Un tribunale federale tedesco stabilisce che la politica anti-BDS di Monaco è illegale

Adri Nieuwhof

24 gennaio 2022 – Electronic Intifada

Con una vittoria della libertà politica, un tribunale federale tedesco ha sentenziato che il rifiuto dell’amministrazione comunale di Monaco di mettere a disposizione uno spazio pubblico per un dibattito sulla risoluzione anti-BDS della città è stato un provvedimento anticostituzionale.

Il tribunale ha stabilito che la politica dell’amministrazione comunale della città “viola il diritto fondamentale alla libertà d’espressione”.

La decisione è uno schiaffo per il consiglio comunale di Monaco, che nel 2017 ha adottato una risoluzione che nega finanziamenti e spazi pubblici ai sostenitori del BDS, la campagna per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni per i diritti dei palestinesi.

La sentenza ha importanti implicazioni per la libertà di parola in tutta la Germania, dove le persone che difendono i diritti dei palestinesi affrontano una metodica repressione e calunnie da parte di politici.

Nel contempo nella vicina Austria la giunta comunale di Vienna ha denunciato un membro di BDS Austria per “diffamazione” per un post su Facebook in cui critica l’apartheid israeliano.

Monaco viola la legge

Nell’aprile 2018 Klaus Ried ha cercato di prenotare una sala del Museo della Città di Monaco in cui tenere un dibattito su come la risoluzione anti-BDS della municipalità avrebbe colpito la libertà di parola. L’amministrazione comunale ha rifiutato la prenotazione in quanto lo considerava un evento legato al BDS.

Ried ha portato la questione in tribunale. In un primo tempo la corte ha sentenziato contro di lui, affermando che l’amministrazione comunale di Monaco aveva il diritto di imporre simili restrizioni.

Egli ha presentato appello e nel 2020 ha vinto.

Ma l’amministrazione comunale di Monaco non ha accettato questa decisione e ha portato la causa davanti a un tribunale federale, sperando di ribaltare la vittoria di Ried.

Tuttavia il tentativo è fallito. Il 20 gennaio il tribunale federale amministrativo tedesco di Lipsia ha emanato la sua sentenza a favore di Ried. La corte federale ha affermato che la legge tedesca “garantisce a chiunque il diritto di esprimersi liberamente e di diffondere la propria opinione.” Ha stabilito che la giunta comunale di Monaco non poteva violare quel diritto negando il permesso a un evento a causa del fatto che fosse prevedibile che “venissero espresse opinioni sulla campagna BDS o sul suo contenuto, obiettivi e tematiche.”

Il tribunale federale ha affermato che la risoluzione anti-BDS di Monaco non è una legge.

La storica sentenza invia un avvertimento ai consigli comunali in tutta la Germania che hanno approvato risoluzioni simili e hanno negato la disponibilità di spazi pubblici

a organizzatori di eventi riguardanti il BDS.

La sentenza ha anche implicazioni riguardo alla risoluzione anti-BDS del parlamento tedesco del 2019, in cui, pur non essendo giuridicamente vincolante, si invitano le istituzioni tedesche e gli enti pubblici a negare finanziamenti e strutture a gruppi che appoggiano il movimento BDS.

BDS Austria sotto attacco

La giunta comunale [alleanza tra socialdemocratici e liberali, ndtr.] della capitale austriaca, Vienna, ha denunciato un rappresentante di BDS Austria per un post dell’agosto 2021 su una pagina Facebook del gruppo di attivisti.

Il post mostra la foto di un manifesto del Comune con incollato sopra un cartello di protesta, ma con il logo ufficiale della città ancora visibile.

Il manifesto di protesta richiama il famoso cartello degli anni ’30 “Visita la Palestina” [manifesto propagandistico sionista, ndtr.]. Ma porta invece la scritta “Visita l’apartheid”. Anche il manifesto di protesta ha il logo della città. Un post sulle reti sociali di BDS Austria ha l’ironica didascalia: “Siamo lieti che anche la Città di Vienna prenda atto dell’apartheid e lo affermi pubblicamente.”

In novembre a un membro di BDS Austria è stato notificato che il Comune di Vienna aveva presentato una denuncia sostenendo che il movimento BDS “incita all’odio contro il popolo israeliano.” Di conseguenza, sostiene l’amministrazione cittadina, essere pubblicamente associati al BDS è una diffamazione, dato che “la definizione della situazione in Israele/Palestina come ‘apartheid’ costituisce un danno per la nostra reputazione.”

L’amministrazione cittadina chiede al tribunale di proibire a BDS Austria di utilizzare i loghi del Comune e circa 3.500 € di danni. Se il tribunale ordinerà a BDS Austria di pagare le spese legali la cifra totale potrebbe arrivare fino a 35.000 €.

L’ European Legal Support Center [Centro Europeo di Sostegno Giuridico] (ELSC), un’associazione per i diritti civili e la difesa legale, l’ha definito un esempio di SLAPP –Strategic Lawsuit Against Public Participation [denuncia strategica contro l’attivismo pubblico].

Simili denunce intendono generalmente zittire le opinion critiche.

L’affermazione dell’amministrazione cittadina è palesemente ridicola perché risulta evidente che il manifesto era incollato in modo approssimativo su quello della città e che non si trattava di un messaggio ufficiale della città di Vienna.

Inoltre la negazione da parte di Vienna della situazione di apartheid vissuta dai palestinesi è in netto contrasto con un crescente consenso ed è sostenuta persino da importanti associazioni, come Human Rights Watch e l’israeliana B’Tselem.

ELSC ha organizzato una campagna di raccolta fondi per chiedere a donatori pubblici di contribuire alle spese giudiziarie.

E una petizione a sostegno di BDS Austria ha ottenuto circa 700 firme.

Strenui difensori di Israele

Nel 2017 l’Austria ha adottato la cosiddetta definizione di antisemitismo dell’IHRA [International Holocaust Remembrance Alliance, ente intergovernativo che riunisce rappresentanti di 34 Paesi, per lo più europei, ndtr.].

La controversa “definizione”, promossa da Israele e dalla sua lobby, confonde le critiche contro Israele e la sua ideologia statale sionista con il fanatismo antiebraico. La definizione dell’IHRA è ora regolarmente utilizzata in vari Paesi per calunniare i sostenitori dei diritti dei palestinesi.

Un anno dopo l’amministrazione comunale di Vienna [alleanza tra socialdemocratici e verdi, ndtr.] ha adottato una risoluzione che definisce il movimento BDS come intrinsecamente antisemita. La risoluzione nega appoggio istituzionale ai sostenitori del BDS e minaccia l’esistenza di uno spazio politico sicuro per la difesa dei diritti dei palestinesi in Austria. Nel 2019 membri di BDS Austria hanno organizzato una protesta presso il consiglio comunale della città contro questa censura ufficiale.

Come in Germania, l’élite politica austriaca sostiene strenuamente Israele. L’annessione dell’Austria da parte di di Adolf Hitler, austriaco, nel 1938 fu ben accolta dalla maggioranza dell’opinione pubblica austriaca, per cui, proprio come in Germania oggi, molti austriaci vedono l’incondizionato sostegno a Israele, indipendentemente da quello che fa ai palestinesi, come una forma di espiazione dei crimini nazisti.

L’avvocatessa Elisabetta Folliero, insieme al European Legal Support Center, ha presentato una confutazione della denuncia dell’amministrazione comunale. Essa include un parere specialistico dei giuristi di fama internazionale Eric David, Xavier Dupré De Boulois, Richard Falk e John Reynolds.

Essi sostengono che le risoluzioni austriache contro il BDS violano gli standard internazionali ed europei per i diritti umani, anche riguardo ai diritti fondamentali di libertà di espressione e associazione.

Tra le altre cose, gli esperti citano la fondamentale sentenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo del 2020 che afferma che chiedere il boicottaggio dei prodotti israeliani costituisce un discorso politico protetto [dal principio della libertà di espressione, ndt].

La causa contro BDS Austria verrà discussa il 28 gennaio 2022 dal tribunale commerciale di Vienna.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




La lobby filoisraeliana nel Regno Unito prende di mira una ricercatrice palestinese

Nora Barrows-Friedman

22 gennaio 2022 – Electronic Intifada

Un’università britannica ha sospeso dall’insegnamento una dottoranda in seguito a una campagna di calunnie da parte dei sostenitori di Israele.

Shahd Abusalama, da molto tempo attivista e collaboratrice di The Electronic Intifada, è una studentessa di dottorato presso l’Hallam University di Sheffield.

Abusalama ha scritto della sua esperienza nella Striscia di Gaza, dove è nata e cresciuta sotto l’occupazione, l’assedio e gli attacchi militari israeliani.

Ha anche scritto del terrore quando si è trovata separata dalla sua famiglia a Gaza mentre questa si trovava sotto i bombardamenti israeliani nel 2014 [operazione Margine protettivo, ndtr.].

La campagna contro di lei ricorda la strategia utilizzata lo scorso anno per colpire David Miller, docente dell’università di Bristol. Miller è stato licenziato nonostante sia stato scagionato da ogni accusa di fanatismo antiebraico da due inchieste indipendenti commissionate dall’università di Bristol.

Recentemente Abuslama era stata assunta come lettrice associata presso la Hallam University di Sheffield, nel nord dell’Inghilterra.

Si stava preparando a tenere la sua prima lezione il 21 gennaio, quando la sera prima un funzionario l’ha informata che la sua lezione era stata annullata e che i suoi studenti sarebbero stati avvertiti.

L’impiegato ha affermato che una denuncia aveva provocato un’indagine e che, in base alle norme dell’università, non le sarebbe stato consentito di insegnare finché questa non si fosse conclusa.

In passato Abusalama ha subito ripetuti attacchi da associazioni e pubblicazioni antipalestinesi.

Lei e la sua famiglia sono rifugiati palestinesi che nel 1948 subirono la pulizia etnica e furono espulsi dalle loro case in quella che è ora Israele dalle milizie sioniste. Come a tutti gli altri profughi palestinesi, Israele vieta loro di tornare al luogo d’origine in quanto non ebrei.

Abusalama è un’importante attivista per i diritti dei palestinesi fin dal suo arrivo nel Regno Unito come studentessa. è stata una militante contro l’adozione della definizione di antisemitismo dell’IHRA, che confonde erroneamente le critiche a Israele con il fanatismo antiebraico, e nel 2019 per il boicottaggio dell’Eurovision [che quell’anno si tenne in Israele, ndtr.].

La controversa definizione dell’IHRA è regolarmente utilizzata dalle associazioni della lobby filo-israeliana per calunniare e censurare i sostenitori dei diritti dei palestinesi.

Abusalama ha affermato che il suo attivismo in queste due campagne è stato al centro di attacchi da parte di organizzazioni e pubblicazioni della lobby filo-israeliana.

Ha detto a Electronic Intifada che le ultime calunnie sono iniziate a dicembre, quando Jewish News [settimanale gratuito che si rivolge alla comunità ebraica della zona di Londra, ndtr.] e l’associazione della lobby filo-israeliana Campaign Against Antisemitism [Campagna contro l’Antisemitismo] l’hanno accusata di promuovere l’ostilità nei confronti degli ebrei.

In precedenza Joe Glasman, capo delle “inchieste politiche” di Campaign Against Antisemitism, nel 2019 si è attribuito a nome dell’associazione il merito della sconfitta elettorale del partito Laburista, allora guidato da Jeremy Corbyn. In seguito alla sconfitta Corbyn annunciò che avrebbe dato le dimissioni da leader del partito.

La bestia è stata uccisa,” si rallegrò Joe Glasman in un video che in seguito cercò di togliere da Internet. Il video diceva che Corbyn era stato “massacrato”.

Sostenitore dei diritti dei palestinesi, Corbyn, insieme ai suoi militanti di base, è stato bersaglio di una campagna di calunnie durata anni che lo accusava falsamente di antisemitismo.

Glasman ha sostenuto che lui e i suoi collaboratori hanno colpito Corbyn con una campagna coordinata utilizzando metodi che includevano “nostre spie e intelligence”.

Il direttore esecutivo della Campaign Against Antisemitism, Gideon Falter, è vicepresidente del Jewish National Fund UK [Fondo Nazionale Ebraico-UK], che raccoglie fondi per i progetti di colonizzazione israeliani su terre palestinesi. Resoconti sul JNF UK mostrano che fornisce sostegno finanziario per campagne di reclutamento nell’esercito israeliano e per Ein Prat, un’associazione che organizza corsi di addestramento per nordamericani che si arruolano in quell’esercito.

