La tracotanza militare rappresenta un disastro

Amira Hass, 21 febbraio 2017 Haaretz

L’idea che Israele possa essere cambiato o sconfitto con gli strumenti in cui eccelle – guerra e uccisioni – è la definitiva identificazione con la mentalità israeliana.

Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, afferma che i missili di Hezbollah possono raggiungere l’impianto nucleare israeliano nella città di Dimona, nel Negev. E’ difficile sospettare che intenda causare la morte di decine o centinaia di migliaia di palestinesi nella vicina Gaza e nel Negev, o provocare loro malattie letali. Hezbollah è riuscita a cacciare dal proprio Paese l’occupazione israeliana. Per questo Hezbollah ed il popolo libanese meritano apprezzamento. Però oggi le sue affermazioni possono essere interpretate come millanteria, cosa che più di ogni altra rivela paura e debolezza.

Nella Striscia di Gaza è stato eletto alla guida del movimento [Hamas] un nuovo leader, Yahya Sanwar. Hamas è un partito moderno ed organizzato, che tiene regolari elezioni interne, benché clandestine, un’impresa che Fatah non è mai riuscita a realizzare neppure operando alla luce del sole ed in relativa libertà. Hamas cambia i suoi capi e nessuno di loro decide le linee politiche da solo, al contrario della situazione all’interno di Fatah.

A Gaza si dice che Sanwar è stato eletto perché ha acquisito grandi capacità di leadership in prigione, e che è modesto, ascolta gli altri ed è equilibrato. Ma anche se lui aderisce all’attuale tendenza politica per evitare un conflitto armato, l’ala militare della sua organizzazione lavora incessantemente per armarsi e migliorare le proprie potenzialità. Le sue ostentate parate militari inviano un messaggio, anche quando Iz al-Din al-Qassam (ala militare di Hamas, ndtr.) smette di sparare.

Le parate e le promesse creano un’atmosfera di ‘resistenza’. Scatenano l’immaginazione del popolo che stiamo opprimendo e schiacciando, dando loro una speranza, un filo di speranza a cui aggrapparsi. Ma ci si dimentica di alcuni fatti: dopo la guerra in Libano del 2006, Hezbollah non ha osato aprire un secondo fronte quando Gaza veniva attaccata da tre offensive israeliane. Dal momento del rapimento di Gilad Shalit nel giugno 2006 fino all’offensiva del dicembre 2008, Israele ha ucciso 1.132 abitanti della Striscia di Gaza. Di questi, 604 erano legati a gruppi armati, ma non tutti avevano necessariamente preso parte agli scontri. Dei civili uccisi, 207 erano minori e 89 erano donne. Erano anche parte del prezzo pagato per il rilascio di Sanwar e di altri.

Il profilo personale di Sanwar che appare sui siti web di Hamas attesta che ha messo a morte dei collaborazionisti nell’ambito di una strategia incentrata sulla deterrenza. Sono passati trent’anni e il collaborazionismo non è diminuito. L’assassinio – ovviamente di solito di pesci piccoli e di innocenti – non si è dimostrato efficace.

Questa settimana un portavoce che partecipava ad una conferenza in Iran ha detto che Hamas dispone di gruppi armati in Cisgiordania. Le loro attività sono forse riuscite in passato a fermare l’orgia colonialista israeliana? No. Non ci sono riuscite neanche le tattiche diplomatiche, anche questo è vero. Ma se il risultato è lo stesso, perché scegliere la strada senza uscita che comprende uccisioni, arresti e distruzioni? Potreste dire che è una domanda ingenua e femminile, e noi rispondiamo: questa è una tattica fallimentare e maschile.

I palestinesi lamentano che i loro figli adottano i concetti di Israele ed interiorizzano il disprezzo nei loro confronti. Ma l’idea che Israele possa essere cambiato o sconfitto con i mezzi in cui eccelle – guerra ed uccisioni – è proprio l’estrema identificazione con la mentalità israeliana.

Israele ha un costante interesse ad esagerare la minaccia militare costituita dalle due organizzazioni religiose islamiche. Questa tendenza va di pari passo con la sistematica distorsione della realtà attraverso la presentazione degli ebrei come vittime dei palestinesi. Entrambe le organizzazioni islamiche hanno interesse a che Israele le consideri esageratamente temibili. Questo accresce il loro peso politico.

Israele procede senza campagne militari a tutto campo, usando la violenza burocratica, il sadismo organizzato, la concentrazione dei palestinesi in enclaves e l’assedio. Ma per le sue esigenze politiche interne ed estere sa molto bene, quando necessario, come usare la tracotanza militare. Allora questo rappresenta un disastro che richiede anni per una pur debole ripresa. Non bisogna tirare questa corda. Bisogna trovare altri metodi di lotta.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Leggi la trascrizione integrale: la conferenza stampa congiunta di Trump e Netanyahu

Haaretz | 15 febbraio 2017

La prima conferenza stampa congiunta del presidente USA Trump e del primo ministro israeliano Netanyahu.

IL PRESIDENTE TRUMP: Molte grazie. Grazie. Oggi ho l’onore di dare il benvenuto al mio amico, il primo ministro Benjamin Netanyahu, alla Casa Bianca. Con la sua visita, gli Stati Uniti riconfermano ancora una volta il proprio legame indissolubile con il nostro benamato alleato, Israele. La collaborazione tra i nostri due Paesi, basata sui valori da noi condivisi, ha promosso la causa della libertà dell’uomo, della dignità e della pace. Questi sono gli elementi fondamentali della democrazia.

Lo Stato di Israele è un simbolo per il mondo di resistenza di fronte all’oppressione – non posso pensare a nessun altro Stato che abbia passato quello che è toccato a loro – e di sopravvivenza di fronte al genocidio. Non dimenticheremo mai quello che ha sopportato il popolo ebreo.

La vostra perseveranza di fronte all’ostilità, la vostra democrazia aperta di fronte alla violenza e il vostro successo nell’affrontare grandi avversità è veramente fonte d’ispirazione. Le sfide per la sicurezza che Israele ha dovuto affrontare sono enormi, compresa la minaccia delle ambizioni nucleari dell’Iran, di cui io ho parlato parecchio. Uno dei peggiori accordi che abbia mai visto è quello con l’Iran. La mia amministrazione ha appena imposto nuove sanzioni e farò ancora di più per evitare che l’Iran possa mai sviluppare – intendo dire mai – armi nucleari.

La nostra assistenza per la sicurezza nei confronti di Israele è attualmente a un livello record, garantendo che Israele abbia la capacità di difendersi dalle minacce, che purtroppo sono molte. I nostri due Paesi continueranno a crescere. Abbiamo una lunga storia di cooperazione nella lotta contro il terrorismo e contro coloro che non danno valore alla vita umana. America e Israele sono due Nazioni che onorano il valore di ogni vita umana.

Questa è una delle molte ragioni per cui rifiuto azioni scorrette e di parte contro Israele alle Nazioni Unite – che hanno appena trattato Israele, secondo me in modo molto, molto scorretto – o in altri forum internazionali, così come il boicottaggio che prende di mira Israele. La nostra amministrazione è impegnata a lavorare con Israele e con i nostri comuni alleati nella regione verso una maggiore sicurezza e stabilità. Ciò include lavorare per un accordo di pace tra Israele e i palestinesi. Gli Stati Uniti incoraggeranno un accordo di pace, e veramente un grande accordo. Lavoreremo su questo con molto, molto impegno. E’ molto importante anche per me – qualcosa che vogliamo fare. Ma sono le stesse parti in causa che devono negoziare direttamente un accordo. Noi staremo dietro di loro; lavoreremo con loro.

Come per ogni negoziato che abbia successo, entrambe le parti dovranno arrivare a compromessi. Lo sa, giusto? (risate)

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Entrambe le parti.

IL PRESIDENTE TRUMP: Voglio che il popolo israeliano sappia che gli Stati Uniti stanno dalla parte di Israele nella lotta contro il terrorismo. Come lei sa, primo ministro, le nostre due Nazioni condanneranno sempre gli atti di terrorismo. La pace richiede che le Nazioni rispettino la dignità della vita umana e siano una voce per tutti coloro che sono in pericolo e dimenticati.

Questi sono gli ideali a cui tutti aspiriamo e sempre aspireremo e per cui siamo impegnati. Questo sarà il primo di molti altri incontri produttivi. E io, di nuovo, primo ministro, la ringrazio molto per essere con noi oggi.

Grazie, primo ministro.

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Presidente Trump, la ringrazio per l’ospitalità davvero molto calorosa, che lei e Melania avete dimostrato nei miei confronti, nei confronti di mia moglie Sara e di tutta la nostra delegazione. Per me, per lo Stato di Israele, è stato così chiaramente evidente nelle parole che ha appena detto – che Israele non ha nessun miglior alleato degli Stati Uniti. E voglio assicurarle che gli Stati Uniti non hanno nessun migliore alleato che Israele.

La nostra alleanza è stata particolarmente forte, ma sotto la sua direzione sono convinto che lo diventerà ancora di più. Sono ansioso di lavorare con lei per potenziare notevolmente la nostra alleanza in ogni campo – nella sicurezza, nella tecnologia, nell’informatica e nel commercio, e in molti altri settori. E io sicuramente accolgo con favore la sua sincera richiesta che Israele venga trattato in modo corretto nei contesti internazionali e che le calunnie e il boicottaggio di Israele siano fortemente avversati dal potere e dalla posizione morale degli Stati Uniti d’America.

Come lei ha detto, la nostra alleanza si basa su un legame profondo di valori e interessi comuni. E, sempre più, questi valori ed interessi sono sotto attacco da parte di una forza malvagia: il terrorismo radicale islamico. Signor presidente, lei ha mostrato grande chiarezza e coraggio nell’affrontare la sfida a viso aperto. Lei chiede di affrontare il regime terroristico iraniano, impedendo all’Iran di realizzare questo terribile affare dell’ arsenale nucleare. E lei ha detto che gli Stati Uniti sono impegnati a impedire che l’Iran abbia armi nucleari. Lei invoca la sconfitta dell’ISIS. Credo che, sotto la sua guida, potremo contrastare la crescente marea dell’Islam radicale. E in questo grande compito, come in molti altri, Israele ed io saremo con lei.

