È in arrivo l’annessione della Cisgiordania a Israele, ma non come ve la sareste aspettata

Lili Galili

17 dicembre 2022 – Middle East Eye

Le organizzazioni dei coloni hanno giocato un ruolo chiave nei negoziati per formare il governo e hanno come obiettivo il completo controllo della Cisgiordania

Il primo dicembre, subito dopo la firma degli accordi di coalizione fra il partito Likud di Benjamin Netanyhau e le fazioni di estrema destra, Sionismo Religioso e Potere Ebraico, l’organizzazione dei coloni Yesha Council [che riunisce i rappresentanti delle colonie illegali della Cisgiordania, N.d.T.] ha postato un messaggio compiaciuto su Facebook. “Ringraziamenti speciali ai nostri rappresentanti che hanno collaborato con gli esperti di Yesha Council durante i negoziati,” proclama dopo aver ringraziato tutti le persone coinvolte.

Con l’aiuto di dio presto un nuovo governo sarà formato e si troverà davanti alle sfide di costruzione, sviluppo e conservazione della terra in Giudea e Samaria,” si aggiunge, usando i nomi israeliani per la Cisgiordania occupata.

Ha fatto eco il capo di Karnei Shomron, un altro influente gruppo di coloni, che ha affermato su Ynet TV [notiziario e sito web israeliano di contenuti generali, N.d.T.] che la prima cosa che Bezalel Smotrich, leader di Sionismo Religioso, dovrebbe fare quando sarà al potere è applicare la sovranità israeliana in Giudea e Samaria.

Per oltre 55 anni non sono state prese decisioni. È ora di annettere Giudea e Samaria come sono state annesse le Alture di Golan,” ha aggiunto.

Questi commenti la dicono lunga. Non solo rivelano la portata del coinvolgimento delle organizzazioni dei coloni nei negoziati per formare il governo, ma ci offrono la possibilità di intravedere la pressione futura a cui sottoporranno i politici che alcuni chiamano ancora “rappresentanti”.

Tuttavia “rappresentanti” non è la parola giusta per queste persone. Questo governo di “Hilltop Youth [“Gioventù della Cima della Collina”, giovani estremisti religiosi nazionalisti e molto violenti che stabiliscono avamposti illegali in Cisgiordania, N.d.T.] non rappresenta il suo elettorato, è il volto della sua parte più radicale.

Israeliani di sinistra, centro e destra scioccati stanno già cercando di capire quale impatto avrà sulla loro vita di ogni giorno questo governo di destra radicale/ultra-ortodossa. Ma essa non intende cambiare solo la natura di Israele, ma anche la dimensione del Paese. In altre parole: l’annessione di terre palestinesi.

Di questi tempi il termine “annessione” è raramente menzionato, sia dalla coalizione entrante che dalla sua malconcia opposizione, occupata in altre questioni più scottanti.

È una decisione consapevole per timore della reazione internazionale. La nuova coalizione può facilmente liquidare poche manifestazioni di centinaia, o persino migliaia, di sinistrorsi indeboliti, giustamente preoccupati per la distruzione del sistema giuridico israeliano. Avere a che fare con la condanna internazionale o persino le sanzioni è tutt’un’altra storia.

Questo potrebbe non spaventare il messianico Smotrich o Itamar Ben-Gvir, leader dal grilletto facile di Potere Ebraico, ma certamente terrorizza Netanyahu. Egli sa molto bene che non può inimicarsi la comunità internazionale e, più precisamente, il mondo arabo, con il problema del nucleare iraniano e l’opzione dell’esercito israeliano di combatterlo, sospeso sulla sua testa come una spada di Damocle.

In queste circostanze l’uso dell’eufemismo “esercizio della sovranità” sembra più accettabile di “annessione”. Proprio come lo scellerato grido di “morte agli arabi” è stato rimpiazzato, per ordine di Ben-Gvir, con “morte ai terroristi”, la connotazione negativa di annessione unilaterale è ora intenzionalmente rimpiazzata con una frase giudicata più legittima politicamente.

Da una prospettiva giuridica sono la stessa cosa. In una recente intervista radiofonica, Simha Rotman, parlamentare del Sionismo Religioso, ha sostenuto che non si può annettere un territorio che era una specie di “terra di nessuno”. Tuttavia si può, e si deve, esercitare legalmente la sovranità.

I primi passi

Sebbene quasi mai menzionati dai futuri ministri, tutti gli atti e gli accordi della coalizione implicano l’annessione.

Il segno più allarmante è il trasferimento di due unità dell’esercito responsabili di amministrare l’occupazione alla totale responsabilità del partito di Smotrich grazie a un incarico ministeriale nel ministero della Difesa. Le due unità, l’Amministrazione Civile e il Cogat (Coordinatore delle Attività Governative nei Territori), gestiscono tutti gli aspetti della vita civile nell’Area C cisgiordana, il 60% [del territorio occupato, N.d.T.] completamente amministrata da Israele [in base agli accordi di Oslo, N.d.T.], incluso il movimento di persone e beni fra Gaza, Israele e la Cisgiordania.

Assegnare la responsabilità di queste unità a Smotrich non solo gli permette di espandere le colonie e rafforzare i poteri contro i palestinesi, ma anche di limitare ulteriormente i movimenti degli abitanti dentro e fuori l’enclave di Gaza.

Questo ministro di nuova nomina giocherà un ruolo centrale in tutto ciò che è relativo alla gestione della vita dei palestinesi e israeliani in Cisgiordania, incluse la pianificazione del territorio e l’autorizzazione di avamposti illegali. In altre parole: annessione de facto dell’Area C con il suprematista ebraico Smotrich quale unico governatore dei territori occupati.

Persino chi a sinistra sostiene che l’annessione de facto è già stata realizzata ammette che ciò implica un drammatico cambiamento di politiche e rafforza l’apartheid. Questi sono passi preliminari verso la completa annessione dell’area. È già stato tentato e ha fallito per la pressione internazionale. A differenza della forza bruta di precedenti tentativi di annessione, il nuovo approccio è tattico e venduto come cambiamenti amministrativi. De facto? È molto di più.

Questi sono i primi passi di una vera e propria annessione. Udi Dekel, ex generale di brigata, ora vice direttore dell’Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale, definisce questi cambiamenti recenti come il passaggio da “annessione strisciante” ad “annessione rapida”.

Importanti ex funzionari dell’Amministrazione Civile Israeliana dicono che si aspettano che Smotrich annetta la Cisgiordania. Un ex funzionario ha detto ad Haartez [quotidiano progressista israeliano N.d.T.] : “Senza dubbio Smotrich sta per attuare l’annessione.”

Una minaccia anche per Israele

Yehuda Etzion non potrebbe essere più d’accordo o sperare di più.

Etzion è stato membro del gruppo terrorista ebraico clandestino che ha partecipato al complotto per far saltare in aria la Cupola della Roccia, ora è attivista di estrema destra e fondatore di un gruppo che opera perché gli ebrei vengano autorizzati a pregare nella moschea di Al-Aqsa, conosciuta dagli ebrei come Monte del Tempio.

È stato personalmente coinvolto nella compilazione della “lista dei desideri” delle organizzazioni dei coloni data a Smotrich e Ben-Gvir quando stavano negoziando con Netanyahu. Questa settimana, parlando a Middle East Eye, sembrava speranzoso circa le intenzioni di Ben-Gvir sulla moschea di al-Aqsa, come l’autorizzazione alle preghiere del Sabato e la revoca della norma che permette la visita del sito agli ebrei solo in gruppi organizzati.

Non mi aspetto un’annessione su vasta scala, dato che Bibi non la vuole veramente,” ha detto a MEE, usando il nomignolo con cui comunemente ci si riferisce a Netanyahu.

Mi aspetto veri cambiamenti nell’Area C, dove precedenti governi di Bibi hanno permesso ai palestinesi di costruire mentre le colonie ebraiche potevano crescere a stento,” ha sostenuto, nonostante decine di migliaia di nuove case di coloni siano state costruite in violazione del diritto internazionale e case, scuole e ospedali palestinesi siano stati regolarmente demoliti.

Essendo un processo cumulativo, non significa annessione. Questi due ministri, Ben-Gvir e Smotrich, metteranno in atto importanti cambiamenti. L’unica domanda è: Bibi permetterà di fare quello che ha promesso loro negli accordi che ha firmato? Io so che tendono a dubitarne.”

In una pubblicazione dell’Istituto per gli Studi di Sicurezza Nazionale della scorsa settimana, Dekel fa un riferimento alle possibili ripercussioni della futura annessione.

Vi afferma che applicare la sovranità israeliana in Cisgiordania e trasferire potere su di essa dal ministero della Difesa a uno civile attirerà la condanna e l’attenzione internazionali e aumenterà la qualificazione di Israele come un regime di apartheid.

Queste denunce saranno ancorate nel parere legale della Corte Internazionale di Giustizia e saranno un’altra arma nella campagna internazionale contro Israele,” scrive.

