Incolpare la lobby israeliana per le politiche del Medio Oriente occidentale è fuorviante

Joseph Massad

16 luglio 2024 – Middle East Eye

Sostenere che la lobby israeliana controlli la politica statunitense in Medio Oriente equivale ad assolvere gli Stati Uniti dalla responsabilità delle loro politiche imperialiste nel mondo arabo.

Nelle ultime settimane la lobby israeliana è stata sempre più presente sul piano mediatico nel contesto delle stagioni elettorali in corso nel Regno Unito, in Francia e negli Stati Uniti.

Proliferano articoli sugli ingenti fondi che la lobby israeliana del Regno Unito ha donato ai candidati alle recenti elezioni, sull’interferenza ministeriale israeliana nelle recenti elezioni francesi o sulla sconfitta del rappresentante [democratico, ndt.] del Congresso degli Stati Uniti Jamaal Bowman a causa del sostegno del suo avversario da parte dell’American Israel Public Affairs Committee (Aipac), la più influente lobby filo-israeliana negli Stati Uniti.

Ciò si aggiunge alla copertura mediatica del ruolo che la lobby ha svolto dal 7 ottobre nel mettere a tacere le critiche a Israele e al suo genocidio a Gaza.

Come ho sostenuto in precedenti occasioni, spesso un’intensa fibrillazione affligge molti sostenitori filo-palestinesi negli Stati Uniti e nel mondo arabo quando le macchinazioni della lobby israeliana vengono denunciate dalla stampa occidentale.

Questa si basa sulla loro percezione che, una volta consapevole del potere eccessivo di questa lobby, l’opinione pubblica statunitense e occidentale correggerà le aberrazioni della politica estera statunitense nei confronti dei palestinesi e del Medio Oriente causate, secondo loro, dallinterferenza della lobby.

Il presupposto comune tra questi americani e arabi filo-occidentali che sostengono i palestinesi è che senza la lobby israeliana il governo degli Stati Uniti e le altre potenze occidentali diventerebbero più amichevoli o, per lo meno, molto meno ostili nei confronti di arabi e palestinesi.

Il fascino di questa argomentazione si fonda sull’intrinseca assoluzione del governo americano da ogni responsabilità e senso di colpa che merita per le sue politiche nel mondo arabo.

[Tale teoria] cerca di spostare la colpa delle politiche statunitensi dagli Stati Uniti su Israele e sulla sua lobby americana e dà false speranze a molti arabi e palestinesi che desiderano che lAmerica sia dalla loro parte invece che dalla parte dei loro nemici.

Studi critici

Per almeno mezzo secolo il formidabile potere delle lobby nel decidere le elezioni nei paesi occidentali e la loro influenza sulle università, sulla stampa e sulle istituzioni culturali ed educative sono stati oggetto di numerosi libri e articoli.

Forse la prima argomentazione di questo tipo, anche se esprimeva lievi critiche nei confronti delle forze filo-israeliane negli Stati Uniti, fu un articolo che George Ball, sottosegretario di Stato nelle amministrazioni Johnson e Kennedy, pubblicò su Foreign Affairs nel 1977.

Ball e suo figlio pubblicarono successivamente in forma di libro uno studio completo sull’argomento.

Tra gli altri libri pubblicati nel decennio successivo, They Dare to Speak Out: People and Institutions Confront Israel’s Lobby [Hanno il coraggio di parlare: persone e istituzioni si confrontano con la lobby israeliana, ndt] di Paul Findley del 1985. Findley era un ex deputato repubblicano degli Stati Uniti la cui campagna di rielezione fu impedita dalla lobby israeliana nel 1982 dopo che egli era rimasto in carica per 11 mandati alla Camera dei Rappresentanti.

Un ex presidente dell’Aipac descrisse Findley come “un pericoloso nemico di Israele”, cosa che ha portato alla sua fine politica.

Un altro libro sullo stesso tema, The Lobby: Jewish Political Power and American Foreign Policy [Potere politico ebraico e politica estera americana, ndt.], dellex giornalista del Time Magazine Edward Tivnan, fu pubblicato nel 1987.

Tuttavia, è stato solo quando nel 2006 gli eminenti politologi John Mearsheimer e Stephen Walt pubblicarono un articolo sulla lobby israeliana e la politica estera degli Stati Uniti, che hanno poi ampliato e pubblicato come libro nel 2008, che il suo ruolo nel plasmare la politica è diventato un argomento fondamentale di discussione nel mainstream statunitense, anche se solo per diffamare i suoi autori e difendere la lobby dalle loro convincenti argomentazioni.

Oltre alle valutazioni oggettive del ruolo della lobby israeliana, esiste una raccolta eterogenea di teorie cospirative antisemite e suprematiste bianche sulla presunta influenza degli “ebrei” nei Paesi occidentali e sul loro presunto controllo sul governo degli Stati Uniti.