Affermazioni false

Queste accuse in malafede da parte di sostenitori del colonialismo di insediamento israeliano sono chiari tentativi di perseguitare e intimidire attivisti e accademici come Abusalama in modo da farli tacere.

Abusalama ha solo scoperto che l’università potrebbe aver indagato i suoi post sulle reti sociali leggendo le calunnie di Campaign Against Antisemitism e del Jewish News.

Lei afferma che l’università non si è messa in contatto con lei né le ha dato la possibilità di smentire le affermazioni diffamatorie.

Poi, il 19 gennaio, il Jewish Chronicle, nota pubblicazione antipalestinese con una lunghissima storia di calunnie, diffamazioni e denigrazioni, ha scritto una mail ad Abusalama, informandola che intendeva pubblicare un articolo sulla sua assunzione come lettrice.

Jewish Chronicle ha elencato una selezione dei suoi post sulle reti sociali che intendeva includere nell’articolo.

Abusalama ha risposto, spiegando il contesto di ogni post sulle reti sociali e aggiungendo di essere consapevole che le intenzioni della pubblicazione erano di diffamarla ulteriormente e intimidirla per proteggere Israele dalle critiche.

Sabato [22 gennaio] il Jewish Chronicle non aveva ancora pubblicato l’articolo.

Legittimare attacchi razzisti

Non è ancora chiaro chi o quale associazione abbia presentato la protesta che ha provocato la sua sospensione dall’insegnamento. Abusalama afferma che l’università non le ha ancora fornito alcuna informazione. Ma definisce vergognoso che l’università abbia legittimato gli attacchi considerando

la denuncia credibile e degna di un’indagine.

Abusalama afferma di essere sconvolta per il fatto che “l’università abbia dato retta e risposto a simili pubblicazioni razziste ed abbia confermato loro che avrebbe indagato sul mio conto senza prendere prima contatto con un membro della sua stessa comunità.”

I danni all’immagine provocati da pubblicazioni razziste come quelle sono una priorità più di quanto lo sia il dovere di salvaguardare i membri della propria comunità,” aggiunge.

Frattanto nelle caselle di posta elettronica dell’amministrazione stanno affluendo lettere di sostegno che chiedono che l’università protegga il lavoro di Abusalama e comprenda le ragioni politiche e razziste delle calunnie. Il sindacato dell’università e del college si sta mobilitando in sua difesa.

Non sono la prima e non sarò l’ultima ad essere presa di mira,” afferma. “È per questo che è fondamentale la resistenza contro di loro, per non consentirgli di continuare a diffondere stereotipi sui palestinesi come antisemiti solo perché osano sognare la libertà, la giustizia e l’uguaglianza per il loro popolo.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Perché dobbiamo accogliere in modo critico la Jerusalem Declaration on Antisemitism

Tony Greenstein

1 aprile 2021 – Mondoweiss

La Jerusalem Declaration on Antisemitism [Dichiarazione di Gerusalemme sull’Antisemitismo], benché in parte carente e soggetta a critiche, non da ultimo per il suo sfortunato nome, dovrebbe essere accolta positivamente da quanti sono intenzionati a vedere la lotta contro l’antisemitismo come parte della lotta contro il razzismo piuttosto che contrapposta ad essa.

La JDA dovrebbe essere accolta positivamente anche da quanti sono arcistufi di vedere l’“antisemitismo” utilizzato come arma a favore di uno Stato “ebraico” che ha appena visto eleggere alla Knesset due nazisti ebrei [Itamar Ben-Gvir e a Bezalel Smotrich, ndtr.], uno dei quali potrebbe diventare ministro.

A differenza [della definizione] dell’IHRA, che etichetta l’opposizione al sionismo e al razzismo israeliani come antisemitismo, la JDA fa una chiara distinzione tra antisemitismo e antisionismo. La JDA afferma che quanto segue non è antisemita:

Criticare od opporsi al sionismo come forma di nazionalismo o sostenere una serie di accordi costituzionali tra ebrei e palestinesi nella zona tra il fiume Giordano e il Mediterraneo. Non è antisemita appoggiare accordi che attribuiscano piena uguaglianza a tutti gli abitanti “tra il fiume e il mare”, che si tratti di due Stati, di uno Stato bi-nazionale, di uno Stato unico democratico, di uno Stato federale o in qualunque altra forma.

Criticare Israele come Stato in base a prove concrete.”

La differenza tra l’errata definizione di antisemitismo dell’IHRA e quella della JDA è una differenza come tra il giorno e la notte.

Ovviamente la JDA avrebbe dovuto essere superflua. L’idea che sia necessario definire l’antisemitismo per opporvisi avrebbe dovuto essere insensata se non fosse per il cinico tentativo da parte di razzisti e imperialisti, compresi gli antisemiti, di utilizzare l’oppressione storica del popolo ebraico per appoggiare non solo lo Stato di Israele, ma l’imperialismo occidentale e le sue guerre in Medio Oriente.

Non è un caso che alcuni dei più violenti antisemiti e suprematisti bianchi, dall’ungherese Viktor Orban al polacco Mateusz Morawiecki e a Donald Trump, hanno tutti appoggiato la definizione dell’IHRA. In effetti nessun antisemita vero e proprio potrebbe contestare l’IHRA. Cosa c’è in essa che possa non piacerti se sei un razzista?

Rimango della stessa opinione del giudice Potter Stewart nella sua famosa considerazione sulla pornografia in una causa alla Suprema Corte [USA] del 1964 – non ho bisogno di una definizione dell’antisemitismo per riconoscerlo quando lo vedo. Quando mio padre e migliaia di ebrei come lui hanno preso parte alla “Battaglia di Cable Street” [a Londra, ndtr.] per impedire alla British Union of Fascists [Unione Britannica dei Fascisti, gruppi inglese di estrema destra e filonazista, ndtr.] di Moseley di sfilare nel quartiere ebraico dell’East End nel 1936, non avevano bisogno di una definizione di antisemitismo per capire quello contro cui stavano lottando. Tuttavia la situazione è questa e oggi il principale pregio di una onesta definizione dell’antisemitismo è che può essere utilizzata per sostituire la falsa e disonesta definizione dell’IHRA.

A differenza della definizione mistificante di antisemitismo dell’IHRA, la JDA si occupa di antisemitismo senza calunniare come “antisemiti” i palestinesi che lottano o chi si oppone al sionismo.

Ciò che è veramente spaventoso dell’IHRA è come molta gente mentalmente sana, che si considera intelligente e che normalmente lo è, ciononostante abbia sottoscritto una definizione di antisemitismo intellettualmente fallace, la versione accademica del trucco delle tre carte. L’IHRA è incoerente, disonesta e intrinsecamente contraddittoria in modo imbarazzante. In realtà in base alla sua stessa definizione l’IHRA è di per sé antisemita quando afferma da una parte che Israele è la rappresentazione collettiva di ogni ebreo e poi sostiene che è antisemita associare ogni ebreo ai crimini di Israele.

L’indeterminatezza e la confusione dell’IHRA sono in sé palesemente disoneste. È deliberatamente fumosa. In effetti una dichiarazione di oltre 500 parole non può, al di là di ogni immaginazione, essere definita una definizione e, come ha scritto Stephen Sedley [giurista inglese, ndtr.], quella dell’IHRA non può essere una definizione perché è indefinita.

La definizione centrale dell’IHRA in 38 parole, lasciando perdere i suoi 11 esempi centrati su Israele, non è altro che evasiva e vaga.

La definizione dell’IHRA è stata un esercizio di disonestà intellettuale ed è stata accolta entusiasticamente da razzisti come il rappresentante britannico dell’IHRA Lord Pickles, in quanto è un modo per calunniare e demonizzare gli antirazzisti. Chiunque creda realmente che sia una definizione dell’antisemitismo può solo essere definito come intellettualmente fallito. E la definizione dell’IHRA poggia sull’assunto che lo Stato di Israele sia uno Stato normale, democratico. Di conseguenza l’IHRA prende posizione nella lotta tra la supremazia ebraica e il sionismo da una parte e l’antisionismo dall’altra.

La definizione centrale di 38 parole dell’antisemitismo dell’IHRA all’inizio afferma che:

L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può manifestarsi come odio verso gli ebrei. Manifestazioni verbali e fisiche di antisemitismo sono dirette contro individui ebrei e non-ebrei e/o contro le loro proprietà, verso le istituzioni della comunità ebraica ed edifici religiosi.”

Benché ci venga detto che l’antisemitismo è “una certa percezione degli ebrei”, non ci viene mai detto quale sia questa percezione. Ci viene detto che l’antisemitismo “può manifestarsi come odio verso gli ebrei”, senza dire in quale altro modo si possa manifestare. Alzando la sbarra dell’antisemitismo al livello di odio, l’IHRA ignora ogni sorta di esempio di antisemitismo che sia offensivo o discriminatorio ma che non derivi dall’odio.

É assolutamente possibile che qualcuno infligga violenza a qualcun altro perché è ebreo non perché lo odi ma perché lo disprezza o lo teme. Secondo l’IHRA non è un antisemita! Analogamente chi si oppone al matrimonio del figlio o della figlia con un ebreo non perché lo odia ma perché crede che gli ebrei siano disonesti e indegni di fiducia, per non citare il fatto che siano meschini e avari, secondo l’IHRA non è antisemita. L’IHRA ha solo una funzione: proteggere lo Stato di Israele e il sionismo, non gli ebrei.

Il primo pregio della JDA è che formula una definizione dell’antisemitismo chiara e facilmente comprensibile: “L’antisemitismo è discriminazione, pregiudizio, ostilità o violenza contro gli ebrei in quanto tali (o contro istituzioni ebraiche in quanto tali)”. Le ultime 5 parole potrebbero essere state evitate, ma, in quanto basate sulla definizione dell’Oxford English Dictionary [monumentale dizionario inglese in 20 volumi, ndtr.], “ostilità nei confronti o pregiudizio contro gli ebrei” è assolutamente preferibile alla definizione dell’IHRA.

Ora abbiamo una definizione chiarissima ed utile di antisemitismo che distingue bene tra antisionismo e antisemitismo. La JDA non cerca di controllare il discorso politico nel modo in cui lo fa l’IHRA. Per esempio non suggerisce che se qualcuno critica Israele senza criticare nel contempo ogni altro Paese che violi i diritti umani (“doppio standard”) sia antisemita.

La definizione della JDA non descrive come antisemiti i paragoni tra lo Stato di Israele e le sue politiche e quelle della Germania nazista. È chiaro che oggi ci sono molti paralleli tra Israele e la Germania nazista come testimoniano i muri di via Shuhada a Hebron imbrattati dagli slogan dei coloni “Arabi nelle camere a gas”.

Come hanno evidenziato Neve Gordon e Mark Levin [due firmatari della Dichiarazione di Gerusalemme, ndtr.], in base all’IHRA due delle maggiori personalità ebraiche del XX secolo, entrambe profughe dalla Germania nazista, Albert Einstein e Hannah Arendt, dovrebbero essere definite antisemite! Nel 1948, quando il leader dell’Herut [partito sionista di destra, ndtr.] Menachem Begin visitò gli Stati Uniti, Einstein e Arendt firmarono con altre personalità ebraiche una lettera al New York Times affermando che l’Herut era:

nella sua organizzazione, nei suoi metodi, nella sua filosofia politica e nella sua azione sociale molto affine ai partiti nazista e fascista.”

Sono da accogliere in modo particolarmente positivo le linee guida 10-15. Sono una chiara affermazione di appoggio al fatto che il [movimento] BDS [Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni, ndtr.] non ha niente a che vedere con l’antisemitismo e tutto a che vedere con una protesta non violenta contro Israele. È da approvare anche l’affermazione secondo cui la critica a Israele sulla base di prove non può essere antisemita. Allo stesso modo non è antisemita l’appoggio a uno Stato unitario della Palestina (e implicitamente in opposizione a uno Stato ebraico).

Tuttavia ci sono molte critiche che si possono fare anche alla JDA.

