Ho stilato la definizione di antisemitismo. Gli ebrei di destra la stanno usando come un’arma

Kenneth Stern

venerdì 13 dicembre 2019 – The Guardian

La “bozza di definizione di antisemitismo” non è mai stata pensata per silenziare la libertà di parola, ma è ciò che ha ottenuto questa settimana il decreto di Trump

Quindici anni fa, in quanto esperto di antisemitismo della Commissione Ebraica Americana, sono stato il principale estensore di quella che allora venne denominata la “definizione provvisoria di antisemitismo” [La definizione è stata promossa dall’IHRA [International Holocaust Remembrance Alliance, Alleanza per il Ricordo dell’Olocausto] cui aderiscono 31 governi, ndtr.]. Essa venne ideata principalmente perché gli osservatori enti di monitoraggio o europei potessero sapere cosa includere e cosa escludere. In questo modo l’antisemitismo avrebbe potuto essere monitorato in modo migliore nel tempo e tra diversi Paesi.

Non è mai stata pensata come un modo per definire i discorsi d’odio nei campus, ma questo è ciò che ha ottenuto questa settimana il decreto di Donald Trump [L’11 dicembre 2019 Trump ha firmato un decreto che estende l’applicazione del titolo VI della legge sui diritti civili ai casi di antisemitismo., ndtr.].

Questo decreto è un attacco contro la libertà accademica e la libertà di parola e danneggerà non solo i sostenitori dei palestinesi, ma anche gli studenti e i docenti ebrei, e lo stesso mondo academico.

Il problema non è che il decreto protegge gli studenti ebrei in base al titolo VI della legge sui diritti civili [Il titolo VI previene la discriminazione nelle agenzie governative che ricevono fondi federali. Se un’agenzia viola il titolo VI, può perdere i finanziamenti federali, ndtr.]. Il ministero dell’Educazione ha chiarito nel 2010 che in base a queste disposizioni ebrei, sikh e musulmani (in quanto etnie) possono protestare contro intimidazioni, soprusi e discriminazioni. Ho appoggiato questo chiarimento ed ho in seguito presentato una denuncia, che ha dato esito positivo, per studenti ebrei di scuola superiore quando sono stati minacciati e persino percossi (era una giornata “picchia un ebreo”).

Ma a partire dal 2010 gruppi ebraici di destra hanno adottato la “definizione provvisoria”, che presenta alcuni esempi riguardanti Israele (come considerare gli ebrei collettivamente responsabili per le azioni di Israele e negare il diritto degli ebrei all’autodeterminazione), e hanno deciso di utilizzarla come arma in casi relativi al titolo VI. Mentre alcune denunce riguardavano azioni, per lo più hanno preso di mira chi ha fatto discorsi, testi di programmi di studio e proteste che secondo loro violerebbero la definizione. Avendo perso in tutte queste cause, a quel punto questi stessi gruppi hanno poi chiesto all’università della California di adottare la definizione e di renderla operativa nei suoi campus. Quando ciò è fallito, si sono rivolti al Congresso e, quando questi tentativi si sono arenati, al presidente.

Come hanno chiarito i sostenitori del decreto, ad esempio la Zionist Organization of America [Organizzazione Sionista d’America, ZOA, ndtr.], essi vedono la messa in pratica della definizione come “relativa a molte offese…frequentemente guidate da… Students for Justice in Palestine [Studenti per la Giustizia in Palestina], compresi…richiami all’‘Intifada’ [e] la demonizzazione di Israele.” Per quanto io sia in disaccordo con SJP, essi hanno il diritto di fare “appelli”. Questo si chiama libertà di parola.

Se si pensa che ciò non riguardi la repressione del discorso politico, si consideri un parallelo. Non c’è nessuna definizione del razzismo contro i neri che abbia forza di legge quando si prende in considerazione un caso relativo al titolo VI. Se se ne dovesse elaborare una, vi si includerebbe l’opposizione all’ affirmative action [discriminazioni positive, vasta gamma di politiche relative a favorire la presenza di minoranze discriminate in contesti in cui sono sottorappresentate, come ad esempio tra gli studenti universitari, assegnando quote alle persone svantaggiate per questa ragione, ndtr.].? L’opposizione alla rimozione di statue di confederati [in un contesto in cui sono tornati in evidenza i problemi razziali negli USA, sono state avviate campagne per eliminare i simboli che rappresentano la memoria dei confederali che, durante la Guerra Civile, difendevano la conservazione della schiavitù degli afroamericani negli Stati del sud, ndtr.]?

Jared Kushner, il genero e consigliere speciale del presidente, ha scritto sul New York Times che la definizione “stabilisce chiaramente [che] l’antisionismo è antisemitismo.” Sono un sionista. Ma nel campus di un college, in cui l’obiettivo è mettere a confronto le idee, gli antisionisti hanno il diritto di esprimersi liberamente. Sospetto che, se Kushner o io fossimo nati in una famiglia palestinese espulsa nel 1948, avremmo una visione diversa del sionismo e non necessariamente perché denigriamo gli ebrei o pensiamo che cospirino per danneggiare l’umanità. Inoltre c’è un dibattito all’interno della comunità ebraica sul fatto se essere ebreo comporti l’essere sionista. Non so se questa domanda possa essere risolta, ma tutti gli ebrei dovrebbero essere spaventati che il governo stia sostanzialmente definendo la risposta per noi.

Il vero obiettivo del decreto non è far pendere la bilancia a favore di qualche causa basata sul titolo VI, ma piuttosto avere un effetto dissuasivo. ZOA e altri gruppi andranno a caccia di discorsi politici con cui sono in disaccordo e minacceranno di sollevare azioni legali. Temo che ora gli amministratori delle università avranno una forte motivazione a reprimere, o almeno a condannare, discorsi politici per timore di contenziosi. Temo che docenti che potrebbero altrettanto facilmente insegnare la vita degli ebrei nella Polonia del XIX° secolo o l’Israele contemporaneo probabilmente sceglieranno il primo argomento in quanto più sicuro. Temo che gli studenti e i gruppi ebrei filo-israeliani, che giustamente si lamentano quando qualche conferenziere filo-israeliano viene interrotto, verranno accusati di utilizzare strumenti statali per reprimere gli oppositori politici.

L’antisemitismo è un problema reale, ma troppo spesso persone sia di destra che di sinistra chiudono un occhio se una persona ha la “giusta” opinione su Israele. Storicamente l’antisemitismo prospera quando i leader alimentano la facoltà dell’uomo di definire un “noi” e un “loro” e quando l’integrità delle istituzioni e le regole democratiche (quali la libertà di parola) sono sotto attacco.

Invece di propugnare la dissuasione di espressioni che gli ebrei filoisraeliani considerano fastidiose o criticare in modo molto moderato (o non criticare affatto) un presidente che utilizza ripetutamente luoghi comuni antisemiti, perché questi rappresentanti ufficiali delle organizzazioni ebraiche che erano presenti quando Trump ha firmato il decreto non gli hanno ricordato che lo scorso anno, quando ha demonizzato gli immigrati definendoli “invasori”, Robert Bowers è entrato in una sinagoga di Pittsburgh perché credeva che gli ebrei stessero dietro questa “invasione” di gente di colore come parte di un piano per danneggiare i bianchi, ed ha ucciso 11 di noi?

Kenneth Stern è il direttore del Bard Center for the Study of Hate [Centro Bard per lo Studio dell’Odio] ed è l’autore di The Conflict Over the Conflict: The Israel/Palestine Campus Debate [Il conflitto sul conflitto: il dibattito su Israele/Palestina nei campus], di imminente pubblicazione.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




L’accordo antisemita del secolo

Joseph Massad

2 gennaio 2020 – Middle East Eye

Trump sta cercando di equiparare ogni difesa del popolo palestinese all’ antisemitismo, ma l’ondata che si oppone al colonialismo sionista è cresciuta nonostante tali politiche repressive

Fin dalla sua nascita, alla fine del XIX° secolo, il movimento sionista ha cercato di trasformare la natura dell’identità ebraica europea e i rapporti tra gli ebrei e il moderno antisemitismo.

I due movimenti condividevano la concezione secondo la quale non sono razzismo e sciovinismo che provocano l’antisemitismo, ma hanno vergognosamente affermato che esso è causato dalla presenza stessa degli ebrei nelle società dei gentili [non ebrei, ndtr.] – una posizione su cui il fondatore del sionismo, Theodor Herzl, ha insistito nei suoi scritti.

Gli antisemiti sono stati divisi fino agli anni ’20 tra quegli europei imperialisti che concordavano sul fatto che il sionismo avrebbe risolto il loro “problema” ebraico esportando gli ebrei in Palestina, e i nazisti, che erano decisi a sterminarli del tutto.

Oppressione antisemita

A causa della massiccia opposizione degli ebrei europei al sionismo, che rimase costante per mezzo secolo finché si indebolì considerevolmente dopo l’Olocausto, per decenni la trasformazione che il sionismo aveva perseguito non ebbe successo. Ma a partire dalla fine degli anni ’40 aumentò di intensità a ogni decennio, finché dagli anni ’70 in poi diventò egemone.

Mentre l’identità ebraica nell’Europa occidentale e orientale prima della trasformazione sionista era quella di una minoranza che, in quanto vittima dell’ oppressione antisemita europea bianca e cristiana, lottò contro la discriminazione e la persecuzione, il sionismo insistette che tale lotta non era la risposta corretta all’antisemitismo.

Sosteneva invece che l’unico modo per porre fine all’oppressione degli ebrei da parte dell’Europa cristiana fosse di unirsi ai cristiani europei nelle loro avventure coloniali fuori dall’Europa e fondare una colonia di insediamento ebraica in Asia a spese della popolazione nativa.

Con la sconfitta dei nazisti, nel 1948 gli alleati imperialisti antisemiti europei e statunitensi del sionismo appoggiarono la fondazione della colonia di insediamento sionista.

Il movimento sionista ha sostenuto che il colonialismo, invece dell’ebraismo e dell’ ebraicità, avrebbe definito l’identità ebraica. Lottò contro tutti gli altri movimenti ebraici che rifiutavano la sua soluzione colonialista, compresi il Bund, i socialisti e comunisti ebrei, gli ebrei liberali assimilazionisti, i sostenitori dell’yiddish [lingua parlata dagli ebrei dell’Europa centro-orientale, un misto di ebraico, lingue slave e tedesco, ndtr.] e non ultimi l’ebraismo ortodosso e riformato, i cui principali rabbini si opposero risolutamente al sionismo.

Ebraismo, sostenevano i sionisti, dovrebbe ora significare colonizzare la terra palestinese. Invece di lottare contro i loro nemici antisemiti che volevano espellerli dalle società dei gentili, improvvisamente agli ebrei venne detto che gli antisemiti erano i loro alleati (come disse Herzl: “Gli antisemiti diventeranno i nostri amici più affidabili, i Paesi antisemiti i nostri alleati” e “i governi di ogni Paese flagellato dall’antisemitismo saranno fortemente interessati ad aiutarci ad ottenere la sovranità che vogliamo”).

Notevole sforzo propagandistico

La nuova definizione che il sionismo mise in atto può essere riassunta con due formule complementari: l’ebraismo è sionismo ed è colonialismo; e l’anticolonialismo è antisionismo ed è antisemitismo. Un grande sforzo propagandistico venne prodotto per difendere il colonialismo sionista e la sua oppressione dei palestinesi e il furto delle loro terre, come intrinseca all’ebraicità e all’ ebraismo e per sostenere che opporsi a questa presunta parte intrinseca dell’ebraicità e dell’ ebraismo non era niente meno che un “nuovo antisemitismo”.

Al contrario, appoggiare il furto delle terre palestinesi da parte dei sionisti e degli israeliani e l’oppressione dei palestinesi diventò la forma più alta di filosemitismo, come esemplificato dalle instancabili manifestazioni di appoggio ad Israele e alle sue politiche degli attuali leader statunitensi ed europei.

