Israele ripropone i miti sulla Nakba per giustificare gli odierni massacri a Gaza

Jonathan Cook – Nazareth

14 maggio 2018, The Palestine Chronicle

Lunedì e martedì i palestinesi commemorano l’anniversario della Nakba, o Catastrofe, l’espulsione di massa e l’espropriazione di 70 anni fa, quando il nuovo Stato di Israele si è formato sulle rovine della loro patria.

Come risultato, la maggioranza dei palestinesi è stata trasformata in rifugiati, cui Israele nega il diritto di tornare nelle proprie case.

Lunedì in decine di migliaia sono hanno manifestato nei territori occupati per protestare contro settant’anni di rifiuto da parte di Israele di chiedere perdono o porre fine al suo dominio oppressivo.

L’iniziativa di lunedì di trasferire l’ambasciata USA a Gerusalemme, città sotto occupazione militare, ha solamente aumentato il risentimento palestinese, e la percezione che l’Occidente stia ancora coinvolto nella loro espropriazione.

Il centro della protesta è Gaza, dove dalla fine di marzo ogni venerdì palestinesi inermi si dirigono in massa alla barriera di confine che tiene intrappolati due milioni di loro. In cambio hanno affrontato una pioggia di munizioni letali, proiettili rivestiti di gomma e nuvole di gas lacrimogeni. Decine sono stati uccisi e molte centinaia mutilati, compresi minori.

Ma da più di un mese Israele sta lavorando per condizionare la percezione occidentale delle proteste, e la sua risposta ad esse, in modo da screditare l’esplosione di rabbia dei palestinesi. In un comunicato troppo facilmente accolto da dall’opinione pubblica di alcuni Paesi occidentali, Israele ha presentato le proteste come una “minaccia alla sicurezza”.

Funzionari del governo israeliano hanno persino sostenuto davanti alla Corte Suprema del Paese che i manifestanti non hanno alcun diritto, che i cecchini dell’esercito sono legittimati a sparare, anche se non si trovano in pericolo- perché Israele sarebbe in “stato di guerra” con Gaza per difendersi.

Domenica notte l’aviazione israeliana ha sganciato volantini su Gaza avvertendo i palestinesi di non avvicinarsi alla barriera. “L’esercito israeliano è determinato a difendere i cittadini d’Israele e la sua sovranità contro i tentativi terroristici di Hamas sotto la copertura di violenti scontri,” diceva il volantino. “Non vi avvicinate alla barriera e non prendete parte alla manifestazione di Hamas, che vi danneggia.”

Molti americani ed europei, preoccupati del flusso di “migranti economici” che si riversa nei loro Paesi, simpatizzano immediatamente con le preoccupazioni di Israele e con le sue azioni.

Finora la stragrande maggioranza dei manifestanti di Gaza sono stati pacifici e non hanno provato ad attraversare la barriera.

Ma Israele afferma che Hamas ha sfruttato le proteste di queste settimane a Gaza per incoraggiare i palestinesi ad assaltare la barriera. Indirettamente si afferma che i dimostranti hanno provato a passare “un confine” ed a “entrare” illegalmente in Israele.

La realtà è piuttosto diversa. Non c’è nessun confine perché non c’è nessuno Stato palestinese. Israele ha ha fatto in modo che fosse così. I palestinesi vivono sotto occupazione, con Israele che controlla ogni aspetto della loro vita. A Gaza, anche l’aria e il mare sono sotto il controllo di Israele.

Invece il diritto dei profughi palestinesi a ritornare a quelle che erano le proprie terre, ora in Israele, è riconosciuto dalle risoluzioni delle Nazioni Unite.

Ciononostante, fin dalla Nakba Israele ha costruito una contro-narrazione scorretta, miti che gli storici, facendo ricerche negli archivi, hanno progressivamente fatto a pezzi.

La prima affermazione, che i dirigenti arabi dissero ai 750.000 rifugiati palestinesi di fuggire nel 1948, venne in realtà inventata dal padre fondatore di Israele, David Ben Gurion. Egli sperava che avrebbe sviato la pressione statunitense affinché Israele rispettasse il suo dovere di consentire ai rifugiati di tornare.

Anche se i rifugiati avessero scelto di andarsene mentre infuriava la battaglia, invece di aspettare di essere espulsi, non sarebbe stato giustificabile negargli il diritto al ritorno a guerra finita. È stato questo rifiuto che ha trasformato la fuga in pulizia etnica.

In un altro mito non supportato da documenti, Ben Gurion avrebbe detto ai rifugiati di tornare.

In realtà Israele ha definito i palestinesi che cercavano di ritornare alle loro terre come “ infiltrati”. Ciò ha autorizzato gli ufficiali della sicurezza israeliana di sparare a vista contro di loro, in quelle che furono di fatto delle esecuzioni come politica di deterrenza.

In settant’anni non è cambiato un granché. La maggioranza della popolazione di Gaza oggi discende dai rifugiati portati nel 1948 all’interno dell’enclave. Da allora sono rimasti chiusi in gabbia come bestiame. Questa è la ragione per cui le proteste odierne dei palestinesi si svolgono sotto le insegne della “Marcia del Ritorno”.

Per decenni Israele non solo ha negato ai palestinesi la prospettiva di uno Stato ridotto al minimo. Ha organizzato i territori palestinesi in una serie di ghetti – e, nel caso di Gaza, l’ha assediata per 12 anni, soffocandola in quella che è una catastrofe umanitaria.

Ciononostante, Israele vuole che il mondo consideri Gaza come uno Stato palestinese in embrione, teoricamente liberato dall’occupazione nel 2005 quando ha evacuato alcune migliaia di coloni ebrei.

Di nuovo, questa narrazione è stata creata solamente per ingannare. Hamas non ha mai avuto il permesso di governare Gaza, tanto quanto l’Autorità Nazionale Palestinese di Mahmoud Abbas governa la Cisgiordania.

Ma, facendo eco agli eventi della Nakba, Israele ha definito i manifestanti come “infiltrati”, una narrazione che ha lasciato molti osservatori stranamente indifferenti al destino dei giovani dimostranti per la libertà palestinesi.

Ancora una volta, le esecuzioni delle recenti settimane, che sarebbero state perpetrate dall’esercito israeliano a scopo di legittima difesa, sono intese [in realtà] a scoraggiare i palestinesi dal chiedere i propri diritti.

Israele non sta difendendo i suoi confini ma i muri delle gabbie che ha costruito per salvaguardare il continuo furto di terra palestinese e preservare i privilegi degli ebrei.

In Cisgiordania la prigione si riduce di dimensione ogni giorno in quanto i coloni ebrei e l’esercito israeliano rubano altra terra. Nel caso di Gaza, la prigione non può essere ulteriormente ridotta.

Per molti anni, i capi di governo del mondo hanno punito i palestinesi per l’uso della violenza e biasimato Hamas per il lancio dei missili fuori da Gaza.

Ma ora che i giovani palestinesi preferiscono praticare una disobbedienza civile di massa, la loro tragedia a malapena riceve attenzione, tanto meno simpatia. Invece sono criticati perché “vogliono violare il confine” e minacciare la sicurezza di Israele.

Sembra che l’unica lotta legittima dei palestinesi sia quella di stare tranquilli, permettendo che le loro terre vengano saccheggiate e che i loro figli muoiano di fame.

I leader occidentali e l’opinione pubblica hanno tradito i palestinesi nel 1948. Dopo 70 anni non c’è alcun segnale che l’Occidente stia per cambiare linea.

Jonathan Cook ha vinto il “Premio Speciale per il Giornalismo Martha Gellhorn”. I suoi libri comprendono“Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East” [“Israele e lo scontro di civiltà: Iraq, Iran e il piano per rimodellare il Medio Oriente”] (Pluto Press) e “Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair”[“Palestina in dissolvenza: gli esperimenti israeliani sulla disperazione umana] (Zed Books). Il suo sito è www.jonathan-cook.net. Una versione di questo articolo è apparsa precedentemente in “The National”, Abu Dhabi. Ha offerto quest’ articolo a “The Palestine Chronicle”.

(Traduzione di Carlo Tagliacozzo)




Un altro morto mentre Gaza arriva all’ultimo venerdì di protesta prima del “Giorno della Nakba”*

Redazione di MEE

venerdì 11 maggio 2018, Middle East Eye

* Un altro giovane di 15 anni è morto sabato per le ferite riportate [ndr]

I palestinesi hanno manifestato per un mese e mezzo, per denunciare la disastrosa situazione di Gaza assediata

GAZA CITY – Venerdì un palestinese è stato ucciso a Gaza mentre la “Grande Marcia del Ritorno” di sei settimane è arrivata al suo ultimo giorno prima del “Giorno della Nakba”, il 15 maggio.

Nella Striscia di Gaza, territorio sotto blocco, i palestinesi si uniscono nelle manifestazioni per chiedere il diritto al ritorno di 1.300.000 rifugiati.

Il ministero della Salute di Gaza ha identificato il palestinese ucciso in Jaber Salem Abu Mustafa, 40 anni, aggiungendo che è stato colpito al petto dalle forze israeliane a est di Khan Younis.

Dal 30 marzo i manifestanti si sono riuniti ad alcune centinaia di metri dalla barriera che separa Israele da Gaza per chiedere il diritto al ritorno nelle loro case di prima del 1948, evidenziando diversi problemi che riguardano la Striscia assediata – come la disoccupazione e le pesanti difficoltà dei giovani palestinesi.

Venerdì i notiziari riferivano che in alcune zone le forze israeliane hanno sparato massicciamente gas lacrimogeni verso la folla, mentre almeno cinque manifestati sono stati colpiti con proiettili veri a est di Gaza City.

E’ stato riferito che un’altra persona sarebbe stata colpita a est di Khan Younis, a sud della Striscia di Gaza, dove una troupe di giornalisti della televisione “Al-Aqsa” [rete televisiva di Hamas, ndt.] sarebbe stata presa di mira con gas lacrimogeni.

Numerosi giornalisti sarebbero stati feriti da proiettili veri e da gas lacrimogeni in tutta la Striscia di Gaza.

Il ministero della Salute ha informato che alle 5 del pomeriggio ora locale 448 persone sono rimaste ferite, compresi almeno 25 minorenni e un infermiere.

Il ministero ha diffuso la foto di un ragazzo sedicenne in condizioni critiche con la guancia trapassata da un proiettile non identificato a est del campo di rifugiati di al-Bureij, nella zona centrale della Striscia di Gaza. [presubilmente si tratta del quindicenne Jamal Abu Arahman Afaneh colpito da proiettile e deceduto sabato, ndr].

All’inizio della giornata dei dimostranti hanno parzialmente rimosso il filo spinato sistemato dalle forze israeliane nei pressi della barriera per evitare che i palestinesi si potessero avvicinare.

La manifestazione di venerdì è stata denominata “Venerdì di Preparazione e Presagio”, anticipando la marcia finale della protesta all’inizio della prossima settimana.