In primo luogo manca una qualunque prospettiva o apporto palestinese. Dato che la JDA è nata in conseguenza dei tentativi dell’IHRA di silenziare la libertà di parola sulla Palestina, avrebbe dovuto essere scontato che i palestinesi dovessero contribuirvi. Sfortunatamente la bozza della JDA è stata una questione tutta ebraica, nonostante il fatto che ci sia una sezione B tutta su “Israele e Palestina: esempi che, a ben vedere, sono antisemiti.”

Benché sia stata creata in opposizione alla definizione dell’IHRA, la JDA si concentra in modo decisamente eccessivo sulla narrazione e le preoccupazioni di Israele. Benché, dato il contesto, ciò sia comprensibile, gli autori sono timorosi di dire apertamente che la principale minaccia antisemita viene dall’estrema destra e dai gruppi fascisti, non dalla sinistra. Forse questa dichiarazione era troppo rivolta a persone come il professor David Feldman del Pears Institute for the Study of Anti-Semitism [Istituto Pears per lo Studio dell’Antisemitismo, con sede in Inghilterra, ndtr.].

Tuttavia va detto forte e chiaro che oggi la principale minaccia per gli ebrei viene da gente come Donald Trump e dai suoi sostenitori neo-nazisti suprematisti bianchi. Storicamente la sinistra ha sempre lottato contro l’antisemitismo e la Germania nazista, e l’opposizione all’antisemitismo e al nazismo sono venuti quasi solo dalla sinistra.

Ciò è particolarmente opportuno in quanto la cosiddetta Campagna contro l’Antisemitismo include l’affermazione secondo cui “nel 2019 il Barometro Antisemitismo della Campagna contro l’Antisemitismo ha mostrato che l’antisemitismo nell’estrema sinistra della politica britannica ha superato quello dell’estrema destra.” Ciò è basato su un’ingannevole “ricerca” condotta da Daniel Allington del King’s College e da altri.

Il Barometro dell’Antisemitismo 2019 della CCA ha introdotto sei nuove domande assurde sugli atteggiamenti antisemiti, basate esclusivamente sull’opinione nei confronti di Israele e del sionismo. Questa ridefinizione di cosa costituisca un’affermazione antisemita non ha nessun altro scopo che definire antisemiti gli oppositori al sionismo e allo Stato di Israele. D’ora in avanti gli zeloti israeliani potranno sostenere che i veri nemici degli ebrei non sono i loro amici neo-nazisti ma le persone di sinistra.

Per esempio, se non ti senti a tuo agio a passare del tempo con dei sionisti, allora ciò ti rende un antisemita! Confesso di non trovare la compagnia dei sostenitori del Sudafrica dell’apartheid particolarmente congeniale, ma non ho mai pensato che ciò facesse di me un razzista.

Qui di seguito ci sono tre nuove affermazioni “antisemite” che Allington, Hirsh e altri hanno elaborato:

1. “Israele e i suoi sostenitori hanno un’influenza negativa sulla nostra democrazia.”

2. “Israele può farla franca perché i suoi sostenitori controllano i media.”

3. “Israele tratta i palestinesi come i nazisti trattavano gli ebrei.”

E altre tre che dimostrano o suggeriscono “antisemitismo” se chi risponde non è d’accordo:

4. “Mi trovo a mio agio a passare del tempo con persone che appoggiano apertamente Israele.”

5. “Israele dà un contributo positivo al mondo.”

6. “Israele fa bene a difendersi contro quanti vogliono distruggerlo.”

Quali sono i problemi riguardo alla JDA?

Tuttavia la JDA non è priva di problemi e non deve essere vista come la parola finale su quello che è o non è antisemita. Qui c’è un esempio di antisemitismo.

La linea-guida n. 6 “Attribuire simboli, immagini e stereotipi negativi dell’antisemitismo classico allo Stato di Israele.”

Questa linea guida è strettamente legata al nono esempio dell’IHRA: “Utilizzare simboli e immagini associati all’antisemitismo classico (ad es., affermare che gli ebrei hanno ucciso Gesù o l’accusa del sangue [secondo cui gli ebrei userebbero sangue o carne di bambini cristiani nei loro riti, ndtr.]) per caratterizzare Israele o gli israeliani.”

L’inganno logico qui è sostituire “Israele o gli israeliani” a ebrei. Israele non è un ebreo. Uno degli stereotipi antisemiti tradizionali sugli ebrei nell’Europa medievale era l’avvelenamento dei pozzi dei non-ebrei. Un altro era l’uccisione di bambini non-ebrei per preparare il pane della Pasqua ebraica. Sono indubbiamente antisemiti.

Tuttavia questi esempi si riferiscono agli ebrei, non a Israele. È un fatto, confermato da prove d’archivio, che durante la guerra del 1948 Israele ha avvelenato le forniture di acqua di San Giovanni d’Acri per espellerne la popolazione. È un fatto anche che i coloni israeliani hanno regolarmente avvelenato l’acqua e i pozzi dei palestinesi in Cisgiordania. Ciò è quello che i coloni fanno alla popolazione indigena, indipendentemente dal fatto che siano ebrei o cristiani. Non può essere giusto definire antisemite affermazioni basate su fatti. Né può essere giusto associare stereotipi antisemiti tradizionali sugli ebrei a uno Stato razzista che tratta i palestinesi come untermenschen [subumani, termine usato dai nazisti per indicare i popoli inferiori, ndtr.].

Israele ha testato gas velenoso e armi chimiche sui palestinesi. Affermarlo non è antisemita. È un fatto che Israele ha espiantato organi umani rubati a palestinesi. Il governo cinese ha utilizzato organi di persone giustiziate. Una simile accusa non è razzista.

La linea guida n. 8 “Chiedere alle persone in quanto ebree di condannare pubblicamente Israele o il sionismo (per esempio, durante un raduno politico).”

Neppure questo è antisemita. È comprensibile, dato che il movimento sionista sostiene di parlare in nome di tutti gli ebrei (tranne che di noi odiatori di noi stessi!), ciò che rafforza tra la gente la confusione tra essere ebreo ed essere sionista.

Non può essere antisemita per i non-ebrei cadere nella propaganda sionista, ed è ancor più ragionevole per un palestinese chiedere che il popolo ebraico prenda le distanze dall’asserzione israeliana/sionista secondo cui essere ebreo significa appoggiare l’oppressione dei palestinesi. Se c’è una qualche forma di antisemitismo è da parte dei sionisti.

Trovo discutibile anche la linea guida 10:

Negare il diritto degli ebrei nello Stato di Israele di esistere e prosperare, collettivamente ed individualmente, come ebrei, in base al principio di uguaglianza.”

Io riconosco il diritto degli ebrei israeliani di vivere in Palestina/Israele. Tuttavia non riconosco che abbiano un qualche diritto collettivo come coloni e oppressori. I coloni non sono oppressi e di conseguenza quelli che dobbiamo riconoscere sono diritti individuali. Quindi io cancellerei le parole “collettivamente e individualmente”.

Tuttavia, salvo la linea guida n. 6, questi sono dissensi poco importanti. La JDA è un contributo decisamente positivo per disintossicare il dibattito su antisemitismo e tentativi truffaldini dei sostenitori antisemiti di Israele di confondere l’antisemitismo e l’antisionismo. Di conseguenza dovrebbe essere apprezzato come un contributo complessivamente positivo di demistificare la questione dell’antisemitismo e dell’antisionismo.

Dovremmo quindi sentirci liberi di utilizzare questa definizione e proporre che sindacati, università e partiti operai vengano incoraggiati ad abbandonare l’IHRA in favore della JDA. Dovremmo essere aperti ed espliciti. Quella dell’IHRA è una definizione appoggiata dagli antisemiti. Quella della JDA è una definizione per chi si oppone all’antisemitismo.

Dovremmo chiedere a ipocriti come la parlamentare Caroline Lucas [deputata inglese dei Verdi che ha bloccato una mozione del suo partito contro la definizione dell’IHRA, ndtr], che sostiene di appoggiare i palestinesi, di dimostrarlo. Se Lucas appoggia i palestinesi, allora dobbiamo continuare a chiederle perché sta sostenendo una definizione di antisemitismo che etichetta come antisemita la lotta dei palestinesi.

Sappiamo che razzisti come John Mann [deputato laburista molto attivo nella campagna contro l’antisemitismo all’interno del suo partito, ndtr.], Keir Starmer [attuale segretario del partito Laburista, ndtr.] ed Eric Pickles [politico conservatore filo-israeliano, ndtr.] si aggrapperanno alla definizione dell’IHRA, dato che il loro scopo principale è santificare l’appoggio dell’Occidente a Israele e legittimare le operazioni imperialiste nella regione. Tuttavia noi dobbiamo chiedere che i membri del Socialist Campaign Group [Gruppo della Campagna Socialista, ala sinistra del partito Laburista, ndtr.] adottino e appoggino la definizione della JDA, e che anche Momentum [fazione laburista dell’ex-segretario Corbyn, ndtr.] abbandoni quella dell’IHRA e adotti la JDA. Se questi gruppi rifiutano di rompere con il consenso razzista ed imperialista sul sionismo, allora dovrebbero essere ostracizzati come nemici della lotta palestinese per la liberazione e come razzisti.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




La responsabile dell’UE sull’antisemitismo mente in modo sfacciato

Ali Abunimah

22 gennaio 2021- Electronic Intifada

Questa è una vicenda che rivela come funzionari dell’Unione Europea eludano le proprie responsabilità quando vengono colti ad aver mentito sfacciatamente a favore di Israele.

All’inizio di questa settimana ho scritto riguardo alla grande vittoria giudiziaria per i sostenitori dei diritti dei palestinesi in Spagna. Nel 2015 attivisti del gruppo BDS-País Valencià [Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni-Paese Valenziano] hanno chiesto a un festival musicale di cancellare l’esibizione di Matthew Paul Miller, cantante che usa il nome d’arte Matisyahu, per le sue dichiarazioni anti palestinesi e per aver contribuito a promuovere una raccolta fondi a favore dell’esercito di occupazione israeliano.

Questo mese un tribunale di Valencia ha smentito le accuse di delitto d’odio contro gli attivisti. I giudici hanno stabilito che essi avevano contestato la presenza di Miller al festival solo a causa delle sue presunte opinioni sulla politica israeliana, “non in quanto ebreo, per la sua religione o qualunque altra condizione.”

Il tribunale spagnolo ha anche confermato la storica sentenza di giugno della Corte Europea per i Diritti Umani, secondo la quale chiedere il boicottaggio di Israele a causa dei suoi crimini contro i palestinesi non è antisemita ed è una forma di manifestazione politica tutelata dalla legge.

Benché fin dall’inizio i fatti relativi all’incidente in Spagna fossero chiari, la recente sentenza è una totale discolpa degli attivisti da parte di giudici imparziali.

Eppure negli ultimi anni l’Unione Europea ha calunniato gli attivisti, sostenendo falsamente che essi avevano contestato Miller perché ebreo.

Questa falsa accusa di antisemitismo è stata fatta da Katharina von Schnurbein, coordinatrice dell’UE per l’antisemitismo, durante una conferenza del 2019 per la presentazione di un rapporto del governo israeliano che calunniava il movimento di solidarietà con i palestinesi.

Ciò viene ripetuto in un manuale dell’UE recentemente pubblicato che accoglie la cosiddetta definizione di antisemitismo dell’IHRA [International Holocaust Remembrance Alliance, organizzazione intergovernativa per il ricordo dell’Olocausto, ndtr.].

Questa definizione fuorviante, sostenuta da Israele e dalla sua lobby, confonde le critiche al razzismo e ai crimini di guerra israeliani contro i palestinesi da una parte con il fanatismo antiebraico dall’altra.

Evasività

Mentre stavo scrivendo il mio articolo, ho inviato una mail a von Schnurbein chiedendole se avrebbe ritrattato le false accuse che aveva fatto riguardo all’incidente del 2015 con Matisyahu.

La risposta è arrivata dopo che avevo già pubblicato il mio articolo, ma non dalla stessa Schnurbein.

Mi ha scritto invece Christian Wigand, un portavoce della Commissione Europea, il potere esecutivo dell’UE:

Non commentiamo le sentenze dei tribunali dei nostri Stati membri. Per quanto riguarda la posizione sul movimento BDS della Commissione, e di fatto dell’Unione Europea, che è stata ripetuta durante l’evento che lei cita dalla nostra coordinatrice, la signora von Schnurbein, la nostra posizione è molto chiara e non è cambiata.”

