Guerra Israele-Palestina: perché le affermazioni di Israele sono accolte con tanto scetticismo?

Alex MacDonald

18 ottobre 2023 – Middle East Eye

Israele ha accusato dell’attacco contro l’ospedale arabo al-Ahli di Gaza il Jihad Islamico palestinese. Ma ha una lunga storia di affermazioni false.

Martedì notte circa 500 palestinesi sono stati uccisi nell’ospedale arabo al-Ahli di Gaza City.

Subito dopo la distruzione è iniziato un gioco di accuse reciproche. Il ministero della Sanità palestinese ha detto che l’ospedale è stato preso di mira da un attacco aereo israeliano.

Hananya Naftali, un collaboratore informatico del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha twittato inizialmente che “le forze aeree israeliane hanno colpito una base terroristica di Hamas all’interno di un ospedale a Gaza. È morto un gran numero di terroristi.”

Poi Naftali ha cambiato versione, definendo l’esplosione “misteriosa” e affermando che si era trattato “di un razzo difettoso” o di “qualcosa che è stato fatto di proposito per ottenere appoggio internazionale.”

Quando Israele ha risposto ufficialmente, ha negato ogni responsabilità per l’attacco e ha cercato di attribuirne la responsabilità a un razzo mal lanciato dal gruppo palestinese Jihad Islamico (PIJ).

Le conseguenze del disastro sono subito state molto estese, con manifestanti che hanno incendiato l’ambasciata israeliana in Giordania, mentre altri hanno invaso la città palestinese di Ramallah chiedendo le dimissioni del presidente palestinese Mahmoud Abbas.

Lo scetticismo con cui sono state accolte le dichiarazioni di innocenza da parte di Israele è il risultato di anni di disinformazione diramata dall’esercito israeliano a seguito di attacchi e uccisioni controversi.

Durante una conferenza stampa israeliana tenutasi dopo il massacro, un giornalista ha fatto riferimento alla lista “tutt’altro che impeccabile” dell’esercito quando si è trattato di fornire informazioni credibili, citando le false affermazioni secondo cui miliziani palestinesi avrebbero ucciso la giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh nel 2022.

Un portavoce dell’esercito ha risposto: “In passato siamo stati molto frettolosi nell’arrivare a conclusioni. È per questa ragione che in questo caso ci siamo presi tempo, più di cinque ore. Volevamo fare un doppio controllo su tutto.”

Tuttavia da molti punti di vista la risposta iniziale di Israele all’attacco contro l’ospedale ha seguito le stesse caratteristiche di avvenimenti precedenti.

Cos’è successo?

L’attacco contro l’ospedale è la peggiore atrocità avvenuta a Gaza da quando Israele ha iniziato a bombardare l’enclave costiera assediata in seguito all’attacco guidato da Hamas contro Israele il 7 ottobre.

Foto e video da Gaza City hanno mostrato il fuoco che si diffondeva dagli ingressi della struttura, vetri e parti di corpi umani sparsi sul pavimento dell’ospedale.

Un medico ha descritto “scene orripilanti, surreali”, e ha detto a Middle East Eye che l’attacco ha messo “in ginocchio” il sistema sanitario di Gaza.

Al momento dell’incidente l’ospedale, gestito dalla chiesa anglicana, stava fornendo cure e rifugio a centinaia di palestinesi feriti e cacciati dalla guerra israeliana di 11 giorni contro l’enclave assediata.

Foto e video ottenuti da Middle East Eye mostrano paramedici e abitanti che corrono a soccorrere i feriti, con molti minori tra le vittime.

Attorno a loro sul prato ci sono lenzuola, zainetti per la scuola e altri oggetti.

Cos’è successo secondo Israele?

Il ministero della Sanità palestinese ha affermato sul suo canale Telegram che l’ospedale aveva ricevuto minacce da parte di Israele perché venisse evacuato altrimenti sarebbe stato bombardato, e in effetti sabato era stato colpito da un raid aereo come avvertimento per il personale e i pazienti di andarsene.

Mercoledì anche Hamas ha ripetuto la sua convinzione che l’attacco fosse un bombardamento aereo israeliano.

Tuttavia finora Israele ha rifiutato di prendersi la responsabilità della distruzione dell’ospedale.

Al contrario, sostiene che un razzo lanciato dal PIJ è caduto sull’ospedale, una cosa che il gruppo armato nega recisamente, affermando in un comunicato di “non utilizzare luoghi di culto o edifici pubblici, soprattutto ospedali, come centri militari o magazzini per le armi.”

L’account “israeliano” di X martedì notte ha twittato quella che sostiene essere una prova della responsabilità del PIJ nell’attacco, affermando che “dalle analisi dei sistemi operativi dell’IDF [l’esercito israeliano, ndt.] una raffica di razzi nemici è stata lanciata verso Israele ed è passata nelle vicinanze dell’ospedale quando questo è stato colpito.”

Tuttavia la versione originale del post includeva un video dei razzi sparati dai dintorni di Gaza City.

In seguito il video è stato rimosso dall’account, mentre alcuni analisti hanno notato che la prima menzione pubblica del bombardamento è stata alle 19,20 ora locale, mentre il video condiviso da Israele come prova segnava un’ora tra le 19,59 e le 20 ora locale.

Mercoledì quello stesso account ha condiviso un audio dell’esercito israeliano presentata come una conversazione in cui combattenti di Hamas discutono della distruzione dell’ospedale e la attribuiscono al PIJ.

Ma Muhammad Shehada, un attivista per i diritti umani di Gaza che per un decennio ha scritto rapporti contro Hamas, ha postato che la citazione era stata mal tradotta da “loro dicono” in “noi diciamo”.

“Sta descrivendo una diceria, non una prova,” ha scritto Shehada, prima di proseguire elencando altre ragioni per credere che l’audio sia parte di una campagna di disinformazione.

Alex Thomson, un inviato di Channel 4 News [notiziario britannico, ndt.], ha affermato che “molti esperti” gli hanno detto che “la registrazione dei miliziani di Hamas che parlano del cattivo funzionamento del missile è un falso. Dicono che il tono, la sintassi, l’accento e la lingua sono inverosimili.”

Si può sentire uno di loro che dice: “Lo hanno sparato dal cimitero dietro l’ospedale.”

Francesco Sebregondi, architetto e ricercatore che attualmente lavora con l’ong investigativa Index [associazione francese esperta in analisi e ricerche su questioni di interesse pubblico, ndt.], ha detto a Middle East Eye che Israele si è affrettato a dare subito materiale perché gli analisti vi basassero le proprie conclusioni.

“Fornendo rapidamente un certo numero di ‘prove’ poco concrete, per esempio nella forma di riprese del luogo fatte da un drone, l’esercito israeliano può contare anche sull’impazienza di alcuni attori di Open Source Intelligence [informazioni liberamente disponibili al pubblico, ndt.] (OSINT) che usano qualunque immagine/materiale/dato per pubblicare rapidamente nuovi contenuti o ‘analisi’, e di conseguenza appoggiare più o meno direttamente la sua versione degli eventi,” ha detto.

Una reputazione “tutt’altro che impeccabile”

Una serie di episodi passati ha macchiato la reputazione dell’esercito israeliano riguardo alla disinformazione.

Forse l’esempio più noto negli ultimi anni è stata l’uccisione della giornalista palestinese Shireen Abu Akleh.

Abu Akleh, che era anche cittadina statunitense, è stata colpita a morte da forze israeliane l’11 maggio 2022 mentre stava informando su un’operazione militare israeliana a Jenin, nella Cisgiordania occupata. Anche il suo collega Ali al-Samoudi è stato colpito e ferito.

In un primo tempo Israele ha accusato uomini armati palestinesi di averle sparato, ma poi ha concluso che c’erano “molte probabilità che Abu Akleh sia stata accidentalmente colpita da fuoco dell’IDF (l’esercito israeliano) sparato verso sospetti identificati come palestinesi armati.”

L’ufficio della procura generale dell’esercito israeliano ha affermato che non avrebbe aperto un’inchiesta riguardo ai soldati coinvolti nell’incidente in quanto “non ci sono sospetti che sia stato commesso un reato penale.”

Un altro esempio fu la morte del dodicenne Mohammed al-Durah nel 2000, uno degli avvenimenti fondamentali della Seconda Intifada (2000-2005).

Il video del ragazzino rannicchiato con il padre in mezzo ad uno scambio di colpi e che poi si accascia morto scatenò l’indignazione internazionale e rimane un’immagine iconica della repressione israeliana contro i palestinesi.

Benché inizialmente abbiano accettato la responsabilità della sua morte, sostenendo che era stato usato come scudo umano, in seguito, nel 2005, gli israeliani ritrattarono.

Denunce e contro-denunce vennero lanciate avanti e indietro, e alcuni sostennero che France 2 [rete televisiva pubblica francese, ndt.], che inizialmente aveva diffuso il video, avesse inscenato l’incidente. La rete rispose con una serie di denunce per diffamazione che ebbero successo.