Antisemiti e imperialisti europei appoggiarono pienamente questa interpretazione dell’ebraismo e l’adottarono come modo per trasformare il proprio antisemitismo in filosemitismo. La lista si estende dai politici britannici antisemiti che appoggiarono i tentativi sionisti fin dai primi anni del XX secolo – Joseph Chamberlain, Arthur Balfour e Winston Churchill – fino al presidente Usa Donald Trump.

Che per due millenni in Europa ebrei, ebraismo ed ebraicità abbiano avuto una concezione totalmente diversa di se stessi, che non includeva la colonizzazione della terra di un altro popolo e la sua oppressione, sembra irrilevante per la riscrittura sionista e antisemita della storia e dell’identità ebraiche.

Dagli inizi degli anni ’70 in avanti l’uso come arma dell’accusa di antisemitismo da parte di Israele contro l’anticolonialismo è all’ordine del giorno.

Durante quel decennio, dopo le conquiste territoriali di Israele nel 1967 [con la guerra dei Sei Giorni, ndtr.], il sionismo raggiunse il suo massimo successo nel convincere i sostenitori ebrei e gentili della nuova identità colonialista che aveva architettato per gli ebrei – anche se la maggioranza della popolazione ebraica del pianeta si rifiutò sistematicamente di diventare colonialista in Israele.

Attaccare il BDS

Negli ultimi anni, con il crescere del consistente e considerevole appoggio per i palestinesi tra ebrei e gentili in tutto il mondo – soprattutto attraverso il movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) –, Israele e i suoi alleati occidentali hanno tentato di combattere l’ondata crescente formalizzando e rendendo giuridicamente vincolante la definizione antisemita e sionista dell’ebraicità.

La nuova definizione, che equipara gli ebrei ai sionisti e ai colonialisti, è stata diffusa dall’ International Holocaust Remembrance Alliance [Alleanza Internazionale per il ricordo dell’Olocausto, organizzazione intergovernativa a cui aderiscono 31 Paesi, ndtr.] (IHRA). Nel 2016 l’associazione ha adottato una bozza di definizione di antisemitismo che include “manifestazioni…che prendono di mira lo Stato di Israele, concepito come una comunità ebraica.”

Nello scorso anno abbiamo assistito a un grande progresso di questo consenso antisemita, che intende eliminare le identità ebraiche che non corrispondono al sionismo. Lo scorso dicembre l’UE, come Francia e Germania, ha adottato la definizione dell’IHRA; più di recente il primo ministro britannico Boris Johnson e Trump hanno fatto passi per criminalizzare l’appoggio al BDS, soprattutto nelle università.

La situazione è complicata dal più recente insorgere del suprematismo bianco antisemita, che prende di mira gli ebrei negli USA e in Europa, ma al contempo si allea con il sionismo e Israele (questo è il caso di Austria, Polonia, Ucraina, Ungheria, Germania e USA).

L’attuale strategia di Israele è confondere l’antisemitismo dei suprematisti bianchi con l’antisionismo e l’anticolonialismo, sostenendo che quelli che odiano gli ebrei su basi razziali e religiose e quelli che si oppongono al colonialismo e al razzismo sionisti sono la stessa cosa.

Quindi non è un caso che i sostenitori antisemiti di Israele negli USA e in Europa siano anche attualmente i maggiori islamofobi. Le stesse forze europee antisemite che odiavano gli ebrei prima del sionismo, e li amano dopo il sionismo, sono quelle che oggi odiano i musulmani (descritti nella loro maggioranza come antisionisti).

L’accusa di antisemitismo contro i musulmani è già diventata una delle caratteristiche principali, se non una giustificazione, dell’islamofobia in Europa e negli USA.

Liquidare la lotta dei palestinesi

La concezione di Trump secondo cui gli ebrei amano il denaro, che il Paese degli ebrei americani sia Israele e che Benjamin Netanyahu sia “il vostro primo ministro”, è la base del cosiddetto “accordo del secolo” per liquidare la lotta anticolonialista dei palestinesi e imporre la definizione antisemita che coinvolge tutti gli ebrei nel colonialismo sionista.

Il fatto che abbia nominato per occuparsi dell’accordo tre funzionari ebrei sionisti americani, che non hanno alcuna legittimità per rappresentare gli ebrei americani, tra cui suo genero, Jared Kushner; il suo inviato, Jason Greenblatt; il suo ambasciatore, David Friedman, è destinato a convincere ebrei e gentili che ogni ebreo ora accetti e sostenga l’equiparazione antisemita e sionista tra ebrei, sionisti e colonialisti e che ogni opposizione contro questa equiparazione sarà d’ora in avanti legalmente considerata antisemita.

L’“accordo del secolo” è essenzialmente un patto per imporre questa definizione antisemita al mondo come l’essenza del filosemitismo, suggerendo che ogni difesa del popolo palestinese e dei suoi diritti è l’essenza dell’antisemitismo.

Tuttavia l’ondata che oggi si oppone al sionismo, al razzismo e al colonialismo israeliani è diventata troppo grande per essere contenuta da queste politiche repressive e antisemite.

Il fatto che oggi così tanti ebrei e non ebrei in tutto il mondo, soprattutto nel movimento BDS e in movimenti come “Jewish Voice for Peace” [organizzazione di ebrei americani antisionisti, ndtr.], insistano che gli ebrei non dovrebbero essere definiti sionisti, per non dire colonialisti, ha efficacemente contestato il nuovo consenso antisemita per il coinvolgimento di tutti gli ebrei nelle politiche colonialiste di Israele.

Le recenti leggi in Europa e negli USA, che coinvolgono tutti gli ebrei nei crimini israeliani, sono la prova più evidente di questo fallimento.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Sostenere la Palestina: come combattere l’uso improprio di “anti-semitismo” da parte di Israele

Ramzy Baroud

1 gennaio 2020 – Middle East Monitor

In un discorso tenuto nel nord dell’Inghilterra nel marzo 2018, ho proposto che la migliore risposta alle false accuse di antisemitismo, che spesso vengono scagliate contro comunità e intellettuali pro-palestinesi di tutto il mondo, fosse quella di avvicinarsi ancora di più alla narrazione palestinese.

In effetti, la mia proposta non voleva essere in alcun modo una risposta dettata dal sentimento.

“La rivendicazione della narrazione palestinese” è stato negli ultimi anni il filo conduttore nella maggior parte dei miei discorsi pubblici e dei miei scritti. Tutti i miei libri e gran parte dei miei studi e delle ricerche accademiche si sono fortemente concentrati sulle posizioni del popolo palestinese – i suoi diritti, la storia, la cultura e le aspirazioni politiche – al centro di ogni vera comprensione della lotta palestinese contro il colonialismo e l’apartheid israeliani.

È vero, non c’era nulla di particolarmente originale nel mio discorso nell’Inghilterra settentrionale. Avevo già tenuto una versione di quel discorso in altre parti del Regno Unito, in Europa e altrove. Ma ciò che ha reso memorabile quell’evento è una conversazione che ho avuto con un appassionato attivista, che si è presentato come consigliere dell’ufficio del capo del Partito laburista britannico, Jeremy Corbyn.

Sebbene l’attivista fosse d’accordo con me sulla necessità di sostenere la narrazione palestinese, ha insistito sul fatto che il modo migliore per Corbyn di allontanare le accuse antisemite, che hanno perseguitato la sua leadership fin dal primo giorno, è che il partito Laburista emettesse una condanna radicale e decisiva dell’antisemitismo, in modo che Corbyn potesse mettere a tacere i suoi critici e fosse finalmente in grado di concentrarsi sul tema impellente dei diritti dei palestinesi.

Io ero dubbioso. Ho spiegato all’acceso attivista molto sicuro di sé che la manipolazione sionista e l’uso improprio dell’antisemitismo sono dei fenomeni che hanno preceduto Corbyn di molti decenni e che saranno sempre presenti finché il governo israeliano avrà la necessità di distogliere l’attenzione dai suoi crimini di guerra contro i palestinesi e di reprimere la solidarietà filo-palestinese in tutto il mondo.

Gli ho spiegato che, mentre il razzismo anti-ebraico è un fenomeno reale che deve essere affrontato, l’ “antisemitismo”, come definito da Israele e dai suoi alleati sionisti, non è una questione morale che debba essere risolta con un comunicato stampa, non importa quanto incisivo. Piuttosto è una cortina di fumo, con l’obiettivo finale di distrarre dalla vera questione, che è il crimine dell’ occupazione militare, del razzismo e dell’apartheid in Palestina.

In altre parole, nessuna mole di parole, discussioni o autodifese può verosimilmente convincere i sionisti che le richieste della fine dell’occupazione militare israeliana in Palestina o dello smantellamento del regime di apartheid israeliano o qualsiasi critica aperta alle politiche del governo della destra israeliana non siano, in effetti, atti di antisemitismo.

Ahimè, l’attivista insisteva sul fatto che una solida dichiarazione che chiarisse la posizione del partito Laburista sull’antisemitismo avrebbe finalmente assolto Corbyn e protetto la sua eredità contro la macchia immeritata.

Il resto è storia. Il partito Laburista è andato a caccia delle streghe per individuare i “veri” antisemiti tra i suoi membri. L’ epurazione senza precedenti ha colpito molte brave persone che hanno dedicato anni al servizio delle loro comunità e alla difesa dei diritti umani in Palestina e altrove.

La dichiarazione per porre fine a tutte le dichiarazioni è stata seguita da molte altre. Numerosi articoli sono stati scritti e discussioni sono state fatte in difesa di Corbyn – senza risultati. Solo pochi giorni prima che i laburisti perdessero le elezioni generali a dicembre il Simon Wiesenthal Centre [Centro Simon Wiestenthal, ONG con sede a Los Angeles intitolata al famoso cacciatore di nazisti. Fondata nel 1977 per combattere l’antisemitismo, si propone di difendere i diritti umani “affrontando l’antisemitismo, l’odio e il terrorismo, promuovendo i diritti umani e la dignità, stando a fianco di Israele, difendendo gli ebrei in tutto il mondo e insegnando le lezioni dell’Olocausto per le future generazioni”, ndtr.] ha proclamato Corbyn, uno dei leader più sinceri e ben intenzionati della Gran Bretagna nell’era contemporanea, il “maggiore antisemita del 2019″. Questo a proposito dell’impegno dei sionisti.

Non importa se il partito di Corbyn abbia perso le elezioni in parte a causa delle diffamazioni sioniste e accuse infondate di antisemitismo. Ciò che conta davvero per me come intellettuale palestinese che ha sperato che la leadership di Corbyn potesse costituire un cambiamento di paradigma riguardo l’atteggiamento del paese nei confronti di Israele e Palestina, è il fatto che i sionisti siano effettivamente riusciti a mantenere il dibattito focalizzato sulle priorità israeliane e sulle sensibilità sioniste. Mi rattrista il fatto che, mentre la Palestina avrebbe dovuto occupare il centro della scena, almeno durante gli anni della leadership di Corbyn, sia rimasta in realtà marginale, denotando ancora una volta come la solidarietà con la Palestina sia diventata un ostacolo politico per chiunque speri di vincere un’elezione – nel Regno Unito e ovunque in Occidente.

Trovo sconcertante, anzi inquietante, che Israele, direttamente o meno, sia in grado di determinare la natura di qualsiasi discussione sulla Palestina in Occidente, non solo all’interno delle tipiche piattaforme tradizionali, ma anche dei circoli filo-palestinesi. Ad esempio, ho ascoltato ripetutamente attivisti che si chiedevano se la soluzione dello Stato unico fosse mai possibile, per il fatto che “Israele semplicemente non l’accetterebbe mai”.

Sfido spesso il mio pubblico a fondare la loro solidarietà con la Palestina sull’ amore, sul sostegno e sull’ammirazione reali per il popolo palestinese, per la sua storia, per la sua lotta anti-colonialista e per le migliaia di eroi ed eroine che hanno sacrificato la propria vita perché il loro popolo possa vivere in libertà.