Tuttavia i commentatori favorevoli alla lobby israeliana se ne servono come una clava da abbattere su coloro che avanzano critiche valide, che non hanno nulla a che fare con lantisemitismo – un trattamento riservato, tra gli altri, a Mearsheimer e Walt.

Discussioni sensate e ragionevoli sulla lobby israeliana spaziano tra coloro che sostengono che senza la formidabile influenza della lobby la politica statunitense nei confronti del Medio Oriente sarebbe meno ostile nei confronti dei palestinesi e coloro che credono che linfluenza della lobby non si estenda oltre un sostegno in grado di favorire il percorso dell’attuale politica statunitense verso una direzione già decisa.

La mia visione è sempre stata più vicina a questultima.

Un “nemico implacabile”

Sostenere che la lobby israeliana controlli la politica statunitense in Medio Oriente equivale ad assolvere gli Stati Uniti dalla responsabilità di tutte le loro politiche imperialiste nel mondo arabo e nel Medio Oriente in generale a partire dalla Seconda Guerra Mondiale.

Invece tale ipotesi afferma che Israele e la sua lobby avrebbero spinto gli Stati Uniti ad attuare politiche contrarie ai propri interessi nazionali e che portano benefici solo ad Israele.

Inoltre sottolinea che il fatto che il blocco degli Stati Uniti a tutto il sostegno internazionale e delle Nazioni Unite verso diritti dei palestinesi mentre armano e finanziano Israele nella sua guerra contro una popolazione civile e lo proteggono dalla collera della comunità globale, non dovrebbe essere imputato agli Stati Uniti e ai suoi alleati occidentali ma a Israele e alla sua lobby.

Ciò che questa linea di pensiero nasconde è il fatto che il governo degli Stati Uniti non ha mai sostenuto la liberazione nazionale nel Terzo Mondo.

Il primato degli Stati Uniti è quello di essere il nemico implacabile di tutti i gruppi di liberazione nazionale, compresi quelli europei, dalla Grecia allAmerica Latina, allAfrica e allAsia.

Il suo sostegno a gruppi come i mujaheddin afgani nella loro guerra contro il governo rivoluzionario afghano e lUnione Sovietica; Unita e Renamo, i principali alleati terroristici del Sudafrica dell’apartheid in Angola e Mozambico contro i rispettivi governi nazionali rivoluzionari anticoloniali; e i Contras contro il governo rivoluzionario sandinista in Nicaragua, sono tutti casi in cui gli Stati Uniti hanno sostenuto gruppi controrivoluzionari intenti a distruggere i governi rivoluzionari di liberazione nazionale.

Quindi il motivo per cui gli Stati Uniti se non fosse per la lobby israeliana sosterrebbero la liberazione nazionale palestinese è qualcosa che questa teoria non riesce a spiegare.

Quando ho avanzato queste argomentazioni per la prima volta ventanni fa nel corso di una conversazione, un accademico cristiano americano bianco filo-palestinese ha obiettato insistendo sul fatto che gli Stati Uniti hanno sostenuto il presidente egiziano Gamal Abdel Nasser contro linvasione tripartita dellEgitto del 1956 da parte di Francia, Gran Bretagna e Israele.

Ma il sostegno degli Stati Uniti in questo sporadico caso, come gli ho ribattuto, era rivolto a tarpare le ali di Francia e Gran Bretagna. Questi ex imperi pensavano di poter ancora agire secondo uno stile imperiale dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando furono gli Stati Uniti a salvarli dallaggressione nazista.

Gli Stati Uniti si opposero inoltre alla decisione di Israele di coordinare la sua aggressione all’Egitto con questi ex imperi piuttosto che con il proprio governo.

Israele si rese presto conto che avrebbe potuto invece perseguire analoghe aggressioni contro i suoi vicini in coordinamento con gli Stati Uniti. Come previsto, gli Stati Uniti non si opposero affatto a nessuna delle successive invasioni israeliane (1967, 1978, 1981, 1982, 1985, ecc.) dei vicini Paesi arabi.

Interessi imperiali americani

Un argomento correlato secondo cui l’influenza della lobby israeliana sul governo degli Stati Uniti sarebbe ciò che ha portato all’invasione americana dell’Iraq è altrettanto poco convincente.

Questo non vuol dire che la lobby non abbia sostenuto attivamente lo sforzo bellico guidato dagli Stati Uniti (lo ha certamente fatto). Tuttavia stava semplicemente sollecitando una guerra già voluta e pianificata sulla base di interessi imperiali politici ed economici americani di importanza di gran lunga superiore.

Linvasione dellIraq segue una politica coerente degli Stati Uniti sin dalla Seconda Guerra Mondiale volta a rovesciare tutti i regimi del Terzo Mondo che insistono nel controllare le loro risorse nazionali, siano esse terra, petrolio o altri minerali preziosi.