Devo riconoscere a Wigand il magistrale esempio di evasività burocratica, ma non molto più di questo. Non avevo chiesto un commento sulla sentenza del tribunale in sé, ma se von Schnurbein continuasse a sostenere le sue stesse affermazioni che stravolgevano in modo grossolano l’incidente di Matisyahu del 2015. Né avevo chiesto la posizione dell’UE sul movimento BDS, Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni [contro Israele, ndtr.].

La saccente von Schnurbein

Tuttavia, benché non volessi un commento sulla decisione del tribunale, l’ultima persona che possa sostenere di non parlare di tali argomenti è Katharina von Schnurbein.

Come dimostra la sua pagina twitter, von Schnurbein ha regolarmente commentato casi giudiziari, alcuni dei quali mentre erano ancora in corso.

In almeno un esempio ha pubblicamente chiesto che le procure locali perseguissero persone per discorsi d’odio.

Ha anche manifestato le proprie opinioni su decisioni della Corte Europea per i Diritti Umani, che fa parte del Consiglio d’Europa, un’istituzione separata dalla UE.

La saccentissima von Schnurbein commenta regolarmente anche decisioni di governi e parlamenti di Stati membri dell’UE e delle loro autorità locali.

È stata anche rimproverata per aver criticato pubblicamente un membro eletto del Parlamento Europeo, una palese violazione della neutralità che dovrebbe osservare in quanto funzionaria civile non eletta.

Perciò l’affermazione secondo cui von Schnurbein, a cui la mia richiesta era originariamente diretta, non commenta procedimenti giudiziari è una menzogna, detta nel tentativo di evitare di dover rendere conto di una precedente menzogna.

Ho risposto al portavoce dell’UE Wigand affrontando questi argomenti. Gli ho detto che ho fatto una domanda diretta e vorrei una risposta diretta che non ricorra a scuse o sviamenti.

Katharina von Schnurbein conferma la sua affermazione secondo cui le proteste contro Miller erano motivate da intenti antisemiti?

Dato che non ho ricevuto ulteriori risposte, prendo questo silenzio come se significasse che l’UE e la sua coordinatrice per l’antisemitismo in effetti confermano le sue affermazioni diffamatorie contro gli attivisti spagnoli.

I cittadini degli Stati dell’UE meriterebbero qualcosa di meglio che essere minacciati, calunniati e ingannati da burocrati di Bruxelles che sembrano rispondere solo a Israele e alla sua lobby.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




La risoluzione tedesca anti –BDS viola il diritto alla libertà d’espressione

Adri Nieuwhof

8 gennaio 2021 – Electronic Intifada

Alcune istituzioni culturali tedesche hanno criticato la risoluzione del parlamento tedesco contro il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni [contro Israele, ndtr.] perché determina una zona d’ombra giuridica e minaccia il diritto alla libertà d’espressione.

La risoluzione del 2019 esorta le istituzioni e le pubbliche autorità tedesche a negare finanziamenti e strutture ad associazioni della società civile che supportino il movimento BDS.

Ma in dicembre importanti istituzioni artistiche ed accademiche tedesche hanno denunciato la risoluzione come “dannosa per la sfera democratica pubblica” e hanno messo in guardia dal suo impatto negativo sul libero scambio di opinioni.

Sempre in dicembre, ciò ha suggerito una ricerca da parte del dipartimento del servizio scientifico del Bundestag, un organismo consultivo del parlamento federale, che è arrivato a una conclusione simile, secondo cui la risoluzione anti-BDS non è giuridicamente vincolante e viola il diritto alla libertà di espressione, difeso dalla Costituzione tedesca.

Esperti dell’ONU, la Lega Araba, la società civile palestinese, artisti, studiosi e attivisti della solidarietà con la Palestina hanno protestato contro la risoluzione tedesca contro il BDS.

L’élite culturale interviene

L’iniziativa “Weltoffenheit GG 5.3” di dicembre da parte di responsabili di importanti istituzioni artistiche e accademiche tedesche, tra cui il Goethe Institute, il Museo Ebraico di Hohenems [comune austriaco, ndtr.], l’Humboldt Forum [museo berlinese, ndtr.] e il Centro per la Ricerca sull’ Anti-Semitismo dell’Università Tecnica [politecnico, ndtr.] di Berlino, ha visto intervenire nella contesa l’élite culturale tedesca.

Con questa iniziativa le istituzioni si sono unite per segnalare il clima nocivo determinato dalla risoluzione anti-BDS che impedisce la libertà di parola.

Weltoffenheit si può approssimativamente tradurre come “apertura al mondo”, e GG5.3 fa riferimento all’articolo della costituzione tedesca sulla libertà di opinione nelle arti e a livello accademico.

Durante una conferenza stampa dell’11 dicembre i responsabili delle istituzioni coinvolte hanno rivelato che a causa della risoluzione temono sempre più le conseguenze di lavorare con artisti o intellettuali che sono a favore del BDS o come tali sono percepiti.

L’iniziativa ha specificamente citato come esempio le calunnie di antisemitismo contro il professor Achille Mbembe, noto a livello internazionale.

Il filosofo camerunense era stato invitato a fare il discorso d’apertura del Ruhrtriennale Festival di Bochum [rassegna triennale di arte e cultura della Ruhr, ndtr.], ma i responsabili del festival hanno subito pressioni da politici perché ritirassero l’invito allo studioso africano a causa del suo presunto antisemitismo, per le critiche delle politiche israeliane.

Il festival è stato di fatto annullato in seguito alla pandemia di COVID-19.

Le preoccupazioni dell’élite culturale sono appoggiate da oltre 1.400 firme racconte da una lettera aperta di un gruppo di artisti internazionali e tedeschi in Germania o che lavorano con istituzioni tedesche.

Entrambe le iniziative contribuiscono a un intenso dibattito pubblico, che alla fine ha spinto il responsabile tedesco per l’antisemitismo Felix Klein a suggerire l’idea di chiedere al dipartimento per il servizio giuridico del parlamento tedesco un parere consultivo sull’argomento.

Klein è indicato come la persona che ha sollecitato la risoluzione anti-BDS, che equipara quest’ultimo all’antisemitismo e si basa sulla controversa definizione di antisemitismo dell’International Holocaust Remembrance Alliance [organizzazione intergovernativa a cui aderiscono 34 Paesi, ndtr.] (IHRA), “un grande segno di solidarietà con Israele.”

Opinione degli esperti: dare priorità al diritto alla libertà di parola

Il rapporto dell’organismo di consulenza dei servizi scientifici del parlamento non ha affrontato il modo in cui la definizione di antisemitismo dell’IHRA, la base della risoluzione anti-BDS, viene utilizzata per mettere a tacere e calunniare i palestinesi e i loro sostenitori.

Ma il rapporto ha confermato l’affermazione dell’iniziativa Weltoffenheit, secondo cui la risoluzione non è giuridicamente vincolante: è un’opinione politica.

Il parere dell’esperto afferma che, come legge, la risoluzione sarebbe una limitazione anticostituzionale del diritto alla libertà di espressione, che è protetta dalla costituzione tedesca.

Il rapporto ha rappresentato un rimprovero nei confronti dell’esperto berlinese di antisemitismo, il professor Samuel Salzborn, che in precedenza aveva sostenuto di essere “irritato e infastidito” dall’appello dell’élite culturale tedesca.

D’altronde Salzborn aveva molto tempo fa svelato le sue tendenze antipalestinesi quando aveva twittato di essersi sentito a disagio su un treno perché “la gente vicino a te inizia a parlare di ‘Palestina’ senza nessuna ragione apparente,” un tweet accompagnato dall’ hashtag, #anti-Semitism.

Spazio per voci palestinesi?

La Germania ha una consistente comunità di circa 250.000 persone di origine palestinese, 40.000 delle quali a Berlino.

Ma molti di loro affermano di aver paura di criticare Israele o l’occupazione israeliana.

Molti giovani palestinesi non osano impegnarsi,” ha detto al quotidiano tedesco Tageszeitung [giornale berlinese di estrema sinistra, ndtr.] l’ex-presidente di un’organizzazione palestinese che ha voluto rimanere anonimo. “Temono che ciò possa danneggiare la loro carriera professionale.”

L’attivista tedesco palestinese Amir Ali conferma che in Germania i palestinesi hanno paura di parlare liberamente.

Ali è uno dei Bundestag 3 for Palestine [3 del Buntestag per la Palestina] (BT3P) che hanno citato in giudizio il parlamento tedesco per la risoluzione anti-BDS quando è stata emanata.

In un video realizzato come parte di quella campagna parla di come alcuni amici gli hanno chiesto perché è pronto a rischiare il suo futuro personale con un’azione legale.

Lo faccio perché difendere i diritti umani in generale e quelli dei palestinesi in particolare è la cosa giusta da fare… So che in Germania molti palestinesi la pensano così, ma, poiché ciò mette in pericolo il loro futuro, non possono partecipare alla nostra azione legale.”

Majed Abusalama, un attivista palestinese che ha vissuto in Germania negli ultimi 5 anni, ribadisce questa sensazione.

Non c’è alcuno spazio per un palestinese che non faccia il discorso tedesco della soluzione a due Stati, o che citi il BDS,” dice a Electronic Intifada.

La Germania sta andando molto oltre nel traumatizzare la nostra comunità.”

Abusalama è stato uno dei tre militanti denunciati in Germania per aver disturbato all’università di Berlino un evento che ospitava un politico israeliano. Ci sono voluti tre anni perché un tribunale tedesco lo assolvesse.

Nel 2018, a causa della sua partecipazione alla protesta nell’università, è stato inserito in un rapporto dell’agenzia di intelligence interna dello Stato di Berlino nella sezione sull’antisemitismo.

Ciò a sua volta lo ha portato a comparire sul The Jerusalem Post [giornale israeliano di destra in lingua inglese, ndtr.] come “un attivista filo-BDS molto aggressivo”.

Un video dell’intervento di Abusalama all’evento rivela che la descrizione è palesemente inesatta.

Tutta la faccenda lo ha sconfortato.

È stato una grave intimidazione, persecuzione, diffamazione e distruzione della mia immagine, intesa non solo a far tacere me, ma a cancellare ogni segno di attivismo palestinese per l’uguaglianza, la libertà e la giustizia in Germania,” dice Abusalama.

E più in generale, afferma, “è parte del razzismo antipalestinese in aumento” in Germania.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Alcuni giuristi affermano che Williamson sbaglia a obbligare le università ad attenersi alla definizione di antisemitismo

Harriet Sherwood

7 gennaio 2021 – The Guardian

Una lettera accusa il ministro dell’Istruzione di “ingerenza indebita” dopo un ordine riguardante il testo dell’IHRA

Un gruppo di eminenti giuristi, tra cui due ex-giudici di Corte d’Appello, ha accusato Gavin Williamson, il ministro all’Istruzione, di “ingerenza indebita” a danno dell’autonomia universitaria e del diritto alla libertà di espressione.

Essi affermano che l’insistenza di Williamson perché le università adottino la definizione di antisemitismo dell’International Holocaust Remembrance Alliance [Alleanza Internazionale per il Ricordo dell’Olocausto, ente intergovernativo a cui aderiscono 34 Paesi, ndtr.] oppure debbano affrontare sanzioni è “illegale e immorale”. La loro dichiarazione giunge nel bel mezzo di una certa resistenza a livello accademico alla lettera inviata in ottobre da Williamson ai vice-rettori delle università, in cui minacciava: “Se entro Natale non avrò visto la stragrande maggioranza delle istituzioni [universitarie] adottare la definizione (dell’IHRA), allora interverrò.”

In questo mese docenti dell’University College di Londra dovrebbero decidere se chiedere all’organo direttivo dell’istituzione di annullare l’adozione, nel novembre 2019, della definizione dell’IHRA. Alcuni sostengono che ciò impedisce un libero dibattito su Israele.

Oxford e Cambridge sono tra le università che nelle scorse settimane hanno adottato la definizione dell’IRHA. Il ministero dell’Istruzione afferma che, dall’invio della lettera di Williamson, almeno 27 istituzioni l’hanno adottata.