Quanti di noi sanno fare i nomi dei migliori poeti, artisti, femministe, calciatori, cantanti e storici della Palestina? Che reale familiarità possediamo con la geografia palestinese, con le complessità della sua politica e con la ricchezza della sua cultura?

Anche all’interno di piattaforme che sono solidali con la lotta palestinese, c’è una paura intrinseca che tale simpatia possa essere fraintesa come antisemitismo, fino al punto che le voci palestinesi vengono spesso trascurate, se non completamente sostituite da voci ebraiche antisioniste. Vedo che ciò accade abbastanza spesso anche nei media mediorientali che si presume sostengano la causa palestinese.

Questo fenomeno è in gran parte collegato alla Palestina e solo alla Palestina. Mentre la lotta anti-apartheid in Sudafrica e la lotta per i diritti civili negli Stati Uniti – come nel caso di molti autentici movimenti di liberazione anti-coloniale nel mondo – hanno utilizzato strategicamente l’intersezionalità per collegarsi con altri gruppi, a livello locale, nazionale o internazionale, i movimenti in sé si reggevano su voci nere come realmente rappresentative delle lotte dei loro popoli.

Storicamente i palestinesi non sono sempre stati emarginati all’interno del loro stesso discorso. Una volta l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) [Fondata a Gerusalemme nel 1964 con l’obiettivo di liberare la Palestina, nel 1993 ha riconosciuto lo Stato di Israele. Attualmente gode dello status permanente di “osservatore” presso l’Assemblea generale dell’ONU, ndtr.] nonostante le sue numerose carenze, indicava una posizione politica unitaria palestinese che serviva da cartina di tornasole per qualsiasi individuo, gruppo o governo in merito alla sua posizione sui diritti e sulla libertà dei palestinesi.

Gli accordi di Oslo hanno posto fine a tutto ciò – hanno frammentato il discorso palestinese così come hanno diviso il popolo palestinese. Da allora, il messaggio proveniente dalla Palestina è diventato confuso, frazionato e spesso autolesionistico. Il movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS) ha fatto un lavoro straordinario nel portare un po’ di chiarezza nel tentativo di articolare un discorso palestinese universale.

Tuttavia, il BDS deve ancora proporre una strategia politica centralizzata che venga trasmessa attraverso un organo palestinese eletto democraticamente. Finché l’OLP persisterà nella sua inerzia e con l’assenza di un’alternativa veramente democratica, è probabile che la crisi del discorso politico palestinese continui.

Allo stesso tempo, ai sionisti non deve essere permesso di determinare la natura della nostra solidarietà con il popolo palestinese. Mentre la vera solidarietà palestinese richiede il completo rifiuto di tutte le forme di razzismo, incluso l’antisemitismo, il campo filoisraeliano deve essere completamente escluso da qualsiasi conversazione relativa ai valori e alla moralità di ciò che significa essere “pro-Palestina”.

L’ essere anti-sionisti non è sempre lo stesso dell’essere pro-Palestina, in quanto il primo [atteggiamento] deriva dal rifiuto delle idee razziste e sioniste e il secondo implica una reale connessione e un legame con la Palestina e il suo popolo.

Essere pro-Palestina significa anche rispettare la centralità della voce palestinese, perché senza la narrazione palestinese non può esserci solidarietà reale e significativa, e anche perché, alla fine, saranno palestinesi stessi a liberarsi.

“Non sono un liberatore”, ha detto il leggendario rivoluzionario sudamericano Ernesto Che Guevara. “I liberatori non esistono. Le persone si liberano da sole”.

Perché i palestinesi “si liberino” dovranno rivendicare la loro centralità nella lotta per i diritti dei palestinesi ovunque, per esprimere chiaramente il proprio discorso e per essere i fautori della propria libertà. Nient’altro sarà sufficiente.

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Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




L’antisemitismo è stato utilizzato per calunniare la sinistra, mentre la destra prende di mira gli ebrei

Jonathan Cook

30 dicembre 2019 – Middle East Eye

Israele potrebbe uscire rafforzato usando politicamente l’antisemitismo, ma non senza gravi conseguenze per gli ebrei dell’Occidente.

L’anno è finito con due terribili battute d’arresto per quanti chiedono giustizia per il popolo palestinese. Una è stata la sconfitta nelle elezioni politiche britanniche di Jeremy Corbyn – il leader europeo più solidale con i palestinesi. Ha subito le conseguenze di quattro anni di continui insulti da parte dei media, che hanno ridefinito il suo attivismo come prova di antisemitismo.

L’antisemitismo è una calunnia estremamente difficile da controbattere

Il crollo elettorale del partito Laburista non è direttamente attribuibile alle calunnie di antisemitismo. Riguarda piuttosto principalmente l’incertezza del partito nel formulare una risposta convincente alla Brexit. Ma le accuse di antisemitismo sono riuscite ad alimentare profonde divisioni all’interno del partito di Corbyn, facendolo sembrare debole e, per la prima volta, ambiguo. Ha scorrettamente seminato dubbi persino tra i suoi sostenitori: se non è stato in grado di risolvere quel problema nel suo partito, come avrebbe potuto guidare il Paese?

Qualunque futuro leader politico, in Gran Bretagna o altrove, che prenda in considerazione una posizione filo-palestinese – o un programma economico radicale in contrasto con i principali mezzi di comunicazione – ne dovrà tener conto. L’antisemitismo è una calunnia estremamente difficile da controbattere.

Definire l’antisemitismo

La seconda sconfitta è stata il nuovo decreto esecutivo emanato dal presidente USA Donald Trump, che ha accolto una nuova e controversa definizione di antisemitismo, che intende assimilare le critiche a Israele, l’attivismo filopalestinese e la difesa delle leggi internazionali all’odio nei confronti degli ebrei.

La lezione su dove ciò intenda portare è stata evidenziata dall’esperienza di Corbyn. Prima il suo partito è stato obbligato ad accettare la stessa definizione formulata dalla International Holocaust Remembrance Alliance [Alleanza Internazionale per il Ricordo dell’Olocausto, organizzazione internazionale a cui aderisce una trentina di Paesi, ndtr.] (IHRA), nel tentativo di placare le critiche. Invece ha scoperto che questo ha fornito ancora più armi per attaccarlo.

Il decreto esecutivo di Trump intende bloccare il dibattito nei campus, uno dei pochi spazi pubblici rimasti negli USA in cui le voci dei palestinesi possono ancora farsi sentire. Ciò viola in modo palese il Primo Emendamento, che protegge il diritto di parola. Il governo federale ora si è schierato con i 27 Stati in cui i lobbysti di Israele sono riusciti a far passare leggi che penalizzano quanti sostengono i diritti dei palestinesi.

Tali iniziative sono state replicate altrove. Questo mese il parlamento francese ha dichiarato che l’antisionismo – o l’opposizione a Israele come Stato ebraico che nega uguali diritti ai palestinesi – equivale all’antisemitismo. 

E ancor prima il parlamento tedesco aveva approvato una risoluzione che dichiara antisemita l’appoggio al crescente movimento internazionale che sollecita il boicottaggio di Israele, sul modello delle iniziative che hanno posto fine all’apartheid in Sud Africa. I parlamentari tedeschi hanno persino equiparato gli slogan del movimento per il boicottaggio alla propaganda nazista.

All’orizzonte ci sono molte altre limitazioni alle libertà fondamentali, tutte in appoggio a Israele.

Far tacere le critiche

Il primo ministro inglese, il conservatore Boris Johnson, ha promesso di impedire alle autorità locali di appoggiare il boicottaggio di Israele, mentre John Mann, suo cosiddetto zar dell’antisemitismo, sta minacciando di far tacere i media in rete che criticano Israele, di nuovo con il pretesto dell’antisemitismo. Sono gli stessi media che avevano appoggiato Corbyn, l’avversario politico di Johnson.

Ironicamente tutte queste leggi, decreti e risoluzioni, emanate apparentemente in nome dei diritti umani, stanno soffocando il lavoro concreto delle organizzazioni per i diritti umani. In assenza di un processo di pace, devono scontrarsi con il carattere ideologico di Israele in maniera inedita.

Mentre Trump, Johnson ed altri erano impegnati a ridefinire l’antisemitismo per aiutare Israele, questo mese Human Rights Watch (HRW) ha reso pubblico un rapporto che rivela che Israele – lo Stato che sostiene di rappresentare tutti gli ebrei – per più di 50 anni ha utilizzato gli ordini militari per violare i più basilari diritti dei palestinesi. Nella Cisgiordania occupata, ai palestinesi vengono negate “libertà basilari come sventolare bandiere, protestare pacificamente contro l’occupazione, unirsi ai principali movimenti politici e diffondere materiale politico.”

Al contempo la Commissione ONU per l’Eliminazione delle Discriminazioni Razziali è andata anche oltre, condannando Israele per i suoi soprusi verso tutti i palestinesi sottoposti al suo potere, senza distinguere tra quelli sotto occupazione e quelli con una cittadinanza di serie B all’interno di Israele.

Il gruppo di esperti giuridici sui diritti ha di fatto riconosciuto che le violazioni di Israele a danno dei palestinesi sono insite nell’ideologia sionista dello Stato, e non sono una caratteristica dell’occupazione. È stato un modo tutt’altro che velato di dichiarare che uno Stato che privilegia strutturalmente gli ebrei e opprime sistematicamente i palestinesi ha un “comportamento razzista” – una formulazione ora ridicolmente definita dall’IHRA come prova di antisemitismo.

Clamoroso fallimento

Nell’ultimo rapporto di HRW la direttrice per il Medio Oriente Sarah Elah Whitson ha osservato: “I tentativi di Israele di giustificare la privazione dei diritti civili fondamentali per i palestinesi per più di 50 anni in base delle esigenze di un’eterna occupazione militare ormai non funzionano più.”

Ma è proprio quello che la nuova ondata di leggi e di decreti è destinata a garantire. Mettendo a tacere le critiche contro le violazioni israeliane contro i diritti dei palestinesi con il pretesto che tali critiche siano antisemitismo mascherato, alcuni governi occidentali possono sostenere che queste violazioni non stanno avvenendo.

Di fatto ci sono due raggruppamenti politici molto diversi che sostengono l’attuale repressione di ogni solidarietà verso i palestinesi – e per ragioni molto diverse. Nessuno dei due si preoccupa della protezione degli ebrei. Una fazione include i partiti di centro dell’Occidente che avrebbero dovuto controllare per un quarto di secolo il processo di pace in Medio Oriente. Essi vogliono impedire ogni critica che osi considerarli responsabili del loro clamoroso fallimento – un fallimento ancora più evidente ora che Israele non è più disposto a sostenere di essere interessato alla pace e cerca invece di annettere il territorio palestinese.

Non è fallita, come era destinata a essere, solo la versione della pace molto limitata e focalizzata su Israele dei centristi, ma si è ottenuto l’esatto contrario dell’obiettivo dichiarato. Israele ha sfruttato la passività e l’indulgenza occidentali per rafforzare ed estendere l’occupazione, così come per intensificare le leggi razziste all’interno di Israele.

Ciò si è materializzato nel 2018 con l’approvazione da parte del governo del primo ministro Benjamin Netanyahu della legge sullo Stato-Nazione, che dichiara non solo lo Stato di Israele, ma un’indefinitamente estesa “Terra di Israele” come la patria storica di tutto il popolo ebraico.

Smascherare l’ipocrisia

Ora, i centristi sono determinati a schiacciare quanti desiderano evidenziare la loro ipocrisia e la loro costante alleanza con uno Stato apertamente razzista e risolutamente contrario all’autodeterminazione del popolo palestinese.

Quindi hanno utilizzato l’antisemitismo come arma con tale successo che la scorsa settimana studiosi dei diritti umani hanno accusato la Corte Penale Internazionale dell’Aia – che dovrebbe difendere le leggi internazionali – di tirarla per le lunghe indefinitamente per evitare di aprire un’inchiesta equa sui crimini di guerra di Israele. I procuratori della CPI sembrano timorosi di finire loro stessi sotto accusa.