Inizialmente era previsto che la Marcia terminasse il 15 maggio – settantesimo anniversario della Nakba (catastrofe) palestinese, in cui più di 750.000 palestinesi vennero obbligati ad andarsene dalle forze israeliane nel corso della guerra arabo-israeliana del 1948.

Tuttavia l’ultima manifestazione è prevista per lunedì 14 maggio, a causa dell’imminente inizio del mese sacro musulmano del Ramadan.

Il 14 e 15 maggio faremo volare aquiloni con slogan pacifici per il nostro diritto al ritorno, bruceremo pneumatici e taglieremo filo spinato, perché non riconosciamo questa barriera né i confini israeliani, “ ha detto a MEE Ayman, un membro del gruppo dei manifestanti che guida le attività nei pressi della barriera, tenendo in mano delle grandi tenaglie per tagliare il filo spinato.

Lunedì è anche il giorno in cui gli Stati Uniti hanno fissato lo spostamento della loro ambasciata in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, un’iniziativa che ha provocato molta rabbia tra i palestinesi.

Mentre le proteste si avvicinano al culmine, il capo di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar, ha detto che il gruppo – uno dei molti partiti politici palestinesi di Gaza che si sono pronunciati a favore della “Grande Marcia del Ritorno” – non impedirà ai manifestanti di superare la barriera di sicurezza israeliana lungo il perimetro di Gaza.

Cos’è che non va se centinaia di migliaia di persone attraversano una barriera che non è un confine?” ha detto giovedì, parlando a giornalisti stranieri per la prima volta da quando ha assunto l’incarico nel 2017.

Il profumo del mio villaggio”

Alcuni vecchi rifugiati hanno preso parte alla protesta di venerdì, lasciandosi andare ai ricordi d’infanzia prima e durante la Nakba.

Oggi è la prima volta nella mia vita che mi sono avvicinata al confine. Sto accanto alle tende della protesta per il ritorno e rivolgo lo sguardo a nordest, in direzione di Bir Saba,” ha detto venerdì a Middle East Eye Umm Usama, rifugiata di 73 anni, riferendosi al suo villaggio d’origine dove ora sorge la città israeliana di Beersheba.

Conservo nel mio cuore tutte le storie che mio padre era solito raccontarmi sul villaggio. Posso ancora sentire il profumo del mio villaggio.

Sono contenta di vedere come questa generazione sia cosciente del proprio diritto al ritorno, senza paura delle armi israeliane,” ha aggiunto. “Gli israeliani non dovrebbero uccidere il nostro diritto a tornare così come uccidono i nostri figli.”

Sappiamo che gli israeliani sono più forti di noi, poiché hanno le armi” ha detto Umm Raed, che aveva solo due settimane quando la sua famiglia è stata obbligata a scappare dal villaggio di Barbara, a soli 20 km dalla Striscia di Gaza.

Ma i nostri diritti ci rendono più forti. Sarò la prima a partecipare alla protesta nel giorno della Nakba, verrò con i miei familiari e i vicini in modo che tutto il mondo sia testimone della nostra compatta presa di posizione per il diritto al ritorno.”

Secondo l’ultimo bilancio di mercoledì del ministero della Salute di Gaza, durante le manifestazioni le forze israeliane schierate dietro la barriera hanno ucciso 47 palestinesi e ne hanno feriti 8.536. L’AFP [agenzia di notizie francese, ndt.] ha contato dal 30 marzo altri cinque morti palestinesi, fuori dall’ambito delle proteste.

Wael, 29 anni, è stato colpito a una gamba durante la manifestazione del 4 maggio, ma ciononostante è tornato a manifestare una settimana dopo, nonostante debba ancora usare le stampelle.

Sono disoccupato, non ho speranze in questa vita. Protesto sperando che possiamo cambiare le nostre vite, sostenere i nostri diritti e far togliere l’assedio imposto a Gaza. Vogliamo che tutto il mondo sappia che la crisi umanitaria a Gaza deve finire,” ha detto a MEE. “Il nostro diritto al ritorno è la nostra ultima speranza.”

Nonostante una serie di sparatorie siano scoppiate lungo il confine dopo che alcuni aquiloni dotati di ordigni incendiari artigianali sono entrati in Israele, non si è registrata nessuna vittima israeliana.

Venerdì la polizia israeliana ha dato notizia sui social media che tre israeliani sono stati arrestati per aver tentato di mandare aquiloni incendiari a Gaza e appiccarvi un incendio.

La violenta risposta dell’esercito israeliano alle manifestazioni ha suscitato indignazione in tutto il mondo: più di 2.000 palestinesi sono stati colpiti da proiettili veri e 24 feriti hanno subito amputazioni dopo che Israele gli ha negato i permessi per uscire da Gaza e ricevere cure nella Cisgiordania occupata.

Venerdì l’Ong internazionale “Save the Children” ha denunciato che l’esercito ha preso di mira dei minori palestinesi a Gaza, sottolineando che su oltre 700 ragazzini feriti, almeno 250 sono stati colpiti da proiettili veri.

Siamo profondamente preoccupati per l’alto numero di minori colpiti da proiettili veri e siamo d’accordo con l’Alto Commissario per i Diritti Umani che questo potrebbe segnalare un uso eccessivo della forza causando uccisioni e mutilazioni illegali,” ha affermato in un comunicato Jennifer Moorehead, direttice locale di “Save the Children” per i territori palestinesi occupati.

Il risultato è stato devastante per i minori di Gaza – fisicamente e psicologicamente. Molti sono rimasti feriti e molti altri hanno visto i propri genitori o i propri cari feriti durante le proteste o patire crescenti difficoltà nella vita quotidiana.”

 L’esercito israeliano ha respinto i ripetuti appelli della comunità internazionale – comprese le Nazioni Unite – ad usare moderazione e ad aprire un’inchiesta indipendente sulle morti, sostenendo la necessità della propria politica di fare fuoco, che, sostiene, prende di mira “terroristi”.

Nel contempo Amnesty International ha chiesto un embargo totale degli armamenti contro Israele, accusando le sue forze di “perpetrare attacchi mortali” contro i palestinesi nella Striscia di Gaza.

Resoconto da Gaza di Amjad Ayman.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Un generale israeliano conferma che i cecchini hanno l’ordine di sparare ai bambini

Ali Abunimah

22 aprile 2018, electronicintifada

Un generale israeliano ha confermato che quando i cecchini stazionati lungo il confine di Israele con Gaza sparano ai bambini, lo fanno deliberatamente, con ordini chiari e specifici.

In un’intervista radiofonica, il generale di brigata (di riserva) Zvika Fogel descrive come un cecchino identifichi il “piccolo corpo” di un bambino e riceva l’autorizzazione a sparare.

Le dichiarazioni di Fogel potrebbero essere utilizzate come prova della premeditazione se i leader israeliani saranno mai processati per crimini di guerra alla Corte Penale Internazionale.

Venerdì un cecchino israeliano ha ucciso il quattordicenne Muhammad Ibrahim Ayyoub.

Il ragazzo, colpito alla testa a est di Jabaliya, è il quarto minore tra gli oltre 30 palestinesi uccisi durante le manifestazioni della Grande Marcia di Ritorno iniziate a Gaza il 30 marzo.

Più di 1.600 altri palestinesi sono stati colpiti con veri proiettili che hanno causato ciò che i dottori definiscono “orribili ferite”, che probabilmente lasceranno molti di loro con disabilità permanenti.

Come hanno confermato testimoni oculari e video, quando è stato ucciso il piccolo Muhammad Ayyoub non rappresentava alcun possibile pericolo per le forze di occupazione israeliane. pesantemente armate, collocate a decine di metri dietro le recinzioni e le fortificazioni di terra dall’altra parte del confine di Gaza.

Persino il solitamente timido inviato ONU del processo di pace, Nickolay Mladenov, ha dichiarato pubblicamente che l’uccisione è stata “vergognosa”.

Mirare ai bambini

Sabato, il generale di brigata Fogel è stato intervistato da Ron Nesiel sulla rete radio nazionale israeliana Kan.

Fogel è l’ex capo di stato maggiore del “comando meridionale” dell’esercito israeliano, che comprende la Striscia di Gaza occupata.

Ahmad Tibi, un parlamentare palestinese nel parlamento israeliano, ha in un tweet attirato l’attenzione sull’intervista.

Una registrazione dell’intervista è online. L’intervista è stata tradotta per The Electronic Intifada da Dena Shunra e la trascrizione completa segue questo articolo.

Il conduttore Ron Nesiel chiede a Fogel se l’esercito israeliano non debba “ripensare all’uso dei cecchini” e suggerisce che chi impartisce gli ordini “abbia abbassato l’asticella nell’utilizzo delle pallottole vere”.

Fogel difende a spada tratta tali metodi, affermando: “A livello tattico, qualsiasi persona si avvicini alla barriera, chiunque possa rappresentare una futura minaccia al confine dello Stato di Israele e dei suoi residenti, deve pagare il prezzo della sua trasgressione. ”

E aggiunge: “Se un bambino o chiunque altro si avvicina alla recinzione per nascondervi un ordigno esplosivo o per controllare se ci siano zone senza copertura o per tagliare la recinzione in modo che qualcuno possa infiltrarsi nel territorio dello Stato di Israele per ucciderci …”

Quindi viene punito con la morte?” interviene Nesiel.

“Viene punito con la morte”, risponde il generale. “Per quanto mi riguarda, sì, se puoi sparargli alle gambe o a un braccio solo per fermarlo – benissimo. Ma se è qualcosa di più allora sì, andiamo a vedere quale sangue è più importante, il nostro o il loro.

Fogel descrive quindi l’accurato processo con cui gli obiettivi – compresi i bambini – vengono identificati e uccisi:

“So come vengono dati questi ordini. So come fa un cecchino a sparare. So di quante autorizzazioni ha bisogno prima di ricevere l’ordine di aprire il fuoco. Non è il capriccio di un cecchino qualsiasi che identifica il piccolo corpo di un bambino e decide che sparerà. Qualcuno gli indica molto bene l’obiettivo e gli dice esattamente perché deve sparare e perché quell’individuo rappresenti una minaccia. E purtroppo, a volte quando spari a un corpicino con l’intenzione di colpire un braccio o la spalla, finisci col colpire più in alto.

Per dire “finisce più in alto”, Fogel usa un’espressione idiomatica ebraica che significa anche “costa anche di più”.

Con questa agghiacciante affermazione, in cui un generale parla di cecchini che prendono di mira il “piccolo corpo di un bambino”, Fogel dice inequivocabilmente che questa politica è deliberata e premeditata.

Presentando dei bambini palestinesi disarmati come pericolosi terroristi che meritano la morte, Fogel descrive i cecchini che li uccidono a sangue freddo come la parte innocente e vulnerabile che merita protezione.

