La continua sorveglianza israeliana dei palestinesi ha un ‘effetto dissuasivo’

Usaid Siddiqui

7 maggio 2023Al Jazeera

Attivisti palestinesi dicono che il nuovo programma israeliano di riconoscimento facciale, denunciato da Amnesty International, contribuisce a rafforzare ulteriormente l’occupazione

L’ultima rivelazione dell’organizzazione per i diritti umani Amnesty International sull’utilizzo sempre crescente della tecnologia di riconoscimento facciale da parte di Israele contro i palestinesi non è stata una sorpresa per l’attivista Issa Amro.

Lo vivo, lo sento, ne soffro, il mio popolo ne soffre,” dice ad Al Jazeera da Hebron.

Il 2 maggio Amnesty ha pubblicato un rapporto intitolato Automated Apartheid [Apartheid automatizzato], in cui si descrive nei dettagli il funzionamento del programma israeliano Red Wolf [Lupo Rosso], una tecnologia di riconoscimento facciale usata dall’anno scorso per tracciare i palestinesi e che sembrerebbe collegata a simili programmi precedenti, noti come Blue Wolf e Wolf Pack [Lupo blu, Branco di lupi].

La tecnologia è stata utilizzata ai posti di blocco nella città di Hebron e in altre parti della Cisgiordania occupata scansionando i volti dei palestinesi e confrontandoli con i database esistenti.

Amnesty ha rivelato che, se nei database esistenti non si trovano informazioni sull’individuo, lo si registra nel Red Wolf automaticamente e senza consenso e potrebbe persino essere negato il passaggio attraverso il checkpoint.

In una dichiarazione a The New York Times l’esercito israeliano ha detto che si eseguono “necessarie operazioni di sicurezza e intelligence, con sforzi notevoli per minimizzare i danni alle normali attività quotidiane della popolazione palestinese’’.

Lo scrittore palestinese Jalal Abukhater ha affermato che i sistemi di sorveglianza sono utilizzati per far capire ai palestinesi di non avere diritti.

La gente sente questo effetto dissuasivo, non socializza o non si sposta così liberamente come vorrebbe, non vive normalmente come vorrebbe,” ci ha detto Abukhater dalla Gerusalemme Est occupata.

Questa forma di sistema di sorveglianza è utilizzata proprio per rafforzare l’occupazione… vogliono preservare l’apartheid.”

Secondo Amnesty la rete di sorveglianza con riconoscimento facciale è stata rafforzata anche a Gerusalemme Est, anche nelle vicinanze di luoghi di interesse culturale come la Porta di Damasco, il più ampio ingresso alla Città Vecchia e luogo di frequenti proteste contro le forze di occupazione.

L’anno scorso a febbraio Amnesty ha detto che Israele sta imponendo l’apartheid contro i palestinesi, trattandoli come “un gruppo razziale inferiore”. Altre organizzazioni, fra cui Human Rights Watch, con sede negli USA, e l’associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, sono arrivate a conclusioni simili.

Hebron, occupata da Israele nel 1967, è divisa in due parti: H1, amministrata dall’Autorità Palestinese, e H2, amministrata da Israele in base all’accordo su Hebron del 1997.

Ci sono circa 200.000 palestinesi che vivono in entrambe le parti e parecchie centinaia di coloni israeliani che sono fortemente protetti dall’esercito israeliano.

I palestinesi sono regolarmente costretti a passare tramite i checkpoint e a loro viene impedito di servirsi di parecchie strade importanti e autostrade.

Un laboratorio’

L’attivista Amro dice che i palestinesi che vivono a Hebron sono diventati meri “oggetti” di quelli che lui chiama “esperimenti israeliani”.

Per le loro aziende per soluzioni di sicurezza Hebron è diventato un laboratorio per fare simulazioni, per identificare e risolvere problemi usandoci e commercializzare le loro tecnologie,” dice. “Noi non abbiamo voce in capitolo.”

Israele è annoverato fra i maggiori esportatori di tecnologie cibernetiche di monitoraggio di civili in vari Paesi, tra cui Colombia, India e Messico.

L’azienda di cibersicurezza israeliana NSO Group è stata molto criticata per Pegasus, il suo software di punta, un sistema di spionaggio usato da decine di Paesi per hackerare i telefonini.

Sono stati presi di mira centinaia di giornalisti, attivisti e persino capi di Stato.

Inoltre, aggiunge lo scrittore Abukhater, Israele ha bisogno dei programmi di cibersicurezza come Red Wolf per mantenere i suoi progetti di colonie illegali che si stanno espandendo nei territori occupati.

Tecnologie di sorveglianza come questa [riconoscimento facciale] sono importanti, specialmente dove Israele sta introducendo coloni nel cuore delle cittadine palestinesi. Il fatto che [le colonie] si addentrino profondamente nei quartieri palestinesi in posti come Gerusalemme Est e Hebron crea un sacco di problemi,” dice.