Ciò si estende dallIran nel 1953 al Guatemala nel 1954, al resto dellAmerica Latina, fino agli attuali Venezuela e Iran.

Negli ultimi sessantanni in Africa così come nei Paesi asiatici è andata molto peggio.

Il rovesciamento di regimi tra cui quello di Jacobo Arbenz in Guatemala, di Joao Goulart in Brasile, di Mohammed Mossadegh in Iran, di Patrice Lumumba in Congo e di Salvador Allende in Cile, e i tentativi di rovesciare Hugo Chavez e Nicolas Maduro, sono esempi importanti, così come lo sono il rovesciamento di regimi nazionalisti come quello di Ahmad Sukarno in Indonesia e di Kwame Nkrumah in Ghana.

Il terrore scatenato contro le popolazioni che sfidavano i regimi imposti dagli Stati Uniti, da El Salvador e Nicaragua al Congo, e più tardi in Zaire, Cile Indonesia, ha provocato luccisione di centinaia di migliaia, se non milioni, in seguito alla repressione della polizia e dei militari addestrati a questi compiti importanti da parte degli Stati Uniti.

A ciò si aggiungono le invasioni dirette degli Stati Uniti dei Paesi del sud-est asiatico e dellAmerica centrale che nell’arco di decenni hanno ucciso milioni di persone.

Dato che la lobby israeliana non ha avuto alcun ruolo in tutte queste altre invasioni o interventi, perché allora gli Stati Uniti non avrebbero invaso lIraq (o lAfghanistan) o non avrebbero smesso di minacciare lIran autonomamente? Queste sono questioni politiche che i sostenitori della presunta presa mortale della lobby israeliana sul governo degli Stati Uniti non saranno mai in grado di spiegare.

Una simile linea di argomentazione sarebbe stata più convincente se la lobby israeliana avesse costretto il governo degli Stati Uniti a perseguire politiche in Medio Oriente incoerenti con le sue politiche globali altrove.

Ma la situazione è ben diversa.

Agende sovrapposte

Sebbene le politiche statunitensi in Medio Oriente possano spesso assumere un carattere più spietato rispetto alle loro politiche repressive e antidemocratiche in altre parti del mondo non mostrano delle incongruenze.

Si potrebbe facilmente sostenere che la forza della lobby israeliana è ciò che in realtà spiega questo carattere più spietato, ma anche questa affermazione non è del tutto convincente.

Ho spesso sostenuto che è proprio la centralità di Israele nella strategia statunitense in Medio Oriente a spiegare, in parte, la forza della lobby israeliana e non il contrario.

In effetti, alcuni citano come prova dello straordinario potere della lobby il ruolo dei membri filo-israeliani, e soprattutto pro-Likud, dellamministrazione Bush (o anche dellamministrazione Clinton), per non parlare di quelli di Obama, Trump o Biden, insieme ai miliardari americani filo-israeliani.

Tuttavia si potrebbe sostenere che sono stati questi politici e miliardari statunitensi che, a partire dagli anni 90, hanno spinto il Likud e altri partiti politici israeliani ad abbracciare unagenda più aggressiva. Istigazione che oggi persiste nel contesto della guerra genocida di Israele contro i palestinesi di Gaza.

Ciò non vuol dire che i leader della lobby israeliana non si vantino regolarmente della loro influenza cruciale sulla politica statunitense al Congresso e alla Casa Bianca.

Recentemente hanno celebrato il loro successo nello sconfiggere Bowman e si sono regolarmente vantati del loro ruolo dalla fine degli anni ’70.

Ma la lobby è potente negli Stati Uniti perché le sue principali rivendicazioni riguardano la promozione degli interessi statunitensi e il suo sostegno a Israele è contestualizzato nel sostegno al militarismo americano e alla sua strategia complessiva in Medio Oriente.

La lobby israeliana svolge oggi lo stesso ruolo che negli anni ’50 svolgeva nel caso della Cina a sostegno di Taiwan contro la Repubblica popolare cinese e che, riguardo Cuba, svolge ancora contro il governo rivoluzionario cubano e a sostegno degli esuli cubani controrivoluzionari.

Il fatto che la lobby israeliana sia più influente di qualsiasi altra lobby nella politica estera degli Stati Uniti non è perché disponga di un enorme potere tale da allontanare gli Stati Uniti dal suo interesse nazionale”. Semmai dimostra solo quanto sia importante Israele per la strategia globale degli Stati Uniti.

La lobby israeliana non potrebbe vendere il suo messaggio e non avrebbe alcuna influenza se Israele fosse un Paese comunista o antimperialista o se si opponesse alla politica statunitense in altre parti del mondo. In effetti, questa sarebbe un’ipotesi ridicola.