L’altra componente dietro la repressione delle critiche contro Israele sono le rinascenti destra ed estrema destra razziste, che hanno sempre più successo nello sconfiggere i centristi screditati nella politica di USA ed Europa.

Amano Israele perché offre un alibi al loro nazionalismo bianco. Difendendo Israele dalle critiche – definendole antisemitismo – cercano una patina di moralità per il proprio suprematismo bianco.

Se gli ebrei sostengono legittimamente di essere il popolo eletto in Israele, perché i bianchi non possono affermare altrettanto di se stessi negli USA e in Europa? Se Israele tratta i palestinesi non come nativi ma come immigrati intrusi in terra ebraica, perché Trump o Johnson non possono allo stesso modo definire i non bianchi come infiltrati ed usurpatori di terra bianca?

Più la destra esalta il nazionalismo bianco, il fervore contro gli immigrati, più è in grado di minare le soluzioni politiche offerte dai suoi oppositori di centro e di sinistra.

Avventato errore di valutazione

Cosa ancora più sorprendente, buona parte dei dirigenti ebrei negli USA e in Europa ha attivamente aiutato la destra in questo progetto politico, tanto sono accecati dal loro impegno nei confronti di Israele come Stato ebraico.

Quindi, dove va a parare questa politica dell’Occidente? I centristi hanno fatto uscire dalla lampada il genio dell’antisemitismo per danneggiare la sinistra, ma è la destra populista che ora si attiva per perfezionarne l’uso come arma e promuovere i propri fini. Alimenteranno paura e odio contro le minoranze, compresi palestinesi, arabi e musulmani, tutto a beneficio dell’ideologia di Israele.

Tuttavia anche gli ebrei dell’Occidente ne pagheranno il prezzo. I discorsi di Trump hanno ripetutamente imputato agli ebrei americani motivazioni malvage, avidità e doppia lealtà. Tuttavia, di fronte al tenace sostegno di Trump nei confronti di Israele, negli USA i dirigenti ebrei conservatori hanno preferito rimanere quasi totalmente in silenzio riguardo al fatto che il presidente alimenti sentimenti nativisti.

Si tratta di un avventato errore di valutazione. La finta battaglia per combattere un presunto antisemitismo di sinistra ha già distratto l’attenzione e le energie dalla lotta contro la concretissima rinascita dell’antisemitismo di destra.

Israele potrebbe uscire rafforzato usando a scopo politico l’antisemitismo, ma in conseguenza di ciò gli ebrei dell’Occidente si potrebbero trovare esposti all’odio più che in qualunque altro periodo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Le opinioni espresse in questo articolo impegnano solo il suo autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Jonathan Cook è un giornalista britannico residente dal 2001 a Nazareth. Ha scritto tre libri sul conflitto israelo-palestinese. Ha vinto il Martha Gellhorn Special Prize for Journalism [il premio speciale Martha Gellhorn per il giornalismo].

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Perché parlamentari esteri stanno favorendo gli attacchi israeliani contro i diritti dei palestinesi?

Amjad Iraqi

13 dicembre 2019 – +972

Due risoluzioni approvate dal parlamento francese e dal Congresso USA la scorsa settimana hanno preoccupanti implicazioni per i palestinesi e per i loro sostenitori.

Un decreto firmato mercoledì dal presidente USA Donald Trump, che concretamente prevede che l’attivismo palestinese venga preso di mira in quanto discriminatorio nei confronti degli ebrei in base al Civil Rights Act [legge sui diritti civili, emanata nel 1964 per porre fine alle discriminazioni razziali contro gli afro-americani, ndtr.], ha messo in allarme molti osservatori per la sua potenziale minaccia contro la libertà di parola riguardo ad Israele. Però il decreto è solo l’ultimo sviluppo legislativo di questo mese che mette in pericolo i diritti dei palestinesi e dei loro sostenitori all’estero.

Il 3 dicembre l’Assemblea Nazionale, la Camera bassa del parlamento francese, ha stabilito di adottare (con 154 voti contro 72) la bozza di definizione di antisemitismo formulata dalla International Holocaust Remembrance Alliance [Alleanza Internazionale per il Ricordo dell’Olocausto, organizzazione intergovernativa il cui scopo è la conservazione della memoria dell’Olocausto, ndtr.] (IHRA). Tre giorni dopo la Camera dei Rappresentanti USA ha approvato (con 226 voti contro 188 e due astensioni) la legge parlamentare 326, una norma che obbliga a promuovere la soluzione dei due Stati e a rivitalizzare gli sforzi di pace promossi in precedenza dagli USA nella regione.

Le due risoluzioni, che di primo acchito non sembrano in rapporto tra loro, hanno in apparenza buone intenzioni. Dato il vertiginoso aumento di attacchi antisemiti in Francia e nel resto d’Europa, l’Assemblea Nazionale si è rivolta alla definizione dell’IHRA per contribuire ad istituzionalizzare la sua lotta contro il razzismo nei confronti degli ebrei. A Washington rappresentanti del Congresso hanno sperato di controbilanciare l’aperto sostegno dell’amministrazione Trump nei confronti delle politiche israeliane di colonizzazione puntando di nuovo a quella che vedono come una soluzione più equa del conflitto.

Tuttavia entrambe le leggi provocano serie preoccupazioni. Dalla sua emanazione del 2016 la definizione dell’IHRA è stata pesantemente messa in discussione perché include varie critiche nei confronti di Israele come esempi di azioni antisemite (6 su 11 esempi riguardano direttamente Israele). Nella sua risoluzione l’Assemblea Nazionale sottolinea persino che “criticare la semplice esistenza di Israele come collettivo di cittadini ebrei equivale a odio nei confronti della comunità ebraica nel suo complesso… tali abusi rendono sempre più l’antisionismo ‘una delle forme contemporanee di antisemitismo.’” Politici israeliani, compreso il ministro degli Affari Strategici Gilad Erdan e il capo di “Blu e Bianco” [coalizione di partiti di centro che ha vinto le ultime elezioni israeliane, ndtr.] Benny Gantz, hanno lodato la decisione.

La risoluzione insiste sul fatto che questa posizione non inibisce il diritto di criticare le politiche del governo israeliano, ma è esattamente quello che fa. Dipinge lo Stato di Israele e la diaspora ebraica come un tutt’uno, deducendone che ogni critica a quest’ultimo deve essere vista in primo luogo con sospetto, se non con ostilità. Vede il sionismo come l’unico legittimo contesto per l’esercizio dell’autodeterminazione ebraica, mentre ignora le opinioni antisioniste dissenzienti e gli israeliani e gli ebrei non sionisti in tutto il mondo. E respinge il diritto dei palestinesi – a cominciare da quelli che sono cittadini di Israele – di chiedere perché lo Stato dovrebbe privilegiare i cittadini ebrei invece di sancire uguali diritti per tutti.

Nel contempo la legge 326 riflette la classica tendenziosità della politica USA nei confronti della regione. Per esempio, una delle affermazioni del suo preambolo sostiene che “per più di 20 anni presidenti degli Stati Uniti di entrambi i partiti e primi ministri israeliani hanno sostenuto il raggiungimento della soluzione dei Due Stati” (sottolineatura dell’autore). Il Congresso ignora volutamente non solo che Netanyahu, il leader di Israele nello scorso decennio, ha fatto tutto il possibile per ostacolare uno Stato palestinese, ma non si preoccupa neppure di menzionare l’Autorità Nazionale Palestinese – l’unico attore che ha effettivamente lavorato, benché incautamente e inutilmente, come parte del progetto per il riconoscimento di quello Stato.

Oltretutto, pur aderendo solo formalmente all’autodeterminazione dei palestinesi, metà dei preamboli della risoluzione sono dedicati a ribadire continuamente l’appoggio “incrollabile” nei confronti di Israele (senza menzionare neanche una volta la parola “occupazione”). Un ultimo emendamento al testo ha persino reiterato “i ferrei impegni” dell’America verso il memorandum d’intesa firmato dal presidente Obama che concede a Israele 3,8 miliardi di dollari all’anno in fondi militari dal 2019 al 2028. La frase è una chiara risposta al crescente dibattito all’interno del partito Democratico in merito a porre condizioni ai finanziamenti per Israele: invece di mettere in discussione la loro complicità nella conservazione della situazione attuale, la Camera ha affermato che li manterranno.

Benché queste risoluzioni non abbiano ancora un peso politico sostanziale, hanno però conseguenze molto preoccupanti per gli attivisti a favore dei diritti dei palestinesi.

In primo luogo rassicurano Israele che i suoi alleati all’estero non agiranno per ostacolare le sue ambizioni di annessione o la sua sempre maggiore oppressione dei palestinesi, semmai proteggeranno con entusiasmo l’impunità di Israele. La risoluzione francese lo fa danneggiando l’opposizione alle politiche di Israele e svalutando ogni critica alle basi ideologiche di Israele, come motivata da malvagità invece che dai diritti umani. Anche la risoluzione americana aiuta Israele, tenendo i parlamentari slegati dalla realtà sul terreno, preservando il mito che la soluzione dei Due Stati sia ancora percorribile, e che i dirigenti israeliani siano interessati a raggiungerla.

Secondo, le risoluzioni inviano un messaggio agghiacciante secondo cui, per quanto riguarda i governi francese e americano, i palestinesi non hanno diritto a una rappresentanza politica come popolo che sta lottando per la giustizia e i diritti umani. La prima risoluzione etichetta essenzialmente i palestinesi come intrinsecamente antisemiti perché osano denunciare i danni devastanti che il sionismo ha causato loro. La seconda risoluzione, che dipinge sfacciatamente USA e Israele come partner dalla stessa parte del tavolo negoziale, tratta i palestinesi semplicemente come la “controparte” con cui trattare invece di una Nazione che merita libertà e rispetto.

Prese insieme, le due risoluzioni illustrano in che misura Israele stia cercando di spogliare i palestinesi della loro umanità agli occhi di governi stranieri – e, tristemente, questi governi paiono molto ben disposti ad intensificare questo progetto a favore di Israele. Il nuovo decreto di Trump, l’ultimo di una crescente ondata di misure contro il BDS [movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni contro Israele, ndtr.] in tutto il mondo, preannuncia l’arrivo di altre pericolose iniziative come queste.

Eppure, anche di fronte a questi angoscianti attacchi, c’è ancora resistenza. Una lettera pubblica al parlamento francese firmata da 129 accademici ebrei e israeliani rifiuta la confusione dell’antisionismo con l’antisemitismo. La deputata [USA] Rashida Tlaib, contraria alla legge 326 insieme al resto di “The Squad” [“La Squadra”, gruppo di quattro giovani parlamentari democratiche con posizioni di sinistra, ndtr.], ha tenuto un discorso emozionante alla Camera [dei Rappresentanti] indossando la kefiah, la tradizionale sciarpa palestinese. Una nuova piattaforma politica, ““Freedom is the Future” [La libertà è il futuro] sta riunendo le voci palestinesi in vista delle elezioni del 2020. Le pressioni dall’alto si possono intensificare, ma lo sta facendo anche la lotta dal basso.

Amjad Iraqi è redattore e autore di +972 magazine. È anche analista politico di Al-Shabaka e in precedenza è stato un coordinatore della difesa di “Adalah” [Centro legale per i diritti delle minoranze arabe in Israele]. E’ un cittadino palestinese di Israele, attualmente residente ad Haifa.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Perché l’uomo che ha stilato la definizione dell’IHRA ne condanna l’uso

Nonostante si tratti di un articolo che risale all’anno scorso, riteniamo importante proporre questo articolo relativo alla definizione di antisemitismo dell’IHRA, che viene costantemente utilizzata per tacitare e criminalizzare la solidarietà con il popolo palestinese. Questo articolo evidenzia che lo stesso autore del testo dell’IHRA denuncia che il suo uso a questo fine è scorretto.

