Le azioni efferate di Israele in nome degli ebrei li rendono insicuri

A lungo intellettuali ebrei hanno messo in guardia che la dipendenza di Israele dall’appoggio politico degli ebrei dell’Occidente per garantirsi l’impunità per le violazioni dei diritti umani potrebbero contribuire all’antisemitismo negli Stati Uniti.

Philip Weiss 

10 novembre 2023 – Mondoweiss

La scorsa settimana il direttore dell’FBI ha affermato che le ostilità in Medio Oriente potrebbero estendersi agli Stati Uniti con attacchi contro musulmani ed ebrei, e la senatrice del Nevada Jacky Rosen, che ha subito minacce di morte di natura antisemita, ha detto: “Sto provando quello che provano gli ebrei in ogni parte del mondo, sotto attacco e minacciati.”

Anche se dovremmo essere scettici riguardo alle organizzazioni e agli individui filoisraeliani che confondono manifestazioni di antisemitismo con l’antisionismo, riconosco che il direttore dell’FBI ha ragione e che alcuni di questi episodi sono effettivamente antisemiti.

Il professore della Columbia [University] Rashid Khalidi [di origine palestinese, ndt.] “ha prontamente riconosciuto l’esistenza di un’ondata di recenti episodi di antisemitismo nei campus universitari,” ha scritto Michelle Goldberg sul Times. In un caso uno studente della Cornell [importante università statunitense, ndt.] è stato accusato di aver minacciato di attaccare una mensa kosher [cioè che offre cibi che rispettano le norme alimentari ebraiche, ndt.]. E vedo in rete e altrove molti ebrei che manifestano timore e vulnerabilità, e non metterei mai in dubbio tali affermazioni.

È tuttavia necessario affermare una questione, come ho già fatto molte volte in precedenza: a lungo intellettuali ebrei hanno avvertito che la dipendenza di Israele dall’appoggio politico degli ebrei statunitensi per garantirsi l’impunità per le violazioni dei diritti umani che molti nel mondo condannano – pulizia etnica, massacri e ora azioni genocide a Gaza – rappresentano un pericolo per quelle comunità. Quando le organizzazioni ebraiche statunitensi esibiscono un sostegno incondizionato a tali azioni e inoltre insistono sul fatto che essere ebrei significa appoggiare Israele in quanto “Stato ebraico” mentre uccide civili, questa dichiarazione di unanimità è di fatto pericolosa per gli ebrei.

E quindi rischia di fomentare l’antisemitismo, quando i leader ebraici come Ted Deutch, dell’American Jewish Committee [Commissione Ebraica Americana, storica organizzazione ebraica, ndt.] pubblica una lunga difesa delle azioni di Israele a Gaza in cui cita ripetutamente l’attacco di Hamas del 7 ottobre e non fa alcun cenno ai morti palestinesi. È così, non menziona neppure quelli che allora erano 9.000 morti, più di 3.000 dei quali minorenni. Tale indifferenza da parte di un leader ebraico ufficiale di fronte ai massacri da parte dello “Stato ebraico” provocherà risentimento verso gli ebrei.

“L’uccisione di migliaia di palestinesi a Gaza mette in pericolo gli ebrei sia in Israele che altrove,” ha scritto questa settimana lo studioso antisionista Yakov Rabkin. “Quando Israele afferma di essere lo Stato di tutti gli ebrei li trasforma in ostaggi delle sue azioni e politiche. Quando le organizzazioni della comunità ebraica dichiarano ‘Stiamo dalla parte di Israele!’ agiscono come rappresentanti di Israele invece che degli ebrei.”

All’inizio dell’anno ho citato vari intellettuali ebrei che hanno sostenuto posizioni simili. Ecco alcuni estratti di quelle affermazioni.

  • Ken Roth, ex-direttore di Human Right Watch, nel luglio 2021, dopo un massacro israeliano a Gaza:

“L’antisemitismo è sempre sbagliato e precede di molto la creazione di Israele, ma l’ondata di episodi antisemiti nel Regno Unito durante il recente conflitto a Gaza smentisce quanti sostengono che la condotta del governo israeliano non incide sull’antisemitismo.”

Roth ha spiegato che è vietato sostenere questo discorso perché suggerisce che il governo israeliano, che afferma di proteggere il popolo ebraico, stia in realtà danneggiando la sicurezza degli ebrei.

  • Nel 1944 Hannah Arendt, anticipando la creazione di Israele con l’appoggio degli ebrei americani, avvertì dei rischi di tale appoggio:

“Se nel prossimo futuro verrà costituita una Nazione ebraica, con o senza partizione [della Palestina], ciò sarà grazie all’influenza politica degli ebrei americani … Se la Nazione ebraica verrà proclamata contro la volontà degli arabi e senza l’appoggio dei popoli del Mediterraneo, per molto tempo saranno necessari non solo un aiuto finanziario, ma anche un sostegno politico. E ciò potrebbe rivelarsi veramente molto problematico per gli ebrei di questo Paese.”

  • Il sociologo di Harvard Nathan Glazer nel 1976 mise in guardia che gli americani sarebberopotuti diventare “ostili” agli ebrei americani per le loro pressioni a favore di Israele.

“Gli ebrei americani hanno potere solo perché i loro concittadini sono disponibili nei confronti del fatto che esercitano questo potere. Potrebbero diventarlo meno. Potrebbero anzi diventare ostili ad esso… Gli ebrei americani fanno spudoratamente pressione sul Congresso per misure a favore di Israele, e rendono politicamente scomodo essere contro Israele e persino prendere una posizione ‘imparziale’. Il personaggio politico che lo fa viene sottoposto a maggiori pressioni ed epiteti, alcuni dei quali decisamente ingiustificati. Ma, come ho detto, il potere deve essere visto nel contesto. Il contesto è che è stato consentito agli ebrei americani di fare quello che fanno.”

Il consiglio di Glazer era che la comunità ebraica statunitense dovesse fare pressione per la creazione di uno Stato palestinese, un consiglio che la comunità rifiutò.

  • Lo scrittore Eric Alterman ha avvertito ripetutamente che l’appoggio a Israele ha “svuotato” la vita ebraica negli USA. E ha affermato che ciò ha contribuito all’antisemitismo. Nel novembre 2022 ha detto ad Americans for Peace Now [organizzazione statunitense impegnata a favorire la soluzione del conflitto israelo-palestinese, ndt.]:

“Ad essere onesti, mentre è in corso un’impennata di antisemitismo negli Stati Uniti, di cui per inciso sono in gran parte responsabili persone adirate con Israele, non c’è davvero nessun problema ad essere ebreo in America come era una volta.”

  • Nel 2015, in un discorso a J Street [organizzazione statunitense moderatamente contraria all’occupazione della Cisgiordania, ndt.], l’ebreo britannico esperto di Medio Oriente Tony Klug affermò che la dipendenza di Israele dagli ebrei statunitensi per difendere l’indifendibile avrebbe contribuito a esiti “sinistri”, e a un’”ondata di antisemitismo”, rendendo forse “precaria” la vita degli ebrei.

“Se Israele non pone drasticamente fine all’occupazione e se la posizione delle organizzazioni ebraiche in altri Paesi sembra appoggiarla apertamente, ci sarà sicuramente  un’ondata di sentimenti antiebraici, scatenando potenzialmente impulsi più sinistri… Ovviamente non lo dico per giustificare tali tetri sviluppi futuri… Temo… che l’occupazione israeliana senza fine della terra e delle vite di un altro popolo non sia solo seriamente dannosa per Israele, per non parlare dell’aggravamento della disperazione dei palestinesi, ma che stia rendendo sempre più precaria anche la situazione degli ebrei in tutto il mondo.”

Questo problema è intrinseco nel sionismo. I suoi coloni ebrei erano dipendenti dal sostegno occidentale, soprattutto delle principali potenze (prima la Gran Bretagna e poi gli USA), e così le comunità ebraiche di quei Paesi vennero chiamate ad esercitare la loro influenza sui governi occidentali in appoggio a Israele. Di fatto nel 1900 molti ebrei inglesi si allontanarono da Herzl [il fondatore del sionismo politico, ndt.] perché si resero conto che l’appoggio a uno Stato ebraico stava minacciando la loro posizione in Gran Bretagna.

Una delle sorgenti storiche di antisionismo ebraico era la scelta di vivere in società diversificate, in cui i diritti di tutti venivano rispettati. Il sionismo ha corrotto questi principi. Ha fondato un’etnocrazia dipendente dall’influenza politica degli ebrei in Occidente.

Oggi ci sono molte buone ragioni per essere antisionisti. Ti preoccupi della vita dei palestinesi tanto quanto di quella degli altri. Ti opponi all’apartheid, alla pulizia etnica e al bombardamento di ospedali e campi di rifugiati. Ma un’altra ragione è che, quando la brutalità di Israele viene esibita al mondo come lo è oggi, il sionismo è un pericolo per gli ebrei in Occidente.

Sono preoccupato del futuro della vita degli ebrei. Non vedo come l’ebraismo che appoggia il genocidio possa sopravvivere spiritualmente. C’è bisogno di una crisi all’interno di quella comunità riguardo a quell’atteggiamento.

Oggi la “presa emotiva” del sionismo sulla comunità ebraica si sta spezzando, afferma Rabkin, in quanto in tutto il mondo giovani ebrei condannano il sionismo.

Oggi è più che mai importante che fiorisca l’antisionismo ebraico. Cosa ancor più importante, per il bene del popolo che viene massacrato da Israele una notte dopo l’altra, e anche per il bene della sicurezza degli ebrei qui.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Funzionaria americana afferma che il numero di palestinesi uccisi a Gaza potrebbe essere “superiore a quello riportato”.

I commenti di Leaf sono in contrasto con la dichiarazione del mese scorso del presidente americano Joe Biden, che aveva affermato di non avere “nessuna fiducia” nei numeri palestinesi.

Redazione di Palestine Chronicle

9 novembre 2023 – The Palestine Chronicle

Il numero di palestinesi di Gaza uccisi nella guerra israeliana contro Gaza è probabilmente superiore ai 10.000 riportati dal Ministero della Sanità locale, ha detto al Congresso l’Assistente del Segretario di Stato americano per gli Affari del Vicino Oriente, Barbara Leaf.

Giovedì 9 novembre il Ministero della Sanità di Gaza ha dichiarato che dal 7 ottobre sono stati uccisi a Gaza 10.812 palestinesi. Il numero comprende 4.412 bambini e 2.918 donne.

Secondo The Hill [giornale politico statunitense con sede a Washington, ndt.] Leaf ha detto alla Commissione per gli Affari Esteri della Camera durante un’audizione mercoledì: “In questo periodo di conflitto e di condizioni di guerra è molto difficile per chiunque di noi valutare quante siano le vittime Francamente  pensiamo che siano molte e potrebbero essere anche più di quelle riportate.”

