Perché il pogrom di Huwwara era inevitabile

Maureen Clare Murphy

27 febbraio 2023 – The Electronic Intifada

All’inizio di gennaio, mentre Israele stava formando il suo governo più apertamente di estrema destra mai varato, Nadav Tamir, un ex diplomatico israeliano e attuale direttore di un’organizzazione lobbystica J Street,[ associazione sionista moderata, ndt.], ha dato un profetico avvertimento.

Tamir ha affermato che Zvika Fogel, una figura precedentemente poco conosciuta che ora presiede il Comitato per la sicurezza nazionale del parlamento israeliano, “esprime apertamente la velenosa verità” del partito Potere Ebraico di Itamar Ben-Gvir, un attore chiave nella coalizione di governo di Benjamin Netanyahu.

Tamir afferma che mentre Ben-Gvir potrebbe desiderare di mascherare i suoi obiettivi estremisti con un linguaggio moderato, Fogel “ha parlato con orgoglio tranquillamente e ad alta voce: vale la pena ascoltarlo”.

Fogel ha svolto quel ruolo lunedì, elogiando l’effetto “deterrente” dopo che centinaia di coloni hanno attaccato le comunità palestinesi nel nord della Cisgiordania, dando fuoco a case e veicoli palestinesi.

Un palestinese di 37 anni è stato ucciso durante questa furia durata ore, organizzata dai coloni dopo che due fratelli israeliani sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco a Huwwara, l’epicentro della rabbia violenta della folla di giustizieri.

Mentre Netanyahu e Ben-Gvir facevano finta di invitare gli israeliani ad astenersi dal farsi giustizia da sé, Fogel ha intrapreso una campagna mediatica esprimendo la sua approvazione per la devastazione.

Fogel ha affermato: “Una Huwwara chiusa e bruciata – questo è quello che voglio vedere”. Ha spiegato: “Questo è l’unico modo per ottenere deterrenza. Dopo un omicidio come quello di ieri dobbiamo bruciare villaggi quando [l’esercito israeliano] non agisce”.

Fogel in seguito ha ritrattato i suoi commenti e si è contraddetto dicendo: “Ho detto che lo Stato è quello che dovrebbe agire per scoraggiare i terroristi, sicuramente non i civili”.

Ma a quel punto i seguaci del suo partito e gli aderenti all’ideologia suprematista che esso rappresenta avevano già ricevuto il messaggio, forte e chiaro.

Violenza autorizzata dallo Stato”

Anche se chiedere ai vendicatori “di non farsi giustizia da sé” lunedì era la linea del governo Netanyahu, essa è smentita da tutto ciò che la coalizione di governo ha detto e fatto fino ad ora.

Breaking the Silence, un gruppo di veterani [dell’esercito, ndt] israeliani che denunciano quanto avviene nei territori occupati, ha affermato lunedì che “il pogrom di Huwwara è stata una violenza autorizzata dallo Stato”.

Rappresentati ai massimi livelli del governo, “i coloni si sono scatenati impunemente perché sanno di avere lo Stato dalla loro parte”, ha aggiunto Breaking the Silence.

E questo include l’esercito israeliano, la cui funzione principale nella Cisgiordania occupata è proteggere i coloni che vivono in colonie per soli ebrei costruite in violazione del diritto internazionale.

B’Tselem,organizzazione israeliana per i diritti umani, ha sottolineato la “sinergia” della cooperazione: “I coloni effettuano l’attacco, i militari lo proteggono, i politici lo sostengono”.

Rifiutando le affermazioni che suggerivano che il governo israeliano avesse perso il controllo, B’Tselem ha affermato che “è proprio così che si manifesta il controllo israeliano” e ha aggiunto che “il pogrom di Huwwara è stata una manifestazione estrema di una politica israeliana di lunga data”.

Il precedente di Hebron

Per un altro tragico esempio di questa politica bisogna guardare alla città di Hebron, in Cisgiordania.

Un giorno, 29 anni prima del pogrom dei coloni a Huwwara, Baruch Goldstein, un colono ebreo nato negli Stati Uniti, sparò nella moschea di Ibrahimi, massacrando 29 uomini e ragazzi palestinesi.

Goldstein era un seguace del rabbino genocida Meir Kahane. Ben-Gvir, il ministro della Sicurezza Nazionale di Israele, definisce sé stesso come un “discepolo” di Kahane, come ha affermato The Times of Israel, e considera Goldstein un eroe.