Il parlamentare laburista Nachman Shai, ministro uscente degli Affari della Diaspora, aggiunge un’altra prospettiva. “A questo punto le comunità ebraiche in America sono preoccupate principalmente per le implicazioni che avranno direttamente per loro le politiche del nuovo governo, come le questioni sospese della legge del ritorno [l’estrema destra religiosa intende restringere i criteri per la concessione del diritto a emigrare in Israele, N.d.T.] o se i ministri di nuova nomina definiranno come assolutamente non ebrei gli ebrei riformati, il movimento a cui appartiene la maggioranza degli ebrei americani,” ha detto a MEE.

Al momento questa rabbia è passiva, ha detto. Ma potrebbe diventare un’opposizione più problematica per Israele: incoraggiare gli USA a non proteggere più il Paese alle Nazioni Unite o persino ad appoggiare le sanzioni a causa dell’annessione.

Data la nuova situazione non li vedo dimostrare a sostegno di Israele, impegnare i propri rappresentanti al Congresso o agire contro le politiche della loro amministrazione. Potrebbero non unirsi mai al movimento BDS [acronimo di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro Israele, N.d.T.], ma non lo osteggeranno,” afferma.

È una pericolosa rotta di collisione. L’unico a capire tutte le conseguenze è Bibi stesso, ma d’altro canto il Bibi del 2022 non è il Netanyahu che conosciamo. È una persona diversa.”

Come Israele.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




L’esercito israeliano conferma l’uccisione di una ragazza palestinese di 15 anni nel raid di Jenin

Redazione MEE

12 dicembre 2022 – Middle East Eye

Un raid israeliano nella città di Jenin, in Cisgiordania, provoca la morte di una adolescente palestinese mentre si intensificano le operazioni nei territori occupati

Una dichiarazione israeliana afferma che i soldati hanno colpito la ragazza involontariamente mentre rispondevano al fuoco contro uomini armati su un tetto. Affermano che pare la ragazza si trovasse sul tetto di una delle case vicino agli uomini armati.

Il Ministero della Salute palestinese ha identificato la vittima come Jana Majdi Zakarneh, morta dopo essere stata colpita alla testa sul tetto della sua casa. Secondo fonti palestinesi il suo corpo è stato ritrovato dopo il ritiro delle forze israeliane.

Durante gli scontri armati con i combattenti palestinesi scoppiati nella città chiave di Jenin vi sono stati altri tre feriti. Secondo i media palestinesi un’unità militare israeliana sotto copertura è entrata a Jenin e, in risposta, i combattenti palestinesi hanno tentato di respingere le forze israeliane provocando una sparatoria.

In una serie di tweet l’esercito israeliano ha confermato il raid e l’esecuzione di tre arresti.

Le fazioni palestinesi a Jenin hanno annunciato che ci sarebbe stato uno sciopero generale nel campo profughi per commemorare la morte di Zakarneh.

Durante il raid le forze israeliane hanno preso d’assalto diverse case, danneggiato un certo numero di veicoli e cecchini si sono arrampicati sui tetti degli edifici.

Hussein al-Sheikh, segretario generale del comitato esecutivo dell’OLP, ha affermato che Zakarneh è stata “una vittima della brutalità dell’occupazione a Jenin”.

“Il suo sangue dimostra questo persistente comportamento criminale che viola tutte le norme e rivela la verità sul brutale comportamento razzista delle forze di occupazione”, ha aggiunto Sheikh.

L’anno con il maggior numero di vittime [palestinesi] mai registrato

Giovedì della scorsa settimana quattro palestinesi sono stati uccisi da colpi di arma da fuoco dell’esercito israeliano a Jenin, tra cui un adolescente di 17 anni. L’esercito israeliano ha detto che le sue forze stavano conducendo un’operazione per arrestare 15 uomini ricercati a Jenin quando palestinesi armati hanno iniziato a sparare contro di loro.

Dopo gli ultimi decessi, il numero di palestinesi uccisi dall’inizio di quest’anno è salito a 218, di cui 52 nella Striscia di Gaza e 166 in Cisgiordania, rendendolo uno degli anni con più uccisioni di palestinesi dal 2005.

Le autorità israeliane hanno recentemente condotto quasi ogni notte rastrellamenti in tutta la Cisgiordania che spesso portano al ferimento o all’uccisione di palestinesi.

Le operazioni hanno portato a più di 2.500 arresti, secondo le autorità israeliane.

Molti degli scontri mortali si sono verificati nell’area di Jenin e Nablus, dove le forze israeliane hanno ripetutamente condotto rastrellamenti.

Le morti di giovedì arrivano quest’anno nel mezzo di un culmine di violenza israeliana contro i palestinesi in Cisgiordania e di una ripresa della resistenza armata palestinese.

La “politica di sparare per uccidere” di Israele viene largamente criticata all’ aumentare del numero di morti palestinesi per mano delle sue forze.

Altri 49 palestinesi sono stati uccisi durante un bombardamento israeliano su Gaza ad agosto.

Nel frattempo, 29 israeliani, soldati inclusi, sono stati uccisi dai palestinesi nello stesso periodo, il numero più alto dal 2008.

* Questo articolo è stato corretto martedì 13 dicembre per chiarire che Jana Majdi Zakarneh aveva 15 anni quando le hanno sparato.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Mondiali 2022: come i tifosi arabi dicono la verità a Israele sulla Palestina

Emile Badarin

2 dicembre 202-Middle East Eye

Rifiutando le interviste ai giornalisti israeliani, i tifosi arabi si rifiutano di conferire legittimità al sistema di apartheid dello Stato israeliano.

I giornalisti israeliani sono accorsi a Doha questo mese per coprire la Coppa del Mondo, alcuni trasformandola in una missione per far “parlare con Israele” l’opinione pubblica araba. Ma nelle frequenti interazioni catturate tramite i social media, i tifosi hanno cortesemente rifiutato l’offerta in modi diversi.

Alcuni si sono rifiutati di dialogare; altri hanno sottolineato il loro impegno per la causa palestinese; altri si sono semplicemente allontanati dopo aver capito che il giornalista proveniva da Israele.

La politica del riconoscimento ispira la “missione giornalistica” israeliana in Qatar e altrove. Questi giornalisti, come gran parte dell’opinione pubblica israeliana e dei media occidentali, sembrano essersi convinti che la Palestina e i palestinesi siano scomparsi dalla coscienza araba a causa dei mutamenti geopolitici in tutto il mondo arabo.

Per gli “esperti” israeliani e occidentali questi cambiamenti geopolitici hanno rappresentato una versione ridotta della fine della storia in Medio Oriente. Generalmente considerano la presunta “scomparsa” dei palestinesi come un fattore positivo che ha consentito nel 2020 i cosiddetti Accordi di Abramo e la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Israele e quattro Stati arabi.

Forse non c’è occasione migliore per raccogliere i frutti della normalizzazione di una Coppa del Mondo ospitata da uno Stato arabo che ha temporaneamente permesso ai media israeliani di viaggiare liberamente e informare dal Qatar, anche se questo non ha legami ufficiali con Israele. Sembra che alcuni giornalisti israeliani si siano presi la briga di dimostrare che non sono stati solo i regimi arabi a riconciliarsi con – o meglio, a capitolare davanti al progetto coloniale sionista, ma anche la popolazione araba.

In questo senso l’atto di “parlare a Israele” è interpretato come una forma di riconoscimento, o almeno un potente indicatore di avvicinarsi sempre più verso l’evanescente punto finale del colonialismo di insediamento in Palestina. Punto finale che richiede la legittimazione della sovranità di Israele dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo [cioè su tutta la Palestina storica, ndt.] e la deportazione della popolazione indigena.

In Qatar hanno trovato l’opposto. Sebbene Israele abbia ottenuto il riconoscimento di alcuni regimi arabi, inclusa l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, non è riuscito assolutamente a ottenere il riconoscimento da parte dell’opinione pubblica araba.

Espropriazione dei palestinesi

Parlare con Israele” in questo contesto ha lo scopo di ottenere un riconoscimento popolare che legittimerebbe e normalizzerebbe la struttura del colonialismo d’insediamento israeliano che continua a espropriare i palestinesi. Pertanto, rifiutandosi di parlare, i cittadini arabi inviano un chiaro messaggio a coloro che sono al potere in Medio Oriente e in Occidente: sono contrari alla normalizzazione senza giustizia, indipendentemente da quanti accordi di “pace” firmi Israele con i regimi arabi.

Invece di “parlare” i tifosi arabi hanno mostrato uno specchio davanti alle telecamere israeliane, ricordando agli spettatori ciò che hanno ostinatamente tentato di dimenticare: la Palestina. Ciò ricorda ai giornalisti israeliani e al loro pubblico il colonialismo di insediamento, la pulizia etnica, l’occupazione, i rifugiati palestinesi e la Nakba (catastrofe) in corso dal 1948. I tifosi del Marocco alludevano a questo quando hanno dispiegato una bandiera della Palestina al 48° minuto della partita Marocco-Belgio.

Ciò che sorprende è lo shock israeliano nel vedere riflesso, nonostante il passare del tempo, l’indignazione per la violenza e la costruzione di Israele sulla terra rubata ai palestinesi che non è svanita.