“Apprendiamo notizie da molte persone diverse che sono sul campo”, ha aggiunto Leaf. Non posso stabilire una cifra o un’altra, è molto probabile che siano anche più di quanto riportato.”

I commenti di Leaf sono in contrasto con la dichiarazione del mese scorso del presidente americano Joe Biden, che aveva affermato di non avere “nessuna fiducia” nei numeri forniti dai palestinesi.

In seguito il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale John Kirby ha detto ai giornalisti che il Ministero della Sanità di Gaza è “solo una copertura per Hamas”.

“Non possiamo prendere per oro colato nulla che venga da Hamas, incluso il cosiddetto ‘Ministero della Sanità’”, ha detto Kirby alla conferenza stampa della Casa Bianca il 26 ottobre.

Gli Stati Uniti avrebbero chiesto a Israele di evitare di uccidere civili, ma un articolo del New York Times della scorsa settimana ha rivelato che i funzionari israeliani “ritenevano che un alto numero di vittime civili fosse un prezzo accettabile nella campagna militare”, paragonando le operazioni a Gaza con i bombardamenti incendiari su Germania e Giappone nella Seconda Guerra Mondiale

Finora Israele ha ucciso oltre 10.812 persone – tra cui 4.412 bambini e 2.918 donne – e ne ha ferite 26.905. Rapporti del Ministero della Sanità palestinese e organizzazioni internazionali affermano che la maggior parte delle persone uccise e ferite sono donne e bambini.

Nonostante il massiccio rafforzamento militare israeliano attorno ai confini di Gaza e le sporadiche incursioni alla periferia della Striscia assediata, la Resistenza Palestinese continua a respingere gli attacchi israeliani.

Per giustificare il suo fallimento militare, l’esercito israeliano continua a martellare abitazioni civili in tutta la Striscia di Gaza, con nuovi massacri segnalati ovunque nell’enclave assediata.

Gaza è sotto uno stretto assedio militare israeliano dal 2007 in seguito ad un’elezione democratica nella Palestina occupata, i cui risultati sono stati respinti da Tel Aviv e Washington.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Guerra Israele-Palestina: agenti israeliani torturano e umiliano i lavoratori palestinesi

Maha Hussaini – Gaza, Palestina occupata

6 novembre 2023 – Middle East Eye

Un lavoratore palestinese racconta a Middle East Eye la sua testimonianza diretta delle torture che avrebbe subito da parte dei soldati israeliani durante gli interrogatori e la detenzione prima del ritorno a Gaza

Dopo il suo rilascio dalla prigione di Ofer, in Israele, Khaled Ahmed è entrato nel rifugio della sua famiglia nel centro della Striscia di Gaza sorreggendosi sulla spalla del figlio e con una fascetta di plastica ancora avvolta attorno alla caviglia sinistra.

Il 7 ottobre, quando Israele ha dichiarato la guerra contro Gaza, Ahmed stava lavorando a Giaffa, prima di essere arrestato pochi giorni dopo insieme ad oltre 7.000 lavoratori palestinesi.

Venerdì è stato rilasciato insieme a circa 4.000 lavoratori e ha raggiunto la moglie e i quattro figli in una piccola casa dove hanno trovato rifugio in seguito al bombardamento israeliano del loro quartiere.

Ahmed ha riferito a Middle East Eye che durante il periodo di detenzione gli agenti israeliani “si vendicavano contro Gaza” torturando i suoi lavoratori in Israele.

“Lavoro in Israele da anni. Quando è successo tutto questo ero in possesso un permesso di lavoro valido,” riferisce a MEE Ahmed, 63 anni.

Quando Hamas e altri gruppi armati palestinesi hanno scatenato lattacco contro Israele molti lavoratori hanno lasciato Israele per recarsi in Cisgiordania, ma Ahmed non riteneva che ci fossero ragioni per andare via.

Spiega di aver deciso di restare in Israele dopo l’attacco del 7 ottobre perché, a differenza di questa volta, in occasione dei precedenti attacchi israeliani a Gaza vi si era trovato relativamente al sicuro.

“Nel periodo tra il 7 e il 10 ottobre i lavoratori potevano ancora spostarsi tra Israele e la Cisgiordania. Il 10 siamo rimasti intrappolati, senza possibilità di tornare a Gaza o andare in Cisgiordania”.

Per verificare lo stato di validità del loro permesso di lavoro i lavoratori palestinesi in Israele sono iscritti a unapplicazione israeliana per smartphone chiamata al-Monasseq (coordinatore in lingua araba).

Se il permesso di lavoro viene revocato vengono avvisati con un sms.

Ma pochi giorni dopo il lancio dell’attacco di Israele contro Gaza le autorità israeliane hanno revocato tutti i permessi di lavoro senza informare i lavoratori, per poi condurre contro di loro una campagna di detenzione su larga scala.

“Hanno fatto irruzione nei nostri dormitori, ci hanno ammanettati e bendati, poi ci hanno arrestati senza permettere a nessuno di noi di prendere qualcosa“, dice Ahmed. “Era circa mezzanotte quando siamo arrivati nel luogo dove siamo stati interrogati. Sono stato lasciato solo in una cella per otto ore prima di essere portato in una stanza dove un ufficiale israeliano mi ha interrogato per ore.”

“Mi ha chiesto dove abitassi a Gaza, gli ho risposto, poi mi ha mostrato la mia casa su un grande schermo per farmi vedere che sapeva già con precisione dove abitavo. Poi mi ha chiesto di Hamas e di altre fazioni palestinesi, gli ho risposto che non sapevo nulla.

“Ha provato a farmi pressione ma sinceramente non ho niente a che fare con loro quindi non ho potuto rispondere.”

Ahmed riferisce che durante le due ore di interrogatorio ha visto picchiare, torturare e umiliare molti colleghi di lavoro.

“Un ufficiale ha detto ad un mio collega: ‘Sembri un brav’uomo, vorrei offrirti qualcosa da bere. Preferisci tè o caffè?’. Lui ha risposto che voleva del tè. L’ufficiale ha fatto bollire l’acqua nel bollitore elettrico che aveva in ufficio, lo ha versato in un bicchiere di carta, poi glielo ha gettato sul viso,” racconta. “Prima di essere portato fuori aveva il volto ustionato e urlava di dolore.”

“Un altro collega durante l’interrogatorio ha detto all’ufficiale che non eravamo stati informati della revoca dei permessi e gli ha chiesto perché non avevano inoltrato gli SMS come di consueto. Lui ha ascoltato finché [il lavoratore] non ha finito di parlare, poi lo ha colpito duramente in faccia dicendogli: ‘Vuoi insegnarci cosa fare?'”

Ahmed racconta che un altro lavoratore è stato gettato a terra e preso a calci più volte all’addome da molti agenti. Quando è stato riportato in cella ha continuato a urlare di dolore per giorni.

“Ci hanno picchiato e umiliato come se si stessero vendicando per i fatti di Gaza”, dice Ahmed, accusando gli agenti di aver esercitato degli abusi nei loro confronti come rappresaglia per l’incursione del 7 ottobre da parte di gruppi armati palestinesi. Per quanto, afferma, lui e gli altri lavoratori “non avessimo nulla a che fare” con gli attacchi.

“Gli israeliani sanno benissimo che non abbiamo nulla a che fare con quello che sta succedendo. Siamo lavoratori che prima di ottenere il permesso di lavoro sono stati interrogati più volte e abbiamo subito diversi controlli di sicurezza “.

Middle East Eye ha precedentemente contattato l’esercito israeliano per un commento sulle accuse di tortura dei lavoratori palestinesi di Gaza, ma al momento della pubblicazione non ha ricevuto risposta.

Negazione di cure mediche

Ahmed è stato detenuto nella prigione di Ofer per 10 giorni. Durante questo periodo lui e i suoi colleghi sono stati tenuti in tende allestite appositamente per i lavoratori di Gaza.

Ahmed dice che, senza tetto né letti, la notte lui e i suoi colleghi “eravamo congelati”.

“Quando siamo stati condotti nelle celle ci hanno portato via tutto, compresi i nostri telefoni, i soldi e le giacche,” riferisce a MEE.

“Hanno dato a ciascuno di noi un materasso molto sottile insieme ad una piccola coperta e una giacca. Quando dormivo dovevo tenere le braccia sul corpo perché il materasso era molto piccolo e non conteneva tutto il mio corpo, e la cella era sovraffollata”, aggiunge.

“Di notte letteralmente tremavamo. Una notte ha cominciato a piovere e la situazione è peggiorata. Ci hanno portato un’altra coperta a testa perché altrimenti saremmo morti assiderati“.

Ad Ahmed, padre di quattro figli, affetto da diabete e ipertensione, per giorni non è stata permessa l’assunzione di pastiglie o insulina.

“Ho detto loro che dovevo prendere le mie pastiglie soprattutto perché durante tutto il periodo di detenzione non avevo mangiato bene. Mi hanno ammanettato, bendato e portato nella clinica della prigione. Ho dovuto essere perquisito più volte lungo il percorso. Mi hanno dato l’insulina solo una volta e dopo non mi è stato più permesso di assumerla,” continua.

“Quasi tutti avevamo la febbre a causa del freddo intenso, e alcuni dopo essere stati torturati urlavano di dolore. Chiunque chiedesse medicine veniva ignorato o gli venivano dati solo antidolorifici”.

Durante l’intero periodo di detenzione, i lavoratori non sapevano se la guerra contro Gaza fosse ancora in corso o se fosse finita.

“Non sapevamo nemmeno che ora fosse perché ci avevano portato via gli orologi. Ogni volta che chiedevamo a un ufficiale o a un soldato cosa stesse succedendo a Gaza, ci sgridavano o ignoravano la domanda”, dice Ahmed.

La corsa a casa

Venerdì mattina all’alba gli agenti israeliani hanno svegliato i lavoratori e hanno detto loro di togliersi le giacche ricevute. Poi li hanno bendati e ammanettati e gli hanno ordinato di mettersi in fila.

Ahmed ha chiesto in ebraico a una donna ufficiale dove li stessero portando. Lei ha risposto che stavano andando in un “posto molto caldo”, una risposta che Ahmed in seguito ha capito alludesse alla guerra a Gaza.

“Siamo stati portati su degli autobus e gli agenti hanno legato con fascette di plastica la caviglia di ogni lavoratore a quella del suo compagno seduto accanto. Eravamo bendati e le tende coprivano i finestrini dell’autobus, quindi non potevamo vedere nulla”, aggiunge.

“Ma sentivo il sole sul viso provenire da sud, quindi ho immaginato che stessimo andando verso il confine di Kerem Shalom [valico tra la Striscia di Gaza, Israele e Egitto, ndt.].”