Signor presidente, nello sconfiggere l’Islam militante, possiamo cogliere un’opportunità storica – perché, per la prima volta nella mia vita, e per la prima volta nella storia del mio Paese, Paesi arabi della regione non vedono Israele come un nemico, ma sempre più come un alleato. E credo che sotto la sua direzione questo cambiamento nella nostra regione crei un’opportunità senza precedenti per rafforzare la sicurezza e promuovere la pace.

Cogliamo insieme questo momento. Rafforziamo la sicurezza. Chiediamo nuovi orizzonti di pace. Portiamo la straordinaria alleanza tra Israele e gli Stati Uniti a livelli ancora maggiori.

Grazie. Grazie, signor presidente.

IL PRESIDENTE TRUMP: Grazie, grazie ancora.

Risponderemo ad alcune domande. David Brody, Televisione Cristiana [CBN, televisione evangelica di destra. Ndtr.]. David.

D.: Grazie, signor presidente, signor primo ministro. Entrambi avete criticato l’accordo nucleare con l’Iran e talvolta avete anche chiesto di annullarlo. Mi chiedo se non siate preoccupati per quanto riguarda non solo il consigliere per la sicurezza nazionale, Michael Flynn, che da poco non è più qui, ma anche alcuni di quei fatti che si sono verificati in Russia riguardo alle comunicazioni – se questo non stia ostacolando del tutto questo accordo, e se ciò impedirà all’Iran di diventare uno Stato nucleare oppure no.

E in secondo luogo, riguardo alle colonie, siete entrambi sulla stessa lunghezza d’onda? Come definite esattamente quanto riguarda la questione delle colonie? Grazie.

IL PRESIDENTE TRUMP. Michael Flynn, il generale Flynn, è una persona stupenda. Penso che sia stato trattato in modo veramente, veramente scorretto dai media – come li chiamo io, i media bugiardi, in molti casi. E penso che sia stata veramente una cosa triste che sia stato trattato così male. Penso, inoltre, anche da parte dell’intelligence – sono filtrati documenti, sono stati divulgati dei fatti. Sono azioni criminali, e ciò è continuato per molto tempo – prima di me. Ma ora continua, e ci sono persone che stanno cercando di utilizzarle come alibi per la terribile sconfitta dei democratici con Hillary Clinton.

Penso che sia veramente, veramente scorretto quello che è succeso al generale Flynn, il modo in cui è stato trattato, e i documenti che sono stati illegalmente – lo sottolineo – illegalmente divulgati. Molto, molto scorretto.

Il merito alle colonie, vorrei che vi soffermaste un attimo sugli insediamenti. Troveremo una soluzione. Ma vorrei che si facesse un accordo. Penso che si farà un accordo. So che ogni presidente lo avrebbe voluto. La maggior parte di loro non ha iniziato fino a fine [mandato] perché non ha mai pensato che fosse possibile. E non è stato possibile perchè non l’hanno fatto.

Ma Bibi [Netanyahu] ed io ci conosciamo da molto tempo – un uomo abile, grande negoziatore. E penso che stiamo per raggiungere un accordo. Potrebbe essere un accordo più complessivo e migliore di quanto le persone in questa stanza abbiano mai sentito parlare. E’ possibile. Per cui state a vedere quello che faremo.

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Proviamoci.

IL PRESIDENTE TRUMP: Non sembra molto ottimista, ma -(Risate) – è un buon negoziatore.

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Questa è “l’arte dell’accordo.” (Risate)

IL PRESIDENTE TRUMP: Voglio anche ringraziare – voglio anche ringraziare – Sara, per favore, ti puoi alzare? Su sei così adorabile e sei stata così carina con Melania. Lo apprezzo moltissimo. (Applausi). Grazie. E’ il tuo turno.

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Sì, prego, andiamo avanti.

D. Molte grazie. Signor presidente, nella sua visione per la nuova pace in Medio Oriente lei è pronto ad abbandonare la nozione della soluzione dei due Stati che è stata adottata dalla precedente amministrazione? E lei sarà disposto ad ascoltare idee diverse dal primo ministro, come alcuni dei suoi alleati gli stanno chiedendo di fare, per esempio, l’annessione di parti della Cisgiordania e nessuna limitazione per la costruzione delle colonie? E un’altra domanda: sta per concretizzare la sua promessa di spostare l’ambasciata USA in Israele a Gerusalemme? E se è così, quando?

E, signor primo ministro, lei è venuto qui stasera per dire al presidente che sta facendo marcia indietro rispetto alla soluzione dei due Stati?

Grazie.

IL PRESIDENTE TRUMP: Sto guardando ai due Stati e allo Stato unico, e mi piace la soluzione che piace alle due parti. (Risate). Sono molto contento di quello che piace alle due parti. Posso accettare una o l’altra.

Ho pensato per un momento che quella dei due Stati sembrasse la più facile per entrambi. Ma onestamente, se Bibi e i palestinesi – se Israele e i palestinesi sono contenti, sono contento di quella che loro preferiscono.  

Riguardo allo spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme, mi piacerebbe che succedesse. Ce ne stiamo occupando molto, molto seriamente. Ce ne stiamo occupando con molta attenzione – molta attenzione, credetemi. E staremo a vedere cosa succede. Va bene?

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Grazie. Ieri ho letto che un funzionario americano ha detto che se chiedi a cinque persone a cosa assomiglierebbero due Stati, otterresti otto risposte diverse. Signor presidente, se lei chiede a cinque israeliani, avrà in cambio 12 risposte diverse. (Risate).

Ma piuttosto che occuparmi di etichette, voglio occuparmi di sostanza. E’ ciò che ho sperato di fare per anni in un mondo che è assolutamente ossessionato dalle etichette e non dalla sostanza. Per cui ecco la sostanza: ci sono due prerequisiti che ho esposto due anni fa – parecchi anni fa, e non sono cambiati.

Primo, i palestinesi devono riconoscere lo Stato ebraico. Devono smettere di chiedere la distruzione di Israele. Devono smettere di formare il loro popolo per la distruzione di Israele

Secondo, in qualunque accordo di pace, Israele deve conservare il controllo predominante per la sicurezza sull’intera zona ad ovest del fiume Giordano. Perché se non l’abbiamo, sappiamo quello che succederà – perché altrimenti avremo un altro Stato terroristico radicale islamico nelle zone palestinesi che farà esplodere la pace, farà esplodere il Medio Oriente.

Ora, sfortunatamente, i palestinesi rifiutano categoricamente entrambi i prerequisiti per la pace. Primo, continuano a sostenere la distruzione di Israele – nelle loro scuole, nelle moschee, nel libri di testo. Dovete leggerli per crederci.

Negano persino, signor presidente, il nostro legame storico con la nostra patria. E penso che dovreste chiedervi: perché – perché gli ebrei sono chiamati così? Bene, i cinesi sono chiamati cinesi perchè vengono dalla Cina. I giapponesi sono chiamati giapponesi perchè vengono dal Giappone. Bene, gli ebrei sono chiamati giudei perché vengono dalla Giudea. E’ la nostra terra ancestrale. Gli ebrei non sono colonialisti stranieri in Giudea.

Perciò, sfortunatamente, non solo i palestinesi negano il passato, ma avvelenano anche il presente. Danno il nome di assassini di massa, che hanno ucciso israeliani, a pubbliche piazze, e devo dire che hanno assassinato anche americani. Finanziano – danno sussidi mensili a famiglie di assassini, come la famiglia del terrorista che ha ucciso Taylor Force, un magnifico giovane americano, un laureato di West Point, che è stato accoltellato a morte mentre visitava Israele.

Perciò questa è la fonte del conflitto – il costante rifiuto palestinese di riconoscere lo Stato ebraico all’interno di qualunque confine: questo costante rifiuto. Questa è la ragione per cui non abbiamo la pace. Ora, ciò deve cambiare. Voglio che cambi. Non solo non ho abbandonato questi due prerequisiti per la pace; sono diventati ancora più importanti a causa della crescente ondata di fanatismo che ha travolto il Medio Oriente ed ha anche, sfortunatamente, infettato la società palestinese.

Quindi voglio che questo cambi. Voglio questi due prerequisiti per la pace – sostanza, non etichette – voglio che siano reintrodotti. Ma se qualcuno pensa che io, in quanto primo ministro di Israele, responsabile della sicurezza del mio Paese, voglia ciecamente andare verso uno Stato palestinese terrorista che vuole la distruzione del mio Paese, si sbaglia di grosso.

I due prerequisiti per la pace – riconoscimento dello Stato ebraico e le necessità di sicurezza di Israele a ovest del Giordano- rimangono in vigore. Dobbiamo cercare nuove vie, nuove idee su come ripristinarli e come mandare avanti la pace. E io credo che la grande opportunità per la pace venga da un approccio regionale che coinvolga i nostri nuovi alleati arabi nella ricerca di una pace più complessiva e una pace con i palestinesi.

E io sono ansioso di discuterne nei dettagli con lei, signor presidente, perché penso che se lavoriamo insieme, abbiamo una possibilità.

IL PRESIDENTE TRUMP: E ne abbiamo discusso, ed è una cosa che è molto diversa, che non è mai stata discussa prima. Ed è veramente una faccenda molto più grande, molto più importante, in un certo senso. Coinvolgerà molti, molti Paesi e coprirà un territorio molto ampio. Per cui non sapevo che stesse per parlarne, ma è così e questo è… ora che lo ha fatto, penso che sia una cosa enorme e che abbiamo una collaborazione veramente buona da popoli che in passato non avrebbero mai, non hanno mai neanche pensato di farlo. Per cui vedremo come questo funzionerà.

Katie di Townhall [sito conservatore di notizie. Ndtr.]. Dov’è Katie? Là. Katie.

