Il rapporto sui diritti umani dell’amministrazione Biden ignora l’uccisione di Shireen Abu Akleh

Redazione MEE

21 marzo 2023 – Middle East Eye

Amnesty International denuncia ‘doppi standard’ nel rapporto, afferma che gli USA non attribuiscono responsabilità ai loro principali alleati nella sicurezza

Il rapporto annuale sui diritti umani del Dipartimento di Stato USA fa propria la versione del governo israeliano sugli eventi relativi all’uccisione della giornalista palestinese-americana Shireen Abu Akleh e non fa menzione della morte di un cittadino statunitense in seguito al suo arresto da parte delle forze israeliane l’anno scorso.

Il rapporto, diffuso lunedì, non definisce la morte della giornalista come omicidio extragiudiziale o arbitrario, limitandosi a citarla nella sezione relativa alla libertà di espressione.

Lo scorso maggio le forze israeliane spararono e uccisero Abu Akleh nel corso di un raid israeliano nella città di Jenin nella Cisgiordania occupata. La sua morte suscitò l’indignazione palestinese ed una vasta condanna internazionale.

Un’inchiesta dell’esercito israeliano sull’uccisione di Abu Akleh concluse che probabilmente le fu sparato da un soldato israeliano, ma non era stata deliberatamente presa di mira. Invece diverse inchieste indipendenti conclusero che Abu Akleh e i suoi colleghi vennero esplicitamente presi di mira, nonostante fossero identificabili come membri della stampa.

Il rapporto del Dipartimento di Stato inoltre non fa menzione della morte dell’ottantenne palestinese-americano Omar Asaad, che morì dopo essere stato posto sotto custodia israeliana. Il New York Times riferì che ebbe un attacco cardiaco indotto da stress, molto probabilmente provocato dall’essere, stato imbavagliato al gelo in un cantiere, stando ad una relazione del medico legale.

Mentre l’uccisione di Abu Akleh non è stata inclusa nella sezione sulle uccisioni extragiudiziali, il rapporto del Dipartimento di Stato prende di mira le inchieste di Israele sulle sue forze di sicurezza e sui casi di violenza, uccisioni illegali e arbitrarie e restrizioni nei confronti dei palestinesi.

I sistemi giudiziari israeliani militare e civile hanno raramente riscontrato abusi commessi da membri delle forze di sicurezza”, afferma il rapporto del Dipartimento di Stato.

Ci sono diverse relazioni sul fatto che il governo o i suoi agenti hanno commesso uccisioni arbitrarie o illegali”, aggiunge il rapporto, sottolineando che “i cittadini con disabilità mentali sono sottoposti a maggior rischio di subire violenza quando hanno a che fare con la polizia.”

Doppi standard’

Presentando il rapporto lunedì in una conferenza stampa il Segretario di Stato Antony Blinken ha detto: “Non vogliamo entrare in conflitto con nessuno– definiamo le cose come le vediamo.”

Eppure, nonostante il rapporto, gli USA hanno continuato a fornire supporto diplomatico e militare a Israele, che i difensori dei diritti dei palestinesi affermano alimenti la violenza e le violazioni dei diritti contro i palestinesi.

All’inizio di questo mese, dopo che il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha auspicato che la città palestinese di Huwwara “venga spazzata via”, gli USA gli hanno rilasciato un visto nonostante le richieste da parte di associazioni progressiste, organizzazioni per i diritti e associazioni ebraiche che a Smotrich fosse negato l’ingresso nel Paese.

Per anni le associazioni per i diritti hanno criticato l’amministrazione Biden per non aver mantenuto le promesse di porre i diritti umani al centro della sua politica estera.

Quando il Segretario di Stato Blinken ha annunciato la strategia di politica estera USA, ha detto che sarebbe stata incentrata sui diritti umani”, ha dichiarato lunedì Paul O’Brien, direttore esecutivo di Amnesty International USA.

Eppure il rapporto annuale sui diritti umani dimostra che l’amministrazione Biden prosegue in una politica di doppi standard quando si tratta di evitare di richiamare le violazioni dei diritti umani dei principali alleati nella sicurezza.”

O’Brien ha detto che il rapporto dell’amministrazione Biden “non include pienamente la situazione dei diritti umani in peggioramento” nella Cisgiordania occupata da Israele e “offre un riconoscimento de facto del controllo israeliano su Gerusalemme est occupata e le Alture del Golan (siriane, ndtr.).”

E’ ora che l’amministrazione Biden smetta di concedere ai suoi alleati un lasciapassare sui diritti umani.”

Gli alleati USA del Golfo

Il rapporto annuale cita molte violazioni dei diritti umani compiute dai suoi alleati in Medio Oriente, compresi Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti.

Il Dipartimento di Stato cita un lungo elenco di violazioni di diritti in Arabia Saudita, comprese uccisioni extragiudiziali, sparizioni forzate, arresti arbitrari e condizioni di detenzione potenzialmente letali.

Il rapporto esce quando l’Arabia Saudita ha rilasciato dal carcere il 72enne cittadino USA Ibrahim Almadi, che era stato condannato a 19 anni per aver postato dei tweet critici verso la monarchia. Almadi resta sottoposto a divieto di viaggiare e non può lasciare il Paese.

Il rapporto di lunedì esce una settimana dopo che i senatori USA Chris Murphy e Mike Lee hanno introdotto una disposizione che richiede al Dipartimento di Stato di presentare un rapporto sulla situazione dei diritti umani in Arabia Saudita, in mancanza del quale tutta l’assistenza al regno per la sicurezza si interromperebbe.

Le armi USA non possono essere nelle mani di chi viola i diritti umani”, ha dichiarato Lee. “Il popolo americano e i suoi rappresentanti eletti hanno il diritto di conoscere i tipi di attività che stiamo tacitamente sostenendo.”

Nonostante l’amministrazione Biden chieda una revisione delle relazioni USA- Sauditi, esperti di diritti umani affermano che Biden deve ancora avviare un nuovo approccio alla propria alleanza con il regno. Il presidente USA quando è entrato in carica ha affermato che avrebbe trattato solo con Re Salman, ma nel rapporto di lunedì si definisce il Principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman “capo di Stato.”

Secondo l’organizzazione umanitaria di assistenza legale “Reprieve” e l’Organizzazione per i diritti umani europea-saudita l’utilizzo della pena di morte in Arabia Saudita è quasi raddoppiato dalla salita al trono del Principe ereditario Mohammed bin Salman nel 2015.

Tra il 2010 e il 2014 nel regno vi era una media di 70,8 esecuzioni all’anno. Poi, dal 2015 – l’anno in cui il principe ereditario divenne il capo de facto del regno – fino al 2022, vi è stata una media di 129,5 esecuzioni all’anno, con un aumento dell’82%.

Anche gli Emirati Arabi Uniti, un altro alleato degli USA, sono stati citati nel rapporto per una serie di abusi, dalla detenzione in isolamento alle restrizioni sui media e la libertà di espressione, come anche per “gravi e irragionevoli restrizioni alla partecipazione politica”. Il rapporto elenca anche violazioni dei diritti in altri Paesi del Medio Oriente, inclusi Egitto, Tunisia e Giordania.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Come la Corte Suprema di Israele consente la tortura dei prigionieri palestinesi

10 marzo 2023 – Middle East Eye

Mentre gli israeliani protestano contro la guerra alla magistratura da parte di Netanyahu e Ben-Gvir l’Alta Corte di Israele autorizza l’uso della tortura da parte dello Stato contro i prigionieri palestinesi

Prima della guerra dell’attuale governo di estrema destra contro la magistratura circolava una notizia poco diffusa sulla Corte Suprema israeliana.

Il 29 dicembre 2022 l’alta corte ha nuovamente capitolato di fronte alle richieste dello Stato in merito alla questione delle condizioni carcerarie e in particolare delle dimensioni delle celle. Ha accolto la richiesta dello Stato e prorogato, per la terza volta, il termine per l’ampliamento dello spazio abitativo dei detenuti fino al 31 dicembre 2027.

In risposta a una petizione da parte di organizzazioni israeliane per i diritti umani, tra cui l’Associazione per i diritti civili (ACRI), nel giugno 2017 la Corte Suprema ha emesso un’ordinanza per l’estensione dello spazio vitale dei detenuti a 4,5 mq, assegnando inizialmente al Servizio carcerario israeliano un termine esecutivo di nove mesi (HCJ 1892/14 ACRI contro Ministro della Pubblica Sicurezza).

Nella maggior parte dei Paesi occidentali la dimensione standard delle celle varia dai 6 ai 12 mq, mentre in Israele è inferiore a 3 mq.

La sentenza sembrava riconoscere le condizioni di vita crudeli, umilianti e disumane dei prigionieri. Nella dichiarazione di apertura dell’ordinanza il giudice Yitzhak Amit scriveva che “la società viene valutata … attraverso il trattamento dei prigionieri”. Sottolineava che privarli della libertà attraverso la reclusione non significa privarli del diritto alla dignità, che scaturisce dal diritto del detenuto a determinare lo spazio minimo abitativo”.

Tuttavia, nonostante questa dichiarazione, la corte ha approvato il mantenimento di tali condizioni per ulteriori cinque anni che, dopo la sentenza iniziale, sono poi diventati dieci.

“Inadatte agli esseri umani”

Nel 2014, ACRI, Physicians for Human Rights [Medici per i Diritti Umani, ndt.] (PHR-I) e altre organizzazioni hanno presentato una petizione alla Corte Suprema per affrontare il problema del sovraffollamento nelle celle e nei penitenziari israeliani e costringere lo Stato ad ampliare immediatamente la superficie abitabile dei detenuti a un minimo di 4,5 mq come soluzione temporanea fino a quando non venisse ulteriormente estesa come parte di un piano a lungo termine.

La petizione affermava che i detenuti sono costretti a trascorrere ore della loro giornata a letto, senza la possibilità di muoversi o stare in piedi, e coloro che condividono una cella non sono in grado di stare in piedi o camminare allo stesso tempo a causa dello spazio limitato.