Circa 90 minuti dopo lautobus si è fermato e gli agenti hanno tagliato le fascette di plastica alle mani e alle caviglie dei lavoratori, poi hanno ordinato loro di togliersi le bende dagli occhi.

“Siamo scesi dall’autobus e ci siamo messi in fila. I soldati ci hanno detto: ‘Ora vi lasceremo andare. Dovete correre più veloce che potete. Non guardate a destra o a sinistra. Verrà sparato a chiunque cerchi di guardare dietro di sé o si fermi per pochi secondi’”, ricorda Ahmed.

“Abbiamo corso per circa due chilometri senza sosta fino a raggiungere il confine di Kerem Shalom. Abbiamo oltrepassato il cancello e finalmente abbiamo trovato del personale palestinese che ci ha accolti.”

Senza documenti ufficiali, soldi o cellulare, Ahmed è tornato presso la sua famiglia nel rifugio dopo aver appreso che la sua casa era stata gravemente danneggiata dai bombardamenti in corso.

“Hanno preso tutti i nostri soldi. Alcuni agenti li hanno rubati per tenerseli. Avevamo risparmiato i nostri stipendi lavorando per mesi senza far rientro a Gaza.

Un mio collega aveva circa 100.000 shekel (23.600 euro). Aveva lavorato ogni giorno per diversi mesi e aveva messo da parte i soldi per la sua famiglia a Gaza. Volevano comprare una casa. Ora è tornato senza niente. Al contrario: è stato picchiato, è malato e non in grado di camminare”.

*I nomi degli intervistati sono stati modificati

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Armando migliaia di israeliani Ben -Gvir gioca con il fuoco

Eyal Lurie-Pardes

3 novembre 2023 – Dawnmena

All’indomani dell’orrendo attacco terroristico di Hamas il 7 ottobre, Itamar Ben-Gvir, il ministro israeliano della Sicurezza Nazionale, di estrema destra, continua a premere per realizzare il suo programma suprematista ebraico rischiando nuove tensioni e ulteriore violenza tra ebrei israeliani e palestinesi. La sua priorità è rendere meno rigide le norme sulle armi per semplificarne l’acquisto da parte dei cittadini israeliani, invocando un riarmo di massa degli ebrei in Israele. Secondo Ben-Gvir i fucili sono essenziali per la sicurezza pubblica e per prepararsi a uno “scenario di Guardiano delle Mura 2.0,in riferimento ai disordini e alle violenze intercomunitarie nelle città israeliane a popolazione mista ebraico-araba scoppiati durante le proteste nel maggio 2021 a causa dell’espulsione di palestinesi da Gerusalemme Est e delle operazioni militari israeliane a Gaza.

Ora che Israele è consumato da rabbia nazionalista, ostilità e paura nei confronti dei palestinesi in seguito agli attacchi di Hamas, la nuova politica delle armi—armare migliaia di israeliani, inclusi i coloni—aumenta il rischio di innescare questo scenario da incubo.

Da lungo tempo Ben-Gvir propone il possesso delle armi [da parte dei civili]. Da quando è entrato nel governo israeliano nella coalizione del primo ministro Benjamin Netanyahu, il numero delle licenze di porto d’armi è aumentato considerevolmente. Come parte della risposta del ministero della Sicurezza Nazionale all’attacco di Hamas, Ben-Gvir ha adottato modifiche ai requisiti per il porto d’armi intese a estendere l’idoneità e velocizzarne il rilascio. Attraverso un nuovo processo di selezione da remoto, con queste nuove norme un permesso viene rilasciato dopo solo una settimana a chiunque soddisfi i nuovi criteri per l’autodifesa. Sono anche state prorogate le date di scadenza degli attuali permessi ed è stato raddoppiato il numero delle pallottole che è possibile acquistare. Dal 7 ottobre oltre 120.000 persone hanno fatto domanda per il porto d’armi.

In generale le leggi israeliani sulle armi discriminano i non ebrei, rendendo quasi impossibile per loro l’ottenimento di un permesso. Per esempio, le norme concedono una certa discrezione ai funzionari del ministero riguardo alla richiesta ai richiedenti di fornire prova di “sufficiente padronanza dell’ebraico.” Il nuovo criterio per l’autodifesa al centro di tali norme meno rigorose sulle armi è ancora più discriminatorio. Include due requisiti principali: aver prestato il servizio militare o nazionale in determinate unità e la residenza in una “città eleggibile.” I cittadini palestinesi in Israele sono collettivamente esentati dal servizio militare. Anche se soddisfacessero tale requisito sarebbe probabilmente loro negato il porto d’armi in base al luogo di residenza, perché le “città eleggibili” designate sono a gran maggioranza ebraiche. Le norme vanno anche a favore dei coloni ebrei, in particolare in Cisgiordania, dato che l’eleggibilità favorisce le città considerate “pericolose” anche oltre la Linea Verde del 1967. Di 100 città e paesi con il numero più alto di porto d’armi in Israele, 86 sono colonie ebraiche in Cisgiordania.

Un’altra componente della politica sulle armi di Ben-Gvir è istituire più squadre di risposta rapida—conosciute in ebraico come kitat konenut —che da lungo tempo fanno parte delle forze di sicurezza israeliane nelle zone rurali, specialmente in Cisgiordania. Sono gruppi di civili, abitanti di un villaggio o kibbutz, che in caso d’emergenza agiscono come forza volontaria di difesa fino all’intervento della polizia o dell’esercito. Hanno giocato un ruolo chiave nel combattere Hamas nel sud di Israele il 7 ottobre, quando villaggi e kibbutz sotto attacco hanno aspettato che arrivassero i soldati per molte ore, talvolta anche più a lungo.

Nelle settimane seguenti l’attacco di Hamas, il ministero della Sicurezza Nazionale si è attivato per creare 600 nuove squadre di risposta rapida nelle aree urbane e rurali. Simili ai criteri per il porto d’armi, queste squadre sono autorizzate principalmente nelle città ebraiche ed è richiesto aver fatto il servizio militare, per cui discriminano i cittadini palestinesi di Israele. A differenza delle zone rurali, dove c’è il rischio che passi molto tempo prima che arrivi la polizia durante una crisi, tali forze volontarie di difesa hanno meno senso nelle aree urbane più densamente abitate, se la sicurezza, e non qualcos’altro, è veramente l’obiettivo principale. Queste unità armate di civili sono ancora meno giustificabili in zone con una significativa comunità palestinese e un influsso di coloni israeliani, come a Gerusalemme Est, dove le tensioni sono sempre alte e gli scontri frequenti.

In pratica queste squadre creano un ulteriore percorso per armare gli ebrei israeliani. Come ha segnalato Daniel Seidemann, un avvocato israeliano e fondatore e direttore dell’ong Terrestrial Jerusalem, potrebbero finire per assomigliare alle “milizie private di Ben-Gvir.” Per esempio, recentemente a Gerusalemme Est sono state fondate due squadre a Ir David e Nof Zion, piccoli avamposti ebraici composti da coloni di estrema destra nel cuore dei quartieri palestinesi di Silwan e Jabel Mukaber.

In Israele, a differenza della maggior parte delle politiche di mantenimento dell’ordine pubblico, che sono determinate dalla polizia indipendentemente dal ministero della Sicurezza Nazionale, le normative e la gestione delle armi ricadono interamente sotto l’autorità del ministero—che Ben-Gvir sta usando per i propri scopi politici. Facilitando la distribuzione di più fucili agli israeliani, inclusi molti coloni, Ben-Gvir—lui stesso un colono—sta sperando di promuovere la propria immagine pubblica militarista e scatenare un’isteria anti-palestinese ancora maggiore. Ha trasformato la distribuzione pubblica di fucili in un circo mediatico, talvolta offrendo armi persino lui di persona davanti alle telecamere e pubblicizzando foto e video sui social.

Recentemente queste foto pubblicitarie hanno messo in allarme i funzionari USA, che hanno espresso preoccupazione sul fatto che le armi da loro fornite ad Israele siano usate per armare civili e per far pubblicità a Ben-Gvir invece di essere consegnate all’esercito o alla polizia come previsto. Dopo che gli USA hanno minacciato di sospendere la consegna di 20.000 fucili che il ministero della Sicurezza Nazionale aveva acquistato da fornitori americani, il governo israeliano si è ufficialmente impegnato con Washington a fare in modo che tali fucili vengano distribuiti solo dalla polizia o dall’esercito. Tuttavia le armi potrebbero ancora essere date alle squadre di risposta rapida, perché esse dipendono dalla polizia israeliana.

Una politica di armare così tanti israeliani non potrà far altro che alimentare le tensioni già alte fra ebrei e palestinesi entro la Linea Verde e Gerusalemme Est. A differenza di quanto avvenuto nel maggio 2021, nelle ultime settimane non ci sono stati gravi disordini nelle città miste arabo-ebraiche o scontri a Gerusalemme Est. Ma questa relativa calma è fragile, specialmente in un momento in cui molti israeliani descrivono ogni palestinese come “il nemico”. Questa rabbia contro i palestinesi è evidente nei gruppi di destra che hanno attaccato studenti e attivisti di sinistra palestinesi in Israele. In una situazione così esplosiva armare così tanti israeliani che non hanno ancora di un sufficiente addestramento per usare un’arma potrebbe alimentare una nuova ondata di disordini su scala nazionale.

Rendere meno rigida la normativa sulle armi è dannoso specialmente in Cisgiordania, dove la violenza dei coloni è aumentata dal 7 ottobre e dove durante gli attacchi sono stati uccisi almeno 115 palestinesi, feriti oltre 2.000 e rimossi con la forza dalle proprie case circa 1.000 palestinesi. La violenza dei coloni era già in aumento l’anno scorso. Armare praticamente ogni colono come vuole Ben-Gvir porterà solo altra violenza. Dopo l’attacco di Hamas il capo del consiglio regionale di Binyamin, il municipio con circa 50 colonie e avamposti nella Cisgiordania centrale, ha affermato che “ogni arabo che si avvicina a una colonia e mette a rischio gli abitanti” è un obiettivo legittimo.

Ben-Gvir sta giocando con il fuoco. Una nuova fase di violenza intercomunitaria peggiore del maggio 2021—”Guardiano delle Mura 2.0,” come si è espresso Ben-Gvir —potrebbe diventare una profezia che si autoavvera. Persino quando finirà questa guerra a Gaza tutte queste armi in eccesso e le nuove squadre di difesa simili a milizie creeranno una nuova pericolosa situazione in tutto Israele.

Eyal Lurie-Pardes è professore-ospite presso l’Istituto per gli studi sul Medio Oriente (Washington) per il programma sulla Palestina e sugli affari palestinesi-israeliani.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Guerra Israele-Palestina: come Hamas vede l’andamento del conflitto a Gaza e perché pensa di poter vincere

David Hearst 

4 novembre 2023 – Middle East Eye

Una fonte vicina alla leadership politica di Hamas afferma che l’organizzazione crede di poter sconfiggere Israele ma riconosce il pesante prezzo pagato da chi è sul campo.