George Wilmers

1 agosto 2018 – Jewish Voice for Peace

La persona che ha stilato la definizione di antisemitismo dell’IHRA ne condanna l’uso rivolto a limitare la libertà di parola.

Secondo gli ultimi criteri isterici della lobby israeliana* e dei suoi seguaci, l’estensore originario della cosiddetta definizione di antisemitismo dell’IHRA [International Holocaust Remembrance Alliance, Alleanza Internazionale per il Ricordo dell’Olocausto, organizzazione intergovernativa composta da 31 Paesi, ndtr.], un sionista dichiarato, dovrebbe egli stesso essere definito antisemita, o forse un “kapo” [gli ebrei che nei campi di sterminio collaboravano con i nazisti, ndtr.]. Perché questa è la conclusione che si dovrebbe trarre se si accettasse l’affermazione secondo cui chiunque metta in discussione un qualunque aspetto del sacro testo che la definizione dell’IHRA è diventato sia un antisemita. L’estensore di quella che in seguito è diventata comunemente nota come EUMC o definizione di antisemitismo dell’IRHA, compresi gli esempi ad esso associati, è stato l’avvocato statunitense Kenneth S. Stern.

Tuttavia, in una testimonianza scritta presentata lo scorso anno al Congresso USA, Stern ha denunciato che la sua originaria definizione è stata utilizzata per uno scopo totalmente diverso da quello per il quale era stata pensata. Secondo Stern, in principio era stata ideata come una “definizione provvisoria” con l’obiettivo di cercare di standardizzare la raccolta di dati sull’incidenza dei delitti d’odio antisemita in Paesi diversi. Non è mai stata pensata per essere utilizzata come lo si sta facendo ora. Nello stesso documento Stern condanna specificatamente come improprio l’uso della definizione per questi scopi, citando in particolare la restrizione alla libertà di parola nelle università della Gran Bretagna, e riferendosi come esempi alle università di Manchester e di Bristol. Ecco quello che scrive:

La “definizione provvisoria” dell’EUMC è stata di recente adottata nel Regno Unito e messa in pratica nelle università. Un evento della “Israel Apartheid Week” [Settimana contro l’Apartheid Israeliana, ricorrenza annuale celebrata a livello internazionale con attività di denuncia delle discriminazioni israeliane contro i palestinesi, ndtr.] è stato annullato in quanto violava la definizione. A un sopravvissuto all’Olocausto è stato chiesto di cambiare il titolo del suo discorso all’università, e l’università (di Manchester) ha ordinato che venisse registrato, dopo che un diplomatico israeliano (l’ambasciatore Regev) si è lamentato che il titolo violava la definizione. Cosa forse ancora più significativa, un gruppo esterno all’università, citando la definizione, ha chiesto a un’università di condurre un’indagine per antisemitismo su una docente (che ha ottenuto un dottorato alla Columbia University), in base a un articolo che aveva scritto l’anno precedente. L’università (Bristol) allora ha condotto l’indagine. E, benché alla fine non abbia trovato nessun fondamento per punire la professoressa, il tentativo è stato in sé agghiacciante e maccartista.

Ovviamente i gruppi che stavano dietro questa repressione della libertà di parola in stile maccartista condannati da Stern sono proprio gli stessi ora impegnati nell’attuale vendetta [in italiano nel testo, ndtr.] contro Corbyn [segretario del partito Laburista inglese, ndtr.]. Per esempio, nel caso della docente dell’università di Bristol che è stata sottoposta ad inchiesta con le false accuse di antisemitismo, si è trattato della denominata, a torto, “Campagna contro l’Antisemitismo”, in realtà un gruppo aggressivo della lobby filo-israeliana, che ha chiesto che fosse sospesa [dall’insegnamento] finché non avesse ritrattato.

Significativamente Stern riconosce chiaramente l’intrinseca assurdità logica e la minaccia alla libertà di parola che solleva dove vengono messi in atto significativi tentativi di proibire discorsi politici riguardanti Stati o governi:

Immaginate una definizione destinata ai palestinesi. Se “negare al popolo ebraico il suo diritto all’autodeterminazione, e negare ad Israele il diritto di esistere” è antisemita, allora non dovrebbe essere antipalestinese “negare al popolo palestinese il suo diritto all’autodeterminazione, e negare alla Palestina il diritto di esistere”? Allora chiederebbero ai responsabili [delle università] di sorvegliare ed eventualmente punire eventi nelle università da parte di gruppi filo-israeliani che si oppongono alla soluzione dei due Stati, o sostengono che il popolo palestinese sia un mito?

Kenneth Stern è un sionista e sicuramente non è di sinistra. Tuttavia va riconosciuto a merito dell’autore originario della definizione dell’IHRA di essere un coerente difensore della libertà di parola che condanna l’attuale uso maccartista della definizione dell’IHRA.

Quindi l’autore sionista della definizione di antisemitismo dell’IHRA è un antisemita in incognito che ora si è smascherato da solo? Era forse la vecchia talpa di una segreta cospirazione internazionale di antisemiti guidati da Jeremy Corbyn? Forse Nick Cohen [giornalista filoisraeliano del quotidiano inglese “The Guardian”, ndtr.] ci darà una risposta?

Come per ogni passo di una sacra scrittura, il processo politico attraverso il quale la definizione dell’IHRA ha acquisito sia la sua attuale interpretazione che il suo status sacro tra i suoi fanatici fedeli è ancora avvolto nel mistero, nonostante qualche interessante tentativo di indagare la sua breve storia di 14 anni. Che i dettagli della definizione e la sua evidente inadeguatezza come testo giuridico e para-giuridico siano un argomento tabù nei principali mezzi di comunicazione è un tributo all’abbandono del ragionamento razionale nel discorso pubblico ufficiale.**

Nonostante la convinzione generale del contrario e la sua “adozione” da parte del governo del Regno Unito, la definizione dell’IHRA non vi ha un valore legale, e per ottime ragioni: com’è stato evidenziato da importanti giuristi come Hugh Tomlinson [prestigioso esperto inglese in diritto dei mezzi di comunicazione e di informazione, ndtr.] e Stephen Sedley [noto giudice e docente di diritto ad Oxford, di origine ebraica, ndtr.], non solo non si tratta di una definizione corretta per scopi legali, ma la sua adozione dal punto di vista giuridico da parte di una qualunque autorità sarebbe in conflitto con il diritto esistente e protetto di libertà di parola garantito dall’articolo 10 della Convenzione Europea sui Diritti Umani. Ciononostante è tale il potere della campagna di propaganda a favore del culto dell’IHRA che, lasciando da parte considerazioni razionali, la dirigenza del partito Laburista si è sentita obbligata ad obbedire allo status sacro dell’IHRA, pur cercando discretamente di modificare il testo per mitigare alcuni dei suoi effetti draconiani. Tuttavia malauguratamente non si può cavare sangue da una rapa.

Quindi, qualunque sia la vostra convinzione riguardante la funzionalità della rapa nella sua condizione originaria, dobbiamo essere grati all’uomo che l’ha forgiata per aver evidenziato con una tale chiarezza i suoi evidenti limiti.

Note

* Utilizzo il termine “lobby israeliana” come abbreviazione per indicare quanti utilizzano accuse di antisemitismo false o estremamente esagerate contro il partito Laburista per coprire i loro veri obiettivi, che sono: (a) rendere impossibile l’attivismo a favore dei palestinesi all’interno del partito Laburista, e (b), ottenere che Corbyn venga rimosso da segretario del partito Laburista. In realtà, come ha ripetutamente evidenziato Moshe Machover [matematico, filosofo e attivista israeliano antisionista, espulso e poi riammesso al partito Laburista, ndtr.], questa è una libera coalizione di gruppi politici notevolmente differenziati di centro e di estrema destra, alcuni dei quali sono legati a organizzazioni ebraiche filoisraeliane e di destra, ma alcune delle quali non hanno particolari rapporti o interessi né nei confronti dell’ebraismo né del conflitto israelo-palestinese, ma stanno semplicemente utilizzando l’isteria contro l’antisemitismo come mezzo per attaccare il progetto politico di Corbyn. Alcuni hanno suggerito che il termine “lobby antipalestinese” sarebbe una terminologia più adeguata.

** La BBC può essere presa come esempio paradigmatico di questo completo abbandono di un’argomentazione razionale, in cui i presentatori dei notiziari e i commentatori tentano quasi sempre di bloccare qualunque discussione sui dettagli, sulla storia della definizione dell’IHRA o sulla sua inadeguatezza giuridica, concentrandosi esclusivamente sulla presunta “percezione della comunità ebraica,” un concetto che in sé è segnato da uno stereotipo razzista. Un’eccezione molto rara rispetto a questo comportamento vergognoso è l’eccellente intervista recente del notiziario della BBC del 23 luglio 2018 da parte di Norma Smith a Naomi Wimborne-Idrissi, in cui a quest’ultima viene rispettosamente concesso di presentare il suo caso senza interruzioni prepotenti o faziose da parte dell’intervistatore.

L’autore ringrazia Richard Kuper e Murray Glickman per la loro significativa collaborazione e consulenza nella preparazione di questo articolo.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




L’anti-palestinismo è il moderno maccartismo

AsaWinstanley

1 ottobre 2019Middle East Monitor

Come sanno i lettori abituali di questa rubrica, nel Regno Unito l’atmosfera maccartista contro i sostenitori dei diritti dei palestinesi sta peggiorando. Ciò è dovuto in parte al consenso della leadership del partito laburista alla campagna diffamatoria che mira a rappresentare il partito come anti-semita. L’anno scorso, l’accettazione da parte del comitato esecutivo nazionale del partito laburista della falsa “definizione operativa” di antisemitismo da parte dell‘IHRA (Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto) ha fornito al documento diffusione e approvazione immeritate, confondendo deliberatamente l’antisemitismo con le critiche ad Israele per essere quello stato razzista che così evidentemente è.

Non sorprende che l’accettazione del documento dell’IHRA abbia portato i consigli comunali che lo hanno adottato a proibire in quanto “antisemite” persino innocue manifestazioni di solidarietà con l’esistenza della Palestina. Forse l’esempio più vergognoso è stato l’anno scorso, quando il consiglio comunale di Tower Hamlets [quartiere del centro di Londra, ndtr.] ha vietato al Big Ride for Palestine [Grande Corsa per la Palestina, gara ciclistica e attività di sensibilizzazione che si svolgono a Manchester e Londra, ndtr.] l’uso dei suoi parchi pubblici e spazi aperti per la manifestazione e i comizi.

Gli organizzatori del Big Ride avevano fatto domanda di autorizzazione presso tutte le istituzioni preposte: inizialmente erano stati mandati dagli impiegati comunali da un ufficio all’altro e poi avevano ricevuto un rifiuto sulla base di un’affermazione completamente pretestuosa, cioè che il Comune non permetteva raduni “politici” nei suoi parchi pubblici. Tale affermazione è stata contraddetta dallo stesso sindaco laburista di Tower Hamlets, John Biggs, che aveva precedentemente usato proprio lo stesso parco richiesto dal Big Ride per uno dei suoi raduni elettorali.

Le email di Tower Hamlets, ottenute grazie alla legge sulla libertà di informazione, hanno rivelato che la vera ragione per il divieto era che gli impiegati comunali avevano deciso che l’evento poteva violare la falsa definizione di antisemitismo dell’IHRA. Perché? Perché il sito web del Big Ride for Palestine afferma, correttamente, che ci sono “paralleli fra l’apartheid in Sud Africa e lo Stato di Israele.”

Il Big Ride for Palestine resta una delle forme di solidarietà verso la Palestina più inoffensive e condivisibili che si possano immaginare. Non progettava un’azione diretta contro i commercianti di armi che potrebbero teoricamente rischiare l’arresto. Non coinvolgeva degli oratori discussi e sobillatori.