Secondo un calcolo dell’Union of Jewish Students [Unione degli Studenti Ebrei] (UJS), un totale di 48 su 133 [università] hanno al momento adottato la definizione, compresa la grande maggioranza di quelle d’eccellenza che fanno parte del Russell Group [rete di 24 università in Gran Bretagna che ricevono i 2/3 dei finanziamenti alla ricerca, ndtr.]. L’UJS sostiene che le istituzioni che resistono a fare altrettanto starebbero dimostrando “disprezzo…nei confronti dei loro studenti ebrei.”

Invece la lettera dei giuristi, pubblicata dal Guardian, afferma: “Il diritto legalmente riconosciuto alla libertà di espressione viene minacciato dalla promozione di una ‘definizione operativa giuridicamente non vincolante’ di antisemitismo intrinsecamente incoerente. La sua promozione da parte di pubbliche istituzioni sta portando alla limitazione della discussione. Le università e altri enti che rifiutano l’indicazione… di adottarla dovrebbero essere appoggiate nel fare ciò.”

Essa cita la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo relativa alla libertà di espressione, che è inserita nel diritto del Regno Unito dalla legge sui diritti umani del 1998.

Williamson ha “sbagliato giuridicamente ed eticamente in ottobre a dare indicazioni alle università inglesi di adottare e mettere in pratica” la definizione di antisemitismo dell’IHRA. Questa minaccia di sanzioni “sarebbe un’indebita interferenza con la loro autonomia.”

La lettera aggiunge: “L’impatto sul dibattito pubblico sia dentro che fuori le università è già stato significativo.”

Tra gli otto firmatari ci sono Sir Anthony Hooper e Sir Stephen Sedley, entrambi giudici di Corte d’Appello in pensione.

L’opposizione accademica all’adozione generalizzata della definizione dell’IHRA si concentra sulla libertà di espressione, e in particolare sul fatto se verrebbero impedite le critiche al modo in cui Israele tratta il popolo palestinese.

La definizione dell’IHRA è di sole 40 parole.

Essa afferma: “L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebrei. Manifestazioni di antisemitismo verbali e fisiche sono dirette verso gli ebrei o i non ebrei e/o alle loro proprietà, verso istituzioni comunitarie ebraiche ed edifici utilizzati per il culto”.

Ma essa è accompagnata da 11 esempi esplicativi, sette dei quali riguardano Israele.

Secondo il rapporto di un gruppo di lavoro istituito dal consiglio di facoltà della UCL, la definizione e gli esempi “spostano in modo sproporzionato il dibattito su Israele e Palestina nelle discussioni riguardo all’antisemitismo, confondendo potenzialmente antisionismo e antisemitismo…in modo da…rischiare di eliminare la legittima discussione e la ricerca accademica.”

Il rapporto afferma che la definizione non ha basi legali e c’è già “un vasto corpo di leggi esistenti nel Regno Unito e politiche coerenti dell’UCL che invece dovrebbero essere utilizzate come base di ogni meccanismo istituzionale per combattere l’antisemitismo.”

Le università hanno “l’esplicito obbligo statutario di proteggere la libertà di parola nel rispetto delle leggi,” dice il rapporto.

Come strumento educativo la definizione “potrebbe avere in effetti un potenziale valore, ma esso dovrebbe essere equilibrato contro effetti potenzialmente deleteri sulla libertà di parola, quali l’istigazione a una cultura della paura o all’autocensura nell’insegnamento o nella ricerca o nella discussione in aula di contenuti controversi.”

Il rapporto afferma: “La possibilità di tenere discussioni scomode o di sentirsi interpellati da idee in conflitto è al cuore del mandato dell’educazione superiore. Sono tempi in cui sentiamo la necessità di chiarire e illuminare queste tensioni invece di affrettarci ad accogliere le richieste di detrattori che potrebbero travisare questi esempi come atti di discriminazione, se dobbiamo difendere i valori della vita universitaria.”

Pur riconoscendo “prove inquietanti che incidenti di antisemitismo sono presenti nella nostra università,” il rapporto raccomanda all’organismo direttivo dell’UCL di annullare l’adozione della definizione dell’IHRA e di “prendere in considerazione alternative più coerenti.”

Il corpo docente dell’UCL avrebbe dovuto votare sulle raccomandazioni del rapporto prima di Natale, ma, data la sua importanza, ha deciso di approfondire la discussione nel nuovo anno.

Harry Goldstein, uno dei critici del rapporto, ha sostenuto che i suoi argomenti danno credito “proprio alle teorie cospirative che sono al centro dell’antisemitismo classico. Ci deve sempre essere un complotto per mettere a tacere le critiche a Israele.”

In un messaggio sul suo blog, Goldstein, che si definisce un sostenitore di Israele progressista di centro-sinistra, ha affermato che il rapporto confonde la distinzione tra critiche a Israele e antisionismo, utilizza un linguaggio tendenzioso e “non comprende la natura differente dell’antisemitismo rispetto ad altre forme di razzismo.”

Dave Rich, responsabile per le questioni politiche del Community Security Trust (CST), che assiste la comunità ebraica del Regno Unito sui problemi di sicurezza, afferma che la discussione accademica sulle definizioni di antisemitismo “perde di vista quello che realmente importa: il benessere e la sicurezza degli studenti ebrei nelle università britanniche.”

Un rapporto del CST, Campus Antisemitism in Britain 2018-20 [Antisemitismo nei campus britannici 2018-20] ha registrato un totale di 123 incidenti legati all’antisemitismo che nel corso dei due anni hanno coinvolto studenti in 34 città e cittadine.

Decisamente troppi studenti ebrei sperimentano pregiudizi e fanatismo nei campus, fuori dai campus e in rete. Ciò include l’antisemitismo dell’estrema sinistra, che mescola l’odio contro Israele con il sospetto nei confronti di ogni ebreo che non sia d’accordo con essa,” ha scritto lo scorso mese Rich.

James Harris, il presidente di UJS, ha sostenuto che la continua battaglia sulla definizione dell’IHRA è “inaccettabile”.

Ha aggiunto: “Abbiamo visto molteplici esempi di razzismo antiebraico ignorati dalle università che rifiutano sistematicamente di adottare questa definizione. Quando essa non viene usata, ciò dà la possibilità a quanti devono svolgere indagini di determinare arbitrariamente quello che ritengono costituisca antisemitismo.

La definizione dell’IHRA è la pietra angolare per garantire che l’antisemitismo, quando registrato, venga affrontato in modo tale per cui gli studenti ebrei possano aver fiducia.”

Un portavoce del ministero dell’Istruzione ha affermato: “Il governo si aspetta che le istituzioni abbiano un approccio di tolleranza zero verso l’antisemitismo, con la messa in pratica di severe misure per affrontare i problemi quando sorgono.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




I diritti dei palestinesi e la definizione dell’IHRA di antisemitismo

29 novembre 2020, The Guardian

Un gruppo di 122 accademici, giornalisti e intellettuali palestinesi e arabi esprime le proprie preoccupazioni sulla definizione dell’IHRA

Noi sottoscritti accademici, giornalisti e intellettuali palestinesi e arabi, dichiariamo le nostre opinioni riguardo la definizione di antisemitismo da parte dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) [organizzazione intergovernativa fondata nel 1998 che unisce governi ed esperti allo scopo di rafforzare, promuovere e divulgare l’educazione sull’Olocausto, ndtr.] e il modo in cui questa definizione è stata presentata, interpretata e applicata in diversi Paesi d’Europa e del Nord America.

Negli ultimi anni la lotta contro l’antisemitismo è stata sempre più strumentalizzata dal governo israeliano e dai suoi sostenitori nel tentativo di delegittimare la causa palestinese e mettere a tacere i difensori dei diritti dei palestinesi. Dirottare l’indispensabile lotta contro l’antisemitismo per favorire un tale programma minaccia di svilire questa battaglia e quindi di screditarla e indebolirla.

L’antisemitismo deve essere smascherato e combattuto. Indipendentemente dai pretesti, nessuna espressione di odio per gli ebrei in quanto ebrei dovrebbe essere tollerata in nessuna parte del mondo. L’antisemitismo si manifesta attraverso generalizzazioni e stereotipi indiscriminati sugli ebrei, riguardanti in particolare il potere e il denaro, insieme a teorie del complotto e alla negazione dell’Olocausto. Consideriamo legittima e indispensabile la lotta contro tali atteggiamenti. Crediamo anche che le lezioni dell’Olocausto, così come quelle di altri genocidi dei tempi moderni, debbano far parte dell’educazione delle nuove generazioni contro ogni forma di odio e pregiudizio razziale.

La lotta contro l’antisemitismo, tuttavia, deve essere affrontata in modo strutturato, onde evitare di vanificare il suo scopo. Attraverso gli “esempi” che fornisce, la definizione dell’IHRA fonde l’ebraismo con il sionismo partendo dal presupposto che tutti gli ebrei siano sionisti e che lo Stato di Israele nella sua condizione attuale incarni l’autodeterminazione di tutti gli ebrei. Siamo in profondo disaccordo con questo. La lotta contro l’antisemitismo non deve essere trasformata in uno stratagemma per delegittimare la lotta contro l’oppressione dei palestinesi, la negazione dei loro diritti e l’ininterrotta occupazione della loro terra. A tale riguardo consideriamo fondamentali i seguenti principi:

1. La lotta contro l’antisemitismo deve essere applicata nel quadro delle leggi internazionali e dei diritti umani. Dovrebbe essere parte integrante della lotta contro tutte le forme di razzismo e xenofobia, compresi l’islamofobia e il razzismo anti-arabo e anti-palestinese. Lo scopo di questa lotta è garantire libertà ed emancipazione a tutte le categorie oppresse. Orientarlo verso la difesa di uno Stato oppressivo e rapace costituisce un profondo stravolgimento.

2. Esiste un’enorme differenza tra una condizione in cui gli ebrei vengono individuati, oppressi e annientati come minoranza da regimi o organizzazioni antisemite e una condizione in cui l’autodeterminazione di una popolazione ebraica in Palestina / Israele è stata realizzata sotto forma di uno Stato etnico esclusivista e territorialmente espansionista. Così com’é attualmente, lo Stato di Israele è fondato sullo sradicamento della stragrande maggioranza dei nativi – quella che palestinesi e arabi chiamano Nakba – e sulla sottomissione dei nativi che vivono ancora nel territorio della Palestina storica come cittadini di seconda classe o come popolo sotto occupazione, deprivati del diritto all’autodeterminazione.

3. La definizione di antisemitismo dell’IHRA e le relative misure legali adottate in diversi Paesi sono state utilizzate principalmente contro le organizzazioni di sinistra e quelle per i diritti umani che sostengono i diritti dei palestinesi e contro la campagna per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), mettendo da parte la reale minaccia per gli ebrei, proveniente da movimenti nazionalisti bianchi di destra in Europa e negli Stati Uniti. La rappresentazione della campagna del BDS come antisemita è una grossolana distorsione di quello che è fondamentalmente un mezzo legittimo di lotta non violenta a favore dei diritti dei palestinesi.

4. L’affermazione della definizione dell’IHRA secondo cui un esempio di antisemitismo è “Negare al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione, ad esempio affermando che l’esistenza di uno Stato di Israele è un’iniziativa razzista” è piuttosto strana. Non si preoccupa di riconoscere che, in base al diritto internazionale, l’attuale Stato di Israele costituisce una potenza occupante da oltre mezzo secolo, come riconosciuto dai governi dei Paesi in cui viene accolta la definizione dell’IHRA. Non si preoccupa di considerare se questo diritto includa il diritto di creare una maggioranza ebraica attraverso la pulizia etnica e se debba essere valutato in rapporto ai diritti del popolo palestinese. Inoltre, la definizione dell’IHRA potenzialmente scarta come antisemite tutte le visioni non sioniste del futuro dello Stato israeliano, come la difesa di uno Stato bi-nazionale o democratico laico che rappresenti nella stessa misura tutti i suoi cittadini. Un autentico sostegno al principio del diritto di un popolo all’autodeterminazione non può escludere la Nazione palestinese, né qualunque altra.

5. Crediamo che nessun diritto all’autodeterminazione debba includere il diritto di sradicare un altro popolo e impedirgli di tornare nella sua terra, o qualsiasi altro strumento per garantire una maggioranza demografica all’interno dello Stato. La rivendicazione da parte dei palestinesi del loro diritto al ritorno nella terra da cui loro stessi, i loro genitori e nonni sono stati espulsi non può essere interpretata come antisemita. Il fatto che una tale richiesta crei angosce tra gli israeliani non prova che essa sia ingiusta, né antisemita. È un diritto riconosciuto dalle leggi internazionali come dichiarato nella risoluzione 194 del 1948 dell’assemblea generale delle Nazioni Unite.