D. Grazie, signor presidente. Nelle sue considerazioni iniziali lei ha detto che entrambe le parti dovranno arrivare a compromessi quando si arriverà a un accordo di pace. Lei ha menzionato un blocco alle colonie. Ci può esporre qualche altro compromesso specifico a cui lei sta pensando, sia per gli israeliani che per i palestinesi?

E, signor primo ministro, che cosa si aspetta dalla nuova amministrazione su come modificare l’accordo nucleare con l’Iran o annullarlo del tutto, e come lavorare complessivamente con la nuova amministrazione per combattere la crescente aggressività dell’Iran, non solo negli ultimi mesi ma anche negli ultimi due anni?

IL PRESIDENTE TRUMP: E’ davvero una domanda interessante. Penso che gli israeliani debbano dimostrare una certa flessibilità, il che è difficile, difficile da fare. Dovranno dimostrare il fatto che vogliono davvero fare un accordo. Penso che il nostro nuovo concetto che abbiamo discusso in effetti per un po’ di tempo è qualcosa che consenta loro di mostrare maggiore flessibilità di quella che hanno avuto in passato perché c’è un canovaccio molto più ampio da recitare. E penso che lo faranno.

Penso che a loro piacerebbe molto arrivare ad un accordo o non sarei contento e non sarei qui e non sarei così ottimista. Io penso davvero che loro – posso dire dal punto di vista di Bibi e di Israele, credo davvero che vogliano fare un accordo e che vogliano vedere un grande accordo.

Penso che i palestinesi debbano liberarsi di parte dell’odio che hanno insegnato loro fin dall’infanzia. Hanno insegnato loro un odio terribile. Ho visto quello che insegnano. E tu puoi parlare anche lì di flessibilità, ma iniziano dalla tenera età e nelle scuole. E devono riconoscere Israele – dovranno cominciare a farlo. Non c’è modo di fare un accordo se non sono disposti a riconoscere un Paese veramente grande e importante. E penso che saranno disponibili anche a questo. Ma ora credo anche, Katie, che avremo altri attori ad un livello molto alto, e penso che ciò renderà più facile sia ai palestinesi che a Israele ottenere qualcosa.

Va bene? Grazie. Domanda molto interessante. Grazie.

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Lei ha chiesto dell’Iran. Una cosa è impedire che l’Iran abbia armi nucleari – una cosa che il presidente Trump ed io crediamo di essere molto impegnati a fare. E noi stiamo naturalmente per discutere di questo.

Oltre a questo penso che il presidente Trump abbia guidato un’importante iniziativa nelle ultime settimane, appena ha assunto la presidenza. Ha sottolineato che ci sono violazioni, violazioni iraniane sui test dei missili balistici. Tra l’altro su questi missili balistici c’è scritto in ebraico “Israele deve essere distrutto.” Il palestinese… anzi, il ministro degli Esteri iraniano Zafir ha affermato, bene, i nostri missili balistici non sono pensati contro nessun Paese. No. Scrivono sul missile in ebraico: “Israele deve essere distrutto.”

Per cui sfidare l’Iran sulle sue violazioni in merito ai missili balistici, imporre sanzioni contro Hezbollah [gruppo armato sciita libanese. Ndtr.], impedirglielo, far pagare a loro per il terrorismo che fomentano in tutto il Medio Oriente ed altrove, molto al di là [del Medio Oriente] – credo che sia un cambiamento che è chiaramente evidente da quando il presidente Trump ha assunto la presidenza. Ne sono lieto. Penso che sia – lasciatemelo dire molto esplicitamente: credo che sia molto tardi, e penso che se lavoriamo insieme – e non solo gli Stati Uniti e Israele, ma molti altri nella regione che vedono in faccia le grandi dimensioni e il pericolo della minaccia iraniana, allora ritengo che possiamo respingere l’aggressività iraniana e il pericolo. E si tratta di qualcosa che è importante per Israele, per gli Stati arabi, ma penso che sia di vitale importanza per l’America. Quei tizi stanno sviluppando ICBM [missili balistici intercontinentali]. Stanno sviluppando – vogliono arrivare ad avere un arsenale nucleare, non una bomba, centinaia di bombe. E vogliono avere la capacità di lanciarli ovunque sulla terra, compreso, e soprattutto, un giorno, sugli Stati Uniti.

Quindi è una cosa importante per tutti noi. Mi rallegro del cambiamento, e intendo lavorare con il presidente Trump molto da vicino in modo che possiamo contrastare questo pericolo.

IL PRESIDENTE TRUMP: Ottimo. Avete qualcun altro?

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Moav?

D. Signor presidente, a partire dalla sua campagna elettorale ed anche dopo la sua vittoria, abbiamo assistito ad un’impennata di incidenti antisemiti negli Stati Uniti. E mi chiedo cosa lei dica a quelli, tra la comunità ebraica negli Stati Uniti, e in Israele, e forse in tutto il mondo, che credono e sentono che la sua amministrazione sta giocando con la xenofobia e forse con toni razzisti.

E, signor primo ministro, lei è d’accordo con quello che ha appena detto il presidente in merito alla necessità per Israele di limitare o bloccare l’attività di colonizzazione in Cisgiordania? E una piccola aggiunta alle domande del mio amico – una semplice domanda: ha abbandonato la sua visione per la fine del conflitto della soluzione dei due Stati, come l’ha enunciata nel discorso di Bar-Ilan [università israeliana. Ndtr.], o lei continua ad appoggiarla? Grazie.

IL PRESIDENTE TRUMP: Voglio solo dire che siamo molto onorati dalla vittoria che abbiamo avuto – 306 voti del collegio elettorale. Non pensavamo di superare i 220. Lo sa, vero? Non c’era modo di arrivare a 221, ma allora hanno detto che non si poteva arrivare a 270. E c’è un enorme entusiasmo in giro.

Dirò che stiamo per avere pace in questo Paese. Stiamo per porre fine al crimine in questo Paese. Stiamo per fare ogni cosa in nostro potere per porre fine al razzismo a lungo covato e ad ogni altra cosa che sta succedendo, perché molte cose malvagie sono successe per un lungo periodo di tempo.

Credo che una delle ragioni per cui ho vinto le elezioni è che abbiamo una Nazione molto, molto divisa. Molto divisa. E, auspicabilmente, sarò in grado di fare qualcosa a questo proposito. E, sapete, è stata una cosa molto importante per me.

Riguardo alla gente – gli ebrei- molti amici, una figlia che è appena arrivata qui, un genero e tre bellissimi nipoti. Penso che vedrete degli Stati Uniti molto diversi nei prossimi tre, quattro o otto anni. Penso che avverranno molte cose buone, e state per vedere molto amore. State per vedere molto amore. Va bene? Grazie.

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Credo che la questione delle colonie non sia al centro del conflitto, né lo stia davvero guidando. Penso che sia un problema, deve essere risolto nel contesto dei negoziati di pace. E penso che dobbiamo parlare anche di questo, il presidente Trump ed io, in modo da arrivare ad una comprensione, quindi non dobbiamo continuare a scontrarci tutto il tempo su questo problema. E stiamo per discuterne.

Sulla domanda che ha fatto, lei con la sua domanda è proprio tornato sul problema di cui ho parlato. E’ l’etichetta. Cosa intende Abu Mazen per due Stati, va bene? Cosa intende? Uno Stato che non riconosce lo Stato ebraico? Uno Stato che è fondamentalmente disposto ad attacchi contro Israele? Di cosa stiamo parlando? Stiamo parlando del Costarica, o stiamo parlando di un altro Iran?

Quindi ovviamente ciò significa cose diverse. Vi ho detto quali sono le condizioni che credo siano necessarie per un accordo: sono il riconoscimento dello Stato ebraico e il controllo della sicurezza di Israele- di Israele – nell’intera area. Altrimenti stiamo solo fantasticando. Altrimenti avremo un altro Stato fallito, un’altra dittatura islamista terrorista che non lavorerà per la pace ma per distruggerci, ma anche per distruggere ogni speranza – ogni speranza – per un futuro pacifico per il nostro popolo.

Quindi sono stato molto chiaro in merito a queste condizioni, e non sono cambiate. Non ho cambiato. Se lei legge quello che ho detto otto anni fa, è proprio questo. E l’ho ripetuto ancora e ancora e ancora. Se lei vuole occuparsi di etichette, si occupi di etichette. Io mi occuperò di cose concrete.

E in conclusione, se posso rispondere a qualcosa che conosco per esperienza personale. Conosco da molti anni il presidente Trump, e per accennare a lui e alla sua gente – i suoi collaboratori, alcuni dei quali conosco, anche loro, da molti anni. Posso rivelare, Jared, da quanto ti conosco? (Risate.) Bene, non è mai stato piccolo. E’ sempre stato grande. E’ sempre stato alto.

Ma io conosco il presidente e la sua famiglia e i suoi collaboratori da molto tempo, e non c’è maggior sostenitore del popolo ebraico e dello Stato ebraico del presidente Donald Trump. Penso che dovremmo smetterla con questa storia.

IL PRESIDENTE TRUMP: Molte grazie. Molto gentili. Lo apprezzo molto.

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Grazie.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Opinione. Addio al linguaggio ambiguo: la terrificante visone di Israele per il futuro

L’ostinazione di Israele lascia palestinesi e israeliani con un’unica alternativa: uguale cittadinanza in uno Stato unico o un’orrenda apartheid e altra pulizia etnica

di Ramzy Baroud – Counterpunch

Ramallah, 17 febbraio 2017, Nena News

Le prove storiche empiriche combinate con un po’ di buon senso sono abbastanza per dirci il tipo di opzioni future che Israele ha nel cassetto per il popolo palestinese: apartheid perpetua o pulizia etnica, o un mix di entrambe.

L’approvazione della “Regularization Bill” del 6 febbraio è tutto quello di cui abbiamo bisogno per immaginare il futuro ideato da Israele. La nuova legge permette al governo israeliano di riconoscere retroattivamente gli avamposti ebraici costruiti senza permesso ufficiale su terra privata palestinese.