Lattacco di Hamas del 7 ottobre è stato definito da una delle principali fonti arabe il più grande di tutti gli errori di valutazione nella storia”.

Unoperazione che secondo le persone informate sui dettagli della sua pianificazione doveva essere una missione tattica progettata per catturare al massimo una ventina di ostaggi militari si è trasformata, in seguito al crollo della Divisione israeliana di Gaza, in un assalto caotico.

Mentre i combattenti di Hamas e una serie di altri partecipanti armati provenienti da Gaza facevano irruzione nel sud di Israele attaccando basi militari, comunità di kibbutz e un festival musicale, lassalto ha prodotto le immagini terrificanti del peggior massacro di civili israeliani dalla nascita dello Stato.

Hamas è accusata da organizzazioni per i diritti umani di uccisioni deliberate, rapimenti e attacchi indiscriminati nei confronti di civilinel corso di episodi oggetto di un’indagine in corso da parte della Corte Penale Internazionale.

Sono stati sequestrati fino a 250 ostaggi, alcuni dei quali cittadini stranieri.

In risposta, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha promesso di estirpare Hamas da Gaza.

Una campagna ritorsiva di bombardamenti mirata a spingere oltre un milione di abitanti della parte settentrionale del Paese verso sud e verso il confine egiziano sta per entrare nella quinta settimana con soldati israeliani e miliziani di Hamas impegnati nei combattimenti.

Secondo i dati del ministero della Sanità palestinese i bombardamenti hanno raso al suolo il nord di Gaza e ucciso oltre 9.000 palestinesi. La situazione non mostra segni di cedimento, dal momento che Israele e gli Stati Uniti resistono alla crescente pressione internazionale per un cessate il fuoco.

Middle East Eye ha riferito che lufficio politico di Hamas a Doha è stato tenuto all’oscuro della decisione di Mohammed Deif, comandante delle Brigate Izz al-Din al-Qassam, di scatenare il raid.

Ma nel suo ruolo di leadership lala politica di Hamas ha dovuto assumersene la responsabilità e costituisce al momento una parte fondamentale dei negoziati per il rilascio degli ostaggi su mediazione del Qatar.

Questa è la situazione vista dall’esterno del gruppo combattente, ma non è il modo in cui la stessa Hamas vede questi eventi.

Per scoprire cosa pensa Hamas MEE ha parlato con una fonte palestinese di alto livello in contatto con la leadership politica di Hamas.

MEE ha posto tre domande principali. Perché l’attacco è avvenuto in quel momento? Gli obiettivi di guerra di Israele sono realizzabili? Cosa pensa di ottenere Hamas al termine della guerra?

Perché adesso?

A scatenare l’attacco del 7 ottobre è stata la preoccupazione di Hamas che gli ebrei di estrema destra intendessero sacrificare un animale nel sito della moschea di al-Aqsa, ponendo così le basi per la demolizione del santuario della Cupola sulla Roccia e la costruzione del Terzo Tempio, ha affermato.

Hamas ha seguito da vicino i piani israeliani di istituire una presenza ebraica permanente all’interno del complesso di al-Aqsa. Al-Aqsa è considerato il terzo luogo più sacro dell’Islam e un simbolo dell’identità palestinese. È conosciuto in Israele come il Monte del Tempio.

La presenza quotidiana ad al-Aqsa di ebrei di estrema destra era già stata conseguita, con due irruzioni giornaliere al mattino e al pomeriggio in tour protetti da poliziotti armati fino ai denti e della durata da 30 minuti a un’ora.

Secondo alcune sette religiose messianiche come il Temple Institute, prima che il Terzo Tempio possa essere ricostruito deve essere sacrificata una giovenca rossa senza macchia per purificare il terreno.

A questo scopo sono state importate delle mucche Red Angus dagli Stati Uniti. Allinizio di questanno un’organizzazione a favore del Terzo Tempio ha dichiarato che sperava di macellare durante le vacanze di Pasqua del prossimo anno, che cadranno nellaprile 2024, cinque giovenche importate.

La fonte di MEE afferma che era stata già fatta una programmazione dei tempi rilevando che i coloni avevano eseguito nel sito di al-Aqsa sacrifici di vegetali”.

Affermazione che sembra riferirsi a un’irruzione avvenuta un mese fa da parte di decine di coloni che trasportavano fronde di palma per celebrare la festa ebraica del Sukhot [festa israeliana di pellegrinaggio della durata di sette giorni, ndt.].

Resta solo da compiere la macellazione delle giovenche rosse importate dagli Stati Uniti. Se la facessero sarebbe il segnale per la ricostruzione del Terzo Tempio, dice la fonte.

Hamas aveva già avvertito Israele che stava giocando con il fuoco nel tentare di mettere in atto ad al-Aqsa accordi simili a quelli relativi alla Moschea Ibrahimi di Hebron, divisa tra musulmani ed ebrei [dopo il massacro compiuto dal colono Baruch Goldstein nel 1994 che uccise 29 fedeli palestinesi, lesercito israeliano confiscò la maggior parte della moschea e ai musulmani viene inoltre impedito laccesso alla Moschea Ibrahimi durante le festività ebraiche, ndt.].

Anche altre organizzazioni palestinesi, inclusa lAutorità Nazionale Palestinese, hanno messo in guardia Israele dal cambiare lo status quo nella moschea.

Nelle tre settimane precedenti il raid, si sono svolte tre feste ebraiche terminate con il Sukhot. La sensazione di Hamas a Gaza era che al-Aqsa fosse in pericolo imminente, riferisce la fonte a MEE.

Sulla decisione di scatenare lattacco sono intervenute anche delle considerazioni a lungo termine.

Il destino dei 5.200 prigionieri palestinesi in detenzione israeliana è una pesante responsabilità” per la leadership di Hamas, riferisce la fonte, ed Hamas rifletteva ogni giorno su come avrebbero potuto essere rilasciati”.

La terza motivazione alla base dellattacco era costituita da Gaza stessa, sottoposta a 18 anni di assedio dopo il ritiro da parte di Israele dei suoi coloni dalla Striscia.

Gli Stati Uniti e le potenze regionali hanno lasciato Gaza ai limiti della sopravvivenza, relegata in un angolo con appena il supporto vitale, in lotta per cibo, denaro o un generatore. Lo sfondamento del 7 ottobre è stato un forte messaggio che gli abitanti di Gaza possono rompere lassedio, continua la fonte.

E’ possibile estirpare Hamas?

Non è la prima volta che i leader israeliani promettono di spazzare via Hamas, e ogni guerra precedente si è conclusa con il ritiro israeliano, dice.

I leader di Hamas riconoscono che la portata della devastazione è diversa ma credono ancora che il risultato finale sarà un altro ritiro israeliano, aggiunge.

Israele potrebbe distruggere una metà di Gaza ma penso che alla fine il risultato sarà lo stesso. Il problema per [il primo ministro israeliano Benjamin] Netanyahu sarà come concludere la battaglia con una immagine positiva da offrire alla gente.

Ma ha un grosso problema. Anche se riuscisse nel suo obiettivo bellico di eliminare la leadership di Hamas a Gaza, si troverebbe ancora ad affrontare le contestazioni sulla sua responsabilità per lattacco del 7 ottobre”.

La fonte respinge la prospettiva che Israele possa raggiungere il suo obiettivo principale. Dice che è fisicamente impossibile eliminare Hamas a causa delle dimensioni a Gaza dell’organizzazione e dei suoi affiliati.

Hamas è parte del tessuto della società. Ci sono i combattenti e le loro famiglie. Gli enti di beneficenza e le loro famiglie. I dipendenti pubblici e le loro famiglie. Nel loro insieme costituiscono una parte molto consistente della popolazione.

Anche se Hamas non prevedeva una risposta israeliana di questa portata dispone di una vasta rete di tunnel che si estende per molte centinaia di chilometri, ha riferito un’altra fonte a MEE.

L‘ipotesi che Hamas perdendo Gaza City, che le forze israeliane stanno cercando di accerchiare, cesserebbe di operare è dunque meno probabile.

Allo stesso modo Hamas non dipende dallentrata in guerra di Hezbollah, ma molti allinterno del movimento vedono il suo coinvolgimento come inevitabile.

Dicono che se Hezbollah permettesse l’annientamento di Hamas, sarebbe solo questione di tempo prima che Israele attaccasse anche l’organizzazione libanese.

Cosa otterrà Hamas alla fine di questa battaglia?

Hamas non crede che alla fine della guerra si possa riportare l’orologio al 6 ottobre e Gaza possa ricominciare da capo, dice.

Lattacco del 7 ottobre ha trasmesso un messaggio diretto e preciso secondo cui i palestinesi hanno la capacità di sconfiggere Israele e liberarsi delloccupazione. Per Hamas questo è ormai un dato di fatto, continua.

Hamas ritiene che l’attacco abbia infranto un patto che esisteva tra l’esercito israeliano e la popolazione sin dalla dichiarazione dello Stato nel 1948.

Il patto tacito era che il popolo avrebbe inviato all’esercito i propri figli e figlie e lesercito in cambio avrebbe protetto il Paese.

Secondo la fonte Hamas ritiene che l’attuale conflitto abbia spinto il popolo palestinese e la resistenza palestinese verso la vittoria e la liberazione, aggiungendo: Penso che Israele abbia perso molta fiducia nel futuro”.

Afferma che Hamas riconosce il pesante prezzo pagato dalla popolazione di Gaza. Ma credeva che la maggior parte avrebbe scelto di restare piuttosto che fuggire da una seconda Nakba, in riferimento allo sfollamento di 750.000 palestinesi dalla loro terra ancestrale nel 1948. Per la maggior parte delle persone non c’è scelta: il confine di Gaza con lEgitto e la sua frontiera con Israele sono chiusi e non c’è nessun posto sicuro dai bombardamenti.

Ogni palestinese sa che deve restare nella propria terra, anche se ridotta in macerie e pur vivendo nelle tende, dice.

Hamas ritiene che Israele abbia commesso un enorme errore strategico nel respingere le molteplici iniziative di pace arabe che avrebbero portato alla fine del conflitto.

La loro strategia consiste nell’avere tutto. Per questo perderanno tutto. Sottovalutano i palestinesi, prosegue la fonte.

Dice che mentre le capitali occidentali aspettano unera dopo Hamas, la resistenza palestinese aspetta con fiducia unera in cui possano vivere in un proprio Stato.

Riconosce che lesercito israeliano possiede un enorme vantaggio militare. Ma insiste sul fatto che i risultati di una guerra non sempre dipendono dagli equilibri di potere.