“Si parlò molto di questo video, affermazioni che si trattava di un falso. Ma la gente che lo diceva non conosceva neppure la zona,” disse nel 2020 ad Al Jazeera Talal Abu Rahma, il cameraman che aveva ripreso le immagini.

“Ci furono un sacco di chiamate e inchieste nei miei confronti riguardo a quanto fossero veritiere le immagini. Gli ho dato una sola risposta: la telecamera non mente.”

Infine, continueranno ad esserci una serie di narrazioni in conflitto anche riguardo a quanto è avvenuto all’ospedale arabo al-Ahli. Al momento un’inchiesta sul campo sembra assolutamente impossibile e la serie di immagini e riprese diffuse in rete continuerà probabilmente ad essere la principale fonte di informazione.

“Cerchiamo di non essere ingenui riguardo ai pregiudizi politici e analitici di un gran numero di attori nelle attuali comunità OSINT in rete,” afferma Sebregondi.

“Lo stesso termine OSINT viene dal mondo militare e dell’intelligence. Queste comunità in rete comprendono molti (ex) militari e personale dell’intelligence che, sotto le mentite spoglie di reporter totalmente indipendenti, possono anche essere propensi ad appoggiare la continua brutale azione militare israeliana in quella che è ancora definita da molti importanti mezzi di comunicazione come una ‘guerra al terrorismo.’”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Guerra Israele-Palestina: deraglia la politica USA per il Medio Oriente Da quando è scoppiato il conflitto Washington ha fatto una serie di errori marchiani, portando la regione sull’orlo di una guerra più ampia

David Hearst

18 ottobre 2023 – Middle East Eye

Joe Biden non sta avendo una bella guerra. Tre giorni dopo l’attacco di Hamas il presidente USA ha pronunciato un discorso da far invidia persino a David Friedman, ex ambasciatore in Israele sotto la presidenza Trump e difensore dei coloni.

Biden ha erroneamente sostenuto l’affermazione che Hamas avrebbe decapitato neonati, con affermazioni che la Casa Bianca ha poi dovuto smentire; ha promesso il sostegno USA per dare a Israele tutto il necessario per “rispondere a questo attacco” e ha poi erroneamente asserito che i civili a Gaza erano usati come scudi umani.

In quei tre giorni la leadership di Israele ha reso chiarissimo che sarebbe andata giù pesante e che lo Stato nella sua risposta all’attacco di Hamas non avrebbe rispettato le regole di guerra.

Gli eventi si sono svolti di conseguenza e Israele in 10 giorni ha colpito Gaza con una potenza esplosiva equivalente a un quarto di una bomba nucleare.

Mentre Biden stava decollando per il suo ultimo viaggio in Medio Oriente, a Gaza le forze israeliane hanno colpito un ospedale che avevano attaccato pochi giorni prima, dopo aver avvertito di evacuarlo. Oltre 20 altri ospedali hanno ricevuto minacce simili.

Questa volta sono state uccise circa 500 persone. La carneficina all’al-Ahli, uno dei più vecchi ospedali di Gaza, ha fatto un tale piacere a Itamar Ben Gvir, il ministro israeliano della Sicurezza Nazionale, che se ne è prematuramente attribuito la responsabilità: “Fino a quando Hamas non libererà gli ostaggi l’unica cosa che si deve far entrare a Gaza sono centinaia di tonnellate di esplosivo lanciate dall’aeronautica militare, non un grammo di aiuti umanitari.”

Anche Hananya Naftali, che lavorava per il team digitale del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha postato su X: “ULTIMISSIME: l’aeronautica militare israeliana ha colpito una base terrorista di Hamas dentro un ospedale a Gaza.” Ha velocemente tolto il post.

Più tardi lo stesso giorno un portavoce dell’esercito israeliano ha detto che un “razzo nemico” lanciato contro Israele era uscito dalla traiettoria colpendo l’ospedale. Tali razzi non hanno una potenza esplosiva tale da uccidere 500 persone. Inizialmente l’esercito aveva pubblicato immagini che mostravano un razzo del Jihad Islamico, ma dopo la scoperta che questo video era di 40 minuti successivi al bombardamento, l’esercito ha rimosso il filmato.

Sembra che qualcuno stia facendo gli straordinari al suo laptop per cancellare le tracce dell’attacco contro l’ospedale. C’è persino un audio che rivelerebbe la discussione fra miliziani di Hamas che discuterebbero del fallito lancio, salvo il fatto che, secondo Channel 4 [notiziario britannico, ndt.], sarebbe un falso che usa tono, sintassi e accento sbagliati.

Semaforo verdissimo

Mercoledì, quando Biden è atterrato in Israele, gran parte del tour regionale pianificato era stato cancellato. Tale era la rabbia nella Cisgiordania occupata, in Giordania, Libano ed Egitto che nessun leader arabo per garantire la propria sicurezza ha voluto incontrarlo.

Con centinaia di persone radunate davanti alle ambasciate di USA e Israele in Giordania che invocavano l’espulsione dell’ambasciatore israeliano e la revoca del trattato di pace con Israele, la visita ad Amman è stata annullata. 

Ma poco dopo l’arrivo in Israele Biden si è scavato una fossa ancora più profonda quando ha detto a Netanyahu, a proposito dell’attacco all’ospedale: “Basandomi su quanto ho visto sembra che sia stato fatto dall’altra parte, non da voi.”

Dietro le quinte la politica USA per il Medio Oriente sembrava stesse deragliando.

Per essere chiari le azioni intraprese dagli USA dietro le quinte nel periodo immediatamente seguente all’attacco di Hamas ha spianato la strada alla crisi in cui si trova ora la regione. 

Gli USA non hanno solo dato il semaforo più verde possibile alla campagna di bombardamento mirante a spingere più di un milione di persone dalla metà settentrionale della Striscia di Gaza verso il confine egiziano. Non hanno solo dato a Israele, secondo funzionari della difesa, bombe guidate equipaggiate con il sistema JDAM e parecchie migliaia di proiettili di artiglieria 155 mm.

Secondo vari e credibili rapporti, inizialmente hanno anche cercato di persuadere l’Egitto ad accogliere un milione di rifugiati da Gaza. Al Akhbar [quotidiano in lingua araba pubblicato a Beirut, ndt.] all’inizio ha riferito che gli USA hanno cercato di coordinarsi con l’ONU e “organizzazioni internazionali che ricevono finanziamenti dall’ONU” per convincere il Cairo ad aprire il valico di Rafah. Naturalmente c’era di mezzo una bustarella.

Fonti hanno parlato della possibilità che gli USA dessero dei significativi finanziamenti all’Egitto, oltre 20 miliardi di dollari, se avesse accettato. Hanno menzionato una richiesta del Cairo di “facilitare il trasferimento di molte e numerose organizzazioni operanti nel settore del soccorso al confine con Rafah senza entrare a Gaza”.

Anche il sito egiziano Mada Masr ha riferito che funzionari egiziani si sono consultati sul trasferimento di una significativa parte della popolazione di Gaza. Tale affermazione così delicata ha fatto sì che le autorità egiziane intervenissero pesantemente sul sito: i direttori sono stati convocati e il Consiglio Supremo per la regolamentazione dei media ha iniziato un’indagine sulla pubblicazione di “notizie false”. 

Senza dubbio questi incontri si sono svolti prima che il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi si rendesse conto del pericolo per lui in un anno di rielezioni. 

L’11 settembre di Israele

Gli USA hanno commesso tre errori nella loro reazione all’attacco di Hamas. Hanno incoraggiato Israele a colpire senza limiti, hanno inizialmente contemplato lo scenario di un esodo di massa dei palestinesi in Egitto e hanno portato il Medio Oriente sull’orlo di una guerra regionale. 

Fin dall’inizio la narrazione usata da Israele e dagli USA è stata che per Israele l’attacco di Hamas era paragonabile all’11 settembre, che Hamas non era in alcun modo diverso dallo Stato Islamico e che Israele aveva il dovere morale non solo di rispondere all’attacco di Hamas ma anche di sradicare l’intero movimento.

Ciò ha permesso a Israele di pensare che avrebbe potuto usare raid aerei contro Gaza non solo per distruggere Hamas, ma anche per apportare modifiche strutturali all’equilibrio di potere nel Medio Oriente, cioè confrontarsi con Hezbollah e infine con l’Iran.

Sia Netanyahu che il leader dell’opposizione Benny Gantz hanno alluso a un piano che avrebbe, nelle parole di Gantz, “cambiato la situazione strategica e della sicurezza nella regione”. Non mi è chiaro se gli USA avrebbero permesso a Israele di procedere con un piano più ampio che contro Hamas e Gaza, ma chiaramente il piano c’era.