Tutte le colonie – quelle ufficialmente riconosciute e gli avamposti non autorizzati – sono illegali secondo il diritto internazionale. Tale verdetto è passato numerose volte alle Nazioni Unite e, più recentemente, riaffermato con chiarezza inequivocabile dalla risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza.

La risposta di Israele è stata l’annuncio della costruzione di oltre 6mila nuove case da costruire nei Territori Palestinesi Occupati, la costruzione di una colonia nuova di zecca (la prima in 20 anni) e la nuova legge che pavimenta la strada all’annessione di ampie porzioni della Cisgiordania occupata.

Indubbiamente la legge è “l’ultimo chiodo nella bara della soluzione a due Stati”, ma questo non è importante. Non ha mai interessato Israele, quanto meno. Le chiacchiere su una soluzione sono state mero fumo negli occhi per quanto riguardava Israele. Tutti i “dialoghi di pace” e l’intero “processo di pace”, anche quando era al suo apice, raramente hanno rallentano i bulldozer israeliani, la costruzione di altre case per ebrei o messo fine alla pulizia etnica incessante dei palestinesi.

Su Newsweek Diana Buttu descrive come il processo di costruzione delle colonie è sempre, sempre accompagnato dalla demolizione di case palestinesi. 140 strutture palestinesi sono state demolite dall’inizio del 2017, secondo l’agenzia Onu Ocha.

Da quando Donal Trump ha giurato, Israele si è sentito liberato dell’obbligo del linguaggio ambiguo. Per decenni, i funzionari israeliani hanno parlato appassionatamente di pace e hanno fatto tutto quello che potevano per ostacolare il suo raggiungimento. Adesso, semplicemente se ne fregano. Punto.

Avevano perfezionato il loro comportamento equilibrato semplicemente perché dovevano farlo, perché Washington se lo aspettava, lo chiedeva. Ma Trump gli ha dato un assegno in bianco: fate quello che vi piace; le colonie non sono un ostacolo alla pace, Israele è stato “trattato molto, molto ingiustamente” e io correggerò quest’ingiustizia storica, e così via. Quasi subito dopo l’avvento di Trump alla presidenza il 20 gennaio scorso, le maschere sono cadute.

Il 25 gennaio il vero Benjamin Netanyahu è riemerso, dichiarando con invidiabile sfrontatezza: “Noi stiamo costruendo e continueremo a costruire” colonie illegali.

Cosa c’è altro da discutere con Israele a questo punto? Nulla. La sola soluzione che interessa a Israele è la “soluzione” di Israele, sempre guidata dal cieco supporto americano e l’inutilità europea e sempre imposta ai palestinesi e agli altri paesi arabi, se necessario con la forza.

I guardiani della grande farsa della soluzione dei due Stati, chi astutamente ha costruito il “processo di pace” e ha danzato su ogni ritmo israeliano è ora frastornato. Sono stati esclusi dai terrificanti piani di Israele che spara la sua “soluzione” dritto in mezzo agli occhi, lasciando ai palestinesi la scelta tra l’assoggettamento, l’umiliazione e l’imprigionamento.

Jonathan Cook ha ragione. La nuova legge è il primo passo verso l’annessione della Cisgiordania o, almeno, di buona parte. Una volta che i piccoli avamposti saranno legalizzati, dovranno essere fortificati, (“naturalmente”) espansi e protetti. L’occupazione militare, in auge da 50 anni, non sarà più temporanea e reversibile. La legge civile continuerà ad essere applicata agli ebrei nei Territori Palestinesi Occupati e quella militare ai palestinesi occupati.

È l’esatta definizione di apartheid, nel caso ve lo stesse ancora chiedendo.

Per raggiungere i “bisogni di sicurezza” dei coloni, altre by-pass road per soli ebrei saranno costruite, altri muri eretti, altri cancelli per tenere lontani i palestinesi dalle loro terre, dalle scuole e dalle fonti di sussistenza saranno messi su, altri checkpoint, altra sofferenza, altro dolore, altra rabbia e altra violenza.

Questa è la visione di Israele. Anche Trump è più frustrato dalla sfacciataggine e l’audacia israeliane. Ha chiesto ad Israele in un’intervista con il quotidiano Israel Hayom di “essere più ragionevole con il rispetto per la pace”. “C’è molta terra ancora. E ogni volta che la prendete per le colonie, ce n’è di meno”, ha detto Trump. Ha frenato sulla promessa di trasferire l’ambasciata Usa e l’espansione senza controllo delle colonie, perché realizza che Netanyahu e i suoi sostenitori negli Stati Uniti lo hanno lasciato su un baratro e ora gli chiedono di saltare.

Ma ha poca importanza. Che Trump rimanga sulla sua posizione estremamente pro-israeliana o cambi marcia verso una più annacquata simile a quella del suo predecessore Obama, la realtà probabilmente non cambierà, perché solo Israele è alla fine autorizzato a influenzarne i risultati.

L’approvazione dei parlamentari israeliani della legge è, infatti, la fine di un’era. Abbiamo raggiunto il punto in cui possiamo apertamente dichiarare che il cosiddetto “processo di pace” è stato un’illusione fin dall’inizio, perché Israele non ha mai avuto intenzione di concedere Cisgiordania e Gerusalemme est ai palestinesi.

La leadership palestinese è difficilmente innocente in tutto ciò. Il più grave errore che i leader palestinesi hanno commesso (a parte la loro disgraziata divisione) è stato quello di aver creduto che gli Stati Uniti, il principale sponsor israeliano, avrebbero gestito un “processo di pace” che ha garantito a Israele tempo e risorse per terminare i propri progetti coloniali, devastando i diritti e le aspirazioni politiche palestinesi.

Ritornando agli stessi vecchi canali, usando lo stesso linguaggio, cercando la salvezza nell’altare della stessa vecchia soluzione a due Stati non si otterrà nulla se non lo spreco di altro tempo e altra energia.

Ma le umilianti opzioni di Israele per i palestinesi possono essere anche lette in un altro modo. Infatti, è l’ostinazione di Israele che oggi lascia i palestinesi (e gli israeliani) con un’unica alternativa: uguale cittadinanza in uno Stato unico o un’orrenda apartheid e altra pulizia etnica.

Con le parole dell’ex presidente Jimmy Carter, “Israele non troverà mai la pace fino a quando non permetterà ai palestinesi di esercitare i loro diritti fondamentali umani e politici”. Il “permesso” israeliano è lontano dall’arrivare, lasciando la comunità internazionale con la responsabilità morale di pretenderlo. Nena News

Traduzione a cura della redazione di Nena News




‘Un assassinio’: i palestinesi chiedono di agire contro la legge israeliana del furto di terre

di Sheren Khalel, 7 febbraio 2017,Middle East Eye

Le autorità affermano che lo scopo della legge che consente ad Israele di espropriare le proprietà palestinesi è l’annessione della maggior parte della Cisgiordania, e chiedono sanzioni internazionali.

BETLEMME, Cisgiordania occupata – Martedì la Knesset (parlamento) israeliana è stata accusata di “assassinare” le prospettive di un accordo di pace per due Stati, dal momento che i palestinesi, la comunità internazionale e le associazioni israeliane per i diritti umani hanno condannato l’approvazione del disegno di legge volto a legalizzare l’esproprio di terre di proprietà privata palestinese nella Cisgiordania e a Gerusalemme est, illegalmente occupate.

Il voto, che è passato con 60 a favore contro 52, è stato portato in aula pochi giorni dopo che le forze israeliane avevano evacuato l’avamposto israeliano di Amona, in seguito a una sentenza della Corte Suprema israeliana.

La decisione è stata applaudita da membri della destra israeliana, come Shuli Moalem-Refaeli – capo del partito Casa Ebraica (di estrema destra, ndtr.) ed uno dei co-promotori del disegno di legge – che, come riportato dal quotidiano israeliano Haaretz, ha detto che la legge significa che gli israeliani residenti nelle colonie ‘non saranno più un obbiettivo delle organizzazioni estremiste di sinistra che intendono distruggere e danneggiare le colonie’.

Ma Mustafa Barghouti, leader del movimento ” Iniziativa Nazionale Palestinese”, ha detto a Middle East Eye che la legge ha rappresentato un punto di svolta nei rapporti tra palestinesi e israeliani.

Questa legge è un assassinio della soluzione dei due Stati”, ha detto Barghouti. “E’ un atto che mira all’annessione della maggior parte della terra in Cisgiordania.”

Mentre le autorità israeliane avevano già la possibilità di confiscare terre palestinesi sotto il pretesto della sicurezza, come anche della dichiarazione di utilizzo come terra dello Stato, adesso la nuova legge significa che la terra di proprietà privata palestinese può essere confiscata esclusivamente per la costruzione di colonie, il che è giudicato illegale dal diritto internazionale.

Sono certo che il prossimo passo di Israele sarà l’annessione della colonia di Maale Adumim”, ha detto Barghouti, riferendosi ad una colonia israeliana illegale situata nella zona E1 (a nord est di Gerusalemme, ndtr.) della Cisgiordania occupata.

In altri termini, Israele sta legalizzando le colonie con l’intenzione di annetterle a Israele, che è ciò che avverrà adesso.”

Le previsioni di Barghouti sono in linea con (quanto affermato dal) deputato israeliano Bezalel Smotrich, un altro co-promotore della legge, che l’ha definita “un passo storico verso il completamento di un processo che intendiamo avviare; l’applicazione della piena sovranità israeliana su tutte le città e le comunità in Giudea e Samaria [il termine usato dal governo di Israele per indicare la Cisgiordania].”

L’approvazione della legge segna la prima volta che la Knesset approva una legge che esercita giurisdizione sulla Cisgiordania.

Motivo di sanzioni’

Questa legge è senza dubbio motivo di sanzioni da parte della comunità internazionale”, ha detto Barghouti.

E adesso non vi sono giustificazioni per l’Autorità Nazionale Palestinese per rimandare un deferimento alla Corte Penale Internazionale – davanti a cui Israele dovrebbe comparire –; ogni mancanza di azioni punitive contro Israele dovrebbe ora essere ritenuta un’accettazione delle sue azioni.”