Questa è la stessa realtà coloniale che la giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh ha mostrato instancabilmente al mondo, fino a quando un cecchino israeliano le ha sparato uccidendola lo scorso maggio, un omicidio che è stato ripreso dalle telecamere. Inoltre non è un caso che un anno prima, nel maggio 2021, Israele abbia distrutto la torre dei media di Gaza che ospitava diverse agenzie di stampa internazionali che informavano dall’enclave assediata.

Come i tifosi di calcio in Qatar, Abu Akleh e i suoi colleghi giornalisti in Cisgiordania, Gaza, Gerusalemme e altrove hanno alzato degli specchi che hanno riflesso la brutta immagine del colonialismo israeliano che i popoli arabi non hanno né dimenticato né perdonato. Mentre Abu Akleh è stata uccisa e il mondo non può più vedere il riflesso di Israele attraverso la sua macchina fotografica, non è stato possibile reprimere i messaggi dei tifosi in Qatar.

Coscienza distorta

Di conseguenza, alcuni giornalisti israeliani sembrano essersi rivolti alla narrativa del vittimismo per respingere l’immagine inquietante del colono, il che richiede creatività e autoinganno. È notevole la rapidità con cui alcuni sono ricorsi al “manuale” sionista, presentando il loro fallimento nell’ottenere una “buona parola” su Israele come una manifestazione di odio arabo e musulmano e un desiderio di “cancellare (gli israeliani) dalla faccia della terra”.

Non solo in Israele, ma in tutto il mondo del colonialismo d’insediamento europeo, il senso di vittimismo tra i coloni è un veicolo per rivendicare un’innocenza che galleggia in una coscienza distorta che rappresenta l’anormale e l’ingiusto come normale e giusto.

In questa prospettiva, Israele è solo un altro Stato “normale”- se non l’unico Stato civile e rispettoso dei diritti umani in Medio Oriente, indipendentemente dal fatto che secondo Human Rights Watch ha varcato la soglia dell’apartheid – che ha relazioni “normalizzate” con diversi Stati arabi: uno Stato che gli arabi dovrebbero ammirare, con cui fare amicizia e guardare come un esempio.

Affinché questa normalità immaginaria abbia un senso gli israeliani devono vivere il mito sionista della terra senza popolo per un popolo senza terra. Pertanto devono attivamente dimenticare che i palestinesi esistono davvero, anche dopo un secolo di espropriazione ed eliminazione da parte del colonialismo d’insediamento sionista. L’ironia di far dimenticare continuamente i palestinesi è che li rende più presenti.

Il movimento per i diritti civili dei neri negli Stati Uniti ha sostenuto la necessità di dire la verità al potere nella lotta contro la segregazione razziale e l’ingiustizia. Ma cosa succede se il parlare stesso può essere trasformato in un veicolo per togliere potere e spogliare?

Tentando di far parlare il popolo arabo con Israele i giornalisti hanno cercato un riconoscimento popolare che conferisse legittimità normativa all’apartheid e all’ingiustizia israeliane. Rifiutarsi di parlare è un atto di resistenza. Paradossalmente [il rifiuto di parlare, ndt.] sta dicendo la verità al potere dei regimi arabi, di Israele e del resto del mondo.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la linea editoriale di Middle East Eye.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




L’ONU approva la risoluzione per commemorare il 75° anniversario della Nakba

Redazione MEE

1 dicembre 2022 – Middle East Eye

L’ambasciatore israeliano condanna la decisione dell’ONU mentre il rappresentante palestinese dice alle Nazioni Unite che il mondo è arrivato al ‘capolinea’ della soluzione dei due Stati

L’ Assemblea Generale dell’ONU ha approvato una risoluzione per commemorare il 75° anniversario della Nakba, il termine usato per descrivere il trasferimento forzato di centinaia di migliaia di palestinesi nel periodo precedente la fondazione dello Stato di Israele nel 1948.

Novanta Paesi hanno votato a favore della misura, 30 i contrari e 47 si sono astenuti.

La risoluzione è una delle cinque votate all’ONU giovedì relative a Israele e Palestina. L’ONU ha anche ha approvato la proposta di dedicare un programma di formazione per giornalisti a Shireen Abu Akleh, la giornalista palestinese uccisa dalle forze israeliane durante un raid nella Cisgiordania occupata.

Un’altra delle risoluzioni adottate invoca “la fine di tutte le attività di colonizzazione, di confisca di terre e demolizioni di case, il rilascio dei prigionieri e la fine di arresti e detenzioni arbitrari “. La risoluzione finale poi chiede a Israele porre fine al controllo sulla regione occupata delle Alture di Golan.

La risoluzione relativa alla Nakba prevede l’organizzazione di un evento ad alto livello nell’Assemblea Generale il 15 maggio 2023.

La Nakba, “la catastrofe”, è il nome che i palestinesi danno massacri e all’espulsione forzata che hanno subito per mano delle milizie sioniste nel 1948.

Interi villaggi palestinesi furono massacrati, bande sioniste uccisero indiscriminatamente civili disarmati, seppellendone molti in fosse comuni. La campagna israeliana causò la morte di palestinesi stimati in 15.000, mentre 750.000 fuggirono dalle proprie case e vissero da rifugiati.

I raid continuarono anche dopo l’annuncio dell’indipendenza di Israele il 15 maggio 1948. Israele descrive gli eventi del 1948 come la guerra di indipendenza.

L’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, Gilad Erdan, ha condannato l’approvazione delle misure e chiesto ai delegati: “Cosa direste se la comunità internazionale celebrasse la fondazione del vostro Paese come una catastrofe? Che vergogna.”

Il diplomatico israeliano ha detto che l’approvazione della risoluzione sulla Nakba ostacolerà ogni possibilità di un accordo di pace tra Israele e l’Autorità Palestinese.

La soluzione dei due Stati è praticamente morta

Nel frattempo, Riyad Mansour, inviato palestinesi all’ONU, ha messo in guardia l’ONU che la soluzione dei due Stati corre un rischio imminente e ha sollecitato l’organismo internazionale a far pressione su Israele come anche a concedere ai palestinesi un riconoscimento completo.

Mansour ha chiesto all’ONU di riconoscere lo Stato palestinese con Gerusalemme Est come sua capitale.

Noi siamo arrivati alla fine del percorso della soluzione dei due Stati. O la comunità internazionale trova la volontà di agire con fermezza o lascerà morire la pace passivamente. Passivamente, non pacificamente.” ha detto Mansour all’ONU.

Chiunque sia serio circa la soluzione dei due Stati deve aiutare salvare lo Stato palestinese,” ha detto. “L’alternativa è quello in cui viviamo ora, un regime che ha sommato i mali di colonialismo e apartheid.”

Mansour ha anche condannato la coalizione di estrema destra che sta per prendere il potere in Israele, guidata dall’ex primo ministro Benjamin Netanyahu, definendola come “il governo più colonialista, razzista e estremista nella storia di Israele”.

Il rappresentante palestinese ha anche apprezzato la richiesta dell’ONU di un parere consultivo alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) sull’occupazione israeliana di terre palestinesi dal 1967.

Le dichiarazioni di Mansour ed Erdan sono arrivate in un momento di grandi tensioni in seguito al picco quest’anno di violenze israeliane contro i palestinesi in Cisgiordania e alla ripresa della resistenza armata palestinese.

Quest’anno in Cisgiordania le forze israeliane e i coloni hanno ucciso 139 palestinesi, inclusi almeno 30 minori, la media mensile più mortale per i palestinesi dal 2005, quando L*ONU ha cominciato a registrare i decessi.

Anche i morti israeliani hanno registrato un picco nel 2022 rispetto agli ultimi anni. Allo stesso tempo c’è stato un forte incremento degli attacchi dei coloni e delle forze di sicurezza contro i palestinesi.

Lunedì, Tor Wennesland, l’inviato dell’ONU per il Medio Oriente, ha avvertito che le tensioni stanno “raggiungendo un livello insostenibile”.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Chi è il potente rabbino che una volta ha esortato a uccidere i Palestinesi

Shir Hever

29 novembre 2022, MiddleEastEye

Il rabbino Dov Lior è il leader spirituale di una coalizione destinata a far parte del prossimo governo Netanyahu.

Se il politico di estrema destra Itamar Ben-Gvir è destinato a diventare il prossimo Ministro della Sicurezza Nazionale di Israele, la sua guida spirituale e alleato, il rabbino Dov Lior, è finito sotto i riflettori per la sua potenziale influenza “razzista” sul nuovo governo.

Lior, sostenitore della pulizia etnica dei musulmani arabi, è il leader spirituale dell’intera coalizione di estrema destra  Sionismo Religioso che comprende tre partiti: Sionismo Religioso, Potere Ebraico e Noam [partito politico ebraico ortodosso di estrema destra, nato nel 2019 da una fazione radicale di Sionismo Religioso, ndt.]

All’inizio del mese questa alleanza politica ha conquistato 14 seggi al parlamento israeliano, più di qualsiasi altro partito nazionalista religioso nella storia dello Stato, diventando così il secondo maggior blocco nella coalizione di governo del primo ministro designato Benjamin Netanyahu. Attualmente le parti sono impegnate in trattative per la formazione del governo con il Likud di Netanyahu, e potebbe ottenere il controllo di diverse istituzioni statali chiave.

Lior aveva esortato gli israeliani a votare per la coalizione e, alla pubblicazione dei risultati elettorali, ha concesso una conferenza stampa.