Sulla scia del massacro di Goldstein, Israele intensificò le sue misure repressive contro i palestinesi e spartì la moschea Ibrahimi a favore dei coloni – un precedente che Israele potrebbe tentare di ripetere alla moschea al-Aqsa di Gerusalemme.

Da allora i coloni hanno sequestrato proprietà palestinesi nella Città Vecchia di Hebron, rendendo il suo ex cuore commerciale una città fantasma chiusa.

Lunedì, dopo che l’esercito israeliano ha chiuso i negozi palestinesi a Huwwara, agli osservatori non è sfuggito il parallelo con Hebron.

Lungi dal fatto che Israele non gradisca la violenza dei coloni, quest’ultima è un mezzo necessario per raggiungere l’obiettivo dello Stato di svuotare la Palestina della sua popolazione nativa in modo che possa essere sostituita da coloni stranieri.

La violenza dei coloni, compresi i massacri durante il periodo della fondazione di Israele nel 1948, è stata essenziale per la formazione e il mantenimento di uno Stato ebraico in Palestina.

La “guerra” di Ben-Gvir

Lunedì Ben-Gvir ha espresso un cenno di approvazione a questa prosecuzione della violenza che ha descritto come una necessità esistenziale per il progetto sionista in Palestina: “Questa non è una guerra iniziata ieri, non è una guerra che finirà in un giorno, ma è una guerra per la nostra casa, per le nostre vite”.

Ben-Gvir stava parlava con i coloni a Evyatar, un avamposto non autorizzato dal governo israeliano.

I coloni hanno fondato Evyatar nel maggio 2021 su un terreno appartenente alle comunità palestinesi di Beita, Qabalan e Yatma a Jabal Subeih, vicino alla città di Nablus, nel nord della Cisgiordania. Da allora diversi palestinesi sono stati uccisi durante le proteste contro l’insediamento o subito dopo.

Il governo di Netanyahu intende legalizzare Evyatar, che è stato co-fondato da Zvi Sukkot, un estremista di estrema destra del famigerato insediamento di Yitzhar che, dopo aver ottenuto il seggio lasciato da Smotrich [ministro delle Finanze in carica e che ha rilasciato dichiarazioni simili a quelle di Fogel, ndt.] e che è anche un parlamentare dell’attuale maggioranza del governo israeliano.

I coloni di Yitzhar, che si trova vicino a Huwwara ed è costruito in parte sulla terra del villaggio, sono noti per aver attaccato le vicine comunità palestinesi, con le guardie private di Yitzhar che hanno persino dato ordini ai soldati israeliani durante quegli attacchi.

Il leader dell’opposizione Benny Gantz ha dichiarato lunedì di sostenere il compromesso che il suo governo ha fatto per “legalizzare” Evyatar.

Gantz e il suo collega dell’opposizione Yair Lapid sono stati molto critici nei confronti del governo di estrema destra, affermando che ha “perso il controllo” e sta portando Israele a un “disastro della sicurezza”.

Ma a parte le critiche, Gantz e Lapid condividono la stessa visione di uno Stato suprematista ebraico in Palestina, anche se con una patina di democrazia liberale piuttosto che con la tendenza teocratica di Ben-Gvir e Smotrich.

Le fiamme che hanno avvolto Huwwara domenica sono la logica conclusione dell’ideologia suprematista di Israele.

Lo Stato è oggi guidato dagli aderenti più estremi al sionismo, che, secondo le parole del commentatore palestinese Muhammad Shehada, “non si fermeranno finché tutta la terra non sarà in fiamme”.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Beita, un’icona della resistenza popolare palestinese

Majed Azzam

7 luglio 2021 – Monitor de Oriente

La cittadina di Beita è diventata un’icona della resistenza popolare nella Palestina occupata. Sembra avere canalizzato lo spirito di rivolta di Gerusalemme durante il giorno e le dure attività di Gaza durante la notte, in armonia con gli avvenimenti avvenuti recentemente in Palestina. Di fatto si tratta di rafforzare l’unità del popolo palestinese, ovunque sia, dietro all’opzione di ogni forma di resistenza, soprattutto a livello popolare.

