Sparare ai manifestanti mentre si riposano: le nuove regole d’ingaggio di Israele

Maureen Clare Murphy

28 giugno 2019 – Electronic Intifada

Sparare ai “principali istigatori” durante le proteste disarmate a Gaza quando si stanno riposando. Aprire il fuoco contro adolescenti che cercano di andare a pregare a Gerusalemme benché non rappresentino un pericolo.

Questo è il normale, ingiustificato e criminale uso letale di armi da fuoco contro palestinesi da parte delle forze di occupazione israeliane.

Un documento dell’esercito israeliano afferma che i cecchini hanno il permesso di sparare a palestinesi che essi ritengano essere “i principali istigatori” o “principali facinorosi” durante le proteste della “Grande Marcia del Ritorno” a Gaza.

L’esercito definisce “principali istigatori” le persone che “dirigono o guidano attività” durante le proteste, come “posizionamento tattico” e bruciare copertoni.

Principali facinorosi” sono definiti quelli il cui comportamento “determina le condizioni grazie alle quali irruzioni di massa o infiltrazioni” in Israele da Gaza possono avvenire.

Il documento dell’esercito israeliano afferma che ai cecchini è consentito “sparare a un istigatore importante” mentre “si allontana temporaneamente dalla folla e si riposa prima di continuare la sua attività.” Il documento presenta simili azioni come un esempio di “moderazione” e suggerisce che tali precauzioni riducono il rischio di “colpire qualcun altro”.

Israele giustifica l’uso di forza letale contro manifestanti definendo le mobilitazioni della “Grande Marcia del Ritorno” – manifestazioni nelle zone orientale e settentrionale di Gaza tenute periodicamente dall’inizio dello scorso anno – una “sommossa” o “violenti disordini” che pongono una minaccia all’esercito e alle sue infrastrutture o in qualche caso a quelle civili.

Afferma anche che il confine di Gaza “separa due parti di un conflitto armato”, una tesi rifiutata da una commissione d’inchiesta ONU che ha stabilito che le manifestazioni sono di carattere civile. Associazioni per i diritti umani affermano che le proteste di massa lungo i confini sono una questione civile di applicazione della legge regolata dal quadro delle leggi internazionali sui diritti umani.

Una di queste organizzazioni, “Adalah”, chiede che Israele proibisca l’uso di proiettili veri contro i manifestanti.

Secondo Adalah il concetto di “principali istigatori non è né fissato dalle leggi internazionali,” né è stato definito dalle autorità durante audizioni dello scorso anno presso l’alta corte israeliana in seguito alle richieste di gruppi per i diritti che contestavano gli ordini dell’esercito di aprire il fuoco.

Secondo Adalah allora la corte “ha accolto in toto la posizione dell’esercito israeliano”, sentenziando che l’uso di proiettili veri potrebbe essere consentito solo quando ci sia “un immediato e imminente pericolo per le forze o per i civili israeliani.”

Più di 200 palestinesi, tra cui 44 minori, sono stati uccisi e circa 8.500 feriti da proiettili veri durante le proteste della Grande Marcia del Ritorno.

Gli esperti indipendenti sui diritti umani nominati dall’ONU per indagare sull’uso della forza da parte di Israele contro la Grande Marcia del Ritorno hanno preso in considerazione tutte le vittime delle proteste avvenute dall’inizio delle manifestazioni, il 30 marzo 2018, fino alla fine di quell’anno.

La commissione di inchiesta ha notato solo un incidente, il 14 maggio 2018, “che può aver rappresentato una ‘partecipazione diretta alle ostilità’” e un altro il 12 ottobre di quell’anno “che potrebbe aver costituito una ‘imminente minaccia di vita o di gravi conseguenze’ per le forze di sicurezza israeliane.”

In tutti gli altri casi la commissione ha scoperto che “l’uso di proiettili letali da parte delle forze di sicurezza israeliane contro manifestanti è stato illegale.”

Giustificazione retroattiva

Suhad Bishara, avvocatessa di Adalah, ha affermato che l’idea di “principale istigatore” è stata “creata retroattivamente per giustificare il fatto di aver sparato contro persone che non rappresentavano un pericolo reale e immediato per soldati o civili israeliani.”

Ha aggiunto che il tentativo dell’esercito di giustificare l’uso di proiettili veri contro dimostranti disarmati “deriva da un totale disprezzo per la vita umana.”

Il disprezzo israeliano riguardo alla vita dei palestinesi non si limita a Gaza ed è stato esemplificato dalla recente uccisione di un adolescente mentre l’ultimo venerdì di Ramadan tentava di raggiungere Gerusalemme per pregare nella moschea di al-Aqsa con la sua famiglia.

Durante il Ramadan Israele riduce le restrizioni che impediscono ai palestinesi della Cisgiordania il libero accesso ai luoghi sacri a Gerusalemme. Anche con le limitazioni parzialmente revocate, i palestinesi devono attraversare posti di controllo militari e quest’anno ai maschi tra i 16 e i 30 anni è stato vietato di entrare a Gerusalemme durante il Ramadan.

Il 31 maggio questo divieto ha portato Luai Ghaith a accompagnare suo nipote e suo figlio di 15 anni Abdallah nei pressi del muro di Israele in modo che potessero arrampicarvisi e incontrarsi dall’altra parte con i membri della loro famiglia che avevano il permesso di attraversare il posto di controllo.

Dopo che Abdallah e suo cugino si sono arrampicati sul filo spinato e hanno raggiunto un percorso tra il filo spinato e il muro, il cugino ha visto un ufficiale della polizia di frontiera.

Secondo B’Tselem, un’associazione israeliana per i diritti umani,“è tornato indietro sul filo spinato e ha gridato ad Abdallah di scappare. A quel punto poliziotti di frontiera hanno sparato due pallottole calibro 0,22 contro Abdallah, una delle quali lo ha colpito al petto.”

Abdallah è riuscito a saltare indietro sul filo spinato e correre via per alcuni metri prima di crollare al suolo.”

Luai Ghaith ha detto a B’Tselem che suo figlio “era così eccitato all’idea di andare a pregare ad al-Aqsa l’ultimo venerdì di Ramadan. L’ufficiale della polizia israeliana che gli ha sparato non ne sapeva niente di tutto ciò.”

Nessuna giustificazione”

Circa un’ora prima che Abdallah venisse ferito a morte, nello stesso luogo poliziotti di frontiera hanno sparato e ferito un ventenne palestinese che cercava di raggiungere Gerusalemme per pregare.

Non ci possono essere scusanti per questo uso delle armi da fuoco, con queste conseguenze prevedibilmente letali,” ha affermato B’Tselem. “Ciò dimostra quanto poco contino le vite dei palestinesi agli occhi sia dei poliziotti sul campo che di tutta la catena di comando che consente che tali azioni avvengano.”

Secondo B’Tselem né Abdallah né l’uomo colpito poco prima rappresentavano alcun pericolo per i poliziotti di frontiera che hanno sparato contro di loro: “Non si tratta di un caso di pericolo mortale, o di un qualunque pericolo in assoluto.”

Nessuno sarà chiamato a rendere conto della morte di Abdallah, né la famiglia riceverà un risarcimento in quanto Israele ha “approvato una legge che ha strategicamente escluso per i palestinesi ogni opzione praticabile per denunciare lo Stato per danni.”

Finora quest’anno più di 70 palestinesi sono morti a causa del fuoco israeliano.

Secondo B’Tselem, “il fatto che il prevedibile e mortale risultato di questa vergognosa condotta sia accolto dall’indifferenza dell’opinione pubblica e che questo comportamento riceva il totale sostegno di tutte le istituzioni ufficiali dimostra solo quanto poco valore sia attribuito alle vite dei palestinesi.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Un video mostra che i coloni israeliani hanno provocato gli incendi in Cisgiordania, contraddicendo le dichiarazioni dell’esercito

24 maggio 2019 – Middle East Monitor

L’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem ha reso pubblico un video che mostra i coloni israeliani illegali mentre incendiano i campi nella Cisgiordania occupata, contraddicendo le affermazioni dell’esercito israeliano secondo cui l’incendio sarebbe stato appiccato dai palestinesi.

Ieri l’unità del portavoce dell’esercito israeliano si è vista obbligata a cambiare le proprie dichiarazioni ufficiali in cui affermava di aver estinto “un incendio provocato dai palestinesi”.

Gli incendi sono iniziati venerdì scorso nei pressi dei villaggi della Cisgiordania occupata di Burin, Urif e Asira Al-Qibliya, tutti situati nei pressi della Strada 60 a sud di Nablus. I coloni illegali israeliani della vicina colonia di Itzhar avevano aggredito i palestinesi di questi villaggi ed entrambi si sono accusati a vicenda di aver provocato gli incendi che ne sono seguiti.

Il “Times of Israel” [giornale indipendente israeliano, ndtr.] ha informato che, contraddicendo le affermazioni dell’esercito israeliano in merito alle responsabilità palestinesi, le immagini del video reso pubblico da B’Tselem mostrano “due (coloni israeliani), uno dei quali armato di un fucile d’assalto Tavor, mentre entrano nei campi, chinati e mentre si allontanavano. Dopo poco tempo si possono vedere le fiamme nella zona dove si erano trovati.”

B’Tselem ha aggiunto che “i soldati (israeliani) che stavano vicino (ai coloni) non li hanno arrestati e hanno impedito che i palestinesi arrivassero alle loro terre in fiamme.” In un altro video si possono anche vedere i coloni mentre lanciano pietre contro le case vicine dei palestinesi, mentre quattro soldati israeliani fanno finta di niente.

B’Tselem ha evidenziato che l’esercito israeliano ha garantito “immunità quasi totale” ai coloni coinvolti negli attacchi ed ha segnalato che nessuno è stato interrogato o arrestato dopo l’incidente. Benché l’esercito israeliano abbia emesso oggi una nuova dichiarazione dicendo che “si sono sviluppati parecchi incendi e si sono estesi molto rapidamente” e che “oltre agli incendi, circa 20 coloni sono scesi nei dintorni di Asirah Al-Qibliyah ed hanno iniziato a lanciare pietre,” non ammette di aver tentato di coprire gli attacchi dei coloni. L’esercito israeliano si è anche rifiutato di commentare la ragione per cui nessun colono sia stato arrestato per aver provocato l’incendio.

Non è la prima volta che si scopre che l’esercito israeliano ha nascosto gli attacchi dei coloni contro i palestinesi nella Cisgiordania occupata.