Michael Milshtein, capo del Forum di Studi Palestinesi presso il centro Moshe Dayan all’università di Tel Aviv scrive: “Questa guerra è molto di più di un conflitto fra Israele e Hamas. In Occidente si sta sviluppando l’idea che la guerra delle Spade di Ferro [nome dell’operazione militare israeliana contro Gaza, ndt.] sia un momento qualificante, un’opportunità unica di rimodellare l’architettura del Medio Oriente che ci si aspetta influenzerà anche i rapporti di potere in tutto il mondo.”

Per alcuni giorni sembrava che l’espulsione forzata di metà di Gaza travestita da corridori umanitari potesse funzionare. Il confine nord con il Libano è rimasto tranquillo. Inizialmente Hezbollah non ha reagito. I media occidentali hanno accettato il piano di conquistare Hamas e rioccupare Gaza.

La svolta è arrivata quando il Segretario di Stato USA Antony Blinken sembra si sia reso conto che un’altra Nakba delle dimensioni di quanto accadde nel 1948 sarebbe stata una linea rossa. 

Dopo un incontro di ministri degli esteri, Ayman Safadi, vice primo ministro giordano, ha detto che tutti i paesi arabi si impegnavano in un’azione collettiva contro ogni tentativo di espellere i palestinesi dalla loro patria. Lo stesso messaggio è arrivato dal re  di Giordania Abdullah II durante il suo recente viaggio europeo.

L’urlo di protesta levatosi da Giordania, Egitto, Turchia e Arabia Saudita è stato tale che Blinken ha dovuto ammettere che “non avrebbe avuto seguito”. Biden ha anche detto che la rioccupazione di Gaza sarebbe stato un “errore enorme”. Il Primo Ministro britannico Rishi Sunak ha detto che tutti dovrebbero evitare l’escalation. 

Tutto ciò è stato accompagnato da altri avvertimenti chiari. Hossein Amir-Abdollahian, ministro degli Esteri iraniano, ha messo in guardia che l’asse della resistenza avrebbe aperto “fronti multipli” contro Israele se gli attacchi contro Gaza fossero continuati, dicendo alla televisione nazionale iraniana: “Non c’è più molto tempo. Se i crimini di guerra contro i palestinesi non si fermano immediatamente, si apriranno altri fronti multipli e questo è inevitabile.”

Se gli USA non capiranno hanno solo da guardare fuori dalla finestra dove ci sono proteste di massa senza precedenti in tutta la regione.

Guerra regionale

All’arrivo di Biden in Israele mercoledì la regione era in ebollizione. A parte la questione morale, l’esercito USA è chiaramente impreparato per tale impresa avendo speso gli ultimi anni a ridurre le sue risorse militari.

Secondo il Wall Street Journal l’anno scorso ha ritirato più di otto batterie di missili Patriot da Iraq, Kuwait, Giordania e Arabia Saudita, oltre a un sistema Terminal High Altitude Area Defense [Difesa d’area terminale ad alta quota] (Thaad) dall’Arabia Saudita. Ha svuotato le scorte di munizioni da 155mm in Israele per mandarli in Ucraina. Ha spostato la marina nel Pacifico.

In poco tempo ha dovuto far marcia indietro. Nel Mediterraneo c’è già una portaerei e un’altra sta arrivando [in realtà è già arrivata. ndt.]. L’ultima volta che gli USA hanno impiegato due portaerei in Medio Oriente fu nel 2020. Insieme alle sue navi ha dovuto riportare nel Golfo gli aerei da attacco A-10 e i caccia F-15 e F-16. 

Tutto ciò dovrebbe costituire un deterrente per l’Iran. Non lo sarà. Non mi capita spesso di citare le analisi su Israele dell’editorialista Thomas Friedman [noto giornalista USA tradizionalmente schierato con Israele, ndt.] del New York Times, ma in questa occasione farò eccezione.

Friedman ha scritto: “Se Israele entra in Gaza adesso farà saltare gli Accordi di Abramo, destabilizzerà ancora di più due dei più importanti alleati dell’America (Egitto e Giordania) e renderà impossibile la normalizzazione con l’Arabia Saudita: una gigantesca battuta di arresto. Permetterebbe anche ad Hamas di incendiare veramente la Cisgiordania e fare partire una guerra di pastori fra i coloni ebrei e i palestinesi. Complessivamente farebbe il gioco della strategia iraniana di attrarre Israele verso una eccessiva espansione imperiale, indebolendo in tal modo la democrazia ebraica dall’interno.”

Hamas non ha bisogno di infiammare la Cisgiordania occupata, dato che ci sono enormi proteste in tutte le città principali per chiedere al Presidente Mahmoud Abbas di andarsene, dopo che le forze dell’Autorità Palestinese (AP) hanno usato proiettili veri contro i manifestanti. Ma sul punto strategico sono d’accordo con Friedman, anche se mi addolora dirlo.

Ha anche ragione a dire che un’invasione di terra di 360.000 soldati israeliani afflitti è la ricetta per massacri forse peggiori e di più vaste dimensioni di quelli mai visti fino ad ora.

Perdita del sostegno

C’è una discussione a Washington su come l’attacco di Hamas abbia cambiate la natura, la velocità e l’estensione del sistema del Medio Oriente sostenuto dagli USA. James Jeffrey, ex ambasciatore USA nella regione, ha detto a Middle East Eye: “La capacità di Hamas di sconfiggere l’intera difesa militare israeliana mette questa guerra sullo stesso piano della guerra dello Yom Kippur (la guerra in Medio Oriente del 1973). Nessun conflitto recente ha minacciato il sistema mediorientale sostenuto dagli USA tanto come questo, e tale lo considera l’amministrazione [Biden].”

Ma questa analisi fa partire il conto alla rovescia fino all’attacco stesso, non a tutti i segnali che l’hanno preceduto: il collasso dell’AP, gli sconfinamenti israeliani nella moschea di Al-Aqsa, l’impossibilità dei negoziati, i tentativi di stringere un accordo con l’Arabia Saudita passando sopra le teste dei palestinesi e l’impossibilità di tutti i palestinesi di uscire dalle gabbie collettive in cui sono rinchiusi.

Potrebbe anche essere che “il sistema mediorientale sostenuto dagli USA”, basato sul cieco supporto a Israele, non funzioni più? La lettera di dimissioni di Josh Paul, un funzionario ad alto livello del Dipartimento di Stato USA, dimissioni causate dalla posizione della sua amministrazione sulla guerra di Gaza, è una lettura interessante.

Paul ha definito l’attacco di Hamas la “mostruosità delle mostruosità”, ma poi continua: “La reazione di questa amministrazione e anche di gran parte del Congresso è una reazione impulsiva, basata su un pregiudizio confermato, sulla convenienza politica, sulla bancarotta intellettuale e sull’inerzia burocratica. Decenni con lo stesso approccio hanno mostrato che la sicurezza in cambio di pace non porta né alla sicurezza né alla pace. Il fatto che un supporto cieco a una parte sul lungo periodo è distruttivo per gli interessi dei popoli di entrambe le parti.”

Forse Biden ha capito il messaggio. Ma, avendo tolto 12 giorni fa il piede dal freno della rabbia collettiva di Israele, adesso avrà un compito difficile per rimettercelo.

Ho parlato prima di deragliamento, e in realtà è un traballante carro tirato da cavalli. Quello che gli scorsi dodici giorni hanno dimostrato più di ogni altra cosa è l’incapacità degli USA a essere un leader mondiale. Manca dei requisiti: capacità analitica, conoscenza della regione e capacità intellettuale. Spara commenti affrettati e solo dopo pensa alle conseguenze. E’ coinvolto in guerre per le quali è palesemente impreparata.

Accecata dal dogma, sempre entusiasta di dividere il mondo in opposizioni manichee: democrazia contro autocrazia, il mondo giudeo-cristiano contro l’Islam, l’America ha perso contatto con i valori che sostiene di difendere. Mentire a favore di Israele sui crimini di guerra che sta commettendo significa difenderlo?

Washington sta perdendo il sostegno dei suoi alleati. Vedendo le azioni degli USA nessuno può avere molta fiducia che siano state veramente meditate. Le conseguenze di questi 12 giorni e di quelli che seguiranno provocherà sconvolgimenti in lungo e in largo. 

Biden ha tutto l’interesse a chiudere l’episodio ora, fermando l’assalto via terra e costringendo a far entrare a Gaza gli aiuti umanitari essenziali. 

Solo allora potranno avvenire i negoziati con Hamas per uno scambio di prigionieri. Se non riesce a ottenere questi obiettivi base, anche lui scoprirà quali danni un Israele senza limiti può infliggere a sè stesso, alla regione, agli USA e invero al mondo. 

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

David Hearst è cofondatore e capo-redattore di Middle East Eye. È commentatore e conferenziere sulla regione e analista dell’Arabia Saudita. Ha scritto di politica estera per il Guardian, è stato corrispondente da Russia, Europa e Belfast. È arrivato al Guardian da The Scotsman, dove era corrispondente per il settore dell’istruzione.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Quello che sappiamo finora dell’attacco mortale ad un ospedale di Gaza

Redazione di Al Jazeera

18 ottobre 2023 – Al Jazeera

Funzionari palestinesi affermano che almeno 500 persone sono state uccise in un raid aereo israeliano sull’ospedale arabo Al-Ahli a Gaza.