È [la tecnologia di sorveglianza] un modo per controllare i palestinesi e far sì che l’espansione delle colonie continui senza essere ostacolata dalla resistenza palestinese.”

Secondo le Nazioni Unite le colonie israeliane in Cisgiordania sono illegali e in “flagrante violazione” del diritto internazionale.

Sempre osservati’

Secondo Amro gli apparati di sorveglianza hanno avuto un effetto significativo sui movimenti quotidiani dei palestinesi, lui incluso.

Mi sento sempre osservato. Mi sento sempre monitorato … inclusi i miei social media, quando entro e esco da casa mia,” dice.

Delle donne mi hanno chiesto se loro possono vederle nelle camere da letto… è straziante sentire che le donne sono preoccupate per la loro intimità con i mariti, per i loro cari,” aggiunge.

Secondo l’ingegnere elettronico, 43enne, le famiglie sono state costrette ad andarsene da Hebron, massicciamente sorvegliata, in quartieri meno controllati.

Non ti sfrattano direttamente da casa tua. Ma ti rendono impossibile restarci… e molto dipende da queste tecnologie [di sorveglianza] e telecamere ovunque,” dice Amro.

Ori Givati, direttore di advocacy di Breaking The Silence [Rompere il Silenzio] un’organizzazione per i diritti umani di ex soldati israeliani e lui stesso un ex soldato israeliano, dice che i palestinesi “non hanno più spazio privato”.

Se nel passato alcuni pensavano che almeno le loro informazioni private erano sotto il loro controllo, noi abbiamo tolto loro anche quello.”

Per parecchi anni Amnesty ha invocato la proibizione dell’uso della tecnologia di riconoscimento facciale per la sorveglianza di massa, dicendo che era usata per “soffocare le proteste” e “tormentare le minoranze”.

Negli Stati Uniti il riconoscimento facciale ha finito per prendere ingiustamente di mira persone di razza mista. Molte città come Portland e San Francisco hanno proibito il suo utilizzo da parte delle forze di polizia locali, mentre altre stanno discutendo misure simili.

L’utilizzo del riconoscimento facciale ha accelerato il passo in India, dove le autorità l’hanno usato per monitorare raduni politici e proteste contro il partito di governo di estrema destra, il Bharatiya Janata Party, sollevando i timori di un giro di vite contro il dissenso e la libertà di espressione.

(Traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




In migliaia manifestano in Cisgiordania dopo la morte di un dissidente in custodia dell’Autorità Nazionale Palestinese.

Amira Hass, Jack Khoury

24 giugno 2021 – Haaretz

Un palestinese, critico implacabile dell’Autorità Nazionale Palestinese e dei suoi leader, è morto giovedì mattina dopo essere stato arrestato nella sua casa prima dell’alba dalle forze di sicurezza palestinesi. Migliaia di persone sono scese in strada per protestare nelle aree di Hebron e Ramallah.

La famiglia di Nizar Banat, originario della città di Dura, nel sud della Cisgiordania, sostiene che egli è stato picchiato duramente dalle forze di sicurezza palestinesi durante il suo arresto. Nella prima mattinata di giovedì sono emerse voci secondo cui sarebbe stato trasferito in un ospedale e poco dopo l’ufficio distrettuale di Hebron ha annunciato la morte di Banat. Sui social media palestinesi viene dichiarato uno “shahid”, o martire.

I manifestanti a Hebron e Ramallah accusano l’Autorità Nazionale Palestinese di aver commesso un omicidio politico, mentre alcuni gruppi si sono scontrati con la polizia palestinese a Ramallah. I manifestanti hanno anche chiesto che il presidente Abbas e l’Autorità Nazionale Palestinese siano deposti.

Banat, un ex membro del movimento Fatah, è stato più volte arrestato dall’Autorità Nazionale Palestinese per le sue aspre critiche alla leadership nei post e nei video di Facebook. Ha accusato i leader dell’ANP di corruzione e anche di aver tratto vantaggi dall’abbandono degli interessi nazionali palestinesi in cambio di benefici personali e ricchezza.

I gruppi per i diritti umani e la famiglia di Banat hanno dichiarato che l’autopsia ha mostrato che egli è deceduto soffocato dal sangue nei polmoni dopo essere stato picchiato dalle forze di sicurezza. Uno dei medici che hanno preso parte all’autopsia ha anche rivelato che Banat ha subito lesioni a tutte le parti del corpo, comprese testa, braccia e gambe. Il medico ha detto che le circostanze sollevano il forte sospetto di comportamenti criminali

Il primo ministro Mohammad Shtayyeh ha annunciato che l’Autorità Nazionale Palestinese avvierà una commissione d’inchiesta sulle circostanze della morte di Banat, ma a Hebron e nell’area di Ramallah si continua a manifestare. I commenti che circolano sui social media paragonano Banat al dissidente saudita Jamal Khashoggi, ucciso nel 2018 in Turchia nel consolato dell’Arabia saudita.