Era semplicemente una corsa in bici sponsorizzata per raccogliere fondi per i bambini palestinesi vittime della guerra. Più precisamente, i corridori e i loro sponsor volevano aiutare i bambini di Gaza che soffrono di disturbi da stress postraumatico e altre patologie causate dalle varie guerre israeliane sui territori palestinesi, raccogliendo fondi per comprare degli equipaggiamenti sportivi. Il fatto che Tower Hamlets abbia vietato un evento così perché potenzialmente “antisemita” rivela quanto la definizione di antisemitismo dell’IHRS sia falsa.

Se le cose vanno male da questa parte del canale della Manica, pensate alla situazione degli attivisti per i diritti dei palestinesi nel resto dell’Europa. In Francia e Germania la situazione è persino peggiore, specie in Germania.

Da quando, a maggio, la camera bassa del parlamento tedesco ha approvato una mozione (non-vincolante) di condanna del movimento BDS, questo neo-maccartismo è ulteriormente peggiorato. L’establishment letterario e culturale tedesco ha cominciato a vietare, escludere e, ironia delle ironie, boicottare figure culturali internazionali se sostengono la campagna per i diritti dei palestinesi del movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS).

Più agghiacciante ancora, alle associazioni culturali tedesco-palestinesi è vietato l’uso di spazi pubblici, a causa del loro sostegno al BDS. Questo ha conseguenze di vasto raggio dato che, sostanzialmente, tutta la società civile palestinese sostiene il movimento BDS, che è totalmente non-violento.

Due casi recenti esemplificano questa agghiacciante atmosfera politica maccartista. A giugno, il rapper afro-americano Talib Kweli, famoso per i suoi testi socialmente e politicamente impegnati, è stato escluso da un festival musicale tedesco dopo che si era rifiutato di cedere alle insistenze degli organizzatori di condannare il movimento BDS. Kweli è un sostenitore del BDS da molti anni e, cosa da ammirare, ha rifiutato la richiesta di “censurare me stesso e mentire sul BDS per soldi.”

Più di recente, una città tedesca ha revocato un premio alla scrittrice anglo-pakistana Kamila Shamsie per il suo sostegno al movimento BDS. “I membri della giuria non sapevano che l’autrice era stata un membro del movimento, dal 2014 aveva partecipato e continua a partecipare al boicottaggio del governo di Israele per le sue politiche nei confronti dei palestinesi” ha annunciato il Comune di Dortmund che assegna il premio Nelly Sachs.

Questo modo di fare della censura politica da parte della città di Dortmund nei confronti di una scrittrice importante è stato ampiamente condannato. Fra i critici ci sono Yasmin Alibhai-Brown, editorialista, Naomi Klein, scrittrice e giornalista, e la deputata pachistana Sherry Rehman.

Il blog tedesco che per primo ha attirato l’attenzione sul sostegno di Shamsie al BDS è un sito apertamente razzista. Sebbene in teoria sia di orientamento politico “liberale” quando si tratta di Israele, Ruhrbarone è apertamente anti-palestinese, arrivando addirittura a invocare il genocidio. A novembre dello scorso anno, durante un particolare attacco israeliano contro la popolazione della Striscia di Gaza, il blog Ruhrbarone  ha twittato una vignetta apertamente genocida, chiedendo, presumibilmente allo Stato sionista, di “trasformare Gaza in una Garzweiler”.

Garzweiler è una miniera di carbone a cielo aperto. La richiesta del blogger di decimare e radere al suolo il territorio palestinese assediato, abitato da 2 milioni di persone, quasi tutti civili disarmati, non avrebbe potuto avere intenti più apertamente genocidi. È da notare che gli autori del blog tedesco hanno usato l’inglese in modo da rendere ancor più comprensibili le loro intenzioni.

In Germania sembra che, quando l’obiettivo sono i palestinesi, un linguaggio violento e persino genocida sia ammissibile. Tuttavia movimenti pacifici come il BDS, che cercano di spingere Israele a cambiare le sue politiche razziste che negano ai palestinesi i diritti umani e civili più elementari, sono palesemente proibiti.

Questo, insieme al tentativo di bandire le associazioni culturali palestinesi dalla vita pubblica in Germania, rivela il razzismo insito nel tentativo di mettere oggi al bando il movimento BDS in Europa. L’anti-palestinismo, in tutte le sue forme mostruose, è davvero il maccartismo di oggi.

Le opinioni contenute in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la linea editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




I neo-nazisti sostengono all’UE la falsa definizione israeliana di antisemitismo

Asa Winstanley

7 dicembre 2018, Electronic Intifada

Una nuova dichiarazione dell’Unione Europea potrebbe rendere più difficile criticare Israele come Stato razzista senza essere definiti antisemiti.

Giovedì a Bruxelles i politici hanno approvato il documento.

La mozione chiede a tutti i governi dell’UE di “approvare la definizione operativa non legalmente vincolante di antisemitismo utilizzata dall’International Holocaust Remembrance Alliance [organismo intergovernativo europeo che intende promuovere l’educazione sull’Olocausto, ndtr.].

La proposta, approvata dai ministri degli Interni degli Stati membri dell’UE, è già stata condannata da molti accademici israeliani e francesi.

La dichiarazione è stata promossa dall’Austria, il cui governo di coalizione comprende ministri membri di un partito neonazista.

L’assemblea dell’UE che giovedì ha formalmente adottato la dichiarazione includeva molti ministri di diversi partiti di destra, che istigano al fanatismo anti-ebraico.

Il Ministro degli Interni austriaco Herbert Kickl è uno di loro.

È del Partito della libertà, un’organizzazione anti-musulmana guidata dal neo-nazista Heinz-Christian Strache (ora vice-cancelliere dell’Austria).

Kickl è stato accusato per il suo linguaggio nazista a gennaio, quando ha chiesto alle autorità “di concentrare i richiedenti asilo in un unico posto”.

Il suo linguaggio sembrava deliberatamente calcolato per evocare l’Olocausto – sebbene questa volta prendesse di mira principalmente i richiedenti asilo musulmani.

Definizione falsa

Come da tempo riferisce The Electronic Intifada, la “definizione operativa” dell’IHRA è stata concepita come potente mezzo, spalleggiato da Israele, per soffocare le critiche nei confronti dello Stato e dei suoi crimini contro i palestinesi.

Israele e i suoi gruppi lobbysti hanno esercitato un’enorme pressione in tutta Europa negli ultimi due anni affinché fosse adottata.

La “definizione operativa” è stata condannata da numerosi sindacati palestinesi e da altri gruppi della società civile, nonché dalla Palestine Solidarity Campaign nel Regno Unito e dai sindacati di tutta Europa.

Come ha riferito la scorsa settimana il sito web EUobserver, le ambasciate israeliane di solito “fanno riferimento alla definizione dell’IHRA” quando presentano proteste diplomatiche formali contro le critiche dell’UE ai crimini di guerra israeliani in Palestina. Tali critiche sono inefficaci, considerando che l’UE spesso consente i crimini di Israele.

Nel Regno Unito, gruppi lobbysti israeliani hanno fatto pressione con successo sul partito laburista all’opposizione perché la “definizione operativa” fosse adottata.

Ma anche questo non è stato sufficiente, e un grande polverone mediatico è stato sollevato sull’iniziale riluttanza del partito ad adottare tutti gli “esempi” allegati che il documento dell’IHRA afferma essere antisemiti.

Molti di questi 11 “esempi” menzionano Israele.

Si giunge persino a definire il semplice atto di affermare il fatto che Israele è uno Stato istituzionalmente razzista – ” un’impresa razzista” nel linguaggio IHRA – come un esempio di “antisemitismo”.

L’Austria ha già approvato la “definizione operativa” e, come riportato da EUobserver, il governo di coalizione ha spinto per l’appoggio alla dichiarazione.

Neo-nazisti austriaci

L’Austria, che attualmente detiene la presidenza di turno dell’UE, il mese scorso ha invitato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a prendere parte a una conferenza a Vienna.

La dichiarazione approvata dall’UE è stata redatta durante quella conferenza, dedicata all’antisionismo. Netanyahu aveva accettato di partecipare alla conferenza ma poi ha cancellato la propria partecipazione a causa dell’instabilità del suo governo di coalizione.

L’Austria voleva una versione ancora più radicale, e una delle prime bozze invitava gli Stati dell’UE ad adottare la definizione “includendo esempi illustrativi”. Questo è stato recepito nella dichiarazione finale, che descrive la definizione come “non legalmente vincolante”.

Questa frase ipocrita compare nello stesso documento IHRA. In realtà però, la definizione viene costantemente utilizzata per vigilare sui discorsi critici nei confronti di Israele.

Gli eventi di quest’anno all’interno del Partito laburista britannico lo illustrano perfettamente.

Come parte della “crisi” sul presunto antisemitismo, costruita da anni ad arte dai critici del leader laburista Jeremy Corbyn, i gruppi di pressione israeliani hanno chiesto al partito di adottare anche gli 11 “esempi” di antisemitismo dell’IHRA.

A settembre l’esecutivo nazionale del partito laburista si è arreso alle pressioni. Ma ciò ha solo rafforzato i cacciatori di streghe, che continuano a cercare di punire i politici eletti che si mostrino critici nei confronti di Israele.

L’isteria dei media sulla “crisi” ha portato a una caccia alle streghe che ha preso di mira attivisti laburisti di sinistra e filo-palestinesi.

L’isteria si è estesa dal partito laburista alla società nel suo complesso.

La “definizione operativa” viene ora utilizzata per licenziare le persone.

Sospeso per aver definito razzista Israele

Paul Jonson, impiegato del consiglio comunale di Dudley, vicino a Birmingham, è stato sospeso dal suo lavoro in ottobre per aver contribuito ad organizzare una protesta contro Ian Austin, parlamentare eletto in quel comune – esplicito promotore della propaganda israeliana.

Qual è stato il “crimine” di Jonson? Pubblicare su Facebook la frase “Stiamo con la Palestina, Israele è un’impresa razzista” nella sua promozione della protesta.

Attivista nei locali gruppi di solidarietà con i palestinesi, Jonson ha dichiarato a The Electronic Intifada che i capi del consiglio comunale hanno citato la “definizione operativa” dell’IHRA – che l’autorità locale ha adottato – come giustificazione per la sua sospensione.

In ottobre l’amministratore delegato del consiglio comunale ha detto ad un giornale locale che Jonson era sotto inchiesta.

Jonson ha dichiarato a The Electronic Intifada di aver saputo della sua “sospensione” solo dal titolo del giornale.

Fino ad allora i dirigenti gli avevano assicurato che non era sospeso, che stavano solo facendo dei colloqui preliminari in merito ad un reclamo ricevuto da Campagna Contro l’Antisemitismo – un gruppo di propaganda antipalestinese dal nome ingannevole.

Riferisce che fino ad allora gli era stato detto solo di “astenersi dal lavoro fino a nuovo avviso”.

Ma lo stesso giorno in cui la notizia è trapelata alla stampa, i manager lo hanno invitato a un altro incontro e lo hanno sospeso.

Jonson sospetta che ci sia Ian Austin dietro la protesta. Il parlamentare è patrono del gruppo che ha presentato il reclamo.

I sindacalisti locali hanno chiesto il reintegro di Jonson, come ha fatto il gruppo di sinistra Jewish Voice for Labour [Voce Ebraica del partito laburista, gruppo di membri ebrei del partito che si oppongono alla campagna di diffamazione orchestrata dai laburisti filo-israeliani, ndtr.].

Una petizione che chiede il suo reintegro ha già raccolto oltre 600 firme.

(traduzione di Luciana Galliano)




La frottola del giorno: l’antisemitismo e la negazione dell’autodeterminazione degli ebrei

Joel Doerfler

17 ottobre 2018, Mondoweiss

É difficile superare per la sua stupefacente miscela di sofisma e sfrontatezza [lett. chutzpah, in yiddish nel testo, ndtr.] l’affermazione della “Definizione operativa” dell’“International Holocaust Remembrance Alliance”  [Alleanza Internazionale per il Ricordo dell’Olocausto, ndtr.] (IHRA), secondo cui “negare al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione, sostenendo ad esempio che l’esistenza della Stato di Israele è un’impresa razzista,” rappresenta un indicatore decisivo di antisemitismo.