Almeno 500 persone sono state uccise in un attacco aereo israeliano contro l’ospedale arabo Al-Ahli nella Striscia di Gaza assediata, hanno detto funzionari palestinesi.

Il ministero della Sanità di Gaza ha affermato che l’esplosione nell’ospedale è stata causata da un raid aereo israeliano. Israele ha attribuito l’esplosione ad un lancio difettoso di un razzo da parte del gruppo armato della Jihad islamica palestinese (PIJ). La PIJ ha negato l’accusa.

Al Jazeera non è stata in grado di verificare in modo indipendente i resoconti.

Mentre la tensione continua a crescere, ecco cosa sappiamo finora dell’esplosione:

Centinaia di morti

Il ministero della Sanità di Gaza afferma che almeno 500 persone sono state uccise nell’esplosione, di gran lunga il più alto numero di vittime di qualsiasi singolo incidente avvenuto a Gaza durante l’attuale guerra tra Israele e Hamas.

Il ministero ha detto che centinaia di altre vittime sono rimaste sotto le macerie.

Hamas ha affermato che l’esplosione ha ucciso soprattutto sfollati.

Il ministro della Sanità dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mai Alkaila, ha accusato Israele di aver compiuto “un massacro”.

Situato nel centro di Gaza l’ospedale, gestito dalla diocesi episcopale di Gerusalemme, è stato colpito mentre era ultra affollato da migliaia di palestinesi in cerca di rifugio nel mezzo di una campagna di brutali attacchi aerei israeliani su gran parte della Striscia di Gaza assediata.

Come ha reagito il mondo?

I leader mondiali hanno denunciato il bombardamento e i leader di tutto il Medio Oriente hanno rilasciato le dichiarazioni più ferme.

Inoltre proteste sono scoppiate in tutto il Medio Oriente compresa la Giordania e la Cisgiordania occupata da Israele dove le proteste palestinesi si sono scontrate con le forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese.

La Giordania ha annullato il vertice previsto nella capitale Amman con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e i leader arabi.

Il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi ha affermato che l’incontro si terrà in un momento in cui tutti i presenti potranno concordare di lavorare per porre fine alla “guerra e ai massacri contro i palestinesi”.

Il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi, che avrebbe dovuto partecipare al vertice, ha dichiarato di condannare “nei termini più forti possibili” il bombardamento israeliano dell’ospedale di Gaza.

Anche l’Arabia Saudita ha rilasciato una ferma dichiarazione, condannando “nei termini più forti possibili l’atroce crimine commesso dalle forze di occupazione israeliane con il bombardamento dell’ospedale battista Al Ahli a Gaza”.

I leader occidentali non hanno incolpato Israele per l’attacco, il presidente francese Emmanuel Macron ha affermato in un post sui social media che “niente può giustificare un attacco contro un ospedale” e ha aggiunto che “bisogna far luce sulle circostanze”.

Biden in un comunicato ha espresso “le più sentite condoglianze per le vite innocenti perse nell’esplosione dell’ospedale di Gaza”.

Cosa dice Israele?

Le autorità israeliane hanno detto che l’ospedale è stato colpito da un razzo vagante lanciato dalla Jihad islamica palestinese che opera all’interno della Striscia di Gaza.

“Un’analisi compiuta dai sistemi operativi dell’IDF [l’esercito israeliano] indica che una raffica di razzi è stata lanciata da terroristi a Gaza, passando in prossimità dell’ospedale Al Ahli di Gaza nel momento in cui è stato colpito”, ha detto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in un post sui social media.

Le informazioni provenienti da molteplici fonti che in nostro possesso indicano che la Jihad islamica è responsabile del fallito lancio di un razzo che ha colpito l’ospedale di Gaza”.

Il portavoce militare israeliano, il contrammiraglio Daniel Hagari, ha detto ai giornalisti che i razzi lanciati dalla PIJ sono passati vicino all’ospedale al momento dell’attacco che, secondo lui, ha colpito il parcheggio della struttura.

Hagari ha affermato che non c’è stato alcun attacco diretto sulla struttura e che le riprese dei droni militari hanno mostrato “una sorta di impatto nel parcheggio”.

Ha detto che in effetti nel momento dell’esplosione all’ospedale i militari avevano un’operazione dell’aeronautica israeliana in corso nell’area “ma è stato impiegato un tipo diverso di munizioni che non… si adatta al filmato che abbiamo [dell’] ospedale”.

Cosa dice PIJ?

La PIJ ha respinto l’accusa israeliana secondo cui sarebbe stata responsabile dell’attacco.

In un comunicato ha affermato: “Il nemico sionista sta facendo del suo meglio per eludere le proprie responsabilità per il brutale massacro commesso con il bombardamento dell’Ospedale nazionale arabo battista di Gaza attraverso la sua consueta fabbricazione di bugie e puntando il dito contro il movimento della Jihad islamica in Palestina”.

Il comunicato prosegue: “Affermiamo quindi che le accuse avanzate dal nemico sono false e infondate”

Imran Khan, giornalista di Al Jazeera, ha notato che alcuni osservatori hanno messo in dubbio la versione israeliana degli eventi e inoltre hanno sottolineato che Israele ha una lunga storia di false attribuzioni degli atti compiuti dalle sue stesse forze a gruppi armati palestinesi.

Martedì Khan ha affermato; “Abbiamo già visto questo tipo di cose da parte degli israeliani”.

Prendiamo ad esempio l’uccisione della nostra collega Shireen Abu Akleh. All’inizio gli israeliani hanno incolpato i combattenti all’interno del campo di Jenin per la sua morte. Solo più tardi hanno ammesso che era stato uno di loro”.

(Traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Germania, da molto tempo hai tradito la tua responsabilità

Amira Hass

16 ottobre 2023 – Haaretz

Giovedì scorso il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha detto che “la sofferenza e le difficoltà della popolazione civile nella Striscia di Gaza non faranno che aumentare. Hamas è responsabile anche di questo.” Ma esiste qualche limite a questo aumento di sofferenza, dato che tu e i tuoi colleghi in occidente avete espresso un sostegno illimitato a Israele?

Acconsentirai all’uccisione di 2.000 bambini palestinesi? 80.000 anziani che potrebbero morire di disidratazione perché a Gaza manca l’acqua sono ai tuoi occhi un legittimo aumento della sofferenza?

Hai anche detto: “la nostra storia, la nostra responsabilità che deriva dall’Olocausto ci obbliga per sempre a schierarci per l’esistenza e la sicurezza dello Stato di Israele.”

Ma, Scholz, vi è una contraddizione tra questa affermazione e quella citata prima.

La sofferenza…non farà che aumentare” è dare carta bianca ad un Israele ferito ed offeso per polverizzare, distruggere e uccidere senza limiti e rischia di trascinare tutti noi in una guerra regionale, se non in una terza guerra mondiale, che danneggerebbe anche la sicurezza e l’esistenza di Israele. Ma “la responsabilità che deriva dall’Olocausto” significa fare tutto il possibile per impedire la guerra, che conduce a disastri che portano a guerre che aumentano le sofferenze, in un ciclo senza fine.

L’ho imparato da mio padre, un sopravvissuto ai carri bestiame tedeschi. Nel lontano 1992 ogni volta che ritornavo da Gaza con i rapporti sull’oppressione israeliana dei suoi abitanti lui mi diceva: “E’ vero, questo non è un genocidio come quello che abbiamo subito noi, ma per noi è finito dopo cinque o sei anni. Per i palestinesi le sofferenze sono continuate incessantemente per decenni.” E’ una continua Nakba.

Voi tedeschi da molto tempo avete tradito la vostra responsabilità, quella “che deriva dall’Olocausto” – cioè dall’assassinio delle famiglie dei miei genitori, tra le altre, e dalla sofferenza dei sopravvissuti. Avete tradito a causa del vostro appoggio senza riserve ad un Israele che occupa, colonizza, priva le persone dell’acqua, ruba la terra, imprigiona due milioni di gazawi in una gabbia sovraffollata, demolisce le case, espelle intere comunità dalle proprie case e incoraggia la violenza dei coloni.

E tutto questo è avvenuto dopo il cosiddetto accordo di pace che voi e altri leader occidentali avete sostenuto. Avete permesso a Israele di agire all’opposto di questo accordo nella sua interpretazione europea – come un percorso verso la creazione di uno Stato palestinese nei territori occupati da Israele nel 1967 e che molti palestinesi hanno appoggiato proprio per il loro desiderio di impedire ulteriori sofferenze e spargimento di sangue.