Approvazione araba

Alcuni sostengono che, per quanto comunque Israele faccia in modo di far coincidere i propri interessi con quelli degli Stati Uniti, la sua lobby ingannerebbe deliberatamente i politici statunitensi spostando la loro posizione da una valutazione obiettiva su quanto sarebbe realmente nel miglior interesse dell’America e quanto di Israele.

La tesi è che il sostegno degli Stati Uniti a Israele porterebbe i gruppi politici e militanti in Medio Oriente che si oppongono a Israele a diventare ostili agli stessi Stati Uniti e a prenderli di mira con attacchi.

Tale sostegno costerebbe agli Stati Uniti anche la perdita di una copertura mediatica amichevole nel mondo arabo, inciderebbe sul potenziale di investimento nei Paesi arabi e indebolirebbe i suoi alleati regionali arabi.

Ma nulla di tutto ciò è necessariamente vero.

Gli Stati Uniti sono stati in grado di essere il più grande sostenitore e finanziatore di Israele, nonché il suo più convinto difensore e fornitore di armi, pur mantenendo alleanze strategiche con la maggior parte, se non tutte, le dittature arabe, compresa lAutorità Nazionale Palestinese, sia sotto Yasser Arafat che con Mahmoud Abbas.

In effetti, più gli Stati Uniti sono intransigenti nel sostenere lattuale genocidio dei palestinesi da parte di Israele, più esso viene abbracciato dai governanti arabi fantoccio.

Inoltre le società e gli investimenti statunitensi hanno la più ampia presenza in tutto il mondo arabo, soprattutto, ma non esclusivamente, nel settore petrolifero.

Un intero esercito di giornali arabi, stazioni televisive private e statali e una miriade di stazioni televisive satellitari di proprietà dei principi arabi del Golfo, per non parlare degli enormi siti web e dei notiziari internet finanziati da ONG occidentali, sono schierati per promuovere il punto di vista degli Stati Uniti.

Celebrano la cultura americana, trasmettono i suoi programmi televisivi e tentano di vendere le posizioni statunitensi nel modo più efficace possibile, ostacolati solo dalle limitazioni poste dal buon senso in considerazione delle politiche statunitensi nella regione.

Anche la trasgressiva rete Al Jazeera si è fatta in quattro per accogliere il punto di vista degli Stati Uniti ma, ancora una volta, è spesso minata dalle attuali politiche statunitensi nella regione.

Sotto la tremenda pressione e la minaccia di bombardamento da parte degli Stati Uniti durante l’invasione dell’Iraq Al Jazeera ha smesso di riferirsi alle forze armate statunitensi in Iraq come “forze di occupazione”, optando per “forze della coalizione”.

Beneficio reciproco

Nelle loro argomentazioni finanziarie sullenorme influenza della lobby israeliana molti sottolineano la fantastica quantità di denaro che gli Stati Uniti danno” a Israele – un costo troppo esorbitante e sproporzionato rispetto a ciò che gli Stati Uniti ottengono in cambio.

In effetti, gli Stati Uniti spendono molto di più per le proprie basi militari nel mondo arabo, tra cui Qatar, Bahrein, Giordania, Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti – per non parlare di quelle in Europa, Africa o Asia – rispetto a quanto spendano per Israele.

Tra il 7 ottobre 2023 e il gennaio 2024, gli Stati Uniti hanno speso 1,6 miliardi di dollari per il rafforzamento militare in Medio Oriente in funzione della difesa dei propri interessi imperiali. Tra il 2001 e il 2019, gli Stati Uniti hanno speso 6,4 trilioni di dollari solo nelle guerre in Afghanistan, Iraq, Siria e Pakistan.

Israele è stato davvero molto efficace nel fornire servizi a buon prezzo al suo padrone americano, sia convogliando armi illegali verso le dittature centroamericane negli anni 70 e 80, sia aiutando regimi paria come Taiwan e il Sud Africa dellapartheid nello stesso periodo.

Ha inoltre sostenuto organizzazioni filo-americane, comprese quelle fasciste, allinterno del mondo arabo per indebolire i regimi arabi nazionalisti, dal Libano allIraq al Sudan.

È venuto in aiuto di regimi arabi conservatori filoamericani quando minacciati, come in Giordania nel 1970. E ha aggredito senza indugio regimi nazionalisti arabi: nel 1967 lEgitto e la Siria e nel 1981 lIraq quando distrusse il reattore nucleare del paese.

Mentre a metà degli anni 60 gli Stati Uniti erano riusciti a rovesciare Sukarno e Nkrumah con sanguinosi colpi di Stato, Nasser rimase saldo al potere finché Israele non lo neutralizzò definitivamente nella guerra del 1967.

È grazie a questo importante servizio che gli Stati Uniti hanno aumentato in modo esponenziale il loro sostegno a Israele.