Di conseguenza i detenuti sono spesso costretti a svolgere a letto l’intera routine quotidiana, compresa l’alimentazione. Sosteneva inoltre che il sovraffollamento crea nelle celle mancanza d’aria, danneggia la salute dei prigionieri e provoca un aumento dei conflitti reciproci.

Si è ben lontani dalle dimensioni accettabili in Paesi considerati democratici (8,8 mq) e dal minimo adottato dalle istituzioni internazionali per garantire quelle condizioni di vita ragionevolmente adeguate menzionate in un rapporto del 2012 pubblicato dal Comitato internazionale della Croce Rossa.

Sfortunatamente la situazione nelle carceri israeliane è la stessa da decenni, ma lo Stato non ha fatto nulla per offrire soluzioni o apportare modifiche. Nel suo rapporto annuale 2019-2020 l’amministrazione per la difesa d’ufficio israeliana ha avvertito del sovraffollamento delle carceri e delle violazioni dei diritti dei prigionieri. Il rapporto descrive le attuali condizioni carcerarie come una “grave violazione della dignità umana”. Critica le dimensioni della cella carceraria ridotte a 2,5 mq, affermando che è “troppo piccola anche per un solo recluso”.

Il rapporto ribadisce precedenti appelli a interrompere immediatamente la detenzione di prigionieri in queste celle, sostenendo che sono “inadatte agli esseri umani”. Osserva inoltre che lo spazio di una cella carceraria oggi è meno della metà del minimo approvato dal Servizio penitenziario israeliano, la principale autorità carceraria che ha indicato nella misura di 6 mq uno spazio ragionevole.

Il rapporto dell’amministrazione per la difesa d’ufficio afferma inoltre che questa questione non riguarda solo i diritti dei detenuti, ma viola anche l’obbligo dello Stato di astenersi da punizioni crudeli, disumane e degradanti, uno standard fondamentale del diritto internazionale.

Mancato rispetto

Il 13 giugno 2017 la Corte Suprema ha ordinato allo Stato di aumentare la superficie abitabile carceraria. Per facilitare l’attuazione di queste riforme l’alta corte ha diviso il processo in due fasi: la prima concederebbe allo Stato nove mesi per estendere la superficie abitabile dei detenuti a 3 mq (esclusi servizi igienici e docce). La seconda fase consisterebbe in un ulteriore incremento della superficie abitabile a 4,5 mq entro nove mesi dall’ordinanza del tribunale.

Tuttavia, il 5 marzo 2018, una settimana prima della scadenza del termine per la prima fase delle modifiche, lo Stato ha presentato al tribunale una richiesta di rinvio dell’attuazione di 10 anni dalla sentenza iniziale, al 2027. Lo Stato sosteneva che il rispetto del termine stabilito dal tribunale avrebbe richiesto unascarcerazione di massa” dei prigionieri e “avrebbe messo in pericolo” la popolazione.

I firmatari hanno respinto queste affermazioni sostenendo che lo Stato non avesse intrapreso alcuna azione per costruire nuovi centri di detenzione e riaffermando l’osservazione dell’Alta corte sull’inadeguatezza delle strutture, molte delle quali costruite durante il mandato britannico. Si sono inoltre opposti alle allusioni ad una questione di pubblica sicurezza, definendo queste “oziose minacce volte a intimidire il tribunale”.

La Corte ha criticato aspramente le azioni dello Stato respingendone inizialmente la richiesta. Ciò ha costretto lo Stato a presentare un piano per la costruzione di nuovi bracci per centinaia di prigionieri e per un incremento della scarcerazione di persone in custodia amministrativa che avrebbe comportato l’evacuazione di circa 1000 spazi di reclusione.

Nel giugno 2018 lo Stato ha aggiornato il tribunale sulla sua intenzione di utilizzare la prigione di Saharonim nel deserto del Negev come centro di detenzione per immigrati come parte della prima fase della riforma.

Per quanto riguarda la seconda fase della sentenza – garantire uno spazio abitativo minimo di 4,5 mq per ogni detenuto entro dicembre 2018 – lo Stato non ha compiuto alcun progresso in materia, portando le organizzazioni per i diritti umani a chiedere al tribunale di costringerlo ad aderire alla lettera della sua sentenza.

Una scappatoia per la tortura

In un avviso emesso il 29 luglio 2018 lo Stato ha informato il tribunale del suo piano per istituire entro il 2026 nuovi centri per ospitare i prigionieri sotto interrogatorio dallo Shin Bet, il servizio di sicurezza israeliano. Ha anche annunciato la sua intenzione di presentare una petizione all’alta corte per modificare la sua sentenza al fine di esentare le strutture dello Shin Bet dall’ampliamento dello spazio vitale per i prigionieri fino al 2027. Attualmente, la dimensione delle celle dello Shin Bet è di 2 mq o meno.

I firmatari, che rappresentano varie associazioni per i diritti umani, si sono opposti alla richiesta dello Stato sostenendo che questa popolazione dovrebbe in realtà avere la precedenza negli sforzi per adattare le condizioni carcerarie alla sentenza della corte e che il rinvio della data di esecuzione della sentenza di almeno otto anni è irragionevole.

Lo Stato ha quindi sostenuto che l’espansione dello spazio vitale dei prigionieri danneggerebbe la capacità dello Shin Bet di ottenere informazioni e contemporaneamente influirebbe fortemente sul numero di indagini avviate.

Paradossalmente, la sua giustificazione si basava sul pieno riconoscimento che lo spazio abitativo dei detenuti, al di sotto della superficie minima, costituisce chiaramente uno strumento di tortura e pressione per “ottenere informazioni” o confessioni dai detenuti palestinesi.

La maggior parte delle cosiddette indagini di sicurezza prendono di mira i palestinesi, sottoponendoli a condizioni che violano la Convenzione contro la tortura di cui Israele è firmatario.

Nel 2022 una commissione del parlamento israeliano ha approvato per due volte all’unanimità un disegno di legge per modificare il codice penale (Poteri di arresto, Spazio vitale nei centri di detenzione dello Shin Bet), che esonera tra l’altro i centri di detenzione dello Shin Bet dall’ampliamento dello spazio vitale dei detenuti come ordinato dalla Corte Suprema.

A peggiorare le cose, il progetto di legge suggerisce l’implementazione di norme segrete da parte di un funzionario e del direttore dello Shin Bet. Le organizzazioni per i diritti umani hanno espresso preoccupazione per il fatto che queste “norme” non consentirebbero la protezione dei diritti dei prigionieri i quali sarebbero sottoposti a condizioni di tortura in violazione del diritto internazionale.

Come affermato nei chiarimenti sul disegno di legge, la determinazione delle norme e delle leggi riguardanti lo spazio abitativo dei detenuti viene effettuata dal primo ministro, con l’approvazione del ministro della giustizia e del comitato ministeriale dello Shin Bet, nonché l’approvazione di un comitato speciale congiunto delle commissioni per gli affari esteri e per la difesa e la commissione giudiziaria della Knesset [parlamento israeliano, ndt].

Questa proposta è stata accolta con forte opposizione da parte delle organizzazioni per i diritti umani e alcune di esse – il Comitato contro la tortura, il Centro per la difesa dell’individuo (HaMoked) e Medici per i diritti umani – hanno presentato l’8 febbraio 2020 le loro osservazioni sulla proposta di legge al consigliere giudiziario in carica. Hanno affermato che la proposta tenta di eludere la decisione del tribunale e sopratutto continua a violare irragionevolmente i diritti dei detenuti e a discriminare in particolare questi ultimi [quelli detenuti dallo Shin Bet, ndt].

Hanno anche rilevato che qualsiasi legge deve essere soggetta a standard giuridici e che la proposta contravviene a quanto approvato nella Legge fondamentale israeliana: Dignità umana e libertà.

Hanno sottolineato che queste sedi speciali dello Shin Bet dovrebbero ricevere maggiore attenzione per quanto riguarda la garanzia di uno spazio abitativo, poiché nella maggior parte dei casi sono nascoste agli occhi del pubblico e persino alla supervisione ufficiale. Inoltre in queste strutture ai detenuti è generalmente vietato incontrare avvocati.

La richiesta dello Stato di ritardare l’attuazione dei nuovi requisiti di spazio ha messo in difficoltà la corte. Sebbene essa abbia il potere di prorogare le scadenze, può farlo solo in rare occasioni.

Come rilevato nella decisione del tribunale, “la proroga dei termini, a sua volta, potrebbe portare a una situazione in cui l’illegittimità esistente continuerebbe a ledere le aspettative delle parti nell’affidarsi alla corte e a nuocere alla chiusura dell’arbitrato. Inoltre, le proroghe in casi non necessari porteranno a ledere il principio dello stato di diritto”.

Questa decisione significa che i detenuti e i prigionieri delle carceri israeliane continueranno a vivere in condizioni dure e disumane per altri cinque anni.

Secondo il rapporto dell’amministrazione per la difesa dufficio, tali condizioni “sono considerate un grave abuso dei diritti dei detenuti, della loro dignità, della loro salute e della loro privacy, aggravato dalle dure condizioni di vita”.

La cosa preoccupante è che queste dure condizioni, sommate al trattamento disumano, equivalgono a torture, specialmente nei centri di detenzione dello Shin Bet – esentati dall’ordinanza del tribunale – dove prevalgono freddo intenso, rumore assordante, privazione del sonno, restrizioni di movimento, divieto di uscire nel cortile, cibo scadente, mancanza di letti e coperte, scarsa igiene e altre condizioni di tortura.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Janan Abdu è un’avvocata e attivista per i diritti umani che vive ad Haifa. È impegnata nella sensibilizzazione e nella mobilitazione del sostegno internazionale per i prigionieri politici palestinesi. I suoi articoli sono apparsi sul Journal of Palestine Studies; il trimestrale del Women’s Studies Center della Birzeit University; al-Ra’ida (AUB); The Other Front (Centro di informazione alternativo); Jadal (Mada al-Carmel). Tra le sue pubblicazioni, Palestine Women and Feminist Organizations in 1948 Areas (Mada al-Carmel, 2008).