Lo scorso mese B’Tselem ha scoperto che l’esercito ha nascosto l’assassinio di Mohammed Abd Al-Fatah, di 23 anni, che è stato colpito il 3 aprile da coloni illegali nei pressi [del villaggio] di Huwara, anche questo situato sulla Strada 60. Benché sul momento le informazioni dei media abbiano affermato che un “potenziale aggressore palestinese è stato ucciso con colpi di arma da fuoco (…) durante un tentativo di attacco all’arma bianca nei pressi di Huwara”, l’inchiesta di B’Tselem ha rivelato che, di fatto, Abd Al-Fatah è stato assassinato da breve distanza da coloni israeliani armati.

B’Tselem ha raccontato nei dettagli come alle 8,30 ora locale (alle 6,30 ora del meridiano di Greenwich) Abd Al-Fatah “abbia iniziato a lanciare verso automobili con targa israeliana” pietre, una delle quali ha colpito la macchina di un colono israeliano. Il guidatore si è fermato, “e allora si sono sentiti due spari, a quanto pare esplosi da dentro l’auto”. Poi il colono è uscito dalla macchina ed “ha sparato molte altre volte” contro Abd Al-Fatah, con l’aiuto di un camionista che aveva assistito al fatto ed era arrivato per “aiutarlo”.

Pur essendo stato portato in ospedale, Abd Al-Fatah è in seguito deceduto a causa delle ferite ricevute, lasciando la moglie e una figlia piccola.

Tuttavia B’Tselem ha trovato prove che in seguito l’esercito israeliano ha coperto questa serie di avvenimenti:

Qualche minuto dopo che i due coloni hanno aperto il fuoco sul posto sono arrivate le jeep militari israeliane. (…) Otto soldati sono (allora) entrati in due negozi lì vicino per controllare le loro telecamere di sorveglianza. In uno dei negozi hanno smontato un DVR (sistema di registrazione) e se ne sono andati. Circa venti minuti dopo i soldati sono tornati al negozio, hanno risistemato il DVR ed hanno visto le immagini. Due soldati hanno ripreso lo schermo con i loro telefonini. Poi hanno cancellato le immagini del DVR e se ne sono andati.”

La Ong conclude: “Contrariamente a quanto affermato dai media, (gli) spari contro Abd Al-Fatah sono stati ingiustificati (…) Le forze di sicurezza israeliane che sono arrivate sul posto hanno ignorato questi avvenimenti. Non hanno fatto niente per arrestare i due coloni, hanno cacciato rapidamente i palestinesi dalla scena del delitto e poi si sono dedicati al compito urgente di eliminare qualunque ripresa dell’incidente per essere sicuri che non si venisse a sapere la verità e che gli assassini non dovessero essere in alcun modo incriminati o fossero ritenuti responsabili.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Nakba nella Valle del Giordano: le esercitazioni dell’esercito israeliano gettano il caos tra i palestinesi

Shatha Hammad da Khirbet Humsa al-Fawqa, Cisgiordania occupata

15 maggio 2019 – Middle East Eye

Cacciati dalle loro case perché Israele testa le proprie armi, la commemorazione di quest’anno degli avvenimenti del 1948 vede nuove espulsioni.

A Khirbet Humsa al-Fawqa, sul pavimento di una tenda abitata giacciono giocattoli sparpagliati. Per i bambini del villaggio i giochi sono finiti quando l’esercito israeliano ha dichiarato l’area zona militare proibita e nelle prime ore di domenica ha obbligato la comunità palestinese ad andarsene dalle proprie abitazioni.

In seguito a un ordine di espulsione di quattro giorni prima, ai 98 abitanti è stato vietato l’accesso alle loro abitazioni per tre giorni. L’esercito li ha informati che tra maggio e giugno verranno cacciati 12 volte per tre giorni ciascuna.

Ai palestinesi è stato detto che le abitazioni sarebbero state nel raggio di gittata dei proiettili dei carri armati poiché l’esercito israeliano utilizza l’area per effettuare esercitazioni militari.

La mattina dell’espulsione Mohammed Sulaiman Abu Qabbash, padre di cinque figli, li ha accompagnati in una vicina comunità ed è corso indietro nel tentativo di proteggere le tende e le pecore. Il trentacinquenne è andato avanti e indietro controllando ansiosamente la zona. Ha aspettato che i soldati israeliani arrivassero e lo buttassero fuori.

Nei prossimi tre giorni dormiremo all’aperto. Non abbiamo alternative, non possiamo opporci a una potenza simile,” ha detto Mohammed a Middle East Eye.

Se la comunità rifiuta di andarsene quando gli viene ordinato rischia l’espulsione con la forza, l’esproprio delle greggi e una multa retroattiva.

In base alle leggi internazionali cacciare dalle proprie case gli abitanti di un territorio occupato è considerato trasferimento forzato di persone protette, il che costituisce un crimine di guerra. Ma gli abitanti delle comunità palestinesi nella Valle del Giordano conoscono bene tali devastanti politiche israeliane.

La valle, una striscia di terra fertile che corre a ovest lungo il fiume Giordano, è abitata da circa 65.000 palestinesi.

Dal 1967, quando l’esercito israeliano ha occupato la Cisgiordania, Israele ha trasferito almeno 11.000 suoi cittadini ebrei nella Valle del Giordano. Alcune delle colonie in cui vivono sono state interamente costruite su terre palestinesi di proprietà privata.

Da quando è iniziata l’occupazione, circa il 46% della Valle del Giordano è stata dichiarata dall’esercito israeliano zona militare proibita.

Circa 6.200 palestinesi risiedono in 38 comunità in luoghi destinati a usi militari e devono ottenere un permesso delle autorità israeliane per entrare e vivere nelle loro comunità.

In violazione del diritto internazionale l’esercito israeliano non solo scaccia regolarmente in modo temporaneo le comunità, ma a volte demolisce anche case e infrastrutture.

Oltre a subire espulsioni temporanee, le famiglie palestinesi che vi vivono devono affrontare una miriade di limitazioni nell’accesso a risorse e servizi. Nel contempo la confisca di terre da parte di Israele ha espropriato risorse naturali a favore dei coloni.

Vivere la Nakba

Il digiuno durante l’espulsione e le temperature che hanno raggiunto i 40° hanno raddoppiato le difficoltà di questo Ramadan, dice Khadija Abu Qabbash mentre si prepara ad andarsene. La donna incinta, madre di cinque figli, la mattina ha lavato a mano una pila di vestiti. La sua figlia di 15 anni, Deema, l’ha aiutata a stendere in gran fretta i panni ad asciugare prima che arrivassero i soldati israeliani.

Questa mattina abbiamo accompagnato fuori i bambini ed ora la macchina è tornata a prenderci,” dice a MEE mentre piange. “Non potrò cucinare niente per iftar [pasto serale che interrompe il digiuno del Ramadan, ndtr.]. Ci dovremo accontentare di cibo in scatola.”

Le forze israeliane espellono regolarmente le famiglie di Khirbet Humsa al-Fawqa. Tuttavia in genere le espulsioni avvengono durante il giorno, mentre agli abitanti è consentito tornare alla sera.

Non so se stanno effettivamente facendo esercitazioni militari. A volte ci cacciano e non fanno niente. Intendono obbligarci ad andarcene per sempre,” dice Khadija.

Le attività di Israele nella Valle del Giordano sono state ben documentate da gruppi per i diritti umani e da Ong locali, che affermano che l’obiettivo di queste misure è cacciare i palestinesi e soffocare il loro sviluppo nella zona.

Essendo assolutamente strategica, i politici israeliani, anche prima delle recenti affermazioni del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu riguardo ai suoi progetti di annettere zone della Cisgiordania occupata, hanno chiarito in varie occasioni che la Valle del Giordano rimarrà in ogni caso sotto il loro controllo.

Nel 2013 negoziati di pace sono stati rifiutati da Israele quando è stata ipotizzaa la cessione di parte del controllo sulla valle.

Commentando l’evacuazione di Khirbet Humsa al-Fawqa di domenica, Walid Assaf, capo della Commissione Nazionale per la Resistenza al Muro e alle Colonie dell’Autorità Nazionale Palestinese, ha detto in un comunicato che ci sono stati tentativi con l’intervento di legali per bloccare l’espulsione temporanea, ma non si è potuto mettere in discussione l’ordine militare israeliano.

Proprio come hanno cacciato i palestinesi dale loro case nel 1948, oggi stanno facendo lo stesso. Non cederemo,” ha aggiunto Khadija, riferendosi alla Nakba, la pulizia etnica della Palestina storica da parte delle milizie sioniste 71 anni fa, che si commemora ogni anno il 15 maggio.

Qui non vogliono palestinesi”

Principalmente composte di pastori, le famiglie di Khirbet Humsa al-Fawqa si alzano alle 3 del mattino per mungere le proprie pecore e preparare il formaggio prima di andare ai mercati della vicina cittadina di Tubas.

Harb Abu Qabbash, 40 anni, dice a MEE che ogni famiglia possiede circa 300 pecore. Dato che è difficile spostarle fuori dalla zona, quando i palestinesi vengono evacuati molti degli agnelli rimangono indietro e spesso muoiono di fame senza nessuno che si occupi di loro.

Aggiunge che durante le esercitazioni militari migliaia di ettari di orzo e grano rischiano di essere bruciati. Secondo Harb ciò avviene regolarmente. “Il nostro maggior timore è che una bomba cada su una delle nostre tende. Se ciò accadesse sarebbe una catastrofe e perderemmo tutto,” dice Harb.

Gli israeliani vogliono impossessarsi della zona e svuotarla dei suoi abitanti. Non vogliono palestinesi qui,” aggiunge.

Nel 2005 hanno demolito le nostre tende e infrastrutture con il pretesto che erano state costruite senza permesso. Quando facciamo richiesta di un permesso loro non lo concedono.”

Quando non devono affrontare un’evacuazione, le esercitazioni militari e le demolizioni, i palestinesi della comunità lottano per approvvigionarsi dell’acqua sufficiente per le loro necessità sotto l’occupazione israeliana.

Ogni famiglia con le sue pecore utilizza un totale di due o tre serbatoi d’acqua al giorno,” dice Harb.

Per trasportare il camion cisterna alla comunità ci vogliono due ore. C’è un pozzo d’acqua a cinque minuti da qui, ma l’esercito israeliano ci ha vietato di utilizzarlo e lo ha destinato all’uso esclusivo dei coloni israeliani.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Netanyahu promette “attacchi massicci” a Gaza mentre sale il numero di morti

Al Jazeera

5 maggio 2019

Nove palestinesi e tre israeliani uccisi, mentre le forze israeliane si ammassano sul confine di Gaza, alimentando il timore di un’invasione di terra.[ i dati aggiornati sono 27 palestinesi uccisi e 4 israeliani ndt]

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ordinato “attacchi massicci” contro la Striscia di Gaza dopo un’escalation di due giorni che ha portato all’uccisione di nove palestinesi e tre israeliani.

