatore repubblicano degli Stati Uniti Justin Amash, un palestinese americano, ha pubblicato dei commenti angosciati sui social media a proposito di diversi parenti cristiani uccisi o mutilati durante il bombardamento.

“La nostra famiglia sta soffrendo gravemente”, ha scritto su X, ex Twitter, il repubblicano del Michigan diventato indipendente. Possa Dio vegliare su tutti i cristiani di Gaza e su tutti gli israeliani e palestinesi che soffrono, qualunque sia la loro religione o credo”.

Lo scorso fine settimana, due donne cristiane che si rifugiavano in un complesso di una chiesa cattolica romana a Gaza City sono state uccise dal fuoco dei cecchini israeliani, ha riferito il Patriarcato latino di Gerusalemme. I parenti le hanno identificate come madre e figlia – Naheda Anton, 71 anni, e sua figlia, Samr Anton, 58 anni – e hanno detto che dopo che la donna più anziana è stata colpita, sua figlia ha cercato di portarla in salvo ed è stata colpita a sua volta.

Jawdat Hanna Mikhail, nipote di una delle due donne e figlia della sorella dell’altra, ha detto che diversi altri membri della famiglia all’interno del complesso della Sacra Famiglia hanno cercato di raggiungere la coppia e anche loro sono stati colpiti e feriti.

“I cecchini sono appostati intorno alla chiesa”, dice Mikhail, 27 anni, che vive a Beit Sahur, appena fuori Betlemme. Nessuno può muoversi”.

Papa Francesco ha condannato luccisione delle donne. Una deputata britannica, Layla Moran, ha postato sui social media dei commenti sui membri della sua famiglia allargata, compresi due gemelli di 11 anni, anch’essi intrappolati nel complesso.

Ora non sono più sicura che sopravviveranno fino a Natale, ha dichiarato alla BBC.

Alcuni esperti osservatori delle tendenze demografiche cristiane affermano che, dopo anni di difficoltà, la piccola e sofferente comunità di Gaza è sullorlo dellestinzione.

Temo che questa guerra segnerà la fine della presenza cristiana a Gaza”, dice Raheb, il preside del college. “È una ferita sanguinante”.

Laumento della violenza evidenzia anche la complessa interazione interna nei territori palestinesi occupati tra i cristiani e la stragrande maggioranza musulmana. Recenti sondaggi suggeriscono che la popolarità di Hamas tra i palestinesi è in aumento sia in Cisgiordania che a Gaza nonostante, o a causa, del devastante attacco transfrontaliero contro Israele del 7 ottobre che ha dato il via alla guerra.

Nel 2007, quando Hamas prese il controllo della stretta fascia mediterranea, la popolazione cristiana di Gaza contava circa 3.000 persone; circa due terzi di loro se ne sono andati negli anni successivi, prima dell’inizio di questa guerra.

Sebbene generalmente più ricchi e meglio istruiti della popolazione nel suo insieme i cristiani di Gaza hanno sopportato, o sono stati allontanati, a causa delle stesse privazioni degli altri palestinesi: disoccupazione diffusa, mancanza di opportunità, battaglie periodiche tra Israele e Hamas. Ma sono rimasti raggelati anche dallomicidio irrisolto, nei primi giorni del governo di Hamas, di un importante direttore di una libreria cristiana che prima della sua morte aveva ricevuto minacce da gruppi jihadisti.

A Betlemme un decreto dellAutorità Nazionale Palestinese al governo della Cisgiordania impone che il sindaco, il vicesindaco e la maggioranza del consiglio comunale della città debbano essere cristiani. In precedenza, ha raccontato il sindaco, la maggioranza del consiglio era detenuta da una coalizione sostenuta da Hamas, che oltre a possedere un braccio armato si configura anche come movimento politico.

Sono i nostri vicini”, dice il sindaco.

Nella Chiesa della Natività, lantica basilica in pietra calcarea venerata dai cristiani come luogo della nascita di Cristo, i tempi duri hanno contribuito a smorzare le tensioni fra i tre ordinamenti cristiani che condividono il controllo dei locali.

Negli anni passati gli scontri giurisdizionali su angoli e fessure dei recessi bui e profumati di incenso della chiesa a volte si sono trasformati in alterchi fisici.

Padre Issa Thaljieh, un parroco greco-ortodosso di 40 anni presso la Chiesa della Natività, afferma che ora c’è una relativa armonia tra gli ordinamenti, e le loro controversie ampiamente oscurate dalla guerra.

Padre Issa, nato e cresciuto a Betlemme, dice che fin dall’infanzia ha sentito la potente attrazione della bellezza spirituale connessa non solo alla basilica ma alla città stessa, anche se il conflitto in corso con Israele ha sfigurato il paesaggio biblico che circonda Betlemme.

Anche se potrebbe vivere e lavorare altrove, dice che sente il dovere di restare e amministrare il suo gregge sempre più piccolo.