Inoltre la neutralizzazione dellOLP da parte di Israele nel 1982 fu un servizio non trascurabile a molti regimi arabi e ai loro protettori statunitensi, che fino ad allora non erano riusciti a controllare completamente lorganizzazione.

Nessuna delle basi militari americane per le quali vengono spesi molti più miliardi può vantare un record così stellare.

Alcuni potrebbero ribattere col sostenere che se ciò fosse vero allora perché gli Stati Uniti avrebbero dovuto intervenire direttamente in Kuwait e Iraq?

In quei casi fu necessario lintervento diretto degli Stati Uniti non potendo essi fare affidamento su Israele per delicatezza, in quanto includerlo in una tale coalizione avrebbe messo in imbarazzo gli alleati arabi. Sebbene ciò possa aver mostrato un’inutilità di Israele come alleato strategico, gli Stati Uniti non potevano fare affidamento su nessuna delle sue basi militari per sferrare le invasioni e hanno dovuto inviare il proprio esercito per completare il lavoro.

Le basi americane nel Golfo hanno fornito un supporto essenziale, ma lo stesso ha fatto Israele.

È vero che l’operazione Alluvione al-Aqsa ha completamente ribaltato l’importanza militare strategica di Israele per gli Stati Uniti.

La sconfitta militare di Israele contro la resistenza palestinese continua a richiedere l’aiuto militare americano e britannico. Le sue richieste di sostegno occidentale sono iniziate già l8 ottobre al fine di puntellare la sua potenza militare, con ulteriori richieste di rinforzi in aprile.

Gli Stati Uniti, il Regno Unito e le basi statunitensi in Giordania hanno svolto la maggior parte del lavoro nella difesa di Israele dalle ritorsioni missilistiche iraniane in seguito al bombardamento israeliano del consolato iraniano a Damasco.

Tuttavia per gli Stati Uniti le evidenti debolezze di Israele non hanno alterato il ruolo che svolge nella regione. Ciò include la distruzione di ogni resistenza agli interessi statunitensi e di tutto ciò che potrebbe indebolire la sua strategia, compresa la posizione di Israele nel contesto.

Affermazioni esagerate

Essendo la forza più importante della lobby israeliana l’Aipac è davvero potente nella misura in cui incoraggia politiche che si accordino con gli interessi degli Stati Uniti e siano in sintonia con l’ideologia imperiale dominante degli Stati Uniti.

Gli ultimi nove mesi hanno ampiamente chiarito che il potere della lobby israeliana, sia a Washington che nei campus universitari, non si basa esclusivamente sulle sue capacità organizzative o sullomogeneità ideologica.

Affermazioni esagerate da parte della lobby – e dei suoi nemici – riguardo al suo reale potere agiscono non poco su inclinazioni antisemite proprie di leader del Congresso, decisori politici e amministratori universitari consolidando le loro convinzioni, con il risultato che essi si adeguano alla linea.

In un contesto del genere, non importa se la lobby abbia un potere reale o immaginario.

Finché leader di governo e, più in particolare, amministratori universitari crederanno che sia così sulla base dei loro pregiudizi antisemiti o di valutazioni oggettive, essa rimarrà efficace e potente.

Qualcuno potrebbe quindi chiedersi: senza tale influenza da parte di una potente lobby israeliana, cosa sarebbe cambiato nella politica statunitense in Medio Oriente?

La risposta, in breve, sta nei dettagli e nellintensità, ma non nella direzione, nel contenuto o nellimpatto di tali politiche.

Quindi la lobby israeliana è così tanto potente negli Stati Uniti?

Avendo affrontato tutto il peso del suo potere negli ultimi due decenni attraverso la sua enorme influenza sulla mia università e le intense campagne di pressione per farmi licenziare rispondo con un sì deciso.

È la lobby la principale responsabile delle politiche statunitensi nei confronti dei palestinesi e del mondo arabo? Assolutamente no.

Il mondo arabo, e soprattutto i palestinesi, si oppongono agli Stati Uniti a causa della loro storia di continue politiche ostili agli interessi della maggior parte delle persone in quei Paesi.

Il suo unico obiettivo è stato quello di salvaguardare i propri interessi e quelli della minoranza dei regimi che nella regione servono tali interessi, compreso Israele.

È solo con la fine di politiche dannose da parte degli Stati Uniti, e non della lobby che le sostiene, che il genocidio israeliano in corso contro i palestinesi potrebbe cessare.

Il governo degli Stati Uniti e i suoi alleati occidentali sono quelli che hanno la piena responsabilità di favorire, incoraggiare e difendere il diritto di Israele a commettere un genocidio contro i palestinesi.