Ma poiché questa affermazione ora è diventata un punto fermo sionista ripetuto all’infinito, e poiché il dipartimento di Stato e il ministero dell’Educazione degli USA hanno adottato la “Definizione operativa” dell’IHRA, mentre una legge di sensibilizzazione sull’antisemitismo, che include l’indicazione dell’IHRA, è attualmente in attesa al Congresso, è imperativo analizzare i vari modi in cui l’impiego del termine dell’IHRA “autodeterminazione” è pericolosamente equivoco.

Per iniziare dalla cosa più ovvia: se negare agli ebrei il “diritto all’autodeterminazione” è prova di antisemitismo, allora come dovremmo chiamare la negazione dello stesso diritto agli autoctoni che hanno vissuto in Palestina per secoli? Il partito Likud di Netanyahu non ha mai appoggiato uno Stato palestinese sovrano. Cosa ancora più sintomatica, tuttavia, la grande maggioranza degli israeliani che hanno appoggiato un qualche tipo di “soluzione dei due Stati” lo ha fatto per ragioni puramente pragmatiche e non per una questione di “diritti”. Chi l’ha proposta ha sostenuto che i due Stati avrebbero eliminato la “minaccia demografica” al carattere ebraico di Israele; che avrebbe ridotto il livello di violenza e favorito la pace; che uno Stato palestinese avrebbe consentito ad Israele di continuare (sic) ad essere democratico. Quello che tutti questi argomenti in apparenza “illuminati” condividono è il presupposto che Israele (cioè, gli ebrei israeliani) debbano concedere, per il proprio interesse, una qualche sorta di Stato a (qualche) palestinese. L’idea che i palestinesi abbiano un “diritto” a uno Stato, un diritto derivante dal principio dell’autodeterminazione nazionale, e l’ammissione che un simile diritto, come ogni altro diritto, non sia da “concedere” o da “negoziare” da parte degli ebrei israeliani (o di chiunque altro), non è mai entrata in questo discorso.

C’è veramente una sorprendente ipocrisia nel sostenere che la negazione di un diritto ebraico all’”autodeterminazione” sia perfidamente antisemita, mentre la negazione dello stesso diritto ai palestinesi sia giustificabile o irrilevante.

Ma questa è solo una parte del problema.

Secondo l’IHRA un segno rivelatore che la negazione del diritto degli ebrei all’autodeterminazione sia una manifestazione di perfido antisemitismo è fornito quando la negazione è accompagnata dall’affermazione che lo Stato di Israele è un’”impresa razzista”. Qui la logica è, a dir poco, confusa. C’è gente che sostiene che gli ebrei europei, nordafricani, etiopi, yemeniti, nordamericani ed irakeni non possiedono un “diritto all’autodeterminazione” in Palestina, eppure nega che il sionismo e lo Stato di Israele siano un’”impresa razzista”. Queste persone sono antisemite? Ce ne sono altre che affermano che gli ebrei del mondo hanno, di fatto, il diritto all’autodeterminazione nazionale in Palestina, eppure insistono sul fatto che il progetto sionista sia stato sistematicamente “razzista” nella pratica. Queste persone sono antisemite? E ce ne sono altre ancora che credono sia che Israele sia razzista e che gli ebrei del mondo non abbiano nessun diritto all’autodeterminazione in Palestina. Sostenere entrambe queste opinioni è più antisemita che sostenerne solo una? Perché?

La verità è che non c’è niente in ognuna di queste opinioni che sia di per sé antisemita, se intendiamo l’antisemitismo come è sempre stato concepito, cioè come odio accanito contro gli ebrei e la convinzione che gli ebrei siano congenitamente malvagi e una minaccia per tutti.

L’affermazione secondo cui i “popoli” hanno un “diritto all’autodeterminazione” è relativamente recente. È stata parte del nuovo discorso nazionalista che è emerso nell’Europa centro-orientale durante il XIX° secolo; ha avuto una diffusione planetaria grazie a Woodrow Wilson [presidente degli USA dal 1913 al 1921, ndtr.] e, in chiave diversa, da Lenin alla fine della Prima Guerra Mondiale, ed è stata più o meno sancita come principio della vita internazionale dopo la Seconda Guerra Mondiale. Tra gli altri contesti, è stata esplicitamente espressa nella risoluzione 2625 (1970) dell’Assemblea Generale dell’ONU che afferma che “tutti i popoli hanno il diritto di determinare liberamente, senza interferenze esterne, il proprio status politico e di perseguire il proprio sviluppo economico, sociale e culturale… e (che) ogni Stato ha il dovere di rispettare questo diritto.”

Mentre è molto stimolante l’idea di un “diritto” all’autodeterminazione nazionale, c’è anche molto da dire riguardo al concetto secondo cui esso è oscuro e problematico. I problemi più ovvi riguardano la difficoltà: a) di accertare cosa costituisca un “popolo”; b) di determinare l’identità di quei particolari “popoli” che dovrebbero legittimamente esercitare il loro presunto “diritto”; c) di specificare cosa significhi che “un popolo” possieda un proprio Stato.

Nessuno di questi problemi è facilmente risolvibile.

I baschi dovrebbero essere considerati un “popolo” che possiede un diritto all’autodeterminazione nazionale? Lo dovrebbero essere i bretoni? Gli aborigeni australiani? I sioux Lakota? Gli afroamericani? E gli ebrei? Cosa li rende esattamente un “popolo” nello stesso modo in cui lo sono, per esempio, i norvegesi?

È anti-basco o antisemita affermare che baschi ed ebrei non sono “popoli” che possiedono un “diritto” politico-territoriale all’autodeterminazione? Quali criteri possono e dovrebbero essere invocati per risolvere questi interrogativi?

L’esistenza come popolo” non è complessa solo in teoria. Il “diritto all’autodeterminazione” è rispettato solo in modo molto selettivo nell’attuale mondo della politica internazionale. Ci sono circa 35 milioni di kurdi che vivono in una zona confinante tra gli attuali Turchia, Iraq, Iran e Siria. La maggior parte di queste persone vede se stessa come “kurdi”. Nessuno di essi è ora in grado di esercitare, de jure, il proprio “diritto” all’autodeterminazione nazionale. E neppure i tibetani, né gli Igbo della Nigeria, né i ceceni, e via di seguito. Che razza di definizione dovremmo assegnare a quanti si oppongono a che lo possano fare?

E poi c’è la domanda: cosa comporta l’esercizio del “diritto all’autodeterminazione”, nel senso di cosa ciò “consente”? Per esempio, i polacchi per etnia dovrebbero essere intesi come “proprietari” della Polonia? È il loro Stato, tale per cui i cittadini polacchi che non sono etnicamente polacchi sono di fatto “ospiti”, ben accolti o meno, della “famiglia” nazionale polacca? Pochi anni fa, la maggior parte degli analisti credeva che questa specie di nazionalismo volkisch [nel senso di etno-nazionalismo, ndtr.], “integralista”, fosse una cosa del passato. Ma ora non più. Come hanno osservato molti commentatori, il nazionalismo razzista e nativista è spaventosamente rinato, non solo in posti come l’Ungheria e la Polonia, ma anche nell’America di Trump. E come ha giustamente osservato Eva Illouz [sociologa e docente israeliana, ndtr.], “Israele è, di fatto, da molto tempo all’avanguardia del modello a cui queste nazioni aspirano: sostenere la cittadinanza in base all’affiliazione etnico-religiosa” e combattere decisamente “la diluizione etnica, religiosa e razziale del loro Paese attraverso l’immigrazione o i diritti universali.”

Anni, anzi decenni, prima dell’approvazione alla Knesset [il parlamento israeliano, ndtr.] della malvagia legge dello “Stato-Nazione”, lo Stato di Israele si è considerato, nelle parole di Shlomo Sand [storico israeliano, ndtr.], “la proprietà collettiva degli ‘ebrei del mondo’, credenti o meno, piuttosto che un’espressione istituzionale della sovranità democratica dell’insieme dei cittadini che vi vivono.” Eppure nello strano universo morale dell’IHRA, mettere in discussione il “diritto del popolo ebraico” ad esercitare la propria “autodeterminazione” in un modo così evidentemente reazionario costituisce una “delegittimazione” – e la “delegittimazione” è una prova di antisemitismo. Le implicazioni sono francamente bizzarre. Come ha evidenziato Nathan Thrall [scrittore, giornalista ed analista statunitense, ndtr.], in base a questa logica quanti sostengono “l’opinione secondo cui Israele dovrebbe essere uno Stato di tutti i suoi cittadini, con uguali diritti per ebrei e non ebrei” sarebbero di per sé catalogabili come antisemiti che delegittimano [Israele], e “praticamente tutti i palestinesi (e una gran parte degli ebrei ultraortodossi di Israele, che si oppongono al sionismo per ragioni religiose) sarebbero (allo stesso modo) colpevoli di antisemitismo, perché vogliono che ebrei e palestinesi continuino a vivere in Palestina ma non in uno Stato ebraico.”

Il principio dell’autodeterminazione nazionale è chiaramente problematico. Ovunque ci sono pochissime persone coerenti nell’appoggiare la sua applicazione. La Sinistra ha storicamente avuto la tendenza a promuovere principi internazionalisti e a guardare con diffidenza alla maggior parte delle manifestazioni di irredentismo nazionalista o di particolarismo atomizzante, eppure hanno anche appoggiato entusiasticamente le lotte anticoloniali di liberazione nazionale in Algeria, Vietnam, Angola, Mozambico e Palestina. La Destra storicamente ha teso ad appoggiare la perpetuazione dei regimi coloniali dominati dai bianchi, percepiti in patria con invocazioni nativiste di purezza razziale, e sostenuto nozioni essenzialiste di “appartenenza al popolo”, ma si è anche trovata a disagio con l’idealismo universalista di Wilson. Durante gli anni ’90 sia la Sinistra che la Destra sono parse per lo più confuse su come rispondere alla disintegrazione della Yugoslavia e dell’URSS e dalla conseguente creazione di un gran numero di nuovi Stati-Nazione. Effettivamente, in ultima analisi pare che posizioni e atteggiamenti riguardanti il “nazionalismo” e l’”autodeterminazione nazionale” dipendano dal contesto, cambino nel tempo e non siano sempre coerenti.

Perciò, cosa di tutto ciò ha a che vedere con l’”antisemitismo”? Bene, se c’è una linea di pensiero coerente nell’attuale mantra sionista è che la negazione del “diritto del popolo ebraico all’autodeterminazione nazionale” è antisemita perché invocata in modo “selettivo” (leggi: pregiudiziale). Gli ebrei sarebbero stati trattati in modo diverso da tutti gli altri popoli. Israele è “preso di mira” con un atteggiamento particolarmente critico, con riprovazione e delegittimazione. E perché? Antisemitismo del XXI° secolo.

Lasciando perdere il fatto che il troppo noto ritornello sionista riguardo al “prendere di mira” è sempre stato estremamente discutibile, per non dire in malafede, è piuttosto azzardato insinuare, salvo nei sogni deliranti di Alan Dershowitz [docente di diritto internazionale statunitense e strenuo difensore di Israele, ndtr.], che qualcuno sostenga l’opinione che tutti i “popoli” del mondo abbiano il diritto all’autodeterminazione nazionale salvo gli ebrei! Ma questo sembra proprio ciò che sta sostenendo l’attuale argomentazione conclusiva sionista.