Guardate il Vietnam, lAfghanistan, lAlgeria. Guardate come sono finite quelle guerre coloniali, conclude.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Guerra Israele-Palestina: lo scopo di Israele è molto più sinistro del ripristino della ‘sicurezza’

Richard Falk

3 novembre 2023 – Middle East Eye

Israele ha colto questa opportunità per realizzare le ambizioni territoriali sioniste nel mezzo della ‘nebbia di guerra’ provocando un’ultima ondata di catastrofico spossessamento dei palestinesi

Antonio Guterres, Segretario Generale dell’ONU è stato recentemente messo alla gogna da Israele per aver affermato un’ovvietà quando ha osservato che l’attacco di Hamas del 7 ottobre “non è avvenuto in un vuoto”.

Guterres ha richiamato l’attenzione di tutto il mondo sulla lunga storia di gravi provocazioni criminose israeliane nella Palestina occupata che avvengono sin da quando divenne la potenza occupante dopo la guerra del 1967. 

 All’occupante, ruolo che ci si aspetta essere temporaneo, è affidato in tali circostanze il mantenimento del diritto umanitario internazionale assicurando la sicurezza e l’incolumità della popolazione civile occupata, come esplicitato nella Quarta Convenzione di Ginevra.

Israele ha reagito con tale rabbia alle osservazioni di Guterres, assolutamente appropriate e accurate, che potevano essere interpretate solo implicando che Israele “se lo doveva aspettare” alla luce dei suoi gravi e vari abusi contro il popolo nei territori palestinesi occupati, i più plateali a Gaza, ma anche in Cisgiordania e Gerusalemme. 

Dopo tutto, se Israele potesse presentarsi al mondo come vittima innocente dell’attacco del 7 ottobre, un episodio in sé stesso ricolmo di crimini di guerra, potrebbe ragionevolmente sperare di ottenere carta bianca dai suoi sostenitori in Occidente per vendicarsi a piacimento, senza preoccuparsi di essere limitato dal diritto internazionale, dall’autorità dell’ONU o dalla morale comune. 

Invece Israele ha reagito all’attacco del 7 ottobre con la sua tipica abilità nel manipolare il dibattito globale che influenza l’opinione pubblica e guida la politica estera di molti e importanti Paesi. Qui tali tattiche sembrano quasi superflue, dato che gli Usa e l’UE hanno rapidamente concesso una totale approvazione in bianco a qualsiasi cosa faccia Israele in risposta, per quanto vendicativa, crudele o estranea a ripristinare la sicurezza del confine israeliano. 

Il discorso di Guterres all’ONU ha avuto un impatto così eclatante perché ha fatto scoppiare il palloncino israeliano dell’innocenza costruita ad arte secondo cui l’attacco del 7 ottobre è arrivato inaspettatamente. Escludere il contesto ha distolto l’attenzione dalla devastazione di Gaza e dall’assalto genocida contro la sua popolazione di 2.3 milioni di persone, prevalentemente innocenti e da lungo tempo perseguitate.

Incredibili falle

Ciò che trovo strano e inquietante è che da quel giorno questo fattore è stato raramente preso in considerazione, nonostante il consenso sul fatto che l’attacco di Hamas sia stato possibile solo per le incredibili falle nelle capacità israeliana di intelligence e di rigida sicurezza sui confini, che si supponevano seconde a nessuno.

Invece di un giorno dopo pieno di furia vendicativa, perché l’attenzione in Israele e altrove non si è concentrata nell’attuare interventi di emergenza per restaurare la sicurezza di Israele tappando queste costose falle, ciò che sembrerebbe il modo più efficace per garantire che nulla di simile al 7 ottobre possa ripetersi?

Io posso capire la riluttanza del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a sottolineare questa spiegazione o a sostenere questa forma di risposta che equivarrebbe a una confessione della sua personale corresponsabilità per la tragedia traumaticamente subita da Israele quando i combattenti palestinesi si sono riversati oltre il confine. 

Ma quella d’altri in Israele e fra i governi suoi sostenitori?

 Indubbiamente Israele con tutta probabilità sta impiegando tutti i mezzi a sua disposizione, con un senso di urgenza, per tappare queste incredibili falle nel suo sistema di intelligence e per rimpolpare il suo potenziale militare sui relativamente brevi confini di Gaza. 

Non è necessario essere un genio della sicurezza per concludere che occuparsi in modo affidabile di questi problemi di sicurezza farebbe di più per prevenire e scoraggiare futuri attacchi di Hamas che questa continua saga che infligge punizioni devastanti contro la popolazione palestinese di Gaza, tra cui in pochissimi fanno parte dell’ala militare di Hamas. 

 Furia genocida

A settembre Netanyahu, in un discorso all’ONU durante il quale ha parlato di una nuova pace in Medio Oriente fra le prospettive di una normalizzazione Israele-Arabia Saudita, ha fornito ulteriore plausibilità a tali speculazioni presentando una mappa del Medio Oriente senza includere la Palestina, cancellando di fatto i palestinesi dalla propria patria. La sua presentazione rappresenta un diniego implicito del consenso dell’ONU sulla formula dei due Stati come una roadmap per la pace. 

Nel frattempo la furia genocida della risposta israeliana all’attacco di Hamas sta facendo infuriare il mondo arabo, anzi tutto il mondo, persino i Paesi occidentali. Ma dopo più di tre settimane di spietati bombardamenti, assedio totale e uno spostamento forzato di massa, la decisione di Israele di scatenare questo torrente di violenza contro Gaza deve essere ancora contrastata dai suoi sostenitori in Occidente. 

In particolare gli USA stanno sostenendo Israele presso l’ONU usando il loro veto quando necessario al Consiglio di Sicurezza e votando quasi senza nessuna condivisione da parte di Paesi importanti contro un cessate il fuoco all’Assemblea Generale. Persino la Francia ha votato la risoluzione dell’Assemblea Generale e il Regno Unito ha avuto un minimo di decenza e si è astenuto, entrambi probabilmente reagendo pragmaticamente alla pressione popolare che sale da grandi e infuriate dimostrazioni di piazza a casa. 

Nelle reazioni alle tattiche israeliane a Gaza si è anche dimenticato che, fin dall’inizio, questo governo estremista ha iniziato una serie scioccante di violente provocazioni nella Cisgiordania occupata. Molti hanno interpretato questo palese scatenarsi di violenza dei coloni come parte dell’obiettivo del progetto sionista mirante ad ottenere la vittoria su ciò che resta della resistenza palestinese. 

Ci sono poche ragioni per dubitare che Israele abbia deliberatamente reagito in modo sproporzionato al 7 ottobre nell’iniziare immediatamente una risposta genocida, soprattutto se il suo proposito era di distogliere l’attenzione dall’escalation della violenza dei coloni in Cisgiordania, esacerbata dalla distribuzione da parte del governo di armi “ai gruppi di sicurezza civile”. 

Il piano finale del governo israeliano sembra porre fine una volta per tutte a fantasie di partizione dell’ONU, al servizio dell’obiettivo massimalista sionista di un’annessione o di una totale sottomissione dei palestinesi cisgiordani.

In effetti, per quanto possa sembrare macabro, la leadership israeliana ha colto l’occasione del 7 ottobre “per finire il lavoro” commettendo un genocidio a Gaza, con la scusa che Hamas è un pericolo tale da giustificare non solo la sua distruzione, ma questo attacco indiscriminato contro l’intera popolazione. 

La mia analisi mi porta a concludere che la guerra in corso non sia principalmente per la sicurezza a Gaza o contro le minacce alla sicurezza poste da Hamas, ma piuttosto per qualcosa di molto più sinistro e incredibilmente cinico. 

Israele ha colto questa opportunità per soddisfare le ambizioni territoriali sioniste nel mezzo della ‘nebbia di guerra’, provocando un’ultima ondata di catastrofico spossessamento dei palestinesi. È di secondaria importanza se chiamarla “pulizia etnica” o “genocidio” anche se ci sono i requisiti per definirla la maggiore catastrofe umanitaria del XXI secolo. 

In effetti il popolo palestinese è perseguitato da due convergenti catastrofi: una politica e l’altra umanitaria.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Richard Falk, studioso di diritto internazionale e relazioni internazionali, ha insegnato presso la Princeton University per quarant’anni. Nel 2008 è stato nominato alle Nazioni Unite per sei anni come Relatore speciale per i diritti umani dei palestinesi.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




La giustizia non è negoziabile: perché Israele non può distruggere la resistenza palestinese

Ramzy Baroud

1 novemebre 2023 Palestine Chronicle

È tempo di parlare di giustizia, vera giustizia, il cui risultato non è negoziabile: uguaglianza, pieni diritti politici, libertà e il diritto al ritorno.

Gaza ha modificato l’equazione politica in Palestina.

Anzi, è probabile che le ripercussioni di questa guerra devastante cambino l’equazione politica di tutto il Medioriente e rimettano al centro la Palestina come la crisi politica più urgente al mondo nei prossimi anni.

Dalla fondazione di Israele, agevolata dalla Gran Bretagna e protetta dagli Stati Uniti e da altri Paesi occidentali, le priorità sono state interamente quelle di Israele.

“Sicurezza” di Israele, “superiorità militare” di Israele, “il diritto a difendersi” di Israele, e molto altro hanno definito il discorso politico dell’Occidente sull’occupazione e l’apartheid di Israele in Palestina.

Questa bizzarra concezione del cosiddetto conflitto da parte di USA e Occidente, secondo cui un oppressore ha “diritti” sull’oppresso, ha consentito a Israele di mantenere un’occupazione militare sui territori palestinesi che è durata oltre 56 anni.

Ha anche permesso a Israele di ignorare le radici di questo “conflitto”, cioè la pulizia etnica della Palestina nel 1948 e il diritto al ritorno a lungo negato ai profughi palestinesi.

All’interno di questo contesto ogni disponibilità alla pace dei palestinesi e degli arabi è stata rifiutata, ogni presunto “processo di pace”, cioè gli accordi di Oslo, trasformato in un’opportunità per Tel Aviv di rafforzare la sua occupazione militare, espandere le colonie e rinchiudere i palestinesi in spazi simili a Bantustan [le aree riservate ai nativi africani nel Sudafrica dell’apartheid, ndt.], umiliati e segregati su base razziale.

Alcuni palestinesi, sedotti dall’elemosina americana o distrutti da una persistente sensazione di sconfitta, si sono messi in fila per ricevere i dividendi della pace statunitense-israeliana, misere briciole di falso prestigio, titoli vuoti e potere limitato, concessi e negati da Israele stesso.

Tuttavia la guerra israeliana contro Gaza sta già cambiando molto di questo penoso status quo.

La costante enfasi israeliana sul fatto che la sua guerra letale sia contro Hamas, contro il “terrorismo”, contro il fondamentalismo islamico e tutto il resto, potrebbe aver convinto quelli che sono già pronti ad accettare per oro colato la versione israeliana degli eventi.