Husam Zumlot, il consigliere per le questioni strategiche del Presidente palestinese Mahmoud Abbas, ha affermato che la prossima mossa a livello politico deve provenire dalla comunità internazionale.

La soluzione dei due Stati è stata sempre un progetto della comunità internazionale che noi abbiamo seguito, ma adesso è necessario che queste questioni, relative a ciò che dovrebbe accadere ora, vengano demandate alla comunità internazionale”, ha detto Zumlot.

La comunità internazionale deve decidere che cosa fare rispetto a questo progetto, perché questa legge è una risposta di Netanyahu alla recente risoluzione delle Nazioni Unite contro le colonie, all’iniziativa della Francia e alla comunità internazionale in generale.”

Zumlot ha aggiunto che l’ Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) ha in programma di “riunirsi immediatamente” per discutere il da farsi.

Quando si riuniranno prenderanno le iniziative necessarie a salvaguardare gli interessi nazionali del popolo”, ha detto.

Abbas, che era a Parigi per colloqui col presidente francese Francois Hollande, ha definito la legge “un attacco contro il nostro popolo”, che va contro gli auspici della comunità internazionale.

Martedì Hanan Ashrawi, membro del comitato esecutivo dell’OLP, ha espresso opinioni analoghe, chiedendo sanzioni ed azioni punitive.

Pulizia etnica’

E’ indispensabile che la comunità internazionale, compresi gli Stati Uniti e l’Unione Europea, assuma le proprie responsabilità morali, umane e giuridiche e metta fine all’illegalità di Israele ed al suo sistema di apartheid e di pulizia etnica”, ha detto.

L’assunzione di responsabilità dovrebbe includere misure punitive e sanzioni, prima che sia troppo tardi.”

Issa Amro, attivista palestinese e fondatore di “Giovani Contro gli Insediamenti”, ha detto a MEE che l’Autorità Nazionale Palestinese dovrebbe intraprendere ogni strada possibile per ottenere appoggio per azioni punitive contro Israele da parte della comunità internazionale, dalla Corte Penale Internazionale alle Nazioni Unite, ed azioni bilaterali degli Stati.

Ha aggiunto che l’ANP dovrebbe anche incoraggiare i palestinesi a manifestare contro la legge nelle strade.

Abbiamo bisogno di praticare la disubbidienza civile”, ha detto Amro. “L’ANP dovrebbe incoraggiare la disubbidienza civile per dimostrare la nostra opposizione alle azioni di Israele.”

L’associazione israeliana per i diritti “B’Tselem” ha definito la legge una “disgrazia per lo Stato e la sua autorità legislativa.”

L’associazione ha dichiarato: “La legge approvata oggi dalla Knesset prova una volta di più che Israele non intende porre fine al suo controllo sui palestinesi o al furto della loro terra”

Approvare la legge poche settimane dopo la risoluzione 2334del Consiglio di Sicurezza [in cui il Consiglio ha condannato l’attività di colonizzazione israeliana come ‘flagrante violazione’ del diritto internazionale] è uno schiaffo in faccia alla comunità internazionale. Se inserire l’esproprio in una legge costituisce uno sviluppo nuovo, in pratica è un altro aspetto del massiccio furto di terra portato avanti sfacciatamente per decenni dichiarandola ‘terra dello Stato’ ”.

Intanto Omar Shakir, direttore per Israele e Palestina di Human Rights Watch, ha affermato che la legge “annulla anni di consolidata legislazione israeliana.”

Intervenendo solo alcune settimane dopo l’unanime approvazione della risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza sull’illegalità delle colonie, la legge rispecchia il palese disconoscimento del diritto internazionale”, ha detto Shakir.

La legge consolida ulteriormente l’attuale realtà di permanente occupazione de facto in Cisgiordania, in cui i coloni israeliani ed i palestinesi che vivono sulla stessa terra sono soggetti a sistemi giuridici, norme e servizi ‘separati ed ineguali.’ ”

Shakir ha concluso la sua dichiarazione con una frecciata alla nascente relazione del presidente USA Donald Trump con Israele, affermando che “i dirigenti israeliani che guidano la politica di colonizzazione dovrebbero sapere che l’amministrazione Trump non può proteggerli dal controllo della Corte Penale Internazionale, dove il procuratore continua ad esaminare l’illegale attività di colonizzazione di Israele.”

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Spiegazione: la nuova legge israeliana sul furto di terre palestinesi e perché è importante.

di Allison Kaplan Sommer – 7 febbraio 2017,Haaretz

Il parlamento israeliano ha votato una legge che espropria terreni privati palestinesi in Cisgiordania. Che cosa cambia la legge, chi è colpito e perché si tratta di una questione così importante?

Che cosa cambia esattamente la nuova legge?

La legge consente ad Israele di espropriare terreni privati palestinesi in Cisgiordania su cui sono stati costruiti insediamenti o avamposti israeliani. Permette ai coloni ebrei di rimanere nelle loro case, benché non conceda loro la proprietà della terra su cui vivono. Nega ai proprietari palestinesi il diritto di reclamare la terra o di prenderne possesso “finché non ci sarà una soluzione diplomatica sullo status dei territori.”

Aspetta – torniamo indietro -, qual è il nome della legge?

Bella domanda. Una parte della confusione che circonda la legge è il suo nome. In ebraico ha ricevuto un nome fuorviante con diverse possibilità di traduzione che confondono – più comunemente, è tradotto come la “Legge di regolarizzazione.”

Tecnicamente, è stata pensata per “regolare la colonizzazione in Giudea e Samaria [la Cisgiordania. ndtr.] e consentirne la continua costruzione e lo sviluppo.” Un nome più esplicito sarebbe, nei fatti, “Legge di esproprio”, in quanto legalizza in modo retroattivo l’esproprio da parte dello Stato di terreni palestinesi di proprietari privati. Gli oppositori della legge avrebbero probabilmente preferito mettere in chiaro le cose in modo ancora più diretto e chiamarla “Legge del Furto” – una legge che legalizza il fatto che i coloni vivano su terre che non sono di loro proprietà.

Perché si tratta di una faccenda così importante? La Cisgiordania non è comunque occupata?

La legge supera un limite che Israele non aveva ancora violato, persino secondo politici di destra come l’ex-ministro del Likud Dan Meridor, che ha definito la legge “cattiva e pericolosa”. Egli sostiene che il parlamento israeliano non ha mai regolato la proprietà privata palestinese in Cisgiordania perché “gli arabi di Giudea e Samaria non votano per la Knesset [il parlamento israeliano. Ndtr.], e questa non ha l’autorità di fare leggi per loro. Sono principi fondamentali di democrazia e delle leggi israeliane.”

Asserisce che, se Israele può essere pienamente sovrano in Cisgiordania, dovrebbe concedere ai palestinesi che vi vivono la cittadinanza e accordare loro il diritto di voto. Fino ad allora, dice, l’autorità israeliana di regolare la [proprietà della] terra in Cisgiordania è limitata solo a ragioni di sicurezza – sia in base alle leggi israeliane che internazionali.

Il procuratore generale di Israele è d’accordo?

Sì. Il procuratore generale Avichai Mandelblit ha dichiarato che se la legge sarà presentata in tribunale, non ha intenzione di difenderla contro argomentazioni secondo cui violerebbe la Quarta Convenzione di Ginevra.

Ciò non ha dissuaso la ministra della Giustizia di Israele, l’estremista di destra Ayelet Shaked, importante esponente del partito Habayit Hayehudi (Casa Ebraica), la forza trainante che sta dietro la legge. Lei sostiene che, se necessario, un procuratore privato rappresenterà il governo in un contenzioso legale che molti esperti giudiziari prevedono si concluderebbe con l’annullamento della legge.

Quante colonie riguarderà la legge?

Secondo Peace Now [organizzazione pacifista israeliana. Ndtr.], al momento la legge consentirà la legalizzazione retroattiva di terre in più di 50 avamposti e colonie.

In 16 di queste sono già stati emessi ordini di demolizione contro case costruite su terreni reclamati da proprietari palestinesi. In base alla nuova legge, ogni azione per mettere in atto questi ordini sarà bloccata per un anno in presenza di procedimenti per definire se lo Stato può appropriarsi della terra.

Ciò include proprietà nelle colonie di Ofra, Eli, Netiv Ha’avot, Kokhav Hashahar, Mitzpe Kramim, Alon Moreh, Ma’aleh Mikhmash, Shavei Shomron, Kedumim, Psagot, Beit El, Yitzhar, Har Bracha, Modi’in Illit, Nokdim e Kokhav Yaakov.

La legge è arrivata troppo tardi per salvare l’avamposto illegale di Amona, che è stato evacuato la scorsa settimana.

Cosa si intende per “al momento”? Se approvata e confermata, la legge permetterebbe in futuro colonie su terreni privati palestinesi?

Potenzialmente sì. La misura permetterebbe al ministero della Giustizia di aggiungere altre colonie e avamposti alla lista delle zone in cui la proprietà può essere confiscata ai palestinesi, con l’approvazione della commissione “Costituzione, Legge e Giustizia” della Knesset.

I proprietari palestinesi sulle cui terre vivono coloni sono indennizzati? E in questo caso, come?

In base alla nuova legge, i proprietari palestinesi hanno una scelta: se possibile, gli viene assegnato un altro appezzamento di terreno. Sennò, saranno pagati con un compenso annuale per l’utilizzo del 125% del valore del terreno, come stabilito da una commissione di valutazione per periodi rinnovabili di 20 anni. A meno che, in uno scenario ottimistico, intervenga un accordo di pace che riguardi lo spostamento delle colonie israeliane dalla loro terra.

Perché tutto questo suona così familiare? Il governo non ha lottato su questa questione per molto tempo?