“Ci sono i soldati lì, i nostri ragazzi, che sono stati mandati lì e ricevono istruzioni molto accurate su chi uccidere per proteggerci. Dobbiamo sostenerli”, dice.

Politica letale

Le dichiarazioni di Fogel non sono un’aberrazione ma rappresentano la politica israeliana.

“I funzionari israeliani hanno detto chiaramente che le norme sull’aprire il fuoco permettono di sparare per uccidere chiunque tenti di danneggiare la recinzione, e persino chi si avvicini a 300 metri”, ha affermato il gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem in una recente analisi dell’illegale metodo israeliano di prendere di mira civili disarmati che non rappresentano alcuna minaccia.

“Ciononostante, tutti i funzionari statali e militari si sono fermamente rifiutati di cancellare quegli ordini illegali e continuano a promulgarli – e a giustificarli”, aggiunge B’Tselem.

B’Tselem ha invitato i singoli soldati a opporsi a questi ordini illegali.

In seguito all’inchiesta sulle uccisioni “pianificate” di manifestanti disarmati il 30 marzo, primo giorno delle manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno a Gaza, Human Rights Watch ha concluso che la repressione letale era stata “programmata ai più alti livelli del governo israeliano “.

Due settimane fa, il procuratore capo della Corte Penale Internazionale ha rilasciato un avvertimento senza precedenti ai leader israeliani, che potrebbero essere processati per le uccisioni di manifestanti palestinesi disarmati nella Striscia di Gaza.

I potenziali imputati starebbero facendo un gran regalo a qualsiasi pubblico ministero con l’aperta ammissione che uccidere in un territorio occupato persone disarmate che non rappresentano una minaccia oggettiva costituisca la loro politica e le loro intenzioni.

Resta da chiedersi se qualcosa possa finalmente infrangere lo scudo di impunità di cui Israele ha goduto per 70 anni.

(Ali Abunimah è co-fondatore di The Electronic Intifada e autore di The Battle for Justice in Palestina, recentemente pubblicato da Haymarket Books. Ha anche scritto One Country: A Bold-Proposal to End the Israeli-Palestinian Impasse)

Trascrizione integrale dell’intervista

Il Generale di Brigata (di riserva) Zvika Fogel intervistato sul programma Yoman Hashevua della radio israeliana Kan, il 21 aprile 2018.

Ron Nesiel: Buongiorno al Generale di Brigata (di riserva) Zvika Fogel. L’esercito israeliano non dovrebbe riconsiderare l’uso dei cecchini? C’è l’impressione che qualcuno abbia abbassato l’asticella per l’uso di pallottole vere e questo potrebbe essere il risultato?

Zvika Fogel: Ron, proviamo a considerare questo problema su tre livelli. A livello tattico, che piace a tutti, il livello locale, e anche a livello dei valori, e se credi, arriveremo anche al livello strategico. A livello tattico, qualsiasi persona si avvicini alla barriera, chiunque possa rappresentare una futura minaccia al confine dello Stato di Israele e dei suoi residenti, deve pagare il prezzo della sua trasgressione. Se un bambino o chiunque altro si avvicina alla recinzione per nascondervi un ordigno esplosivo o per controllare se ci siano zone senza copertura o per tagliare la recinzione in modo che qualcuno possa infiltrarsi nel territorio dello Stato di Israele per ucciderci …

Nesiel: Quindi viene punito con la morte?.

Fogel: Viene punito con la morte. Per quanto mi riguarda, sì, se puoi sparargli alle gambe o a un braccio solo per fermarlo – benissimo. Ma se è qualcosa di più allora sì, andiamo a vedere quale sangue è più importante, il nostro o il loro. È chiaro che se una persona del genere riuscisse ad attraversare la recinzione o a nascondervi un ordigno esplosivo …

Nesiel: Ma ci è stato detto che il fuoco è usato solo quando i soldati si confrontano con un pericolo immediato.

Fogel: Dai, passiamo al livello dei valori. Supponiamo di aver compreso il livello tattico, poiché non possiamo tollerare un attraversamento del nostro confine o una violazione del nostro confine, saliamo al livello dei valori. Io non sono Ahmad Tibi [politico israeliano arabo-musulmano leader del Movimento Arabo per il Cambiamento, un partito arabo nel parlamento israeliano, ndtr.] sono Zvika Fogel. So come vengono dati questi ordini. So come fa un cecchino a sparare. So di quante autorizzazioni ha bisogno prima di ricevere l’ordine di aprire il fuoco. Non è il capriccio di un cecchino qualsiasi che identifica il piccolo corpo di un bambino e decide che sparerà. Qualcuno gli indica molto bene l’obiettivo e gli dice esattamente perché deve sparare e perché quell’individuo rappresenti una minaccia. E purtroppo, a volte quando spari a un corpicino con l’intenzione di colpire un braccio o la spalla, finisci col colpire più in alto. Non è una bella immagine. Ma se questo è il prezzo che dobbiamo pagare per preservare la sicurezza e la qualità della vita dei residenti nello Stato di Israele, allora questo è il prezzo. Ma ora, se permetti, saliamo di livello e consideriamo il quadro generale. Ti è chiaro che al momento Hamas sta combattendo con consapevolezza. È chiaro a te e a me…

Nesiel: Non è dura per loro? Non gli stiamo fornendo abbastanza argomenti per questa battaglia?

Fogel: Glieli stiamo fornendo ma…

Nesiel: Perché non ci fanno molto bene, quelle immagini diffuse in tutto il mondo.

Fogel: Senti, Ron, siamo persino peggio di così. Non c’è niente da fare, David appare sempre migliore contro Golia. E in questo caso, noi siamo Golia. Non David. Questo mi è del tutto chiaro. Ma consideriamo la cosa al livello strategico: tu ed io e buona parte degli ascoltatori sappiamo perfettamente che questo non finirà con le dimostrazioni. È chiaro a tutti noi che Hamas non può continuare a tollerare il fatto che i suoi missili non riescano a ferirci, i suoi tunnel stanno intaccando …

Nesiel: Sì.

Fogel: E non ha un mucchio di suicidi con l’esplosivo che continuano a credere alla favola delle vergini che li aspettano lassù? Ci trascinerà in una guerra. Non voglio essere dalla parte che viene trascinata. Voglio essere dalla parte che prende l’iniziativa. Non voglio aspettare il momento in cui troverà un punto debole e mi attaccherà. Se domani mattina entrerà in una base militare o in un kibbutz e ucciderà delle persone e prenderà prigionieri di guerra o ostaggi, chiamali come vuoi, ci troveremmo in una sceneggiatura completamente nuova. Voglio che i leader di Hamas si sveglino domattina e vedano per l’ultima volta nella loro vita i volti sorridenti dell’IDF. Questo è quello che voglio far succedere. Ma siamo trascinati [in un’altra scena]. Quindi stiamo usando i cecchini perché vogliamo preservare i valori a cui siamo stati educati. Non possiamo sempre scattare una sola foto e metterla davanti al mondo intero. Ci sono i soldati lì, i nostri ragazzi, che sono stati mandati lì e ricevono istruzioni molto accurate su chi uccidere per proteggerci. Dobbiamo sostenerli.

Nesiel: Generale di Brigata (di riserva) Zvika Fogel, ex capo del comando militare meridionale, grazie per le tue parole.

Fogel: Che tu possa sentire solo buone notizie. Grazie.

(traduzione di Luciana Galliano)

 




Rapporto OCHA del periodo 10 – 23 aprile 2018 (due settimane)

La serie di dimostrazioni di massa, iniziate il 30 marzo nel contesto della “Grande Marcia del Ritorno”, è continuata a Gaza durante il periodo di riferimento [di questo Rapporto, cioè fino al 23 aprile]

Le manifestazioni hanno avuto luogo in cinque campi di tende situate a circa 600-700 metri dalla recinzione perimetrale con Israele. Alcune centinaia di manifestanti, su decine di migliaia, si sono avvicinati ed hanno tentato di fare una breccia nella recinzione, bruciare pneumatici, gettare pietre e, secondo fonti israeliane, lanciare bombe incendiarie ed altri ordigni esplosivi alle forze israeliane, o di collocarli lungo la recinzione. Queste ultime hanno usato proiettili di gomma, gas lacrimogeni e proiettili di arma da fuoco; un centinaio di cecchini sono stati schierati lungo la recinzione.

Dall’inizio delle proteste, fino al termine del periodo di riferimento, 34 palestinesi, tra cui quattro minori, sono stati uccisi dalle forze israeliane. Inoltre, cinque palestinesi sono stati uccisi a Gaza in altre circostanze ed altri due, entrati in Israele attraverso la recinzione, sono stati colpiti ed uccisi; i loro corpi sono ancora trattenuti dalle autorità israeliane. A Gaza, secondo il Ministero Palestinese della Salute, dal 30 marzo un totale di 5.511 palestinesi, tra cui almeno 454 minori, sono stati feriti dalle forze israeliane. Di questi, 3.369 persone (il 61%) sono state ricoverate in ospedale; 1.739 dei ricoverati erano stati colpiti da proiettili di arma da fuoco. Non sono stati segnalati ferimenti di israeliani. Il gran numero di vittime tra i manifestanti palestinesi disarmati, e l’alta percentuale di feriti da proiettili di arma da fuoco, ha suscitato preoccupazioni sull’uso eccessivo della forza. I medici dell’ospedale Shifa di Gaza riferiscono di aver curato lesioni non più viste dai tempi delle ostilità del 2014; alcune di tali lesioni possono causare inabilità permanente. Ciò solleva interrogativi sul tipo di munizioni usate dalle forze israeliane.

Per ulteriori informazioni e grafici: https://www.ochaopt.org/content/humanitarian-snapshot-mass-casualties-context-demonstrations-gaza-strip-0

Durante il periodo di riferimento, nove palestinesi, compreso un minore, sono stati uccisi dalle forze israeliane e 1.739 sono stati feriti nel contesto delle dimostrazioni nella Striscia di Gaza (inclusi nel conteggio di cui sopra). I nove morti sono costituiti da otto uomini ed un 14enne che, secondo fonti mediche, è stato colpito alla testa da un proiettile mentre si trovava a circa 50 metri dalla recinzione. Il Coordinatore Speciale delle Nazioni Unite per il Processo di Pace in Medio Oriente ha espresso indignazione per l’uccisione e ha chiesto un’indagine. L’Esercito Israeliano ha dichiarato che sarà svolta un’inchiesta su questo episodio. Il Coordinatore Umanitario, Jamie McGoldrick, ha chiesto tutela dei manifestanti palestinesi e finanziamenti urgenti per fronteggiare le esigenze umanitarie critiche generate dal massiccio aumento delle vittime a Gaza dal 30 marzo.

In diverse occasioni, nei giorni 12, 17 e 18 aprile, le forze israeliane hanno effettuato molteplici attacchi aerei e sparato colpi di carro armato su Gaza, mirando, a quanto riferito, a siti militari; un membro di un gruppo armato palestinese è stato ucciso e cinque altri sono rimasti feriti. È stato inoltre segnalato il danneggiamento di una casa.