Il profondo dolore per la morte e la distruzione di Gaza pervade la ricorrenza, afferma il sacerdote, ma egli vede questo periodo anche come un faro di speranza tanto necessaria.

Questi sono tempi molto, molto tristi, dice. Ma il messaggio di Betlemme e il messaggio del Natale, che è il messaggio di pace, è più importante che mai”.

Laura King è una giornalista che lavora a Washington, DC per il Los Angeles Times. Membro dello staff Estero/Nazionale, si occupa principalmente di affari esteri. In precedenza ha ricoperto il ruolo di capo redazione a Gerusalemme, Kabul e Il Cairo.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Israele: la fame utilizzata come arma di guerra a Gaza

Rapporto HRW

18 dicembre 2023 – Human Rights Watch

Ci sono prove che ai civili è deliberatamente negato l’accesso a cibo e acqua.

  • Nella Striscia di Gaza il governo israeliano sta utilizzando la fame dei civili come metodo di guerra, il che costituisce un crimine di guerra.

  • Governanti israeliani hanno fatto dichiarazioni pubbliche, che si riflettono nelle operazioni militari delle forze israeliane, in cui hanno manifestato la loro intenzione di privare i civili di Gaza di cibo, acqua e carburante.

  • Il governo israeliano dovrebbe smettere di attaccare beni necessari alla sopravvivenza della popolazione civile, togliere il blocco della Striscia di Gaza e riattivare [le forniture di] elettricità e acqua.

(Gerusalemme) – Oggi Human Rights Watch ha affermato che nella Striscia di Gaza occupata il governo israeliano sta affamando i civili come metodo di guerra. Le forze israeliane stanno deliberatamente bloccando l’erogazione di acqua, cibo e carburante impedendo nel contempo deliberatamente l’assistenza umanitaria, distruggendo chiaramente zone coltivate e privando la popolazione civile di beni indispensabili alla sopravvivenza.

Da quando combattenti di Hamas hanno attaccato Israele il 7 ottobre 2023 importanti dirigenti israeliani, tra cui il ministro della Difesa Yoav Gallant, il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben.Gvir e quello dell’Energia Israel Katz, hanno fatto dichiarazioni pubbliche che si riflettono nelle operazioni militari delle forze israeliane, manifestando l’intenzione di privare i civili di Gaza di cibo, acqua e carburante. Altri politici israeliani hanno pubblicamente affermato che l’aiuto umanitario a Gaza sarebbe stato condizionato o al rilascio degli ostaggi illegalmente detenuti da Hamas o alla distruzione di Hamas.

Per oltre due mesi Israele ha privato la popolazione di Gaza di cibo ed acqua, una politica incoraggiata o appoggiata da governanti israeliani di alto livello e che riflette l’intenzione di affamare i civili come metodo di guerra,” ha affermato Omar Shakir, direttore per Israele e la Palestina di Human Rights Watch. “I leader mondiali dovrebbero esprimersi contro questo abominevole crimine di guerra, che ha effetti devastanti sulla popolazione di Gaza.”

Human Rights Watch ha intervistato 11 profughi palestinesi di Gaza tra il 24 novembre e il 4 dicembre. Essi hanno descritto le loro gravissime difficoltà per garantirsi le necessità fondamentali. “Non abbiamo cibo, elettricità, internet, assolutamente niente,” ha detto un uomo che ha lasciato il nord di Gaza. “Non sappiamo come siamo riusciti a sopravvivere.”

Nel sud di Gaza gli intervistati hanno descritto la scarsità di acqua potabile, la mancanza di cibo che ha portato a negozi vuoti, lunghe code e prezzi esorbitanti. “Sei alla costante ricerca delle cose necessarie per sopravvivere,” ha detto il padre di due figli. Il 6 dicembre il Programma Alimentare Mondiale dell’ONU (WFP) ha informato che 9 su 10 nuclei familiari nel nord di Gaza e 2 su 3 nella parte meridionale di Gaza avevano passato almeno un giorno e una notte di seguito senza cibo.

Il diritto umanitario internazionale e la legislazione di guerra vietano di affamare i civili come metodo di guerra. Lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale prevede che affamare intenzionalmente civili “privandoli di beni indispensabili alla loro sopravvivenza, compreso l’impedimento intenzionale ai soccorsi” è un crimine di guerra. L’intenzione criminale non richiede l’ammissione da parte dell’aggressore, ma può anche essere dedotta dal complesso delle circostanze della campagna militare.

Inoltre il continuo blocco israeliano di Gaza, così come i più di 16 anni di assedio, rappresentano una punizione collettiva della popolazione civile, un crimine di guerra. In base alla Quarta Convenzione di Ginevra, come potenza occupante a Gaza Israele ha il dovere di garantire che la popolazione civile disponga di cibo e medicinali.