Tuttavia, tornando al mondo reale, il governo israeliano e i suoi alleati stanno tirando fuori tutti gli spot propagandistici nel frenetico e criminale tentativo di eliminare sia le critiche che la resistenza attiva alle politiche israeliane riguardo ai palestinesi. Nell’attuale campagna sta giocando un ruolo importante la minaccia spettrale di un “Nuovo Antisemitismo” capeggiato da quanti difendono i diritti dei palestinesi. (Il reale antisemitismo di Orban e dei suoi consimili è sminuito o ignorato). E nell’inventare questa “nuova” specie di minaccia antisemita, i suoi sostenitori hanno tentato senza vergogna di avvolgere Israele nel mantello dei principi universalistici, invocando il linguaggio wilsoniano dell’”autodeterminazione”.

I propagandisti, gli utili idioti, i compagni di viaggio e chi ci crede davvero, che fanno questo discorso, stanno lanciando spaghetti concettuali contro il muro, nella speranza che qualcuno vi si attacchi. È importante che noi impediamo che ciò avvenga.

Su Joel Doerfler

Joel Doerfler è da molto tempo un docente indipendente di storia. Vive a New York.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Una controversa definizione di antisemitismo incontra resistenze riguardo a preoccupazioni per la libertà di parola

Ben White

22 febbraio 2018, Middle East Monitor

In Gran Bretagna gruppi filoisraeliani stanno incontrando resistenze ai loro tentativi di utilizzare una controversa definizione di antisemitismo per zittire l’attivismo in solidarietà con la Palestina. Università e autorità locali hanno dato ascolto alle preoccupazioni riguardanti la libertà di parola, un incoraggiamento per gli attivisti per i diritti della Palestina che attualmente stanno tenendo, o si stanno preparando a tenere, iniziative per la “Israeli Apartheid Week [Settimana dell’apartheid israeliana, ndt.] (IAW) nelle università di tutto il Paese.

Nel dicembre 2016 il governo britannico ha annunciato di aver “adottato” la definizione di antisemitismo accolta all’inizio di quell’anno dall’“International Holocaust Remembrance Alliance [Alleanza Internazionale per il Ricordo dell’Olocausto, ndt.] (IHRA). Descritta come “straordinariamente imprecisa” da David Feldman, direttore del “Pears Institute for the Study of Anti-Semitism” [Istituto Pears per lo Studio dell’Antisemitismo, ndt.], la definizione è promossa dall’IHRA ed è accompagnata da un elenco di 11 esempi su come oggi si possa manifestare l’antisemitismo, che comprendono critiche a Israele.

Fin da quando il governo di Theresa May ha dato il suo (non legale, non vincolante) appoggio, in Gran Bretagna un certo numero di gruppi ha dedicato tempo e risorse considerevoli per cercare di ottenere appoggio alla definizione da parte di consigli comunali e istituzioni dell’educazione superiore, tra gli altri. Tuttavia quasi subito c’è stato un rifiuto da parte di chi ha visto nella definizione e nel modo in cui è stata utilizzata, consistenti pericoli per la libertà di parola e per l’attivismo politico legittimo.

Nel marzo 2017 la direttrice della “London’s School of Oriental and African Studies” [Scuola di Studi Orientali ed Africani di Londra, ndt.] (SOAS), Valerie Amos, ha detto alla BBC che la sua università non intende adottare questa definizione. “Ho consultato su questo il nostro ‘Centro di Studi Ebraici’,” ha spiegato, “che ha fondamentalmente detto che questa definizione è discutibile.”

Quello stesso mese l’avvocato dei diritti umani Hugh Tomlinson, patrocinante della Corona [corrispettivo inglese dell’avvocato di cassazione in Italia, ndt.], ha pubblicato un parere legale che evidenzia “gravi errori” nella definizione e nelle linee guida allegate.

Nel maggio 2017 il sindacato dell’università e dei college – che rappresenta 110.000 professori e altri membri del personale – ha approvato a stragrande maggioranza una mozione che respinge l’uso della definizione dell’IHRA e che evidenzia “tentativi ispirati dal governo di mettere al bando iniziative di solidarietà con la Palestina “ come l’”Israel Apartheid Week”.

Ora anche la “London School of Economics” [Scuola di Economia di Londra, ndt., una delle più prestigiose istituzioni accademiche inglesi, ndt.] (LSE) si è unita a quanti, pur accettando la definizione di antisemitismo di 38 parole formulata dall’IHRA, hanno esplicitamente respinto l’elenco di esempi suggeriti, che include critiche a Israele. “La Scuola intende chiarire che criticare il governo di Israele, senza ulteriori prove che suggeriscano intenzioni antisemite, non è antisemitismo,” ha scritto un dirigente della LSE in una lettera lo scorso mese. “La Scuola non accetta neppure che tutti gli esempi che l’IHRA elenca come esemplificazioni di antisemitismo ricadano nella definizione di antisemitismo, a meno che non ci siano ulteriori prove per suggerire intenzioni antisemite.” L’autenticità della lettera, pubblicata su un sito filoisraeliano, mi è stata confermata da un dirigente della LSE.

Frattanto “Università del Regno Unito”, l’influente organizzazione rappresentativa delle università, ha resistito ai tentativi da parte di gruppi filoisraeliani perché manifestasse il proprio appoggio alla definizione dell’IHRA. Secondo un portavoce, che ha parlato con me all’inizio del mese, “Università del Regno Unito” non ha una posizione in merito.

In una richiesta a una commissione parlamentare d’inchiesta in corso sulla libertà di parola nelle università, il “Comitato dei Deputati degli Ebrei Britannici” ha detto ai parlamentari che le università dovrebbero “adottare la definizione dell’IHRA per consentire loro di esprimere giudizi meditati su cosa sia o non sia considerato antisemitismo.” Il Comitato ha riconosciuto: “Tuttavia c’è una preoccupante resistenza da parte delle università ad adottarla e la libertà di parola viene addotta come la principale ragione della loro riluttanza.”

Questa riluttanza è ben fondata. Lo scorso anno, un evento dell’IAW all’università del Lancashire Centrale è stato annullato dai dirigenti dell’università sulla base del fatto che avrebbe trasgredito la definizione dell’IHRA (e in seguito a pressioni da parte di gruppi filoisraeliani). Questa settimana la “Campagna contro l’Antisemitismo” ha affermato di augurarsi che ci siano “successi simili” nell’ottenere che iniziative dell’IAW organizzate dagli studenti quest’anno vengano annullate. Anche l’”Alleanza Israele-Gran Bretagna – un progetto della Federazione Sionista – sta fondando sulla definizione dell’IHRA i propri “sforzi per bloccare…eventi (dell’IAW)”.

Frattanto l’onorevole conservatore Matthew Offord martedì ha detto in parlamento che “le parole “settimana dell’apartheid israeliano” sono palesemente antisemite,” in base alla definizione dell’IHRA. Quindi, ha sostenuto, i ministri dovrebbero prendere in considerazione il fatto di “portare avanti le leggi necessarie per impedire (iniziative dell’IAW).”

Anche a Bruxelles gli effetti agghiaccianti della definizione dell’IHRA, così come viene utilizzata dai gruppi filoisraeliani, sono già stati dimostrati nei tentativi per far annullare un evento del parlamento europeo che ospita il difensore palestinese dei diritti umani Omar Barghouti. In una lettera al presidente del parlamento europeo Antonio Tajani i gruppi filoisraeliani sostengono che Barghouti e il movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS), di cui è co-fondatore, sono colpevoli rispettivamente di affermazioni e di obiettivi “antisemiti” “in base alla (definizione dell’IHRA).”

Tuttavia, mentre i sostenitori di Israele vedono chiaramente la definizione dell’IHRA come un mezzo per l’eliminazione dell’attivismo in solidarietà con la Palestina e delle voci palestinesi, c’è una discussione interessante, ed una mancanza di chiarezza, riguardo a in cosa consista esattamente la definizione. La “definizione di antisemitismo non vincolante dal punto di vista legale” dell’IHRA è pubblicata in rete all’interno di un riquadro nero chiaramente evidenziato. È un testo di 38 parole, che dice quanto segue: “L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei, che può essere espressa come odio nei confronti degli ebrei: manifestazioni verbali e fisiche di antisemitismo sono dirette verso individui ebrei e non ebrei e/o loro proprietà, verso istituzioni e strutture religiose della comunità ebraica.” Lo stesso testo è comparso, anch’esso in un riquadro nero a parte, nel maggio 2016 su un comunicato stampa dell’IHRA che annunciava l’adozione della definizione.

Queste 38 parole sono poi seguite da un testo più lungo, che include l’elenco degli esempi di come si può manifestare l’antisemitismo contemporaneo; questa è la parte in cui è inclusa, in modo discutibile, la critica contro Israele. Tuttavia questi esempi sono effettivamente parte della definizione stessa?

Secondo l’ufficio permanente dell’IHRA a Berlino la risposta è no. In un messaggio mail datato 12 settembre 2017 un rappresentante dell’IHRA ha confermato che la definizione consiste solo nel “testo nel riquadro”, mentre gli esempi intendono “servire come illustrazione” di come “possa manifestarsi” l’antisemitismo.

Sembra che questa conferma sia stata un passo falso o, quanto meno, non è stata ripetuta. Mi sono rivolto all’ufficio permanente dell’IHRA a questo proposito e, stranamente, mi è risultato impossibile, sia con email che al telefono, avere una chiara conferma su cosa sia effettivamente la definizione. In una conversazione di cinque minuti all’inizio di questo mese un funzionario dell’IHRA ha ribattuto alla mia richiesta di chiarire se la definizione consista solo nel testo di 38 parole dicendo che io dovrei “fare riferimento all’informazione sul nostro sito”, o “semplicemente inserire un link sul sito dell’IHRA.” Quando ho fatto notare che certe istituzioni hanno accolto il testo di 38 parole, ma non l’elenco di esempi che lo accompagna, il funzionario ha riconosciuto che “dipende dalla discrezionalità delle istituzioni e delle autorità adottare qualunque cosa ritengano utile,” ma si è di nuovo rifiutato di rispondere alla semplice domanda.

Mentre l’IHRA è curiosamente reticente nel chiarire quello che costituisce la definizione, altri hanno già deciso: una dichiarazione che ho ricevuto dal portavoce della Commissione Europea fa una chiara distinzione tra la “definizione” da una parte e “gli esempi non esaustivi” dall’altra.

Alcune autorità locali in Gran Bretagna hanno allo stesso modo adottato solo il testo di 38 parole; recenti esempi includono il consiglio comunale di Manchester e il consiglio regionale del South Northamptonshire. Quando il consiglio comunale di Liverpool ha accolto solo la definizione di 38 parole, un attivista filoisraeliano si è infuriato – spingendo gli “Amici di Israele di Merseyside” ad affermare che i due testi sono, di fatto, “la definizione effettiva.”

La confusione – e l’ambiguità probabilmente intenzionale da parte dell’IHRA – su cosa costituisca la definizione, l’opposizione alla libertà di parola e il rozzo tentativo di censura da parte di quanti (falsamente) sostengono che la definizione “dimostra” che iniziative come l’IAW sono antisemite, sono tutti ben noti. È per questo che la storia della definizione dell’IHRA è ripresa nel resoconto del suo infausto predecessore, la proposta di definizione provvisoria dell’EUMC [Centro Europeo per il Monitoraggio del Razzismo e della Xenofobia, ndt.]. Alla fine è stata screditata ed abbandonata dopo che sostenitori di Israele l’hanno utilizzata – nelle parole di uno degli estensori della definizione – “con la delicatezza di un martello”.

Nonostante questi tentativi, l’attivismo in solidarietà con la Palestina e in particolare la campagna BDS sono cresciuti e si sono estesi in tutta Europa, compresa la Gran Bretagna, in rapporto diretto con le politiche di un governo israeliano che continua a colonizzare la Cisgiordania e a devastare la Striscia di Gaza.

Gli apologeti di Israele non smetteranno di ridefinire l’antisemitismo per prendere di mira la solidarietà con i palestinesi. Tuttavia è improbabile che soffochino un movimento contro l’apartheid che, in un’epoca segnata da Trump e dalla annessione israeliana, in tutto il mondo troverà solo più adesioni sia dentro che fuori dai campus.

(traduzione di Amedeo Rossi)