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Israele: il terrorismo dei coloni ora è legge

Richard Silverstein

1 marzo 2023, MiddleEastEye

Gruppi di coloni in massa percorrono senza controllo Huwwara in cerca di vendetta. Questo è quanto sul nuovo governo fascista di Israele

Domenica un palestinese armato ha ucciso due coloni israeliani fuori dal villaggio di Huwwara. L’uccisione era una rappresaglia per il massiccio attacco israeliano a Nablus pochi giorni prima, in cui erano stati assassinati 11 palestinesi e la principale via del mercato parzialmente distrutta.

Dopo gli omicidi a Huwwara centinaia di soldati e agenti dello Shin Bet sono sciamati attraverso il villaggio alla ricerca dell’uomo armato. Ma quando è scesa la notte non c’era un soldato in vista. È stato allora che i coloni ebrei si sono ammassati a centinaia e si sono sparsi per la città, bruciando tutto ciò che vedevano – automobili, case, pali della luce – urlando grida di vendetta. Hanno persino pubblicato senza ritegno messaggi celebrativi sulle piattaforme dei social media.

Un palestinese è stato colpito a morte e più di 400 palestinesi sono rimasti feriti, compreso un bambino in modo grave.

Lunedì l’esercito ha preso il controllo dell’intera città. Tutti i negozi sono stati chiusi. Gli otto coloni arrestati al culmine dei disordini sono stati tutti rilasciati.

Terrorismo dei coloni

Peraltro molti israeliani sono intervenuti sui social media per esprimere il loro shock, alcuni lo hanno paragonato a un pogrom o alla Notte dei Cristalli, un altro lo ha definito il trionfo del “Reich sionista” e un terzo ha scritto su Facebook: “Benvenuti nel 1933”.

Tuttavia, il terrorismo dei coloni non è una novità per i palestinesi; secondo le Nazioni Unite la violenza dei coloni contro i palestinesi in Cisgiordania è in aumento di anno in anno dal 2016.

I dati delle Nazioni Unite mostrano che nel 2022 ci sono stati almeno 849 attacchi da parte di coloni contro palestinesi, di cui almeno 228 hanno provocato vittime. In confronto, nel 2021 erano stati registrati 496 attacchi e 358 nel 2020.

Di tutti gli attacchi dello scorso anno, 594 hanno provocato danni alle proprietà. Secondo il Land Research Center di Gerusalemme [Centro di Ricerca sul Territorio, fondato nel 1986 all’interno dell’Associazione di Studi Arabi, ndt.], 13.130 ulivi di proprietà palestinese sono stati danneggiati.

Gli esperti delle Nazioni Unite accusano le autorità israeliane di essere complici della violenza dei coloni.

“Le prove inquietanti del fatto che le forze israeliane spesso facilitano, sostengono e partecipano agli attacchi dei coloni rendono difficile discernere tra coloni israeliani e violenza di Stato”, si legge in una dichiarazione delle Nazioni Unite rilasciata lo scorso anno.

Negli ultimi mesi Huwwara, che ospita 7.000 palestinesi ed è circondata da colonie ebraiche, è stata teatro di ripetuti attacchi.

Gli ultimi eventi sembrerebbero, a prima vista, straordinari e senza precedenti, ma sono un riflesso diretto del nuovo governo israeliano.

Non solo è il più estremista nella storia del paese ma, per la prima volta, comprende fra i ministri più importanti dei terroristi già condannati che appoggiano e adottano questa violenza. Disprezzano gli strumenti dello Stato – l’esercito e la polizia – che sotto i governi precedenti avevano esercitato un limitato controllo su questa violenza estremista.

Tale collusione tra forze statali e coloni impegnati in atti arbitrari di terrorismo contro i palestinesi minaccia di trasformare Israele in uno Stato privo di legge. Oggi, per la prima volta, la violenza omicida tenuta sotto controllo in passato si è scatenata – con il tacito avallo del governo.

Banda di giustizieri

Non si sta più parlando di una Terza Intifada, anche se i palestinesi sicuramente reagiranno. Rispetto a quanto sta accadendo oggi, durante le precedenti rivolte palestinesi la risposta del governo israeliano, pur impiegando un uso eccessivo della forza, mostrava probabilmente in certa misura della moderazione.

Ora si fa sul serio e lo Stato e queste bande di giustizieri hanno scatenato un livello di violenza terrificante.

Senza un intervento esterno diretto e decisivo da parte degli Stati Uniti, dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite, potrebbe esserci molto più spargimento di sangue e con esso il saccheggio di decine, se non di più, di villaggi palestinesi.

L’obiettivo finale di questi terroristi israeliani è il completo sradicamento della presenza palestinese in Israele-Palestina, seguito dalla distruzione del complesso della Moschea di Al-Aqsa e dalla costruzione di un Terzo Tempio.

Fino a quando il mondo permetterà che questo vada avanti?

Questo pogrom è enorme”

Due giornalisti, uno dei quali Josh Breiner di Haaretz, hanno documentato il pogrom. Breiner ha twittato che per la prima volta nella sua carriera di giornalista gli israeliani gli hanno sparato proiettili veri.

Un altro giornalista israeliano ha confermato che l’uomo armato indossava un’uniforme dell’esercito israeliano. È sorprendente che un soldato apparentemente in servizio attivo tenti di uccidere un giornalista israeliano. Ho contattato il capo ufficio stampa dell’esercito israeliano per un commento, ma al momento in cui scrivo non ho ricevuto risposta.

L’esercito e i coloni si sono schierati dalla stessa parte, cosa che tutti gli attivisti israeliani già sapevano. Ma qui si evidenzia in modo particolarmente inquietante.

Naturalmente, i palestinesi affrontano questo pericolo ogni giorno. Ma dev’essere difficile per un israeliano che gode di uno stato privilegiato immaginare che la teppa ebraica possa odiarlo tanto da essere felice se fosse morto piuttosto che vivo.

In un forum su Twitter Breiner ha offerto il resoconto di un testimone oculare: “Vi siete sicuramente chiesti quanti arresti ci siano stati questa notte quando gli ebrei hanno compiuto un pogrom in un villaggio palestinese, bruciando case e automobili, lanciando pietre ai giornalisti durante i principali disordini e tutto sotto il naso dell’esercito israeliano.

“E dunque, come previsto, la risposta è: niente arresti [Breiner ha poi aggiornato, sei sono stati arrestati]. Potete star certi che c’è un ministro [Ben Gvir] che non ha pianto alla vista delle fiamme ad Huwwara. Si era impegnato ad essere il proprietario di casa, no? [Ben Gvir dice che gli arabi dovranno abituarsi al fatto che gli ebrei sono i ‘padroni di casa’ in Israele]”.

Il reportage del giornalista palestinese Muhammad Shehada su Twitter ha offerto un resoconto dettagliato dell’entità della devastazione: “Centinaia di coloni stanno attaccando Huwwara scortati e protetti dai soldati israeliani. I residenti palestinesi sono ingabbiati. Gli altoparlanti delle moschee chiedono aiuto. Chiunque cerchi di difendersi viene attaccato da coloni e soldati. Questo pogrom è enorme! Fuochi ovunque!”

Huwwara deve essere cancellata”

Il giornalista israeliano Edo Konrad ha twittato che Bezalel Smotrich, un importante ministro del governo che una volta era stato arrestato dallo Shin Bet mentre trasportava un ordigno esplosivo a una protesta contro il ritiro da Gaza, ha apprezzato un tweet che chiedeva la “cancellazione” (cioè il genocidio) di Huwwara.

Questa è una traduzione del tweet sul genocidio che Konrad ha ritwittato: “Il villaggio di Huwwara deve essere cancellato adesso. Basta con le dichiarazioni sulla costruzione e il potenziamento degli insediamenti. La deterrenza che abbiamo perso deve essere riconquistata immediatamente, senza pietà”.

Fania Oz-Salzberger, figlia del defunto romanziere israeliano Amos Oz, ha paragonato l’attacco dei coloni a un pogrom cosacco. Ha evocato il nome del capo dei criminali, Bogdan Chmielnicki, il comandante militare ucraino del XVII secolo responsabile degli omicidi di decine di migliaia di ebrei.

Il testo: “Teppisti ebrei che bruciano case ad Hawwara nella migliore tradizione di Chmielnicki. Una persona gravemente ferita, famiglie salvate da edifici in fiamme, decine di persone colpite dall’inalazione di gas lacrimogeni. Un’unità di riserva dell’esercito è stata rapidamente mobilitata e inviata ‘per portare la calma’. Cosa? Per abbracciare i pogromnik e accarezzarli sulla testa?”

Gli ebrei hanno subito la loro parte di pogrom: i romani bruciarono i rabbini sul rogo; l’Inquisizione spagnola li ha torturati sulla griglia; Hitler ha gasato milioni di ebrei europei nei campi di sterminio.

Dopo la massiccia violenza a Huwwara è macabro che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu rilasci una dichiarazione in cui chiede ai coloni di “non farsi giustizia da soli”.

I buoi sono già scappati dalla stalla. I coloni non lo ascoltano. Lui è irrilevante. Hanno già preso in mano la legge e molto altro.

In realtà non c’è nessuna legge. I coloni governano e nessuno li ostacola.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Richard Silverstein scrive sul blog Tikun Olam che denuncia gli eccessi dello stato di sicurezza nazionale israeliano. Suoi articoli sono apparsi su Haaretz, Forward, Seattle Times e Los Angeles Times. Ha contribuito alla raccolta di saggi dedicata alla guerra del Libano del 2006, A Time to Speak Out (Verso) e con un altro saggio alla raccolta Israel and Palestine: Alternate Perspectives on Statehood (Rowman & Littlefield)

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Netanyahu e i funzionari israeliani negano il congelamento degli insediamenti dopo il vertice di Aqaba

Redazione di MEE

27 febbraio 2023 MiddleEastEye

La smentita arriva dopo che in una dichiarazione congiunta Israele aveva affermato di accettare di “interrompere il dibattito su qualsiasi nuova unità di insediamento” per quattro mesi

Poche ore dopo l’incontro tra Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese conclusosi con una dichiarazione congiunta che delineava l’impegno israeliano a sospendere le discussioni sui nuovi insediamenti nella Cisgiordania occupata, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che la costruzione degli insediamenti israeliani proseguirà.