Domenica aerei da guerra e cannoniere israeliani hanno continuato a colpire la Striscia di Gaza mentre combattenti nell’enclave assediata hanno sparato una raffica di razzi sul sud di Israele.

Un comandante di Hamas di 34 anni è stato ucciso in quello che l’esercito israeliano ha descritto come un attacco mirato. Un comunicato dell’esercito ha accusato Hamad al-Khodori di “aver trasferito grandi somme di denaro” dall’Iran alle fazioni armate di Gaza.

È stato il quinto palestinese che si dice sia stato ucciso domenica. Altre vittime palestinesi hanno incluso una donna incinta e la sua nipotina di un anno, uccise sabato a Gaza.

Nella città israeliana di Ashkelon un cinquantottenne israeliano è stato ucciso dopo essere stato colpito dalle schegge per un attacco con i razzi. Altri due israeliani, gravemente feriti domenica pomeriggio in diversi attacchi con i razzi contro una fabbrica, in seguito sono morti.

Questa mattina ho dato istruzioni alle IDF (l’esercito israeliano) di continuare con massicci attacchi contro i terroristi nella Striscia di Gaza,” ha detto domenica in un comunicato Netanyahu, che ha anche l’incarico di ministro della Difesa, dopo aver consultato il gabinetto di sicurezza.

Ha detto di aver anche ordinato che “carri armati, artiglieria e forze di fanteria” rinforzino le truppe già schierate nei pressi di Gaza, un’iniziativa che suscita timori di un’invasione di terra.

Hamas è responsabile non solo per i suoi attacchi contro Israele, ma anche per quelli della Jihad Islamica, e sta pagando un prezzo molto alto per questo,” ha aggiunto Netanyahu.

Sabato a Gaza fazioni armate, altrimenti note come “Joint Operations Room” [Sala Operativa Unitaria], che include il braccio armato di Hamas e quello del Movimento della Jihad Islamica in Palestina, hanno giurato di “estendere la propria risposta” se l’esercito israeliano continua a prendere di mira la Striscia.

La nostra risposta sarà più vasta e più dolorosa nel caso in cui (Israele) estenda l’aggressione, e continueremo ad essere lo scudo protettivo del nostro popolo e della nostra terra,” ha affermato in un comunicato la Joint Operations Room.

Harry Fawcett, che informa dal lato israeliano del confine con Gaza per Al Jazeera, ha affermato che l’escalation è “tutt’altro che finita”.

È potenzialmente una grave escalation militare pericolosa e lunga,” dice. “I mezzi di informazione israeliani hanno citato importanti fonti della difesa, che hanno detto di aspettarsi che questo scontro durerà alcuni giorni.”

I media israeliani hanno informato che negli ultimi due giorni i combattenti di Gaza hanno lanciato più di 400 razzi verso città e cittadine nella parte meridionale di Israele e che il sistema antimissile israeliano Iron Dome ne ha intercettati più di 250.

L’ufficio stampa del governo a Gaza ha detto che aerei da guerra israeliani hanno condotto circa 150 raid, oltre ai bombardamenti dell’artiglieria che hanno preso di mira 200 luoghi di interesse civile nella Striscia di Gaza, compresi edifici residenziali, moschee, negozi e mezzi d’informazione.

Secondo il ministero della Salute di Gaza circa 70 palestinesi sono rimasti feriti negli attacchi.

In seguito ai raid aerei l’abitante di Gaza Um Alaa Abu Absa ha passato la domenica a raccogliere pezzi di vetro e detriti nella sua proprietà.

Ci sono stati molti bombardamenti, i vicini sono stati molto colpiti, la scena per strada era indescrivibile, la gente aveva paura, era terrorizzata e correva, e ognuno si occupava dei propri figli, nessuno era nelle condizioni di vedere gli altri,” ha detto Abu Absa.

Uno degli edifici distrutti ospitava l’ufficio dell’agenzia ufficiale di notizie dello Stato turco Anadolu a Gaza.

Chiediamo alla comunità internazionale di agire prontamente per allentare le tensioni che si sono accentuate a causa delle azioni sproporzionate di Israele nella regione,” ha affermato un comunicato del ministero degli Esteri turco.

Domenica l’esercito israeliano ha negato che Falastine Abu Arar, madre incinta di 37 anni, e la sua nipotina di 14 mesi, Siba, siano state uccise dalle forze israeliane. Ha invece incolpato un errore nel lancio di un razzo palestinese.

Sabato notte anche due palestinesi, Imad Nseir, di 22 anni, e Khaled Abu Qaleeq, di 25, sono stati uccisi da attacchi aerei israeliani.

Il gruppo della Jihad Islamica palestinese ha detto che i due uomini uccisi durante la notte di domenica, Mahmoud Issa, di 26 anni, e Fawzi Bawadi, di 23, erano membri del suo braccio armato.

Il ministero della Salute ha affermato che nel primo pomeriggio altri due palestinesi sono stati uccisi dopo che un raid aereo israeliano ha preso di mira un gruppo di persone nel quartiere orientale di Gaza City di Shujayea,. Gli uomini sono stati identificati come Bilal Mohammed al-Banna e Abdullah Abu Atta, pare entrambi sui vent’anni.

Poco dopo, in quello che i palestinesi hanno definito il primo assassinio mirato dal 2014, a Gaza City un attacco aereo israeliano ha colpito l’auto di al-Khoudary, comandante di Hamas. Altri tre palestinesi sono rimasti feriti nell’attacco.

Pericolosa escalation”

Il Coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente, Nickolay Mladenov, ha chiesto a tutte le parti di “ridurre immediatamente la tensione e di tornare alle intese degli ultimi mesi.”

Sono profondamente preoccupato di un’ennesima pericolosa escalation a Gaza e della tragica perdita di vite umane,” ha detto.

I miei pensieri e le mie preghiere vanno alle famiglie e agli amici di tutti quelli che sono stati uccisi, e auguro una rapida guarigione ai feriti.”

L’ultima crisi è arrivata dopo che venerdì altri quattro palestinesi sono rimasti uccisi in due diversi incidenti.

Due di loro sono stati colpiti a morte durante le proteste settimanali della Grande Marcia del Ritorno nei pressi del confine orientale di Gaza, mentre un raid aereo che ha preso di mira un avamposto di Hamas ha ucciso due membri del braccio armato del movimento.

L’esercito israeliano ha affermato che il raid aereo era una risposta a una sparatoria che ha ferito due suoi soldati nei pressi del confine.

Il nostro corrispondente ha detto che un attacco israeliano con un drone nei pressi di un veicolo, che ha ferito tre palestinesi, ha preceduto il lancio di una raffica di razzi.

Da quando Hamas ha preso il controllo del territorio nel 2007 Israele ed Egitto hanno mantenuto un blocco asfissiante contro Gaza.

Dopo pesanti scontri, alla fine di marzo Israele ha accettato di alleggerire il blocco in cambio di un’interruzione del lancio di razzi. Ciò ha incluso l’estensione della zona di pesca lungo le coste di Gaza, un aumento delle importazioni a Gaza e il permesso al Qatar, Stato del Golfo, di consegnare aiuti all’immiserito territorio.

Tuttavia Israele non ha rispettato gli accordi su questi temi e alla fine di aprile ha ridotto l’estensione della zona di pesca.

Varie intese rese note riguardo all’alleggerimento delle restrizioni economiche, alla creazione di lavoro e all’intenzione di aumentare la fornitura di elettricità a Gaza – non c’è stato niente del genere,” ha detto Harry Fawcett.

Circa due milioni di palestinesi vivono a Gaza, la cui economia ha sofferto per anni di blocco così come per il recente taglio agli aiuti. Secondo la Banca Mondiale la disoccupazione arriva al 52% e la povertà è dilagante.

Dal dicembre 2008 Israele ha scatenato tre offensive contro Gaza.

L’ultima guerra, nel 2014, ha gravemente danneggiato le già carenti infrastrutture di Gaza, inducendo le Nazioni Unite ad avvertire che la Striscia sarà “inabitabile” entro il 2020.

Fonte: Al Jazeera e agenzie di notizie

(traduzione di Amedeo Rossi)




L’esercito israeliano ha ucciso un paramedico palestinese, poi ha distribuito un video ingannevole

Middle East Monitor1 maggio 2019

Le forze di occupazione israeliane hanno colpito e ucciso un volontario paramedico durante un’incursione in un campo di rifugiati, dopo di che l’esercito ha diffuso un ingannevole video di propagandistico.

Secondo un’inchiesta del gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem, Sajed Mizher, di 17 anni, è stato colpito all’addome mentre accorreva in aiuto di un abitante ferito. Il 27 marzo, alle 2,30 circa, soldati hanno fatto incursione nel campo profughi di Dheisheh, che si trova a sud di Betlemme, nella parte meridionale della Cisgiordania occupata. I soldati hanno arrestato un abitante, poi si sono ritirati.

Poche ore dopo decine di soldati israeliani hanno di nuovo fatto un raid nel campo e si sono scontrati con abitanti del posto che hanno lanciato pietre contro le forze di occupazione.

Durante questa incursione”, nota B’Tselem, “tre abitanti sono rimasti feriti da proiettili veri – uno alla spalla, un altro a una mano e il terzo a una gamba. Durante entrambe le incursioni era presente un’equipe di paramedici e volontari del campo affiliati alla Palestinian Medical Relief Society [Società Palestinese di Soccorso Medico] (PMRS).”

Mentre i soldati israeliani si stavano ritirando “uno di loro ha sparato a M.J., 20 anni, un abitante del campo, ferendolo a una gamba.” Sajed Mizher, “che portava un giubbotto dell’equipe medica e si trovava poche decine di metri dietro al ferito,” è corso in suo aiuto.

A quel punto un soldato israeliano ha sparato a Sajed all’addome. Portato d’urgenza all’ospedale, un’ora dopo il ricovero Sajed è spirato in conseguenza delle ferite.

Più tardi lo stesso giorno il portavoce dell’esercito israeliano ha reso pubblico un filmato in arabo “che mostrava un paramedico che si toglieva il giubbotto d’identificazione, portava una maglietta bianca e lanciava pietre da un tetto.” Come ha notato B’Tselem, “il video intendeva presumibilmente giustificare il fatto di aver colpito Mizher.”

Tuttavia “l’inchiesta di B’Tselem ha chiaramente scoperto che la persona ripresa nel filmato non era Sajed Mizher, che era stato colpito in un luogo diverso, sulla strada principale del campo di rifugiati.”