La legge ha superato i primi ostacoli legislativi in novembre e dicembre, ma è stata in seguito differita e rinviata per varie ragioni. La ragione principale è stata la preoccupazione del primo ministro Benjamin Netanyahu in merito alle mosse di fine mandato dell’amministrazione Obama (ed effettivamente i consiglieri di Obama hanno considerato la legge parzialmente responsabile dell’astensione al Consiglio di Sicurezza dell’ONU) e il suo timore di iniziare con il piede sbagliato i rapporti con l’amministrazione Trump.

La legge è stata fortemente sostenuta dal ministro dell’Educazione Naftali Bennett. Quando Bennett l’ha presentata per la prima volta, Netanyahu ha definito la sua fretta “infantile ed irresponsabile” e il ministro della Difesa Avigdor Lieberman [del partito di estrema destra “Israele Casa Nostra”. Ndtr.] ha detto a Bennett che stava “mettendo in pericolo il futuro dell’impresa di colonizzazione per un capriccio elettoralistico.”

Quindi, come mai è stata ripresa e perché il voto all’ultimo momento lunedì a tarda notte?

E’ stato detto dall’amministrazione Trump a Netanyahu di non fare mosse significative prima del suo appuntamento programmato con il presidente per il 15 febbraio. Ha utilizzato ciò per sostenere la causa della dilazione del voto di lunedì durante un incontro con i dirigenti dei partiti della coalizione il giorno precedente. Ma Bennett e Shaked, sottoposti ad una tremenda pressione da parte della loro base per andare avanti con decisione con la legge prima che [l’avamposto di] Amona venisse smantellato, hanno rifiutato ogni ulteriore rinvio.

Incapace di bloccare ulteriormente la legge, l’unica cosa che Netanyahu ha potuto fare è stato “fare un rapporto” a Trump – fargli sapere che [la legge] stava per arrivare, nello stesso giorno in cui ha dovuto ascoltare da parte della prima ministra britannica Theresa May che la legge non sarebbe  “utile” e renderebbe le cose più difficili per gli amici di Israele. E – presumibilmente per salvarsi la faccia con i suoi sostenitori di destra, che chiaramente Bennett spera di portargli via – Netanyahu ha fatto marcia indietro, negando di aver tentato di rimandare il voto.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Migliaia di arabi ed ebrei marciano insieme a Tel Aviv contro il razzismo e le demolizioni di case

  1. Nota redazionale: nel presente articolo gli autori utilizzano costantemente ed esclusivamente i termini “arabo/i” ed “ebreo/i” intendendo “palestinesi con cittadinanza israeliana” e “israeliani ebrei”. Si tratta del modo in cui sono solitamente denominati i due gruppi in Israele. Pur non condividendo questo modo di definirli, per correttezza rispetto agli autori abbiamo conservato queste categorie anche nella traduzione.

Inoltre sulla morte del palestinese ucciso durante l’evacuazione del villaggio beduino viene riportata solamente la versione della polizia contraddetta da testimonianze e da un video.

di Jack Khoury e Or Kashti |. 5 febbraio 2017 | Haaretz

I promotori sostengono che la protesta, in cui i discorsi sono stati fatti in arabo e in ebraico, è una nuova fase della lotta civile di ebrei e arabi.

Migliaia di persone, arabi ed ebrei, hanno marciato sabato sera [4 febbraio 2017] a Tel Aviv in una manifestazione di protesta contro le demolizioni di case delle scorse settimane a Kalansua e a Umm al-Hiran e contro ulteriori misure di demolizione di altre case.  

Gli organizzatori hanno detto che circa 5000 manifestanti hanno partecipato al corteo, che è iniziato all’incrocio tra le due strade King George ed Allenby e si è concluso nella piazza Dizengoff.

Alcune associazioni ebraiche e arabe hanno partecipato all’organizzazione della protesta, che i promotori hanno definito come una nuova fase della lotta civile degli ebrei e degli arabi. I discorsi sono stati fatti in arabo e in ebraico e i dimostranti hanno sventolato sia bandiere israeliane che palestinesi.

Amal Abu Sa’ad, la vedova di Yakub Abu al-Kiyan, che è stato ucciso il mese scorso durante le operazioni di demolizione delle case illegali del villaggio beduino non autorizzato di Umm al-Hiran, nel Negev , ha parlato ai manifestanti: “È importante per me essere qui e parlarvi e trasmettere il messaggio al primo ministro e ai suoi ministri. Nonostante la vostra rozza istigazione, il razzismo e una discriminazione nella legislazione, nella sua applicazione, nelle infrastrutture e nei servizi pubblici, non riuscirete a creare divisioni tra i cittadini del Paese. Voi che siete qui oggi siete la prova che ebrei e arabi possono e vogliono vivere insieme e con uguali diritti.”

Amal Abu Sa’ad ha chiesto al governo di istituire una commissione d’inchiesta indipendente per indagare sull’evacuazione di Umm al-Hiran. Al-Kiyan è stato ucciso dalla polizia quando con la sua auto ha investito e ucciso il sergente maggiore della polizia Erez Levi e ferito un altro graduato.

Il parlamentare Ayman Odeh, leader della Lista Unita [coalizione di partiti della minoranza palestinese in Israele, ndt] ha fatto un discorso e ha detto: “Oggi sono venute qui migliaia di persone, arabi ed ebrei, da tutto il Paese per protestare vivamente contro l’attacco del governo alla popolazione araba, per chiedere l’uguaglianza, il riconoscimento dei villaggi non autorizzati e una commissione d’inchiesta ufficiale dello Stato per analizzare tutti i fatti riguardanti la brutale evacuazione di Umm al-Hiran”

Il parlamentare Dov Khenin (Llista Unita) ha detto: “ Le migliaia di persone che hanno manifestato questa sera a Tel Aviv esprimono una voce di speranza e di intelligenza nei confronti di un governo che sceglie l’istigazione e l’odio. Sappiamo che l’istigazione è l’ultimo rifugio di quelli che hanno fallito.”

L’alto comitato arabo di inchiesta (the Higher Arab Monitoring Committee) ha reso nota la decisione di appellarsi a Israele e all’opinione pubblica internazionale. Centinaia di cittadini ebrei hanno partecipato alle recenti proteste contro le demolizioni di case, ha detto Raja Za’atra di Hadash [partito comunista che fa parte della coalizione Lista Unita , ndt], che presiede il sottocomitato del partito incaricato delle pubbliche relazioni con l’opinione pubblica israeliana.

Za’atra ha detto che dalla costituzione della Lista Unita, un maggior numero di politici della comunità araba ritiene di importanza strategica la costruzione di ponti per il dialogo e la collaborazione con le forze democratiche presenti nella società israeliana. Ha aggiunto che questo è particolarmente vero alla luce dell’aumento del razzismo e dei duri attacchi del primo ministro Benjamin Netanyahu e del suo governo contro la popolazione araba e contro la democrazia.

(traduzione di Carlo Tagliacozzo)




Le colonie e “l’accordo definitivo”: la sorprendente affermazione di Trump su Israele inserita nel contesto

Amir Tibon – 3 febbraio 2017, Haaretz

Cosa c’è, e cosa non c’è, di nuovo nella dichiarazione di Trump sulla costruzione di colonie israeliane.

WASHINGTON – La dichiarazione della Casa Bianca di giovedì che giudica la costruzione di colonie israeliane non utile per la pace è arrivata come una sorpresa e una delusione per alcuni esponenti della destra israeliana, che avevano sperato che l’arrivo al potere di Trump avrebbe segnato la fine della soluzione dei due Stati e una nuova era di appoggio incondizionato della Casa Bianca all’espansione delle colonie israeliane.

La dichiarazione chiarisce che Trump, che ha chiamato “definitivo” l’accordo di pace, condivide il desiderio delle precedenti amministrazioni di far firmare a Israele e ai palestinesi un accordo di pace e si aspetta che il governo israeliano eviti passi che possano danneggiare le prospettive di un simile accordo.

Tuttavia la dichiarazione contiene anche buone notizie per la destra israeliana, in quanto afferma che l’amministrazione Trump non crede che le colonie in sé siano un ostacolo alla pace.

Ogni amministrazione USA negli ultimi 50 anni ha disapprovato l’espansione delle colonie israeliane, temendo che potesse pregiudicare le possibilità di raggiungere un accordo di pace sullo status definitivo. La Casa Bianca di Trump, a quanto pare, chiede solo che Israele non estenda le colonie già esistenti, ma non sta affrontando il problema con lo stesso discorso chiaro che hanno usato amministrazioni precedenti.

Durante i suoi otto anni di governo l’amministrazione Obama ha insistito che le colonie erano il maggior ostacolo per la pace. Nel 2009 Obama ha fatto pressione sul primo ministro Benjamin Netanyahu per il blocco della costruzione di ogni colonia in Cisgiordania per 10 mesi, e, secondo fonti ufficiali israeliane, in quel periodo i collaboratori del presidente avevano messo in guardia Israele che il loro approccio alla costruzione di colonie era “neanche un mattone”.

Gli ultimi due atti della precedente amministrazione riguardo al conflitto israelo-palestinese sono stati l’astensione dal voto del Consiglio di Sicurezza ONU che ha denunciato le colonie e l’attribuzione della maggior parte delle responsabilità per il fallimento dei colloqui di pace alla costruzione delle colonie israeliane. Questa posizione è stata chiaramente espressa dal discorso dell’allora segretario di Stato John Kerry alla fine di dicembre.

L’approccio di Trump sembra essere più vicino a quello dell’amministrazione di George W. Bush, che nel 2004 inviò una lettera ad Israele, allora governato da Ariel Sharon, in cui proclamava che “nuove situazioni sul terreno” avrebbero dovuto essere prese in considerazione in un futuro accordo di pace, e che fosse “irrealistico aspettarsi che il risultato di negoziati sullo status finale sia un pieno e totale ritorno alla linea dell’armistizio del 1949.”

Qualcuno a Gerusalemme e a Washington interpretò questa affermazione come un’autorizzazione da parte dell’amministrazione a costruire nei “blocchi di colonie” – la vasta concentrazione di colonie relativamente vicina ai confini del 1967, che dovrebbe diventare parte di Israele proprio in un accordo di pace.