Il 17 novembre il WFP ha avvertito dell’“immediata possibilità” di carestia, evidenziando che l’approvvigionamento di cibo ed acqua era in pratica inesistente. Il 3 dicembre ha informato di un “grave rischio di carestia”, segnalando che il sistema alimentare di Gaza era sull’orlo del collasso. E il 6 dicembre ha dichiarato che il 48% dei nuclei famigliari nel nord di Gaza e il 38% delle persone sfollate nel sud aveva registrato “gravissimi livelli di carenza di cibo”.

Il 3 novembre il Consiglio Norvegese per i Rifugiati ha annunciato che Gaza era alle prese con “catastrofiche carenze di acqua, sanità e igiene.” Strutture per la sanificazione e desalinizzazione hanno chiuso le attività a metà ottobre a causa della mancanza di carburante ed elettricità, e secondo l’Autorità Palestinese per le Acque da allora sono rimaste inattive. Secondo l’ONU anche prima del 7 ottobre Gaza non aveva praticamente acqua potabile.

Prima dell’attuale conflitto si stimava che 1.2 milioni dei 2.2 milioni di abitanti di Gaza stessero affrontando una grave insicurezza alimentare, e oltre l’80% dipendeva dall’aiuto umanitario.

Israele mantiene un controllo complessivo su Gaza, anche sul movimento di persone e beni, sulle acque, sullo spazio aereo e sulle infrastrutture del territorio da cui Gaza dipende, così come sull’anagrafe. Ciò lascia la popolazione di Gaza, che Israele ha sottoposto per 16 anni a un blocco illegale, praticamente del tutto dipendente da Israele per l’accesso al carburante, all’elettricità, alle medicine, al cibo e a altre risorse essenziali.

Dopo l’imposizione di un “blocco totale” a Gaza il 9 ottobre, le autorità israeliane il 15 ottobre hanno ripristinato l’approvvigionamento idrico a zone del sud di Gaza e, il 21 ottobre hanno consentito l’arrivo di un ridotto aiuto umanitario attraverso il valico di Rafah con l’Egitto. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu il 18 ottobre ha detto che Israele non avrebbe consentito assistenza sanitaria “in forma di cibo e medicinali” a Gaza attraverso i suoi valichi “finché i nostri ostaggi non saranno riconsegnati.”

Il governo ha continuato a bloccare l’ingresso di carburante fino al 15 novembre, nonostante avvertimenti riguardo alle gravi conseguenze di ciò, che hanno portato alla chiusura di forni per il pane, ospedali, stazioni di pompaggio delle acque reflue, impianti di desalinizzazione e pozzi. Queste strutture, che sono state rese inutilizzabili, sono indispensabili per la sopravvivenza della popolazione civile. Benché in seguito sia stato consentito l’ingresso di limitate quantità di carburante, il 4 dicembre la Coordinatrice Umanitaria per i Territori Palestinesi Occupati dell’ONU Lynn Hastings le ha definite “assolutamente insufficienti”. Il 6 dicembre il gabinetto di guerra di Israele ha approvato un “minimo” incremento nelle forniture di carburante al sud di Gaza.

Il primo dicembre, immediatamente dopo il cessate il fuoco di sette giorni, l’esercito israeliano ha ripreso i bombardamenti contro Gaza ed ha esteso la sua offensiva di terra, affermando che le sue operazioni militari nel sud avrebbero comportato “altrettanta forza” che nel nord. Mentre politici degli Stati Uniti hanno affermato di aver sollecitato Israele a consentire l’ingresso a Gaza di carburante e aiuto umanitario allo stesso livello di quanto visto durante il cessate il fuoco, il Coordinatore delle Attività Governative del Ministero dell’Interno [israeliano] nei territori il primo dicembre ha affermato di aver bloccato ogni ingresso di aiuti. Il 2 dicembre la consegna di aiuti limitati è ripresa, ma sempre a livelli molto insufficienti, secondo l’ufficio per il coordinamento degli Affari Umanitari dell’ONU (OCHA).

Insieme al devastante blocco, gli estesi bombardamenti dell’esercito israeliano sulla Striscia hanno comportato vasti danni o distruzioni di beni necessari alla sopravvivenza della popolazione civile.

Il 16 novembre esperti dell’ONU hanno affermato che i gravi danni “minacciano di rendere impossibile la continuazione della vita dei palestinesi a Gaza”. Significativamente, come ha evidenziato l’OCHA, il bombardamento da parte delle forze israeliane il 15 novembre dell’ultimo mulino per cereali in funzione a Gaza ha fatto sì che nel prossimo futuro a Gaza non sarà reperibile la farina prodotta in loco. Inoltre l’ufficio dell’ONU per i Servizi di Progettazione (UNOPS) ha affermato che la distruzione della rete viaria ha reso ancora più difficile alle organizzazioni umanitarie distribuire aiuti a quanti ne hanno bisogno.