In Cisgiordania, 331 palestinesi, tra cui 49 minori, sono stati feriti dalle forze israeliane durante proteste e scontri. Per l’85% circa, queste lesioni si sono verificate durante scontri scoppiati dopo le proteste in solidarietà con la Grande Marcia del Ritorno, svolta a Gaza. Gli scontri a Kafr Qalil (Nablus) hanno fatto contare il più alto numero di feriti; seguono i feriti conteggiati negli scontri avvenuti nei pressi del DCO di Al Bireh (Ramallah) e nella città di Abu Dis (Gerusalemme). La maggior parte delle lesioni (70%) sono state causate da inalazione di gas lacrimogeno necessitante trattamento medico, seguite da lesioni causate da proiettili di gomma (20%) e da pallottole di arma da fuoco (3%). In altri tre episodi, avvenuti in Cisgiordania, 24 palestinesi, tra cui due minori, sono stati feriti durante scontri con le forze israeliane intervenute a seguito di alterchi e scontri tra residenti palestinesi e coloni entrati in vari siti religiosi.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 183 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 203 palestinesi, di cui 24 minori. Più di un terzo di queste operazioni hanno innescato scontri con i residenti. Nel Governatorato di Hebron è stata effettuato il più alto numero di arresti (55, di cui quattro minori) ed il maggior numero di operazioni (51).

Citando la mancanza di permessi edilizi israeliani, le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato 16 strutture in sei località in Area C: non ci sono stati sfollamenti dalle abitazioni, ma le demolizioni/sequestri hanno riguardato i mezzi di sussistenza di 362 persone. Undici delle strutture oggetto dei provvedimenti di cui sopra si trovavano nell’Area C dei villaggi di Shuqba e Jibiya (entrambi in Ramallah), di Al ‘Auja (Jericho) e della comunità beduina palestinese di Sud ‘Anata (Gerusalemme). Quattro delle strutture mirate erano utilizzate come aule e due come servizi igienici di una scuola elementare che serve 24 studenti nella comunità pastorale di Khirbet Zanuta nel sud di Hebron. Una delle strutture interessate dai provvedimenti sopraccitati era utilizzata come aula scolastica dalla comunità beduina di Jabal al Baba, nell’Area C del Governatorato di Gerusalemme, ed era stata fornita come assistenza umanitaria in risposta a demolizioni precedenti. Questa specifica demolizione ha interessato 290 persone, di cui 151 minori. Jabal al Baba è una delle 46 comunità beduina palestinesi nella Cisgiordania centrale ad alto rischio di trasferimento forzato. Le forze israeliane hanno inoltre demolito un autolavaggio ed un parco giochi pubblico per bambini (entrambi situati vicino al checkpoint di Qalandiya e Kafr Aqab), pregiudicando il sostentamento di 86 persone; hanno anche demolito un laboratorio nel villaggio di Beiti Anan, in Gerusalemme (Area B), dove hanno sequestrato computer, stampanti ed altre attrezzature; a quanto riferito il sequestro è stato motivato da attività di incitamento; sono stati colpiti i mezzi di sussistenza di 17 persone.

Il 23 aprile, nella città di Jenin, le autorità israeliane hanno demolito una casa per motivi punitivi, sfollando sette persone, tra cui due minori. La casa demolita apparteneva alla famiglia del palestinese, attualmente imprigionato, che, nel gennaio 2018, partecipò ad un attacco in cui un colono israeliano venne ucciso. Dall’inizio del 2018, due case sono state demolite o sigillate per motivi punitivi, sfollando sette palestinesi.

Per mancanza di permessi edilizi israeliani, le autorità israeliane hanno emesso almeno 19 ordini di demolizione o di blocco-lavori contro strutture appartenenti a tre comunità nell’Area C. Le strutture comprendono undici case abitate in Khirbet Ghwein (Hebron), sette strutture di sostentamento in Ni’lin, ed una struttura abitativa nella comunità di Jawaya, nella zona di Yatta (Hebron).

In Cisgiordania tre palestinesi sono stati feriti da coloni israeliani e proprietà palestinesi sono state vandalizzate nel corso di undici episodi di violenza. Il 10 aprile, coloni israeliani hanno aggredito fisicamente e ferito un palestinese vicino Tell (Nablus). Secondo fonti della Comunità locale, in tre episodi distinti, circa 140 ulivi su terreni appartenenti a palestinesi dei villaggi di Rujeib, Burin ed ‘Urif (tutti a Nablus) sono stati vandalizzati da coloni israeliani provenienti, a quanto riferito, dagli insediamenti colonici di Yitzhar e Bracha. Inoltre, in altri cinque diversi episodi, coloni israeliani hanno bucato le gomme di 113 veicoli palestinesi, hanno spruzzato scritte del tipo “questo è il prezzo che dovete pagare” sui muri di dieci case palestinesi ed hanno incendiato una moschea nei villaggi di Lubban Ash Sharqiya e Aqraba (entrambi in Nablus), di Rammun e Burqa (entrambi a Ramallah), e di Beit IKSA (Gerusalemme). Due studenti palestinesi (11 e 12 anni) sono stati feriti e il loro scuolabus ed una casa hanno subìto danni in due separati episodi di lancio di pietre e di bottiglie incendiarie da parte di coloni sulle strade nei pressi di Durai (Hebron) e nella zona H2 della città di Hebron. La violenza dei coloni è andata aumentando dall’inizio del 2018, con una media settimanale di cinque attacchi recanti lesioni o danni alla proprietà, rispetto ad una media di tre attacchi nel 2017 e due nel 2016.

Secondo rapporti di media israeliani, quattro coloni israeliani, tra cui una donna, sono rimasti feriti e quattro veicoli sono stati danneggiati su strade vicino a Betlemme, Hebron, e Gerusalemme a seguito del lancio di bottiglie incendiarie e pietre da parte di palestinesi.

In Gaza, per la terza settimana consecutiva, continuano a verificarsi interruzioni di corrente fino a 20 ore al giorno; ciò pregiudica gravemente l’erogazione dei servizi essenziali, tra cui quelli sanitari, l’acqua potabile ed il trattamento delle acque reflue. La Centrale Elettrica di Gaza, a causa della mancanza di carburante, è totalmente inattiva dal 12 aprile, mentre le tre linee dell’elettricità egiziana sono fuori servizio dal 10 febbraio.

Il valico di Rafah, controllato dall’Egitto, è stato aperto per tre giorni (dal 12 al 14 aprile) in entrambe le direzioni, permettendo il rientro nella Striscia di 400 persone e l’uscita di 2.500. Dall’inizio del 2018, il valico è stato aperto solo tredici giorni; otto giorni in entrambe le direzioni e cinque giorni in una direzione. Secondo le autorità palestinesi di Gaza, più di 23.000 persone, inclusi casi umanitari ad alta priorità, sono registrate ed in attesa di attraversare il valico.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

la versione in italiano è scaricabile dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it

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Le truppe israeliane hanno sparato prima alla gamba sinistra di un giornalista di Gaza, poi alla destra. E non si sono fermate qui.

Gideon Levy e Alex Levac

27 aprile 2018, Haaretz

L’amputazione della gamba sinistra di Yousef Kronz, 19enne fotografo di Gaza, avrebbe potuto essere evitata se Israele gli avesse permesso di ricevere cure mediche tempestive in Cisgiordania.

La sua gamba sinistra è stata amputata nell’ospedale di Shifa nella Striscia di Gaza, e ora sono in corso gli sforzi, nell’Istituto Ospedaliero Arabo Istishari in Cisgiordania, per assicurarsi che la sua gamba destra non subisca lo stesso destino. Più di due settimane sono passate tra l’amputazione della prima gamba – che anch’essa avrebbe potuto essere evitata – e gli sforzi intrapresi per salvare l’altra. Tempo prezioso in cui Israele ha rifiutato a Yousef Kronz, il primo Palestinese gravemente ferito durante le recenti proteste settimanali nella Striscia di Gaza, il permesso di essere trasferito nell’ospedale alla periferia di Ramallah. L’Alta Corte di Giustizia alla fine ha costretto il Ministero della Difesa a porre fine a questa vergognosa condotta e consentire il trasferimento dello studente e giornalista 19enne del campo profughi di Bureij, in quella struttura più attrezzata.

Venerdì 30 marzo, Kronz è stato colpito da un cecchino delle forze di difesa israeliane, prima alla gamba sinistra e poi, pochi secondi dopo, quando ha cercato di alzarsi, alla gamba destra, da un secondo cecchino. Secondo Kronz, i proiettili che gli hanno colpito le gambe e gli hanno frantumato la vita provenivano da due diverse direzioni. In altre parole, è stato colpito da due diversi tiratori, mentre si trovava a 750 metri dal reticolato che segna il confine di Gaza, armato solamente della sua macchina fotografica, con indosso un gilet con su scritto “Stampa”, cercando di documentare il fuoco incessante dei cecchini israeliani contro i manifestanti palestinesi disarmati. Dopo essere stato colpito, ci dice ora, ha visto sempre più persone cadere sulla sabbia, sanguinando, “come uccelli”. L’incidente è avvenuto nella Giornata della Terra, il primo giorno delle Marce del Ritorno di fronte al confine di Gaza.

L’ospedale Istishari è situato in alto nel villaggio di Surda, a nord di Ramallah. È una grande, nuova, sofisticata struttura privata, lussuosa e scintillante. Kronz ha una stanza privata, spaziosa e ben illuminata, con un letto regolabile, un televisore, pareti con pannelli in legno ed una vista mozzafiato. Israele non ha permesso a nessuno della sua famiglia di accompagnare Kronz in Cisgiordania o di badare a lui, eccetto a suo nonno, Mohammed Kronz, che ha 85 anni, e che, dopo pochi giorni, è stato costretto ad andare a casa di parenti nel lontano campo profughi di Aroub, vicino a Betlemme, per riposarsi. Ora Yousef, che soffre di forti dolori al moncone e alla sua gamba rimanente, viene assistito con devozione infinita da un cugino, Ghassan Karnaz, anch’egli di Aroub. The two cou sins had never met before.I due cugini non si erano mai incontrati prima. Come tutti i giovani di Gaza, Kronz non era mai stato fuori dalla Striscia. Ora ha violato l’assedio di Gaza – senza una gamba.

Studente di comunicazione del primo anno all’Università Al-Azhar di Gaza, è di una famiglia originaria di Faluja, nel Negev. Suo padre riceve uno stipendio dall’Autorità Palestinese come funzionario della polizia di Gaza. Kronz era attivo nei social network, dove scriveva sulla situazione nella Striscia. Qualche mese fa, ha acquistato una macchina fotografica Canon 5D per 5.000 dollari, metà dai suoi risparmi e il resto da suo padre, e ha iniziato a lavorare per l’agenzia di stampa locale Bureij.