Da parte sua, Hamas ha risposto all’incidente incoraggiando la partecipazione di massa ai funerali di Banat e invitando i palestinesi a “cambiare le condizioni pericolose volute dall’Autorità Nazionale Palestinese e dal coordinamento della sicurezza in Cisgiordania”.

Secondo gli attivisti palestinesi, la casa di Banat si trova nell’area della città di Hebron che è sotto il controllo di sicurezza israeliano, quindi le forze palestinesi devono ricevere il permesso da Israele per entrare nell’area ed eseguire gli arresti.

Banat aveva anche contestato ferocemente Mohammed Dahlan – un rivale del presidente palestinese Mahmoud Abbas – e i suoi sostenitori, molti dei quali sono ex membri dell’establishment della sicurezza palestinese.

Uno degli ultimi video che ha pubblicato su Facebook riguardava l’accordo sui vaccini Israele-ANP, secondo il quale Israele avrebbe dovuto fornire ai palestinesi vaccini Pfizer contro il coronavirus vicini alla scadenza in cambio di nuove dosi che Pfizer invierà a Israele il prossimo anno. Molti cittadini palestinesi, che sono già fortemente scettici nei confronti dei vaccini, erano convinti che l’ANP stesse intenzionalmente nascondendo i dettagli dell’accordo.

Banat ha affermato nel suo video che se dei palestinesi fossero morti per aver ricevuto dosi di vaccino scadute, Israele sarebbe stato accusato di sterminio di massa – “un’accusa che non avrebbe potuto tollerare”, motivo per cui l’accordo è stato fatto trapelare.

Banat era un membro del partito Liberazione e Dignità e prevedeva di candidarsi alle elezioni parlamentari palestinesi, originariamente previste per il 22 maggio, ma annullate da Abbas.

Gli attivisti palestinesi che criticano l’ANP riferiscono che i suoi apparati di sicurezza stanno esercitando pressioni crescenti contro di loro nel tentativo di metterli a tacere e che nelle scorse settimane molti sono stati arrestati o convocati per essere diffidati. All’inizio di questa settimana anche Issa Amro, un attivista residente a Hebron, è stato arrestato dall’Autorità Nazionale Palestinese dopo aver scritto un post critico sui social media; è stato rilasciato il giorno successivo.

La commissione d’inchiesta annunciata dall’Autorità Nazionale Palestinese sarà guidata dal ministro della Giustizia Mohammed al-Shalaldeh, insieme a una personalità indipendente che si occupa a livello professionale di diritti umani, a un medico in rappresentanza della famiglia e a un membro dell’intelligence palestinese. Il primo ministro Shtayyeh ha affermato che la commmissione d’inchiesta avrà accesso ai reperti autoptici, alle testimonianze della famiglia e di altre parti interessate e a tutte le informazioni rilevanti.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




La sorgente del conflitto

Ben Ehrenreich, The Way to the Spring: Life and Death in Palestine, Penguin Press, 2016.

Amedeo Rossi

Sono ottimista perché persino nella loro disperazione, senza nessun motivo di speranza, le persone continuano a resistere. Non posso pensare a molte altre ragioni per essere orgoglioso come essere umano, ma questa è sufficiente.”

 Così Ben Ehrenreich, figlio della famosa sociologa americana Barbara Ehrenreich e a cui il libro è dedicato, conclude il prologo a questo libro, che raccoglie le sue esperienze nei molteplici viaggi in Palestina dal 2011 al 2014 per alcune riviste statunitensi. Nei suoi racconti in effetti i motivi di speranza sono pochi, tante sono le ingiustizie ed i soprusi a cui ha assistito e che racconta. E sono molte le persone, i luoghi, le vicende, tanto che l’autore ha inserito all’inizio del volume un elenco di “personaggi ed interpreti” e una loro sintetica scheda per ognuno dei principali luoghi visitati, anche più volte nel corso degli anni. Per ragioni di spazio mi limiterò a citare solo quelli più presenti.

La sorgente del titolo è sia una vera e propria fonte d’acqua che una metafora della situazione nei territori palestinesi occupati. Si tratta di Ein al-Qaws, una fonte del villaggio palestinese di Nabi Saleh, di cui si è impossessata una colonia israeliana dei dintorni. Ma il riferimento alla sorgente del titolo è anche un richiamo più generale all’occupazione israeliana dei territori palestinesi ed alla conseguente appropriazione di terre e risorse.

Proprio le vicende di Nabi Saleh e della famiglia Tamimi, che l’ha spesso ospitato, occupano una parte rilevante del libro. Tutti i venerdì ci sono manifestazioni di protesta degli abitanti del villaggio, che si dirigono verso la sorgente, finché non vengono respinti dai soldati israeliani. Gli scontri hanno spesso avuto esiti drammatici, con vari morti, molti feriti, molti arresti.