Ma l’amministrazione Bush non ha sempre parlato con un’unica voce riguardo all’interpretazione della lettera. L’allora segretario di Stato Condoleezza Rice disse nel 2007, dopo l’annuncio da parte di Israele di nuove costruzioni nelle colonie, che “gli Stati Uniti non fanno differenza” tra diversi tipi di colonie.

Stephen Hadley, consigliere di Bush per la sicurezza nazionale, affermò che “ovviamente il presidente appoggia ancora quella lettera dell’aprile del 2004, ma bisogna vederla, naturalmente, nel contesto in cui è stata inviata.” Quel contesto, spiegò, era l’accettazione da parte di Israele della cosiddetta “road map per la pace” di Bush, che includeva la formazione di uno Stato palestinese e la decisione di Sharon del ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza e da parti della Cisgiordania.

Forse con il tempo l’amministrazione Trump adotterà una politica vicina a quella di Bush, che a volte è stata meno severa di quella di Obama riguardo alla costruzione di colonie. Ma ha anche chiarito che le colonie erano in effetti uno degli ostacoli per il raggiungimento di un accordo.

Un’altra possibilità per l’amministrazione Trump sarebbe di chiudere un occhio su qualche costruzione di colonie israeliane spingendo al contempo per negoziati diretti tra Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese. Questa è stata la politica, anche se non dichiarata ufficialmente, durante alcune fasi dell’amministrazione Clinton.

I due ultimi primi ministri israeliani che hanno costruito più insediamenti sono stati Yitzhak Rabin ed Ehud Barak, entrambi del partito Laburista. Hanno costruito nelle colonie mentre stavano facendo colloqui di pace con i palestinesi con la mediazione americana.

L’amministrazione di George H.W. Bush, da parte sua, prese una dura posizione contro la costruzione di insediamenti, con l’allora segretario di Stato James Baker che denunciò le colonie come il maggior ostacolo per il raggiungimento di un accordo. “Non penso che ci sia un ostacolo più grande per la pace che le attività di colonizzazione che non solo continuano senza tregua, ma con un ritmo in aumento,” disse Baker nel 1991.

Aggiunse che “niente ha reso più difficile il mio lavoro per cercare di trovare partner arabi e palestinesi per Israele del fatto di essere accolto da una nuova colonia ogni volta che arrivavo.” Va notato che Baker si è incontrato con Trump nel maggio 2016 per discutere le posizioni in politica estera del candidato.

Un membro del governo di Trump che sembra condividere la visione negativa di Baker riguardo alle colonie è il segretario alla Difesa James Mattis, che nel 2013 ha detto che la costruzione degli insediamenti stava mettendo Israele a rischio di diventare uno Stato dell’apartheid. Mattis, un ex-generale del corpo dei marines, ha aggiunto che come comandante dello stato maggiore USA, “ha pagato ogni giorno un prezzo in termini di sicurezza militare perché gli americani erano visti come di parte nel loro appoggio ad Israele.”

Oltre alla conclusione che l’espansione delle colonie potrebbe danneggiare la pace, un altro aspetto della dichiarazione di giovedì che sembra suggerire continuità con le precedenti amministrazioni è stato il riferimento al 1967 come un punto di partenza per i colloqui. Ha affermato che “il desiderio americano di pace tra gli israeliani e i palestinesi è rimasto invariato per 50 anni.” Il prossimo giugno segna il cinquantesimo anniversario della Guerra dei Sei Giorni, che diede inizio all’occupazione israeliana della Cisgiordania.

Il dottor Michael Koplow, direttore politico del Forum della Politica di Israele, ha detto ad Haaretz che la posizione della Casa Bianca è “incoraggiante” e “rivela proprio quanto stia rischiando grosso Netanyahu in casa sua. Come con i presidenti Clinton e Obama, la recente posizione dell’amministrazione Trump sulle colonie ora fornisce a Netanyahu qualche protezione interna dalle pressioni politiche alla sua destra per fare quello che ha voluto fare da sempre, cioè conservare lo status quo piuttosto che andare verso più colonie ed eventualmente verso l’annessione.”

Dan Shapiro, un ambasciatore USA in Israele sotto Obama, ha twittato che la dichiarazione della Casa Bianca “ci dice che l’opposizione di Trump alle attività di colonizzazione, come fattore negativo nel processo di pace in Medio Oriente, è in continuità con la politica USA per molti anni.” Ha detto di credere che la Casa Bianca potrebbe aver pubblicato la dichiarazione perché Netanyahu “ha voluto pressioni da parte di Trump per aiutarlo a tenere a freno i partiti alla sua destra.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Come espellere: consigli a Trump da un’israeliana

Amira Hass– 3 febbraio 2017,Haaretz

Otto modi in cui il nuovo presidente può far provare ai messicani ed ai musulmani quello che patiscono i palestinesi.

E’ passata appena una settimana ed hai sconvolto tutto, Donald Trump. La ragione è semplice: non ti sei consultato con Israele su come rifiutare l’ingresso nel tuo Paese senza scatenare mezzo mondo contro di te. Ma quando si tratterà dell’altra tua promessa – effettive espulsioni – avrai ancora il tempo di consultarci.

Per mancanza di pazienza e di spazio, qui si discuterà solo di due tipi di espulsioni – due dei molti tipi in cui siamo diventati esperti: l’espulsione di palestinesi originari di Gerusalemme dalla città e l’espulsione di palestinesi abitanti della Cisgiordania dalle loro case.

Regola 1. Silenzio. Non pubblicizzare la politica di espulsione. Fai in modo che ogni persona espulsa si opponga da sola al decreto e creda che il problema riguardi solo lui. Individualmente. Ad un certo punto, a partire dalla fine del 1995 (durante il governo del partito Laburista e degli accordi di Oslo), i palestinesi hanno scoperto che avrebbero perso lo status di residenti a Gerusalemme se avessero vissuto dove avevano sempre vissuto negli anni precedenti: fuori dai confini della Gerusalemme annessa o all’estero.

Regola 2. Stupore. Insistere che dopotutto non è cambiato niente e che queste leggi esistevano da tempi immemorabili. E’ quello che sostenne il ministero degli Interni nel 1996 quando sempre più palestinesi di Gerusalemme scoprirono che le loro carte di identità erano improvvisamente state revocate ed erano diventati residenti illegali nella città e sulla terra in cui erano nati.

Regola 3. Gradualità. L’espulsione avviene un passo alla volta, come se fosse per caso. Annessione ed esproprio delle terre. Divieto di costruzione nelle zone che rimangono. Reclutamento di dio. Intollerabile sovraffollamento nelle case e affitti alle stelle. Ignorare gli spacciatori. Trascurare infrastrutture e scuole. Incrementare il peso delle tasse. Poco lavoro. Collocare disturbatori professionali (alias, coloni) nel cuore dei quartieri con guardie giurate che li circondano.

E la cosa principale: lo status di residenti in base alla legge sulla cittadinanza e l’ingresso in Israele, che può scadere in qualunque momento. Come se i palestinesi di Gerusalemme fossero entrati in Israele e avessero scelto di vivere sotto il suo tallone come immigrati non ebrei. Come se Israele non avesse fatto violentemente irruzione nelle loro vite nella città in cui erano nate le madri delle loro madri.

Regola 4. Supporto legale (A). L’allora presidente della Corte Suprema Aharon Barak e i suoi colleghi, Gabriel Bach e Shoshana Netanyahu, dettero già l’approvazione della corte per un’altra espulsione, di massa ma latente. Nel 1988 stabilirono che fosse legale espellere un palestinese nato nel 1943 a Gerusalemme perché aveva anche una cittadinanza straniera (Mubarak Awad, che, guarda caso, era anche un sostenitore della disobbedienza civile dei palestinesi).

Regola 5. Molteplicità. Non attenerti ad una sola scusa, signor presidente. Noi ci siamo appellati successivamente ad una grande quantità di pretesti per espellere palestinesi dalla loro terra, la loro patria, le loro case: politici (opposizione al nostro dominio), amministrativi (non erano presenti al momento del censimento o avevano prolungato il loro soggiorno all’estero), una zona di esercitazioni militari, una riserva naturale, la vicinanza con i confini, con un’autostrada, un avamposto, un sito archeologico, terre statali, mancata approvazione di piani regolatori, la barriera di separazione, divieto di costruzione, intrusione di molestatori di professione e personale dei servizi di sicurezza, citazioni della Bibbia.

Regola 6. Supporto legale (B). I nostri giudici evitano di emettere sentenze contrarie alla politica di suddivisione in zone e di costruzione ineguale per ebrei ed arabi.

Regola 7. Insufficiente fornitura di acqua. Taglia l’acqua, Trump. Stabilisci che ogni musulmano o messicano avrà diritto a solo un quarto o meno dell’acqua consumata mediamente da un WASP [White, Anglo Saxon, Protestant, definizione razzista dell’americano ideale. Ndtr.]. Decidi che ovunque vivano messicani o musulmani saranno tagliati fuori dalla rete idrica. Guarda la Valle del Giordano. E’ un notevole strumento per sfoltire una popolazione indesiderata. Fidati di noi.

Regola 8. L’appoggio delle elite. Manda consiglieri in Israele. Riceveranno suggerimenti su come regolari attività di espulsione vengano salutate dal silenzio della maggior parte dell’intellighenzia colta illuminata, il sale della terra, laureati delle forze armate israeliane, che si annidano nelle università e frequentano le sale da concerto. La loro condiscendenza è assolutamente fantastica.

(traduzione di Amedeo Rossi)




I palestinesi sostengono che gli USA minacciano “gravi misure” se i [loro] dirigenti denunciano Israele al tribunale internazionale

Jack Khoury 1 febbraio 2017 | Haaretz

I dirigenti palestinesi sono furiosi per i nuovi avvertimenti dell’ amministrazione Trump riguardo alla [possibile] sospensione degli aiuti e persino al reinserimento dell’OLP nella lista dei gruppi terroristici.