Forni per la panificazione e mulini, l’agricoltura e le strutture idriche e di depurazione sono stati distrutti, “ ha detto il 23 novembre alla Associated Press Scott Paul, un importante consigliere per le politiche umanitarie di Oxfam America.

Le azioni militari israeliane a Gaza hanno avuto un effetto devastante anche sul settore agricolo. Secondo Oxfam i massicci bombardamenti, accompagnati dalla carenza di combustibile e acqua, insieme all’espulsione di oltre 1.6 milioni di persone verso il sud di Gaza, hanno reso praticamente impossibili le attività agricole. In un rapporto del 28 novembre l’OCHA ha affermato che nel nord il bestiame sta morendo di fame a causa della mancanza di foraggio e acqua, e che i campi sono sempre più abbandonati e danneggiati per la mancanza di carburante per pompare acqua per l’irrigazione. I problemi esistenti, come la scarsità di acqua e l’accesso ridotto alla coltivazione della terra nei pressi della barriera di confine, hanno aggravato le difficoltà che gli agricoltori locali, molti dei quali sono stati sfollati, dovevano già affrontare. Il 28 novembre l’Ufficio Centrale di Statistica palestinese ha affermato che Gaza sta soffrendo una perdita nella produzione agricola di almeno 1.6 milioni di dollari al giorno.

Il 28 novembre il Settore della Sicurezza Alimentare Palestinese, guidato dal WFP e dalla FAO, hanno informato che oltre un terzo dei terreni agricoli nel nord [di Gaza] è stato danneggiato dalle ostilità. Immagini satellitari esaminate da Human Rights Watch indicano che dall’inizio dell’offensiva di terra israeliana il 27 ottobre terreni agricoli, compresi orti, serre e coltivazioni nel nord di Gaza sono stati distrutti, a quanto pare dalle forze israeliane.

Il governo israeliano dovrebbe smettere immediatamente di affamare i civili come metodo di guerra, afferma Human Rights Watch. Dovrebbe attenersi al divieto di attacchi contro beni necessari alla sopravvivenza della popolazione civile e togliere il blocco della Striscia di Gaza. Il governo dovrebbe ripristinare l’accesso all’acqua e all’elettricità e consentire l’ingresso di cibo, medicinali e carburante disperatamente necessari a Gaza, anche attraverso il valico di Kerem Shalom.

I governi coinvolti dovrebbero chiedere a Israele di porre fine a queste violazioni. Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, il Canada, la Germania e altri Paesi dovrebbero anche sospendere l’assistenza militare e la vendita di armamenti a Israele finché le sue forze continueranno a commettere impunemente gravi e massicce violazioni che rappresentano crimini di guerra contro i civili.

Con l’uso crudele della mancanza di cibo come arma di guerra il governo israeliano sta aggravando la punizione collettiva dei civili palestinesi e il blocco degli aiuti umanitari,” ha affermato Shakir. “La crescente catastrofe umanitaria a Gaza richiede una risposta urgente e concreta da parte della comunità internazionale.”

Il contesto

Gli attacchi guidati da Hamas nel sud di Israele il 7 ottobre hanno ucciso almeno 1.200 israeliani e cittadini di altri Paesi, e più di 200 persone sono state prese in ostaggio, azioni che rappresentano crimini di guerra. Il bombardamento e l’offensiva di terra di Israele che ne sono derivati hanno provocato, secondo le autorità di Gaza, più di 18.700 palestinesi uccisi, tra cui più di 7.700 minorenni.

L’OCHA ha informato che al 10 dicembre il bombardamento della Striscia di Gaza da parte dell’esercito israeliano ha distrutto più di metà delle infrastrutture civili, comprese più di 50.000 unità abitative, come affermato dal ministero dei Lavori Pubblici e dell’Edilizia a Gaza, così come ospedali, scuole, moschee, panetterie, reti idriche, fognarie ed elettriche. Secondo l’OCHA nella Striscia di Gaza solo il 4 e 5 novembre sette strutture idriche, tra cui serbatoi d’acqua a Gaza City, nel campo profughi di Jabalia e a Rafah, sono state direttamente colpite ed hanno subito gravissimi danni.