Le note apparentemente contraddittorie hanno portato a confusione, visto che anche un certo numero di funzionari israeliani si è affrettato a negare il congelamento della costruzione di insediamenti in Cisgiordania.

All’incontro, che si è svolto domenica nella città giordana di Aqaba, sul Mar Rosso, hanno partecipato anche Egitto e Stati Uniti.

Secondo un comunicato congiunto rilasciato domenica dal Dipartimento di Stato americano, Israele si è impegnato a “interrompere la discussione su qualsiasi nuova unità di insediamento per quattro mesi e a bloccare l’autorizzazione di qualsiasi avamposto per sei mesi”.

Poco dopo la pubblicazione del comunicato, Netanyahu ha twittato che “non ci sarà alcun congelamento” nella costruzione degli insediamenti.

Secondo il diritto internazionale, gli insediamenti costruiti nei territori occupati sono illegali.

Molti ministri importanti di Israele hanno concordato, affermando che non vi è alcun impegno a congelare la costruzione di nuove unità di insediamento.

Il consulente del Consiglio di Sicurezza Nazionale israeliano Tzachi Hanegbi ha affermato che il governo israeliano non ritirerà la sua decisione di legalizzare nove avamposti in Cisgiordania e di costruire 9.500 ulteriori unità abitative nella Cisgiordania occupata.

“Contrariamente ai rapporti e ai tweet sull’incontro in Giordania, non vi è alcun cambiamento nella politica israeliana”, ha detto Hanegbi.

Il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha dichiarato su Twitter di non avere “la più pallida idea di che cosa si sia detto o non detto in Giordania”, aggiungendo che non ci sarebbe stato alcun congelamento degli insediamenti, “nemmeno per un giorno”.

Fonti a conoscenza dei colloqui hanno detto ad Haaretz che l’impegno a non discutere la costruzione di nuovi insediamenti per quattro mesi non costituisce una vera concessione, dato che il processo di pianificazione richiederà diversi mesi prima che possano essere approvate nuove ulteriori unità abitative.

In risposta alle dichiarazioni di Netanyahu e di altri ministri israeliani, lunedì il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price ha detto ai giornalisti: “Pensiamo che la dichiarazione parli da sola. Proprio come ci aspettiamo che i palestinesi mantengano i loro impegni, ci aspettiamo che gli israeliani facciano lo stesso”.

Nessuna pressione dagli Stati Uniti

Zaha Hassan, avvocato per i diritti umani e membro del Carnegie Endowment for International Peace [Fondo Carnegie per la Pace Internazionale, think tank apartitico con sede a Washington, ndt.] ha affermato che l’incontro è stato un altro segno che gli Stati Uniti non sono disposti a usare la loro influenza per spingere Israele al rispetto del diritto internazionale.

“Tenere riunioni ad Aqaba o Sharm El Sheikh rappresenta una grande photo opportunity, ma è tutto ciò che può esserci se gli Stati Uniti non mettono in campo il loro potere per raffreddare la situazione”.

Hassan afferma che gli Stati Uniti hanno chiarito che i legami bilaterali di Washington con Israele sono di fondamentale importanza, e che il presidente Joe Biden ha “considerato oltraggioso” suggerire di mettere condizioni agli aiuti militari al Paese.

Ha aggiunto: “Dire a Israele che gli aiuti e la copertura politica non saranno mai ritirati o sospesi è esattamente il motivo per cui i funzionari israeliani si sentono incoraggiati ad andare avanti con l’annessione della Cisgiordania”.

“È anche il motivo per cui i membri della Knesset israeliana si sentono liberi di parlare a sostegno dei coloni israeliani che attaccano e danno fuoco ai villaggi palestinesi”.

Domenica dei coloni israeliani con la protezione dei militari israeliani hanno dato fuoco a decine di case e auto palestinesi nella città di Huwwara, vicino alla città di Nablus nella Cisgiordania occupata. L’attacco è avvenuto dopo che un palestinese armato ha sparato uccidendo due coloni israeliani che attraversavano la città palestinese.

L’attacco alla città è stato appoggiato dai funzionari israeliani, tra cui Smotrich che ha chiesto di “colpire senza pietà le città del terrore e i suoi istigatori con carri armati ed elicotteri”.

Almeno 62 palestinesi sono stati uccisi dagli israeliani quest’anno, al ritmo di più di un decesso al giorno.

Ciò fa seguito a un forte aumento della violenza nel 2022, quando almeno 167 palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania e Gerusalemme Est, il più alto numero di vittime in quei territori in un solo anno dalla Seconda Intifada.

Mentre i colloqui di Aqaba sono stati descritti come “un grande progresso” dal comunicato congiunto, il vertice è stato condannato da un certo numero di fazioni palestinesi.

Suhail al-Hindi, membro di spicco del movimento Hamas, ha affermato che l’incontro di Aqaba “mira a mettere in ginocchio il popolo palestinese”, mentre Maher Mezher, membro del gruppo di sinistra Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), ha affermato che al vertice il popolo palestinese non era rappresentato.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




I disordini di Huwwara: il racconto in prima persona dell’attacco dei coloni israeliani contro una cittadina palestinese

Hussein al-Suwaiti a Huwwara, Palestina occupata

27 febbraio 2023 – Middle East Eye

Testimonianza resa a Ola Marshoud

Hussein al-Suwaiti descrive le scene dell’aggressione da parte di coloni israeliani violenti, che ha lasciato sul terreno macchine, edifici e autodemolizioni bruciati in tutta la sua cittadina

I coloni israeliani si sono riuniti presso l’incrocio di una colonia, sono scesi a Huwwara a piedi ed hanno dato fuoco a tutta la cittadina.

Sono arrivati sventolando bandiere per vendicarsi perché in precedenza quel giorno un palestinese aveva ucciso due coloni israeliani.

I coloni hanno incendiato case, negozi e autodemolizioni. Si sono diretti verso la strada principale della cittadina in cui abitiamo e prima hanno aggredito i nostri vicini. Hanno dato fuoco all’autosalone del mio vicino e all’autodemolizioni di fronte.

Poi si sono diretti contro la mia famiglia.

Hanno attaccato la nostra casa con pietre e pezzi di ferro ed hanno cercato di farvi irruzione. Hanno scagliato tutto quello che trovavano contro la nostra casa.

Huwwara aveva già subito attacchi dei coloni in precedenza, ma non così, non a questo livello di violenza. È stato indescrivibile.

Abbiamo iniziato a pregare e i miei figli si sono messi a piangere e a gridare.

Nel passato alcuni coloni si erano piazzati fuori dalla nostra casa, gridando e lanciando qualche pietra. Attaccavano una o due case alla volta, ma ieri si sono sparpagliati in città più di 250 coloni.

Non potevi neanche cercare rifugio dai tuoi vicini perché anche loro erano sotto attacco.

Ridotta in cenere

Vicino a me c’è un’officina di autodemolizioni, con dentro circa 25 macchine.

I coloni hanno incendiato le gomme, le hanno lanciate contro le auto e l’hanno ridotta in cenere.

Ne hanno bruciata anche un’altra vicino, più grande della mia, e il fumo ha riempito la strada. I soldati israeliani hanno sparato gas lacrimogeni contro i coloni, ma la maggior parte è finita nella nostra casa, che è sparita sotto tutto quel fumo e quei lacrimogeni. Stavamo soffocando. Non potevamo far altro che pregare, gridare aiuto e urlare contro i coloni.

Quando stavano davanti all’ingresso di casa cercando di fare irruzione ho iniziato a tirargli contro attraverso la finestra le scarpe dal porta scarpe che avevo vicino a me. Mentre ciò avveniva i soldati israeliani se ne stavano lì fermi a guardare.

Ho urlato verso i soldati e gli ho detto che i coloni stavano cercando di entrare a forza in casa mia. Mi hanno puntato contro le armi e mi hanno detto di tornare dentro.

Non c’era nessuno ad aiutarci. Il fuoco si stava avvicinando sempre di più e stavamo per bruciare vivi nella nostra casa. Il mio maggior timore era che mi incendiassero la macchina che avevo parcheggiato nel cortile davanti all’entrata. Se lo avessero fatto, saremmo rimasti bloccati in casa.

Ho scritto su Facebook un messaggio angoscioso: per l’amor di Dio, abbiamo bisogno di un’ambulanza e di un mezzo antincendio.

Il fuoco aveva attecchito nell’officina di autodemolizioni. Sono arrivati sul posto dei poliziotti palestinesi e hanno chiesto a noi e ai nostri vicini di lasciare le nostre case. Ci hanno messi su un’ambulanza palestinese e ci hanno portati in ospedale.

A mio figlio di sette anni hanno dovuto dare l’ossigeno per le inalazioni di fumo, mentre io ho ricevuto cure d’emergenza perché ho l’asma.

Sfrontatezza

Ho altri tre figli, di 15,14 e 13 anni. Il panico che abbiamo vissuto è indescrivibile.

L’attacco di ieri ha messo in discussione la sicurezza che si prova nella propria casa, nella propria città. Ora siamo in stato di allerta e ci aspettiamo che ritornino in qualunque momento.

Prima che iniziasse questo attacco i coloni erano arrivati a Huwwara con le loro famiglie, compresi i bambini, alcuni dei quali nei passeggini, e andavano in giro per la città.

Dietro a questa sfrontatezza c’è l’esercito. I coloni sanno di essere protetti dai soldati, per cui ovviamente fanno tutto quello che vogliono. Sono entrati nella cittadina sotto la protezione dell’esercito, che gliel’ha consentito.