Quindi,” aggiunge l’ong, “persino per scopi propagandistici il video che ha pubblicato l’esercito è per lo meno di dubbio valore. Sicuramente non costituisce una spiegazione o una giustificazione per il fatto di aver colpito a morte un volontario paramedico di 17 anni.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Alexandria Ocasio-Cortez ha ragione riguardo all’aiuto ad Israele

Branko Marcetic

19 aprile 2019 , Jacobin Magazine

Israele viola costantemente i diritti umani, uccide giornalisti e ora sta diventando parte dell’alleanza mondiale di estrema destra. Il taglio degli aiuti al Paese dovrebbe essere – a dir poco – “preso in esame”

Alexandria Ocasio-Cortez dice che il taglio degli aiuti a Israele dovrebbe essere “preso in esame” e “può essere discusso”. In realtà questa è una posizione moderata.

Per prima cosa l’aiuto militare USA a Israele sarebbe già da considerarsi illegale in base alle cosiddette “leggi Leahy”. Queste leggi vietano al governo USA di fornire addestramento, equipaggiamento e altre forme di assistenza a qualunque forza di sicurezza straniera commetta “gravi violazioni dei diritti umani”, che includono torture ed uccisioni extragiudiziarie.

Ci sono abbondanti prove che l’esercito israeliano uccide regolarmente manifestanti, compresi adolescenti e medici – spesso da postazioni di cecchini a centinaia di metri di distanza – nonostante la grande quantità di possibilità non letali ed altamente tecnologiche per respingere dimostranti. Si potrebbe andare indietro nel tempo e citare il bombardamento indiscriminato di Gaza, o le frequenti notizie di torture, documentate dalle Nazioni Unite e da altre organizzazioni, a danno di palestinesi. Ma sono sufficienti anche solo le recenti uccisioni da parte di cecchini.

Ma lasciamo perdere quello che stabilisce la legge. Persino in base agli standard morali distorti di Washington Israele ha superato la linea rossa, in quanto lo scorso febbraio l’ONU ha stabilito che durante le proteste dello scorso anno a Gaza le forze israeliano hanno ucciso e ferito giornalisti e medici chiaramente identificabili. L’anno scorso l’uccisione da parte dell’Arabia Saudita di un solo giornalista è stata considerata talmente sconvolgente e vergognosa che il suo governo ha ricevuto per mesi condanne ben meritate, anche da parte di molti che in precedenza sono stati entusiastici sostenitori del regno, portando allo storico tentativo del Congresso di porre fine all’appoggio USA alla guerra del Paese in Yemen. A meno che si sostenga che l’Arabia Saudita sarebbe stata giustificata se avesse semplicemente ucciso Jamal Khashoggi con il tiro di un cecchino, si tratta di doppia morale.

Poi c’è l’elemento politico. Persino un convinto sionista liberal dovrebbe ammettere che l’orientamento delle politiche israeliane sta ora entrando in un nuovo terreno terrificante. Per vincere le ultime elezioni, in primo ministro Benjamin Netanyahu si è alleato a ultranazionalisti di estrema destra che sono talmente dannosi che persino l’AIPAC [il più importante gruppo di pressione Usa a favore di Israele, ndt.] – l’AIPAC!! – ha condannato l’alleanza e si è rifiutata di incontrarli. Netanyahu ha passato gli ultimi anni a ingraziarsi governi di estrema destra e razzisti in Europa, promuovendo il razzismo in patria e cercando di concentrare [su di sè] il potere. Persino Beto O’Rourke, che sembra patologicamente restio ad articolare una posizione politica e ad essere coerente con essa, lo ha chiamato “razzista”.

Non c’è neppure da citare la critica principale a Israele: la sua pluridecennale oppressione del popolo palestinese, il suo spregio nei confronti del processo di pace internazionale e la sua costante violazione delle leggi internazionali riguardo al conflitto.

Se gli americani sono allarmati dalle azioni israeliane – che si tratti dell’uccisione e dei maltrattamenti di persone innocenti, del fatto di prendere di mira giornalisti, dell’avvicinamento all’estrema destra internazionale o del trattamento riservato ai palestinesi – essi hanno una cosa relativamente diretta su cui far leva che possono utilizzare per cercare di modificare il suo comportamento: i miliardi di dollari di aiuti militari ed economici che il governo USA invia ogni anno a Israele, che hanno reso il Paese il maggior beneficiario complessivo dell’assistenza degli USA all’estero dalla Seconda Guerra Mondiale e rappresenta circa un quinto del bilancio nazionale per la difesa. Non c’è nessun altro Paese al mondo che abbia questo tipo di accordo, ancora meno uno Stato di apartheid che ambisce apertamente a diventare membro dell’alleanza internazionale autoritaria e di estrema destra.

Uno dei momenti più patetici della storia della leadership statunitense si è svolto nel 2016. Dopo che Netanyahu ha passato anni ad ignorare le richieste di Obama di bloccare le colonie illegali, ha cercato silenziosamente di far eleggere il suo avversario nel 2012 e ha fatto un discorso senza precedenti e universalmente criticato al Congresso, che non si è mai preoccupato di chiarire con il presidente, nel tentativo di far fallire la sua politica estera, Obama ha punito Israele…negoziando con il Paese il più grande accordo di aiuti militari nella storia degli USA. Perché mai Israele dovrebbe voler cambiare il suo comportamento quando i suoi dirigenti sono stati abituati a capire che non saranno sanzionati da nessun membro della classe politica USA e al contrario saranno ricompensati?

Per cui sì, tagliare o addirittura ritirare l’aiuto a Israele dovrebbe essere – a dir poco – “preso in esame”. Decenni di appoggio finanziario incondizionato ad Israele indipendentemente da quali atrocità abbia commesso o regole violato hanno determinato nei suoi dirigenti la convinzione assolutamente corretta che possono fare tutto quello che vogliono senza conseguenze. È ora di dimostrare loro che si sbagliano.

Sull’autore

Branko Marcetic è un giornalista di Jacobin. Vive a Toronto, Canada.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Rapporto OCHA del periodo 12- 25 marzo (due settimane)

In Cisgiordania, durante il periodo di riferimento, in cinque diversi contesti, sono stati uccisi sei palestinesi e due israeliani; pertanto il numero di palestinesi e israeliani uccisi nel corso di quest’anno sale rispettivamente a 16 e 3 [di seguito il dettaglio].

Il 17 marzo, al raccordo stradale che porta alla colonia di Ariel, vicino a Salfit, un palestinese ha ucciso un soldato e un colono israeliani; prima di fuggire, ha ferito un altro soldato israeliano nei pressi di un vicino incrocio. Dopo l’accaduto, le forze israeliane hanno avviato numerose operazioni di ricerca-arresto ed hanno dispiegato decine di posti di blocco volanti. Due giorni dopo, un’unità israeliana sotto copertura ha fatto irruzione in una casa nel villaggio di Abwein (Ramallah) in cui si nascondeva il presunto colpevole e lo hanno ucciso dopo uno scambio a fuoco. Durante le operazioni di ricerca-arresto, sono scoppiati scontri tra palestinesi e forze israeliane; otto palestinesi sono rimasti feriti nella stessa Abwein e altri 14 nella città di Salfit. Inoltre, in un precedente episodio accaduto il 12 marzo nella città di Salfit, un altro palestinese era stato ucciso, con arma da fuoco, dalle forze israeliane e 40 palestinesi erano rimasti feriti durante scontri scoppiati nel corso di un’operazione di ricerca-arresto. Nello stesso giorno, presso un checkpoint per l’accesso pedonale alla zona H2 di Hebron controllata da Israele, un palestinese di 41 anni è stato ucciso dalle forze israeliane di presidio: l’uomo avrebbe tentato di pugnalare un soldato israeliano (nel 2018, nella stessa zona H2, in accoltellamenti o tentati accoltellamenti, tre palestinesi furono uccisi dalle forze israeliane). Il 20 marzo, altri due palestinesi sono stati colpiti con arma da fuoco e uccisi in una zona in cui erano in corso scontri tra palestinesi e forze israeliane; queste ultime stavano scortando coloni israeliani in visita alla Tomba di Giuseppe, nella città di Nablus; nella circostanza anche un’ambulanza palestinese ha subito danni che le hanno impedito di raggiungere i feriti. In un altro episodio, accaduto il 20 marzo a Betlemme, le forze israeliane hanno sparato, uccidendo un palestinese e ferendone un altro; i due transitavano nelle vicinanze di una torretta militare ad un posto di controllo israeliano; non è chiaro perché i soldati abbiano aperto il fuoco.

Nella Striscia di Gaza, il 22 marzo, in due zone ad est di Gaza e di Al Bureij, in manifestazioni e scontri verificatisi lungo la recinzione perimetrale, due palestinesi sono stati uccisi e altri 350 sono rimasti feriti. Secondo fonti sanitarie palestinesi, 204 di tali feriti sono stati ricoverati in ospedale; tra questi, 93 presentavano ferite da armi da fuoco. In ulteriori proteste e attività riferibili alla “Grande Marcia di Ritorno”, un palestinese è stato ucciso nella zona di Beit Hanoun e altri 69 sono rimasti feriti: questi dati fanno riferimento alle dimostrazioni tenute sulla spiaggia, vicino alla recinzione perimetrale nella parte settentrionale di Gaza, oltre che al tentativo, da parte di una flottiglia di barche, di rompere il blocco navale e ad attività notturne presso la recinzione; nel corso di queste ultime sono stati lanciati ordigni esplosivi contro le forze israeliane. Le forze israeliane hanno lanciato un missile verso una postazione militare ed hanno sparato proiettili di carri armati contro un gruppo di persone che, a quanto riferito, stava lanciando palloni incendiari presso la recinzione: in queste due circostanze sono rimasti feriti altri quattordici palestinesi.

Il 14 marzo, per la prima volta dalle ostilità del 2014, due razzi lanciati dalla Striscia di Gaza hanno colpito Tel Aviv. In risposta, le forze aeree israeliane hanno attuato diversi attacchi aerei, prendendo di mira siti militari e aree aperte di Gaza; sono rimaste ferite quattro persone, tra cui un minore e due donne, una delle quali incinta; i bombardamenti hanno creato gravi danni. Secondo fonti militari israeliane, a Gaza sarebbero stati colpiti100 obiettivi.

Il 25 marzo, nell’area centrale di Israele, sette israeliani sono rimasti feriti ed una casa è stata danneggiata gravemente da un razzo lanciato da Gaza. In seguito a questo episodio, le autorità israeliane hanno chiuso i valichi di Kerem Shalom ed Erez fino a nuovo avviso, consentendo solo transiti di casi urgenti; la zona di pesca consentita è stata ridotta a zero miglia nautiche. Inoltre, l’aviazione israeliana ha colpito diverse località della Striscia di Gaza, tra cui edifici residenziali, uffici, siti militari e aree aperte; secondo i primi rapporti del Gruppo Ripari di Emergenza, due persone sono state ferite e sedici famiglie sono state sfollate, per un totale di 83 persone. Gruppi armati palestinesi hanno sparato decine di proiettili verso il sud di Israele, causando danni.