Non mancano diplomatici e dipendenti delle agenzie di sviluppo che hanno riferito di come centinaia di migliaia di giovani palestinesi abbiano perso ogni speranza e ogni senso della propria vita sotto l’arrogante oppressione di Israele e le sue uccisioni di civili – a volte alla spicciolata, a volte a ondate. Gli attivisti palestinesi per i diritti umani hanno messo in guardia più volte che la politica di Israele poteva solo condurre ad un’eruzione di proporzioni inimmaginabili. Anche attivisti contro l’occupazione israeliani ed ebrei vi hanno avvertiti.

Ma voi vi siete arroccati sulla vostra strada, mandando a Israele il messaggio che tutto andava bene – che nessuno lo avrebbe punito o avrebbe spiegato agli israeliani attraverso convincenti passi diplomatici e politici che non può esserci normalità insieme all’occupazione. E allora voi accusate chi critica Israele di antisemitismo.

No, questo articolo non vuole giustificare l’orgia di assassinii e di sadismo che le milizie armate di Hamas hanno perpetrato. E non è una giustificazione delle reazioni esultanti di alcuni palestinesi e del rifiuto di altri di condannare le atrocità commesse in loro nome.

E’ piuttosto una richiesta a voi perché fermiate l’attuale campagna di morte e distruzione prima che provochi un’altra catastrofe per milioni di israeliani, palestinesi, libanesi e forse anche cittadini di altri Paesi residenti nella regione.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




L’invasione di terra a Gaza è una catastrofe annunciata

Gideon Levy

15 ottobre 2023, Haaretz

Israele sta per lanciare una catastrofica invasione di terra nella Striscia di Gaza – o l’avrà già iniziata quando apparirà questo articolo. L’invasione rischia di finire in un fallimento di portata tale che Israele e Gaza non hanno mai sperimentato. Le immagini provenienti da Gaza negli ultimi giorni sembrerebbero un trailer. Potremmo assistere ad un massacro di massa.

Un gran numero di soldati israeliani verrebbe ucciso inutilmente. Gli abitanti di Gaza si troverebbero ad affrontare una seconda Nakba, i cui primi segnali sono già evidenti sul campo. Nessuno potrebbe uscire vincente da questi orrori.

Di ora in ora le immagini provenienti da Gaza si fanno più terrificanti. I media israeliani, ormai arruolati nella lotta, tradiscono il loro ruolo impedendo al loro pubblico di vedere quello che sta realmente accadendo.

Si accontentano delle noiose e interminabili chiacchiere dei generali.

Ma il fatto che Israele non mostri quanto avviene a Gaza non significa che non vi sia in corso una catastrofe. Sabato più di un milione di persone, metà delle quali bambini, sono fuggite per salvarsi la vita o sono rimaste in un gesto suicida nelle loro case bombardate.

Anziani, donne, bambini, disabili, malati sono fuggiti verso sud, a piedi, sui cofani delle auto, sugli asini o in motocicletta, con pochissimi beni. Le persone si stanno dirigendo verso la loro rovina e lo sanno.

Non c’è nessuno nell’enorme corteo diretto a sud che creda di avere ancora una casa in cui tornare. Non c’è nessuno a cui non vengano in mente le scene della Nakba vissute dalle loro famiglie della generazione precedente, 75 anni fa. Sabato Gaza somigliava al Nagorno-Karabakh.

Dove andranno i palestinesi di Gaza? Dove si nasconderanno? Dove troveranno rifugio? In mare, forse. Non c’è elettricità né acqua, medicine o internet.

Questa espulsione è una punizione collettiva di massa che offre una premonizione di ciò che avverrà.

Israele sostiene che dal nord della Striscia di Gaza Hamas deve essere spazzato via, e poi si sposterà a sud. A due milioni di persone, o a quelle che rimarranno in vita, verrà quindi ordinato di fuggire di nuovo al nord per ripulire il sud.

La missione sarà compiuta. Le forze di difesa israeliane prenderanno nota della massa di vittime provocata e affermeranno che la maggior parte di esse faceva parte di Hamas. Si dirà che ogni adolescente era membro di Hamas. Più di 600 minori palestinesi sono stati uccisi già sabato pomeriggio, prima di qualsiasi invasione di terra. Non erano di Hamas.

Israele avrà vinto. Gaza sarà rasa al suolo. La rete di tunnel sotterranei di Hamas verrà sgombrata. Gli animali umani saranno assassinati. Il tanfo di morte che si alzerà dalla Striscia si mescolerà alle scene di chi muore di fame e di chi sta per morire negli ospedali stracolmi.

E il mondo continuerà a sostenere Israele. Israele è stato barbaramente attaccato e non aveva alternative. Gli ostaggi israeliani potrebbero pagarne il prezzo con la vita.

E il mattino spunterà su una Gaza in rovina. E poi cosa? Chi vi assumerà le redini del governo? Rappresentanti dell’Agenzia Ebraica [ente parastatale israeliano, ndt.]? Collaborazionisti di Gaza? E cosa ci guadagnerà Israele? E questo per non parlare di una guerra su più fronti che potrebbe anche scoppiare e cambiare completamente le regole del gioco.

Israele si sta imbarcando in un’operazione militare pericolosa e senza alcuna prospettiva di successo. Può chiedere al suo alleato a Washington cosa hanno prodotto le insensate guerre intraprese dall’America per cambiare i regimi nel mondo, quante persone sono state uccise inutilmente e chi ha preso il potere con le armi americane. Ma non abbiamo bisogno dell’America e nemmeno di pensare alla catastrofe palestinese per capire che siamo sulla soglia di un disastro storico anche per Israele.

Se questa missione verrà effettivamente portata a termine, e Israele ribalterà i governanti e gli abitanti della Striscia di Gaza, la cosa rimarrà impressa per generazioni nella coscienza del mondo arabo, del mondo musulmano e del Terzo Mondo. Una seconda Nakba impedirebbe a centinaia di milioni di persone in tutto il mondo di accettare Israele. Potrebbero esserci alcuni regimi arabi che all’inizio darebbero prova di moderazione, ma l’opinione pubblica nei loro Paesi non permetterebbe di mantenere a lungo tale moderazione.

Il prezzo verrebbe pagato da Israele, e sarà più alto di quanto Israele attualmente pensi. Israele sta per imbarcarsi in una guerra catastrofica –potrebbe persino averlo già fatto.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Il mito Israeliano dell'”esercito più etico” al mondo

Neve Gordon

16 ottobre 2023 – Al jazeera

La manipolazione del diritto internazionale consente a Israele di eludere la condanna per i suoi crimini di guerra.

Mentre Israele ordinava a un milione e centomila palestinesi, molti dei quali figli e nipoti di rifugiati, di lasciare le loro case nel nord di Gaza prima delloffensiva di terra, mi sono chiesto quante altre uccisioni e distruzioni saranno necessarie per soddisfare questa pulsione di morte.

Israele intende chiaramente infliggere una punizione in seguito al terribile attacco di Hamas. Nellimmaginario israeliano il 7 ottobre sarà ricordato per sempre come il giorno in cui Hamas massacrò più di 1.300 persone. I combattenti di Hamas sono entrati negli insediamenti e nelle città israeliane uccidendo centinaia di bambini, uomini e donne. L’attacco ad un festival musicale nel deserto ha causato la morte di oltre 250 israeliani.

Dal punto di vista giuridico questi attacchi costituiscono una serie di crimini di guerra palesi ed eclatanti e quindi è naturale che i leader di tutto il mondo li abbiano denunciati come atroci atti di violenza.

Tuttavia, lattacco di Israele a edifici e infrastrutture civili e luccisione di più di 2.300 bambini, uomini e donne palestinesi è stato accolto dal silenzio dei leader occidentali. Inoltre, la decisione di Israele di tagliare lelettricità, limitare la fornitura dacqua e radere al suolo gran parte della Striscia di Gaza non ha suscitato quasi alcuna critica da parte dellOccidente, anche se queste azioni costituiscono anchesse flagranti crimini di guerra.

Per capire perché la morte di civili palestinesi non riesca a generare indignazione morale tra le élite occidentali e cosa probabilmente accadrà ai palestinesi di Gaza quando le truppe israeliane attraverseranno il confine dobbiamo dare uno sguardo alle narrazioni israeliane dominanti in occasione degli assalti passati.

Nel 2014, ad esempio, durante linvasione israeliana di Gaza, furono uccisi più di 2.200 palestinesi, 556 dei quali minorenni a confronto con i 64 israeliani uccisi in quell’ondata di violenza.

Allora, come è possibile che, anche dopo che Israele ebbe scatenato nel 2014 una violenza così sproporzionata e letale, lOccidente continuasse a credere quasi all’unanimità che lesercito israeliano sia lesercito più etico al mondo, mentre i palestinesi sono stati inesorabilmente considerati aggressori violenti? Perché i leader occidentali non denunciano mai pubblicamente Israele per crimini di guerra?

La risposta è complessa perché ci sono diversi fattori in gioco. Ma uno di questi è la manipolazione incredibilmente astuta del diritto bellico da parte di Israele, che ha contribuito con successo a inquadrare la violenza israeliana come etica.