Kronz è stato il primo giornalista ferito durante il mese delle manifestazioni, anche se non l’ultimo. Conosceva Yaser Murtaja, un giornalista ucciso a sangue freddo da cecchini israeliani il 6 aprile. Come Kronz, anche Murtaja proveniva da un campo profughi di Gaza – Jabalya.

Il 30 marzo, Kronz ha camminato per circa un chilometro e mezzo da casa sua al luogo delle dimostrazioni per fotografarle per la sua agenzia di stampa. Ha recitato le preghiere del mezzogiorno nella tenda dei giornalisti allestita lì. I 25 reporter locali hanno quindi discusso di come avrebbero coperto lo svolgersi delle proteste che stavano documentando. L’atmosfera era tesa, ricorda ora; tutti si aspettavano un numero elevato di vittime.

Pensava che le forze di difesa israeliane avrebbero usato munizioni vere? “Le forze di difesa israeliane usano sempre le munizioni vere.” La sua faccia è contorta dal dolore, ma Kronz è ben curato, nonostante le sue condizioni. Guarda costantemente lo specchio o la telecamera nel suo cellulare, per essere sicuro che il suo taglio di capelli alla moda sia a posto. Dopo le preghiere, continua, la gente inizia a incendiare i pneumatici. Cartelli predisposti dagli organizzatori indicavano la direzione per i servizi igienici e per le varie tende e anche la distanza dal recinto di confine in ogni punto. Così Kronz sapeva di essere a 750 metri dalla barriera. Il giorno prima, le forze di difesa israeliane avevano lanciato dei volantini nella vicina Jabalya, avvertendo che chiunque si fosse avvicinato a più di 300 metri dalla recinzione avrebbe rischiato la vita. Dopo anni di esperienza, gli abitanti di Gaza prendono sul serio questi avvertimenti. Gli organizzatori hanno contrassegnato una zona consentita e una zona rossa proibita e pericolosa. Karnaz dice che era a centinaia di metri fuori dal confine della zona rossa.

Alle 2 del pomeriggio, la situazione si è surriscaldata. Le truppe dell’esercito israeliano hanno iniziato a lanciare granate lacrimogene mentre alcuni giovani si avvicinavano a 100 metri dalla recinzione. Hanno usato fionde per lanciare sassi contro i soldati, ma erano troppo lontani per colpirli. Kronz dice di aver visto alcune dozzine di soldati di fronte a lui dall’altra parte della barriera; tre jeep e la canna di un carro armato stavano sbirciando da dietro un terrapieno. Anche lui ha trovato un piccolo cumulo di terra e si è appollaiato dietro di esso, posizionando il treppiede con la sua fotocamera su di un lato e il suo zaino sull’altro. Si è inginocchiato sulla sabbia, le gambe incrociate davanti a lui. La nuvola di gas lacrimogeni si è fatta più intensa, i soldati hanno iniziato a sparare le granate a raffica e il cielo si è riempito di gas denso e irritante. Il vento portava il gas nella sua direzione; i manifestanti usavano le cipolle per proteggersi.

Kronz ha scattato circa 950 foto.

Ricorda di aver guardato il suo orologio alle 15:00. Più tardi quel pomeriggio, un amico, Bilal Azara, si sarebbe sposato a Bureij; quindi pensò che avrebbe dovuto andare a casa, farsi una doccia e cambiarsi. Kronz prese la sua macchina fotografica e lo zaino e si alzò in piedi. In quel preciso istante, il primo proiettile lo colpì. Non sentì nulla tranne un dolore bruciante. La fotocamera cadde dalle sue mani e lui collassò a terra, quindi cercò immediatamente di alzarsi. In quel momento il secondo proiettile squarciò l’altra gamba. Il primo è entrato cinque centimetri sotto il ginocchio, il secondo a sette centimetri sopra l’altro ginocchio. Paralizzato, cercò di gridare aiuto ma la sua voce lo tradì. Dice di essersi sentito sentirsi come fulminato. La sua macchina fotografica è stata abbandonata nelle sabbie di Gaza.

A pochi metri c’era un giovane della stessa età, Ahmed al-Bahar, un assistente di uno degli altri fotografi. Bahar corse da Kronz e cercò di sollevarlo, ma proprio in quel momento anche lui fu colpito a una gamba e cadde a terra sanguinando.

A questo punto della nostra conversazione, lontani parenti dell’11enne Abed al-Rahman Nufal, che ha perso anche lui una gamba a Gaza ed è ricoverato qui all’Istishari, entrano nella stanza per salutare. Nufal è uno degli unici tre altri abitanti di Gaza feriti che Israele ha permesso di trasportare qui, su 1.500 feriti nelle manifestazioni fino ad oggi. La famiglia, ex abitanti di Gaza che ora vivono in Cisgiordania, è venuta per vedere come sta il ragazzo.

Alcuni giovani hanno trasportato Kronz e Bahar all’unica ambulanza della zona. In breve tempo il veicolo era pieno zeppo di sei feriti distesi l’uno accanto all’altro; Kronz era il ferito più grave. I soldati continuavano a lanciare gas lacrimogeni; Kronz si sentiva come se stesse soffocando nell’ambulanza. Un paramedico gli ha messo una maschera di ossigeno sul viso, ma l’affollamento all’interno gli ha impedito di fermare l’emorragia dalle gambe di Kronz. Semi-incosciente, Kronz è stato portato all’ospedale Al-Aqsa a Dir al-Balah.

All’ospedale ha visto la sua gamba sinistra per la prima volta; era frantumata, l’osso sporgente, la carne lacerata. Alla sua vista è svenuto. È stato anestetizzato e trasferito immediatamente in un ospedale più grande, l’ospedale Shifa di Gaza City, a causa della gravità delle ferite. A Shifa ha subito un intervento chirurgico di sei ore per fermare l’emorragia.

Dopo quattro giorni a Shifa la condizione della gamba sinistra di Kronz si è deteriorata e i medici sono stati costretti ad amputarla sopra il ginocchio. Ha ricevuto 24 trasfusioni di sangue. La richiesta di trasferirlo a Ramallah per il trattamento è stata presentata a Israele poche ore dopo che era stato ferito, ma è stata respinta dalle autorità. Anche la situazione della gamba destra sembrava disperata.

Nove giorni dopo la ferita di Kronz, l’8 aprile, due gruppi per i diritti umani – Adalah, il Centro Legale per i Diritti delle Minoranze Arabe in Israele e il Centro al-Mezan per i Diritti Umani di Gaza – hanno presentato una petizione all’Alta Corte israeliana per consentire a Kronz e a un altro abitante di Gaza ferito, Mohammed Alajuri, di essere trasferiti urgentemente a Ramallah per le cure. A quanto pare il tribunale non ha visto alcuna reale urgenza nel trattare il caso e ha aspettato quattro giorni prima di deliberare sulla petizione, per la quale i giudici avevano richiesto una risposta dallo stato entro quattro giorni.

“Le amputazioni delle membra di entrambi i giovani avrebbero potuto essere evitate se lo stato avesse adempiuto ai propri obblighi secondo il diritto umanitario internazionale”, ha detto Sawsan Zahar, un avvocato di Adalah, ai giudici.

Gli avvocati dello stato, da parte loro, hanno detto alla corte che “Apparentemente, la condizione dei firmatari sembra soddisfare il criterio medico per il rilascio di un permesso [per il trasferimento a Ramallah], ma i funzionari responsabili hanno deciso di non accettare le loro richieste. La motivazione principale del rifiuto deriva dal fatto che la loro condizione sanitaria è il risultato della loro partecipazione alle manifestazioni”.

Il 16 aprile, i giudici Uri Shoham, George Karra e Yael Willner hanno dichiarato di non essere persuasi che il governo avesse pienamente valutato se le circostanze nel caso di Kronz giustificassero una deviazione dalla procedura normale. “Non c’è discussione sul fatto che le cure mediche di cui il firmatario ha bisogno per impedire l’amputazione della sua gamba non siano disponibili nella Striscia di Gaza”, hanno scritto. “Pertanto, il firmatario è incluso tra i casi in cui l’ingresso in Israele deve essere consentito ai fini del passaggio a Ramallah.”

I giudici si sono inoltre degnati di dichiarare che Kronz non rappresenta un rischio per la sicurezza di Israele. Quello stesso giorno fu trasferito all’ospedale Istishari. (Per quanto riguarda Alajuri, prima che la corte arrivasse a emettere una sentenza sul suo caso, i medici a Gaza non hanno avuto altra scelta che amputargli la gamba. Lui rimane a Gaza.)

Yousef Kronz sta attraversando un periodo difficile, adattandosi con difficoltà al suo stato di amputato. Quattro giorni dopo essere stato portato all’ospedale di Ramallah ha subito un intervento chirurgico alla gamba destra, le cui condizioni sembrano essersi stabilizzate. Ora, tuttavia, deve affrontare una lunga riabilitazione, che durerà almeno quattro mesi, in un ospedale di Beit Jala, vicino a Betlemme.

Prima di congedarci, ci chiede se pensiamo che sarà mai in grado di camminare su una gamba sola.

Traduzione di Maurizio Bellotto

su AssopacePalestina

 




Come se Israele non avesse fatto niente di cui vergognarsi prima dell’avvento degli smartphone

Amira Hass

16 aprile 2018, Haaretz

I soldati israeliani che hanno ucciso palestinesi disarmati non sono spuntati dal nulla per la prima volta tre settimane fa. Né le giustificazioni dell’esercito sono iniziate solo allora. Siete voi che non leggete, ricordate o credete.

La vergogna è importante, è un peccato che arrivi così tardi. La vergogna è necessaria, è triste che così poche persone la provino. Quello che rende possibile questa tardiva apparenza di vergogna è la tecnologia che ha trasformato ogni persona con uno smartphone in un fotografo e ogni applicazione delle reti sociali in uno schermo gigante, portando in ogni casa prove fotografiche imbarazzanti. In rari casi filtrano attraverso il muro dell’insabbiamento e della menzogna innalzato dall’esercito israeliano e attraverso la corazza del “sono comunque tutti terroristi” che gli israeliani indossano volontariamente.

Dalla vergogna a lungo rimandata possiamo intuire che ci sono israeliani che credono che i soldati dell’esercito abbiano iniziato solo poche settimane fa a sterminare palestinesi disarmati. Cioè credono che solo da quando sono comparsi gli smartphone, con la loro possibilità di smascherare pubblicamente in tutta la loro nuda vergogna i soldati e i loro superiori, i comandanti abbiano iniziato a ordinare ai loro soldati di uccidere anche in assenza di un pericolo mortale. In altre parole, che fino a poco tempo fa, finché non sono arrivati gli smartphone, la purezza delle armi venisse scrupolosamente rispettata e non ci fosse spazio per la vergogna. E quindi che sia così anche oggi, in tutti i casi in cui soldati e poliziotti uccidono e feriscono palestinesi quando non ci sono telefonini a riprenderli. Gli israeliani che si vergognano credono che l’esercito menta solo quando c’è una prova fotografica della bugia. In sua assenza l’esercito israeliano e la polizia dicono la verità, i palestinesi e un pugno di persone di sinistra sono quelli che mentono.