In situazioni non collegate a manifestazioni, ma contestuali all’applicazione delle restrizioni di accesso, in almeno nove occasioni le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento nelle aree adiacenti alla recinzione perimetrale e al largo della costa di Gaza; ferito un palestinese. In un’occasione, le forze israeliane sono entrate nella Striscia di Gaza ed hanno effettuato operazioni di spianatura del terreno e di scavo vicino alla recinzione perimetrale.

In Cisgiordania, durante il periodo di riferimento, in numerosi scontri, sono stati feriti dalle forze israeliane 75 palestinesi. Tra questi, 26 in due operazioni di ricerca-arresto nel Campo Profughi di Al Jalazoun a Ramallah e nella città di Salfit, rispettivamente il 15 e il 17 marzo. Complessivamente, [nel periodo di riferimento di questo Rapporto,] le forze israeliane hanno condotto 227 operazioni di ricerca-arresto, durante le quali sono state arrestate 200 persone. Il 20 marzo, altri 22 palestinesi sono stati feriti nella città di Al Bireh (Ramallah): protestavano contro l’uccisione di un palestinese, avvenuta il giorno prima ad Abwein [vedi sopra]. Inoltre, durante gli scontri verificatisi nell’area H2 di Hebron [vedi sopra], 20 studenti e cinque insegnanti hanno avuto bisogno di trattamento sanitario a seguito del lancio di lacrimogeni dentro la loro scuola da parte delle forze israeliane. Nella Città Vecchia di Gerusalemme, sette palestinesi sono stati aggrediti fisicamente e feriti dalle forze israeliane dopo che una stazione di polizia situata nel Complesso della Moschea di Al Aqsa aveva subito danni a causa di un incendio che, a quanto riferito, sarebbe stato appiccato deliberatamente da palestinesi. Il Complesso è stato chiuso per un breve periodo. Complessivamente, quasi due terzi delle lesioni provocate negli scontri verificatisi nel periodo di riferimento sono state causate da inalazione di gas lacrimogeno richiedente cure mediche, il 25% da proiettili di gomma, l’8% da aggressioni fisiche e il 3% da armi da fuoco.

Vi è stato un aumento della violenza dei coloni; sarebbe da collegare all’uccisione dei due israeliani avvenuta il 17 marzo [vedi sopra]; attribuiti a coloni 13 episodi che hanno portato al ferimento di cinque palestinesi e danni a proprietà palestinesi. In due di tali episodi, avvenuti a Nablus e Jenin, coloni hanno lanciato pietre contro veicoli palestinesi in transito sulla Strada 60 e vicino alla colonia di Homesh, ferendo quattro palestinesi, inclusa una donna. Un’altra donna è stata aggredita fisicamente da coloni nella zona di Tel Rumeida a Hebron. In altri otto episodi, coloni hanno fatto irruzione nei villaggi di Burqa, Burin e Asira al Qibliya (Nablus), Kifl Haris (Salfit), Jinsafut (Qalqiliya), Saffarin (Tulkarm) e Battir (Betlemme), vandalizzando almeno 30 auto di palestinesi e causando danni a tre case. Altri 28 veicoli [palestinesi] sono stati vandalizzati da coloni nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est.

Sempre in Cisgiordania, per la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito 25 strutture di proprietà palestinese, sei delle quali erano state donate; le demolizioni hanno costretto allo sfollamento 35 persone e più di 500 altre sono state coinvolte. Nove delle strutture sono state demolite in Area C, in cinque Comunità dei governatorati di Betlemme e Hebron; le rimanenti si trovavano a Gerusalemme Est. In un caso, nel quartiere di Shu’fat, le forze israeliane hanno demolito una scuola elementare in costruzione; si trattava di un ampliamento di una scuola preesistente che, nel prossimo anno scolastico, avrebbe dovuto ospitare 450 studenti.

Secondo quanto riportato da media israeliani, in due episodi, palestinesi hanno causato danni a tre veicoli appartenenti a coloni israeliani [di seguito il dettaglio]. Il 20 marzo, palestinesi hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani che viaggiavano nei pressi del villaggio di Beit Sira (Ramallah), causando danni a due auto; nello stesso giorno hanno lanciato pietre contro la metropolitana leggera a Shu’fat (Gerusalemme).

Secondo gruppi per i Diritti Umani, tra il 14 e il 18 marzo, nel corso di proteste a Gaza, centinaia di persone sono state arrestate e altre sono state aggredite fisicamente e ferite dalle forze di Hamas. Le manifestazioni erano state organizzate contro le condizioni disastrose e l’alto costo della vita ed hanno visto l’incendio di pneumatici, la costruzione di barricate, il lancio di pietre e scontri con le forze di Hamas.

Durante il periodo di riferimento, il valico di Rafah tra Gaza e l’Egitto, sotto controllo egiziano, è rimasto aperto in entrambe le direzioni per sette giorni e in una sola direzione per altri due giorni, per consentire l’uscita dei pellegrini. Un totale di 2.635 persone sono entrate a Gaza, tra cui 641 pellegrini, e ne sono uscite altre 3.714, tra cui 1.539 pellegrini.

Ultimi sviluppi

Nella Striscia di Gaza e nel sud di Israele si è registrata una significativa intensificazione delle ostilità: questo dopo che, il 25 marzo, da Gaza era stato lanciato un razzo che ha danneggiato gravemente una abitazione nell’area centrale di Israele ed ha ferito sette israeliani [vedi soprastante Rapporto]. Nonostante le segnalazioni di un cessate il fuoco negoziato dall’Egitto, le ostilità sono proseguite durante la notte del 26 marzo; dal 27 marzo pare subentrata una relativa calma.

Nelle prime ore del mattino del 27 marzo, durante scontri nel Campo Profughi di Duheisheh (Betlemme), un 18enne palestinese, in servizio sanitario volontario, è stato ucciso con arma da fuoco dalle forze israeliane.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

la versione in italiano è scaricabile dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




‘Il nostro popolo non cederà’: Gaza celebra l’anniversario delle proteste

Rana Shubair e Maram Humaid

30 marzo 2019, Al Jazeera

Quattro persone uccise, centinaia ferite dalle forze israeliane che utilizzano proiettili veri e gas lacrimogeni contro i manifestanti della Grande Marcia del Ritorno

Decine di migliaia di palestinesi si sono radunati alla barriera tra Israele e Gaza per celebrare il primo anniversario delle proteste della Grande Marcia del Ritorno, affrontando i carri armati e le truppe israeliane ammassati lungo il perimetro fortificato.

Secondo fonti del ministero della Salute di Gaza, sabato le forze israeliane hanno impiegato proiettili veri, pallottole rivestite di gomma e gas lacrimogeni contro i manifestanti, uccidendo tre diciassettenni e ferendo almeno 207 persone.

Tamer Aby el-Khair è stato colpito al petto ad est di Khan Younis nel sud di Gaza ed è morto in ospedale, ha comunicato il ministero. Il secondo ragazzo, Adham Amara, è deceduto dopo essere stato colpito al volto ad est di Gaza City.

Il terzo, Belal al-Najjar, secondo funzionari di Gaza è stato ucciso da un colpo di fucile israeliano. Un quarto palestinese, identificato come il ventenne Mohamed Jihad Saad, è stato ucciso durante una protesta nella notte precedente alla manifestazione principale.

I palestinesi chiedono il diritto al ritorno nelle terre da cui le loro famiglie furono espulse con la forza durante la creazione di Israele nel 1948. Chiedono anche la fine dell’assedio israeliano ed egiziano a Gaza che dura da 12 anni.

Marceremo verso il confine anche se moriremo”, ha detto Yusef Ziyada, di 21 anni, con il volto dipinto coi colori della bandiera palestinese. “Non ce ne andremo. Ritorneremo nella nostra terra.” Nonostante la forte pioggia, circa 40.000 persone si sono radunate nella zona di confine, ha detto l’esercito israeliano.

[Ashraf Amra/Anadolu]

La maggior parte dei manifestanti si è tenuta lontana dalla barriera, ma alcuni hanno lanciato pietre e ordigni esplosivi verso la struttura e hanno incendiato copertoni, ha dichiarato l’esercito, aggiungendo di aver reagito con “mezzi antisommossa e spari, conformemente alle procedure operative standard.”

Descrivendo la marcia come “del tutto pacifica”, Mohammed Ridwan, un manifestante di 34 anni che lavora in un gruppo di esperti a Gaza, ha detto a Al Jazeera che l’enorme affluenza di sabato è stata “una chiara dimostrazione che il nostro popolo non tornerà indietro fino a che non otterrà i propri legittimi diritti.”

Bahaa Abu Shammal, un attivista ventiseienne, ha detto che si trovava nel luogo della protesta “a grande distanza dalla barriera di separazione”, eppure è stato quasi “soffocato dai gas lacrimogeni israeliani”.

Ha detto ad Al Jazeera: “Dobbiamo rompere il brutale assedio che stiamo subendo. Vogliamo tornare nelle nostre terre occupate.”

Minori uccisi’

L’anno scorso la barriera è stata teatro di proteste di massa e di una grande carneficina in cui sono stati uccisi più di 260 palestinesi, soprattutto dal fuoco di cecchini. Secondo il ministero della Salute di Gaza circa altri 7000 sono stati colpiti e feriti.

L’associazione per i diritti Save the Children ha dichiarato che tra gli uccisi vi sono 50 minori. Altri 21 adolescenti hanno avuto le gambe amputate e molti altri sono stati resi disabili permanenti, ha detto il direttore regionale dell’associazione, Jeremy Stoner.

Giovedì, esprimendo profonda preoccupazione per la morte dei ragazzini palestinesi, Stoner ha detto: “Temiamo che oggi altri minorenni potrebbero essere feriti o uccisi.”

La tregua tra Hamas e Israele

L’anniversario della Grande Marcia del Ritorno cade a pochi giorni di distanza da un grave scoppio di violenze tra Israele e Hamas, che governa Gaza. L’Egitto ha cercato di mediare tra le due parti nel tentativo di frenare le violenze ed evitare il tipo di risposta letale da parte dell’esercito israeliano che ha accompagnato le precedenti proteste.

Harry Fawcett di Al Jazeera, citando il giornale al-Risalah legato a Hamas, ha detto che l’organizzazione ha raggiunto un accordo con Israele per ridurre le tensioni nella Striscia di Gaza.

Secondo il giornale al-Risalah, le concessioni israeliane comprendono l’aumento del finanziamento del Qatar da 15 a 40 milioni di dollari al mese per il pagamento dei salari; l’estensione della zona di pesca da 9 a 12 miglia nautiche; l’incremento della fornitura di elettricità da Israele a Gaza; l’approvazione di un importante progetto di desalinizzazione”, ha detto Fawcett, che scrive da una zona a est di Gaza City.