Gli sforzi della lobby israeliana per far sì che gli Stati Uniti sostengano Israele ancor più di quanto non facciano sono un atto di complicità nel genocidio in corso, ma certamente non sono la causa principale di questo mostruoso crimine.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Alla fine la lobby israeliana dovrà fronteggiare delle conseguenze

Yves Engler

2 ottobre 2020 – The Palestine Chronicle

Quanto è troppo? Quand’è che i nazionalisti israeliani in Nord America si screditeranno del tutto a causa di un uso eccessivo del loro potere per annientare coloro che difendono i palestinesi?

L’attuale spregiudicatezza della lobby israeliana è notevole. Recentemente hanno convinto Zoom ad annullare un dibattito sponsorizzato da un‘università , un importante facoltà di legge a revocare un’offerta di lavoro, un’emittente pubblica a scusarsi per aver usato la parola Palestina e alcune aziende a interrompere le consegne per un ristorante.

Una settimana fa gruppi di pressione israeliani hanno convinto Zoom a cancellare dibattito alla San Francisco State University con l’icona della resistenza palestinese Leila Khaled [membro del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, ndtr.] l’ex ministro sudafricano Ronnie Kasrils, la direttrice degli studi sulle donne alla Birzeit University Rula Abu Dahou [Bir Zeit è una città palestinese situata a circa 25 km a nord della città di Gerusalemme, alla periferia di Ramallah, ndtr.] e altri. Si ritiene che sia la prima volta che Zoom sopprima un dibattito sponsorizzato da un’università[vedi Zeitun]

Il mese scorso la lobby israeliana ha sollecitato la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Toronto a revocare un’offerta di lavoro per dirigere il suo Programma internazionale sui diritti umani. La pressione rivolta a bloccare la candidata della commissione per le assunzioni, Valentina Azarova, è giunta dal giudice David Spiro, che è stato a Toronto un ex co-presidente del Center for Israel and Jewish Affairs (CIJA) [organizzazione sionista di difesa ebraica e agenzia delle federazioni ebraiche del Canada, ndtr] e il cui zio Larry Tanenbaum possiede i Toronto Raptors [squadra di pallacanestro che milita nel massimo campionato professionistico statunitense e canadese, ndtr.] e la cui nonna Anne Tanenbaum ha finanziato il centro per gli studi ebraici dell’Università di Toronto. Mentre gli sforzi di Spiro erano segreti, B’nai B’rith [loggia massonica ebraica nata nel 1843 durante la presidenza di John Tyler ed ancora esistente ed attiva, ndtr.] ha apertamente invitato gli amministratori dell’Università di Toronto a bloccare la decisione del comitato di assunzione.

The Current [popolare programma radio canadese del mattino, ndtr.] della CBC si è recentemente scusato per aver utilizzato la parola “Palestina”. Il 18 agosto il presentatore ospite Duncan McCue ha presentato l’artista grafico Joe Sacco facendo riferimento al suo lavoro in Bosnia, Iraq e Palestina (Sacco ha prodotto un’opera chiamata Palestina). All’inizio dell’edizione del giorno successivo, McCue si è scusato per aver menzionato la Palestina e la Honest Reporting Canada [Honestreporting è un’organizzazione non governativa che “monitorizza i media riguardo le scorrettezze riguardanti Israele”, ndtr.] si è vantata dei propri interventi per fare pressione sull’emittente pubblica affinché non impieghi la parola P.

Come parte del tentativo di mandare in bancarotta un piccolo ristorante di Toronto simpatizzante per la sinistra che mostra sulla propria vetrina il messaggio “I love Gaza”, la CIJA e B’nai B’rith hanno condotto con successo una campagna per bloccare i servizi di consegna da parte di Foodbenders [rinomata azienda di Toronto che provvede alla fornitura di piatti pronti, ndtr.], oltre i contratti istituzionali e gli account sui social media. Si sono alleati con l’organizzazione di estrema destra Jewish Defense League e altri che hanno vandalizzato il ristorante a luglio.

In un articolo di agosto su Walrus [rivista politico-culturale canadese, ndtr.] intitolato “L’obiettività è un privilegio concesso ai giornalisti bianchi”, l’ex giornalista della CBC Pacinthe Mattar descrive un caporedattore che interviene per sopprimere un’intervista da Gerusalemme con Ahmed Shihab-Eldin, un giornalista di origini palestinesi con una nomina agli Emmy. Molti mesi dopo a Mattar non ha ottenuto una promozione già prevista da parte deldirettore che aveva deciso di non mandare in onda l’intervista del 2017 da Gerusalemme”, il quale “aveva espresso il timore che io fossi di parte e quindi non dovessi essere promossa, opinione condivisa da alcuni altri membri del comitato di redazione. Ed è andata così.”