Lior è molto esplicito sulle questioni politiche e ha ripetutamente sostenuto la teoria secondo cui la “Terra occidentale di Israele” (intendendo tutta la Palestina storica) appartiene solo agli ebrei.

Afferma poi che la “Terra orientale d’Israele “, oggi regno di Giordania, che anch’essa a suo avviso appartiene agli ebrei, è meno santa e si può arrivare a un compromesso. Ma abbandonare una qualsiasi parte della “Terra occidentale di Israele” secondo Lior è peccato.

Lior è favorevole alla costruzione di colonie illegali sul territorio palestinese e non riconosce il diritto dei palestinesi al possesso della terra.

Dopo l’assassinio del primo ministro israeliano Yitzhak Rabin nel 1995, il nome di Lior è stato inserito tra i rabbini che avrebbero emesso una sentenza di morte a condanna del traditore Rabin.

Itamar Ben-Gvir, leader del partito Potere Ebraico, in un’intervista televisiva aveva insinuato minacce a Rabin, ma non fu incriminato perché all’epoca era minorenne. Come conseguenza Lior e Ben-Gvir sono legati da solida amicizia.

Tra il 1987 e il 2015 Lior è stato il rabbino della colonia illegale di Kiryat Arba, nei sobborghi della città occupata di Hebron . Uno dei suoi discepoli, Baruch Goldstein, nel 1994 sparò e uccise 29 palestinesi nella moschea abramitica di Hebron . Il rabbino Lior ha poi lodato Goldstein come “più santo di tutti i martiri dell’Olocausto”.

Nel 2011 manifestò per iscritto il suo sostegno al libro The King’s Torah, pubblicazione razzista e genocida dei rabbini Yitzhak Shapira e Yosef Elitzur in cui, tra altre cose, si invoca l’uccisione dei bambini non ebrei prima che diventino adulti e rappresentino una possibile minaccia per gli ebrei.

La polizia israeliana  aprì un’indagine contro il rabbino Lior per potenziale istigazione ed emise un mandato di arresto contro di lui quando si  rifiutò di testimoniare. I coloni di estrema destra organizzarono grandi proteste contro il mandato d’arresto e alla fine Lior accettò un colloquio di due ore con la polizia e venne rilasciato senza accuse.

Nel luglio 2014, nel pieno dell’invasione israeliana della Striscia di Gaza, Lior emise un psak halacha (una sentenza religiosa), che consentiva la distruzione dell’intera Striscia di Gaza e sollevava i soldati israeliani dall’obbligo di distinguere tra combattenti e non combattenti.

“È giusto uccidere civili innocenti e distruggere Gaza”, ha detto.

Nella sinistra israeliana il proscioglimento suscitò indignazione e richieste di aprire un’altra indagine su di lui, ma non se ne fece niente. A una conferenza nel settembre di quell’anno Lior ribadì il concetto dicendo: “La sinistra vuole dare agli arabi un regime democratico. Sanno condurre un regime democratico tanto quanto io so condurre i cammelli. In Arabia Saudita un negoziante può lasciare il negozio aperto perché a chi tenta di rubare verrà tagliata la mano. Questa è l’unica lingua che conoscono.”

Ha proseguito dicendo che la Terra d’Israele deve essere “ripulita dagli arabi”. La polizia non ha mai aperto un’indagine sulla dichiarazione.

Nel 2015 Lior  elogiò gli attacchi dello Stato Islamico a Parigi in cui vennero uccise 137 persone, dicendo: “I malvagi dell’Europa intrisa di sangue se lo meritano per quello che hanno fatto alla nostra gente 70 anni fa”.

Il rabbino Lior invitò gli ebrei statunitensi a votare per Donald Trump alle elezioni presidenziali del 2016. Trump nominò David Friedman, amico di Lior, ambasciatore degli Stati Uniti in Israele. Friedman ha donato fondi all’organizzazione ebraica israeliana Komemiyut [socranità in ebraico, ndt.], di cui Lior era il rabbino capo.

Lior venera il defunto rabbino Meir Kahane e ha parlato al suo funerale. Kahane è stato il fondatore del movimento di estrema destra Kach, definito un’organizzazione terroristica in diversi Paesi, incluso lo stesso Stato di Israele, ma durante il funerale Lior parlò accanto al parlamentare Ben-Gvir, anche lui membro del Kach.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Israele: Netanyahu ha chiesto al mondo di dimenticarsi dell’occupazione. Ben-Gvir la vuole in primo piano e al centro

Meron Rapoport

22 novembre 2022 – Middle East Eye

Il primo ministro israeliano entrante ha lavorato duramente per togliere i palestinesi dalla lista delle priorità sia degli israeliani che degli arabi, ma lo scontro è fondamentale per i suoi nuovi partner di coalizione

Circa due settimane prima delle ultime elezioni israeliane Benjamin Netanyahu ha illustrato la sua concezione del futuro di Israele in un articolo pubblicato da Haaretz [giornale israeliano di centro sinistra, ndt.]. “Negli ultimi 25 anni ci è stato detto ripetutamente che ci sarebbe stata pace con gli altri Paesi arabi solo dopo che avessimo risolto il conflitto con i palestinesi,” ha scritto. Ma egli credeva che “la strada verso la pace non passi da Ramallah [sede dell’Autorità Nazionale Palestinese, ndt.], ma piuttosto le giri attorno.”

La sua via, ha sostenuto su Haaretz, si è dimostrata giusta. Ha firmato accordi di normalizzazione con quattro Paesi arabi e si prospettano ulteriori accordi con altri Stati. In poche parole, non solo Israele può prosperare senza risolvere il suo conflitto con i palestinesi, ci dice, ma il modo per raggiungere la prosperità è di fatto ignorarli. Non hanno nessuna importanza.

Sono trascorse altre tre settimane dalle elezioni del 1° novembre in cui il blocco di partiti di destra guidato da Netanyahu ha ottenuto una maggioranza apparentemente comoda di 64 seggi nel parlamento israeliano, la Knesset. Al momento rimane incerto quale sarà l’esatta composizione del suo prossimo governo e chi deterrà dicasteri chiave come Difesa, Finanza e Affari Esteri.

Tuttavia una cosa è già chiara: per dei possibili partner di Netanyahu, in particolare Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir, i due leader della lista razzista e nazionalista della lista Sionismo Religioso che hanno vinto 14 seggi alle elezioni, il conflitto di Israele con i palestinesi non è solo un fattore importante: è l’unico fattore importante.

Netanyahu ha inequivocabilmente dimostrato che rimuovere la questione palestinese dall’agenda pubblica in Israele, e anche a livello globale, è stato uno dei suoi obiettivi preminenti, soprattutto dal suo ritorno al potere nel 2009.

Ha perseguito questo obiettivo utilizzando tre approcci principali: in primo luogo, cancellando il confine del 1948 (noto come Linea Verde) dalla coscienza della maggioranza degli ebrei in Israele espandendo le colonie e annettendo nella pratica ampie fasce dell’Area C [più del 60% dei territori occupati e sotto totale controllo di Israele, ndt.] in Cisgiordania.

In secondo luogo, promuovendo l’affermazione secondo cui “non esiste un partner per la pace” da parte palestinese, ignorando quasi completamente la leadership palestinese e le sue richieste di porre fine all’occupazione; infine, moderando in qualche modo l’uso della forza militare israeliana in base alla teoria che meno violento è il conflitto, minore sarà l’attenzione, in Israele, nel Medio Oriente e in tutto il mondo.

Questo approccio ha avuto un grande successo. La maggior parte degli ebrei israeliani oggi non sa dove sia la Linea Verde [il confine tra Israele e Giordania prima della guerra del 1967, ndt.]. Il termine “occupazione” è diventato una parolaccia che non viene quasi mai menzionata nei principali media israeliani. L’affermazione che “non c’è nessuno con cui parlare” dalla parte palestinese si è solidificata nel consenso non solo nella destra e nel centro ebraici, ma anche nella sinistra moderata.

Il contenimento di operazioni militari di vasta portata, a parte la guerra mortale a Gaza nel 2014, ha ridotto il numero di israeliani uccisi a causa del conflitto a poco più di 10 all’anno, tanto che la discussione su quello che veniva chiamato il “prezzo dell’occupazione” è quasi scomparsa.

Annessione strisciante

Ovviamente lo status quo proposto da Netanyahu non è stato realmente uno status quo, poiché l’annessione strisciante dei territori palestinesi è continuata e sul terreno ha gradualmente preso forma un regime di apartheid. Ma nel complesso per gli (ebrei) israeliani continuare con questa situazione sembra preferibile al tentativo di cambiarla.

Parte del successo di Netanyahu deriva da processi non direttamente collegati alla sua persona. Quando nel 2009 diventò primo ministro per la seconda volta, la Seconda Intifada era finita. La scissione tra Hamas a Gaza e Fatah in Cisgiordania aveva notevolmente indebolito la posizione palestinese e Netanyahu potè sfruttare questa debolezza.