Le manipolazioni giuridiche di Israele si basano su una serie di ambiguità ed eccezioni all’interno del diritto internazionale, che rivelano come le leggi di guerra favoriscano gli Stati rispetto agli attori non statali e i forti rispetto ai deboli e di conseguenza potrebbero non essere lo strumento migliore per proteggere i civili a Gaza.

Facciamo alcuni esempi concreti. Gli ordini permanenti dati ai soldati che entrarono nella Striscia di Gaza nel 2014 erano chiari: i palestinesi che non avevano prestato ascolto agli avvertimenti di Israele di evacuare le loro case e fuggire a sud diventavano obiettivi militari legittimi. Un soldato ha spiegato allorganizzazione israeliana Breaking the Silence che:

In realtà non cerano regole di ingaggioCi dissero: non dovrebbero esserci civili. Se vedete qualcuno, sparate. Se la persona rappresentasse o meno una minaccia non era nemmeno messo in discussione; e questo per me ha un significato. Se spari a qualcuno a Gaza è ok, non è un grosso problema. Prima di tutto perché è Gaza, e in secondo luogo perché questa è una guerra. Anche questo ci venne chiarito: ci dissero: ‘non abbiate paura di sparare, e misero in chiaro che non esistevano civili non conniventi”.

Si potrebbe pensare che un ordine militare che consenta di sparare indiscriminatamente contro i civili sarebbe considerato illegale ai sensi del diritto internazionale, in particolare alla luce del principio di distinzione (il fondamento del diritto bellico che invita le parti in guerra a distinguere in ogni momento tra civili e combattenti e vieta lattacco intenzionale ai civili) e dato che oltre la metà dei 2,3 milioni di palestinesi che attualmente vivono nella Striscia di Gaza sono minorenni.

Lironia è che Israele in realtà utilizza il diritto di guerra per presentarsi come attore morale. Come ha fatto allinizio di questa settimana, nel 2014 lesercito israeliano ordinò a centinaia di migliaia di palestinesi di lasciare le loro case e di viaggiare verso sud ben sapendo che tra coloro che vivono nella zona ci fossero migliaia di anziani e malati e che il lasso di tempo concesso per liberare l’area non sarebbe stato sufficiente.

Ma Israele sa anche che avvertire i civili palestinesi e ordinare loro di andarsene gli permetterà di negare lesistenza stessa dei civili nel nord di Gaza. Questo è esattamente il significato della frase non ci sono civili non conniventi, poiché marchia tutti coloro che sono rimasti nella zona (anche se i civili sono ancora la maggioranza e non possono andarsene, come hanno affermato le Nazioni Unite sullattuale situazione) come partecipanti alle ostilità” o come scudi umani volontari. Secondo alcune interpretazioni del diritto di guerra tale terminologia rende questi civili “passibili di uccisione”.

E poiché la pretesa di eticità si basa sul rispetto delle leggi di guerra la violenza letale che i soldati israeliani usano contro i civili che rimangono nelle loro case viene quindi congegnata come moralmente giustificabile e persino etica.

Accanto a questa visione giuridica Israele diffonde anche una narrazione coloniale che presenta i palestinesi come animali umaniche non comprendono le leggi della guerra. Combinando questi cliché coloniali e il gergo giuridico si inquadrano i palestinesi come barbari immorali che meritano di morire. Questa mossa retorica, a sua volta, interpreta i soldati israeliani come lopposto, vale a dire, i combattenti civilizzati” e morali.

Inoltre, il collegamento del diritto internazionale con i luoghi comuni coloniali, o quello che potremmo chiamare una visione giuridico-coloniale, aiuta a giustificare lesecuzione di gravi violenze. Circa un mese fa il programma 60 Minutes della CBS News ha intervistato Shira Etting, una pilota israeliana attiva nelle proteste contro i tentativi del governo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di riformare la giustizia israeliana. Se si pretende che i piloti possano alzarsi in volo per lanciare bombe e missili sulle case sapendo che potrebbero uccidere bambini, ha detto, è indispensabile che essi abbiano la massima fiducia nei [politici] che prendono quelle decisioni”.

Etting non concepisce in alcun modo una intenzionalità nell’uccisione di minori. Eppure riconosce che quando lei e i suoi colleghi piloti partono per una missione nei cieli di Gaza sanno che può benissimo finire, come spesso capita, che i missili lanciati uccidano dei civili.

In altre parole, i piloti israeliani, come Etting, sanno quando sganciano massicci bombardamenti sui centri urbani di uccidere dei minorenni ma non avendo intenzionedi ucciderli, il diritto internazionale così come i media come CBS News e i leader occidentali considerano le loro azioni moralmente integre. Questo nonostante il bombardamento effettuato da questi piloti abbia provocato la morte di un numero esponenzialmente maggiore di civili, compresi minorenni, rispetto a un attacco di Hamas. I media occidentali li dipingono come eroi che non intendevano uccidere i non combattenti, evenienza eufemisticamente chiamata danno collaterale”.

Si noti tuttavia che allinterno di questa visione giuridico coloniale non sono solo gli autori della violenza ad essere considerati differenti sul piano etico, ma anche le vittime di questa violenza. Le vittime israeliane hanno nomi e storie di vita che sono state tragicamente interrotte. Queste vittime, in altre parole, vengono presentate come persone degne di essere compiante.

Al contrario, le vittime palestinesi restano senza nome; e tendono a essere presentate come semplici numeri piuttosto che come esseri umani in carne ed ossa le cui vite meritino di essere ugualmente compiante. Anche questo contribuisce a perpetuare il mito dellesercito israeliano come etico.

In definitiva, quindi, non solo coloro che utilizzano le armi dei forti sono considerati più etici perché uccidono persone innocenti a distanza, ma anche perché il discorso giuridico coloniale considera le persone uccise come animali umani”, danno collateraleo come dati statistici.

Finché i morti saranno disumanizzati in questo modo e, di conseguenza, presentati come indegni di essere compianti, la pulsione di morte continuerà senza sosta. Questa, temo, è la ricetta per una punizione genocida.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono allautore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.

Neve Gordon è docente di diritto internazionale alla Queen Mary University di Londra. È anche autore di Israel’s Occupation [L’occupazione israeliana, ndt.] e coautore di The Human Right to Dominate [Il diritto umano di dominare, ndt.].

[traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Cosa c’è da sapere riguardo al mortale attacco di Hamas contro un festival musicale israeliano

Redazione di Al Jazeera

10 ottobre 2023 – Al Jazeera

Almeno 260 persone sono morte durante il festival musicale Supernova dopo che dei combattenti sono arrivati su furgoni e motociclette, indossando giubbotti antiproiettile e brandendo mitra AK-47.

Sabato in migliaia sono stati testimoni di un massacro durante un festival musicale israeliano quando combattenti di Hamas hanno ucciso almeno 260 persone e portato ostaggi all’interno di Gaza.

Ecco quello che se ne sa:

Cos’è successo e quando?

Circa 3.500 giovani erano presenti al festival musicale Supernova, diventato uno dei primi obiettivi degli uomini armati palestinesi che hanno attraversato la barriera di confine di Gaza sabato alla mattina presto da Gaza.

Immagini video circolate sulle reti sociali mostrano uomini armati scendere con parapendii sull’evento. Altri sono arrivati via terra.

Decine di combattenti di Hamas hanno aperto il fuoco sui giovani israeliani che erano arrivati insieme per una notte di musica elettronica per celebrare la festività ebraica di Sukkot.

Filmati realizzati dai primi soccorritori israeliani e postati sulla rete sociale Telegram mostrano uomini armati che si lanciano sulla folla presa dal panico, falciando le persone in festa con raffiche di armi automatiche.

Molte vittime sono state colpite alla schiena mentre scappavano.

Secondo i partecipanti alla festa, mentre piovevano razzi, alcuni combattenti si sono diretti verso il luogo dove si svolgeva il festival mentre altri aspettavano nei pressi dei rifugi antimissile, abbattendo persone che vi cercavano riparo.

Si ritiene che l’attacco di sabato sia il peggior massacro di civili nella storia di Israele.

 Dov’è successo?

La festa si svolgeva in un campo sterrato fuori dal kibbutz di Re’im, a circa 5,3 kilometri dal muro che separa Gaza dal sud di Israele.

Quante vittime?

I servizi d’emergenza israeliani affermano che nel sito del festival sono stati recuperati 260 corpi.

Tuttavia gli organizzatori del festival affermano che stanno aiutando le forze di sicurezza israeliane a individuare i partecipanti che risultano ancora dispersi. Il bilancio dei morti potrebbe salire in quanto ci sono squadre che continuano a perlustrare la zona.

Cos’altro sappiamo riguardo ai combattenti di Hamas che stanno dietro a quanto successo?

Molti dei combattenti, arrivati anche con furgoni e motociclette, indossavano giubbotti antiproiettile e brandivano mitragliette Ak-47 e lanciagranate.

Cosa dicono le vittime?