La famiglia Tamimi è tra le più attive nella resistenza non armata. Alla fine del 2017 è divenuta suo malgrado ancora più famosa a causa dell’incarcerazione, insieme alla madre e ad una cugina, di una delle figlie, la sedicenne Ahed, per aver schiaffeggiato due soldati dopo che suo cugino era stato gravemente ferito alla testa da un proiettile di gomma. Ahed rischia una condanna a 10 anni. A proposito del protagonismo dei minorenni, Ehrenreich racconta che, quando qualche straniero chiede conto agli abitanti del villaggio della presenza dei figli alle manifestazioni, la risposta degli adulti è tragicamente realistica: L’esperienza ha dimostrato che non ci sono luoghi sicuri in cui nascondere i figli, e partecipando alle manifestazioni i bambini hanno imparato a superare la loro paura e a vedere se stessi come qualcosa di diverso da vittime passive.

La famiglia Tamimi è spesso presente nel libro sia per il rapporto di amicizia che si è instaurato con l’autore, sia per il protagonismo della resistenza popolare di Nabi Saleh contro l’occupazione e i molti episodi drammatici che l’hanno segnata. Ma ci sono anche le descrizioni della tragica situazione di Hebron, che l’autore presenta con una lista di cose che i palestinesi del luogo considerano normali, tra cui: “Venire presi di mira da armi da fuoco, da lanci di pietre e di bottiglie molotov contro la propria casa; soldati che sparano lacrimogeni contro gli scolari per segnare l’inizio e la fine delle lezioni; essere arrestati, interrogati per ore e rilasciati senza imputazioni né scuse; avere un soldato con un fucile automatico piazzato tutto il tempo proprio dietro o davanti a casa; ecc.” La presenza di qualche centinaio di coloni fondamentalisti nazional-religiosi che hanno occupato alcune case nel centro storico della città condiziona la vita dei 200.000 abitanti palestinesi anche nei minimi dettagli della vita quotidiana. L’autore vi incontra un altro dei dirigenti più noti della resistenza popolare all’occupazione, Issa Amro, il leader dello YAS (Giovani contro l’Occupazione), e si trova ad affrontare insieme a questo gruppo di palestinesi le provocazioni dei coloni e la repressione dei soldati.Altrettanto difficile è la vita dei beduini di Umm al-Kheir, un villaggio più volte distrutto e sempre tenacemente ricostruito dai pastori che vi abitano, accampati in tende e costruzioni precarie, sempre minacciati dagli interventi dell’esercito e dagli abitanti della colonia di Carmel che vogliono impossessarsi delle loro terre. Due di questi hanno presentato una richiesta di danni (più di 20.000 €!!) e di demolizione contro il rudimentale forno utilizzato dai beduini per cuocere il pane, sostenendo che il suo fumo danneggia la loro salute e quella dei loro figli: “Lo chiamiamo il forno di Chernobyl”, racconta uno dei palestinesi a Ehrenreich, che commenta: “Principalmente il fumo del forno puzzava di altre persone, altri che i coloni non potevano capire e neanche lo volevano, e che semplicemente si rifiutavano – cocciutamente e con una testardaggine che doveva risultare esasperante – di morire o di andarsene.” Un’altra vicenda emblematica che evidenzia l’approccio che i coloni, e gli ebrei israeliani in generale, hanno nei confronti della presenza dei palestinesi.

Quando Ehrenreich dopo qualche tempo è tornato nel villaggio, sempre più misero, l’esercito israeliano aveva distrutto per tre volte il forno e gli abitanti l’avevano sempre ricostruito. Camminando con il giornalista, Eid, uno dei beduini, “ha detto qualcosa a proposito dell’importanza di non perdere la speranza. Gli ho chiesto come farlo. ‘Abbiamo solo quest’unica vita’ ha detto Eid. “Ed è sacra [] non dobbiamo sprecarla.” Una riflessione che segna ancor più la distanza dai coloni, che dedicano la propria vita a rendere invivibile quella degli altri. Al contempo questa riflessione ben rappresenta un’altra forma di resistenza dei palestinesi, il sumud, la sopportazione e la resistenza passiva, perché non andarsene nonostante tutto è la principale forma di protesta contro la pulizia etnica che è il principale obiettivo dell’occupazione.

Insieme agli avvenimenti a cui ha assistito personalmente, l’autore cita il contesto politico e diplomatico in cui essi si inseriscono: i viaggi del segretario di Stato John Kerry e i tentativi falliti di riannodare i cosiddetti “colloqui di pace, le vicende della politica interna israeliana e di quella palestinese, la situazione in Medio Oriente.