Le organizzazioni anti-palestinesi stanno conducendo una campagna aggressiva per far sì che Facebook adotti la definizione di antisemitismo centrata su “basta con le critiche ad Israele”, della International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) [organizzazione intergovernativa che unisce i governi e gli esperti per rafforzare, promuovere e divulgare l’educazione sull’Olocausto, ndtr.]. L’obiettivo esplicito di coloro che promuovono la definizione di antisemitismo dell’IHRA è quello di mettere a tacere o emarginare chi critica la spoliazione dei palestinesi e sostiene il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento, le sanzioni (BDS) guidato dalla società civile palestinese.

La macchina della censura della lobby israeliana procede nonostante siano sempre più palesi il razzismo, l’ occupazione e le violazioni dei diritti israeliani. Molti di coloro che sono stati presi di mira nelle vicende di cui sopra hanno sofferto emotivamente e in termini di carriera, ma l’impatto su di loro sono è insignificante rispetto alle umiliazioni quotidiane che soffrono i palestinesi. Lo Stato israeliano continua a rubare territori palestinesi in Cisgiordania, a mantenere un blocco punitivo su Gaza e a consentire agli ebrei di Toronto di emigrare mentre i palestinesi cacciati dalle loro case nel 1948 non possono nemmeno andare a visitare [il loro Paese, ndtr.], figuriamoci emigrarvi.

La lobby israeliana è una forza politica compatta. Radicata nel colonialismo europeo e negli interessi regionali dell’impero statunitense, è sostenuta da molti zelanti miliardari e da una parte sostanziale di una comunità etnico / religiosa generalmente influente. Inoltre sfrutta in modo grossolano il vittimismo. Come John Clark ha recentemente postato su Facebook, “Il sionismo è l’unica ideologia politica che conosco che sostenga che il disaccordo con essa rappresenti un crimine d’odio”.

Fortunatamente, ogni campagna di esclusione e diffamazione che intraprende allontana nuove persone e apre gli occhi ad altre. Sfortunatamente, molte altre persone ben intenzionate subiranno conseguenze emotive e finanziarie prima che la macchina della censura della lobby israeliana venga fermata.

  • Yves Engler è l’autore di Canada and Israel: Building Apartheid [Canada e Israele: la costruzione dell’apartheid, ndtr.] e una serie di altri libri. Ha concesso questo articolo a The Palestine Chronicle.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




In Austria censura contro film sul calcio palestinese

Un cinema di Vienna censura un film palestinese sul calcio

 

Ali Abunimah

5 settembre 2019 – Electronic Intifada

 

 

Gli attivisti manifestano la loro indignazione perché un cinema a Vienna ha cancellato la prima visione austriaca di un film sul calcio palestinese.

Intanto, in Canada, gli attivisti protestano contro la decisione del partito liberale al governo di escludere un candidato al parlamento sulla base di false accuse di antisemitismo.

BDS Austria, gruppo che sostiene la campagna per boicottare Israele a causa delle sue violazioni dei diritti dei palestinesi, afferma che la cancellazione della proiezione di ¡Yallah! ¡Yallah! rappresenta un caso di censura.

Diretto da Cristian Pirovano e Fernando Romanazzo, il film del 2017 è una coproduzione argentino-palestinese e racconta la storia di sette palestinesi attraverso il loro legame con il calcio.

La proiezione avrebbe dovuto avvenire martedì al cinema Artis International, seguita da una discussione con Pirovano, che è in tournée in Europa. Il film è già stato proiettato in dozzine di città in tutto il mondo.

Il co-direttore Pirovano ha condannato la censura.

BDS Austria ha dichiarato: “La cancellazione all’ultimo minuto della proiezione del film al cinema Artis, che appartiene al più grande operatore cinematografico austriaco, Cineplexx Ltd., è illegale e inaccettabile.”

Secondo il gruppo [BDS], il cinema avrebbe dichiarato: “Negli ultimi giorni abbiamo ricevuto sempre più informazioni e messaggi che sottolineavano la posizione politicamente controversa non tanto del film in quanto tale, quanto del movimento sostenuto dal BDS”.

BDS è acronimo di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni, una campagna avviata dai palestinesi sul modello del movimento di solidarietà globale che ha contribuito a mettere fine all’apartheid in Sudafrica.

L’obiettivo del BDS è di fare pressione su Israele affinché rispetti il diritto internazionale ponendo fine all’occupazione militare in terra palestinese, abolendo ogni forma di discriminazione nei confronti dei cittadini palestinesi di Israele e rispettando il diritto dei rifugiati palestinesi a tornare in patria.

Ma nel 2018 il consiglio comunale di Vienna ha adottato una risoluzione di non collaborazione con il movimento BDS accusandolo ingiustamente di essere antisemita.

BDS Austria afferma che Artis ha citato questa risoluzione come pretesto per vietare la proiezione.

