L’arte dei bambini palestinesi mette in luce il genocidio culturale israeliano

Ramzy Baroud

7 marzo 2023 – Middle East Monitor

Il seguente messaggio di testo racconta l’intera storia di ciò per cui le comunità filo-palestinesi di tutto il mondo stanno combattendo e contro cui combattono i filo-israeliani: “Siamo lieti di annunciare che il Chelsea e il Westminster Hospital ha rimosso un’esposizione di opere d’arte disegnate da bambini provenienti da Gaza”.

Questo è il riassunto di una notizia pubblicata sulla homepage del gruppo lobbista filo-israeliano UK Lawyers for Israel [Avvocati Britannici per Israele, ndt.] (UKLFI). L’associazione è accreditata – se credito è la parola giusta – come lo schieramento che è riuscito a convincere l’amministrazione di un ospedale nella zona ovest di Londra a rimuovere alcune opere d’arte create dai bambini rifugiati nella Striscia di Gaza sotto assedio.

Per spiegare la logica alla base della loro incessante campagna per la rimozione dell’arte dei bambini, UKLFI ha affermato che i “pazienti ebrei” in ospedale “si sentivano vulnerabili e colpevolizzati dall’esibizione”. Le poche opere d’arte raffiguravano la Cupola della Roccia nella Gerusalemme Est occupata, la bandiera palestinese e altri simboli che non dovrebbero realmente “colpevolizzare” nessuno. L’articolo dell’ UKLFI è stato successivamente modificato, con la rimozione del riassunto offensivo, sebbene sia ancora accessibile sui social media.

Per quanto ridicola possa sembrare questa storia, in realtà è l’essenza stessa della campagna anti-palestinese lanciata da Israele e dai suoi alleati in tutto il mondo. Mentre i palestinesi si battono per i diritti umani fondamentali, la libertà e la sovranità come sancito dal diritto internazionale, il campo filo-israeliano si batte per la totale cancellazione di tutto ciò che è palestinese.

Alcuni chiamano ciò genocidio o etnocidio culturale. Sebbene i palestinesi abbiano familiarità con questa pratica israeliana in Palestina sin dall’inizio dello stato di occupazione, i confini della guerra sono stati ampliati per raggiungere qualsiasi parte del mondo, specialmente nell’emisfero occidentale.

La disumanità dell’UKLFI e dei suoi alleati è abbastanza palpabile, ma l’associazione non può essere l’unica da biasimare. Quegli avvocati non sono che la continuazione di una cultura coloniale israeliana che osserva l’esistenza stessa di un popolo palestinese, inclusa l’arte dei bambini rifugiati, attraverso una visione politica, come una “minaccia esistenziale” per lo stato di occupazione.

Il rapporto tra l’esistenza stessa di un Paese e l’arte dei bambini può sembrare assurdo, – e lo è – ma ha una sua, seppur strana, logica: finché questi bambini profughi si riconosceranno come palestinesi continueranno a vedere se stessi, ed essere considerati da altri, come parte di un tutto più grande, il popolo palestinese. Questa autoconsapevolezza e il riconoscimento da parte di altri – per esempio, pazienti e personale di un ospedale di Londra – di questa identità palestinese collettiva, rende difficile, di fatto impossibile, per Israele vincere.

Per palestinesi e israeliani la vittoria significa due cose completamente diverse, che sono conciliabili. Per i palestinesi la vittoria significa libertà per il popolo palestinese e uguaglianza per tutti. Per Israele la vittoria può essere raggiunta solo attraverso la cancellazione dei palestinesi sul piano geografico, storico, culturale e sulla base di ogni altro aspetto che potrebbe costituire parte dell’identità di un popolo.

Purtroppo il Chelsea and Westminster Hospital assume ora una parte attiva in questa tragica cancellazione dei palestinesi, allo stesso modo in cui nel 2018 Virgin Airlines [compagnia aerea privata britannica, ndt.] ha ceduto alle pressioni quando ha accettato di rimuovere il “cuscus di ispirazione palestinese” dal suo menu. All’epoca questa storia sembrò un bizzarro episodio del cosiddetto “conflitto israelo-palestinese”, anche se in realtà la vicenda rappresentava il nucleo stesso di questo “conflitto”.