In cambio, Israele ha chiesto lo stop al lancio di razzi, come quello che lunedì ha distrutto la casa di una famiglia a nord di Tel Aviv, ferendo sette persone e scatenando una nuova escalation.”

Abdullatif al-Kanoo, un portavoce di Hamas, ha confermato questo accordo, dicendo che i mediatori egiziani “sono riusciti ad ottenere l’approvazione” di Israele all’alleggerimento delle restrizioni sul lavoro, la pesca, l’elettricità e gli aiuti dal Qatar.

Nei prossimi giorni verrà stabilito un calendario per l’attuazione di quanto è stato concordato”, ha detto ad Al-Jazeera.

Nel frattempo, alla vigilia delle proteste per l’anniversario, gli organizzatori hanno diffuso istruzioni ai manifestanti invitandoli a tenersi a distanza di sicurezza dai fucili israeliani, a seguire le indicazioni degli organizzatori sul campo, ad astenersi da azioni aggressive e a non bruciare copertoni, una mossa considerata un segnale che l’accordo mediato dall’Egitto potrebbe essere rispettato.

I funzionari della sicurezza di Hamas sul luogo della protesta sono stati visti indossare per la prima volta uniformi militari, mentre raccoglievano le gomme e le portavano via.

Sembra che siano qui per rafforzare l’accordo, per assicurare che nessuno dia fuoco a queste gomme”, ha detto Fawcett.

Israele, che ha inviato altre truppe e carri armati al confine, vuole anche la fine dei lanci degli aquiloni incendiari e la garanzia di calma vicino alla barriera.

Non vi è stato alcun commento da parte israeliana al presunto accordo.

Tra quanti anni le nostre vite saranno migliori?

Le proteste della Grande Marcia del Ritorno sono iniziate il 30 marzo dell’anno scorso dopo che le associazioni della società civile a Gaza hanno chiamato ad un’azione contro il durissimo assedio di 12 anni contro l’enclave.

Le agenzie umanitarie accusano l’assedio di aver impoverito Gaza, dove i tassi di povertà e di disoccupazione sono alti. Secondo le Nazioni Unite più del 90% dell’acqua non è potabile, mentre i due milioni di abitanti di Gaza ricevono meno di 12 ore di elettricità al giorno.

Il 30 marzo segna anche il Giorno della Terra – la commemorazione annuale della morte nel 1976 di sei palestinesi che protestavano contro la confisca della loro terra per costruire comunità ebraiche.

Entro un anno finirò la scuola. Mio padre è disoccupato, per cui non potrò andare all’università. Chi ne è responsabile? Israele”, ha detto il manifestante Mohammed Ali, di 16 anni. “Non so quanti anni ci vorranno prima che le nostre vite migliorino, ma continueremo (le proteste) fino a quando ci saranno l’occupazione e l’assedio”, ha detto all’agenzia di stampa Reuters. L’uso di forza letale da parte di Israele contro i manifestanti è stato censurato dalle Nazioni Unite e dalle associazioni per i diritti.

Un’indagine dell’ONU ha riscontrato che, mentre alcuni dimostranti hanno usato la violenza, la grande maggioranza era disarmata e pacifica. Essa afferma che le forze israeliane potrebbero essere incolpate di crimini di guerra per l’uso eccessivo della forza.

Tutti gli israeliani devono sapere che, se sarà necessaria una campagna [militare] complessiva, noi la condurremo con forza e in sicurezza e dopo aver esaurito tutte le altre opzioni”, ha detto Netanyahu. Anche Hamas è sotto pressione politica interna.

All’inizio del mese, invece di andare al confine, i manifestanti sono scesi in piazza contro gli aumenti dei prezzi e delle tasse. Le forze di sicurezza di Hamas hanno represso le manifestazioni con pestaggi e arresti.

Al centro di queste proteste c’era lo stesso senso di frustrazione che da un anno ha spinto migliaia di persone sul confine, settimana dopo settimana.

Rana Shubair e Maram Humaid hanno contribuito al reportage da Gaza.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




“Sparare per menomare”: come Israele ha creato una generazione con le stampelle a Gaza

Dania Akkad

29 marzo 2019, Middle East Eye

Medici dicono a MEE che le ferite invalidanti, soprattutto agli arti inferiori, dei manifestanti palestinesi sono state inflitte deliberatamente.

Medici in prima linea hanno detto a Middle East Eye che cecchini israeliani hanno intenzionalmente mutilato palestinesi che protestavano a Gaza lo scorso anno, creando una generazione di giovani disabili e sconvolgendo il già disastrato sistema sanitario del territorio.

Secondo l’inchiesta delle Nazioni Unite resa pubblica questo mese, oltre l’80% dei 6.106 manifestanti della Grande Marcia del Ritorno feriti nei primi nove mesi è stato colpito agli arti inferiori.

Il rapporto ne conclude che i soldati israeliani hanno intenzionalmente sparato a civili e potrebbero aver commesso crimini di guerra con la loro durissima risposta alle proteste tenutesi periodicamente a Gaza dal 30 marzo 2018.

Operatori sanitari affermano che le caratteristiche ricorrenti delle ferite mostrano che i soldati israeliani hanno intenzionalmente sparato per menomare i manifestanti, molti dei quali sono giovani ventenni e ora hanno necessità di cure mediche a lungo termine.

“Il soldato sa esattamente dove sta sparando il proiettile. Non è casuale. È del tutto intenzionale, è decisamente pianificato,” dice Ghassan Abu Sitta, professore di chirurgia dell’Università Americana di Beirut (UAB), che lo scorso maggio per tre settimane ha curato manifestanti feriti all’ospedale Al-Awad di Gaza.

“Quando hai un numero così alto di ferite praticamente identiche, quando molti pazienti erano a 150 metri di distanza, non a diretto contatto con i soldati israeliani, ti rendi conto che questa è una politica intenzionale piuttosto che un danno involontario,” dice a MEE Abu Sitta.

Marie-Elisabeth Ingres, capo missione di Medici senza Frontiere (MSF) concorda: “È ovvio. Quando hai quasi il 90% di persone ferite agli arti inferiori, significa che c’è la decisione politica di prendere di mira gli arti inferiori,” afferma.

MEE ha chiesto all’esercito israeliano se i soldati hanno intenzionalmente ferito i manifestanti. Sottolineando le condizioni nelle quali i soldati operano – che includono il fatto di essere sotto tiro, i tentativi dei manifestanti di entrare in Israele, i copertoni bruciati, il lancio di pietre e di bottiglie molotov – un portavoce ha detto a MEE via posta elettronica: “”L’IDF [l’esercito israeliano, ndt.] usa proiettili veri solo come ultima risorsa e in base a regole che rispettano le leggi internazionali.” Il portavoce ha anche indicato a MEE una pagina di “Domande Frequenti” [nel sito dell’IDF, ndt.] sulle proteste.

Tra i più di 6.000 palestinesi feriti ci sono un calciatore la cui carriera è finita, uno studente di giornalismo a cui è stata amputata la gamba destra e una studentessa di 16 anni che quando è stata colpita stava sventolando una bandiera palestinese.

Secondo gli ultimi dati del ministero della Sanità di Gaza almeno 136 di loro hanno subito l’amputazione di arti, 122 dei quali solo agli arti inferiori.

Ma i dati non danno il quadro completo delle difficoltà che i manifestanti feriti, che soffrono di lesioni dolorose, e i loro familiari devono affrontare, in quanto la grande maggioranza vive in povertà, dice Bassem Naim, che è stato ministro della Sanità di Gaza dal 2006 al 2012.

“Sinceramente è una catastrofe. Molti dei feriti rimarranno per sempre disabili,” dice Naim. “Portarli da casa all’ospedale ogni giorno per la riabilitazione o le cure? È un onere veramente pesante.”

“Vivo al nono piano e praticamente ogni giorno non c’è elettricità da dodici a sedici ore. Si può immaginare cosa vuol dire per un giovane senza una gamba?”

Non è cambiata solo la vita di migliaia di manifestanti e delle loro famiglie, ma anche il sistema sanitario di Gaza in difficoltà è sottoposto a forti tensioni in seguito alle cure intensive necessarie per il trattamento delle ferite alle gambe.

Il personale sanitario teme che, con manifestazioni di massa previste questo fine settimana per commemorare un anno dall’inizio della Grande Marcia del Ritorno, il collasso del sistema possa essere imminente.

Caratteristiche ricorrenti delle ferite

Il 30 marzo 2018 decine di migliaia di palestinesi hanno protestato lungo il confine di 65 km con Israele, rivendicando il diritto di tornare alle case da cui le loro famiglie scapparono nel 1948 e la fine dell’assedio di 11 anni contro il territorio costiero palestinese.

Praticamente appena le proteste sono iniziate, i soldati israeliani hanno cominciato a sparare ai manifestanti a corta distanza con fucili di precisione. Alla fine di quel primo giorno di proteste sono rimasti uccisi 16 palestinesi e almeno altri 400 sono stati feriti da colpi di arma da fuoco.

Da allora quella che era prevista come una campagna di sei settimane si è prolungata per un anno, durante il quale almeno 197 palestinesi sono stati uccisi e 29.000 feriti. Secondo l’ONU nello stesso periodo due israeliani sono rimasti uccisi e 56 feriti.

Uno ogni quattro palestinesi feriti è stato colpito con proiettili veri, e la grande maggioranza alle gambe.

Uno di loro è stato il trentunenne Mohammed al-Akhras.

Akhras, che lavorava come fabbro, dice di aver deciso di unirsi alle proteste in seguito al fatto di essere stato torturato durante sei anni di detenzione in prigioni israeliane.

Quando le forze israeliane lo hanno arrestato e accusato di essere coinvolto in operazioni militari con fazioni armate palestinesi aveva 19 anni e stava cacciando uccelli sul confine orientale di Rafah, nel sud di Gaza.

È stato rilasciato nel 2013, ma il vivo ricordo e la frustrazione derivanti dal suo arresto e dalla sua detenzione lo hanno spinto a manifestare, dice.

Akhras racconta che il 18 maggio stava protestando come altri attorno a lui e non stava facendo niente di speciale quando due proiettili esplosivi – che scoppiano all’impatto squarciando i tessuti e le ossa – hanno colpito la sua gamba sinistra.

Aveva bisogno di un’operazione urgente, ma ci sono voluti due mesi prima che potesse essere operato – in Egitto.

Le autorità israeliane non gli hanno consentito di viaggiare attraverso il valico di Erez per essere operato in Giordania a causa del fatto che in precedenza era stato un detenuto.

“Dopo vari tentativi sono riuscito a andare in Egitto, e dopo che la tumefazione della mia gamba ha raggiunto il punto limite,” dice. A quel punto i dottori sono stati obbligati ad amputarla.