Situata a sud di Nablus, Beita difende le sue proprietà e terre nella zona vicina al monte Sabih, parte delle quali sono state occupate da coloni per fondarvi un avamposto illegale che hanno chiamato Evyatar, in onore di un colono assassinato durante un’operazione della resistenza in quel luogo qualche tempo fa. Include decine di ettari nella montagna, ma c’è un piano malvagio per controllarne altre centinaia e fondare una grande colonia che isoli Beita e i villaggi vicini dal loro contesto palestinese, che diventi una grande rete di colonie in profondità all’interno di città, villaggi e borgate palestinesi in Cisgiordania.

I coloni hanno approfittato dell’attenzione dei palestinesi e del resto del mondo concentrata sulle rivolte di Gerusalemme alla Bab Al-Amoud [Porta di Damasco], a Sheikh Jarrah [quartiere arabo della città] e nella moschea di Al Aqsa, seguite dalla “battaglia della Spada di Gerusalemme” [nome dato da Hamas all’ultimo scontro militare tra Israele e Gaza, ndtr.], per edificare la colonia sul monte Sabih. L’esercito di occupazione israeliano ha asfaltato strade e collegato infrastrutture per l’avamposto, che è illegale persino per la legge coloniale israeliana, e il governo ha ordinato di fatto di ritirarsi. Tuttavia l’ex-primo ministro Benjamin Netanyahu ha lasciato questa questione spinosa e la sua realizzazione a Naftali Bennett, ex capo del consiglio delle colonie, per mettere in difficoltà il suo successore di estrema destra.

La gente di Beita si è sollevata per difendere la propria terra, il proprio futuro e il proprio destino, adottando la scelta della resistenza popolare pacifica a ogni ora, ispirata all’atmosfera e alle rivolte dei territori occupati degli ultimi mesi. La popolazione e le sue attività rappresentavano Gerusalemme durante il giorno e Gaza durante la notte. Durante il giorno le persone hanno messo in atto diverse attività e azioni, come assembramenti, manifestazioni, sit in, seminari, discorsi e festival, e hanno celebrato le preghiere del venerdì sul monte Sabih. Tutto questo è stato accompagnato da canti popolari e canzoni nazionaliste tradizionali, tra cui una specifica della città. Di notte Beita e i suoi dintorni si sono trasformati in Gaza, con metodi di resistenza popolare più energici, per creare confusione. Ciò ha incluso l’utilizzo di altoparlanti, luci intermittenti, laser e fuochi artificiali perché i coloni e le unità dell’esercito di occupazione inviate per difenderli non potessero dormire.

In questo modo Beita è sembrata rappresentare un’attualizzazione creativa del modello Bil’in-Nil’in [due villaggi palestinesi noti per la loro resistenza all’occupazione, ndtr.] visto in Cisgiordania da anni, in cui le manifestazioni e le attività settimanali per proteggere le loro terre e proprietà dai coloni hanno ottenuto notevoli risultati. Anche Beita è diventata una questione internazionale, come Sheikh Jarrah e Silwan [altro quartiere palestinese di Gerusalemme, ndtr.], mentre aumentano le pressioni politiche e diplomatiche affinché il governo israeliano smantelli la colonia ed eviti che si trasformi in una rivolta generalizzata in tutta la Palestina.

Da Beita ci sono molte lezioni da apprendere, soprattutto la ormai leggendaria fermezza del popolo palestinese e la sua insistenza nel difendere le sue terre e proprietà contro l’occupazione militare e i suoi coloni, utilizzando qualunque mezzo a disposizione. Ce ne sono molti, e il più importante è il popolo palestinese stesso, che rifiuta di arrendersi o di accettare i “fatti sul terreno”, che i coloni israeliani pretendono di imporre con la forza. Vediamo così che la resistenza popolare sta diventando una forma di vita per i palestinesi. Il modello di Beita e la sua creatività hanno fatto sì che si esiga prudenza nei punti di frizione con le autorità dell’occupazione e i coloni israeliani, soprattutto nei villaggi e città in cui si sono determinati grandi furti di terre e proprietà.

In stridente contrasto con questo, i dirigenti dell’Autorità Nazionale Palestinese sono assenti, impotenti e incapaci di appoggiare il popolo. L’ANP ha abbandonato in pratica Beita, lasciandola al suo destino, come ha fatto con le rivolte a Gerusalemme e con la “battaglia della Spada di Gerusalemme” a Gaza.