La vergogna è demoralizzante per un’altra ragione: ci ricorda della debolezza della parola scritta quando non si basa sulla versione degli avvenimenti del regime, ma piuttosto sulla testimonianza delle vittime del regime. Prima che ci fossero cellulari con videocamera e telecamere di sicurezza ad ogni angolo, raccoglievamo le testimonianze di decine di testimoni oculari. Incrociavamo le loro versioni, verificavamo, esaminavamo, facevamo domande – spesso eravamo sul posto quando avvenivano gli incidenti – e scrivevamo e pubblicavamo. Ma era sempre la nostra parola contro quella dell’essere assolutamente puro: l’ufficio del portavoce dell’esercito.

L’immagine che si voleva trasmettere dell’esercito e del governo era fabbricata sulle scrivanie delle redazioni e nelle strade di Tel Aviv e di Kfar Sava. Ogni giorno e in ogni operazione, il superpotere palestinese risorge per distruggerci e per attaccare la piccola Israele e i suoi teneri figli diciottenni che sono apparsi nel territorio della superpotenza. Non è così: i soldati israeliani che uccidono palestinesi disarmati non sono spuntati fuori per la prima volta tre settimane fa. Né le giustificazioni dell’esercito sono iniziate solo allora. Siete voi che non leggete o non ricordate o non credete.

Alla vostra attenzione

Ma ditemi, voi che vi vergognate, e a ragione, non vi vergognate del fatto che Israele rubi l’acqua ai palestinesi e imponga loro limitate quote di consumo? Non vi vergognate del rifiuto di Israele di collegare migliaia di palestinesi della Cisgiordania e del Negev israeliano al servizio idrico?

E quando Israele espelle gli abitanti di Umm al-Hiran dalla loro baraccopoli del Negev, non morite di vergogna per lo Stato e per la bella comunità modello, basata su valori ebraici, che sarà costruita sulla terra degli espulsi? Non vi vergognate dello Stato che in tutti questi anni ha impedito il collegamento di Umm al-Hiran alla rete idrica ed elettrica, o dei giudici della Corte Suprema che hanno permesso le espulsioni? Non provate vergogna quando un pugno di israeliani scende dalle proprie colonie e dagli avamposti per attaccare ripetutamente i villaggi palestinesi dei dintorni? Non arrossite, né sbiancate, alla vista dei soldati che stanno a guardare e lasciano che essi aggrediscano, distruggano, sradichino e taglino? E quando la polizia non fa nessuna ricerca dei responsabili, persino quando sono stati filmati e il loro luogo di residenza è noto, non vi vergognate ancora di più? Non provate vergogna per il solo fatto di sapere che questo metodo di violenza dei coloni – incoraggiato dal silenzio delle autorità – è vecchio tanto quanto la stessa occupazione?

Il seguente fatto – 2,5% della terra dello Stato è destinata al 20% della popolazione (i cittadini palestinesi di Israele) – non fa sì che voi, per la vergogna, vogliate che la terra si apra e vi inghiotta?

E cosa ne dite dei pochi abitanti di Gaza a cui è permesso di viaggiare all’estero attraverso il ponte di Allenby [posto di confine tra la Cisgiordania occupata e la Giordania, ndt.] che sono obbligati a promettere per iscritto di non tornare per un anno? E dei palestinesi della Cisgiordania a cui non è consentito incontrarsi con amici e parenti che vivono nella Striscia di Gaza? E del divieto di vendita dei prodotti di Gaza in Cisgiordania e di esportarli, tranne pochi camion che trasportano una ridotta quantità di beni? E cosa dite del fatto di tener imprigionate 2 milioni di persone dietro il filo spinato e il controllo militare e le torri da cui sparare? Secondo voi tutto questo non meriterebbe di essere incluso nell’elenco delle disgrazie collettive degli ebrei?

Israele non si è mai spaventato e non si spaventa ora ad uccidere civili palestinesi – individualmente, separatamente e in massa. Ma uccidere palestinesi non è un fine in sé. Al contrario i 70 anni di esistenza di Israele dimostrano che l’appropriazione della terra palestinese è un obiettivo supremo del nostro Stato, e che l’appropriazione si unisce alla riduzione del numero di palestinesi su quella terra.

Espellere palestinesi dalle loro case, dalla loro patria e dal loro Paese in tempo di guerra è un mezzo collaudato per ridurre il numero di una popolazione. Quando questo non è fattibile, concentrare i palestinesi in affollate riserve (su entrambi i lati della Linea Verde [il confine tra lo Stato di Israele e la Giordania prima dell’occupazione della Cisgiordania, ndt.]) è un altro metodo, di routine e continuo. Chiunque abbia trovato ciò difficile da credere prima del 1993 ha ottenuto la prova definitiva negli accordi di Oslo: sotto l’ombrello del processo di pace il principale obiettivo dei governi (laburisti e del Likud) e delle loro burocrazie è stato di dimostrare la giustezza delle accuse secondo cui nel profondo siamo davvero un’entità coloniale. Ciò vi fa sentire orgogliosi?

(traduzione di Amedeo Rossi)




Parlamentari USA esortano i soldati israeliani a sfidare l’ordine di sparare ai manifestanti palestinesi

Ali Abunimah

13 Aprile 2018, Electronic Intifada


Giovedì alcuni attivisti hanno contestato Nikki Haley, ambasciatrice USA alle Nazioni Unite, perché il suo governo ha bloccato ogni inchiesta internazionale sulle uccisioni israeliane a Gaza.

Haley non ha trovato modo di rispondere, mentre i membri del gruppo contro la Guerra “CODEPINK” hanno affermato che “Israele merita di essere considerato responsabile esattamente come qualunque altro Paese” per “l’uccisione di manifestanti pacifici.”

Nel contempo cinque membri del Congresso USA hanno rotto quello che è stato un silenzio quasi totale.

Appoggiano l’appello di B’Tselem [organizzazione israeliana per i diritti umani, ndt.] ai soldati israeliani perché sfidino l’ordine illegale di aprire il fuoco contro palestinesi disarmati che partecipano alle proteste nella Striscia di Gaza occupata.

Elogiamo i gruppi israeliani per i diritti umani che stanno chiedendo ai soldati israeliani di resistere a questi ordini illegali dei loro superiori e stanno chiedendo alle forze dell’esercito israeliano di rispettare integralmente le leggi internazionali e di esercitare la massima moderazione nell’uso di una forza letale,” dicono i parlamentari alla vigilia del terzo venerdì dei raduni per la “Grande Marcia del Ritorno”.

Questi mezzi devono essere utilizzati solo come ultima risorsa per impedire un’imminente minaccia mortale.”

Profondamente turbati”

Durante gli ultimi due venerdì – 30 marzo e 6 aprile – le forze israeliane hanno perpetrato un massacro premeditato e calcolato di decine di manifestanti palestinesi che non rappresentavano nessuna minaccia di alcun genere, provocando un avvertimento senza precedenti da parte del pubblico ministero della Corte Penale Internazionale (CPI), secondo cui i dirigenti israeliani potrebbero essere incriminati.

Fino al pomeriggio di questo venerdì un palestinese è stato ucciso e centinaia sono stati feriti quando le forze israeliane hanno di nuovo aperto il fuoco oltre la frontiera contro migliaia di dimostranti riuniti per chiedere la fine del blocco israeliano di Gaza e il diritto dei rifugiati a tornare alle terre da cui Israele li ha espulsi e da cui li esclude in quanto non ebrei.

I cinque democratici del Congresso – Mark Pocan del Wisconsin, Pramila Jayapal di Washington, Keith Ellison del Minnesota, Barbara Lee della California e Henry “Hank” Johnson della Georgia – dichiarano: “Siamo profondamente turbati dalle tragiche morti delle ultime due settimane di proteste portate avanti all’interno del territorio di Gaza, con più di dieci palestinesi uccisi da cecchini – compreso un adolescente disarmato e uno stimato fotogiornalista – e molte altre centinaia feriti da proiettili letali.”

Infatti tre minori palestinesi – di 13, 15 e 17 anni – sono stati tra le decine di persone ferite dalle forze israeliane a Gaza nelle ultime due settimane.

I deputati affermano anche di “respingere fermamente la pericolosa affermazione” del ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman “secondo cui ‘non ci sono persone innocenti nella Striscia di Gaza’,” così come gli ordini dati dai comandanti israeliani “in violazione delle leggi internazionali” di impiegare “il fuoco di cecchini contro abitanti di Gaza che siano arrivati a 300 metri dalla barriera di confine o siano coinvolti in altre azioni che non mettono a rischio la vita [dei soldati].”

Difendere i minori

Betty McCollum, una democratica del Minnesota che ha presentato una storica legge per proteggere i bambini palestinesi dall’arresto e dai maltrattamenti da parte dell’esercito israeliano, non ha firmato la dichiarazione.

Ma McCollum è stata una dei pochissimi deputati che hanno condannato il massacro di civili palestinesi dopo la prima manifestazione della “Grande Marcia del Ritorno”, il 30 marzo.

Ha dimostrato la propria volontà di continuare a pronunciarsi a favore dei diritti dei palestinesi tweettando la foto di un incontro che ha tenuto giovedì con il direttore di “B’Tselem” Hagai El-Ad.

Stiamo lavorando insieme per porre fine agli arresti, ai maltrattamenti e alle torture dei minori palestinesi da parte dell’esercito israeliano,” ha scritto McCollum.

Chi usa “scudi umani”?

E’ molto raro che membri del Congresso critichino apertamente Israele ed appoggino i diritti dei palestinesi.

Ma ciò che è altrettanto significativo è la quasi totale mancanza di parlamentari, repubblicani o democratici, che intendano difendere le uccisioni israeliane a Gaza.

L’AIPAC, il potente gruppo della lobby israeliana, è tuttavia riuscito a trovarne una manciata e li ha ritweettati sul suo tweetter ufficiale.

Il repubblicano dell’Indiana Jim Banks ha ripetuto l’argomento del governo israeliano secondo cui le manifestazioni a Gaza sono uno stratagemma di Hamas “che utilizza civili innocenti come scudi umani.”

Anche il repubblicano della Carolina del Sud Joe Wilson ha affermato che “Hamas ha usato deliberatamente una protesta di civili per fomentare la violenza e mettere a rischio vite innocenti.”

Entrambi i parlamentari sollecitano il Senato ad approvare la “Legge per la Prevenzione degli Scudi Umani di Hamas”, una legge promossa da Wilson.

La legge, approvata dalla Camera in febbraio, in apparenza chiede sanzioni contro i dirigenti di Hamas che avrebbero utilizzato questa prassi.