Ma, mentre i corpi di migliaia di civili palestinesi, migliaia dei quali sono minori, iniziano a accumularsi nelle sale mortuarie degli ospedali e tragicamente nelle strade di Gaza, la narrazione inizia a cambiare.

I corpi fatti a pezzi di minori palestinesi, le cui famiglie sono morte insieme a loro, testimoniano della brutalità di Israele, dell’appoggio immorale dei suoi alleati, della disumanità di un ordine internazionale che premia l’assassino e reprime la vittima.

Di tutte le dichiarazioni di parte fatte dal presidente USA Joe Biden quella in cui ha suggerito che i palestinesi mentono riguardo al conto dei loro morti è stata forse la più inumana.

Washington potrebbe non averlo ancora capito, ma le ripercussioni dell’appoggio incondizionato a Israele in futuro si dimostreranno disastrose, soprattutto in una regione che ne ha abbastanza di guerre, egemonia, doppio standard, divisioni settarie e conflitto senza fine.

Ma il maggior impatto si farà sentire nello stesso Israele.

Quando il 26 ottobre l’ambasciatore palestinese all’ONU Riyad Mansour ha fatto un potente ed emotivo discorso, non ha potuto trattenere le lacrime. Delegazioni internazionali all’Assemblea Generale dell’ONU hanno continuato ad applaudire, riflettendo il crescente appoggio alla Palestina, non solo all’ONU ma in centinaia di città e cittadine e in innumerevoli angoli di strada in tutto il mondo.

Quando ha parlato l’ambasciatore israeliano all’ONU Gilad Erdan, che ha ispirato la maggior parte delle menzogne comunicate da Tel Aviv, soprattutto nei primi giorni di guerra, nessuno ha applaudito.

La narrazione israeliana si è chiaramente sbriciolata in mille pezzi. In effetti Israele non è mai stato così isolato. Questo non è affatto il “Nuovo Medio Oriente” che Netanyahu aveva profetizzato nel suo discorso all’Assemblea Generale dell’ONU il 22 settembre.

Incapace di capire come mai l’iniziale simpatia con Israele si sia rapidamente trasformata in vero e proprio sdegno, Israele ha fatto ricorso alle vecchie tattiche.

Il 25 ottobre Erdan ha chiesto le dimissioni del segretario generale dell’ONU António Guterres in quanto “inadeguato a guidare l’ONU”. Il presunto imperdonabile delitto di Guterres è il fatto di aver affermato che “gli attacchi di Hamas non sono avvenuti dal nulla.”

Per Israele e i suoi benefattori americani nessun contesto è permesso di macchiare l’immagine perfetta che Israele ha creato per il suo genocidio a Gaza. In questo mondo perfetto israeliano a nessuno è consentito parlare di occupazione militare, di assedio, di mancanza di prospettive politiche, dell’assenza di una pace giusta per i palestinesi.

Benché nella sua dichiarazione Amnesty International abbia detto che entrambe le parti hanno commesso “gravi violazioni delle leggi umanitarie internazionali, compresi crimini di guerra”, Israele lo attacca ancora, accusando l’organizzazione di essere “antisemita”.

Perché, secondo Israele, neppure alla principale associazione internazionale per i diritti umani al mondo è permesso contestualizzare le atrocità a Gaza o di avere il coraggio di suggerire che una delle “cause alla radice del conflitto” è “il sistema israeliano di apartheid imposto ai palestinesi”.

Israele non è più onnipotente, come vuole farci credere. Gli ultimi eventi hanno dimostrato che “l’invincibile esercito” israeliano, un’etichetta che ha consentito a Israele di diventare nel 2022 il decimo principale esportatore di armi al mondo, si è dimostrato una tigre di carta.

Questo è ciò che ha fatto infuriare di più Israele. “I musulmani non hanno più paura di noi,” ha detto l’ex- parlamentare della Knesset Moshe Feiglin in un’intervista ad Arutz Sheva-Israel National News [Canale 7-Notizie Nazionali Israeliane, rete israeliana di estrema destra, ndt.]. Per ripristinare questa paura il politico estremista israeliano ha chiesto di “ridurre immediatamente in cenere Gaza.”

Ma niente ridurrà in cenere Gaza, anche se, secondo l’ufficio umanitario dell’ONU, le oltre 12.000 tonnellate di esplosivo lanciate contro la Striscia nelle prime due settimane di guerra hanno già ridotto in cenere almeno il 45% delle abitazioni nella Striscia.

Gaza non morirà perché è un’idea potente profondamente radicata nei cuori e nelle menti di ogni arabo, di ogni musulmano e di milioni di persone in tutto il mondo.

Questa nuova idea sta sfidando la convinzione a lungo coltivata che il mondo debba provvedere alle priorità, alla sicurezza, alla definizione egocentrica di pace e ad altre illusioni di Israele.

Il dibattito dovrebbe ora tornare a quello che avrebbe sempre dovuto essere: le priorità dell’oppresso e non dell’oppressore.

È giunto il tempo in cui si parli dei diritti dei palestinesi, della sicurezza dei palestinesi e del diritto del popolo palestinese, di fatto un obbligo, di difendere se stesso.

È tempo per noi di parlare di giustizia, vera giustizia, il cui risultato non è negoziabile: uguaglianza, pieni diritti politici, libertà e diritto al ritorno.

Gaza ci ha detto tutto questo e molto altro. Ed è tempo che noi le diamo ascolto.

Ramzy Baroud è giornalista, autore ed editore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. L’ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è Our Vision for Liberation: Engaged Palestines Leaders and Intellectuals Speak out [La nostra visione della liberazione: parlano i leader e gli intellettuali impegnati della Palestina]. Baroud è ricercatore senior non residente presso il Center for Islam and Global Affairs (CIGA).

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Israele, attenzione: con la guerra gli apocalittici ebrei ultranazionalisti sono al settimo cielo

Uri Misgav

2 novembre 2023, Haaretz

Gli brillano gli occhi. Parlano di una “seconda Nakba”. Credono che questo sia il tempo del Messia. Per i nazionalisti ultra-ortodossi la guerra con Hamas è un doppio sogno: il pieno dominio ebraico sul Grande Israele e uno Stato ebreo fondamentalista sulle ceneri dell’odierno Israele liberal-democratico.

Anche se Israele dovesse vincere la guerra esistenziale che gli è stata imposta, dovrà comunque affrontare una minaccia interna che non va presa alla leggera: il sionismo nazionalista ultra-ortodosso. Chi ha parlato con i seguaci di questo movimento dopo il rovinoso disastro del 7 ottobre si è imbattuto in uno strano fenomeno.

I loro occhi brillano. Sono estasiati. Dal loro punto di vista questi sono i giorni del Messia. La grande opportunità. È parte essenziale delle visioni fondamentaliste in tutte le religioni. La fede in un’apocalisse, Armageddon, Gog e Magog come solo mezzo di redenzione.

Nel caso dei sionisti Haredi [ultra-ortodossi, ndt.] si tratta di una doppia visione: pieno dominio ebraico su tutta l’area dal Mar Mediterraneo al fiume Giordano insieme alla cancellazione della presenza araba e l’emergere di uno Stato fedele alla Halakha [l’insieme delle leggi religiose ebraiche, ndt.] dalle ceneri dell’odierno Israele liberal-democratico.

Questo spiega i discorsi su una “seconda Nakba” e il reinsediamento di Gush Katif [blocco di 17 colonie israeliane  demolite nel 2005 con il Piano di disimpegno di Ariel Sharon, ndt.] nel sud della Striscia di Gaza, così come la velocità con cui si sono organizzati i gruppi di coloni che hanno messo gli occhi sulle rovine dei kibbutz al confine di Gaza, e gli sforzi nell’assumere il controllo delle iniziative di volontariato per aiutare gli agricoltori della zona.

Ma il punto principale, ovviamente, è l’attuale guerra. Esiste un ampio consenso sulla necessità di colpire Hamas e porre fine al suo dominio sulla Striscia di Gaza. Il dibattito riguarda le sfumature. Ad esempio, la questione dell’invasione di terra, della sua necessità e tempistica. La questione degli ostaggi e la sua priorità. L’atteggiamento verso le vittime civili, le leggi di guerra e gli aiuti umanitari. Per i sionisti Haredi tali dibattiti sono una dannosa perdita di tempo. Gaza è Amalek [nazione descritta nella Bibbia come strenuo nemico degli ebrei, ndt.] che deve essere cancellata dalla faccia della terra.

La cosa vale anche per le Forze di Difesa Israeliane, perché all’interno dell’esercito c’è una corrente sionista Haredi ben radicata. Il comandante della 36a divisione corazzata, Generale di Brigata David Bar Khalifa, questa settimana ha emesso una commovente direttiva di battaglia alle sue truppe scritta a mano su carta intestata che culmina in una citazione dai Salmi ( “Come frecce nella mano di un uomo potente”): “Ciò che è stato non sarà più! Lo affronteremo in guerra, polverizzeremo ogni lembo della terra maledetta da cui proviene, lo distruggeremo insieme al suo ricordo… e non torneremo finché non sarà annientato, e [Dio] volgerà la vendetta contro i suoi avversari, e purificherà la terra del suo popolo… Il Signore darà forza al suo popolo e proteggerà il vostro entrare ed uscire da ora e per sempre. Questa è la nostra guerra, oggi tocca a noi. Eccoci!”

Questo è un estatico testo religioso, adatto a uno studente della Or Etzion Yeshiva [scuola di studi rabbinici, ndt.], dove peraltro ha studiato, non a un comandante di divisione sano e razionale in un esercito moderno.

I comandanti della 36a divisione corazzata nel passato comprendono Zvi Zamir, Uzi Narkiss, Rafael Eitan, Uri Sagi, Amram Mitzna, Avigdor Kahalani, Matan Vilnai, Amiram Levin e Yitzhak Brik. È difficile immaginare che qualcuno di loro avrebbe diffuso qualcosa di simile a questo documento militare.

Molti sionisti Haredi, alcuni dei quali dipendenti pubblici, vedono la terribile crisi come un’opportunità e persino come un piano divino. Yizhak Keshet, sindaco di Harish, ha spiegato lo sviluppo degli eventi in una “conferenza sulla sicurezza” da lui convocata questa settimana (Tali Heruti-Sover, The Marker Hebrew 30 ottobre). “Questa è una mossa divina. È perfettamente chiaro. Non succede così, dal nulla”, ha dichiarato indossando un giubbotto antiproiettile corazzato con piastra in ceramica.

Bisogna guardare ai fatti, che il popolo di Israele, a seguito di questo evento difficile e terribile, è sopravvissuto. C’era un piano molto, molto più grande e più dannoso per distruggere lo Stato di Israele… da quattro diversi fronti, di cui Hamas è il più piccolo. E la misericordia di Dio nei nostri confronti li ha portati a fermare i loro piani. La causa scatenante è stata proprio la festa, era una tale tentazione, 3.000 persone vicino alla recinzione … non hanno saputo resistere alla tentazione e sono entrati. Questa cosa ci ha salvato”.