La risposta del popolo di Beita ha alzato il costo politico, securitario ed economico dell’avamposto per Israele. Ora spetta a organizzazioni e istituzioni politiche palestinesi adottare un approccio serio alla resistenza popolare come parte essenziale di un programma politico. Esso deve essere sviluppato da un gruppo dirigente nazionale eletto e unificato, come risultato della ridefinizione delle questioni palestinesi, della ricostruzione delle istituzioni nazionali in modo democratico, di una dirigenza che cerchi di mobilitare il popolo e di investire le sue enormi capacità in una lotta integrale, decisa ed estesa contro l’occupazione israeliana, dentro e fuori dalle frontiere della Palestina storica.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Monitor de Oriente.

(traduzione dallo spagnolo di Amedeo Rossi)




Centinaia di coloni marciano in Cisgiordania contro l’edificazione di case palestinesi

Hagar Shezaf

21 giugno 2021 – HAARETZ

La principale marcia di protesta si è diretta all’avamposto illegale di Evyatar, che i coloni continuano a edificare nonostante un ordine di sgombero dell’esercito israeliano

Lunedì centinaia di coloni hanno partecipato a 14 marce in tutta la Cisgiordania per protestare contro l’edificazione di case palestinesi nell’Area C, che è sotto il controllo della sicurezza israeliana. Lo slogan delle marce era “Combattere per le terre dello Stato”. Durante le marce non è stato registrato nessun incidente.

La marcia principale è iniziata a Tapuach Junction, diretta verso l’avamposto illegale di Evyatar. Diverse decine di coloni hanno marciato attraverso gli uliveti della zona e hanno terminato la marcia con una manifestazione alla quale hanno partecipato il leader dei coloni Yossi Dagan e l’attivista Sheffi Paz, con il cantante Ariel Zilber che ha provveduto all’intrattenimento.

Neora, una madre di tre figli della colonia di Rehelim, ha partecipato alla marcia con la sua famiglia. Siamo venuti perché amiamo questo Paese; siamo infastiditi dal fatto che non vengano costruite nuove colonie. Non siamo in realtà un popolo libero nella nostra terra, [come dice l’inno nazionale]. Si è lamentata del fatto che un gruppo di abitanti del vicino villaggio palestinese di Beita provocherebbe disagi nel corso della notte bruciando continuamente pneumatici nei pressi del suo insediamento coloniale e provocando un denso fumo nel tentativo di far andare via i coloni. Ha detto che gli abitanti del villaggio farebbero anche uso di laser e altre fonti di luce per molestare i coloni.

Altre marce si sono svolte nella Valle del Giordano, sulle colline a sud di Hebron e vicino a Ma’aleh Adumim [colonia israeliana e città palestinese situate ad est di Gerusalemme, in Cisgiordania, ndtr.]. Le marce sono state organizzate da gruppi di destra come Hashomer Yehuda VeShomron, Im Tirzu e Regavim, nonché da vari consigli regionali che sovrintendono alle colonie. Le forze armate israeliane hanno affermato che l’organizzazione delle marce non richiede la necessità di permessi o l’adozione da parte loro di misure speciali.

L’obiettivo di alcune di queste marce era costituito dalle terre definite dall’amministrazione civile come “terreni da indagare”, cioè territori che richiedono un’indagine al fine di determinare se siano di proprietà statale. L’esame dello stato di queste terre è un lungo processo chiamato rilevamento del territorio. I coloni desiderano accelerare il processo in modo che la terra in Cisgiordania possa divenire di proprietà dello Stato. Questo è ciò che è successo a Evyatar, che è stato eretto all’inizio di maggio. L’avamposto coloniale è sorto vicino a Beita, a sud di Nablus. Dopo che i coloni hanno preso possesso della terra in quell’area, è iniziata l’indagine sul suo stato.

Secondo i dati dell’amministrazione civile del 2011, ci sono 1,3 milioni di dunam (129.499 ettari) di terra statale in tutta la Cisgiordania. Dal 1967 a quell’anno solo lo 0,25% di quella terra è stato assegnato ai palestinesi, in contrasto con il 46% dato ai coloni. Per ogni dunam ( 1000 m.) assegnato a un palestinese, 370 sono stati dati ai coloni.

Il gen. Tamir Yadai, a capo del comando centrale, ha respinto una petizione presentata dai coloni di Evyatar riguardo a un’ingiunzione che ne ordinava lo sfratto.