I ripetuti e palesemente illegali attacchi dell’esercito israeliano contro strutture, personale e trasporti sanitari hanno ulteriormente distrutto il settore medico-sanitario di Gaza, colpendo quindi la possibilità per la popolazione di accedere a cure salvavita, compresa la prevenzione di malattie, deperimento e morte legati alla malnutrizione, esacerbando le terribili conseguenze della mancanza di cibo. “Se non riusciamo a rimettere in piedi questo sistema sanitario vedremo più persone morire di malattie che per i bombardamenti,” ha affermato il 28 novembre Margareth Harris, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Conseguenze sul piano umanitario

Il 13 ottobre le autorità israeliane hanno emanato un ordine impossibile da rispettare di evacuazione dal nord di Gaza entro 24 ore a più di un milione di persone. Da allora, e mentre le condizioni nel nord peggioravano, centinaia di migliaia di persone sono state sfollate nei governatorati di Rafah e Khan Younis nel sud, dove è diventato sempre più difficile garantire i mezzi di sopravvivenza. In base alle leggi umanitarie internazionali l’evacuazione deve essere attuata in condizioni che garantiscano che gli sfollati abbiano accesso senza impedimenti all’aiuto umanitario, compresi cibo e lavoro sufficienti. In caso contrario ciò rappresenta un’espulsione forzata.

Le conseguenze umanitarie delle azioni militari di Israele a Gaza sono state molto gravi. Durante le prime otto settimane di ostilità il nord di Gaza è stato il centro dell’intensa offensiva di terra e aria dell’esercito israeliano. Salvo che durante il cessate il fuoco di sette giorni iniziato il 24 novembre, durante il quale convogli dell’ONU hanno portato ridotte quantità di farina e gallette ad alto contenuto energetico, l’arrivo degli aiuti al nord è stato in gran parte interrotto. Secondo l’OCHA tra il 7 novembre e almeno fino al 15 novembre nessuna dei forni per il pane del nord era in funzione a causa della mancanza di carburante, acqua, farina di frumento e per danni strutturali.

Secondo il WFP a Gaza c’è un grave rischio di carenza di cibo e di carestia. Funzionari dell’ONU hanno affermato che 1.9 milioni di persone, oltre l’85% della popolazione di Gaza, sono sfollati interni, aggiungendo che in una zona meridionale sempre più ridotta nella Striscia di Gaza le condizioni potrebbe diventare “persino più infernali”.

Il 5 dicembre il capo dei servizi umanitari dell’ONU Martin Griffiths ha affermato che la campagna dell’esercito israeliano nel sud di Gaza ha portato a condizioni “apocalittiche”, rendendo impossibili significativi interventi umanitari.

Il 6 dicembre l’unico impianto di desalinizzazione nel nord di Gaza ha smesso di funzionare e l’acquedotto che fornisce acqua al nord da Israele è rimasto chiuso, accentuando i rischi di disidratazione e di malattie trasmesse dall’acqua derivanti dal consumo di acqua da sorgenti non sicure. Il 14 dicembre gli ospedali sono stati particolarmente colpiti, con solo un ospedale su 24 nel nord di Gaza in funzione e in grado di accettare nuovi pazienti, anche se fornendo servizi limitati.

Dall’11 ottobre in tutta Gaza la crisi umanitaria si è aggravata con una persistente interruzione della corrente elettrica, così come con una serie di blocchi delle comunicazioni che ha impedito alle persone l’accesso ad affidabili informazioni sulla sicurezza, sui servizi medici d’urgenza e ha ostacolato gravemente le operazioni umanitarie. Il 18 novembre l’OCHA ha affermato che l’interruzione delle telecomunicazioni tra il 16 e il 18 novembre, il quarto dal 7 ottobre, “ha portato a un quasi totale blocco della già problematica distribuzione di assistenza umanitaria, compresa l’assistenza salvavita a persone ferite o intrappolate sotto le macerie in conseguenza degli attacchi aerei e degli scontri”. Il 14 dicembre c’è stato un’altra interruzione delle telecomunicazioni. “

Immagini satellitari visionate da Huma Rights Watch indicano che fin dall’inizio dell’offensiva di terra dell’esercito israeliano il 27 ottobre orti, serre e terreni coltivati sono stati distrutti, a quanto pare dalle forze israeliane, aggravando le preoccupazioni per la gravissima insicurezza alimentare e la perdita di mezzi di sussistenza. Immagini satellitari indicano che la distruzione di terreni agricoli è continuata nel nord di Gaza durante il cessate il fuoco di sette giorni iniziato il 24 novembre e terminato il 1 dicembre, quando l’esercito israeliano aveva il controllo diretto della zona.

Mentre durante il cessate il fuoco di 7 giorni terminato il primo dicembre per la prima volta dal 7 ottobre il governo israeliano ha consentito l’ingresso nella Striscia di Gaza di un continuo e leggermente maggiore afflusso di aiuti umanitari, compreso gas da cucina, aveva in precedenza deliberatamente impedito l’ingresso di generi di soccorso nelle quantità necessarie per oltre un mese, imponendo un assedio che ha colpito tutta la popolazione civile. Ciò ha contribuito a una situazione umanitaria catastrofica con conseguenze di vasta portata, con oltre l’80% della popolazione sfollata internamente, molta della quale ospitata in condizioni di sovraffollamento, malsane e insalubri nei rifugi dell’ONU nel sud. Gli aiuti che sono entrati durante il cessate il fuoco “sono stati a malapena percepiti rispetto alle enormi necessità di 1.7 milioni di sfollati,” ha detto il 27 novembre il portavoce dell’ONU Stephane Dujarric.