Non mancano i riferimenti critici nei confronti dei dirigenti palestinesi, di Hamas e soprattutto dell’ANP. È particolarmente significativo il capitolo dedicato a Rawabi, una città di cinquemila appartamenti e con i relativi servizi in via di costruzione nei pressi di Ramallah. Bassem Tamini la descrive come “Una nuova città palestinese. Come una colonia.” Ma, spiega Ehrenreich, la parentela non è solo estetica. La mega-speculazione edilizia, destinata ad ospitare la nuova classe media fiorita all’ombra dell’ANP, coinvolge l’ex-primo ministro palestinese Fayyad, un tecnocrate molto amato a Washington, una società finanziaria pubblica, AMAL, come garante degli investimenti, una società privata statunitense nel cui consiglio di amministrazione siedono molti ex-politici di amministrazioni sia repubblicane che democratiche, il governo del Qatar e personalità israeliane legate all’esercito e all’occupazione. L’autore spiega: “Quando inizi a mettere insieme le varie istituzioni coinvolte in Rawabi, o con qualunque altro importante progetto di sviluppo in Cisgiordania, cominciano a saltar fuori gli stessi gruppi o individui, la seducente opacità di società tra presunti nemici.

Al di là delle esperienze di vita raccontate, questo libro è ricco di spunti e suscita nel lettore indignazione, ma anche molte riflessioni su come e perché tutto ciò sia possibile senza che la comunità internazionale intervenga. In ex ergo al prologo l’autore cita una frase dello scrittore ed intellettuale libanese Elias Khoury: “Sono spaventato da una storia che ha un’unica versione. La storia ha decine di versioni, e perciò cristallizzarla in una sola non può che portare alla morte.” Le vicende che Ehrenreich racconta sono molte e diverse tra loro, alcune seguite dall’autore nel corso degli anni. Ma la visione complessiva che se ne ricava non può che essere una durissima critica delle politiche israeliane di occupazione e di colonizzazione. La “storia con un’unica versione” è quella continuamente ripetuta dalla propaganda israeliana e dai mezzi di comunicazione che se ne fanno portavoce. Una narrazione che questo libro contribuisce a smentire.




Rilasciato dal carcere dell’ANP, Issa Amro avverte che la legge di censura sul web minaccia l’ultima linea di difesa contro Israele

Sheren Khalel,

20 settembre 2017, Mondoweiss

Rilasciato dal carcere una settimana fa, Issa Amro è immediatamente tornato al lavoro. In una casetta sulla collina nel quartiere di Tel Rumeida a Hebron, che funge da quartier generale per ‘Youth Against Settlements’ (YAS) (‘Giovani contro le colonie’, ndt.), un’organizzazione fondata e guidata da Amro, sedeva circondato da un gruppo di militanti, operatori di ONG, un avvocato e amici che bevevano il caffè all’ombra degli alberi nel cortile davanti alla casa.

L’argomento, come sempre, era l’occupazione israeliana – comunque la scorsa settimana Amro non è stato rilasciato da un carcere israeliano, ma da quello dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e non è stato arrestato a causa del suo attivismo a Hebron, ma per un post su Facebook in difesa di un uomo con cui è politicamente in disaccordo.

Amro è stato arrestato il 4 settembre, un giorno dopo aver utilizzato i social media per criticare l’ANP in merito all’arresto di Ayman al-Qawasmeh, un giornalista palestinese direttore di Radio al-Hurriyeh (Radio Libertà) ad Hebron, ed è stato rilasciato dopo una settimana.

“Ad essere sincero, non ho un buon rapporto con Ayman”, ha detto francamente Amro. “Non sono affatto d’accordo con lui, in realtà quando Radio Hurriyeh mi ha chiamato non ho mai accettato di fare un’intervista con loro, ma per me si tratta di una questione di principio – i giornalisti devono essere rispettati – il governo non dovrebbe arrestare i giornalisti. Non dovrebbe arrestare nessun palestinese che abbia semplicemente espresso la propria opinione, ognuno ha la libertà di parola per dire che Abu Mazen (il presidente palestinese Mahmoud Abbas) non lo rappresenta, è una nostra libertà, abbiamo questo diritto. Quando hanno arrestato Ayman (al-Qawasmeh) hanno lanciato il messaggio che avrebbero arrestato altri giornalisti, ed è ciò che stanno facendo – è ciò che hanno fatto.”

Inizialmente Radio al-Hurriyeh è stata chiusa dalle forze israeliane con l’accusa di istigazione. Frustrato dall’incapacità dell’ANP di proteggere la popolazione palestinese da simili azioni da parte delle forze israeliane, al-Qawasmeh ha messo su Facebook un caustico post in cui chiedeva le dimissioni del presidente Mahmoud Abbas, del primo ministro Rami Hamdallah e del governatore di Hebron Kamel Hmeid. Tre giorni dopo è stato arrestato dalle forze dell’ANP.

“Quando ho visto che era stato arrestato ed ho scritto il post contro l’arresto, l’ANP ha pensato che avrei iniziato a mobilitare la gente contro l’arresto di Ayman. Sanno che sono in grado di mobilitare i media e lo temevano – ma alla fine il lavoro l’hanno fatto loro, arrestandomi hanno mobilitato loro stessi i media. Quando mi hanno arrestato li ho avvertiti che era una cattiva idea. Ho detto: ‘Non arrestatemi, interrogatemi e portatemi in tribunale, ma non arrestatemi, perché questo danneggerà l’ANP.’”