Secondo il rapporto dell’ONU e come sottolineato dal portavoce dell’esercito israeliano, le regole d’ingaggio delle forze di sicurezza israeliane consentono ai soldati di sparare ai manifestanti “come ultima risorsa nel caso di imminente pericolo di vita o di ferite di soldati o civili israeliani.”

Ma medici internazionali e palestinesi che hanno parlato con MEE affermano di aver visto colpire manifestanti anche quando questi non minacciavano i soldati.

L’ex ministro della Sanità di Gaza Naim dice di essere stato presente alla protesta l’8 febbraio con suo figlio di 14 anni e un gruppo di amici. Lì vicino un amico del ragazzo stava masticando semi di girasole e guardando la manifestazione a circa 100 o 150 metri dalla barriera con Israele.

“Improvvisamente hanno visto un ragazzino che cadeva, e quando sono corsi da lui lo hanno trovato in una pozza di sangue ed era stato colpito al collo,” dice.

“Ti posso mandare ore di video di attività culturali (durante le proteste) e al contempo vedrai qualcuno, soprattutto giovani, che cercano di lanciare pietre o di attraversare la barriera. Bene, ma posso dire che nel 99,9% dei casi non c’era alcuna minaccia per i soldati.”

Pur non essendo più direttamente coinvolto in campo medico, Naim sostiene di credere che i soldati israeliani abbiano intenzionalmente mutilato manifestanti – sia in base a quello che ha visto durante le manifestazioni di quest’anno che alla sua esperienza come medico durante la Seconda Intifada.

Durante quella rivolta all’inizio degli anni 2000, quando lavorava all’ospedale Naser di Khan Younis, Naim dice che c’erano evidenti caratteristiche costanti delle ferite inflitte dai cecchini israeliani.

“Un giorno c’erano solo gambe, un altro solo glutei, un terzo giorno solo toraci,” dice.

“Se vogliono spezzare la forza di volontà di un popolo, allora sparano con l’obiettivo di uccidere. Ma a volte, se non vogliono che le cose sfuggano al controllo, sparano, ma cercano di evitare di uccidere persone colpendo le gambe, le mani.”

Naim crede che i cecchini abbiano utilizzato, circa due decenni dopo, la stessa precisione ora sulla frontiera di Gaza.

“Ne posso essere certo perché alcuni venerdì ci sono uno, due o tre martiri, e a volte ce ne sono 50 o 25, perché vogliono esercitare più pressione,” dice.

Sistema sanitario al collasso

Oltre alle crescenti questioni sconvolgenti riguardo alle tattiche dell’esercito israeliano, la Grande Marcia del Ritorno ha messo sotto rinnovata pressione il sistema sanitario in difficoltà, in quanto migliaia di manifestanti feriti vi sono regolarmente portati per cure urgenti.

Il dottor Medhat Abbas, direttore dell’ospedale Al-Shifa di Gaza City, descrive il 14 maggio dello scorso anno come uno dei giorni peggiori che l’ospedale abbia mai vissuto.

Ore dopo che il presidente USA Donald Trump aveva aperto la nuova ambasciata USA a Gerusalemme e sono scoppiate manifestazioni di rabbia in seguito al suo spostamento, sono arrivati all’Al-Shifa circa 500 palestinesi feriti, quasi quanti ne può ospitare l’ospedale, con 760 letti.

I pazienti giacevano a terra e nei corridoi mentre i chirurghi, troppo pochi e con mezzi insufficienti, hanno lavorato 24 ore al giorno in tutte le 14 sale operatorie dell’ospedale.

“È stata una giornata nera nel ricordo dei palestinesi,” dice Abbas a MEE, rispondendo alle domande con messaggi registrati di WhatsApp nelle ore più strane, troppo impegnato per un’intervista telefonica.

Nel campo di rifugiati d Jabaliya Abu Sitta, docente di chirurgia all’Università Americana di Beirut, lavorava all’ospedale Al-Awda proprio perché era uno dei principali luoghi della manifestazione.

“Sapevamo che quel numero [di pazienti] che vedevamo ogni venerdì sarebbe aumentato il giorno dello spostamento dell’ambasciata,” dice.

Non era solo lo Shifa ad essere sovraffollato: tra le 16 e le 20 di quel giorno 3.400 manifestanti vennero feriti, 1.000 in più del numero totale dei letti negli ospedali di Gaza, dice Abu Sitta.

Alla fine della giornata 68 persone erano state uccise o avevano subito ferite mortali a causa delle quali in seguito sono decedute.

Il sistema sanitario di Gaza era già indebolito in seguito all’assedio di 11 anni che ha limitato l’afflusso nel territorio di apparecchiature mediche, rifornimenti e medici, in particolare quelli specializzati in chirurgia.

Ma l’alto numero di vittime in giorni come il 30 marzo o il 14 maggio ha lasciato negli ospedali di Gaza un peso duraturo. Ferite da arma da fuoco alle gambe, soprattutto quelle provocate da pallottole dei cecchini sparate a corta distanza, possono richiedere fino a nove interventi chirurgici per essere curate, dice Abu Sitta.

Cosa succede quando proiettili di cecchini colpiscono le gambe

Il danno provocato da un proiettile dipende dalla velocità alla quale si muove la pallottola, con la velocità cinetica che si trasferisce ai tessuti, dice Ghassan Abu Sitta, docente di chirurgia all’Università Americana di Beirut.

“Quando usi un fucile di precisione – che è un fucile da guerra ad alta velocità – si tratta del proiettile più veloce che ci sia perché può percorrere fino a 3 km,” afferma.

“Perciò quando spari a qualcuno a 50 o 100 metri, la maggioranza dell’energia cinetica è ancora nel proiettile.”

Secondo Medici Senza Frontiere, in metà dei casi di ferite alle gambe che hanno trattato a Gaza dallo scorso marzo, i pazienti avevano fratture esposte complicate, cioè l’osso è esposto all’aria e c’è il rischio che si infetti.

Molti hanno anche gravissimi danni ai tessuti e ai nervi e perdono parti importanti delle ossa delle gambe.

Un medico di MSF dice che in metà dei casi che ha visto l’osso “era letteralmente polverizzato”.

Questo tipo di ferite richiede una serie di interventi chirurgici, a volte fino a nove, dice Abu Sitta.

“Ciò significa mesi e forse anni di cure. Quindi ciò vuol dire che hanno molto dolore, stanno soffrendo molto,” afferma Marie-Elisabeth Ingres, capo missione di MSF a Gerusalemme.

La maggioranza di quelli che sono feriti avranno effetti collaterali per il resto della loro vita, compresi irrigidimento degli arti, paralisi e, per alcuni, amputazione.

“Pensi al numero di interventi chirurgici ortopedici e plastici necessari per fare una chirurgia ricostruttiva sull’80% dei 6.500 (pazienti feriti),” afferma.

“Supera le capacità di risorse umane di Gaza. Supera il numero di ore di sala operatoria a disposizione, in termini di materiali, di medicazioni, di riabilitazione. E lo scopo è di sovraccaricare totalmente il sistema. C’è l’intenzionalità di menomare.”

Se i medici non possono spostarsi rapidamente per aiutare i feriti, questi possono patire complicazioni per il resto della loro vita, dice Ingres di MSF.

“Siamo in difficoltà perché temiamo che, se non si reagisce con sufficiente impegno, migliaia di persone potrebbero rimanere disabili,” sostiene.

“Già 200 persone hanno subito amputazioni, e se non siamo in grado di curarle domani, cioè tra i giovani, molti di loro saranno disabili perché non siamo riusciti a salvare le loro gambe, e ciò si potrebbe fare.”

Le ferite alle gambe hanno anche suscitato preoccupazioni riguardo alla resistenza agli antibiotici a Gaza. Ingres afferma che MSF stima che almeno 1.200 persone possono aver sviluppato infezioni alle ossa, che richiedono sei settimane di ospedalizzazione e antibiotici di alto livello prima di ogni operazione.

“Quindi sappiamo già che il trattamento sarà lungo e molto costoso,” dice.

Il tributo di una generazione

Oltre ai vari livelli di crisi sanitaria a Gaza, dicono i medici, ci sono le conseguenze a lungo termine di una generazione di disabili palestinesi, molti dei quali ventenni.

“I media diranno ‘oggi due, tre palestinesi morti, 500 feriti’. Ma in realtà questi 500 sono condannati a una vita di disabilità, di disoccupazione e ad anni di dolorose operazioni chirurgiche,” afferma Abu Sitta.

“È anche un problema psicologico,” aggiunge Ingres, “perché ora i giovani capiscono che sarà molto difficile per loro.”

“La maggioranza voleva solo manifestare per mostrare che hanno il diritto di esistere come chiunque altro al mondo. E oggi, dopo un anno, cos’hanno ottenuto? Non hanno niente.”

Ingres sostiene che lo spettro di una grande manifestazione per commemorare il primo anniversario della Grande Marcia del Ritorno è preoccupante.

“Ad essere sinceri, se ci sarà un nuovo massiccio numero di feriti nessuno riuscirà a gestire Gaza,” dice. “Sarà un disastro.”

Ma pur avendo una chiara comprensione dei rischi in cui incorrono per protestare vicino alla frontiera, i giovani palestinesi hanno continuato a protestare, con l’invito a un milione di persone perché sabato si uniscano alla marcia di commemorazione.

Akhras, il trentunenne colpito a una gamba lo scorso maggio, potrebbe essere tra i manifestanti, nonostante il fatto che la sua vita sia drammaticamente cambiata da quando è stato ferito.

Non più in grado di guadagnarsi da vivere come fabbro, Akhras ha ricevuto uno stipendio dall’Autorità Nazionale Palestinese per persone ferite fino a due mesi fa, quando è stato sospeso e lui è rimasto in condizioni economiche difficili.

Sua moglie, Haneen al-Qutati, di 23 anni, contribuisce al sostentamento della coppia con il suo lavoro di infermiera, e il loro primo figlio nascerà a breve. Nel frattempo, grazie a un’organizzazione che aiuta persone disabili, Akhras si sta formando come falegname.

Dice di sentire spesso il dolore della ferita, ma non vuole prendere antidolorifici per il timore di diventarne dipendente. Non ha ancora una gamba artificiale e per spostarsi usa le stampelle.

“Alla sera ho forti dolori, ma cerco di far vedere a mia moglie che non mi fa male,” dice. “Qualcuno mi guarda con compassione. È una sensazione penosa per mia moglie.”

Ciononostante durante molti degli ultimi venerdì è uscito per unirsi alle proteste nei pressi di Rafah, ancora deciso a manifestare.