Durante il cessate il fuoco sono entrati a Gaza circa 200 camion al giorno, comprese quattro cisterne che trasportavano 130.000 litri di carburante e quattro di gas da cucina. In confronto prima del conflitto entrava a Gaza ogni giorno una media di 500 camion di cibo e prodotti e 600.000 litri di carburante al giorno, necessari solo per far funzionare gli impianti per l’acqua e la desalinizzazione. Come sono ripresi i bombardamenti e le forze israeliane sono avanzate verso sud, l’accesso agli aiuti è stato di nuovo seriamente ostacolato. Il 5 dicembre per il terzo giorno consecutivo l’OCHA ha informato che a Gaza solo il governatorato di Rafah aveva ricevuto una ridotta distribuzione di aiuti. Ha affermato che nel vicino governatorato di Khan Younis la distribuzione di aiuti è stata largamente interrotta a causa dell’intensità degli scontri.

Testimonianze di civili a Gaza

Human Rights Watch ha parlato con 11 civili sfollati dal nord di Gaza verso la presunta sicurezza nel sud a causa dei pesanti bombardamenti, del timore di imminenti attacchi aerei o perché Israele ha ordinato loro di andarsene. Molti affermano di essersi spostati varie volte prima di arrivare a sud, mentre lungo il loro viaggio hanno lottato per trovare un rifugio adeguato e sicuro. Nel sud hanno trovato rifugi sovraffollati, mercati vuoti, prezzi alle stelle e lunghe file per ridotte quantità di pane e acqua potabile. Per proteggere la loro identità in tutte le interviste Human Rights Watch utilizza pseudonimi.

Devo camminare per tre chilometri per avere 4 litri (di acqua)” dice il trentenne Marwan, scappato il 9 novembre a sud con la moglie incinta e due figli. “E non c’è cibo. Se lo trovassimo, sarebbe in scatola. Nessuno di noi sta mangiando bene.”

Quello che abbiamo è tutto troppo poco,” dice Hana, 36 anni, scappata dalla sua casa nel nord a Khan Younis, nel sud con suo padre, la moglie di lui e suo fratello l’11 ottobre. Dice che nel sud non sempre hanno accesso ad acqua potabile e sono obbligati a bere acqua non potabile e salata.

Lavarsi è diventato un lusso, afferma, a causa della mancanza di mezzi per scaldare l’acqua, per cui devono andare a cercare della legna. Nelle situazioni disperate, dice, finiscono persino col bruciare vecchi vestiti per cucinare. Il processo di preparazione del pane presenta delle difficoltà a causa della scarsità di ingredienti che non possono permettersi. “Facciamo del pane cattivo perché non abbiamo tutti gli ingredienti e non possiamo comprarli,” afferma.

Majed, 34 anni, scappato a sud con la moglie e quattro figli sopravvissuti verso il 10 di novembre dice che, mentre la situazione nel sud è disastrosa, è incomparabile con quello che lui e la sua famiglia hanno dovuto sopportare nel nord. Sono stati in una zona nei pressi dell’ospedale al-Shifa a Gaza City per oltre un mese dopo che il 13 ottobre la loro casa era stata bombardata uccidendo il figlio di sei anni di Majed:

In quei 33 giorni non abbiamo mangiato pane perché non c’era farina,” afferma. “Non c’era acqua, a volte compravamo acqua per 10 (dollari) a tazza. Non sempre era potabile. A volte (l’acqua che abbiamo bevuto) era del bagno e altre del mare. I mercati della zona erano vuoti. Non c’era neppure cibo in scatola.”

Taher, 32 anni, scappato con la sua famiglia l’11 novembre, descrive condizioni simili a Gaza City nelle prime settimane di novembre: “La città era priva di ogni cosa, di cibo e acqua,” dice. “Se trovavi cibo in scatola i prezzi erano altissimi. Abbiamo deciso di mangiare solo una volta al giorno per sopravvivere. Abbiamo finito i soldi. Abbiamo deciso di avere solo l’indispensabile, di avere meno di tutto.”

Standard internazionali e le prove di azioni deliberate

Affamare i civili come metodo di guerra è vietato in base all’articolo 54 (1) del Primo Protocollo Aggiuntivo della Convenzione di Ginevra (Protocollo I) e dell’articolo 14 del Secondo Protocollo Aggiuntivo della Convenzione di Ginevra (Protocollo II). Benché Israele non abbia aderito ai protocolli I e II, il divieto viene riconosciuto come riflesso del diritto umanitario consuetudinario internazionale sia in conflitti internazionali che non internazionali. Le parti di un conflitto non devono “provocare deliberatamente (una carestia)” o provocare deliberatamente “il fatto che la popolazione soffra la fame, in particolare privandola delle fonti o dei rifornimenti di cibo.”