Da molto tempo Hamas è definita come organizzazione “terroristica” dagli Stati Uniti ed è già soggetta a dure sanzioni. La legge pertanto sembra essere poco più di un modo di mettersi in mostra per promuovere una sconclusionata narrazione israeliana che intende incolpare i palestinesi per i loro morti e feriti.

Un’inchiesta di Human Rights Watch sulle uccisioni del 30 marzo da parte di Israele non ha trovato “prove che i manifestanti abbiano usato armi da fuoco o che qualche soldato dell’IDF (l’esercito israeliano) affermi che ci sia stato l’uso di colpi di avvertimento con armi da fuoco nei confronti dei manifestanti.”

Benché, come ha riconosciuto Human Rights Watch, alcuni dimostranti – delle decine di migliaia che hanno partecipato alle manifestazioni – abbiano bruciato copertoni e lanciato pietre contro postazioni israeliane pesantemente protette, neppure un israeliano risulta essere stato ferito durante settimane di proteste in cui migliaia di palestinesi sono stati uccisi o feriti da proiettili mortali e gas lacrimogeni.

Mentre membri del Congresso come Banks e Wilson promuovono le false accuse israeliane secondo cui i palestinesi utilizzano “scudi umani”, essi ignorano le prove inconfutabili che le forze israeliane hanno fatto esattamente questo per anni, sia a Gaza che nella Cisgiordania occupata.

Gente di speranza”

Anche in Canada gli attivisti stanno denunciando il silenzio del loro governo sui massacri israeliani a Gaza.

Durante la lotta contro l’apartheid in Sud Africa è stata la società civile, compresi chiese, sindacati, iniziative di amministrazioni locali e attivisti studenteschi che hanno fatto pressione sugli USA e su altri governi perché ponessero fine alla loro complicità con il regime razzista bianco.

La lotta per la giustizia in Palestina sta seguendo un cammino simile: questa settimana il consiglio comunale di Dublino ne ha fatto la prima capitale europea che appoggia il movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS).

E in seguito all’ultimo bagno di sangue a Gaza, 15 confessioni cristiane e gruppi religiosi degli USA hanno emesso quello che per molti di loro è forse il più duro comunicato in appoggio ai diritti dei palestinesi.

Le organizzazioni religiose sostengono l’avvertimento del pubblico ministero della CPI ai dirigenti israeliani, inoltre invitano i soldati israeliani a sfidare gli ordini illegali, esprimono pieno appoggio ai diritti dei rifugiati palestinesi, chiedono che gli USA considerino Israele responsabile per come utilizza i miliardi di dollari in aiuto militare e fanno appello perché venga tolto il blocco di Gaza.

Con le manifestazioni i palestinesi hanno cercato di portare l’attenzione del mondo sui propri diritti e di rivendicarli– in quanto rifugiati, di manifestare e di vivere in modo dignitoso,” affermano i gruppi cristiani. “Hanno incontrato un rifiuto immediato e terribile di questi diritti, ma, come persone di speranza e nel periodo di Pasqua, crediamo che questi diritti alla fine prevarranno.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




“Non ci sono innocenti a Gaza” dice il ministro della Difesa israeliano

MEE e agenzie 

domenica 8 aprile 2018, Middle East Eye

In totale 30 palestinesi sono stati uccisi dai soldati israeliani durante 10 giorni di proteste sul confine di Gaza con Israele.

Domenica, dopo che i soldati israeliani hanno sparato e ucciso 30 palestinesi in 10 giorni di proteste, il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman ha detto che non ci sono “persone innocenti” nella Striscia di Gaza governata da Hamas.

Non ci sono innocenti nella Striscia di Gaza,” ha detto Lieberman alla radio pubblica israeliana.

Chiunque sia legato ad Hamas, chiunque abbia uno stipendio di Hamas e tutti gli attivisti che cercano di sfidarci e di violare il confine sono attivisti dell’ala militare di Hamas.”

Israele ha avuto a che fare con contestazioni sempre più accese sul suo uso di proiettili letali a seguito dei 10 giorni di proteste lungo il confine della Striscia di Gaza durante i quali, secondo il ministero della Sanità di Gaza, i suoi militari hanno ucciso 30 palestinesi.

La violenza è divampata di nuovo venerdì, quando migliaia di manifestanti sono tornati al confine. Secondo il ministero della Sanità di Gaza nove palestinesi sono stati colpiti ed uccisi dalle forze israeliane e almeno 1.060 sono stati feriti.

Tra i morti è incluso anche il video-giornalista palestinese Yasser Murtaja. Questo padre trentenne è stato colpito all’addome da un cecchino israeliano mentre filmava le proteste, nonostante indossasse un giubbotto antiproiettile con la scritta “Stampa”.

Tra i morti c’è anche il quindicenne Hussein Mohammed Madi di Gaza City. Il ministero ha affermato che Madi è stato ucciso ad est di Gaza City da un proiettile dum-dum a espansione.

Non si hanno notizie di vittime israeliane.

Israele sostiene di aver aperto il fuoco solo quando si è reso necessario per evitare danni alla barriera di confine, infiltrazioni e tentativi di attacchi.

Ma i gruppi per i diritti umani hanno duramente criticato le azioni dei soldati israeliani, e i palestinesi dicono che i manifestanti colpiti non stavano rappresentando alcuna minaccia per i soldati.

Siamo sempre bersaglio delle forze israeliane”

I soldati israeliani hanno incolpato i “circa 10.000 palestinesi” che hanno partecipato a “disordini in cinque località lungo il confine con la Striscia di Gaza.”

Aggiungono che “sono stati fatti vari tentativi di danneggiare e attraversare la barriera di sicurezza sotto la protezione della cortina fumogena.”

I palestinesi hanno bruciato centinaia di copertoni nel tentativo di oscurare la visuale dei cecchini israeliani schierati sul confine tra Israele e Gaza.

Abbiamo sentito molti avvertimenti sull’uso di copertoni bruciati, ma non abbiamo altre possibilità per esprimere la nostra rabbia e il nostro diritto al ritorno,” ha detto venerdì a MEE il dimostrante Said Ayman Hamadn.

Qualunque cosa facciamo, siamo comunque presi di mira dalle forze israeliane. Perciò usiamo i copertoni per evitare i colpi di fucile degli israeliani, perché siamo manifestanti pacifici. Abbiamo bisogno di qualcosa che ci protegga dalla brutalità di Israele.”

Le immagini sui social media hanno fatto vedere le forze di sicurezza israeliane che piazzavano ventilatori nel tentativo di allontanare il fumo ed avere una visione chiara del confine.

Il 30 marzo le forze israeliane hanno ucciso 19 palestinesi mentre centinaia di migliaia di manifestanti si riunivano nei pressi del confine israeliano.

Il giorno seguente l’esercito israeliano ha affermato in un tweet che “niente è stato fatto in modo incontrollato; tutto è stato accurato e misurato, e sappiamo dove è andato a finire ogni proiettile.”

In seguito il tweet è stato cancellato.

Israele ha sostenuto che Hamas, il movimento islamista che governa la Striscia di Gaza e con cui ha combattuto tre guerre dal 2008, sta cercando di utilizzare le proteste come copertura per proseguire le violenze.

Il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres e l’Unione Europea hanno chiesto un’inchiesta indipendente sull’uso della forza da parte di Israele, che Israele ha ripetutamente rifiutato.

Sabato l’Unione Europea ha sollevato dei dubbi sul fatto che le truppe israeliane abbiano fatto un “uso proporzionato della forza”.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Con la Grande Marcia del Ritorno, i palestinesi chiedono una vita dignitosa

Ahmad Abu Rtemah

The Nation – 6 aprile, 2018

La Nakba non è solo una memoria [da coltivare], è una realtà tuttora in atto. Possiamo accettare che alla fine dobbiamo morire tutti; a Gaza la tragedia è che non riusciamo a vivere.

Khan Younis- Negli ultimi otto giorni, decine di migliaia di manifestanti a Gaza hanno ridato vita a un luogo che lentamente se ne stava impoverendo. Siamo venuti in massa, lanciando slogan e cantando una ninna nanna che tutti abbiamo desiderato, “Noi ritorneremo”, portando tutto quello che ci è rimasto da offrire nel tentativo di reclamare i nostri diritti a vivere in libertà e giustizia. Nonostante la nostra marcia pacifica, ci siamo imbattuti in una pioggia di gas lacrimogeni e di fuoco letale [lanciati] dai soldati israeliani. Sfortunatamente non è una novità per i palestinesi di Gaza che hanno vissuto molte guerre e un brutale assedio e blocco.

A Gaza abitano quasi 1 milione e 900.000 persone di cui 1 milione e 200.000 sono rifugiati espulsi dalle loro case e dalle loro terre durante la formazione di Israele 70 anni addietro, conosciuta come la Nakba ( la Catastrofe) per i palestinesi. Sin dall’inizio dell’assedio quasi 11 anni fa, il semplice obiettivo di sopravvivere ogni giorno si è dimostrato essere una sfida. Adesso solamente svegliarsi e potere usare acqua pulita ed elettricità è un lusso. L’assedio è stato particolarmente duro per i giovani, che soffrono a causa di un tasso di disoccupazione pari al 58%. Quello che è peggio è che tutto ciò è il risultato della politica di Israele che può essere cambiata. Questa vita dura e difficile non deve essere la realtà di Gaza.

I pescatori non possono avventurarsi oltre le sei miglia marine, il che trasforma in una sfida pescare abbastanza da mantenere i loro familiari. Dopo le guerre di Israele del 2008-09 e poi di nuovo del 2012 e del 2014 e tutte le uccisioni che sono avvenute in quel periodo, alla gente qui non è nemmeno concessa l’opportunità di ricostruire, giacché Israele ha ridotto i permessi di ingresso dei materiali di costruzione. Le condizioni degli ospedali sono allarmanti, e ai pazienti di rado viene data l’opportunità di andare a curarsi fuori [da Gaza]. Non vale la pena nemmeno di menzionare la perpetua condizione di oscurità in cui viviamo, praticamente senza elettricità o acqua pulita. Non è stato sufficiente averci cacciati; è come se tutta la memoria dei rifugiati palestinesi debba essere confinata e cancellata.

 Sono nato nel campo profughi di Rafah a Gaza. I miei genitori sono della città di Ramle in quello che ora è conosciuto come Israele. Come la maggior parte dei rifugiati palestinesi, ho sentito le storie dai membri più anziani della mia famiglia riguardo alla brutalità con cui sono stati cacciati dalle loro case durante la Nakba. Nonostante siano passati molti decenni, essi, come centinaia di migliaia di altre persone, non sono capaci di dimenticare gli orrori di cui sono stati testimoni durante il loro esproprio e tutte le violenze e sofferenze che si sono accompagnate a ciò.