Nel 2011, con l’avvento delle decantate primavere arabe, i Paesi arabi vicini erano inclini a dedicare più attenzione ai propri affari e meno alla causa palestinese. E la crescente ondata di populismo di destra in tutto il mondo, culminata con l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti nel 2016, ha creato un’atmosfera congeniale a Netanyahu e alla sua politica di strisciante apartheid.

Ma negli ultimi anni qualcosa è andato storto in questo gioco di equilibrio promosso da Netanyahu. La scomparsa del conflitto con i palestinesi dall’agenda nazionale di Israele ha effettivamente sollecitato il movimento dei coloni di destra a spingere per l’annessione o, nel loro lessico, per “l’applicazione della sovranità”. La logica dei coloni sostiene che se i palestinesi non sono più una minaccia, non c’è motivo di evitare di annettere, in tutto o in parte, la Cisgiordania. Sebbene Netanyahu abbia rinunciato all’annessione all’ultimo minuto, questa spinta della destra per sconvolgere lo status quo non è svanita.

Il momento in cui è diventato chiaro che il falso status quo costruito da Netanyahu non funzionava più è arrivato nel maggio 2021. I palestinesi, che Netanyahu aveva cercato di escludere dal discorso pubblico in Israele, si sono ribellati non solo a Gerusalemme est e a Gaza, ma anche nelle cosiddette “città miste” all’interno di Israele: Lydd (Lod), Ramla, Acre (Akka) e altre località.

Invece di retrocedere in Cisgiordania dietro le montagne di tenebre, il conflitto con i palestinesi si è presentato improvvisamente sulla porta di casa di molti ebrei nel cuore del Paese.

Subito dopo l’esponente della destra Naftali Bennett ha deciso di allearsi con il centrista Yair Lapid per formare un governo alternativo e lasciare, per la prima volta in 12 anni, Netanyahu all’opposizione. Le ragioni di questa mossa sono state molte, ma potrebbe aver contribuito alla sua caduta anche il fatto che Netanyahu non fosse più considerato in grado di fornire una risposta al “problema palestinese”.

Nel vuoto lasciato da Netanyahu, la destra razzista è passata nelle mani del famoso colono Itamar Ben-Gvir, leader del partito Otzma Yehudit (“Potere ebraico”), residente a Hebron e ammiratore di Baruch Goldstein, che nel 1994 uccise 29 fedeli musulmani nella Moschea Ibrahimi di Hebron. Gli eventi del maggio 2021 sono stati sfruttati da Ben-Gvir come prova del fatto che gli ebrei in Israele vivono sotto la minaccia della “violenza araba”, che può essere contrastata solo ricordando agli arabi che gli ebrei sono gli unici “proprietari ” di questo luogo. Per sostenere questa argomentazione Ben Gvir ha evocato anche il timore della gente di un aumento della criminalità nelle città del sud di Israele, dove il crimine viene attribuito principalmente agli abitanti beduini palestinesi dell’area, che vivono in condizioni di estrema povertà e discriminazione di lunga data.

Conflitto come priorità

Ovviamente Ben-Gvir non ha inventato l’idea della supremazia ebraica, che sin dall’inizio è stata, in misura maggiore o minore, un aspetto del sionismo. Ma con il suo effettivo successo nel trasformare l’aspirazione alla supremazia ebraica in un’ampia piattaforma politica Ben-Gvir ha sfidato, consapevolmente o inconsapevolmente, il presupposto di Netanyahu di ignorare la questione palestinese.

Mentre Netanyahu ha sostenuto che il problema non esiste più, o almeno non sta influenzando le vite degli israeliani, è arrivato Ben-Gvir e ha sostenuto che il conflitto palestinese colpisce le vite degli ebrei, sempre e ovunque, all’interno o al di là della Linea Verde. La soluzione di Ben-Gvir è violenta e razzista – uccidere o deportare chiunque, palestinese o anche ebreo, si opponga al regime di supremazia ebraica – ma, nel frattempo, ha messo al primo posto la questione delle relazioni ebraico-palestinesi.

Anche Bezalel Smotrich, partner di Ben-Gvir nell’alleanza del “sionismo religioso”, fa della questione del conflitto tra ebrei e palestinesi la sua massima priorità politica. E Smotrich, come Ben-Gvir, propone una soluzione violenta e razzista. Nel suo saggio “Il progetto decisivo di Israele” pubblicato nel 2017, Smotrich offre tre opzioni ai palestinesi in Cisgiordania: accettare di vivere senza diritti politici sotto il dominio ebraico, emigrare in un altro Paese o affrontare un esito  deciso dalla guerra.

Come Ben-Gvir, Smotrich pensa che in nessun caso si dovrebbe mai rinunciare alla supremazia ebraica all’interno di Israele. Nel 2021 ha ritirato l’appoggio che avrebbe consentito a Netanyahu di formare un governo perché per farlo Netanyahu avrebbe dovuto dipendere da un partito arabo, la Lista Araba Unita guidata da Mansour Abbas. “Un nemico non è un alleato legittimo. Punto,” ha scritto all’epoca Smotrich per giustificare la sua decisione.

Ben-Gvir ha cercato di persuadere gli elettori nelle città periferiche che Netanyahu non ha offerto loro nessuna risposta – né riguardo alle loro preoccupazioni per il crescente rafforzamento economico, accademico e politico dei loro vicini palestinesi, né in merito al fatto che loro, abitanti di zone marginali, devono ancora godere della sbandierata prosperità economica di cui Netanyahu si è vantato.

Smotrich è stato popolare soprattutto tra l’opinione pubblica religiosa, che oggi è parte dell’élite economica e governativa di Israele. Ma ciò che è chiaro è che entrambi questi uomini, dopo aver incrementato i loro risultati insieme dai 6 seggi nella precedente tornata elettorale ai 14 nell’attuale Knesset, che consentono loro di dettare le condizioni a Netanyahu, che sa che senza di loro non può governare, sono i grandi vincitori delle ultime elezioni.

Promesse vincenti

Come c’era da aspettarsi, queste circostanze riguardano innanzitutto questioni che coinvolgono il conflitto con i palestinesi. Prima ancora che finiscano i negoziati sulla formazione del governo, Netanyahu ha già promesso a Ben-Gvir quanto segue: in Cisgiordania verranno forniti allacciamenti alla rete elettrica e idrica a 60 avamposti coloniali senza permesso, la maggior parte dei quali costruiti su terra di proprietari privati palestinesi; su terreni della città palestinese di Beita, in un luogo che i coloni chiamano Evyatar, potrà essere fondata una yeshiva [scuola religiosa ebraica, ndt.]; verrà ora abrogata una legge del 2005 adottata al fine di consentire l’evacuazione di tre insediamenti coloniali nel nord della Cisgiordania per permettere che vi venga ricostruita una colonia, di nuovo su terre private palestinesi, insieme a notevoli investimenti in strade di collegamento per le colonie in Cisgiordania.

Gli ha anche promesso il ministero della Sicurezza Pubblica, che controlla la polizia, dove Ben-Gvir vuole mano libera per reprimere i beduini palestinesi nel sud di Israele e pretende cambiamenti delle regole d’ingaggio relative a quando è consentito aprire il fuoco, in modo che i poliziotti possano sparare e uccidere chiunque ritengano sospetto senza timore di essere perseguiti.

Smotrich sta puntando più in alto. Vuole essere ministro della Difesa. In tale veste Smotrich sarebbe di fatto l’unico potere sovrano in Cisgiordania e potrebbe fare più o meno quello che vuole. Per non parlare del fatto che ha promesso di mandare l’esercito nelle cosiddette “città miste” all’interno di Israele se e quando si ripetessero gli avvenimenti violenti del maggio 2021.

Finora su questo punto Netanyahu si è rifiutato, in parte perché l’amministrazione Biden a quanto pare è stata chiara sul fatto di non aver intenzione di collaborare con un ministero della Difesa israeliano gestito da Smotrich. E anche perché Netanyahu forse comprende che, se i bellicosi razzisti di Sionismo Religioso avessero il controllo sia del ministero della Sicurezza Pubblica che di quello della Difesa, egli non controllerebbe più il modo in cui Israele gestisce il conflitto con i palestinesi.

Netanyahu avrebbe voluto fare a meno di Smotrich e Ben-Gvir e avrebbe scelto invece di includere nel suo governo l’attuale ministro della Difesa, il centrista Benny Gantz, rinnovando il tal modo l’approccio della “gestione del conflitto” che ha guidato con tanto successo negli ultimi 15 anni. A quanto pare gli americani stanno facendo pressione su di lui e su Gantz perché raggiungano un simile accordo. Ma ciò potrebbe non dipendere da Netanyahu. La destra razzista, stanca dello status quo che egli vende agli elettori israeliani, è più forte di lui.

Crescente violenza

È ancora troppo presto per prevedere le conseguenze di questa nuova situazione. Netanyahu riuscirà, nonostante tutto, a imporre la sua politica preferita e mettere da parte la questione palestinese? Non sarà facile, e non solo perché tornerà alla carica di primo ministro durante un periodo molto violento, con il numero di palestinesi e israeliani uccisi dall’inizio del 2022 a livelli record, che non si vedevano dalla fine della Seconda Intifada nel 2005: al 18 novembre 139 palestinesi e 27 israeliani.