È evidente che i martiri del festival musicale Nova Trance e le vittime dei massacri nelle comunità di confine sono solo pedine del piano divino per portare a termine la missione – in Cisgiordania.

Questo è il motivo per cui il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich continua anche adesso a convogliare freneticamente i fondi governativi verso i coloni. Questo è il motivo per cui i coloni e talvolta anche i soldati sionisti Haredi insorgono senza che nessuno li fermi uccidendo, infierendo ed espellendo i palestinesi. La jihad ebraica è destinata a incendiare l’intera Terra Santa. Gli israeliani che vogliono vivere non devono distogliere lo sguardo o voltare le spalle.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




I rabbini israeliani dicono a Netanyahu che Israele ha il diritto di bombardare l’ospedale Al-Shifa a Gaza

Jonathan Ofir 

  31 Ottobre 2023  Mondoweiss

Un gruppo di influenti rabbini israeliani ha scritto una lettera a Benjamin Netanyahu affermando il diritto di Israele, secondo la legge ebraica, di bombardare l’ospedale Al Shifa a Gaza

Ieri il giornalista israeliano di destra Amit Segal ha condiviso la lettera di 45 influenti rabbini israeliani (una lista iniziale) indirizzata al “Primo Ministro Benjamin Netanyahu che la sua luce splenda, ai capi di Stato e all’apparato di sicurezza”, affermando esplicitamente il diritto dello Stato di bombardare l’ospedale Al Shifa di Gaza – il principale ospedale della Striscia.

L’esercito israeliano ha affermato che Hamas sta utilizzando come basi gli ospedali sia Al Shifa che Al Quds e ha avvertito entrambe le istituzioni di evacuare prima di un previsto attacco. Le accuse non possono essere verificate e, nonostante ciò, un attacco alle strutture sanitarie è vietato dal diritto internazionale. Se Israele bombarderà Al Shifa non sarà la prima volta: l’ospedale è stato attaccato il 28 luglio 2014 e all’epoca era il quarto ospedale bombardato da Israele durante quell’attacco [la guerra di Israele “Margine di Protezione” 8/7-29/8 2014, ndt.]

Ma ora i rabbini stanno rassicurando i leader israeliani che un simile crimine di guerra sarebbe accettabile per il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Ecco cosa dicono dell’ospedale Al Shifa:

È necessario chiarire che anche quando il nemico si nasconde dietro uno ‘scudo umano’, come sappiamo nel caso del quartier generale dei terroristi presso l’ospedale Al Shifa a Gaza – non esiste alcun divieto della halacha [legge religiosa ebraica] o morale, né un divieto legale, di bombardare il nemico dopo sufficiente preavviso. E se con tale azione verrà versato sangue innocente, la colpa ricadrà esclusivamente sulle teste dei crudeli assassini [di Hamas] e dei loro sostenitori”.

Nella lista dei firmatari figurano diversi illustri rabbini che in passato hanno sostenuto l’uccisione dei “nemici bambini”. I rabbini Yitzhak Shapira e Yosef Elitzur lo hanno scritto esplicitamente nel loro libro Torat Hamelech (La Torah del Re) del 2009, sostenendo che tali bambini possono spesso ostacolare l’uccisione del nemico e che la loro uccisione è quindi consentita. Hanno scritto anche che il loro omicidio è consentito con la giustificazione che questi bambini “cresceranno per farci del male”.

Uno degli autori di Torat Hamelech, Yitzhak Shapira, rabbino della yeshivah [scuola ebraica tradizionale focalizzata sullo studio della letteratura rabbinica, ndt.] Od Yosef Hai di Yitzhar, è uno dei firmatari della lettera di ieri (fino al 2011 la yeshivah riceveva in particolare sovvenzioni dal fondo della famiglia Kushner, la potente famiglia del genero di Trump). Altri due rabbini sulla lista dei firmatari, Dov Lior (primo firmatario, ex rabbino di Kiryat Arba e mentore spirituale di Itamar Ben-Gvir) e Yitzchak Ginzburg (terzo firmatario, affiliato al noto movimento estremista ortodosso Chabad) hanno approvato il libro Torah del Re.

Dal 7 ottobre Israele ha preso di mira decine di strutture sanitarie. Non solo gli ospedali Al Shifa e Al Quds: Israele ha chiesto l’evacuazione dell’intera area, compresi i suoi circa 24 ospedali. Il dottor Mads Gilbert, un medico norvegese che ha lavorato a più riprese all’ospedale Al Shifa, ha parlato della questione a Democracy Now [programma della televisione indipendente americana PBS, ndt.]:

Sentiamo queste affermazioni dal 2009. Siamo stati minacciati due volte di dover lasciare l’ospedale Al Shifa, nel 2009 e nel 2014, perché gli israeliani lo avrebbero bombardato perché era un centro di comando. Dunque, lavoro a Shifa da 16 anni, 16 anni andando e venendo, in periodi molto frenetici, periodi molto intensi. Ho sempre potuto muovermi liberamente. Faccio molte foto. Faccio video, filmo. Dormivo in ospedale durante il bombardamento. Sono stato dappertutto. Non sono mai stato fermato o controllato.

Nessuno ha mai controllato le mie foto o il mio materiale di documentazione. Quindi, beh, se c’è un centro di comando, mostratecelo. Avete foto e radiografie di tutta Gaza, di tutti i tunnel, di tutto. Allora, perché in questi 16 anni di minacce secondo cui Al Shifa è un centro di comando non è stata fornita alcuna prova che lo sia davvero? Ora, se fosse un centro di comando militare non ci lavorerei, per prima cosa perché obbedisco alla Convenzione di Ginevra.

In secondo luogo, se gli israeliani affermano che si tratta di un obiettivo misto militare-civile, perché ovviamente è civile, con decine di migliaia di persone radunate lì e 2.000 pazienti in cura – se si tratta di un obiettivo misto militare-civile, le precauzioni per i civili hanno la priorità sull’obbiettivo militare. Quindi, secondo la Convenzione di Ginevra, non si possono bombardare gli ospedali, a meno che non abbiano funzioni militari molto precise.

Quindi, secondo me, tutto questo fa parte di questa pazzesca intimidazione nei confronti del popolo palestinese a Gaza. Sono minacciati con volantini lanciati da aerei ed elicotteri. Sono minacciati da telefonate. Sono minacciati da messaggi tipo: ‘Se adesso rimani nel nord di Gaza, ti definiamo un terrorista’. Che roba è? 2023, due milioni e mezzo… 2,2 milioni di persone, civili e disarmati vengono uccisi, un bambino ucciso ogni 10 minuti. Ad oggi il numero dei bambini palestinesi uccisi è 3.324, e a Gaza sono 2.062 i bambini scomparsi”.

Il capo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus sottolinea:

È impossibile evacuare ospedali pieni di pazienti senza mettere in pericolo la loro vita. Secondo il diritto internazionale umanitario l’assistenza sanitaria deve essere sempre protetta”.

Ma i rabbini hanno detto che va bene. A chi darà retta Israele?

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




La raccomandazione di un ministero del governo israeliano: espellere tutti i palestinesi da Gaza

Yuval Abraham

30 ottobre 2023 – +972 Magazine

Un documento del ministero israeliano dell’Intelligence reso pubblico da Local Call e +972 mostra come l’idea di un trasferimento della popolazione nel Sinai stia raggiungendo il dibattito a livello ufficiale.

Secondo un documento ufficiale rivelato integralmente per la prima volta ieri da Local Call, sito partner di +972, il ministero israeliano dell’Intelligence propone il trasferimento forzato e permanente nella penisola del Sinai, Egitto, dei 2,2 milioni di palestinesi che abitano nella Striscia di Gaza

Il documento di 10 pagine datato 13 ottobre 2023 reca il logo del ministero dell’Intelligence, un piccolo organismo governativo che sforna ricerche politiche e condivide le sue proposte con agenzie di intelligence, esercito e altri ministeri. Esso valuta tre alternative riguardanti il futuro dei palestinesi della Striscia nel quadro della guerra in corso e raccomanda un trasferimento totale della popolazione quale linea d’azione da privilegiare. Sollecita anche Israele a coinvolgere a sostegno dell’impresa la comunità internazionale. Il documento, la cui autenticità è stata confermata dal ministero, è stato tradotto in inglese e si trova integralmente sul sito di +972.

L’esistenza del documento non indica necessariamente che le sue raccomandazioni verranno prese in considerazione dalle istituzioni militari di Israele. Nonostante il suo nome, il ministero dell’Intelligence non è direttamente responsabile di nessun ente di intelligence, ma piuttosto prepara in modo indipendente studi e documenti programmatici che sono sottoposti all’esame di organismi governativi e di sicurezza israeliani, senza essere vincolanti. Il suo budget annuale è di 25 milioni di shekel (circa 5 milioni di euro) e la sua influenza è considerata relativamente limitata. È attualmente guidato da Gila Gamliel del Likud, il partito del primo ministro Benjamin Netanyahu.

Comunque il fatto che un ministero del governo israeliano abbia preparato una proposta così dettagliata nel corso di un’offensiva militare su larga scala contro Gaza, in seguito all’assalto mortale di Hamas e ai massacri nelle comunità nel sud di Israele il 7 ottobre, riflette come l’idea di un trasferimento forzato di popolazione abbia raggiunto il livello del dibattito politico ufficiale. Timori di un piano simile, che costituirebbe un grave crimine di guerra ai sensi del diritto internazionale, sono cresciuti nelle ultime settimane, specialmente dopo che l’esercito israeliano ha ordinato a circa 1 milione di palestinesi di evacuare la parte settentrionale della Striscia in previsione dell’escalation di bombardamenti e crescenti incursioni di terra.

Il documento raccomanda ad Israele di agire per “evacuare la popolazione civile nel Sinai” durante la guerra, di erigere tendopoli temporanee e in seguito città più permanenti nel Sinai settentrionale che assorbiranno la popolazione espulsa e poi creare “una zona cuscinetto di parecchi chilometri… in Egitto e [di impedire] il ritorno della popolazione ad attività/residenza vicino al confine con Israele.” Allo stesso tempo i vari governi nel mondo, capeggiati dagli Stati Uniti, devono essere mobilitati per realizzare lo spostamento.

Una fonte del ministero dell’Intelligence ha confermato a Local Call/+972 che il documento è autentico, che era stato distribuito ai settori della difesa da parte della divisione per le politiche del ministero e che “non sarebbe dovuto arrivare ai media.”