In passato, quando arrivavano sul posto, i soldati contenevano la situazione e i coloni si disperdevano. Questa volta no.

Quando ho urlato ai soldati che non potevamo respirare, mi hanno puntato contro i fucili. Dobbiamo avere osservatori internazionali sul posto.

Come dice il proverbio, “il giudice e il boia sono la stessa identica persona”. Non c’è nessuno che ci protegga.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Dopo aver aiutato le vittime del terremoto, un palestinese è stato ucciso dalla furia israeliana

Fayha Shalash

27 febbraio 2023 – Middle East Eye

Sameh al-Aqtash era appena tornato dal volontariato in Turchia quando i coloni hanno attaccato il suo villaggio in Cisgiordania

Quattro giorni fa Sameh al-Aqtash è tornato dalla Turchia, dove aveva sostenuto le vittime del terremoto come volontario. Domenica sera il 37enne palestinese è stato ucciso da coloni israeliani che si sono scatenati nel suo villaggio, Zatara, nella Cisgiordania occupata.

Zatara si trova a sud di Nablus, vicino a un famigerato checkpoint militare israeliano dove, secondo gli abitanti, i soldati vessano quotidianamente i palestinesi. A Zatara vivono solo 100 persone e sono tutti membri della stessa famiglia. La maggior parte di loro sono donne e bambini.

Gli attacchi dei coloni israeliani sono iniziati dopo che domenica pomeriggio un presunto palestinese armato ha ucciso due coloni vicino alla città di Huwwara. In risposta, centinaia di israeliani hanno attaccato città e villaggi palestinesi, ferendo quasi 300 persone e bruciando le case.

Nonostante Zatara si trovi a circa sei chilometri da Huwara, dove i coloni sono stati uccisi e la violenza della folla ha raggiunto il massimo, un gruppo di israeliani ha attaccato il villaggio e ha iniziato a tentare di rimuoverne il principale cancello di ingresso.

Abdel Moneim, il fratello di Aqtash, era con lui mentre si precipitavano a fermare il vandalismo dei coloni.

“Ci siamo affrettati tutti, incluso Sameh, e abbiamo fermato i coloni al cancello e impedito loro di entrare”, ha detto a Middle East Eye.

Ma dopo poco tempo i coloni hanno attaccato di nuovo, questa volta con la protezione dei soldati israeliani. I colpi di arma da fuoco hanno iniziato a prenderci di mira e poi Sameh è caduto a terra”.

Coloni e soldati stazionano insieme dopo la furia devastatrice. (Reuters)

Con i soldati israeliani e i coloni che bloccavano le strade, nessuna ambulanza ha potuto accedere a Zatara, così i fratelli di Aqtash hanno dovuto usare un veicolo privato e trasportarlo su una strada sterrata fino al vicino paese di Beita.

Mentre correvano lungo la strada accidentata, il sangue è uscito da un foro di proiettile nell’addome di Aqtash, che ha iniziato a perdere conoscenza.

Al centro medico di Beita i fratelli di Aqtash sono scoppiati in lacrime quando il medico ha detto loro che egli era morto per le ferite. Lascia tre figli, il più piccolo è una bambina di quattro mesi.

Abdel Moneim afferma: “Non c’erano scontri quando i coloni ci hanno attaccato. Sameh era una persona gentile che amava aiutare la gente: due giorni prima di essere ucciso aveva parlato con i capi dei consigli locali della nostra regione per raccogliere donazioni per le vittime del terremoto in Turchia e Siria”.

Città in fiamme

Le cicatrici degli attacchi senza precedenti dei coloni alle città e ai villaggi a sud di Nablus saranno difficili da cancellare. Case, negozi e automobili sono stati distrutti e incendiati. I coloni hanno massacrato il bestiame dei palestinesi.

Elias Dmaidi, un bambino di otto anni residente a Huwwara, ha detto che pensava che sarebbe stata l’ultima della sua vita.

“Non ho mai visto un attacco così grave: centinaia di coloni urlavano, insultavano, distruggevano tutto ciò che incontravano e davano fuoco alle case mentre le famiglie erano dentro”, ha detto Dmaidi ai giornalisti.

Huwwara, una città divisa da una strada principale frequentata da coloni e soldati israeliani, ha avuto una storia di conflitti crescenti.

La maggior parte delle sue terre sono state confiscate da Israele per costruire colonie ebraiche illegali, con varie strade ad uso esclusivo degli israeliani costruite per servirli e garantire la loro sicurezza.

Mentre il caos inghiottiva la città, l’esercito israeliano ha chiuso tutti i checkpoint intorno a Nablus, bloccando i palestinesi all’interno e all’esterno dell’area. Nonostante gli attacchi dei coloni, gli abitanti hanno aperto le loro case a tutti coloro che non potevano andarsene.

Al sorgere del mattino il sole ha rivelato l’entità dei danni. Nere strisce carbonizzate macchiavano case, negozi e alberi. Anche la scuola era stata attaccata. Temendo per la propria vita gli studenti lunedì sono rimasti a casa.

Palestinesi ispezionano i danni causati dalla furia dei coloni (AP)

Durante i disordini al personale medico e ai vigili del fuoco è stato impedito di raggiungere le aree colpite, con il risultato che centinaia di palestinesi feriti sono stati curati molto tempo dopo essere stati aggrediti.

Ahmed Jibril, direttore delle ambulanze e del dipartimento di emergenza della Mezzaluna Rossa palestinese, ha affermato che i medici sono stati oggetto di numerosi abusi durante l’attacco a Huwwara.

Ha proseguito: “I paramedici sono stati attaccati ed è stato impedito loro di entrare in città, anche le ambulanze sono state colpite. L’ aggressione non è stata opera solo dei soldati, ma anche dei coloni, che hanno aggredito il personale medico mentre cercava di trasportare un ferito”.

Bersagliati dentro casa

Anche Brin, una cittadina vicina che si trova accanto a blocchi di colonie, è stata oggetto di furiosi attacchi.

Ayman Soufan era a casa con moglie e figli quando i coloni li hanno attaccati e hanno dato fuoco alla loro casa.

Ha raccontato a Middle East Eye: “Più di 100 coloni ci hanno attaccati e si sono divisi in due gruppi, uno ha sfondato finestre e porte e l’altro ha rubato le nostre cose e le pecore dalla parte anteriore della casa”.

Poi le hanno dato fuoco. La famiglia di mio fratello e io siamo fuggiti dall’altra parte per proteggerci. Mio figlio è stato colpito alla spalla da una pietra lanciata dai coloni.”

Quasi ogni mese vengono attaccati da coloni. protetti dai soldati israeliani, che vogliono prendere la loro casa e rubare la loro terra per espandere gli insediamenti vicini.

Soufan prosegue: “I coloni hanno cercato di bruciarci vivi all’interno della nostra casa, se non fossimo riusciti a scappare ora saremmo morti. Nonostante l’enorme incendio, i vigili del fuoco non sono riusciti a raggiungerci perché i soldati li hanno ostacolati e il fuoco è rimasto acceso finché non si è spento da solo. Dal 2000 viviamo la stessa spirale di aggressione”.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Quando il sionismo si spacca: Israele e il monito della storia coloniale

David Heartst

26 gennaio 2023 – Middle East Eye

La divergenza tra il progetto delle truppe d’assalto sioniste per la creazione di uno Stato ebraico e la tradizione sionista è stata tantissime volte nascosta sotto il tappeto. Oggi sta venendo prepotentemente allo scoperto.

La classe politica israeliana non ha saputo dare nessuna risposta [alla domanda]: “Chi è al comando?”

[Tale domanda] costituiva una provocazione suscitata dalla acuta sensazione che gli ebrei avessero perso il controllo sui palestinesi che vivevano nel loro Stato. Ma a poche settimane dall’ultima reincarnazione di Benjamin Netanyahu a capo del governo più estremista nella storia di Israele milioni di israeliani si stanno ponendo una domanda simile: chi abbiamo al comando?

Un ministro della giustizia che intende neutralizzare l’autorità e l’indipendenza giudiziaria? Un ministro delle finanze che mette in dubbio il diritto degli immigrati russi a essere considerati ebrei? Un ministro della sicurezza nazionale il cui primo atto è stato l’assalto alla moschea di Al-Aqsa? 

In verità, le manifestazioni di massa riguardano solo la prima delle tre questioni, anche se la questione dell’identità russa è abbastanza esplosiva – Bezalel Smotrich l’ha definita una bomba a orologeria ebraica.

I palestinesi sono stati ancora una volta esclusi dalla rivolta sionista liberale. Dopo che alcune bandiere palestinesi sono apparse nel mare di quelle bianche e blu durante le prime proteste di massa gli organizzatori si sono affrettati a rinunciare a una presenza palestinese. Ciò nonostante, i sionisti liberali hanno avuto un assaggio di cosa significhi essere palestinesi nelle mani della nuova élite – il movimento nazionalista religioso dei coloni.

È vero, la battaglia si inquadra come una lotta contro i fascisti a favore della democrazia. Non si trasforma, almeno per ora, in un dibattito sulla crudeltà quotidiana e sul costo umano del sostegno allo progetto sionista in sé. Ma quelle domande cominciano ad emergere.

Leggete questo commento pubblicato da Yedioth Ahranoth, un giornale di centro fedele alla linea ufficiale israeliana sull’occupazione: “La verità scomoda è che non può esserci democrazia insieme a un’occupazione, non può esserci democrazia in un Paese la cui politica economica consente ai forti di fare un balzo in avanti mentre i deboli restano indietro e non può esserci democrazia in un luogo dove gli arabi sono tenuti fuori dalla scena”.

Chi non riesce ad affrontare questi problemi in modo chiaro e coerente fallirà anche nel suo sforzo assolutamente giustificato di fermare una parte del processo. La scomoda verità è che chiunque voglia portare un milione di persone nelle strade per scuotere il paese in risposta al piano di Levin non può balbettare luoghi comuni sul “restringimento del conflitto” e sull’essere “né di destra né di sinistra”.