Per Israele la guerra in Palestina ruota attorno a tre finalità fondamentali: acquisire terra; cancellare le persone; riscrivere la storia. Il primo obiettivo è stato in gran parte raggiunto attraverso un processo di pulizia etnica e di folle colonizzazione della Palestina dal 1947-48. L’attuale governo di estrema destra di Benjamin Netanyahu spera solo di portare a termine questo processo. Il secondo compito va oltre la pulizia etnica, perché anche la semplice consapevolezza della loro identità collettiva da parte dei palestinesi, ovunque si trovino, costituisce un problema. Da qui il processo attivo del genocidio culturale. E sebbene Israele sia riuscito a riscrivere la storia per molti anni, questo compito viene ora sfidato, grazie alla tenacia dei palestinesi e dei loro alleati e al potere delle reti sociali e digitali.

I palestinesi sono senza dubbio i maggiori beneficiari dello sviluppo dei media digitali. Questi hanno contribuito al decentramento delle narrazioni politiche e persino storiche. Per decenni la conoscenza da parte dell’opinione pubblica di cosa rappresentino “Israele” e “Palestina” nell’immaginario dominante è stata ampiamente controllata attraverso una specifica narrazione approvata da Israele. Coloro che deviavano da questa narrazione venivano attaccati ed emarginati, e quasi sempre accusati di “antisemitismo”. Sebbene queste tattiche siano ancora scatenate contro i critici di Israele, il risultato non è più garantito.

Ad esempio, un singolo tweet che descrive la “gioia” dell’UKLFI ha ricevuto oltre 2 milioni di visualizzazioni su Twitter. Milioni di britannici indignati e utenti di social media in tutto il mondo hanno trasformato quella che doveva essere una vicenda locale in uno degli argomenti riguardanti Palestina e Israele più discussi in tutto il mondo. Com’era prevedibile, non molti utenti dei social media hanno condiviso la “gioia” dell’ UKLFI, costringendo così il gruppo di pressione a riformulare l’articolo originale. Ancora più importante, in un solo giorno milioni di persone sono venuti a conoscenza di un argomento completamente nuovo su Palestina e Israele: la cancellazione culturale. La “vittoria” si è trasformata in un’assoluta figuraccia per la lobby filo-israeliana, forse addirittura una sconfitta.

Grazie alla crescente popolarità della causa palestinese e all’impatto dei social media, le iniziali vittorie israeliane quasi sempre gli si ritorcono contro. Un altro esempio recente è stato il licenziamento e la rapida reintegrazione dell’ex direttore di Human Rights Watch [una delle principali ong per i diritti umani, ndt.] (HRW), Kenneth Roth. A gennaio, il dottorato di Roth presso la Kennedy School dell’Università di Harvard è stata revocato a causa del rapporto di HRW che definisce Israele un regime di apartheid. Un’importante campagna avviata da piccole organizzazioni di media alternativi ha portato in pochi giorni alla reintegrazione di Roth. Questo e altri casi dimostrano che criticare Israele non determina più la fine di una carriera, come spesso accadeva in passato.

Israele continua ad impiegare tattiche obsolete per controllare il confronto e la narrazione sulla sua occupazione della Palestina. Sta fallendo perché quelle tattiche tradizionali non possono più funzionare in un mondo moderno in cui l’accesso alle informazioni è decentrato e dove nessuna censura può controllare il confronto. Per i palestinesi questa nuova realtà è un’opportunità per ampliare la loro rete di sostegno in tutto il mondo. Per Israele la missione è fragile, soprattutto quando le vittorie iniziali possono diventare in poche ore sconfitte totali.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Superato il limite. Le autorità israeliane e i crimini di apartheid e persecuzione

27 aprile 2021 – Human Rights Watch

(Gerusalemme) – In un rapporto reso noto oggi, Human Rights Watch [notissima Ong per i diritti umani con sede negli USA, ndtr.] afferma che le autorità israeliane stanno commettendo i crimini contro l’umanità di apartheid e persecuzione. Queste conclusioni si fondano su una politica complessiva del governo israeliano per mantenere il dominio degli ebrei israeliani sui palestinesi e su gravi violazioni commesse contro i palestinesi che vivono nei territori occupati, compresa Gerusalemme est.

Il rapporto di 213 pagine, “Superata la soglia. Le autorità israeliane e i crimini di apartheid e persecuzione”, esamina il trattamento dei palestinesi da parte di Israele. Presenta la situazione attuale di un’autorità unica, il governo israeliano, che è il potere dominante nell’area tra il fiume Giordano e il mar Mediterraneo, popolata da due gruppi più o meno delle stesse dimensioni numeriche, e che privilegia metodicamente gli ebrei israeliani reprimendo i palestinesi, in modo più pesante nei territori occupati.