Chiarite che non c’è speranza di ritornare’

Il documento raccomanda inequivocabilmente ed esplicitamente il trasferimento di civili palestinesi da Gaza come risultato auspicato della guerra. L’esistenza del piano è stata per la prima volta riportata la scorsa settimana dal quotidiano di affari israeliano Calcalist e il testo completo del documento vi è pubblicato e tradotto.

Il piano di trasferimento consta di parecchi stadi. Nel primo stadio l’azione deve essere condotta in modo tale che la popolazione di Gaza “evacui verso sud,” mentre gli attacchi aerei si concentrano nella parte settentrionale della Striscia. Il secondo comincerà un’incursione via terra che porterà all’occupazione di tutta la Striscia da nord a sud, e la “pulizia dei bunker sotterranei dei combattenti di Hamas.”

Contemporaneamente alla rioccupazione di Gaza i civili palestinesi saranno spostati in territorio egiziano senza possibilità di ritorno. “È importante lasciare aperte le strade per raggiungere il sud e permettere l’evacuazione della popolazione civile verso Rafah,” afferma il documento.

Secondo un funzionario del ministero dell’Intelligence, dietro a tali raccomandazioni ci sarebbe il personale del ministero. La fonte sottolinea che la ricerca del ministero “non si fonda sull’intelligence militare” e serve solo come base per discussioni all’interno del governo.

Il documento propone di promuovere una campagna rivolta ai civili palestinesi a Gaza che “li motiverà ad accettare questo piano” e li porterà a rinunciare alla propria terra. “I messaggi dovrebbero essere incentrati sulla perdita di terra, chiarendo che non ci sarà speranza di ritornare nei territori che Israele presto occuperà, che questo sia vero o meno. Il messaggio deve essere: ‘Allah ha voluto che perdeste questa terra a causa dei leader di Hamas, non c’è altra scelta che trasferirsi in un altro posto con l’aiuto dei vostri fratelli mussulmani,’” dice il documento.

Inoltre esso invita il governo a condurre una campagna pubblica nel mondo occidentale per promuovere il piano di trasferimento “in modo che non inciti a denigrare Israele.” Per ottenere il sostegno internazionale ciò verrà fatto presentando l’espulsione come una necessità umanitaria e sostenendo che il trasferimento darà come risultato “un numero di vittime civili minore rispetto a quelle che ci sarebbero se la popolazione rimanesse.”

Il documento dice anche che gli Stati Uniti dovrebbero essere coinvolti nel processo per imporre una pressione sull’Egitto affinché accolga gli abitanti palestinesi di Gaza e che altri Paesi europei — in particolare Grecia e Spagna— ma anche Canada, dovrebbero contribuire ad accogliere e insediare i rifugiati palestinesi. il ministero dell’Intelligence ha detto che il documento non era ancora stato ufficialmente distribuito a funzionari USA, ma solo al governo e enti di sicurezza israeliani.

Una discussione politica più ampia

La scorsa settimana l’Istituto Misgav, un think tank di destra guidata da Meir Ben-Shabbat, stretto collaboratore del primo ministro Netanyahu ed ex direttore del Consiglio per la Sicurezza Nazionale di Israele, ha pubblicato una memoria ufficiale che suggeriva un simile trasferimento forzato della popolazione di Gaza nel Sinai. L’istituto ha recentemente rimosso il post da Twitter e dal suo sito web in seguito a una forte condanna internazionale.

Lo studio rimosso è stato scritto da Amir Weitmann, un attivista del Likud e, secondo fonti a lui vicine, uno stretto collaboratore della ministra dell’intelligence Gila Gamliel. La scorsa settimana, su una pagina Facebook intitolata “Il piano per reinserire Gaza in Egitto,” Weitmann ha intervistato il parlamentare del Likud Ariel Kallner che gli ha detto che “la soluzione che proponi di spostare la popolazione in Egitto è logica e necessaria.”

Questo non è il solo legame fra Likud, il ministero dell’Intelligence e il think tank di destra. Circa un mese fa il ministero dell’Intelligence ha promesso un trasferimento di circa 1 milione di shekel dal suo bilancio all’Istituto Misgav per condurre ricerche nei Paesi arabi. Che l’Istituto Misgav sia stato in un modo o in un altro coinvolto nella bozza delle raccomandazioni del ministero per il trasferimento dei gazawi, il suo logo comunque non appare sul documento.

Fonti presso il ministero dell’Intelligence dicono che il rapporto su Gaza è uno studio indipendente condotto dalla divisione delle politiche ministeriali senza un contributo esterno, ma non hanno confermato che recentemente il ministero abbia iniziato a lavorare con l’Istituto Misgav, sottolineando che l’ente governativo collabora con vari gruppi di ricerca con programmi politici diversi. L’Istituto Misgav non ha ancora risposto alle nostre domande per questo articolo.

Inoltre il documento è prima stato fatto trapelare a un piccolo gruppo interno WhatsApp di attivisti di destra che, insieme al sostenitore del Likud Whiteman, promuove il reinsediamento delle colonie israeliane nella Striscia di Gaza e il trasferimento dei palestinesi che ci vivono.

Secondo uno di questi attivisti il documento del ministero dell’Intelligence è arrivato a loro tramite la mediazione di una “fonte del Likud,” e la sua distribuzione pubblica è legata al tentativo di scoprire se “l’opinione pubblica israeliana è pronta ad accettare l’idea del trasferimento da Gaza.”

L’opzione preferita

Le possibilità di implementare completamente tale piano, che costituirebbe una totale pulizia etnica della Striscia di Gaza, sono molto scarse sotto molti aspetti. Il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi ha dichiarato di opporsi fermamente all’apertura del valico di Rafah per assorbire la popolazione palestinese di Gaza. Ha affermato che il trasferimento dei palestinesi nel Sinai minaccerebbe la pace fra Israele ed Egitto e ha ammonito che porterebbe i palestinesi a usare il territorio egiziano come base per continuare gli scontri armati contro Israele. Un piano simile era stato presentato in passato da funzionari israeliani e, fino ad ora, non si è mai sviluppato in una seria discussione politica.

Inoltre, dopo settimane di segnalazioni che gli Stati Uniti stavano cercando di sollevare l’idea di spostare i palestinesi in Egitto quale parte di un “corridoio umanitario,” ieri Joe Biden ha affermato che lui e Sisi erano impegnati a “garantire che i palestinesi di Gaza non fossero evacuati in Egitto o in nessuna altra Nazione.”

Il documento del ministero afferma che l’Egitto avrà l’“obbligo ai sensi del diritto internazionale di permettere il passaggio della popolazione,” e che gli Stati Uniti possono contribuire al processo “esercitando una pressione su Egitto, Turchia, Qatar, Arabia Saudita, e gli EAU perché contribuiscano all’iniziativa, o con risorse o assorbendo rifugiati.” Propone anche di condurre una campagna pubblica specifica mirata al mondo arabo “che si concentri sul messaggio di assistere i fratelli palestinesi e di reinserirli, anche al costo di usare un tono che incolpi o persino danneggi Israele.”

In conclusione il documento evidenzia che “la migrazione su larga scala” di non combattenti da zone di combattimento è un “esito naturale e ambito” che si è anche verificato in Siria, Afghanistan e Ucraina, per poi concludere che solo l’espulsione della popolazione palestinese costituirà “una risposta appropriata [che] permetterà la creazione di una deterrenza significativa nell’intera regione.”

Il documento offre altre due opzioni su cosa fare degli abitanti di Gaza alla fine della guerra. La prima permette all’Autorità Palestinese (AP), guidata dal partito Fatah della Cisgiordania occupata, di governare Gaza sotto l’egida di Israele. La seconda è di far nascere un’altra “autorità locale araba” come alternativa ad Hamas. Entrambe le alternative, afferma il documento, per Israele sono indesiderabili da una prospettiva strategica e di sicurezza e non costituiranno un sufficiente messaggio di deterrenza, specialmente per Hezbollah in Libano.

Gli autori dello studio precisano inoltre che delle tre alternative quella di portare a Gaza l’AP sarebbe la più pericolosa, perché potrebbe portare all’insediamento di uno Stato palestinese. “La divisione tra la popolazione palestinese in Giudea e Samaria [cioè la Cisgiordania, ndt.] e quella di Gaza è oggi uno degli ostacoli principali alla formazione di uno Stato palestinese. È inconcepibile che il risultato di questo attacco [i massacri di Hamas del 7ottobre] sia una vittoria senza precedenti del movimento nazionale palestinese e un percorso per la creazione di uno Stato palestinese,” precisa il documento.

Esso continua affermando che un modello di governo militare israeliano e uno civile dell’AP, come in Cisgiordania, probabilmente a Gaza fallirebbe. “Non si può mantenere un’efficace occupazione militare a Gaza solo sulla base di una presenza militare senza colonie [israeliane] ed entro un breve lasso di tempo nascerebbe una pressione interna israeliana e una internazionale per il ritiro.”

Gli autori aggiungono che in tale situazione lo Stato di Israele “sarebbe considerato una potenza coloniale con un esercito di occupazione—simile alla presente situazione in Giudea e Samaria, o anche peggio.” Essi osservano che l’AP ha una scarsa legittimità presso l’opinione pubblica palestinese e che, basandosi sulla precedente esperienza di Israele, nel passaggio del controllo di Gaza all’AP l’eventuale presa di potere di Hamas, Israele non dovrebbe “ripetere lo stesso errore che ha portato alla situazione attuale.”

L’altra alternativa, la formazione di una leadership araba locale per rimpiazzare Hamas, secondo il documento non è desiderabile, perché non c’è un movimento locale di opposizione ad Hamas ed è possibile che una nuova leadership sarebbe più radicale. “Lo scenario più plausibile non è … uno spostamento ideologico ma piuttosto l’emergere di movimenti islamisti nuovi e forse persino più estremisti,” si dice. Gli autori menzionano la necessità di “creare un cambiamento ideologico” nella popolazione palestinese tramite un processo che paragona alla “denazificazione,” che richiederebbe che Israele “scrivesse i programmi scolastici e ne imponesse l’uso a un’intera generazione.”

In conclusione il documento sostiene che se la popolazione di Gaza rimanesse nella Striscia ci sarebbero “molte vittime arabe” durante la prevista rioccupazione del territorio, cosa che danneggerebbe l’immagine internazionale di Israele persino più dell’espulsione della popolazione. Per tutte queste ragioni, la raccomandazione del ministero dell’Intelligence è di promuovere il trasferimento permanente di tutti i civili palestinesi da Gaza al Sinai.

Al momento della pubblicazione di questo articolo né il ministero della Difesa, né l’ufficio del portavoce dell’esercito e neppure l’Istituto Misgav avevano ancora risposto alle richieste da parte di +972 di un commento. Ogni risposta ricevuta verrà aggiunta qui.

Yuval Abraham è un giornalista e attivista residente a Gerusalemme.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)