Non ho mai visto la casa della mia famiglia a Ramle e i miei figli non hanno mai visto niente oltre i confini di Gaza e dell’assedio. Il mio più grande figlio di 7 anni e il più piccolo di 2 non conoscono nessuna realtà all’infuori del rumore delle bombe, del buio della notte senza elettricità, dell’impossibilità di viaggiare liberamente, o il fatto che queste cose non sono normali. Niente nella vita di Gaza è normale. La Nakba non è solo una pratica di memoria, è una realtà tuttora in atto. E se possiamo rassegnarci che tutti alla fine dobbiamo morire, a Gaza la tragedia è che non riusciamo a vivere.

 E’ contro questa dura realtà che resistiamo. Gli ultimi due venerdì, abbiamo resistito contro tutte le potenze che ci dicevano di smettere e morire in silenzio e abbiamo deciso di marciare per la vita. Si tratta di una protesta di una popolazione che non vuole altro che vivere in dignità.

 Nel 2011 i palestinesi hanno marciato verso i confini dalla Siria , dal Libano, dalla Giordania, da Gaza e dalla Cisgiordania. Alcuni sono stati uccisi, altri che sono riusciti a oltrepassare il confine sono stati arrestati dai soldati israeliani. Ma molto tempo prima, nel 1976, i palestinesi hanno protestato contro l’esproprio da parte di Israele delle loro terre in quello che più tardi è stato conosciuto come il Giorno della Terra. Allora sei palestinesi furono uccisi e 42 anni dopo Israele sta ancora facendo ricorso a una violenza omicida per impedire ai rifugiati di ritornare, ammazzando almeno 25 palestinesi a Gaza dallo scorso venerdì. Quegli esseri umani hanno osato sognare [di andare] al di là di tutte le strade dei campi profughi; avevano avuto la visione di una casa che non hanno mai avuto l’occasione di vedere.

 Ero preoccupato per la nostra incolumità quando siamo arrivati in migliaia in quella che Israele ritiene “ zona da non percorrere”. Ho riflettuto sulle conseguenze. Quando mi sono trovato con la mia famiglia nei pressi della piazza della Marcia del Ritorno nella zona orientale di Khan Younis, abbiamo respirato i gas lacrimogeni, compresi i miei figli. Ho sofferto nel vedere l’infanzia innocente colpita da un’esperienza così traumatica. Ma quello che molte persone non riescono a riconoscere è che sia che stiamo a casa, sia che protestiamo all’aperto, non siamo mai veramente sicuri a Gaza, né siamo realmente vivi. È come se tutta la nostra esistenza e i sogni di ritornare a casa e vivere con dignità debba essere nascosta nell’oscurità.

Tuttavia, quest’anno, dopo il riconoscimento da parte di Trump di Gerusalemme come capitale di Israele e la possibilità di realizzare quello che ha definito come “l’accordo del secolo”, i palestinesi hanno sentito un’imminente minaccia al diritto al ritorno dei rifugiati, nonostante venga riconosciuto dalla risoluzione 194 delle Nazioni Unite. È una preoccupazione di tutti che i nostri diritti in quanto rifugiati siano in serio pericolo e noi dobbiamo resistere in un modo nuovo, unitario, rivoluzionario, un modo che è al di fuori delle modalità dei negoziati e di quelle delle fazioni, per fare pressione su Israele e reclamare i nostri diritti.

Nei 70 anni trascorsi, Israele ha continuamente cacciato e umiliato i palestinesi. L’abbiamo visto nel ’48 e di nuovo nel ’67 e ora ancora ne siamo testimoni con l’espansione delle colonie. Mentre Israele butta fuori i palestinesi, porta nuovi immigrati da ogni parte del globo e li insedia su terre rubate ai palestinesi in violazione del diritto internazionale. Tuttora Israele continua ad essere incoraggiata dalla mancanza di pressioni da parte della comunità internazionale e dal sostegno dell’amministrazione Trump, cosicché le colonie continuano inesorabilmente ad espandersi.

Israele vorrebbe che il mondo credesse che noi palestinesi abbiamo lasciato volontariamente le nostre case ed abbiamo scelto questa vita di umiliazione, senza i diritti umani fondamentali, e che abbiamo imposto tutto ciò a noi stessi.

 Oggi i palestinesi di Gaza stanno provando a rompere le catene in cui Israele ha tentato così duramente di imprigionarci. Siamo dei manifestanti inermi che affrontano, protestando pacificamente, soldati pesantemente armati. Come risultato è difficile per Israele calunniarci e giustificare la sua brutale violenza e il mondo ha davanti a sé la realtà che innocenti civili vengono uccisi solo per avere esercitato il loro diritto a protestare pacificamente. Le scuse che Israele usa per giustificare le sue politiche nei confronti dei palestinesi stanno lentamente perdendo la loro efficacia, dal momento che a livello mondiale le persone realizzano sempre più che il vero volto di Israele è quello di un brutale regime di apartheid.

Nonostante la violenza voluta e mirata verso manifestanti inermi da parte di Israele, con la nostra Grande Marcia del Ritorno noi palestinesi a Gaza stiamo affermando ad alta voce e chiaramente che noi siamo ancora qui. Per Israele , è la nostra identità il nostro crimine, ma noi stiamo celebrando proprio quell’ identità che Israele cerca di criminalizzare. Persone di tutti i ceti stanno partecipando alla marcia. Artisti contribuiscono con la tradizionale danza dabka, intellettuali organizzano circoli di lettura, volontari si vestono da clown e giocano con i bambini. Quello che è più sorprendente sono i giovani che vivono e giocano, la loro risata, la più grande protesta fra tutte.

Le Nazioni Unite hanno ammonito che Gaza può essere invivibile entro soli due anni. Resistendo al destino che Israele ha programmato per noi, stiamo lottando pacificamente con i nostri corpi e il nostro amore per la vita, appellandoci alla giustizia che rimane nel mondo.

Ahmad Abu Rtemah è uno scrittore indipendente di Gaza, attivista di un social media e uno degli organizzatori della Grande Marcia del Ritorno.

(Traduzione di Carlo Tagliacozzo)




Una fucilazione di massa sponsorizzata dallo Stato

Michael Schaeffer Omer-Man

7 aprile 2018, +972

Nel giorno in cui cecchini dell’esercito sparano a centinaia di manifestanti disarmati, l’esercito dichiara che “le circostanze in cui dei giornalisti sono stati feriti sono ignote.” Le circostanze non potrebbero essere più chiare.

La scorsa settimana tiratori scelti e cecchini dell’esercito israeliano hanno sparato a oltre 1.000 dimostranti palestinesi disarmati all’interno della Striscia di Gaza, uccidendo più di 30 persone. Lo scorso venerdì almeno sei giornalisti palestinesi sarebbero stati tra le persone colpite durante la “Grande Marcia del Ritorno”. Uno di loro, Yasser Murtaja, un fotografo di “Ain Media”[una televisione locale, ndt.], che a quanto si dice aveva un elmetto e un giubbotto che indicava chiaramente “Stampa” quando è stato colpito, è morto in seguito per le ferite riportate.

L’esercito israeliano non prende di mira i giornalisti,” ha affermato sabato un portavoce israeliano, citato da numerose pubblicazioni, aggiungendo che “le circostanze in cui giornalisti sono stati feriti, apparentemente da fuoco dell’esercito israeliano, sono sconosciute e sono in via di accertamento.”

Fermiamoci proprio su questo punto.

Le circostanze in cui i giornalisti palestinesi sono stati colpiti dal fuoco dell’esercito israeliano non potrebbero essere più chiare. Le circostanze sono che l’esercito israeliano ha sparato contro 1.000 manifestanti disarmati nell’arco di una settimana.

Le circostanze sono che l’esercito israeliano, che insiste nel dire di non prendere di mira giornalisti, ha un record veramente scoraggiante nel non rendere responsabili i suoi soldati, piloti e generali del fatto di aver colpito ed ucciso giornalisti a Gaza. Ciò include l’assassinio nel 2012 di due giornalisti che stavano viaggiando in un’auto su cui c’era chiaramente scritto “TV”, numerosi attacchi aerei contro media e sedi informative, ed altro.

Le circostanze sono che, una settimana dopo l’altra, le forze di sicurezza israeliane in modo sistematico non hanno fatto nessuna differenza tra i giornalisti palestinesi e le proteste e gli avvenimenti su cui stavano informando, utilizzando indistintamente la violenza contro entrambi. In innumerevoli casi, sia documentati che no, dei giornalisti sono stati chiaramente presi di mira dalle truppe – e l’esercito spesso difende sfacciatamente questa violenza.

In genere esito a fare qualunque tipo di previsione, ma ecco come vedo quello che succederà. L’esercito israeliano alla fine se ne uscirà con un comunicato in merito a come non possa arrivare a alcuna conclusione definitiva su chi abbia sparato a Yasser Murtaja, o sul perché sia stato colpito, ma sarà in grado di concludere in modo definitivo che l’esercito israeliano non prende di mira giornalisti – per cui è stato sicuramente colpito per errore. Una tragedia che può essere interamente attribuita ad Hamas (la colpa è sempre di Hamas).

Ma Murtaja non è stato l’unico giornalista a cui quel giorno i cecchini israeliani hanno sparato. Sparare alla persona sbagliata potrebbe ragionevolmente essere un caso. Sei giornalisti colpiti lo stesso giorno suggeriscono qualcosa di più sinistro.

Sappiamo già che nelle precedenti proteste a Gaza ai soldati non sono state praticamente fornite linee guida riguardo a chi colpire – solo di sparare alla gente. Sappiamo anche che nel passato importanti fonti ufficiali israeliane hanno giustificato il fatto di prendere di mira giornalisti palestinesi (puntualmente, sabato notte il ministro della Difesa israeliano ha pubblicamente giustificato l’uccisione di Murtaja). Sappiamo anche che raramente i soldati sono chiamati a rispondere per aver ferito giornalisti, soprattutto se palestinesi. E poi ci sono casi come le uccisioni del “Giorno della Nakba” nel 2014, quando uno scellerato cecchino in divisa semplicemente decise di iniziare ad uccidere persone.

Probabilmente non sapremo mai chi ha ucciso Yasser Murtaja.

La verità in merito è che, mentre è particolarmente vergognoso quando le forze di sicurezza colpiscono giornalisti, soprattutto se si è giornalisti, l’uso arbitrario di proiettili letali contro persone disarmate che manifestano dall’altro lato di un confine fortificato, indipendentemente da quello che stanno facendo in quel momento e da quale sia la loro professione o affiliazione politica, è semplicemente indifendibile.

È tempo di iniziare a chiamare tutto ciò per quello che è: una serie di fucilazioni di massa sponsorizzate dallo Stato, che ci possiamo aspettare si ripeteranno nelle prossime cinque settimane. Chiedere che l’esercito faccia un’indagine per l’uccisione di un giornalista non è abbastanza.

(traduzione di Amedeo Rossi)