6. Rivolgere indistintamente l’accusa di antisemitismo contro chiunque consideri razzista l’attuale Stato di Israele, nonostante l’effettiva discriminazione istituzionale e costituzionale su cui si basa, equivale a garantire a Israele l’impunità assoluta. Israele può così deportare i suoi cittadini palestinesi, revocarne la cittadinanza o negare loro il diritto di voto, ed essere comunque immune dall’accusa di razzismo.

La definizione dell’IHRA e il modo in cui è stata applicata vietano qualsiasi discussione sullo Stato israeliano in quanto basato su una discriminazione etnico-religiosa. In tal modo viola la giustizia elementare e le norme fondamentali dei diritti umani e del diritto internazionale.

7. Crediamo che la giustizia richieda il pieno sostegno del diritto dei palestinesi all’autodeterminazione, inclusa la richiesta di porre fine all’occupazione internazionalmente riconosciuta dei loro territori,alla mancanza di uno Stato e alla deprivazione dei rifugiati palestinesi. L’occultamento dei diritti dei palestinesi nella definizione dell’IHRA tradisce un atteggiamento che sostiene il privilegio ebraico, invece dei diritti ebraici, in Palestina e, invece della sicurezza ebraica, la supremazia ebraica sui palestinesi. Crediamo che i valori e i diritti umani siano inseparabili e che la lotta contro l’antisemitismo debba andare di pari passo con la lotta a nome di tutti i popoli e gruppi oppressi per la dignità, l’uguaglianza e l’emancipazione.

Samir Abdallah

Regista, Parigi, Francia

Nadia Abu El-Haj

Ann Olin Whitney Docente di Antropologia, Columbia University, USA

Lila Abu-Lughod

Joseph L Buttenwieser Docente di Scienze Sociali, Columbia University, USA

Bashir Abu-Manneh

Docente in Letteratura Postcoloniale, University of Kent, UK

Gilbert Achcar

Docente di Studi sullo Sviluppo, SOAS, University of London, UK

Nadia Leila Aissaoui

Sociologa e scrittrice su tematiche femministe, Parigi, Francia

Mamdouh Aker

Consiglio di amministrazione, Università di Birzeit, Palestina

Mohamed Alyahyai

Scrittore e romanziere, Oman

Suad Amiry

Scrittrice e architetto, Ramallah, Palestina

Sinan Antoon

Professore Associato, New York University, Iraq-USA

Talal Assad

Professore Emerito di Antropologia, Graduate Center, CUNY, USA

Hanan Ashrawi

Ex docente di Letteratura Comparata, Università di Birzeit, Palestina

Aziz Al-Azmeh

Professore emerito, Università dell’Europa centrale, Vienna, Austria

Abdullah Baabood

Accademico e ricercatore in Studi sul Golfo, Oman

Nadia Al-Bagdadi

Docente di Storia, Università Centrale Europea, Vienna

Sam Bahour

Scrittore, Al-Bireh / Ramallah, Palestina

Zainab Bahrani

Edith Porada Docente di Storia dell’Arte e Archeologia, Columbia University, USA

Rana Barakat

Assistente universitaria di Storia, Università di Birzeit, Palestina

Bashir Bashir

Professore associato di Teoria Politica, Open University of Israel, Raanana, Stato di Israele

Taysir Batniji

Artista-Pittore, Gaza, Palestina e Parigi, Francia

Tahar Ben Jelloun

Scrittore, Parigi, Francia

Mohammed Bennis

Poeta, Mohammedia, Marocco

Mohammed Berrada

Scrittore e critico letterario, Rabat, Marocco

Omar Berrada

Scrittore e curatore, New York, USA

Amahl Bishara

Professore Associato e Presidente, Dipartimento di Antropologia, Tufts University, USA

Anouar Brahem

Musicista e compositore, Tunisia

Salem Brahimi

Regista, Algeria-Francia

Aboubakr Chraïbi

Docente, Dipartimento di Studi Arabi, INALCO, Parigi, Francia

Selma Dabbagh

Scrittrice, Londra, Regno Unito

Izzat Darwazeh

Docente di Ingegneria delle Comunicazioni, University College London, UK

Marwan Darweish

Professore associato, Università di Coventry, Regno Unito

Beshara Doumani

Mahmoud Darwish Docente di Studi Palestinesi e di Storia, Brown University, USA

Haidar Eid

Professore Associato di Letteratura Inglese, Università Al-Aqsa, Gaza, Palestina

Ziad Elmarsafy

Docente di Letteratura Comparata, King’s College di Londra, Regno Unito

Noura Erakat

Professore Associato, Africana Studies and Criminal Justice, Rutgers University, USA

Samera Esmeir

Professore Associato di Retorica, Università della California, Berkeley, USA

Khaled Fahmy

FBA, Docente di Studi Arabi Moderni, Università di Cambridge, Regno Unito

Ali Fakhrou

Accademico e scrittore, Bahrain

Randa Farah

Professore Associato, Dipartimento di Antropologia, Western University, Canada

Leila Farsakh

Professore associato di Scienze Politiche, Università del Massachusetts Boston, USA

Khaled Furani

Professore Associato di Sociologia e Antropologia, Università di Tel Aviv, Stato di Israele

Burhan Ghalioun

Professore Emerito di Sociologia, Sorbonne 3, Parigi, Francia

Asad Ghanem

Professore di Scienze Politiche, Università di Haifa, Stato di Israele

Honaida Ghanim

Direttore generale del Forum Palestinese per gli Studi Israeliani Madar, Ramallah, Palestina

George Giacaman

Docente di Filosofia e Studi Culturali, Università di Birzeit, Palestina

Rita Giacaman

Docente, Istituto di Comunità e Sanità pubblica, Università di Birzeit, Palestina

Amel Grami

Docente di Studi di Genere, Università Tunisina, Tunisi

Subhi Hadidi

Critico letterario, Siria-Francia

Ghassan Hage

Docente di Antropologia e Teoria Sociale, Università di Melbourne, Australia

Samira Haj

Professore Emerito di Storia, CSI / Graduate Center, CUNY, USA

Yassin Al-Haj Saleh

Scrittore, Siria

Dyala Hamzah

Professore Associato di Storia Araba, Université de Montréal, Canada

Rema Hammami

Professore Associato di Antropologia, Università di Birzeit, Palestina

Sari Hanafi

Docente di Sociologia, Università Americana di Beirut, Libano

Adam Hanieh

Docente in Studi dello Sviluppo, SOAS, University of London, UK

Kadhim Jihad Hassan

Scrittore e traduttore, Docente presso INALCO-Sorbonne, Parigi, Francia

Nadia Hijab

Autrice e Difensore dei Diritti Umani, Londra, Regno Unito

Jamil Hilal

Scrittore, Ramallah, Palestina

Serene Hleihleh

Attivista Culturale, Giordania-Palestina

Bensalim Himmich

Accademico, romanziere e scrittore, Marocco

Khaled Hroub

Professore in Residenza di Studi Medio-Orientali, Northwestern University, Qatar

Mahmoud Hussein

Scrittore, Parigi, Francia

Lakhdar Ibrahimi

Scuola di Affari Internazionali di Parigi, Istituto di Studi Politici, Francia

Annemarie Jacir

Regista, Palestina

Islah Jad

Professore Associato di Scienze Politiche, Università di Birzeit, Palestina

Lamia Joreige

Artista Visuale e Regista, Beirut, Libano

Amal Al-Jubouri

Scrittore, Iraq

Mudar Kassis

Professore Associato di Filosofia, Università Birzeit, Palestina

Nabeel Kassis

Ex Docente di Fisica ed ex Preside, Università di Birzeit, Palestina

Muhammad Ali Khalidi

Docente di Filosofia, CUNY Graduate Center, USA

Rashid Khalidi

Edward Said Docente di Studi Arabi Moderni, Columbia University, USA

Michel Khleifi

Regista, Palestina-Belgio

Elias Khoury

Scrittore, Beirut, Libano

Nadim Khoury

Professore Associato di Studi Internazionali, Lillehammer University College, Norvegia

Rachid Koreichi

Artista-Pittore, Parigi, Francia

Adila Laïdi-Hanieh

Direttore generale, Museo Palestinese, Palestina

Rabah Loucini

Docente di Storia, Università di Orano, Algeria

Rabab El-Mahdi

Professore Associato di Scienze Politiche, The American University, Il Cairo, Egitto

Ziad Majed

Professore Associato di Studi sul Medio Oriente e IR, Università Americana di Parigi, Francia

Jumana Manna

Artista, Berlino, Germania

Farouk Mardam Bey

Editore, Parigi, Francia

Mai Masri

Regista palestinese, Libano

Mazen Masri

Professore a contratto di diritto, City University of London, UK

Dina Matar

Docente in Comunicazione Politica e Media Arabi, SOAS, University of London, UK

Hisham Matar

Scrittore, Docente al Barnard College, Columbia University, USA

Khaled Mattawa

Poeta, William Wilhartz Docente di Letteratura Inglese, Università del Michigan, USA

Karma Nabulsi

Docente di Politica e IR, Università di Oxford, Regno Unito

Hassan Nafaa

Professore Emerito di Scienze Politiche, Università del Cairo, Egitto

Nadine Naber

Docente, Dipartimento di Studi Femminili e di Genere, University of Illinois at Chicago, USA

Issam Nassar

Professore, Illinois State University, USA

Sari Nusseibeh

Professore Emerito di Filosofia, Università Al-Quds, Palestina

Najwa Al-Qattan

Professore Emerito di Storia, Loyola Marymount University, USA

Omar Al-Qattan

Regista, Presidente del Museo Palestinese e della Fondazione AM Qattan, Regno Unito

Nadim N Rouhana

Docente di Affari internazionali, The Fletcher School, Tufts University, USA

Ahmad Sa’adi

Docente, Haifa, Stato di Israele

Rasha Salti

Curatrice indipendente, scrittrice, ricercatrice d’arte e film, Germania-Libano

Elias Sanbar

Scrittore, Parigi, Francia

Farès Sassine

Docente di filosofia e critico letterario, Beirut, Libano

Sherene Seikaly

Professore Associato di Storia, Università della California, Santa Barbara, USA

Samah Selim

Professore Associato, Lingue e letterature A, ME e SA, Rutgers University, USA

Leila Shahid

Scrittrice, Beirut, Libano

Nadera Shalhoub-Kevorkian

Lawrence D Biele Cattedra in Legge, Hebrew University, Stato di Israele

Anton Shammas

Docente di Letteratura Comparata, Università del Michigan, Ann Arbor, USA

Yara Sharif

Docente senior, Architettura e Città, Università di Westminster, Regno Unito

Hanan Al-Shaykh

Scrittrice, Londra, Regno Unito

Raja Shehadeh

Avvocato e scrittore, Ramallah, Palestina

Gilbert Sinoué

Scrittore, Parigi, Francia

Ahdaf Soueif

Scrittrice, Egitto / Regno Unito

Mayssoun Sukarieh

Docente senior di Studi sullo Sviluppo, King’s College di Londra, Regno Unito

Elia Suleiman

Regista, Palestina-Francia

Nimer Sultany

Docente in Diritto Pubblico, SOAS, University of London, UK

Jad Tabet

Architetto e scrittore, Beirut, Libano

Jihan El-Tahri

Regista, Egitto

Salim Tamari

Professore Emerito di Sociologia, Università di Birzeit, Palestina

Wassyla Tamzali

Scrittrice, produttrice d’arte contemporanea, Algeria

Fawwaz Traboulsi

Scrittore, Beirut Libano

Dominique Vidal

Storico e giornalista, Palestina-Francia

Haytham El-Wardany

Scrittore, Egitto-Germania

Said Zeedani

Professore Associato Emerito di Filosofia, Università Al-Quds, Palestina

Rafeef Ziadah

Docente in Politiche Comparate del Medio Oriente, SOAS, University of London, UK

Raef Zreik

Minerva Humanities Center, Università di Tel Aviv, Stato di Israele

Elia Zureik

Professore Emerito, Queen’s University, Canada

Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta




“Siete pionieri sionisti” –Una ministra israeliana di centro saluta così i coloni messianici

Jonathan Ofir  

1 dicembre 2020 – MondoWeiss

La pluridecennale impresa coloniale di Israele consiste nella creazione di “fatti sul campo”. I fatti si presentano tipicamente come “avamposti” costruiti da zelanti fedeli senza un’autorizzazione, sia su terreni sequestrati dai militari per lo Stato, sia semplicemente su terreni privati palestinesi. La questione è quindi come legalizzare retroattivamente il furto e come inquadrarlo. Si tende a pensare che questa attività sia principalmente un progetto della destra, ma storicamente è stata praticata sia dalla destra che dalla sinistra, in modo più o meno esplicito.