“Per anni voci autorevoli hanno avvertito che l’apartheid sarebbe stato proprio dietro l’angolo se la traiettoria del dominio di Israele sui palestinesi non fosse cambiata,” afferma Kenneth Roth, direttore esecutivo di Human Rights Watch. “Questo studio dettagliato mostra che le autorità israeliane sono già andate oltre quell’angolo e oggi stanno commettendo i crimini contro l’umanità di apartheid e persecuzione.” La conclusione che si tratta di apartheid e persecuzione non muta lo status giuridico dei territori occupati, costituiti da Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, e Gaza, né la situazione concreta dell’occupazione.

Originariamente coniato riguardo al Sud Africa, oggi “apartheid” è un termine giuridico universale. La proibizione contro discriminazioni e oppressione istituzionalizzati particolarmente gravi, o apartheid, costituisce un principio fondamentale del diritto internazionale. La Convenzione Internazionale sulla Soppressione e Punizione del Crimine di Apartheid e lo Statuto di Roma del 1998 che ha creato la Corte Penale Internazionale (CPI) definiscono l’apartheid un crimine contro l’umanità che consiste in tre elementi fondamentali:

1. L’intenzione di conservare la dominazione di un gruppo razziale su un altro.

2. Un contesto di oppressione sistematica del gruppo dominante sul gruppo emarginato.

3. Atti disumani.

Il riferimento a un gruppo razziale è inteso oggi come relativo non solo a modalità di trattamento sulla base di tratti genetici, ma anche di discendenza e origine nazionale o etnica, come definita nella Convenzione Internazionale sull’Eliminazione di Ogni Forma di Discriminazione Razziale. Human Rights Watch applica questa interpretazione più ampia di razza.

Il crimine contro l’umanità di persecuzione, come definito dallo Statuto di Roma e dal diritto consuetudinario internazionale, consiste in una grave privazione di fondamentali diritti di un gruppo razziale, etnico o altro con intenti discriminatori.

Human Rights Watch ha rilevato che gli elementi di questi crimini si ritrovano nel territorio occupato come parte di un’unica politica del governo israeliano. Questa politica intende conservare la dominazione degli ebrei israeliani sui palestinesi in Israele e nei territori occupati, dove è accompagnata da oppressione sistematica e azioni inumane contro i palestinesi che vi vivono.

Avvalendosi di anni di documentazione sui diritti umani, studi di caso e dell’esame di documenti programmatici del governo, di affermazioni di politici e di altre fonti, Human Rights Watch ha messo a confronto politiche e prassi nei confronti dei palestinesi nei territori occupati e in Israele con quelli riguardanti ebrei israeliani che vivono nelle stesse zone. Nel luglio 2020 Human Rights Watch ha scritto al governo israeliano, sollecitando il suo punto di vista su questi problemi, ma non ha ricevuto alcuna risposta.

In Israele e nei territori occupati le autorità israeliane hanno cercato di estendere il più possibile la terra a disposizione delle comunità ebraiche e di concentrare la maggior parte dei palestinesi in centri densamente popolati. Le autorità hanno adottato politiche per contenere quello che hanno descritto esplicitamente come una “minaccia demografica” da parte dei palestinesi. A Gerusalemme, per esempio, i progetti del governo per il Comune, comprese sia la parte occidentale che quella orientale occupata della città, hanno fissato l’obiettivo di “conservare una solida maggioranza ebraica in città” e persino specificato la percentuale demografica che sperano di preservare.

Per mantenere la loro dominazione le autorità israeliane discriminano sistematicamente i palestinesi. La discriminazione istituzionale che i cittadini palestinesi di Israele devono affrontare include leggi che consentono a centinaia di cittadine ebraiche di escludere di fatto i palestinesi e stanziamenti che destinano solo una quota ridotta alle scuole palestinesi rispetto a quelle che accolgono bambini ebrei israeliani. Nel territorio occupato la durezza della repressione, compresa l’imposizione di un regime militare draconiano sui palestinesi, accordando nel contempo agli ebrei israeliani che vivono in modo segregato nello stesso territorio pieni diritti in base alla legge civile israeliana che ne rispetta i diritti, rappresenta la sistematica oppressione inerente all’apartheid.

