Da Motorola ad Ahava: La lista nera dell’ONU delle imprese che svolgono attività economiche nelle colonie israeliane.

Haaretz – 26 ottobre 2017

La lista nera di 25 imprese delle colonie pubblicata da un giornale israeliano comprende le Industrie Aerospaziali Israeliane (IAI), giganti delle telecomunicazioni, imprese tecnologiche internazionali, banche e persino [aziende] del caffè.

Un quotidiano israeliano ha rivelato i nomi di 25 imprese che potrebbero trovarsi su una lista nera delle Nazioni Unite per il fatto di svolgere attività economiche nelle colonie, in Cisgiordania e a Gerusalemme est.

La lista comprende le Israel Aerospace Industries [Industrie Aerospaziali Israeliane], le filiali israeliane di Motorola e di HP, l’impresa dei cosmetici del Mar Morto Ahahava, così come altre aziende, quali l’israeliana Banca Leumi o il fornitore di gas Paz.

In passato “Haaretz” ha scritto che circa 150 imprese in Israele e nel mondo avevano ricevuto dalla Comissione dei diritti umani delle Nazioni Unite una lettera che li metteva in guardia che stavano per essere aggiunte alla banca dati. All’espoca funzionari israeliani e diplomatici occidentali coinvolti nella questione [ne] hanno riferito a Barak Ravid di Haaretz [vedi zeitun.info].

Il funzionario israeliano, che ha chiesto di rimanere anonimo per la delicatezza della questione, ha detto che nella lettera spedita da Zeid Ra’ad Al Hussein [alto commissario ONU per i diritti umani, ndt.] c’era scritto che queste imprese svolgevano attività economiche nei “Territori palestinesi occupati” e si sarebbero così trovate sulla lista nera dell’ONU delle imprese che agiscono in violazione del “diritto nazionale e delle delibere delle Nazioni Unite”.

Il Washington Post ha scritto in agosto che tra le imprese americane che hanno ricevuto la lettera c’erano Caterpillar, Priceline.com, Trip Advisor e Airbnb. Secondo lo stesso rapporto, l’amministrazione Trump sta provando a lavorare con la Commissione dei diritti umani dell’ONU per impedire la pubblicazione della lista.

Giovedì [26], Yedioth Aharonoth [il quotidiano di destra più letto in Israele, ndt] ha rivelato i nomi di 25 di queste imprese israeliane, che si dice facciano parte di una lista parziale ottenuta dal giornale. Le imprese elencate spaziano da industrie della panificazione a istituzioni finanziarie, a imprese che forniscono energia a livello locale a ditte di cosmetici.

1. Ahava
2. Dor Alon
3. Amisragas
4. Angel Bakeries
5. Arison Investments
6. Ashdar
7. Cafe Cafe
8. Clal Industries
9. Cellcom
10. Danya Cebus
11. Electra
12. HP
13. HOT
14. Israel Aerospace Industries
15. Matrix systems
16. Motorola
17. Nesher
18. Partner
19. Paz
20. Rami Levy
21. Remax
22. Shikun & Binui (Housing & Construction Holding Company)
23. Shufersal
24. Bank Leumi
25. Sonol

Il Canale [televisivo] 2 israeliano ha riferito in passato che la lista comprende alcune delle maggiori imprese in Israele quali Teva, Bank Hapoalim, Bezeq, Elbit, Coca-Cola Israel, Africa-Israel, IDB, Egged, Mekorot e Netafim.

Un dipomatico occidentale, che ha chiesto anche lui di rimanere anonimo, ha detto all’epoca a Haaretz che delle 150 imprese, circa 30 erano americane e un certo numero apparteneva a Paesi quali la Germania, la Corea del Sud e la Norvegia. La metà rimanente è composta da imprese israeliane.

Alti funzionari israeliani hanno detto che gli israeliani temono il disinvestimento o una riduzione delle attività economiche imputabile al fatto che la lista nera sta già diventando una realtà. Hanno detto che l’ufficio degli affari strategici del ministero dell’Economia ha già avuto informazioni che alcune imprese che hanno ricevuto la lettera hanno risposto al responsabile della Commissione dei diritti umani che non intendono rinnovare i contratti o siglarne di nuovi in Israele.

Queste imprese semplicemente non possono fare una distinzione tra Israele e le colonie e stanno ponendo fine a tutte le loro attività”, ha detto l’alto funzionario israeliano. “Le imprese straniere non investiranno in qualcosa che puzza di problemi politici, ciò potrebbe aumentare vorticosamente.”

Come parte di un tentativo di sminuire il suo potenziale danno, Israele sta tentando di contattare e avere colloqui con le imprese straniere citate sulla lista, sottolineando che quanto scritto non è vincolante ed è irrilevante. Sta anche prendendo contatto con i governi stranieri, affermando che la lista equivale a sostenere il boicottaggio di Israele.

Funzionari britannici hanno detto giovedì che il Regno Unito si oppone fermamente a questo provvedimento e lo ritiene al di fuori delle competenze della Comissione dei diritti umani. “Gli obblighi in materia di diritti umani riguardano gli Stati e non gli individui o le imprese, che devono intraprendere liberamente le loro relazioni di affari; per questo non abbiamo nessun piano per predisporre un database dello stesso tipo. In fin dei conti è la decisione del singolo o di un’impresa se operare nei territori occupati palestinesi. Il governo britannico non incoraggia e non offre aiuto a una simile attività” hanno detto.