Questa settimana, una ministra centrista ha intenzionalmente sganciato una bomba. Domenica, la ministra israeliana della Diaspora Omer Yankelevich, del partito Blu e Bianco di Benny Gantz si è rivolta ai coloni durante un “Forum delle colonie”. L’ ha fatto a conferma dell’iniziativa del ministro della Difesa Gantz e del suo collega di partito Michael Biton (ministro degli Affari Strategici) di legalizzare retroattivamente 1.700 unità abitative dei coloni, considerate illegali anche dalle indulgenti leggi di Israele (che sfidano il diritto internazionale).

Yankelevitch ha invocato l'”unità” suprematista ebraica riguardo alle colonie, dicendo che “è tempo di porre fine ai discorsi di divisione e odio nei confronti dei coloni”. Condividendo il video del discorso, il giornalista Neri Zilber ha detto che l’affermazione è un tradimento. “I [parlamentari di] Blu e Bianchi sono stati votati con più di un milione di voti di centrosinistra”.

Ma davvero quei milioni di elettori sono contrari? Il quotidiano israeliano Yediot Aharonot aveva già denunciato tre settimane fa la possibilità di tale mossa, che i coloni stavano ovviamente aspettando, una mossa che Peace Now [movimento israeliano contrario all’occupazione, ndtr.] ha definito “la realizzazione di una politica da coloni messianici”. E contemporaneamente Oded Ravivi, capo del consiglio regionale dei coloni di Efrat, ha detto che “l’insediamento di ebrei in Giudea e Samaria ha ottenuto il consenso”.

La giornalista Mairav Zonszein ha commentato le dichiarazioni di Yankelevitch, scrivendo su Twitter: “Non un ministro qualsiasi, ma Omer Yankelevich, ministra degli Affari della Diaspora, che sovrintende ai rapporti con gli ebrei americani, i quali in genere si oppongono alle colonie.”

Gli ebrei americani sono una cosa. Gli ebrei israeliani un’altra.

Yankelevich ha detto senza mezzi termini che Gantz sostiene in pieno l’iniziativa di Biton di legalizzare le case illegali dei coloni.

In passato, simili palesi iniziative promozionali della legalizzazione dell’illegale venivano dalla destra di Benjamin Netanyahu, ad esempio dall’ex ministra della Giustizia Ayelet Shaked, che nel 2017 promosse la “legge di regolarizzazione”, che analogamente forniva copertura giuridica alla legalizzazione retroattiva di circa 4.000 case illegali di coloni.

Con la sua dichiarazione, Yankelevich ha in sostanza detto che un partito di centro, Blu e Bianco, stava superando Netanyahu a destra, e andando persino oltre Shaked, poiché in particolare questa “legalizzazione” verrebbe messa in pratica anche prima che venga approvata una specifica legge in merito a quelle case. Yediot riferisce che l’intenzione è quella di approvare la mozione che viene chiamata “regolarizzazione del mercato”, che “consente all’acquirente di acquisire diritti sulla proprietà se è dimostrato che l’acquisto è stato fatto in buona fede”.

Già, “buona fede” è un termine usato spesso dai promotori di questi atti. I coloni dell’avamposto sono chiamati collettivamente “il giovane insediamento”, come li ha chiamati anche Yankelevich, piuttosto che colonialisti ladri di terre. Le affermazioni di Yankelevich sono diventate un grosso problema per Gantz, che vorrebbe almeno apparire come un centrista. Così lunedì c’è stata una discussione nel partito se questa posizione rappresenti effettivamente la linea del partito. Gantz ha detto di no, e che Yankelevich stava travisando (come riportato da Walla [portale web di una società di telecomunicazioni israeliana, ndtr.]):

Il capo di Blu e Bianco Benny Gantz ha chiarito oggi (lunedì) di non appoggiare la mozione di regolarizzazione degli avamposti, e ha preso le distanze dalle dichiarazioni della ministra della Diaspora Omer Yankelevich che ieri al raduno di protesta ha detto che Gantz li sostiene. Durante la riunione del partito Blu e Bianco Gantz ha detto: Non sosteniamo gli avamposti illegali e non importa chi vi risieda, che quella persona sia un pilota o un medico, non ha il permesso di insediarsi in aree illegali’ ”.

Tuttavia, Gantz ha sottolineato che questo non significa che si opponga alle colonie in generale, né in toto alla “regolarizzazione”. Devono solo essere fatti correttamente, per così dire:Sostengo il fatto che i blocchi [di colonie] della valle del Giordano rimangano, senza tornare ai confini del ’67 … Il Ministero della Difesa [di cui Gantz è il titolare, ndtr.] sta lavorando alla regolarizzazione di tutti gli avamposti che si trovano su aree legali esattamente secondo i regolamenti e le leggi. Qualsiasi deviazione da questa linea non è la politica di Blu e Bianco.

Questo crea un po’ di confusione, poiché gli avamposti che si trovano su aree consentite non hanno bisogno di essere legalizzati. Il punto è che si trovano in zone non ancora chiaramente definite da Israele come legali per le colonie: possono essere terre confiscate e sottoposte a “verifica”, o semplicemente terre private palestinesi.

In ogni caso, la “legalizzazione” retroattiva di tali aree è proprio il processo di “regolarizzazione” a cui si riferisce Gantz. Ma anche per chi è perplesso, il punto qui sottolineato da Gantz rivela che Israele sta operando istituzionalmente su una base espansionistica colonialista attraverso le istituzioni militari. L’unica domanda è quanto velocemente debbano andare le cose, prima che la Cisgiordania inizi a sembrare il Far West.

Durante la riunione il parlamentare di Blu e Bianco Asaf Zamir (ex ministro del Turismo) ha aggredito Yankelevich e ha detto che stava “danneggiando politicamente [il partito] nelle regioni in cui non abbiamo elettori”. Zamir ha accennato alla possibilità di elezioni imminenti: “Siamo alla vigilia di un potenziale scioglimento della Knesset [il parlamento], è meglio che ci ricordiamo chi siamo, perché queste dichiarazioni e queste iniziative non coordinate che hai compiuto allontanano la sala di comando dai nostri elettori.

Ma Yankelevich non ne ha voluto sapere. Ha mantenuto la posizione come una brava giovane colona: “La posizione del partito, come ha detto alla riunione del partito il presidente del partito, è di supporto alla regolarizzazione degli insediamenti costruiti in buona fede su terre demaniali. Questa è la posizione che ho espresso anch’io e ne sono orgogliosa. Stiamo parlando del sale della terra, di persone che vivono in condizioni inaccettabili ed è giunto il momento di fornire loro condizioni di vita onorevoli. Non credete alle false citazioni.

E dunque, Blu e Bianco si sconterà un per un po’ al suo interno e deciderà quale sia veramente la linea del partito. È un furto intenzionale e palese o è piuttosto un furto accettabile?

Due anni fa, chi scrive sostenne che il dibattito sinistra-destra in Israele è sulla velocità della colonizzazione, non su come porvi fine. Blu e Bianco è il presunto contrappeso di opposizione progressista al Likud di Netanyahu. Ma non è così, e non si riesce nemmeno a capire cosa rappresenti. Gantz dice “colonizzazione leggera”, Yankelevich dice “pionierismo sionista”. E il promemoria per gli ebrei all’estero, in particolare negli Stati Uniti, di cui Yankelevich è presumibilmente la ministra, è che non c’è forza politica in Israele che effettivamente si opponga alle colonie. La “sinistra” sionista? Quale sinistra? Non esiste. Oh, e che dire del gruppo di parlamentari della Lista Unita palestinese? È sistematicamente esclusa dal governo – sì, anche da Gantz.

E se dici che è un comportamento razzista, beh, fai attenzione, la definizione IHRA di antisemitismo potrebbe essere pronta ad acchiapparti.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




L’UE ignora la sentenza della Corte sul diritto a boicottare Israele

David Cronin

29 ottobre 2020 – Electronic Intifada

La brama di Donald Trump di compiacere Israele è stata oscena ma divertente.

Talvolta è stato impossibile non vedere, con un insieme di orrore e diletto, come un presidente facesse a pezzi le convenzioni della diplomazia.

Nel 2017 Trump ha ammesso che non gli importa se ci sarà una soluzione a uno o due Stati, facendo questa insulsa osservazione: “Mi piace quella che piace ad entrambe le parti.”

L’anno seguente si è vantato di aver ridotto il costo dello spostamento dell’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme. Non importa che Trump usi le risoluzioni ONU come carta igienica, ha ancora un occhio di riguardo per le transazioni immobiliari.

E ora Trump ha messo in dubbio che Joe Biden avrebbe potuto mediato un accordo di “normalizzazione” tra Israele e il Sudan. Così come lo ha spacciato come un trionfo per la pace, Trump ha cercato (in questo caso senza successo) di tirare qualche cazzotto a “Sleepy Joe” [Sonnolento Joe, nomignolo spregiativo con cui Trump chiama Biden, ndtr.].

Parzialità

Per ragioni puramente egoistiche spero che i decisori politici dell’UE si esibiscano in alcune delle bravate di Trump. Mentre lui mi fa ridacchiare, il loro comportamento mi ha fatto diventare un incorreggibile brontolone.

La scorsa settimana è stato riportato che Frontex, l’agenzia dell’UE per il controllo dei confini, sta collaborando con l’industria bellica israeliana. L’agenzia ha concesso un totale complessivo di 118 milioni di dollari al principale esportatore israeliano di armi, Elbit System, e a un consorzio tra Israel Aerospace Industries [principale industria aeronautica israeliana, di proprietà statale, ndtr.] e alla multinazionale Airbus.

Aerei da guerra testati sui palestinesi verranno molto probabilmente utilizzati per contribuire a bloccare i rifugiati che raggiungono le coste europee, anche se questo è un dettaglio che vi sarebbe sfuggito se aveste letto l’articolo di The Guardian su questi contratti.

L’evidente parzialità delle autorità e dei media nei confronti di Israele rende il boicottaggio dei suoi prodotti ed istituzioni ancora più impellente. Il problema è che queste autorità stanno attivamente cercando di compromettere il boicottaggio.

Durante l’estate ho inviato una protesta a Margaritis Schinas, vicepresidente della Commissione Europea. La mia denuncia si concentrava su un discorso poco pubblicizzato ma significativo fatto da Schinas nel 2019, in cui ha affermato che “l’antisemitismo ha molte forme, passando dall’antisionismo alla negazione e distorsione dell’Olocausto, da un commento discriminatorio verso un collega sul posto di lavoro a gravi minacce alla vita di una persona.”

Ho chiesto che Schinas spiegasse perché stava equiparando il sionismo, un’ideologia politica sviluppata alla fine del XIX secolo, all’ebraismo, una religione molto più antica. Gli ho ricordato che il sionismo è stato utilizzato negli anni ’40 come pretesto per una espropriazione di massa dei palestinesi e che oggi è alla base di un sistema razzista contro i palestinesi.

Libertà di espressione

Inoltre ho informato Schinas di come, da quando è stato fatto il suo discorso, la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo abbia emesso un’importante sentenza. Nel suo verdetto, pronunciato nel giugno di quest’anno, la Corte ha esplicitamente difeso i diritti degli attivisti che chiedono il boicottaggio di Israele.

La Corte ha persino affermato che il discorso relativo al boicottaggio di Israele richiede “una notevole protezione”.

Ho obiettato che, se il verdetto della Corte viene preso seriamente, allora le critiche all’ideologia dello Stato di Israele, il sionismo, devono essere considerate come protette dal diritto alla libertà di espressione.

Schinas non ha risposto di persona alla mia protesta. Ha incaricato Katharina von Schnurbein, la coordinatrice dell’UE contro l’antisemitismo, di farlo.