Le autorità israeliane hanno commesso una serie di abusi contro i palestinesi. Molti di quelli commessi nel territorio occupato costituiscono gravi violazioni dei diritti fondamentali e azioni inumane relative di nuovo all’apartheid, tra cui: vaste restrizioni agli spostamenti nella forma del blocco di Gaza e di un regime di permessi, la confisca di più di un terzo della terra in Cisgiordania, dure condizioni in parti della Cisgiordania che hanno portato al trasferimento forzato di migliaia di palestinesi fuori dalle loro case, negazione dei diritti di residenza a centinaia di migliaia di palestinesi e dei loro familiari e la sospensione dei diritti civili fondamentali di milioni di palestinesi. Molte delle violazioni che sono al centro della perpetrazione di questi crimini, come la quasi totale negazione dei permessi edilizi ai palestinesi e la demolizione di migliaia di case con il pretesto della mancanza di permessi, non hanno alcuna giustificazione riguardante la sicurezza. Altre, come l’effettivo congelamento dell’anagrafe che Israele controlla nei territori occupati, che non ha altro scopo che impedire la riunificazione della famiglia per i palestinesi che vi vivono e impedisce agli abitanti di Gaza di vivere in Cisgiordania, utilizzano la sicurezza come pretesto per ulteriori obiettivi demografici. Anche quando la sicurezza fa parte della motivazione, essa non giustifica l’apartheid e la persecuzione più di quanto lo facciano la forza eccessiva o la tortura, afferma Human Rights Watch.

“Negare a milioni di palestinesi i diritti fondamentali senza alcuna legittima giustificazione riguardo alla sicurezza ed esclusivamente perché sono palestinesi e non ebrei non è solo una questione di occupazione illegittima,” scrive Roth. “Queste politiche, che concedono agli ebrei israeliani gli stessi diritti e privilegi ovunque vivano e discriminano i palestinesi a vari livelli ovunque essi vivano riflette una politica che privilegia un popolo a spese di un altro.”

Negli ultimi anni affermazioni e azioni delle autorità israeliane, compresa l’approvazione nel 2018 di una legge con valenza costituzionale che definisce Israele “lo Stato-Nazione del popolo ebraico”, il crescente insieme di leggi che privilegiano ulteriormente i coloni israeliani in Cisgiordania e non si applicano ai palestinesi che vivono sullo stesso territorio, così come negli ultimi anni la massiccia espansione di colonie e relative infrastrutture che le collegano a Israele hanno chiarito l’intenzione di conservare la supremazia degli ebrei israeliani. La possibilità che un futuro leader israeliano possa un giorno definire un accordo con i palestinesi che smantelli il sistema discriminatorio non smentisce la situazione attuale.

Le autorità israeliane dovrebbero eliminare ogni forma di repressione e discriminazione che privilegi gli ebrei israeliani a spese dei palestinesi, anche per quanto riguarda la libertà di movimento, la destinazione di terre e risorse, l’accesso all’acqua, all’elettricità e ad altri servizi e la concessione di permessi di costruzione. La procura generale della Corte Penale Internazionale (CPI) dovrebbe indagare e perseguire quanti sono verosimilmente implicati nei crimini contro l’umanità di apartheid e persecuzione. Dovrebbero farlo anche i Paesi in accordo con le proprie leggi nazionali in base al principio della giurisdizione universale e imporre sanzioni individuali, compreso il divieto di viaggiare e il blocco dei beni, contro funzionari pubblici responsabili di aver commesso questi crimini.

Le prove di crimini contro l’umanità dovrebbero indurre la comunità internazionale a rivedere la natura del proprio impegno in Israele e Palestina e adottare un approccio centrato sui diritti umani e sulla responsabilizzazione invece che esclusivamente sul “processo di pace” in fase di stallo. I Paesi dovrebbero formare una commissione d’inchiesta ONU per indagare la discriminazione e repressione sistematiche in Israele e Palestina e [nominare] un inviato internazionale dell’ONU per i crimini di persecuzione e apartheid con il mandato di mobilitare un’azione internazionale per porre fine a persecuzione e apartheid in tutto il mondo. I Paesi dovrebbero condizionare la vendita di armi e l’assistenza militare e per la sicurezza a Israele al fatto che le autorità israeliane prendano iniziative concrete e verificabili e smettano di commettere questi crimini. I Paesi dovrebbero vietare accordi, programmi di cooperazione e ogni tipo di commercio e trattati con Israele per individuare quanti contribuiscono direttamente a commettere questi crimini, ridurre l’impatto sui diritti umani e, ove non fosse possibile, porre fine ad attività e finanziamenti destinati ad agevolare questi gravi crimini.

“Mentre la maggior parte del mondo considera la cinquantennale occupazione come una situazione temporanea che il pluridecennale “processo di pace” presto risolverà, l’oppressione dei palestinesi ha raggiunto là un livello e una persistenza che corrispondono alla definizione di crimini di apartheid e persecuzione,” afferma Roth. “Quanti si impegnano per la pace tra israeliani e palestinesi, che sia una soluzione a uno Stato unico o a due Stati o una confederazione, dovrebbero nel contempo riconoscere questa situazione per quello che è e attivare gli strumenti per la difesa dei diritti umani necessari per porvi fine.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)