Un rapporto complesso

Il rapporto del sionismo tradizionale con il movimento dei coloni è sempre stato più complesso e ricco di sfumature rispetto alla sua consueta rappresentazione come divisione tra centro ed estrema destra. E quando il centro è al comando fa molto peggio che voltarsi dall’altra parte. Molto peggio.

Gli insediamenti si sono moltiplicati sotto i governi laburisti. Esprimere orrore per personaggi come Ben Gvir incaricati di governare la Cisgiordania occupata significa ignorare il sangue palestinese che gronda dalle mani dell’ex primo ministro Yair Lapid.

L’anno scorso è stato il più sanguinoso dalla Seconda Intifada con 220 morti tra cui 48 minori.

Denunciare gli attacchi ai giudici israeliani “di sinistra” significa dimenticare che gli attacchi dei coloni sono rimasti impuniti – e anche nel raro caso di una condanna continuano a rimanere nella stragrande maggioranza impuniti. Fino ad ora, il rapporto tra il sionismo liberale e il terrorismo ebraico è stato simbiotico sia prima che dopo l’assassinio di Yitzhak Rabin nel 1995 [allepoca Rabin era primo ministro e fu assassinato da un estremista israeliano, ndt.].

Questo è molto chiaro nelle testimonianze dei successivi capi dello Shin Bet. Quando il servizio di sicurezza interna ha catturato dei terroristi nell’atto di piazzare negli autobus palestinesi bombe al semtex [esplosivo al plastico, ndt.] che avrebbero provocato un eccidio di massa, si è imbattuto anche nei piani per far saltare in aria la moschea di Al-Aqsa.

Carmi Gillon, a capo dello Shin Bet dal 1994 al 1996, intervistato nel documentario The Gatekeepers [I guardiani, ndt.], ha dichiarato: “Dopo che smascherammo la Jewish Underground [o makhteret, organizzazione terrorista di destra ebraica, ndt.] il primo ministro Shamir definì la mia unità il diamante della corona. Abbiamo ricevuto complimenti e sostegno da tutte le parti. Iniziarono le pressioni a loro favore. Furono processati. Tre di loro ebbero l’ergastolo, altri condanne diverse. Tutti uscirono di prigione molto velocemente. Tornarono a casa come se niente fosse. Tornarono ai loro precedenti incarichi, alcuni ad incarichi anche più elevati. La Knesset [parlamento israeliano, ndt.] rilasciò l’intera Jewish Underground. La legge di clemenza verso la Jewish Underground fu firmata da Yitzhak Shamir come primo ministro di Israele. Non si trattò solo di pochi membri dell’opposizione”.

Per lo Shin Bet l’assassinio di Rabin fu un incidente automobilistico al rallentatore. In quella circostanza emerse per la prima volta Ben Gvir. Apparve in televisione brandendo lo stemma del cofano della Cadillac che era stato rubato dall’auto di Rabin: “Siamo arrivati alla sua macchina e arriveremo anche a lui”.

Yaakov Peri, capo dello Shin Bet dal 1988 al 1994, ha detto che per lui l’assassinio di Rabin ha cambiato il mondo intero: “Improvvisamente ho visto un Israele diverso. Non ero consapevole dell’intensità degli abissi, dell’odio e delle fratture tra di noi. Come percepiamo il nostro futuro? Cosa abbiamo in comune? Perché siamo venuti qui? Cosa vogliamo diventare? Tutto ciò era evidente e tutto è andato in pezzi.”

C’è un senso di amarezza in tutte e sei le interviste con i capi dello Shin Bet. Non si sentono solo delusi dai governi successivi. Si sentono traditi e lo dicono apertamente. Nel 1996, quando l’assassino di Rabin, Yigal Amir, fu condannato, il 10% degli israeliani disse che avrebbe dovuto essere rilasciato; nel 2006, tale sostegno era aumentato al 30%.

Ma il rapporto non è più simbiotico. L’ascesa al potere di Ben Gvir e Smotrich non è uno scherzo della natura, un incidente della politica. Non è Trump. Né è un’insurrezione del 6 gennaio.

Il conflitto tra il progetto delle truppe d’assalto sioniste per la creazione di uno Stato ebraico dal fiume [il Giordano, ndt.] al mare [Mediterraneo, ndt.] e la visione tradizionale sionista, sia in Israele che all’estero, è stato intrinsecamente latente sullo sfondo fin dalla creazione dello Stato di Israele stesso.

È presente da quando Rabin, in qualità di comandante del neonato esercito israeliano, ordinò alle sue truppe di aprire il fuoco su una nave mercantile che stava scaricando armi per l’Irgun [gruppo paramilitare sionista ndt.], uccidendo 16 combattenti. Un futuro primo ministro, Menachem Begin, fu portato a terra ferito.

Questa spaccatura è stata nascosta tante volte sotto il tappeto. Oggi sta venendo prepotentemente allo scoperto.

Il modello algerino

Se esiste un parallelo storico con la scissione che sta spaccando il sionismo, non è con il Sud Africa ma con l’Algeria.

I coloni francesi, conosciuti come i pied-noirs, si trovavano in Algeria dal XIX secolo. Il Paese veniva trattato come un’estensione del Paese continentale piuttosto che una colonia in Africa. “Algeri fa parte della Francia tanto quanto la Provenza”, dicevano tra loro.

Fin dall’inizio, i “colons” furono parte integrante del progetto coloniale francese. Il maresciallo Thomas-Robert Bugeaud, governatore generale dell’Algeria, proclamò all’Assemblea nazionale francese nel 1840: “Ovunque (in Algeria) ci sia acqua dolce e terra fertile, là bisogna collocare dei coloni, senza preoccuparsi a chi appartengono queste terre.“

I primi fermenti del dopoguerra concernenti richieste algerine per una parità di cittadinanza furono affrontati con dei tentativi di riforma. Parigi concesse la cittadinanza a 60.000 persone in base a ciò che venne definito un criterio “di merito”, e nel 1947 un parlamento con una camera per i pied-noirs e un’altra per gli algerini. Tuttavia, il voto del pied-noir era considerato valere sette volte il voto di un algerino.

Impegnati per quattro anni in una brutale guerra d’indipendenza il cui bilancio di vittime la Francia – fino ad oggi – continua a sottostimare (l’Algeria parla di 1,5 milioni di morti, mentre la Francia dice che furono uccisi da entrambe le parti 400.000 persone), i pied-noirs ebbero la simpatia e il supporto dell’esercito e degli apparati di sicurezza francesi.

E’ istruttivo su quest’epoca il capitolo di Henry Kissinger, nel suo libro Leadership sul generale Charles De Gaulle, che definisce uno dei sei grandi leader con cui ha interagito durante la sua carriera di diplomatico.

Il rapporto di De Gaulle con i coloni si evince da un discorso in cui diceva loro “vi capisco” per il fatto di essere presi di mira nella stessa Francia per la loro campagna terroristica. In quel momento l’umore pubblico in Francia era cambiato e la Francia si rivoltava contro i coloni. Il punto di svolta fu la mutilazione di una bambina di quattro anni nell’esplosione di una bomba a Parigi nel 1962.

Prima di allora, l’Organizzazione Armee Secrete (OAS) [organizzazione paramilitare clandestina francese il cui slogan era “l’Algérie française”, ndt.] godeva del sostegno di 80 deputati all’Assemblea nazionale.

Ciò provocò una manifestazione contro l’OAS, che la polizia represse uccidendo otto persone. Ai loro funerali parteciparono centinaia di migliaia di persone e un cessate il fuoco tra la Francia e il Fronte di liberazione nazionale (FLN) [movimento rivoluzionario algerino che diresse la guerra d’indipendenza, ndt.] trasformò una lotta a tre in un conflitto a due che l’OAS era destinata a perdere.

Naturalmente ci sono tante differenze tra i pied-noirs e i coloni ebrei così come sono molte le somiglianze. La religione non svolse un ruolo determinante nel progetto francese. Non c’era stato in Europa alcun eccidio su larga scala dei francesi che giustificasse la creazione di quella colonia.

Tuttavia, l’elemento essenziale del confronto rimane valido. Quando l’OAS si mise in proprio l’intero progetto fu destinato a perdere. Un altro punto vitale per i palestinesi, né la resistenza algerina né la resistenza sudafricana hanno vinto militarmente. Erano entrambe completamente prive di armi. In entrambi i casi a vincere la battaglia è stata la perseveranza, il rifiuto di arrendersi.

Nessuno sta dicendo, tanto meno io, che Israele stia per crollare come fece il dominio francese in Algeria. Ma stanno comparendo le prime grandi crepe nel progetto sionista.

Le prime crepe

Ben Gvir ha fatto di più per delegittimare Israele da quando è salito al potere poche settimane fa che anni di campagna del movimento BDS. Gli ex capisaldi del sostegno ebraico di New York a Israele stanno rilasciando dichiarazioni che implorano Netanyahu di cambiare rotta.

Eric Goldstein, il capo della più grande federazione ebraica del Nord America, ha “rispettosamente implorato” Netanyahu di mantenere le precedenti promesse di bloccare le leggi che minacciano l’indipendenza del sistema giudiziario israeliano.

Le federazioni ebraiche non rilasciano quasi mai tali dichiarazioni pubblicamente per il semplice motivo che il settore dei servizi sociali israeliani è uno dei loro maggiori beneficiari.

Ovviamente Netanyahu farà tutto ciò che è in suo potere per giocare la carta internazionale. Lo ha fatto in Giordania, dichiarando senza fondamento che lo status quo ad Al-Aqsa non cambierà. Lo aveva già fatto, come sa benissimo il Waqf, custode dei luoghi santi di Gerusalemme, la cui gestione è affidata alla Giordania.

Ma in Ben Gvir e Smotrich Netanyahu ritrova una forma diversa di partner di coalizione. Questi rottweiler della destra religiosa nazionale non sono solo una parte dell’attuale, traballante soluzione politica di un politico, Netanyahu, che ha superato da tempo la data di scadenza. Sono la forma della futura leadership di Israele.