Anche se la destra razzista dovesse riuscire a farsi carico della polizia e dell’esercito, le possibilità che metta in pratica le sue fantasie violente non sono una conclusione scontata. I palestinesi si trovano in una posizione diversa da quella del 1948 o del 1967 ed essi non saliranno senza resistere sugli autobus per essere deportati.

La comunità internazionale, con tutti i suoi limiti, ha già difficoltà ad accettare l’apartheid israeliana (come evidenziato dalla recente decisione di affidare la discussione sulla legalità dell’occupazione israeliana alla Corte Internazionale di Giustizia). Oltretutto l’economia di Israele dipende totalmente da quella mondiale; dopo le recenti elezioni la società ebraica in Israele è anche più divisa che mai, con una parte sostanziale del centro-sinistra che vede i partiti “religiosi” di Ben-Gvir e Smotrich come una minaccia per il suo stile di vita laico.

Nell’articolo citato all’inizio di questo resoconto Netanyahu ha adottato il concetto del “Muro di Ferro”, titolo di un famoso testo del padre della destra sionista, Zeev Jabotinsky, che negli anni ‘20 scrisse che solo dopo che gli ebrei avessero occupato la Terra di Israele con la forza i palestinesi avrebbero accettato la loro esistenza qui. Ma nel Muro di Ferro che Netanyahu ha cercato di costruire per tenere a distanza la questione palestinese stanno comparendo vistose crepe. Non è necessariamente una cosa negativa.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




“Una svolta”: il Comitato delle Nazioni Unite vota per richiedere il parere della Corte Internazionale di Giustizia sull’occupazione israeliana

 

Redazione di MiddleEastEye

MEE 12 novembre 2022

I palestinesi accolgono con favore il voto come preludio alla “apertura di una nuova era in cui si dichiari Israele responsabile dei suoi crimini di guerra”

Venerdì il comitato per la decolonizzazione delle Nazioni Unite ha adottato una bozza palestinese di risoluzione che richiede il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) sull’occupazione israeliana delle terre palestinesi dal 1967.

La misura è stata accolta con favore dai palestinesi e respinta da Israele.

Il ministro degli Esteri palestinese Riyad al-Maliki ha dichiarato in un comunicato che 98 paesi hanno sostenuto la risoluzione, 52 si sono astenuti e 17 hanno votato contro.

I pareri della Corte Internazionale, che risolve le controversie tra Paesi, non sono vincolanti.

Al-Maliki ha accolto con favore il voto e ha descritto la risoluzione come una “svolta diplomatica e legale” che “aprirebbe una nuova era per dichiarare Israele responsabile dei suoi crimini di guerra”.

La risoluzione passerà ora all’Assemblea Generale di 193 membri per il voto finale prima della fine dell’anno.

La risoluzione, approvata presso la sede delle Nazioni Unite a New York, chiede alla Corte di intervenire “urgentemente” sulla “prolungata occupazione, colonizzazione e annessione del territorio palestinese” da parte di Israele, che viola il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione. La risoluzione si riferisce alle terre palestinesi occupate da Israele dalla guerra del 1967: Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est.

Vi si fa anche riferimento a politiche volte a “alterare la composizione demografica, il carattere e lo status della città santa di Gerusalemme”. La risoluzione chiede alla Corte un parere su come queste politiche e pratiche israeliane “influenzino lo status legale dell’occupazione, e quali siano le conseguenze legali che derivano per tutti gli Stati e per le Nazioni Unite da questa situazione”.

Nel 2004 la Corte aveva ritenuto che il muro costruito da Israele principalmente all’interno della Cisgiordania occupata e di Gerusalemme Est fosse “contrario al diritto internazionale”.

“Questa occupazione dovrà finire”

Dopo il voto l’ambasciatore palestinese alle Nazioni Unite Riyad Mansour ha citato il discorso del presidente palestinese Mahmoud Abbas all’incontro annuale dell’Assemblea Generale di settembre, che ha sollecitato la mobilitazione di “tutte le componenti del nostro ordine internazionale basato sul diritto, compresa la giustizia internazionale”.

Mansour ha ringraziato i Paesi che hanno sostenuto la risoluzione e ha affermato che “nulla giustifica il sostegno all’occupazione e all’annessione israeliane, alla rimozione e l’espropriazione del nostro popolo”.

“Il nostro popolo ha diritto alla libertà”, ha detto. “Questa occupazione dovrà finire”.

“Verrà un giorno, un giorno in cui il nostro popolo porterà la bandiera della Palestina sulle chiese di Gerusalemme e nelle moschee di Gerusalemme e Haram al-Sharif”, ha aggiunto Mansour.

Contemporaneamente l’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite Gilad Erdan si è opposto al voto, affermando che con l’invito a coinvolgere la Corte “i palestinesi stanno distruggendo ogni possibilità di riconciliazione”.

“I palestinesi hanno rifiutato ogni iniziativa di pace, e ora coinvolgono un organismo esterno con la scusa che il conflitto non è stato risolto?” ha detto rivolgendosi al Forum.

Nella riunione del comitato di giovedì, il vice rappresentante degli Stati Uniti, che ha votato contro la risoluzione, ha affermato che un parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia è “controproducente e allontanerà solo le parti dall’obiettivo che tutti condividiamo di un negoziato per una soluzione a due Stati”.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




L’organizzazione filoisraeliana AIPAC ha speso molto: importanti vittorie e sconfitte nelle elezioni di metà mandato negli USA.

Redazione di MEE

9 novembre 2022 – Middle East Eye

La democratica della Pennsylvania Summer Lee ha stravinto nelle elezioni di metà mandato negli USA, nonostante l’AIPAC abbia speso 4 milioni di dollari contro di lei.

Il filoisraeliano super PACS [comitato per la raccolta fondi a sostegno di candidati alle elezioni, ndt.] ha speso milioni di dollari nelle elezioni di metà mandato USA di quest’anno, sperando di contribuire a far pendere la bilancia a proprio favore nelle competizioni chiave. Tuttavia in molte elezioni in cui ha speso molto ha comunque perso.

Mercoledì mattina l’AIPAC [principale organizzazione della lobby filoisraeliana negli USA, ndt.] ha festeggiato i risultati delle elezioni, sostenendo di aver contribuito a portare alla vittoria molti dei candidati che ha sostenuto con finanziamenti o appoggiato.

Ci congratuliamo con i senatori e deputati di entrambi i partiti eletti e rieletti che si uniranno a un Congresso prevalentemente filoisraeliano,” ha detto mercoledì l’AIPAC in un comunicato.

Nonostante la feroce faziosità di questa tornata elettorale, rimane un deciso impegno di entrambi i partiti a favore dell’alleanza USA-Israele.”

L’AIPAC ha festeggiato un certo numero di nuovi democratici filoisraeliani, tra cui Don Davis, Jared Moskowitz, Robert Garcia, Valerie Foushee e Glenn Ivey, che hanno vinto martedì sera. Durante le primarie vinte da Ivey a luglio l’organizzazione filoisraeliana ha speso 6 milioni di dollari.

Anche Foushee ha ricevuto milioni di dollari dall’AIPAC e da altre associazioni filoisraeliane nelle elezioni primarie in cui ha sconfitto la candidata progressista Nida Allam che aveva criticato il modo in cui Israele tratta i palestinesi.

Middle East Eye ha analizzato le principali vittorie e sconfitte dell’AIPAC e altre organizzazioni filoisraeliane nelle elezioni di metà mandato di quest’anno.

Summer Lee ha sconfitto una campagna contro di lei da 4 milioni di dollari

La maggiore sconfitta di queste associazioni è stata nel 12° distretto congressuale della Pennsylvania, dove la progressista Summer Lee ha battuto il suo avversario repubblicano Mike Doyle.

Negli ultimi giorni l’AIPAC e altre associazioni filoisraeliane hanno speso più di 1 milione di dollari nell’ultimo disperato tentativo di sostenere Doyle contro Lee, dopo che in precedenza l’organizzazione aveva speso 3 milioni di dollari a favore dell’oppositore di Lee nelle primarie democratiche all’inizio dell’anno.

Lee, che era stata parlamentare statale in Pennsylvania, si era attirata le ire delle associazioni filoisraeliane dopo aver twittato un parallelo tra gli USA e Israele riguardo a come gli americani usino il termine “autodifesa” per giustificare “l’uso indiscriminato e sproporzionato della forza e della potenza contro (persone) deboli ed emarginate.”

Eppure, nonostante l’ultimo disperato tentativo di finanziamento contro di lei, Lee ha facilmente vinto la sua competizione elettorale sconfiggendo Doyle per più di 10 punti.

Lee, appoggiata anche dal gruppo sionista progressista J Street, ha ricevuto un sostengo importante anche dalla comunità ebraica in Pennsylvania.

La scorsa settimana più di 240 membri della comunità ebraico-americana di Pittsburgh hanno reso nota una lettera di appoggio alla candidatura di Lee per il Congresso e di condanna dell’AIPAC per aver attaccato la rappresentante designata.

Fetterman contro Oz

Una delle competizioni più attese è stata l’elezione della Pennsylvania per il senato tra il personaggio televisivo repubblicano di origine turca Mehmed Oz e il democratico John Fetterman.