In risposta all’opposizione degli abitanti all’ordine, Yadai ha affermato che [i coloni] hanno “violato palesemente e gravemente la legge costruendo in breve tempo decine di edifici abitati da decine di famiglie”. Il fatto che i coloni abbiano continuato a costruire nel sito anche dopo aver ricevuto l’ordine di fermarsi, a cui doveva seguire lo sgombero dell’avamposto, ha mostrato mancanza di buona fede e contribuisce alla violazione dell’ordine pubblico e dello stato di diritto nell’area, ha aggiunto Yadai.

Il vice consulente legale responsabile per la Cisgiordania, il tenente colonnello Lahat Shemesh, ha affermato che l’avamposto coloniale ha destabilizzato la sicurezza dell’area, portando a decine di istanze di interruzione. Ciò ha richiesto l’allocazione di forze che sono state sottratte ad altre missioni operative.

L’avamposto coloniale ha suscitato proteste tra i palestinesi della zona, che hanno portato alla morte di quattro uomini a causa degli spari dell’IDF [l’esercito israeliano, ndtr.]. La scorsa settimana, il sedicenne Ahmed Zahi Bani Shamsa di Beita è deceduto per le ferite riportate il giorno prima dopo essere stato colpito da un colpo di arma da fuoco sparato da un soldato. L’esercito ha sostenuto che Shamsa sarebbe corso verso un soldato e avrebbe lanciato un ordigno esplosivo prima di essere colpito.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Tre eroiche missioni compiute da militari anonimi

Amira Hass

14 giugno, 2021 Haaretz

Sul rafforzamento del regime di Hamas nella Striscia di Gaza e altre conquiste non trascurabili recentemente compiute dall’esercito israeliano

In tempo di guerra sappiamo ciò che fanno le forze di difesa israeliane [esercito israeliano, ndtr]. I soldati, anche se la loro identità non viene rivelata o resa pubblica, ricevono l’abbraccio collettivo della nazione. In tempo di pace non sono sconosciuti solo i soldati, lo sono anche le loro azioni. Ma perché sottovalutarli, perché non lodarli apertamente davanti ai loro genitori? Per esempio: nei sei giorni fra il 3 e il 9 giugno, i soldati dell’IDF [forze di difesa israeliane, ndtr] hanno ucciso tre palestinesi, e ne hanno ferito decine, compiuto 151 blitz in Cisgiordania e Gersusalemme Est, arrestato 99 persone, compresi 16 minorenni, e demolito dieci tende e nove baracche nella zona di Gerico.

Ed ora passiamo dal generale a tre esempi specifici:

La data: 11 giugno

La missione: proteggere in generale l’impresa coloniale e in particolare l’avamposto illegale di Evyatar, vicino a Nablus, che potenzialmente potrebbe espandersi fino a comprendere 600 dunam (circa 15 acri, come rivelato la scorsa settimana ad Haaretz da Daniella Weiss, segretaria generale del movimento coloniale di Nahala, che ha costruito l’avamposto).

L’obiettivo: manifestanti palestinesi che vivono nel villaggio di Beita, sulla cui terra, oltre a quella di altri due villaggi (Yatma and Qabalan), si sta costruendo Evyatar.

L’intervento: l’omicidio per colpi di armi da fuoco del quindicenne Muhammad Said Hamail, il ferimento di undici persone sempre per colpi di armi da fuoco e di altre sei persone per l’utilizzo di proiettili metallici rivestiti di gomma, crisi respiratorie in circa 60 manifestanti per l’uso di gas lacrimogeni e il pestaggio di altri sei.

Il risultato: altre famiglie palestinesi in lutto per avere avuto l’ardire di opporsi al mitzvah [comandamento, ndtr] del furto di terre.

Il contesto: la costruzione dell’avamposto illegale è iniziata ai primi di maggio per separare i circostanti villaggi palestinesi l’uno dall’altro; l’esercito ha lasciato che i coloni continuassero ad erigere le strutture nonostante l’ordine di demolizione emesso dall’Autorità civile. I palestinesi hanno manifestato a Beita e finora tre sono rimasti uccisi, ma continuano a manifestare. L’esercito ha bloccato l’ingresso principale del villaggio.

Il senso dell’attività: Golia, ornato dalle stelle di Davide, cerca di sottomettere, zittire e paralizzare Daoud [variante araba del nome Davide, ndtr]

La data: 9 giugno

La missione: criminalizzare ed indebolire le organizzazioni della società civile palestinese.