“Ci siamo nascosti e messi a correre, nascosti e messi a correre, in un campo aperto, il posto peggiore in cui ti possa trovare in quella situazione,” ha detto Arik Nani di Tel Aviv, che era andato alla festa per festeggiare il suo ventiseiesimo compleanno.

“Per un Paese in cui tutti conoscono tutti in quel giro è un trauma che non avrei mai immaginato,” ha detto Maya Alper, 25 anni, all’Associated Press.

“Non posso neppure spiegarmi l’energia che loro (i miliziani) hanno avuto. Era così evidente che non ci vedevano come esseri umani,” afferma. “Ci guardavano con odio, puro odio.”

Elad Hakim, fuggito con altri amici su un’auto da corsa, dice che “era sicuro che sarebbero stati rapiti.”

“Ho scritto ai miei genitori, ho inviato al mio amico una registrazione per dire ai miei genitori che non avevo sofferto e che era… sarebbe andato tutto bene.”

Zohar Maariv, 23 anni, che vive sul confine con Gaza afferma di aver sentito durante l’attacco che “quella era la fine.”

“Vivo sul confine con Gaza e ne ho viste di cose durante la mia vita, ma non lo avevo mai provato così da vicino,” afferma Maariv, che ha dovuto saltare giù dall’auto con cui stava scappando quando è finita sotto un fuoco incrociato.

“Non mi ero mai sentita così vicina alla morte,” aggiunge.

Fonte: Al Jazeera e agenzia di notizie.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




L’operazione Al-Aqsa ha cambiato il rapporto tra Palestina e Israele 

Ramzy Baroud

10 ottobre 2023 Middle East Monitor

A prescindere dalla precisa strategia del Movimento di Resistenza Islamico Palestinese, di Hamas, o di qualsiasi altra fazione palestinese in generale, l’audace campagna militare all’interno di Israele di sabato 7 ottobre è stata possibile solo perché i palestinesi sono semplicemente stufi. Israele, ricordiamolo, ha imposto alla Striscia di Gaza un assedio totale da 17 anni.

La storia dell’assedio è per lo più presentata in due modi nettamente diversi. Per alcuni si tratta di un atto disumano di “punizione collettiva”; per altri è un male necessario affinché Israele possa proteggersi dal cosiddetto terrorismo palestinese. Nel racconto, tuttavia, manca del tutto il fatto che 17 anni sono sufficienti perché un’intera generazione cresca sotto assedio, si arruoli nella Resistenza e combatta per la libertà.

Secondo Save the Children, quasi metà dei 2,3 milioni di palestinesi che vivono oggi a Gaza sono minori. La cosa è spesso citata per definire la sofferenza di una popolazione che non è mai uscita dalla piccola e impoverita Striscia di 365 chilometri quadrati [corrispondente alla provincia di Prato, ndt.]. Di nuovo, anche se i numeri possono sembrare precisi, vengono spesso utilizzati per raccontare una piccola parte di una storia complessa.

Questa generazione di Gaza, cresciuta o nata dopo l’imposizione dell’assedio, ha vissuto almeno cinque importanti e devastanti guerre, in cui bambini come loro, insieme alle loro madri, ai padri e fratelli sono stati il bersaglio principale e quindi le vittime principali.

Nemmeno i tentativi di protestare pacificamente contro l’ingiustizia dell’assedio radunandosi in gran numero presso la recinzione che separa Gaza assediata da Israele sono stati autorizzati dallo Stato occupante. Le proteste di massa, conosciute come la Grande Marcia del Ritorno hanno ricevuto come risposta i proiettili dei cecchini israeliani. Immagini di giovani che trasportavano altri giovani che sanguinavano per ferite da arma da fuoco e gridavano “Dio è grande” erano diventate una scena normale lungo la recinzione. Man mano che le vittime aumentavano, nel tempo l’interesse dei media per la storia semplicemente svaniva.

Le centinaia di combattenti che all’alba di sabato scorso sono entrate in Israele attraverso quattro diversi punti di ingresso erano gli stessi giovani palestinesi che non conoscono altro che la guerra, l’assedio e il bisogno di proteggersi a vicenda. Hanno anche imparato a sopravvivere a tutti i costi, nonostante la scarsità o la totale mancanza di quasi tutto a Gaza, comprese l’acqua pulita e un’adeguata assistenza medica.

È qui che la storia di questa generazione si interseca con quella di Hamas, della Jihad islamica e di altri gruppi palestinesi.

Certo, Hamas ha scelto i tempi e la natura della sua campagna militare inserendola in una strategia molto precisa. Questo, tuttavia, non sarebbe stato possibile se Israele non avesse lasciato a questi giovani palestinesi altra scelta se non quella di contrattaccare.

I video che circolavano sui social media mostravano combattenti palestinesi che urlavano in arabo, con quel caratteristico, spesso aspro accento di Gaza: “Questo è per mio fratello” e “Questo è per mio figlio”. Hanno gridato queste e molte altre affermazioni rabbiose mentre sparavano contro coloni e soldati israeliani in preda al panico. Molti di questi ultimi, a quanto pare, avevano abbandonato le loro postazioni e si erano dati alla fuga.

L’impatto psicologico di questa guerra supererà sicuramente quello dell’ottobre 1973, quando gli eserciti arabi ottennero rapide conquiste contro Israele, anche allora a seguito di un attacco a sorpresa. Questa volta l’impatto devastante sul pensiero collettivo israeliano si rivelerà essere un punto di svolta, dal momento che la “guerra” coinvolge un solo gruppo palestinese, non un intero esercito o tre messi insieme.

L’attacco a sorpresa dell’ottobre 2023, tuttavia, è direttamente collegato alla guerra arabo-israeliana dell’ottobre 1973. Scegliendo il cinquantesimo anniversario di quello che gli arabi considerano un grande trionfo contro Israele, la Resistenza palestinese ha voluto inviare un messaggio chiaro: la causa palestinese è ancora la causa di tutti gli arabi. Tutte le dichiarazioni rilasciate dagli alti comandanti militari e dai leader politici di Hamas erano cariche di questo simbolismo e di altri riferimenti ai paesi e ai popoli arabi.

Il discorso pan-arabo non è casuale ed è comparso nelle dichiarazioni di Mohammed Deif, comandante delle brigate Al-Qassam, di al-Arouri comandante fondatore di Al-Qassam Saleh, del capo dell’Ufficio politico di Hamas Ismail Haniyeh e di Abu Obeida, il portavoce mascherato delle Brigate. Tutti hanno esortato all’unità e hanno insistito sul fatto che la Palestina non è che una componente di una più ampia lotta araba e islamica per la giustizia, la dignità e l’onore collettivo. Hamas ha chiamato la sua campagna “Al-Aqsa Flood” ricentrando l’unità palestinese, araba e musulmana attorno ad Al-Quds [nome arabo di Gerusalemme, ndt.], Gerusalemme e tutti i suoi luoghi santi.

Tutti sembravano scioccati, compreso proprio Israele, non dall’attacco di Hamas in sé ma dal coordinamento e dall’audacia di un’operazione relativamente massiccia e senza precedenti. Invece di attaccare di notte, la Resistenza ha attaccato all’alba. Invece di colpire Israele utilizzando i numerosi tunnel sotto Gaza, hanno semplicemente guidato, fatto parapendio, remato via mare e, in molti casi, attraversato a piedi il preteso confine.

L’elemento sorpresa è diventato ancora più sconcertante quando i combattenti palestinesi hanno messo in discussione i fondamenti stessi della guerriglia: invece di combattere una “guerra di manovra” hanno combattuto, anche se temporaneamente, una “guerra di posizione”, mantenendo per molte ore le aree di cui avevano ottenuto il controllo dell’interno di Israele.

In effetti, per i gruppi di Gaza, l’aspetto psicologico della guerra era essenziale quanto il combattimento fisico. Centinaia di video e immagini sono diventate virali sui social media, come se si sperasse di ridefinire il rapporto tra palestinesi, solitamente le vittime, e Israele, l’occupante militare.

L’insistenza sul non uccidere anziani e bambini è stata sottolineata dai comandanti sul campo. Questo non era destinato solo ai palestinesi. È stato anche un messaggio al pubblico internazionale, che la Resistenza Palestinese si atterrà alle regole universali della guerra.

Il numero di palestinesi che Israele uccide, e ucciderà in futuro, come rappresaglia per l’operazione Al-Aqsa sarà tragico, ma non salverà la reputazione a brandelli di un esercito indisciplinato, una società divisa e una leadership politica concentrata esclusivamente sulla propria sopravvivenza.

È troppo presto per giungere a conclusioni generali sugli esiti di questa guerra senza precedenti. Ciò che è chiarissimo, tuttavia, è che il rapporto di fondo tra l’occupazione israeliana e i palestinesi occupati di qui in poi è cambiato, probabilmente in modo permanente.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Guerra Israele-Palestina: questa umiliazione ha profondamente scosso la psiche degli israeliani

Tariq Dana

10 ottobre 2023 – Middle East Eye

Per gli israeliani l’esercito è un motivo di orgoglio nazionale, una forza inespugnabile che garantisce la sostenibilità del progetto sionista del colonialismo di insediamento. Non più.