Alle parti in guerra è vietato anche attaccare i beni indispensabili per la sopravvivenza della popolazione civile, come cibo e medicinali, zone agricole e impianti dell’acqua potabile. Sono obbligate a fornire assistenza umanitaria rapida e senza restrizioni a tutti i civili in stato di necessità e a non bloccare deliberatamente gli aiuti umanitari o limitare la libertà di movimento del personale dell’assistenza umanitaria. In ognuna delle precedenti quattro guerre a Gaza dal 2008 Israele ha garantito il flusso di acqua potabile ed elettricità a Gaza ed ha aperto i valichi israeliani per la distribuzione di aiuti umanitari.

Le prove dell’intenzione di utilizzare deliberatamente la mancanza di cibo come metodo di guerra possono essere rintracciate nelle affermazioni pubbliche di politici coinvolti nelle operazioni militari. Ci si può aspettare che i seguenti politici israeliani di alto livello possano aver giocato un ruolo significativo nel definire le politiche rispetto a consentire o bloccare il cibo e altri beni di prima necessità per la popolazione civile.

Il 9 ottobre il ministro della Difesa Yoav Gallant ha detto: “Stiamo imponendo un assedio totale contro (Gaza). Niente elettricità, niente cibo, niente acqua, niente carburante, tutto chiuso. Stiamo combattendo contro animali umani e dobbiamo agire di conseguenza.”

Il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir il 17 ottobre ha detto in un tweet: “Finché Hamas non rilascerà gli ostaggi, l’unica cosa che dovrebbe entrare a Gaza sono centinaia di tonnellate di esplosivo dal cielo, neppure un grammo di aiuto umanitario.”

Il ministro dell’Energia Israel Katz, che ha raccontato di aver ordinato il taglio di elettricità e acqua, ha detto l’11 ottobre:

Per anni abbiamo fornito a Gaza elettricità, acqua e carburante. Invece di ringraziarci, hanno inviato migliaia di animali umani a massacrare, uccidere, violentare e rapire bambini, donne e anziani. Per questo abbiamo deciso di interrompere la fornitura di acqua, elettricità e carburante e ora l’impianto di produzione di energia locale è crollato e a Gaza non c’è elettricità. Continueremo a mantenere un rigido assedio finché Israele e il mondo non saranno liberati della minaccia di Hamas. Ciò che è stato non ci sarà più.”

Il 12 ottobre Katz ha detto:

Aiuti umanitari a Gaza? Neppure un interruttore verrà acceso, non verrà aperta neppure una valvola, neppure un camion di carburante entrerà finché gli ostaggi israeliani non torneranno a casa. Umanità contro umanità. Che nessuno ci dia lezioni di moralità.”

Il 16 ottobre ha detto:

Ho appoggiato l’accordo tra il primo ministro Netanyahu e il presidente Biden per la fornitura di acqua al sud della Striscia di Gaza perché è in linea anche con gli interessi israeliani. Sono totalmente contrario a togliere il blocco e a lasciar entrare a Gaza prodotti per ragioni umanitarie. Il nostro impegno è verso le famiglie degli assassinati e gli ostaggi rapiti, non verso gli assassini di Hamas e la gente che li ha aiutati.”

Il 4 novembre il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha dichiarato che “per nessuna ragione” deve entrare carburante a Gaza. Poi, come riportato dal Jerusalem Post, ha definito la decisione del gabinetto di guerra israeliano di consentire l’ingresso nella Striscia di una piccola quantità di carburante “un grave errore” e ha affermato: “Si ponga termine immediatamente a questo scandalo e si impedisca che carburante entri nella Striscia”.

In un video postato in rete il 4 novembre il colonnello Yogev Bar-Shesht, vice capo dell’Amministrazione Civile [ente militare che governa i territori occupati, ndt.] ha affermato in un’intervista da Gaza: “Chiunque torni qui, se ritornerà in seguito, troverà terra bruciata. Niente case, niente agricoltura, niente di niente. Non hanno futuro.”

Il 24 novembre, in un’intervista televisiva con la CNN, Mark Regev, consigliere del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha affermato che Israele ha privato Gaza di carburante dal 7 ottobre per rafforzare la posizione di Israele quando si tratterà di negoziare con Hamas il rilascio degli ostaggi. “Se lo avessimo fatto (consentire l’ingresso di carburante) … non avremmo mai avuto la restituzione dei nostri ostaggi,” ha detto.

Il 1 dicembre il coordinatore delle attività di governo nei territori del ministero dell’Interno, generale Ghassan Alian, ha affermato che l’ingresso di carburante e aiuti a Gaza era stato interrotto dopo che Hamas aveva violato le condizioni dell’accordo di cessate il fuoco. Il suo ufficio ha confermato la sua dichiarazione in risposta a una domanda del Times of Israel sostenendo: “”Dopo che l’organizzazione terroristica Hamas ha violato l’accordo e in più ha sparato contro Israele, l’ingresso di aiuti umanitari è stato bloccato nel modo previsto dall’accordo.”