L’obiettivo: Health Work Committee, ONG nata nel 1985, che opera per garantire alla comunità palestinese l’accesso a prestazioni sanitarie di elevata qualità. L’ONG ha quattordici ambulatori permanenti e mobili che operano in villaggi e cittadine in Cisgiordania.

L’intervento: alle 5 del mattino un’unità militare israeliana con un gran numero di veicoli ha operato un blitz nel quartiere sud-orientale di Al-Bireh, Sateh Marhaba, facendo irruzione nel quartier generale dell’organizzazione, che occupa due piani dell’edificio di Al-Sartawi. L’unità ha confiscato hard disk e schede di memoria, nonché documenti dagli schedari. Ha bloccato l’ingresso principale con barre di ferro a cui ha appeso un’ordinanza di chiusura di sei mesi; l’ordinanza include il divieto di accesso agli uffici per i dipendenti, che verranno altrimenti arrestati e processati per violazione di un’ingiunzione militare.

Il risultato: l’indebolimento della capacità della ONG di fornire prestazioni sanitarie e proseguire le proprie ricerche in materia di salute pubblica.

Il contesto: le importanti ONG palestinesi nel campo della salute, agricoltura e diritti delle donne sono state costituite negli anni ottanta da organizzazioni palestinesi di sinistra con il duplice obiettivo di lottare per la liberazione nazionale e promuovere il principio dell’uguaglianza sociale. E’ da parecchio tempo che Health Work Committee viene preso di mira dall’esercito, dal servizio di sicurezza dello Shin Bet [l’agenzia di intelligence per gli affari interni dello stato di Israele, ndtr] e da organizzazioni di spionaggio private quali NGO Monitor [organizzazione con sede a Gerusalemme che analizza e riporta i risultati della comunità internazionale delle ONG, ndtr], in quanto diversi dei suoi dipendenti sono legati al fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Walid Abu-Ras, direttore amministrativo e finanziario del gruppo, è agli arresti con l’accusa di essere coinvolto nell’attacco alla sorgente di Ein Bubin sulle terre del villaggio di Dir Ibzi’a, ad ovest di Ramallah, in cui è rimasta uccisa la diciassettenne Rina Shnerb.

Il senso dell’attività: compiere una rappresaglia contro le migliaia di palestinesi che necessitano delle cure della ONG.

La data: dal 22 maggio in avanti

La missione: distruggere qualsiasi parvenza di un ritorno alla normalità.

L’obiettivo: i due milioni di abitanti della Striscia di Gaza

L’intervento: chiusura dei valichi di frontiera per ridurre ad un minimo “umanitario” sia l’entrata delle merci sia l’ingresso e l’uscita dei palestinesi. C’è l’interdizione a fare entrare il carburante, l’interdizione a commercializzare prodotti agricoli dalla Striscia, l’interdizione a introdurre articoli per posta (compresi i passaporti rilasciati a Ramallah).

I risultati: i malati si aggravano, in bilico fra la vita e la morte, perché non sono autorizzati ad uscire da Gaza per farsi curare quando sussiste ancora qualche speranza di guarigione. Il mercato locale è invaso da prodotti agricoli originariamente destinati ai mercati in Israele e Cisgiordania, e gli agricoltori di Gaza perdono le loro entrate. Le ore in cui arriva l’energia elettrica sono limitate, i luoghi di lavoro paralizzati, aumentano le persone senza lavoro bisognose di assistenza e carità. Si annullano i progetti di viaggi all’estero per lavoro-salute-studio attraverso il valico di Rafah con l’Egitto, per non parlare dei progetti di visita a familiari all’estero.

Il contesto: dal 1991 Israele sta unilateralmente implementando non la “soluzione dei due Stati”, come si aspettavano i sostenitori degli Accordi di Oslo, [sottoscritti nel 1993 fra Arafat e Rabin, ndtr] bensì la “soluzione” delle dieci enclaves palestinesi (Gaza, Hebron, Yatta, Betlemme, Ramallah, Salfit, Tulkarm-Nablus, Jenin, Tubas e Gerico). Il modello è la Striscia di Gaza; quelle in Cisgiordania sono riproduzioni in scala ridotta. Il presente di Gaza rappresenta il futuro-non-troppo-lontano delle altre enclaves, se non faranno i bravi.

Il senso dell’attività: fingere che Israele stia punendo Hamas, mentre in realtà sta aiutando questa organizzazione a consolidare il proprio regime nella segregazione della Striscia.

traduzione dall’inglese di Stefania Fusero