La recente operazione militare contro Israele lanciata da Hamas da Gaza rappresenta un potenziale punto di svolta nel conflitto e potrebbe sostanzialmente riconfigurare le annose dinamiche di potere fra la resistenza palestinese e Israele.

Descritta da un funzionario israeliano come una “data che per la sua infamia perdurerà in Israele”, l’operazione, soprannominata in codice Alluvione Al-Aqsa è riverberata profondamente in Israele e ha sollevato timori fra i suoi alleati sia nella regione che a livello internazionale.

Il 7 ottobre i gruppi della resistenza palestinese a Gaza hanno iniziato una complessa operazione militare con lancio di razzi contro Israele, un massiccio attacco via terra che ha sfondato le barriere difensive israeliane intorno a Gaza.

I combattenti palestinesi sono riusciti a impadronirsi di colonie israeliane e siti militari confinanti con Gaza.

Secondo Hamas, l’operazione ha causato centinaia di morti e migliaia di feriti fra gli israeliani e oltre 100 ostaggi portati a Gaza. Il numero finale delle vittime israeliane potrebbe essere più elevato di quello riferito fino ad ora. 

Se non si sono ancora avvertite tutte le implicazioni, le dimensioni e il coordinamento dell’attacco suggeriscono una capacità operativa audace e avanzata della resistenza palestinese.

L’impatto psicologico sullo status quo, e la sua distruzione, è stato profondo. Israele, la sua aura di supremazia militare scossa, sta vivendo la sua peggiore sconfitta strategica di fronte alla resistenza palestinese dalla sua creazione 75 anni fa.

Umiliazione

L’operazione non ha solo ribaltato le norme stabilite che governano il conflitto di carattere coloniale, ma anche evidenziato la futilità dell’approccio che da tempo Israele ha verso i palestinesi nel mutevole contesto regionale.

Il quadro offerto dai media su questo evento, uno “shock per gli israeliani”, è rivelatore per parecchi motivi.

In primis evidenzia le crescenti capacità della resistenza palestinese di umiliare l’esercito israeliano fortemente sostenuto dagli USA. Questo livello di innovazione tattica fra i gruppi della resistenza palestinese suggerisce un cambio di paradigma.

Storicamente gli scontri fra le fazioni palestinesi e le forze israeliane hanno seguito uno schema ciclico: azioni di rappresaglia e il ritorno a uno status quo fragile, ma in qualche modo prevedibile.

Ma questa operazione è sfuggita a queste norme. Ha mostrato un livello senza precedenti di coordinamento e di pianificazione strategica, tecniche avanzate di guerra elettronica, operazioni psicologiche e tattiche di guerriglia che hanno annullato efficacemente la superiorità tecnologica e la sproporzionata potenza di fuoco di Israele.

La causa immediata di questo crollo va oltre i soli fallimenti di intelligence e sicurezza, perché questi fallimenti derivano dalle tattiche innovative impiegate dai gruppi di resistenza palestinesi.

Esse sono riuscite ad attraversare la “recinzione che uccide automaticamente” a più livelli, disattivando il suo sistema “Vedi-Spara”, una complessa rete di mitragliatrici automatiche e cecchini robot progettati per rafforzare l’area vietata.

I combattenti palestinesi hanno rapidamente smontato, eluso e neutralizzato questa costosa infrastruttura di sicurezza israeliana tanto magnificata, rendendola inefficace e permettendo ai combattenti palestinesi un accesso illimitato nei territori palestinesi sotto il controllo israeliano.

Quindi la dottrina della deterrenza israeliana è completamente crollata.

Reazione a catena

In secondo luogo la destabilizzazione psicologica seguita a questa operazione potrebbe, in molti modi, essere impattante quanto il danno fisico.

Per gli israeliani l’esercito è un motivo di orgoglio nazionale, una forza inespugnabile che garantisce la sostenibilità del progetto sionista del colonialismo di insediamento. Questa patina di invincibilità si è seriamente incrinata, sollevando domande che potrebbero avere conseguenze a lungo termine per la psiche nazionale israeliana e persino per il suo senso di identità.

L’impatto psicologico di questo evento sulla fiducia di Israele nella sua superiorità militare potrebbe potenzialmente penetrare attraverso molti aspetti della sua società. In una cultura dove il militarismo e il servizio militare obbligatorio sono profondamente intrecciati con la vita quotidiana, uno scossone di queste proporzioni potrebbe portare a una profonda crisi di fiducia tra gli israeliani.

Potrebbe avere effetti sul livello di arruolamento, sulla fiducia pubblica nella leadership politica e militare e persino sull’economia israeliana, dato che questa si fonda in modo significativo sulle esportazioni delle sue tecnologie militari e di sicurezza.

La reazione a catena di questo colpo al morale degli israeliani potrebbe essere di vasta scala, andando a colpire il tessuto complessivo della società israeliana.

Terzo, e forse il punto più importante, l’operazione serve come potente testimonianza della perdurante rilevanza e resilienza della causa palestinese sia nelle politiche regionali che in quelle internazionali, nonostante i sistematici sforzi di relegarle ai margini. 

Alcune autocrazie arabe che avevano normalizzato le relazioni con Israele si erano schierate strategicamente avevano liquidato la lotta palestinese come una questione datata e non più centrale nella politica regionale. 

Tuttavia questa audace operazione prova che la determinazione della resistenza palestinese resta cruciale, influenzando non solo le politiche regionali ma anche con ripercussioni su scala internazionale.

La lotta palestinese è spesso stata vista come la cartina al tornasole di posizioni politiche e morali nella regione, influenzando collaborazioni, alleanze e persino politiche interne di Paesi ben oltre le sue immediate vicinanze. 

La ricerca palestinese di giustizia e autodeterminazione continuerà ad avere un enorme impatto sugli affari mediorientali. La ricaduta di questa operazione potrebbe costringere attori regionali e globali a riconsiderare le politiche che hanno minimizzato le aspirazioni palestinesi.

Mentre alcuni hanno sottovalutato la centralità della causa palestinese tra le mutevoli questioni geopolitiche, gli eventi in corso hanno dimostrato che la lotta anticolonialista mantiene ancora un peso significativo nella formazione delle realtà regionali.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Tariq Dana è professore associato per i conflitti e gli studi umanitari dell’Istituto di Studi post-universitari di Doha. È anche consulente politico di Al-Shabaka, la Rete Politica Palestinese.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Israele annuncia il blocco “totale” su Gaza.

Redazione di Al Jazeera

9 ottobre 2023 – Al Jazeera

Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant afferma che il blocco includerà anche la sospensione delle forniture di cibo, elettricità e carburante.

Israele ha annunciato un blocco “totale” della già assediata Striscia di Gaza, compreso lo stop a cibo e acqua dopo che Hamas ha effettuato il più grande attacco al paese da decenni.

Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha detto lunedì che le autorità taglieranno l’elettricità e bloccheranno l’ingresso di cibo e carburante come parte di “un assedio completo” di Gaza governata da Hamas, dove vivono circa 2,3 milioni di persone in una delle aree più densamente popolate del mondo.

Il blocco israeliano della Striscia di Gaza occupata, nella sua forma attuale, è in vigore dal giugno 2007. Israele controlla lo spazio aereo e le acque territoriali di Gaza, nonché due dei tre valichi di frontiera; il terzo è controllato dall’Egitto.

Stiamo imponendo un assedio completo a Gaza… Niente elettricità, niente cibo, niente acqua, niente gas – è tutto chiuso”, ha detto Gallant in una dichiarazione video.

Il portavoce militare capo di Israele, Daniel Hagari, ha detto lunedì ai giornalisti che Israele ha il “controllo” delle sue comunità dopo l’incursione di massa di combattenti di Hamas di sabato nel suo territorio.

Hagari ha detto che lunedì mattina si sono verificati alcuni incidenti isolati, ma che “in questa fase non ci sono combattimenti nelle comunità”.

Ha aggiunto che “potrebbero esserci ancora terroristi nella zona”.

Carri armati e droni israeliani stavano sorvegliando le aperture nella recinzione per impedire ulteriori infiltrazioni, ha detto Hagari, aggiungendo che 15 delle 24 comunità di confine sono state evacuate, mentre il resto dovrebbe essere evacuato nelle prossime 24 ore.

In precedenza il portavoce di Hamas Abdel-Latif al-Qanoua aveva dichiarato all’agenzia di stampa Associated Press che i combattenti del gruppo continuavano a combattere fuori Gaza e avevano catturato altri israeliani ancora lunedì mattina.

Ha detto che il gruppo mira a liberare tutti i prigionieri palestinesi detenuti da Israele, che in passato ha accettato accordi di scambio sbilanciati in cui ha rilasciato un gran numero di prigionieri per singoli prigionieri o addirittura spoglie di soldati.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)