Alla fine Fetterman ha vinto facilmente per più di 5 punti, nonostante un calo nei sondaggi dopo una infelice esibizione in un dibattito televisivo con Oz lo scorso mese, mentre soffriva ancora dei postumi di un ictus sofferto durante la campagna elettorale.

Oltre al fatto di aver ottenuto un’ampia attenzione nazionale, la competizione ha anche ricevuto un flusso di denaro da una serie di associazioni filoisraeliane a favore di entrambi i candidati.

Fetterman è stato appoggiato dal PAC di J Street e da quello del Jewish Democratic Council of America [Consiglio Democratico Ebraico d’America], che ha speso più di 500.000 dollari a sostegno del vicegovernatore.

Dalla parte di Oz, in settembre il Republican Jewish Coalition’s Victory Fund [il Fondo per la Vittoria della Coalizione Ebraica Repubblicana] ha speso 1,5 milioni di dollari per attacchi pubblicitari contro Fetterman. Gli annunci a pagamento sono stati il più grande stanziamento del fondo per una campagna per il Senato.

In Virginia perde un’importante democratica filoisraeliana

La congressista Eliane Luria, una dei democratici del Congresso più filoisraeliani, ha perso per circa 4 punti contro lo sfidante repubblicano Jen Kiggans, dando un significativo colpo alla branca filoisraeliana del partito Democratico.

Luria è stata un’ardente sostenitrice di Israele, come l’AIPAC, e nel 2020 ha condannato le critiche del senatore Bernie Sanders contro la lobby filoisraeliana. Secondo OpenSecrets [associazione che monitora i finanziamenti politici negli USA, ndt.] la senatrice ha ricevuto più di 700.000 dollari da donatori filoisraeliani.

L’AIPAC ha identificato la competizione tra Luria e Kiggans nel secondo distretto della Virginia come una delle più importanti in questa tornata elettorale.

Invece un’altra democratica filo-israeliana dello Stato, Abigail Spanberger, ha vinto di poco e si è assicurata la rielezione al Congresso.

Spanberger ha ricevuto circa 300.000 dollari da organizzazioni filoisraeliane nella tornata elettorale di quest’anno.

L’AIPAC appoggia negazionisti elettorali e repubblicani di estrema destra

Per decenni l’AIPAC ha goduto di un forte appoggio bipartisan a Washington.

Importanti repubblicani e democratici hanno preso parte alla sua conferenza annuale per offrire le proprie opinioni su come avrebbero mantenuto solidi rapporti tra gli USA e Israele.

Tuttavia negli ultimi anni ciò è cambiato, con i democratici e i progressisti che sono diventati più critici nei confronti dell’AIPAC e del governo israeliano.

Questo allontanamento è stato visibile anche nell’approccio dell’organizzazione filoisraeliana alle elezioni di metà mandato, dove ha creato il Super Pac per finanziare specifiche campagne.

Il Pac dell’AIPAC, questo comitato d’azione politica, ha iniziato a sostenere un certo numero di candidati, molti dei quali hanno negato la validità dei risultati delle elezioni presidenziali del 2020.

In questa tornata elettorale l’United Democracy Project [Progetto della Democrazia Unita] (UDP), un super Pac legato all’AIPAC, ha speso anche decine di milioni di dollari contro candidati considerati troppo critici con Israele.

Il sostegno e i finanziamenti che l’AIPAC ha speso quest’anno per candidati di destra ha suscitato dure critiche da parlamentari della sinistra, compreso il senatore Bernie Sanders, che in maggio ha descritto la lotta contro l’AIPAC come una “guerra”.

Mercoledì sera l’UDP, affiliata all’AIPAC, ha reso noto un comunicato riguardante i suoi finanziamenti nelle elezioni e ha inviato un avvertimento ai candidati critici con Israele.

Quanti intendono minacciare la collaborazione dell’America con Israele possono aspettarsi una forte e intransigente risposta politica,” ha affermato l’UDP.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Israele: Ben-Gvir in trattative con la coalizione “per chiedere condizioni più dure per i palestinesi in carcere”

Redazione di MEE

7 novembre 2022 – Middle East Eye

Secondo i media locali il politico di estrema destra chiederà anche l’accesso senza restrizioni dei coloni alla moschea di Al-Aqsa

Secondo i media locali, durante le consultazioni informali previste per lunedì con Benjamin Netanyahu, leader del Likud, il politico israeliano di estrema destra Itamar Ben-Gvir è intenzionato a chiedere condizioni più dure per i prigionieri palestinesi per motivi di sicurezza, come anche l’accesso senza restrizioni dei coloni alla moschea di Al-Aqsa.

In seguito alle elezioni israeliane della scorsa settimana il blocco di Netanyahu ha ottenuto 64 seggi sul totale di 120 e si prevede che formi un governo con i partiti ultraortodossi Shas [partito degli ebrei praticanti originari dei Paesi arabi o musulmani, N.d.T.] e UTJ [United Torah Judaism, degli ebrei praticanti di origine europea N.d.T.] così come con l’alleanza di estrema destra di Ben-Gvir del Sionismo Religioso-Otzma Yehudit [Potere ebraico N.d.T.]

Durante il ciclo delle elezioni dell’anno scorso Netanyahu aveva detto che Ben-Gvir, che aveva messo in bella mostra una foto di Baruch Goldstein, massacratore di 29 palestinesi in una moschea nel 1994, non era adatto a fare il ministro.

Tuttavia, poiché la popolarità di Ben-Gvir è cresciuta, Netanyahu ha cambiato tattica e ammesso che potrebbe far parte di ogni potenziale governo. 

Ci si aspetta che Ben-Gvir chieda l’incarico di ministro della Pubblica Sicurezza in una eventuale coalizione con il Likud.

Secondo l’israeliano Channel 13, nel corso dei colloqui di coalizione di lunedì Ben-Gvir presenterà a Netanyahu un piano articolato imperniato sul modo in cui lIsrael Prison Service [il servizio carcerario israeliano, sotto la giurisdizione del Ministero della Pubblica Sicurezza, responsabile della supervisione delle carceri, N.d.T.] tratta i prigionieri palestinesi per motivi di sicurezza, inclusa l’imposizione di ulteriori restrizioni.

Channel 13 ha riportato che Ben-Gvir cercherà di limitare l’”indipendenza” dei prigionieri nelle carceri israeliane, impedendo l’organizzazione di prigionieri in gruppi che riflettono le fazioni palestinesi fuori dalla prigione.

Inoltre Channel 13 ha aggiunto che Ben-Gvir chiederà di smettere di trattare con i prigionieri tramite un portavoce o un rappresentante in loro nome, per invece “identificare un rappresentante provvisorio” in contatto con le autorità carcerarie solo su questioni di carattere generale e non sui problemi personali dei prigionieri.

La rete televisiva precisa inoltre che il piano di Ben-Gvir mira anche a impedire ai prigionieri di cucinare nelle loro sezioni, con cibo fornito solo dalle autorità carcerarie stesse, e anche a ridurre il consumo d’acqua.

Terroristi

Sempre secondo Channel 13 Ben-Gvir, che in precedenza ha guidato l’irruzione di gruppi di coloni nella moschea di Al-Aqsa e chiesto che vi vengano consentite le preghiere degli ebrei, è anche determinato a chiedere durante i suoi colloqui con Netanyahu un accesso senza precedenti alla moschea.

Secondo i pluridecennali accordi fra Giordania, custode dei siti islamici e cristiani a Gerusalemme, e Israele, all’interno del complesso della moschea di Al-Aqsa non è permesso ai non-musulmani compiere alcun rito religioso, né esporre simboli ebraici.

I non-musulmani possono visitarla sotto la supervisione del Waqf, un’istituzione islamica giordano-palestinese che gestisce la moschea.

Nel 2003 la gestione delle visite ad Al-Aqsa da parte del Waqf è stata revocata dalle autorità israeliane. Da allora la polizia israeliana ha permesso quasi quotidianamente a coloni e attivisti di estrema destra di fare irruzione nell’area. 

Agli inizi di quest’anno Ben-Gvir ha descritto i membri del Waqf come “terroristi”. 

Funzionari dei servizi di sicurezza israeliani hanno riferito a Channel 13 che le misure richieste da Ben-Gvir servirebbero solo a “infiammare la situazione sul campo”.

Gli attivisti israeliani di estrema destra hanno ripetutamente fatto pressioni per aumentare la presenza ebraica nell’area e alcuni hanno invocato la distruzione di Al-Aqsa per far posto al Terzo Tempio.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Cisgiordania: sei palestinesi uccisi durante un’incursione su larga scala contro gruppo La Fossa dei Leoni

Akram al-Waara, Leila Warah

25 ottobre 2022-Middle East Eye

Gli intensi combattimenti notturni sconvolgono Nablus mentre numerose truppe israeliane assaltano la città e prendono di mira il nascente gruppo armato

Martedì le forze israeliane hanno ucciso sei palestinesi e ne hanno feriti almeno altri 20 dopo un violento raid dell’esercito nella Cisgiordania occupata settentrionale.

Numerose truppe equipaggiate con decine di veicoli corazzati e missili guidati anticarro hanno preso d’assalto Nablus intorno a mezzanotte ora locale e si sono scontrate con i combattenti palestinesi nella città.