A marzo del 2017, la Comissione dei diritti umani a Ginevra ha votato una risoluzione presentata dall’Autorità Palestinese e dai Paesi arabi, secondo la quale la Comissione avrebbe creato un database delle imprese israeliane e internazionali che svolgono direttamente o indirettamente attività economica in Cisgiordania, a Gerusalemme Est o sulle Alture del Golan. La decisione è stata approvata nonostante le forti pressioni degli Stati Uniti per ammorbidire il testo della risoluzione. Anche un tentativo del Regno Unito e dell’Europa di accordarsi con i palestinesi per far cadere la clausola della risoluzione che istituiva la lista nera in cambio dell’appoggio dei Paesi europei agli altri articoli, è fallito.

Barak Ravid ha contribuito agli antefatti di questo articolo.

(traduzione di Carlo Tagliacozzo)

 




L’ONU invia una lettera di avvertimento a 150 imprese perché fanno affari nelle colonie israeliane

Barak Ravid,

28 settembre 2017, Haaretz

Fonti ufficiali israeliane affermano che alcune delle aziende hanno risposto al commissario ONU per i diritti umani dicendo di non aver intenzione di rinnovare i loro contratti in Israele.

Importanti funzionari israeliani e diplomatici stranieri coinvolti nella questione hanno detto ad Haaretz che da due settimane il commissario ONU per i diritti umani ha iniziato ad inviare lettere a 150 imprese in Israele e in tutto il resto del mondo, mettendole in guardia sul fatto che stanno per essere incluse in un elenco di aziende che fanno affari nelle colonie israeliane in Cisgiordania e a Gerusalemme est.

La fonte ufficiale israeliana, che ha chiesto di rimanere anonima data la delicatezza della questione, ha sottolineato che le lettere, inviate da Zeid Ra’ad Al Hussein, affermano che queste aziende stanno facendo affari nei “territori palestinesi occupati” e quindi potrebbero trovarsi sulla lista nera dell’ONU delle imprese che violano “le leggi internazionali e le decisioni dell’ONU”. Le lettere, copie delle quali sono arrivate anche al governo israeliano, chiedono che queste imprese inviino alla commissione spiegazioni sulle loro attività economiche nelle colonie.

Un diplomatico occidentale, che ha chiesto l’anonimato, ha sottolineato che, delle 150 aziende, circa 30 sono statunitensi e un certo numero hanno sede in Paesi come la Germania, la Corea del Sud e la Norvegia. L’altra metà sono imprese israeliane.

Il “Washington Post” in agosto ha informato che tra le imprese americane che hanno ricevuto la lettera ci sono Caterpillar, Priceline.com, TripAdvisor e Airbnb. Secondo lo stesso articolo, l’amministrazione Trump sta tentando di lavorare con la commissione ONU sui diritti umani per evitare che la lista venga pubblicata. Due settimane fa il Canale 2 israeliano ha informato che la lista include alcune delle maggiori compagnie israeliane, come Teva, Bank Hapoalim, Bank Leumi, Bezeq, Elbit, Coca-Cola Israel, Africa-Israel, IDB, Egged, Mekorot e Netafim.

Importanti funzionari israeliani affermano che il timore israeliano di disinvestimenti o riduzione degli affari dovuti alla lista nera sta già diventando una realtà. Sostengono che l’ufficio del ministero dell’Economia per gli affari strategici ha già ricevuto informazioni che numerose imprese che hanno ricevuto le lettere hanno risposto al commissario per i diritti umani dicendo di non aver intenzione di rinnovare contratti o di firmarne di nuovi in Israele.

Queste aziende non possono semplicemente fare una distinzione tra Israele e le colonie e stanno ponendo fine a tutte le loro attività,” ha affermato l’importante funzionario israeliano. “Compagnie straniere non investiranno in qualcosa che puzza di problemi politici – ciò potrebbe determinare una valanga.”

Un comitato interministeriale che comprende i ministeri degli Affari Esteri, degli Affari Strategici, della Giustizia e dell’Economia sta ancora lavorando per cercare di evitare la pubblicazione della lista. Tuttavia la valutazione tra la maggioranza di quanti sono coinvolti nei tentativi del governo è che sia inevitabile e che probabilmente la lista verrà resa pubblica entro la fine di dicembre.

Come parte del tentativo di minimizzare il danno potenziale, Israele sta tentando di contattare e dialogare con le imprese straniere citate nella lista, sottolineando che essa non è vincolante ed è senza importanza. Ha anche detto loro che sta contattando governi stranieri per informarli che utilizzare la lista equivale a collaborare con un boicottaggio di Israele.

Nel marzo 2017 la commissione per i diritti umani di Ginevra ha votato per una risoluzione promossa dall’Autorità Nazionale Palestinese e dai Paesi arabi in base alla quale la commissione avrebbe stilato un elenco di imprese israeliane e internazionali che fanno affari direttamente o indirettamente in Cisgiordania, a Gerusalemme est o sulle Alture del Golan. La decisione è stata approvata nonostante le massicce pressioni degli USA per ammorbidire il testo della risoluzione.

E’ fallito anche un tentativo da parte dell’UE di raggiungere un accordo con i palestinesi per ritirare il punto della risoluzione che prevede la stesura di una lista nera, in cambio dell’appoggio delle Nazioni europee al resto delle sue clausole.

(traduzione di Amedeo Rossi)