Von Schnurbein, che ha calunniato gli attivisti del movimento per il boicottaggio di Israele, non ha di fatto affrontato i punti da me sollevati. La sua lettera non fa alcuna menzione alla sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani.

Al contrario ha fatto riferimento a come l’ UE si basi sulla definizione di antisemitismo approvata dalla International Holocaust Remembrance Alliance [Alleanza Internazionale per il Ricordo dell’Olocausto, organizzazione intergovernativa, ndtr.]. Ha omesso il fatto che la definizione è stata concretamente stilata da organizzazioni della lobby filo-israeliana e che esse la utilizzano per cercare di proteggere Israele dal rendere conto del proprio operato.

Von Schnurbein ha anche segnalato un sondaggio del 2018 pubblicato dalla Fundamental Rights Agency [Agenzia per i Diritti Fondamentali, agenzia europea che si occupa della difesa dei diritti umani, ndtr.] dell’UE. Nelle sue parole, “l’inchiesta evidenzia che l’antisemitismo legato a Israele è la forma più diffusa di discriminazione e maltrattamenti antisemiti subiti dagli ebrei europei.”

Indipendentemente da quello che pensa von Schnurbein, i sondaggi di opinione non sono di fatto un sostituto delle sentenze di un tribunale.

L’UE si prepara a inserire nella propria legislazione la Convenzione Europea per i Diritti Umani.

La Corte Europea per i Diritti Umani, che è separata dall’Unione Europea, sovrintende al rispetto di quella convenzione. Se i rappresentanti dell’UE pensano davvero quello che dicono riguardo al desiderio di rispettare una convenzione sui diritti umani, allora devono rispettare le sentenze della Corte.

I risultati di un sondaggio non forniscono loro una scusa per ignorare le sentenze che non gli piacciono.

Promuovere l’ignoranza

Oltretutto l’obiettività del gruppo che ha condotto l’inchiesta del 2018 è dubbia.

Il direttore del progetto era Jonathan Boyd, dell’Institute for Jewish Policy Research [Istituto per la Ricerca Politica Ebraica], con sede a Londra. Boyd è un petulante sostenitore di Israele, che non fa alcuna distinzione tra sionismo ed ebraismo.

Nel suo editoriale su The Jewish Chronicle [settimanale ebraico inglese filoisraeliano, ndtr.] Boyd ha riflettuto su come inculcare devozione per Israele nei giovani ebrei. Lo scorso anno, prima delle elezioni politiche in Gran Bretagna, ha affermato che il partito Laburista aveva un grave problema con il fanatismo anti-ebraico, benché ciò sia stato inventato per danneggiare l’allora segreteria di Jeremy Corbyn.

Detto questo, la ricerca del 2018 non dovrebbe essere ignorata.

Una delle sue conclusioni è stata che il 43% degli ebrei che vi hanno preso parte riteneva di essere incolpato continuamente o frequentemente per le azioni di Israele. Un altro 36% riteneva di esserlo stato occasionalmente.

Qui c’è un chiaro messaggio: l’oppressione israeliana contro i palestinesi può anche danneggiare gli ebrei europei.

Se le autorità dell’UE fossero davvero così preoccupate dell’antisemitismo come pretendono di essere, allora farebbero pressioni su Israele in modo che ponga fine ai soprusi e tutti potrebbero tirare un sospiro di sollievo.

Potrebbero abbinare questo lavoro con la crescente consapevolezza su come gli ebrei del resto del mondo non debbano essere considerati responsabili di quello che fa Israele.

Allo stato attuale, le autorità dell’UE si comportano in modo esattamente opposto.

Comprando le armi di Israele, come Frontex ha appena fatto, rendendo economicamente conveniente l’oppressione, contribuendo pertanto a che essa continui. E considerando il sionismo indistinguibile dall’ebraismo, stanno promuovendo l’ignoranza.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Ridefinire l’antisemitismo su Facebook

Neve Gordon

22 settembre 2020 – Al-Jazeera

Se Facebook adottasse la definizione di antisemitismo dell’ IHRA, ciò sarebbe dannoso per la libertà di parola.

Con i suoi 2,7 miliardi di utenti Facebook è la rete sociale più estesa e probabilmente più influente del mondo. Pertanto, non sorprende che le organizzazioni sioniste di destra labbiano identificata come una piattaforma chiave per promuovere i loro progetti.

Diversi anni fa, ad esempio, il Ministero israeliano degli Affari strategici insieme agli studenti dell’IDC, un’università israeliana di Herzliya, ha contribuito a creare ACT.IL, una “comunità online che si impegna nel promuovere un’influenza positiva sull’opinione pubblica internazionale nei confronti dello Stato di Israele tramite le piattaforme dei social media”. ACT.IL ha creato un esercito di troll [agenti provocatori o che condizionano l’opinione pubblica attraverso le reti sociali, ndtr.] e poi ha sviluppato un’applicazione per rendere il loro lavoro più efficace coordinando l’insieme delle segnalazioni dei commenti critici nei confronti di Israele postati su Facebook.

Ben presto, è diventato chiaro che nessun esercito di troll può far fronte al monitoraggio dell’enorme quantità di contenuti su Facebook. Questo è il motivo per cui le organizzazioni sioniste di destra hanno recentemente iniziato a fare pressioni su Facebook affinché includa le critiche a Israele come parte della propria definizione di incitamento all’odio. In altre parole, il loro obiettivo è costringere Facebook ad alterare gli algoritmi che utilizza per rilevare l’incitamento all’odio in modo che gli algoritmi della società rimuovano automaticamente qualsiasi critica a Israele dalla piattaforma. Si sono resi conto che gli algoritmi sono più efficienti dei troll.

La campagna

La scorsa estate, lavorando a stretto contatto con il governo israeliano, il gruppo di pressione pro-Israele StopAntisemitism.org ha lanciato la nuova campagna dopo aver ricevuto finanziamenti dal filantropo di destra Adam Milstein [investitore immobiliare e lobbista israeliano-americano, ndtr.].

A luglio Orit Farkash-Hacohen, ministro israeliano degli Affari Strategici, ha pubblicato un editoriale su Newsweek [noto settimanale USA, ndtr.] in cui esorta le società di social media a sradicare il “virus” antisemita adottando pienamente la definizione corrente di antisemitismo dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) [organizzazione intergovernativa fondata nel 1998 che unisce governi ed esperti al fine promuovere e divulgare l’educazione sull’Olocausto, ndtr.]

Poche settimane dopo, il 7 agosto, 120 organizzazioni che rappresentano il gotha dei gruppi sionisti di destra hanno inviato una lettera al Consiglio di amministrazione di Facebook, invitandolo ad adottare pienamente la definizione dell’IHRA come “pietra angolare della politica di Facebook contro l’incitamento all’odio riguardo l’antisemitismo”.

Questa definizione, che è stata approvata o adottata in una qualche veste ufficiale da più di 30 Paesi, include 11 esempi di antisemitismo, molti dei quali implicano la critica di Israele. Questa è solo l’ultima manifestazione concreta di come ogni critica al governo israeliano e alla sua politica assuma ora lo stigma di essere antisemita.

Qui cè certo un pizzico di ironia. Storicamente, la lotta contro l’antisemitismo ha cercato di promuovere la parità di diritti e l’emancipazione degli ebrei. Tuttavia nella definizione dell’IHRA coloro che si pronunciano contro la sottomissione dei palestinesi sono definiti antisemiti.

Così, invece di favorire la lotta contro chi ambisce a opprimere, dominare e sterminare gli ebrei, questa nuova definizione di antisemitismo persegue coloro che desiderano prendere parte alla lotta per la liberazione dal dominio coloniale. In questo modo – come ha osservato Judith Butler [filosofa statunitense esperta in filosofia etica e politica, ndtr.] – “la passione per la giustizia [viene] ribattezzata antisemitismo”.

Tuttavia, le persone che stanno dietro questa campagna non sono interessate né all’ironia né alla giustizia, e certamente non alla giustizia nei riguardi dei palestinesi. Come ha sottolineato Lara Friedman, presidentessa della Foundation for Middle East Peace [organizzazione no profit americana che promuove una giusta soluzione al conflitto israelo-palestinese, ndtr.], che ha scritto per Jewish Currents [rivista trimestrale ebraica progressista e secolare e sito di notizie della sinistra ebraica, ndtr.] un articolo sulla campagna nei confronti di Facebook, la loro lettera al Consiglio di amministrazione [di Facebook] “rappresenta l’ultimo fronte nella battaglia per utilizzare la definizione dell’IHRA per escludere ufficialmente le critiche a Israele dal novero dei pareri accettabili”.

Facebook risponde

Monika Bickert, vicepresidente di Facebook in materia di contenuti, ha inviato una lettera ai firmatari, osservando che la società “attinge allo spirito – e al testo – dell’IHRA” e che, secondo la politica di Facebook, “l’essere ebreo e israeliano sono considerate caratteristiche che implicano un particolare riguardo’”.

Sheryl Sandberg, direttore generale di Facebook, ha persino scritto una nota personale a Milstein, che ha finanziato la campagna. Lo ha assicurato che la definizione dell’IHRA è stata “preziosa, sia per indirizzare il nostro approccio, sia come punto di avvio di schiette discussioni relative alla politica [di Facebook] con organizzazioni come la sua”.

Tuttavia la società sembra essere ancora riluttante ad adottare le parti della definizione che si riferiscono a Israele, e non è una coincidenza che nelle risposte di Facebook essa menzioni solo l’incitamento all’odio nei confronti degli ebrei.

Friedman, della Foundation for Middle East Peace, cita Peter Stern, alto funzionario di Facebook, che tre mesi prima del lancio della campagna ha affermato: “Noi non consentiamo alla gente di fare certi tipi di dichiarazioni di odio contro le persone. Se l’attenzione si concentra su un Paese, un’istituzione, una filosofia, allora consentiamo alle persone di esprimersi più liberamente, perché pensiamo che sia una parte importante del dialogo politico … e che ci sia una componente legittima importante in questo. Quindi permettiamo alle persone di criticare lo Stato di Israele, così come gli Stati Uniti e altri Paesi “.

La battaglia continua

Non sorprende che la nuova politica di Facebook sull’incitamento all’odio non abbia soddisfatto la lobby filo-israeliana, e nella lettera del 7 agosto parte della collera era rivolta contro Stern in quanto vi si sosteneva che egli avesse “ammesso che Facebook non abbraccia la piena adozione della definizione frutto del lavoro dell’IHRA in quanto questa sostiene che le moderne manifestazioni di antisemitismo riguardino Israele”.

In un tweet in risposta alla lettera di Sandberg, Milstein ha chiarito che la campagna continuerà: “Non vediamo l’ora di lavorare con @Facebook per garantire che #antisemitismo venga sradicato dalla piattaforma e che la definizione di antisemitismo dell’#IHRA sia pienamente adottata dalla vostra organizzazione.”

Dall’altro lato dello spettro politico, un gruppo di studiosi (me compreso) specializzati in antisemitismo, storia ebraica e dell’Olocausto e sul conflitto israelo-palestinese ha scritto a Facebook sui pericoli dell’adozione della definizione dell’IHRA.

Esortando Mark Zuckerberg a “combattere tutte le forme di incitamento all’odio su Facebook”, lo abbiamo invitato ad astenersi dall’ “adottare e applicare una definizione politicizzata di antisemitismo, che è stata utilizzata come arma per minare la libertà di parola, al fine di proteggere il governo israeliano e mettere a tacere le voci palestinesi e dei loro sostenitori”.

Se Facebook alla fine cedesse e includesse nei suoi algoritmi la definizione testuale dell’IHRA, la libertà di parola su Israele/Palestina, che è già sotto un’enorme pressione, riceverà un colpo letale. Spetta agli utenti di Facebook esprimere la loro preoccupazione notificando a Zuckerberg e Sandberg che essi abbandoneranno la piattaforma nel momento in cui il gigante dei media decidesse di adottare la definizione dell’IHRA. In definitiva siamo noi, gli utenti, ad avere in mano il potere.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.

Neve Gordon

Neve Gordon è borsista del Marie Curie [le azioni Marie Skłodowska-Curie sono una serie di importanti borse di ricerca create dall’Unione europea per sostenere la ricerca in Europa, ndtr.] e professore di diritto internazionale presso la Queen Mary University di Londra.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)