Il BDS accusa il Comune di mettere in atto “restrizioni irragionevoli e sproporzionate alle libertà di espressione e di riunione pacifica” e di “razzismo organizzato e istituzionalizzato”.

Gli attivisti hanno protestato fuori dal cinema Artis per la cancellazione di ¡Yallah! ¡Yallah !.

 

Censura draconiana

Questo incidente conferma il timore che l’adozione delle definizioni altamente politicizzate di antisemitismo volute da Israele e dalla sua lobby incoraggino una censura draconiana.

Israele e i suoi alleati stanno premendo per l’adozione istituzionale della cosiddetta definizione di antisemitismo dell’IHRA [International Holocaust Remembrance Alliance, organizzazione intergovernativa per la conservazione della memoria dell’Olocausto, ndtr.], che equipara le critiche alle politiche e alle pratiche razziste di Israele al fanatismo antiebraico.

L’Austria, membro di un’Unione Europea che pretende di difendere la libertà di parola come diritto fondamentale, è un posto sempre più ostile alla libera espressione.

A marzo a Vienna persino la Conferenza Rosa Luxemburg, di sinistra, ha condannato il BDS Austria.

Lo stesso mese, il Volkskundemuseum [Museo del Folklore, ndtr.] di Vienna, su pressione dei gruppi della lobby israeliana, ha annullato un evento sui diritti dei palestinesi in cui era previsto un intervento di Ronnie Kasrils.

Kasrils è un veterano anti-apartheid ed ex ministro del governo di Nelson Mandela.

L’anno scorso, l’Università di Vienna si è piegata alle pressioni della lobby israeliana in Austria e ha vietato una conferenza pubblica di un autorevole attivista nero americano.

E nel 2017 a Vienna un hotel ha annullato la conferenza di un avvocato che si occupa  di diritti umani dopo le intimidazioni di attivisti anti-palestinesi.

 

Candidato canadese diffamato come antisemita

La scorsa settimana, il partito liberale canadese ha tolto Hassan Guillet dalla lista dei candidati alle elezioni politiche di ottobre in un collegio elettorale del Quebec.

Questo dopo che il gruppo della lobby filo-israeliana B’nai Brith Canada ha accusato Guillet di aver postato in rete dichiarazioni antisemite e anti-israeliane.

Ma Independent Jewish Voices [Voci Ebraiche Indipendenti, gruppo di ebrei contrari alle politiche israeliane, ndtr.] Canada si è indignato per la decisione.

“Dopo aver esaminato i fatti, per noi è evidente che Guillet è tutt’altro che un antisemita”, ha detto Corey Balsam, coordinatore nazionale di IJV.  “Ciò che è assolutamente chiaro è che Guillet è stato preso di mira a causa delle sue esplicite critiche a Israele e alle sue politiche”.

B’nai Brith Canada ha accusato Guillet di essersi congratulato con Raed Salah [palestinese con cittadinanza israeliana leader del Movimento Islamico in Israele, ndtr.] per la sua liberazione da una “prigione della Palestina occupata” e di aver auspicato la liberazione di “tutta la Palestina”.

Salah è un leader di spicco tra i cittadini palestinesi di Israele. Ha subito ripetutamente la prigione in Israele per la sua attività politica.

Nel 2011, le autorità del Regno Unito hanno ordinato la deportazione di Salah sulla base di false accuse di antisemitismo da parte di un gruppo britannico della lobby israeliana.

Dopo 10 mesi di battaglia legale, Salah è stato completamente scagionato da un tribunale che ha accettato “da ogni punto di vista” il suo appello contro la deportazione.

Nel maggio 2018, il giorno dopo il massacro da parte di Israele di dozzine di manifestanti disarmati a Gaza, B’nai Brith Canada ha diffuso una calunnia razzista secondo cui i palestinesi manderebbero deliberatamente i propri figli a morire per il solo scopo di scattare foto propagandistiche che mettano in imbarazzo Israele.  Eppure il gruppo pretende di combattere il fanatismo.

In Canada Independent Jewish Voices ha fortemente criticato B’nai Brith per aver citato la definizione IHRA di antisemitismo recentemente adottata dal governo liberale del Primo Ministro Justin Trudeau.  “Ovviamente la preoccupazione globale per i diritti umani dei palestinesi sta provocando serie preoccupazioni a Israele e ai suoi sostenitori”, ha detto Balsam.  “Quindi, invece di cercare di difendere le azioni di Israele – il che è praticamente impossibile – hanno optato semplicemente per etichettare chi le critica come antisemita. Come società dobbiamo andare oltre l’apparenza.”

Grazie agli sforzi di Independent Jewish Voices Canada, che ha lavorato a fianco di gruppi per i diritti dei palestinesi e di attivisti per le libertà civili, a luglio il consiglio comunale di Vancouver ha deciso di non adottare la definizione IHRA.

 

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)