Questo dovrebbe costituire un segnale di allarme per ogni ebreo israeliano che non ha un passaporto europeo e non gradisce la prospettiva di una guerra a tutto campo con 1,6 miliardi di musulmani in tutto il mondo, che il movimento religioso nazionale sembra essere determinato a scatenare.

Dovrebbero pensare ad affrontare il futuro con i palestinesi alla pari, visto che il conflitto è ancora riferito alla terra e alla nazionalità, non alla religione. C’è solo un breve periodo di tempo per farlo.

Gillon afferma in The Gatekeepers: “Il piano era di far saltare in aria la Cupola della Roccia e l’esito avrebbe portato – come anche oggi – alla guerra totale da parte di tutti gli stati islamici, non solo l’Iran, ma anche l’Indonesia”.

Se aveva ragione 11 anni fa quando questa intervista è stata registrata, ha ancora più ragione oggi. Con il movimento religioso nazionale al comando, la previsione di Ami Ayalon è preveggente: “Vinceremo ogni battaglia ma perderemo la guerra”.

E’ capitato in Algeria. E’ capitato in Sud Africa. Capiterà anche in Israele.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

David Hearst è co-fondatore e redattore capo di Middle East Eye. È commentatore e relatore sulla regione e analista sull’Arabia Saudita. E’ stato capo redattore per la politica estera del Guardian e corrispondente in Russia, Europa e Belfast. È entrato a far parte del Guardian da The Scotsman, dove era corrispondente per l’istruzione.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




I generali israeliani non sono contenti di dover rispondere ai due ministri e mezzo di Netanyahu

Lily Galili

23 gennaio 2023 – Middle East Eye

L’accordo di coalizione del primo ministro israeliano ha consegnato all’estrema destra un controllo civile e militare senza precedenti, aprendo la strada all’annessione de facto della Cisgiordania.

Il nuovo comandante dell’esercito israeliano Herzi Halevi si trova in una situazione insolita. Il generale deve rispondere non a un ministro della Difesa, e neanche a due, ma a due ministri e mezzo.

Yoav Gallant del Likud [partito nazionalista e di destra israeliano con a capo l’attuale primo ministro Netanyahu, ndt.] è il ministro della Difesa israeliano. Bezalel Smotrich, presidente del partito di estrema destra Sionismo religioso, è sottosegretario presso lo stesso ministero [oltre ad essere ministro delle Finanze ndt.]. Itamar Ben-Gvir, del partito Jewish Power [Potere Ebraico, di estrema destra, ndt.], dispone di una fetta del portafoglio della Difesa, oltre ad essere ministro della Sicurezza Nazionale.

Gli ultimi due politici di estrema destra hanno rivendicato la loro parte nel ministero attraverso piani per riorganizzare l’autorità nella Cisgiordania occupata, che Israele ha [fino ad oggi, ndt.] amministrato – con l’eccezione di Gerusalemme Est – attraverso l’Amministrazione Civile Israeliana, un ramo del ministero della Difesa.

Nell’ambito dell’accordo che lo ha visto entrare a far parte del nuovo governo del primo ministro Benjamin Netanyahu, Smotrich ha chiesto – e ottenuto – l’autorità sull’Amministrazione Civile, che fino a quel momento era stata sotto il controllo esclusivo del ministro della Difesa.

Ben-Gvir, responsabile della polizia, ha ottenuto l’autorità sulla polizia di frontiera operante in Cisgiordania. Fino ad ora quella forza è rimasta sotto il controllo del comando centrale dell’esercito israeliano.

Ma ora, sulla base dell’accordo di coalizione, entro 90 giorni dalla formazione del nuovo governo sarà attuato il trasferimento dei poteri.

Di tutte le frammentazioni dei ministeri compiute da Netanyahu per facilitare la ripartizione equilibrata degli incarichi tra i partner della sua coalizione di estrema destra, la disarticolazione del ministero della Difesa è la meno comprensibile.

Nonostante la messa sull’avviso da parte di ufficiali di alto rango, anche in occasione di un incontro urgente con il comandante dell’esercito uscente Aviv Kochavi, Netanyahu ha portato a termine una mossa senza precedenti e insolitamente rischiosa.

Non è ciò che fa un primo ministro che si vanta di essere “Mr Security” [Signor Sicurezza]. È qualcosa che fa un uomo incriminato di tre reati per evitare di andare in prigione.

Yagil Levy, professore di Sociologia Politica e Ordine Pubblico presso la Open University of Israel, ha dichiarato a Middle East Eye che queste variazioni senza precedenti nella struttura dell’esercito e nella divisione dei compiti potrebbero provocare nei militari, in particolare tra gli alti gradi dell’esercito, un senso di perdita di prestigio.

Amir Eshel, ex dirigente generale del ministero della Difesa ed ex comandante dell’aeronautica israeliana, ha avvertito che la divisione del ministero tra tre entità potrebbe costituire un vero pericolo per la sicurezza.

Lunedì scorso, alla cerimonia del passaggio delle consegne ad Halevi, il ministro della Difesa Gallant ha affrontato la questione, dicendo che si sarebbe impegnato per frenare la “pressione esterna” sulle forze armate.

Gallant ha sottolineato l’unità di comando: “Per ogni soldato c’è un comandante… e soprattutto c’è il capo di stato maggiore, subordinato al ministro della Difesa”, ha detto.

Quindi un ministro della Difesa, e non 2,5. Dietro le spalle Gallant, che dovrebbe essere alla guida del ministero, è soprannominato ministro della Difesa di secondo grado”, o appaltatore esecutivo per lo smantellamento dell’esercito”. In questo caso la colpa non è sua.

La nuova struttura è stata testata prima del previsto quando venerdì, dopo che un avamposto coloniale ebraico illegale in Cisgiordania è stato evacuato poco dopo che era stato creato durante la notte, si è verificata una crisi di potere all’interno della coalizione. Gallant ha ordinato l’evacuazione sfidando sia Smotrich che Ben-Gvir.

Come ritorsione Smotrich ha rifiutato di partecipare alla teleconferenza con Netanyahu e Gallant; nel frattempo Ben-Gvir ha chiesto l’immediata evacuazione di Khan al-Ahmar, un villaggio beduino in Cisgiordania, lamentando un doppio standard per ebrei e arabi. Questo è solo l’inizio.

L’autorità di Smotrich sull’Amministrazione Civile israeliana e il Coordinatore delle attività governative nei territori (Cogat) [unità del Ministero della Difesa israeliano che coordina le questioni civili tra il governo di Israele, l’esercito israeliano, le organizzazioni internazionali e l’Autorità Nazionale Palestinese, ndt.] è già stata suggellata nell’accordo di coalizione.

Cosa significa questo in realtà, a parte un’anomalia all’interno di un’anomalia? Una risposta è più che certa: significa annessione de facto della Cisgiordania.

Amministrazione civile e militare

Per comprenderlo è fondamentale cogliere il ruolo dell’amministrazione civile nella macchina dell’occupazione.

La natura di questo organismo, istituito nel 1981, è stata delineata dal governo militare della Cisgiordania occupata in un regolamento militare.

Esso affermava: “Con la presente istituiamo un’amministrazione civile … gestirà tutte le questioni civili regionali relative a questo decreto militare, per il benessere e l’interesse della popolazione locale”.

In pratica, l’amministrazione civile è un eufemismo per amministrazione militare. Dal 1994 nelle aree A (18% della Cisgiordania) [sotto il pieno controllo dell’ANP, sulla base degli accordi di Oslo del 1993, ndt.] e B (22%) [sotto il controllo civile dell’ANP e militare di Israele, ndt.] alcune delle sue funzioni sono state trasferite per le questioni civili all’Autorità Nazionale Palestinese.

Oggi l’amministrazione civile è responsabile del rilascio dei permessi di viaggio dalla Cisgiordania occupata e da Gaza verso Israele. All’interno della Cisgiordania rilascia permessi di lavoro ai palestinesi che entrano in Israele per lavorare e sovrintende a tutti i permessi di costruzione negli insediamenti coloniali israeliani e su terra palestinese nell’Area C (60% della Cisgiordania), che è sotto il pieno controllo civile e militare israeliano.

“Il controllo dell’esercito sulla terra e sulla popolazione, in particolare quella palestinese, richiede non solo armi, ma un insieme di strumenti civili, militari e legali – ecco perché deve rimanere sotto una catena di comando militare”, ha detto in un’intervista radiofonica il generale in pensione Nitzan Alon, già a capo del comando centrale.

La subordinazione dell’Amministrazione Civile all’autorità militare non solo svolge il ruolo di organo effettivo di occupazione, ma anche di strumento legale. Israele non ha mai annesso formalmente la Cisgiordania e, anche se lo facesse, il suo status rimarrebbe comunque definito dal diritto internazionale come “occupazione militare temporanea”.

Mentre il mondo diviene insofferente per i 56 anni di occupazione temporanea, il trasferimento dell’autorità militare sull’area a un ministero civile solleva una questione giuridica.

Apparentemente, potrebbe significare un’annessione de facto con tutte le ripercussioni giuridiche del cambiamento di status. Contemporaneamente significa un aggravamento dell’apartheid.

Quasi tre milioni di palestinesi – compresi quelli delle aree A e B, ancora dipendenti da Israele – e mezzo milione di coloni ebrei si ritroveranno sotto una nuova compagine amministrativa che predica la supremazia ebraica ed è lì per compiacere il suo elettorato di estrema destra. Le implicazioni sono evidenti.

I generali in pensione si oppongono al cambiamento

Ephraim Sneh, un generale di brigata in pensione ed ex politico il cui ultimo ruolo nelle forze armate è stato quello di capo dell’Amministrazione Civile e che in seguito ha svolto attività di supervisione come viceministro della Difesa, è profondamente turbato dall’imminente trasferimento del potere dal comando militare a Smotrich.