Amro ha detto che era preoccupato che il suo arresto potesse portare l’attenzione sul suo lavoro al di fuori di Israele, puntando i riflettori sull’ANP, un obiettivo più facile, ma che lui considera secondario rispetto all’occupazione.

“Ho cercato di spiegare che non avevo mai avuto intenzione di spostare tutta la solidarietà nei miei confronti che è contro Israele dirigendola contro l’ANP, perché so che la solidarietà collegata a me contro Israele non sarebbe nulla in confronto alla solidarietà che potrei sollevare contro l’ANP, ma ciò non è mai stato quello che volevo. Ho spiegato loro che la solidarietà contro di loro sarebbe stata dieci volte più forte perché molti hanno paura di Israele”, ha detto, spiegando che molte istituzioni, organizzazioni e figure diplomatiche americane ed europee non vogliono criticare pubblicamente Israele a causa della loro politica interna, mentre è facile per loro prendere di mira l’ANP.

“Ero anche preoccupato che l’opposizione palestinese potesse usarmi come veicolo contro altri palestinesi – ecco perché ho mantenuto un basso profilo quando sono stato rilasciato – il mio nemico principale è l’occupazione e il mio principale impegno è contro Israele, non contro l’ANP, anche se sono molto in disaccordo con la sua politica. Non intendo attaccare l’ANP mentre Israele è qui ad occupare la mia terra ed a far pressione sull’ANP perché faccia ciò che sta facendo. Voglio contrastare la causa principale, non l’effetto collaterale.”

Durante la settimana di detenzione, Amro è stato interrogato quotidianamente, con l’ANP che insinuava che l’attivista fosse una spia straniera, una tattica utilizzata dai governi totalitari in tutto il mondo.

Ha detto: “Sono stato a lungo interrogato sul fatto se io do informazioni a organizzazioni europee o delle Nazioni Unite o ad altre organizzazioni internazionali. Volevano sapere se io do giudizi sul lavoro dell’ANP, o delle sue forze di sicurezza. Mi hanno chiesto tante volte se sono una spia delle agenzie internazionali o dei servizi segreti internazionali che lavoravano contro l’ANP, passando informazioni su di essa. Hanno cercato di impostare le cose in modo da farmi ammettere che forse sono una vittima di questo genere di gruppi, insinuando che magari erano venuti a farmi delle domande e io non avevo capito che cosa stesse accadendo.”

La legge sui reati informatici

Amro è stato incarcerato in base alla nuova legge dell’ANP sui reati informatici, che prevede pesanti sanzioni pecuniarie e l’arresto per chiunque critichi sul web l’ANP – compresi giornalisti e informatori.

In ultima analisi, Amro è convinto che l’ANP l’abbia arrestato per due motivi: primo, lui pensa che il governo gli stia alle costole da tempo perché si è sempre rifiutato di inserire il suo movimento, “YAS”, rispettato a livello internazionale, all’interno del partito Fatah; secondo, pensa che, arrestando una persona politicamente rilevante come lui, l’ANP abbia voluto mandare il messaggio che “nessuno è al sicuro” dall’essere perseguito in base alla nuova legge dell’ANP sulla censura.

“Pensano che noi siamo contro l’ANP, ma non è vero. Noi siamo contro la corruzione e contro la legge sull’informatica – come tutti i palestinesi – e contro l’arresto e l’intimidazione dei giornalisti,” ha detto. “Sosteniamo la libertà di parola, la libertà di stampa, la libertà di espressione, questo è ciò che dichiariamo. Nello YAS non abbiamo reali posizioni politiche perché siamo per l’unità, non siamo per o contro Fatah, siamo per la Palestina e contro l’occupazione, questo è il nostro unico obbiettivo.”

Abbas ha promulgato la “Legge sui reati informatici” a luglio con un decreto presidenziale. La legge è stata criticata da ONG e organizzazioni umanitarie di tutto il mondo, compresa Amnesty International, che ha documentato che essa è sufficientemente estensiva da poter essere usata contro normali cittadini che mettono post sui social media, che potrebbero ricadere sotto di essa per aver semplicemente ritwittato notizie o i post di altre persone.

Secondo Amnesty International, in base alla nuova legge chiunque sia accusato di violare la norma postando qualcosa che potrebbe costituire turbativa dell’“ordine pubblico”, dell’ “unità nazionale” o della “pace sociale”, potrebbe essere condannato al carcere e fino a 15 anni di lavori forzati.

Amro ha detto che la legge è un perfetto esempio di come l’ANP si aggrappi a varie alternative nel contesto di un’amministrazione sempre più impopolare.

“Durante il mio interrogatorio, mi hanno detto di considerare quanti attacchi ricevesse l’ANP dalla gente e mi hanno chiesto in quale altro modo avrebbero potuto fermarli se non con una legge come questa,” ha detto. “Ho detto loro che non avrebbero dovuto fermarli, ma lasciare che le persone esprimano la propria opinione e che dovrebbero cercare di comportarsi meglio, e ancora che quello che le persone dicono è affar loro, dovrebbero dare spazio alla gente perché condivida le proprie idee ed imparare da essa.”