Secondo fonti diplomatiche occidentali e arabe, Washington ha ammonito i dirigenti palestinesi che, qualora denunciassero Israele nei tribunali internazionali, andrebbero incontro a gravi misure da parte dell’amministrazione statunitense, quali la chiusura degli uffici dell’OLP nella capitale americana e la cessazione degli aiuti economici all’Autorità palestinese.

Haaretz è venuto a conoscenza che il messaggio dell’amministrazione Trump è stato inoltrato tramite il consolato americano, e non dalla Casa Bianca o dal Dipartimento di Stato, e che si è trattato di una conversazione telefonica con un dirigente palestinese in contatto diretto con il Presidente dell’ANP Mahmoud Abbas.

Un’alta fonte palestinese ha detto a Haaretz che nella prima settimana da presidente Donald Trump ha firmato un decreto esecutivo di una mozione del Congresso, redatta durante la presidenza Obama, per fare passi contro l’Autorità palestinese e contro Fatah( la maggiore componente dell’OLP) nel caso in cui i palestinesi denuncino Israele.

“Nonostante la risoluzione del Congresso, i dirigenti palestinesi contavano sulla denuncia alla Corte [Penale Internazionale] come mezzo per arrestare la costruzione delle colonie. Ma il messaggio di questi giorni proveniente da Washington ha messo in chiaro che qualunque mossa del genere dei palestinesi provocherebbe una grave reazione americana, talmente forte che qualcuno ha parlato di rimettere l’OLP nella lista delle organizzazioni terroristiche,” ha riferito la fonte palestinese.

Il sabotaggio della strategia palestinese”

Haaretz è venuta a sapere che i dirigenti palestinesi si sono infuriati per i messaggi di Washington, definendoli un tentativo di sabotare tutta la strategia palestinese degli ultimi anni di abbandono della lotta armata e della violenza in favore di [un’attività] diplomatica internazionale collaborando con le istituzioni delle Nazioni Unite e con la comunità internazionale per realizzare la soluzione dei due Stati.

“Ogni decisione presa, dal riconoscimento della Palestina fatta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2011 fino all’ultima risoluzione del Consiglio di Sicurezza del dicembre 2016, aveva lo scopo di salvare la soluzione a due Stati” ha detto la fonte palestinese a Haaretz . “La politica di Netanyahu, compresa quella degli ultimi giorni, di accelerare la costruzione di migliaia di unità abitative, complice il silenzio di Washington, significa lo smantellamento di qualunque possibilità di una futura soluzione diplomatica” ha detto la fonte riferendosi al primo ministro israeliano.

Nel frattempo il ministro degli esteri palestinese ha duramente condannato la decisione di costruire migliaia di unità abitative in Cisgiordania, affermando che ciò rende la soluzione a due Stati una chimera.

Alti dirigenti palestinesi , incluso il segretario generale di Fatah Saeb Erekat, si sono appellati alla comunità internazionale perché intervenga senza indugi.

Nel frattempo fonti di Ramallah , quartier generale della Autorità Nazionale Palestinese, ammettono che, a causa della minaccia americana, non è stata presa nessuna decisione di denunciare Israele ai tribunali internazionali.

Haaretz è venuta a sapere che i dirigenti palestinesi discuteranno nei prossimi giorni della questione. “La minaccia americana è seria, ma gli americani e l’amministrazione Trump hanno parlato di volere la soluzione a due Stati e contemporaneamente hanno permesso a Netanyahu di continuare con la sua politica devastante e lo hanno sostenuto, il che è inconcepibile. Da palestinesi continueremo ad agire su ogni fronte internazionale per salvare la soluzione a due Stati e ci aspettiamo che la comunità internazionale faccia lo stesso” ha detto un funzionario palestinese che è a conoscenza nei dettagli dei messaggi trasmessi da Washington a Ramallah.

Per diversi anni l’Autorità Nazionale Palestinese si è mossa per trascinare in giudizio alla Corte Penale Internazionale dell’Aja Israele per presunti crimini di guerra come mezzo per contrastare la legalità delle colonie ebraiche in Cisgiordania.

(Traduzione di Carlo Tagliacozzo)




La Palestina nell’era di Trump

19 gennaio 2017,The New Yorker

 Rashid Khalidi

Con l’avvento a Washington di un’amministrazione con nuove e radicali priorità riguardo ad Israele e disprezzo nei confronti dei diritti dei palestinesi, la Palestina sta affrontando una situazione scoraggiante. Negli scorsi anni avevano già iniziato ad evidenziarsi predominanti indirizzi politici in America e in Israele. Ora abbiamo raggiunto il punto in cui i rappresentanti di un Paese nellaltro potrebbero praticamente essere scambiati: l’ambasciatore di Israele a Washington, Ron Dermer, che è cresciuto in Florida, potrebbe facilmente essere l’ambasciatore USA in Israele, mentre l’ambasciatore designato da Trump in Israele, David Friedman, che ha stretti legami con il movimento dei coloni israeliani, potrebbe benissimo fare l’ambasciatore a Washington per il governo favorevole ai coloni di Benjamin Netanyahu.

Mentre il sollecito interesse dell’America per Israele e il suo disinteresse per i palestinesi erano in precedenza celati dietro all’imparzialità, con Trump stiamo per assistere a una più totale convergenza tra la dirigenza politica americana e il governo più sciovinista, religioso e di destra nella storia di Israele. Saranno questo governo israeliano e le sue nuove anime gemelle americane che prenderanno le decisioni in Palestina almeno per i prossimi anni.

L’intera struttura politica ed economica palestinese costituita dagli accordi di Oslo del 1993 era fondata sull’idea che si sarebbe trasformata in uno Stato palestinese reale, sostenibile e con continuità territoriale. Quella illusione, sostenuta da molti palestinesi, è stata ormai dissolta. Quella struttura imperfetta era anche basata sulla premessa, quanto meno ingenua, che gli Stati Uniti avessero un interesse nazionale nel moderare il comportamento di Israele e nel raggiungere un minimo di giustizia in Medio Oriente. Anche questa premessa è stata distrutta.

Per i palestinesi l’Autorità Nazionale Palestinese, stabilita dagli accordi di Oslo in apparenza come parte di un accordo temporaneo per l’autogoverno palestinese, continuerà a fare più danno che bene. Poche persone capiscono che la colonizzazione della terra palestinese e l’occupazione militare israeliana durata quasi cinquant’anni, – tra le più lunghe della storia contemporanea – oggi non sarebbero sostenibili senza l’appoggio americano ed israeliano all’ANP ed alle sue forze di sicurezza addestrate dagli USA. La criminalizzazione da parte dell’ANP di ogni forma di resistenza alla spoliazione, alla discriminazione ed al permanente controllo militare da parte di Israele ne hanno fatto, in effetti, uno strumento di collaborazione con l’occupazione. Persino bloggers e manifestanti pacifici sono soggetti ad arresti e a soprusi da parte delle forze dell’ANP. Il modo in cui questa istituzione opera contro il proprio stesso popolo fornisce un’anticipazione del futuro che ora i dirigenti sia americani che israeliani prevedono per i palestinesi nei territori occupati: un futuro che è oppresso, controllato e privo di sovranità ed autodeterminazione.

E’ assolutamente chiaro che gli Stati Uniti, nell’era Trump, e Israele, in quella di Netanyahu, non faranno niente per cambiare questo quadro. In un simile contesto, i palestinesi hanno di fronte scelte nette. Possono sottomettersi ai voleri degli USA e di Israele oppure possono ridefinire profondamente e urgentemente il loro movimento nazionale, i loro obiettivi e le modalità della loro resistenza all’oppressione. E’ ora per i palestinesi di abbandonare l’esperimento fallito dell’ANP e forme di violenza che rafforzano solo il dominio della destra sulle politiche israeliane. E’ ora di mobilitare le ampie energie della diaspora palestinese e di smettere di pensare alla Palestina come solo a quei frammenti sotto occupazione israeliana. Ed è tempo di iniziare ad immaginare modi in cui palestinesi ed israeliani saranno finalmente capaci di coesistere in totale uguaglianza nel piccolo Paese che alla fine dovranno condividere, una volta che si sia liberato dalla dominazione di un gruppo sull’altro. Sarà un compito eccezionalmente difficile per i palestinesi, che vengono dall’aver sofferto decenni di guerra, spoliazione ed occupazione.

Ciononostante ci sono segni di speranza, almeno negli Stati Uniti. A dispetto delle posizioni dei dirigenti sia del partito Democratico che Repubblicano, l’opinione pubblica americana si sta allontanando rapidamente da un appoggio acritico ad Israele. Gli americani stanno diventando sempre più solidali con la causa della libertà dei palestinesi. Secondo un sondaggio realizzato dalla Brookings Institution [gruppo di ricerca in scienze sociali di tendenza progressista con sede a Washington. Ndtr.] in dicembre, il 60% dei democratici e il 46% di tutti gli americani appoggia sanzioni o misure più forti contro Israele per la costruzione di colonie ebraiche illegali sulla terra palestinese occupata. Un recente sondaggio del Pew [centro di ricerca statunitense indipendente. Ndtr.] mostra che, per la prima volta, la percentuale di democratici che sono solidali con i palestinesi è praticamente pari a quelli che simpatizzano con Israele, mentre i democratici progressisti sono molto più solidali con i palestinesi (58%) che con Israele (26%).

Con il tempo, questi cambiamenti arriveranno fino ai politici ed ai decisori a Washington. Nel frattempo, ci si aspetta da persone con una coscienza, comprese quelle che stanno resistendo all’ondata di razzismo e di estremismo di estrema destra che si prospetta nellera Trump, che esercitino pressioni sui loro rappresentanti eletti perché siano all’altezza degli ideali di libertà ed uguaglianza che professano e che rendano Israele responsabile delle sue violazioni delle leggi internazionali e del rifiuto dei diritti nazionali ed umani dei palestinesi.

Rashid Khalidi è professore Edward Said di Studi Arabi alla Columbia University e autore, più recentemente, di “Mediatori di menzogna: come gli USA hanno minato la pace in Medio Oriente.”

(traduzione di Amedeo Rossi)