Parlando con MEE, ha descritto l’equilibrio che le amministrazioni civile e militare cercano di raggiungere nel controllo della Cisgiordania e della sua popolazione.

“Il responsabile del comando centrale e il capo dell’amministrazione civile devono trovare l’equilibrio tra le esigenze di sicurezza militare e le esigenze civili”, sostiene Sneh.

Molto spesso queste esigenze si scontrano. Il capo dell’Amministrazione Civile si occupa per definizione di tutelare con la maggiore discrezione possibile la routine quotidiana. L’organismo responsabile della sicurezza è lì per fornire sicurezza, spesso a costo di interrompere la routine dei palestinesi”, afferma.

I responsabili della sicurezza, dice Sneh, sono a favore di più posti di blocco, maggiori restrizioni per fornire sicurezza, mentre la popolazione cerca semplicemente più comodità e possibilità di spostamento”.

“Alla fine, spetta al ministro della Difesa decidere”, afferma il comandante in pensione. “È una mossa molto rischiosa mettere questa autorità nelle mani di un ministro il cui principale interesse è cacciar via quanti più palestinesi possibile.

Ancora peggio, un politico i cui maggiori interessi sono scontri violenti tra ebrei e arabi ovunque, per preparare il terreno per futuri trasferimenti o quanto meno per compiacere il suo elettorato”.

Alla richiesta di fornire un esempio concreto di possibile scontro tra l’autorità militare del comando centrale responsabile della Cisgiordania e l’amministrazione civile, Sneh descrive una situazione di vita reale.

Immaginiamo una situazione in cui un uomo di un villaggio palestinese venga sospettato di qualche atto terroristico. L’istinto immediato dei militari sarebbe porre sotto assedio l’intero villaggio e revocare tutti i permessi di lavoro – una punizione collettiva totale”, sostiene Sneh.

L’Amministrazione Civile per definizione non è interessata ad una punizione collettiva, a cui farebbe seguito una protesta collettiva e quindi una violenza collettiva. Diciamo che l’Amministrazione Civile preferisce infliggere una punizione solo alla famiglia. È il ministro della Difesa a dover decidere. Ora abbiamo due ministri incaricati di quella decisione”.

Sneh aggiunge che il Cogat, un’unità del ministero della Difesa a cui è subordinata l’Amministrazione Civile, sarebbe guidata da un esponente di estrema destra incaricato da Smotrich, “la cui missione è rendere la vita dei palestinesi il più miserabile possibile”.

Avvertimento del dimissionario Kochavi

In una serie di interviste di addio ai media israeliani il comandante militare uscente Kochavi ha trattato dell’imminente subordinazione della polizia di frontiera della Cisgiordania al controverso Ben-Gvir.

Ha espresso la sua preoccupazione per la mossa in un incontro con Netanyahu. Alla domanda sul possibile trasferimento del potere a Ben-Gvir Kochavi non ha usato mezzi termini:

“Non possiamo avere due eserciti che rispondono a differenti concezioni e norme“, ha detto a Channel 13 [canale televisivo israeliano, ndt.].

Se in Giudea e Samaria [denominazione ebraica della Cisgiordania, ndt.] il controllo viene trasferito al di fuori della catena di comando dell’esercito, schiereremo soldati e riservisti per sostituire la polizia di frontiera. Le forze che operano insieme non avranno due comandanti”.

Kochavi ha sollevato la questione con Netanyahu ed è andato via con la convinzione che “saranno prese le decisioni giuste”. Ma anche Smotrich e Ben-Gvir sono stati ottimisti quando hanno firmato i loro accordi di coalizione, essendogli stato promesso tutto questo e altro ancora.

Levy, l’accademico, è preoccupato per le possibili ripercussioni. “Se a causa del trasferimento dell’autorità sulla polizia di frontiera a Ben-Gvir saranno necessari più riservisti, alcune unità potrebbero ribellarsi contro l’eccessivo reclutamento“, ha detto a MEE.

Il mondo assiste con indifferenza alla scissione del ministero dell’Istruzione e al trasferimento di alcuni dei suoi poteri a un irriducibile omofobo e misogino [si riferisce al vice ministro Avi Maoz, del partito ultraintegralista Noam, ndt.]. Lo stesso si può dire nel caso della frammentazione del ministero degli Esteri.

Questo non accade quando dei cambiamenti nelle forze armate sono un segnale chiaro e forte di un cambiamento di politica sull’uso della forza, l’apartheid e l’annessione accelerata dei territori occupati.

“Caos” è la parola usata dalla maggior parte delle alte cariche per descrivere l’evolversi della situazione, poiché avvertono il pericolo di un grande scontro con la comunità internazionale, l’amministrazione statunitense, l’UE e gli Stati arabi.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Palestinese ucciso da un colono israeliano vicino a Ramallah

Redazione

21 gennaio 2023-Middle East Eye

Tariq Maali, 42 anni, è stato ucciso dopo essere entrato in un avamposto illegale di coloni dove si presume abbia tentato di accoltellare un israeliano.

Sabato un colono israeliano ha sparato e ucciso un palestinese in una fattoria vicino a Ramallah, nella Cisgiordania occupata.

Il Ministero della Salute Palestinese afferma che Tariq Maali, 42 anni, è stato ucciso dopo che “gli occupanti [israeliani] hanno aperto il fuoco su di lui” vicino alla città palestinese di Kafr Nama.

L’esercito israeliano ha dichiarato all’AFP [France-Presse] che Maali avrebbe tentato di accoltellare un civile israeliano nella fattoria di Sde Efraim, un avamposto illegale di coloni, ed è stato “neutralizzato” dagli israeliani.

I filmati delle telecamere a circuito chiuso rilasciati dai militari hanno mostrato un uomo che entrava nella fattoria e veniva ucciso poco dopo.

Secondo un fotografo dell’AFP le autorità israeliane hanno impedito a un’ambulanza palestinese di entrare nel sito.

Sde Efraim è un avamposto di coloni, o insediamento selvaggio, illegale anche secondo la legge israeliana.

La distinzione tra avamposti e altri insediamenti non è riconosciuta dal diritto internazionale, che considera illegali tutti gli insediamenti nei territori occupati.

Nello stesso luogo, due anni fa, un colono israeliano ha ucciso a colpi di arma da fuoco Khaled Nofal, un ragioniere palestinese disarmato di 34 anni.

Secondo i resoconti israeliani Nofal stava cercando di attaccare l’avamposto dei coloni disarmato, un’affermazione che la sua famiglia nega secondo quanto detto a Middle East Eye.

L’ultima uccisione porta a 18 il numero dei palestinesi uccisi finora quest’anno, compresi quattro minorenni.

Giovedì, Jawad Farid Bawaqta, 57 anni, insegnante di scuola superiore e padre di sei figli, è stato ucciso dalle forze israeliane dopo essere andato a prestare i primi soccorsi a un altro palestinese ferito.

Le forze israeliane conducono quasi ogni notte in Cisgiordania incursioni che spesso si rivelano mortali.

La maggior parte delle incursioni degli ultimi mesi si sono concentrate su Nablus e Jenin, che ospitano un crescente numero di combattenti palestinesi.

Almeno 167 persone sono state uccise l’anno scorso in Cisgiordania: il bilancio di vittime più alto dalla Seconda Intifada.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Il poliziotto israeliano che ha ucciso un palestinese autistico disarmato ‘è stato promosso’

Redazione MEE

3 gennaio 2023 – MiddleEastEye

L’agente della polizia di frontiera che ha ucciso Iyad al-Halak sta affrontando un processo relativo all’incidente.

Si è saputo che un poliziotto israeliano che a maggio 2020 ha colpito a morte Iyad al-Halak, un palestinese affetto da autismo, nella Gerusalemme est occupata, questa settimana è stato promosso nonostante sia sottoposto a processo per l’uccisione.

Il poliziotto, che fa parte della polizia di frontiera e la cui identità è riservata, ha sparato al 32enne Halak, sostenendo che sospettava che il palestinese avesse un’arma. Invece Halak era disarmato e il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha subito chiesto scusa alla sua famiglia, con una rara iniziativa da parte di un dirigente israeliano.

Lunedì i media israeliani hanno riferito che il poliziotto che ha ucciso Halak è stato promosso e recentemente ha agito come sergente operativo in una base della polizia di frontiera israeliana nell’area metropolitana di Tel Aviv.

Il poliziotto è attualmente sotto processo presso la corte distrettuale di Gerusalemme con l’accusa di aver sconsideratamente ucciso Halak e, se condannato, potrebbe trascorrere 12 anni in prigione.

La famiglia di Halak aveva in precedenza criticato l’indagine delle autorità israeliane sull’assassinio e aveva chiesto accuse molto più severe.

Halak indossava una mascherina mentre si recava in una scuola per disabili nella Città Vecchia della Gerusalemme est occupata, quando ha iniziato ad essere inseguito da poliziotti israeliani che gli hanno sparato.

A novembre il commissario di polizia ha affermato di appoggiare il poliziotto che ha ucciso Halak.

E’ importante per me affermare che siamo stati noi a mandarlo in missione ed abbiamo la responsabilità di stare dalla sua parte anche in queste circostanze”, ha detto Kobi Shabtai.

Itamar Ben Gvir, il parlamentare ebreo suprematista recentemente nominato ministro della sicurezza nazionale, che soprassiede alla polizia e alla polizia di frontiera, ha anch’egli precedentemente espresso il suo appoggio al poliziotto.

Nell’agosto 2021 la famiglia di Halak ha accusato la polizia di aver deliberatamente “distrutto le telecamere” che contenevano la prova dell’uccisione. L’indagine sulla sua uccisione è stata ostacolata dalla mancanza di prove video, nonostante testimonianze che nella zona dove è stato ucciso ci fossero almeno 10 telecamere CCTV.

L’uccisione di Halak nel 2020 ha anche suscitato la solidarietà internazionale, essendo coincisa con le proteste seguite all’uccisione da parte della polizia di George Floyd e le marce del movimento Black Lives Matter.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)