A luglio almeno dieci giornalisti sono stati convocati dall’ANP per essere interrogati, mentre in agosto almeno sei giornalisti sono stati arrestati. Inoltre l’ANP ha chiuso o bloccato l’accesso ad almeno 29 siti web, la maggior parte dei quali sono siti di informazione collegati a rivali di Fatah.

Al-Qawasmeh è stato rilasciato il 6 settembre, dopo aver trascorso tre giorni nel carcere dell’ANP. La sua stazione radio rimarrà chiusa per almeno sei mesi. Anche se Amro raramente concorda con il punto di vista di al-Qawasmeh, ha detto che i palestinesi devono agire insieme per difendere il diritto alla libertà di parola per tutti.

“Con questa legge sulla censura ci stanno distruggendo. Noi usiamo i diritti umani e la libertà di espressione come strumenti per attaccare l’occupazione, per distruggere la falsa immagine che Israele ha costruito – stiamo usando le nostre voci per mostrare che Israele è un Paese occupante e che eseguendo questo tipo di arresti contro attivisti, giornalisti ed altri gruppi ci stanno togliendo questo strumento, perché il popolo si ritroverà perseguitato da entrambi i governi,” ha detto. “Come può il popolo sostenere l’ANP, se arrestano le persone che lo difendono? Stanno attaccando uno dei pochi strumenti che ancora possiamo usare contro Israele – la nostra voce.”

Mentre è stato rilasciato su cauzione, l’attivista ha ancora delle imputazioni da parte dell’ANP, compresi il disturbo dell’“ordine pubblico”, l’“aver provocato conflitti” e l’“oltraggio alle massime autorità”.

L’ANP non ha ancora fissato un processo. Inoltre Amro ha a suo carico 18 imputazioni da parte di Israele per il suo attivismo, comprese, fra le altre, quelle di “manifestazione non autorizzata”, “ingresso in zona militare chiusa”, “istigazione” e “intralcio a pubblico ufficiale”.

Amro ha affermato di non aver intenzione di lasciare che il suo arresto impedisca il suo lavoro o influenzi il suo normale comportamento.

“ Niente di tutto ciò mi fermerà, perché questo è il mio compito ed ho i miei principi – sono un difensore dei diritti umani – non posso essere tale ed al tempo stesso avere paura di Israele e dell’ANP”, ha detto Amro. “Sono certo che ci sarà un prezzo, c’è sempre, per ottenere un cambiamento bisogna pagare un prezzo, e se non lo si vuole pagare non si può essere un leader del cambiamento.”

Sheren Khalel è una giornalista multimediale freelance, che si occupa di Israele, Palestina e Giordania. Il suo interesse si incentra sui diritti umani, le questioni femminili ed il conflitto israelo-palestinese. Khalel ha lavorato per l’agenzia Ma’an News a Betlemme ed attualmente vive a Ramallah e Gerusalemme. La si può seguire su Twitter all’indirizzo @Sherenk

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




L’arresto del militante della Cisgiordania Issa Amro rivela il comune interesse dell’ANP e di Israele nel dissuadere azioni di disobbedienza civile

Amira Hass, 11 settembre 2017,Haaretz

Si dice che il coordinamento della sicurezza palestinese con Israele sia stato drasticamente ridotto su ordine del Presidente Mahmoud Abbas. Allora perché l’Autorità Nazionale Palestinese ha arrestato Issa Amro, una delle costanti spine nel fianco del potere occupante israeliano ad Hebron?

Attraverso il suo arresto l’ANP ha palesato i suoi interessi comuni con Israele ed ha dimostrato ancora una volta che la sua stessa esistenza è diventata la sua ragion d’essere. Ha inoltre rivelato stupidità politica e disprezzo per la lotta popolare palestinese contro chi ruba la terra ed espelle la popolazione.

La scorsa settimana un tribunale palestinese a Hebron ha prorogato la sua detenzione di quattro giorni, prima di rilasciarlo domenica su cauzione. Amro è accusato di turbare la quiete pubblica, in in base alla controversa nuova ‘legge elettronica’ approvata recentemente dal governo di Ramallah. E’ accusato anche di aver provocato disordini interni e di aver offeso i più alti vertici dell’ANP.

Amro è co-fondatore di ‘Giovani contro le colonie’. Il gruppo documenta il folle comportamento dei coloni di Hebron e dei soldati che li difendono. Ha anche dato vita ad iniziative sociali per rafforzare la presenza palestinese nella Città Vecchia [di Hebron].

‘Giovani contro le colonie’ costituisce un modello di disubbidienza civile e mette un bastone tra le ruote ai piani israeliani di espulsione [dei palestinesi]. E’ un piccolo gruppo con grandi idee, divisioni, fallimenti e successi. Ha anche fatto crescere la consapevolezza tra gli ebrei della diaspora riguardo alla folle forma di apartheid che l’esercito, l’Amministrazione Civile [il governo militare israeliano nei territori palestinesi occupati, ndt.] ed i coloni di Hebron hanno creato.