“Voglio che i giovani dimostrino una grande volontà,” afferma. “L’occupazione li prende deliberatamente di mira e vuole che una giovane generazione di palestinesi cammini con le stampelle.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Rischio di carneficina e Medio Oriente in fiamme

Patrizia Cecconi

29/03/2019, Pressenza

Domani 30 marzo, Giornata della Terra e anniversario dell’inizio della Grande marcia per il ritorno, sarà un giorno importante, forse tragicamente importante, in Palestina.  Gaza è sotto i riflettori perché lì si gioca la parte più dura della partita, ma ci saranno manifestazioni in tutta la Palestina  e quel che succederà domani avrà ripercussioni in Israele, sempre più vicino alle elezioni, ma andrà anche oltre Israele.

Ormai tutto il Medio Oriente, tra accordi e disaccordi, alleanze che un tempo sarebbero sembrate improbabili e  alleanze tradizionali, devastazioni  per mano dell’Occidente e assestamenti precari,  tutto il M.O. si è trasformato in una polveriera.

In tutto questo Israele ha una sua parte importante, in particolare in Siria dove, nel silenzio o con l’approvazione  sia di alcuni paesi arabi che di paesi occidentali, ha effettuato circa 800 raid per colpire quello che è il suo nemico principale: l’Iran. E l’Iran prima o poi risponderà.  Il giornale israeliano Haaretz oggi titolava  che la repubblica islamica sta dichiarando guerra a Israele, ma in modo trasversale, attraverso Gaza. Praticamente lo farebbe fornendo armi ad uno dei partiti della resistenza armata, il Jihad islamico, i cui  missili non sono più i “razzetti” artigianali che facevano solo boom. Ma anche Hamas, sebbene meno ricco di forniture simili, può contare su missili che non sono più solo razzetti artigianali e gli ultimi lanci, che siano stati accidentali, o pilotati da provocatori e strumentali ad altro come ad esempio le elezioni israeliane, o spediti come test deterrente – tutte ipotesi verosimili – lo hanno dimostrato, e la partita che si giocherà domani dovrà tenerne conto.

Israele ha già comunicato che farà fucilare chiunque si avvicini alla recinzione. Lo ha sempre fatto e domani forse lo farà con maggiore zelo. Lungo i circa 40 km che segnano la linea dell’assedio via terra, Israele ha dislocato mezzi corazzati in quantità impressionante e il premier dello Stato ebraico ha dichiarato che non esclude la possibilità di un attacco da terra (quindi contro la popolazione civile). Una minaccia  contro ogni norma del Diritto internazionale, visto che la Striscia è sotto assedio, ma Israele può tutto.

Intanto la popolazione di Gaza si sta organizzando. C’è grande eccitazione. Parteciperanno sicuramente in tanti e non certo perché lo vuole Hamas come lascia intendere Israele. Anzi, si ha motivo di ritenere che Hamas avrebbe raffreddato e forse fermato la marcia, se avesse potuto. Questo ce lo ricordano anche alcuni degli intervistati.

Ricordiamo che la Marcia NON è “di” Hamas, per quanto ovviamente la componente del partito al governo abbia una voce importante all’interno del comitato organizzatore, come ci dice Yousef Hammash,  giornalista di Gaza. Oltre a Y. Hammash abbiamo sentito molte altre voci dal nord al sud, interviste raccolte necessariamente per telefono visto che per motivi di sicurezza chi scrive è stata fatta uscire dalla Striscia. Alcuni degli intervistati hanno chiesto l’anonimato e rispettiamo, ovviamente,  la loro volontà, mentre Y. Hammash e il dr. Said Sehweil dell’ospedale Al Awda ci hanno autorizzato a riportare i loro nomi.

Per tutti la giornata di domani è un’incognita, e tutti temono il peggio. Il dr. Said comunica che l’UHWC di cui fa parte l’ospedale Al Awda ha 6 punti di emergenza dislocati da Nord a Sud e sono tutti in stato di allerta temendo un grande afflusso di feriti. Inoltre vi sono i  team di primo soccorso che, insieme a tutte le altre organizzazioni sanitarie, dalla Mezzaluna Rossa all’UHCC, saranno direttamente lungo il border.  Il dr.Said dice anche che alla manifestazione parteciperà la delegazione egiziana responsabile della mediazione tra Gaza e Israele, con la chiara intenzione di monitorarla e di evitare che si verifichi la carneficina che molti temono.

La delegazione ha raggiunto alcuni risultati, ma ciò che viene offerto per tacitare i gazawi è lontanissimo da ciò che ha dato inizio alla Grande marcia e il governo locale si trova stretto ancora una volta in un cul de sac, tra l’accettare gli aiuti per migliorare la situazione economicamente critica della popolazione – motivo delle manifestazioni di malcontento – e rispettare gli obiettivi che hanno  dato vita un anno fa a questa straordinaria iniziativa di protesta, sostanzialmente pacifica, da parte palestinese, costata finora 256 vite, di cui circa 50 bambini,  e un numero impressionante di feriti.

Come dice Y. Hammash “gli accordi non rispettano  quello che noi vogliamo e gli egiziani non sono onesti con i gazawi. Loro vogliono che domani sia una giornata calma, hanno ottenuto che Israele faccia  passare tramite Erez il denaro del Qatar per pagare gli stipendi  degli impiegati governativi. Per Israele è un periodo sensibile a causa delle elezioni del prossimo 9 aprile e questo determina molte scelte” . Quindi Hamas accetterebbe la mediazione egiziana? chiedo.  “Hamas non può convincere 2 milioni di persone per un po’ di denaro. Gli egiziani stavano chiedendo ad Hamas di fare pian piano le mosse giuste per tenere i dimostranti sotto controllo  e impedire loro di avvicinarsi alla recinzione.”  Vuoi dire che verrebbe accettato il denaro contro la richiesta di dignità? “Esatto.  Hamas deve capire che non è questione di denaro e se domani ci saranno più di 10.000 persone nessuno potrà tenerle sotto controllo e forse ci saranno un sacco di martiri”.

Chiedo a Yousef se appartiene a qualche formazione politica e la risposta è negativa, nessun partito né ora né in passato e aggiunge che domani andrà alla marcia “perché domani è un giorno speciale”. Domani, me lo hanno confermato molte altre persone, uomini e donne,  di diversa e di nessuna appartenenza politica, andranno alla marcia perché domani è una questione di dignità e nessuno dei numerosi intervistati  è disposto ad accettare il controllo sui partecipanti richiesto dall’Egitto (e quindi da Israele) ad Hamas.  Andranno i ragazzi che hanno come interesse prioritario lo skateboard, andranno le donne che sono determinatissime e porteranno figli e figlie. Andranno fianco a fianco e con un’unica bandiera, militanti di Hamas e di Fatah. Per qualcuno domani sarà una specie di festa, così mi dice un vecchio militante di Fatah che andrà anche lui con i suoi figli.

Chiedo se non hanno paura che la giornata di domani inneschi la temuta escalation che porterebbe al disastro minacciato da Netanyahu ed una delle persone intervistate, che preferisce mantenere l’anonimato, mi  dice che“ i razzi su Tel Aviv hanno avuto la loro efficacia e Netanyahu, seppure nella propaganda elettorale, deve sempre mostrare  durezza contro i palestinesi come elemento vincente, non potrebbe vincere se si trovasse una pioggia di razzi su Tel Aviv, neanche se come risposta sterminasse un milione di gazawi.” Quest’affermazione mi porta a rivedere le precedenti valutazioni circa i potenti missili non rivendicati né da Hamas né dalla Jihad e che ufficialmente sarebbero partiti per errore o per colpa di un fulmine.  La stessa persona dice che “se domani alla marcia gli israeliani uccidessero un quadro di Hamas o della Jihad la faccenda si complicherebbe molto.” Ma tutto resta un’incognita e molto dipende dai risultati della mediazione egiziana.  Un’altra delle persone intervistate mi conferma  che sono tutti estremamente preoccupati  e mi dice testualmente “siamo tutti  preoccupatissimi ma tutti altrettanto volenterosi di voler partecipare, donne e bambini in prima linea”. Insomma sembra proprio lo spaccato della cultura gazawa, cultura in senso antropologico, quella per cui riescono a convivere situazioni contrastanti anche nella quotidianità.

Un altro degli intervistati mi ha detto che dalla mediazione egiziana si sono avute una serie di condizioni positive quali la promessa che il valico di Rafah resterà aperto, che i pescatori potranno arrivare a 12 miglia marine (lo prevedevano già  gli accordi di Oslo!), che verrà fatto passare un alto numero di camion con merci, ovviamente israeliane, così i gazawi avranno le merci, magari non tutti avranno i soldi per comprarle, ma Israele avrà il suo mercato di sbocco a Gaza e, infine, pare che sia stata accettata la possibilità di esportare merci da Gaza. Ma, conclude, “alcuni saranno arrabbiati ed altri vorranno accettare, però non è questo quello che noi vogliamo”.

Infatti l’obiettivo della marcia, quello sintetizzato nello slogan “o grandi sulla terra o martiri sotto terra”, è la libertà di movimento, quindi la rottura dell’assedio e il diritto al ritorno nelle case da cui i palestinesi sono stati cacciati. Ma questo Israele non sembra proprio volerlo accettare, anche se è nell’ordine del Diritto internazionale e dovrebbe già essere da molti anni un fatto e non una richiesta.

Domani forse sarà una carneficina o forse si avvererà il miracolo, ma una cosa è chiara a tutti coloro che pur senza appartenenza partitica hanno una visione politica della situazione, e questo lo riconferma il giornalista intervistato all’inizio, quando dice che “seppure davvero si rompesse l’assedio resterebbe il grave problema della divisione politica interna” e aggiunge “ora Israele grazie a Trump prende il Golan, domani prenderà la West Bank e lascerà Gaza a due milioni di persone . No, abbiamo bisogno di una situazione interna di cambiamento e di unità” praticamente quello che la Grande marcia ha praticato e ha provato a insegnare alle leadership che finora non hanno imparato.

Intanto oggi, a dimostrazione del fatto che la grande marcia appartiene al popolo, nel senso che è veramente un’espressione popolare e non decisa dalle autorità locali, un buon numero di gazawi ha realizzato la marcia del venerdì in attesa di domani. Ci sono stati feriti, perché gli sniper hanno comunque sparato, ma non molti e non gravi.

Domani si capirà se il Medio Oriente aggiungerà altre fiamme a quelle che già ardono e l’Iran entrerà in gioco in forma più determinata attraverso il Jihad, come ipotizza Haaretz, o se i missili forniti alla resistenza avranno avuto il loro effetto deterrente e, quindi, anche gli sniper avranno avuto indicazioni conseguenti e l’impressionante ammasso di artiglieria lungo il confine sarà solo una esibizione di forza potenziale nel  braccio di ferro tra popolo assediato ed esercito assediante.

Betlemme, 29 marzo 2019