Secondo il Ministero della Salute palestinese cinque palestinesi, di cui almeno due disarmati, sono stati uccisi durante il raid di tre ore e una sesta persona è stata uccisa a colpi di arma da fuoco a Ramallah ore dopo.

I nomi di coloro che sono morti durante l’assalto di Nablus sono stati identificati come Hamdi Sobeih Ramzi Qayem, 30 anni; Ali Khaled Omar Antar, 26 anni; Hamdi Muhammad Sabri Hamid Sharaf, 35 anni; Wadi Sabih Houh, 31 anni; Mishaal Zahi Ahmed Baghdadi, 27 anni.

Il sesto palestinese, identificato come Qusai Tamimi, 20 anni, è stato ucciso in un altro incidente nel villaggio di Nabi Saleh, nel distretto di Ramallah.

Martedì nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza sono stati osservati uno sciopero generale e una giornata di lutto mentre migliaia di residenti adirati si sono uniti ai cortei funebri a Nablus.

“La città si è svegliata molto triste questa mattina: hanno perso cinque vite. L’atmosfera è molto cupa e oggi ci sono scioperi in tutta la Cisgiordania”, ha detto a Middle East Eye Zayd al-Azhary, un attivista che vive a Nablus.

L’operazione di martedì è avvenuta durante un assedio di 14 giorni a Nablus da parte dell’esercito israeliano, che ha bloccato gli ingressi della città e paralizzato il movimento delle persone in entrata e in uscita.

L’esercito israeliano afferma che le misure sono state poste in essere per fermare gli attacchi contro obiettivi israeliani effettuati da un gruppo armato di nuova formazione nella città chiamato “Lions’ Den” [Fossa dei Leoni, ndt].

Nablus e la vicina città di Jenin hanno assistito a una rinascita della resistenza armata negli ultimi mesi. I combattenti palestinesi hanno attaccato sempre più posti di blocco e postazioni dell’esercito, oltre ad affrontare le truppe israeliane durante i le incursioni nelle città.

Incursione sotto copertura

Secondo i media palestinesi l’attacco a Nablus è iniziato poco dopo la mezzanotte di martedì quando le forze di sicurezza appartenenti all’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) hanno fermato un “veicolo sospetto” vicino alla Città Vecchia.

Il veicolo trasportava forze speciali israeliane sotto copertura, hanno detto fonti locali. Quando gli agenti dell’Autorità Palestinese hanno affrontato le forze israeliane nel veicolo, secondo quanto riferito, gli ufficiali palestinesi sono stati presi di mira dai cecchini israeliani che erano appostati sui tetti della zona.

Secondo quanto riferito da fonti locali, dopo che la copertura delle forze speciali israeliane è saltata, si è verificato uno scontro a fuoco tra le forze dell’ANP e i soldati israeliani, provocando il ferimento di quattro agenti dell’ANP.

Lo scontro a fuoco tra gli agenti dell’Autorità Nazionale Palestinese e i soldati israeliani ha allertato i gruppi armati nella Città Vecchia di Nablus che era in corso un’operazione israeliana nella città.

I combattenti palestinesi hanno iniziato a scambiare colpi di arma da fuoco con le forze israeliane che avevano fatto irruzione nell’area, mentre altre decine di jeep dell’esercito israeliano hanno iniziato ad entrare in città.

Un residente ha detto che “è scoppiato il caos” dopo che le truppe israeliane sono entrate in gran numero nella Città Vecchia, prendendo di mira i membri del gruppo La Fossa dei Leoni.

L’esercito israeliano ha confermato in un comunicato che l’operazione ha preso di mira un sito “utilizzato dai principali agenti operativi della Fossa dei Leoni”, descrivendolo come un “quartier generale e un’officina per la fabbricazione di armi”. Ha aggiunto che “ha risposto con munizioni vere ai sospetti armati che sparavano contro di loro”.

Il gruppo La Fossa dei Leoni ha postato su Telegram un comunicato in cui sostiene che ha ingaggiato scontri a fuoco con le truppe israeliane e ha confermato che almeno uno dei suoi membri è e rimasto ucciso.

Zona di guerra

Fonti locali sostengono che circa 60 veicoli militari corazzati israeliani sono stati utilizzati nell’operazione in cui la Città Vecchia è stata attaccata e assediata.

Secondo quanto riferito i primi due palestinesi colpiti da arma da fuoco erano passanti che camminavano per la Città Vecchia.

“Erano nel posto sbagliato al momento sbagliato”, ha detto al-Azhary a MEE. “Stavano solo camminando lungo la strada e, naturalmente, gli israeliani gli hanno sparato senza fare domande”.

Non è chiara l’identità dei primi due palestinesi uccisi e se fossero membri dei gruppi armati che stavano combattendo contro l’incursione dell’esercito. I video pubblicati sui social media mostrano medici palestinesi che tentano di rianimare due palestinesi in abiti civili mentre giacciono per strada, sanguinanti e privi di sensi.

Intorno all’una di notte, mentre gli spari risuonavano in tutta la città di Nablus, i palestinesi della Città Vecchia sono saliti sui minareti delle moschee per chiedere rinforzi agli abitanti per sostenere i combattenti della resistenza e i civili bloccati all’interno.

Un’ora dopo le forze israeliane hanno colpito un veicolo nell’area di Ras al-Ain con un missile, uccidendo un uomo nella sua auto. Un altro palestinese, Wadee al-Houh, che secondo Israele sarebbe stato uno dei comandanti del gruppo La Fossa dei Leoni”, è stato ucciso in casa sua.

I militari israeliani hanno rilasciato una dichiarazione in cui affermano che al- Houh era uno degli obiettivi principali dell’operazione dell’esercito nella città. Martedì mattina La Fossa dei Leoni ha rilasciato una dichiarazione in cui si commemora Houh, ma non si specifica il suo ruolo nel gruppo.

Mentre i gruppi armati palestinesi continuavano a scontrarsi con le forze israeliane nelle prime ore del mattino, sono stati segnalati scontri in tutta la città, compreso il campo profughi di Balata.

Al-Azhary ha descritto la scena come una “zona di guerra”.

“Più di 9.000 persone vivono nella Città Vecchia e tutte erano sotto tiro e in pericolo: bambini, anziani, famiglie ecc., non solo combattenti della resistenza. Non è una vita o una posizione facile in cui trovarsi”, ha detto.

Cercando di resistere

Migliaia di palestinesi hanno partecipato al corteo funebre delle cinque persone uccise durante il raid israeliano, mentre sono previste proteste in tutta la Cisgiordania contro la crescente violenza israeliana.

Il raid di martedì ha portato il bilancio delle vittime palestinesi quest’anno a più di 175 persone uccise dalle forze israeliane e dai coloni, di cui 125 nella Gerusalemme est occupata e in Cisgiordania.

Più di 44 sono stati uccise solo negli ultimi due mesi.

Secondo le Nazioni Unite il 2022 è stato finora “l’anno con il maggior numero di vittime palestinesi in Cisgiordania rispetto allo stesso periodo dei 16 anni precedenti”.

Nablus è stata posta sotto assedio all’inizio di questo mese dopo che un soldato israeliano era stato ucciso l’11 ottobre presso una postazione militare alla periferia della città di Nablus. L’esercito israeliano ha intrapreso una caccia all’uomo ad ampio raggio per trovare l’assassino, che, secondo quanto riferito, apparteneva al gruppo La Fossa dei Leoni.

Domenica 23 ottobre un membro palestinese del nuovo gruppo, Tamir al-Kilani, è stato ucciso con una bomba comandata a distanza nella Città Vecchia di Nablus. Il gruppo ha affermato che era stato assassinato dall’esercito israeliano, sebbene i militari [israeliani, ndt] non abbiano commentato pubblicamente l’omicidio.

Dopo il raid di martedì, il Primo Ministro israeliano Yair Lapid ha detto all’emittente pubblica Kan che “Israele non sarà mai dissuaso dall’agire per la sua sicurezza”, affermando che i membri del gruppo La Fossa dei Leoni “sono le persone che hanno ferito Ido Baruch”, riferendosi al soldato ucciso l’11 ottobre.

Su Twitter, il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz ha promesso che l’esercito continuerà a reprimere la “Fossa dei Leoni” e altri gruppi armati, affermando: “Non ci sono e non ci saranno città rifugio per i terroristi.

“Continueremo ad agire contro chiunque tenti di danneggiare i cittadini di Israele, ovunque e ogniqualvolta necessario” ha affermato.

 In risposta a queste dichiarazioni, al-Azhary ha respinto le affermazioni israeliane secondo cui i gruppi palestinesi sono “terroristi”, dicendo che sono stati creati come risposta alle angherie e all’occupazione israeliane che continuano nei confronti dei palestinesi.

“I palestinesi stanno cercando di resistere a Israele che toglie loro diritti e dignità di popolo. Non sono terroristi, sono un gruppo persone che sono state messe in una situazione senza vie d’uscita”, ha detto al-Azhary

“Quello che Israele sta facendo ora è cercare di trasformare questo gruppo in un gruppo terroristico invece di concentrarsi su ciò di cui noi palestinesi abbiamo effettivamente bisogno”.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)