Non per niente Israele arresta gli oppositori contro l’occupazione a Hebron e disperde con la forza le loro marce di protesta (che a volte coinvolgono attivisti israeliani). Non per niente un anno fa il procuratore militare israeliano ha costruito accuse contro Amro sulla base di vecchi reati (risalenti a prima del 2013), come manifestazioni, contestazioni ai soldati, spintoni al coordinatore della sicurezza militare della colonia di Kiryat Arba e incidenti simili, che solo una giunta militare potrebbe trasformare in un’incriminazione.

Poiché i presunti crimini sono stati commessi tanto tempo fa, il tribunale non ha potuto disporre l’arresto di Amro fino al termine delle procedure. A volte l’imbarazzo lega le mani anche alla giunta.

L’incriminazione israeliana nei confronti di Amro è finalizzata soprattutto a dissuadere altri giovani palestinesi dall’ unirsi alla disobbedienza civile a Hebron, dall’ osare resistere ai coloni ed alla loro costante violenza razzista e dall’ incrementare la loro presenza nella vecchia e tormentata Hebron.

L’esercito israeliano, i coloni e la polizia preferiscono i giovani palestinesi disperati ed isolati che, senza un piano, una strategia o una prospettiva, vanno ai checkpoint a suicidarsi per mano di un soldato o di un colono.

Il vero pericolo per l’esercito a difesa dei coloni sono i militanti che possono aprire un varco alla speranza, che possono pianificare diversi passi avanti e mirare ad una partecipazione di massa.

Il lavoro sporco, a quanto sembra, viene fatto anche da altri. I servizi di sicurezza palestinesi hanno arrestato Amro lo scorso lunedì mattina. Il giorno prima aveva pubblicato due moderati post su Facebook, invocando il rispetto dei principi di libertà di espressione e opinione. L’espressione più forte nel suo post affermava che i servizi di sicurezza palestinesi arrestano la gente sulla base di ordini dall’alto. Si riferiva all’arresto di uno dei dirigenti della stazione radio Minbar Al Hurriya [una delle radio più seguite a Gaza, ndt.], alcuni giorni dopo che l’esercito israeliano l’aveva chiusa.

Il direttore, Ayman al-Qawasmi aveva invitato Abbas ed il primo ministro palestinese Rami Hamdallah a dimettersi in quanto incapaci di difendere le istituzioni palestinesi. Qawasmi è stato rilasciato mercoledì scorso. Come già detto, domenica il tribunale palestinese ha rilasciato Amro su cauzione di 5.000 shekels (1.190 €).

Giovedì, diplomatici, rappresentanti di Amnesty International e giornalisti esteri si sono presentati alla prima udienza della causa di Amro – lo stesso gruppo che assiste alle udienze contro di lui nei tribunali militari israeliani. Tuttavia la causa presso il tribunale di Hebron si è tenuta a porte chiuse, per cui hanno dovuto restare fuori.

Nonostante il tribunale palestinese sia tornato sulle sue decisioni, il danno è stato fatto. L’ANP ha già fatto un regalo ai sostenitori israeliani delle espulsioni. Dal punto di vista dell’ANP, l’arresto di Amro è stato una follia perché, più di ogni altro atto antidemocratico, era chiaro che avrebbe attirato l’attenzione generale e gettato su di esso una luce negativa. Fosse anche solo per ragioni di convenienza, l’ANP avrebbe dovuto ricordarsi che stava arrestando un militante molto noto, la cui attività gode di grande rispetto all’estero.

Se l’ANP avesse tenuto in qualche conto la lotta popolare, avrebbe capito sin dall’inizio che un simile arresto l’avrebbe danneggiata. Ma alla fin fine l’ANP rifiuta le lotte popolari come strumento di cambiamento. Se ne serve solo come un ornamento per recuperare la reputazione di Fatah e dell’ANP come soggetti esclusivi della lotta per l’indipendenza.

Le autorità che lo hanno arrestato, dal vertice alla base, hanno pensato solo a sé stesse; alla loro sopravvivenza come apparato di comando; ai loro stipendi; alle loro promozioni. Le critiche esplicite deturpano la parvenza dell’apparato come rappresentante patriottico del popolo. Le critiche sono a volte indirizzate alla mancanza di libertà di espressione, a volte alla sospensione o ai brogli delle elezioni e a volte ai vantaggi economici di una ristretta classe al potere.

Quelle voci devono essere messe a tacere per il bene del sistema, che dipende direttamente dal mantenimento degli accordi eternamente temporanei con Israele. Perciò la lotta popolare ed i suoi militanti devono essere controllati e contenuti, in modo che non creino situazioni che minaccino accordi scaduti da molto tempo e che servono solo alla perpetuazione dell’occupazione.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)