Fin dal 7 ottobre altre fonti ufficiali hanno chiesto di limitare l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza, affermando che ciò è utile agli obiettivi dell’esercito israeliano.

Il primo ministro Netanyahu il 5 dicembre ha risposto a una domanda riguardo al fatto che Israele potrebbe perdere un’arma di pressione contro Hamas se consentisse l’ingresso di maggiori aiuti umanitari a Gaza affermando: “Gli sforzi bellici sono sostenuti da quelli umanitari… ciò perché seguiamo le leggi di guerra in quanto sappiamo che, se ci fosse un collasso – epidemie, pandemie e infezioni dovute alla falda freatica – ciò porrebbe fine alla guerra.”

Il ministro della Difesa Gallant ha affermato: “Ci viene chiesto di consentire il minimo dal punto di vista umanitario perché la pressione militare possa continuare.”

Tzachi Hanegbi, consigliere per la sicurezza nazionale di Israele, ha detto il 17 novembre a una conferenza stampa: “Se c’è un’epidemia, i combattimenti finiranno. Se ci sono una crisi umanitaria e una protesta internazionale, in quelle condizioni non riusciremo a continuare a combattere.”

Il 18 ottobre l’ufficio del primo ministro ha annunciato che Israele non avrebbe impedito agli aiuti umanitari di entrare a Gaza dall’Egitto in seguito a pressioni degli USA e di altri alleati internazionali:

Alla luce della richiesta del presidente Biden Israele non ostacolerà soccorsi umanitari dall’Egitto finché si tratterà solo di cibo, acqua e medicinali per la popolazione civile del sud della Striscia di Gaza.”

Distruzione della produzione agricola e impatto sulla produzione di cibo

Durante le operazioni di terra nel nord di Gaza a quanto sembra le forze israeliane hanno distrutto la produzione agricola accentuando la carenza di cibo con effetti a lungo termine. Ciò ha incluso la distruzione di coltivazioni, campi e serre.

L’esercito israeliano ha affermato di condurre operazioni militari nella zona di Beit Hanoun, e anche in una zona agricola imprecisata a Beit Hanoun, per scoprire tunnel e altri obiettivi militari.

Campi e frutteti a nord di Beit Hanoun, per esempio, sono stati i primi ad essere danneggiati durante le ostilità in seguito alle operazioni di terra israeliane alla fine di ottobre. Bulldozer hanno scavato nuove strade, aprendo la via per veicoli militari israeliani.

Da metà novembre, dopo che le forze israeliane hanno preso il controllo della stessa area nel nordest di Gaza, immagini satellitari mostrano che frutteti, campi e serre sono stati sistematicamente distrutti, lasciando sabbia e polvere. L’8 dicembre Human Rights Watch ha chiesto un commento all’esercito israeliano, ma non ha ricevuto risposta.

Gli agricoltori della zona avevano piantato coltivazioni come alberi di agrumi, patate, pitaya [frutti originari dell’America centro-meridionale, ndt.] e fichi d’india, contribuendo al sostentamento dei palestinesi di Gaza. Altre coltivazioni includono pomodori, cavoli e fragole. Alcuni appezzamenti sono stati distrutti in un giorno. Gli alberi di agrumi, come i cactus della pitaya, richiedono anni di cure per maturare prima di dare frutti.

Immagini satellitari ad alta definizione mostrano che sono stati usati bulldozer per distruggere campi e piantagioni. Si vedono camion e montagne di terra sui limiti dei precedenti appezzamenti.

Che si tratti di distruzioni deliberate, di danni dovuti alle ostilità o all’impossibilità di irrigare o lavorare la terra, nel nord di Gaza i terreni agricoli sono stati drasticamente ridotti fin dall’inizio delle operazioni di terra israeliane.

Anche nel sud di Gaza aziende agricole e contadini sono stati colpiti. Action Against Hunger [ong francese che lotta contro la fame nel mondo, ndt.] ha scoperto che delle 113 aziende agricole del sud di Gaza interpellate tra il 19 e il 31 ottobre il 60% ha affermato che le proprie attività o coltivazioni sono state danneggiate, il 42% di non avere accesso all’acqua per irrigare i campi e il 43% di non essere in grado di raccogliere i prodotti.

Rettifica

18/12/2023: Questo comunicato stampa è stato aggiornato per riportare la data di ottobre in cui il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato che Israele non avrebbe consentito assistenza umanitaria a Gaza “nella forma di cibo e medicinali” attraverso i suoi valichi “finché gli ostaggi (israeliani) non saranno restituiti.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)