Guerra Israele-Palestina: perché le affermazioni di Israele sono accolte con tanto scetticismo?

Alex MacDonald

18 ottobre 2023 – Middle East Eye

Israele ha accusato dell’attacco contro l’ospedale arabo al-Ahli di Gaza il Jihad Islamico palestinese. Ma ha una lunga storia di affermazioni false.

Martedì notte circa 500 palestinesi sono stati uccisi nell’ospedale arabo al-Ahli di Gaza City.

Subito dopo la distruzione è iniziato un gioco di accuse reciproche. Il ministero della Sanità palestinese ha detto che l’ospedale è stato preso di mira da un attacco aereo israeliano.

Hananya Naftali, un collaboratore informatico del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha twittato inizialmente che “le forze aeree israeliane hanno colpito una base terroristica di Hamas all’interno di un ospedale a Gaza. È morto un gran numero di terroristi.”

Poi Naftali ha cambiato versione, definendo l’esplosione “misteriosa” e affermando che si era trattato “di un razzo difettoso” o di “qualcosa che è stato fatto di proposito per ottenere appoggio internazionale.”

Quando Israele ha risposto ufficialmente, ha negato ogni responsabilità per l’attacco e ha cercato di attribuirne la responsabilità a un razzo mal lanciato dal gruppo palestinese Jihad Islamico (PIJ).

Le conseguenze del disastro sono subito state molto estese, con manifestanti che hanno incendiato l’ambasciata israeliana in Giordania, mentre altri hanno invaso la città palestinese di Ramallah chiedendo le dimissioni del presidente palestinese Mahmoud Abbas.

Lo scetticismo con cui sono state accolte le dichiarazioni di innocenza da parte di Israele è il risultato di anni di disinformazione diramata dall’esercito israeliano a seguito di attacchi e uccisioni controversi.

Durante una conferenza stampa israeliana tenutasi dopo il massacro, un giornalista ha fatto riferimento alla lista “tutt’altro che impeccabile” dell’esercito quando si è trattato di fornire informazioni credibili, citando le false affermazioni secondo cui miliziani palestinesi avrebbero ucciso la giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh nel 2022.

Un portavoce dell’esercito ha risposto: “In passato siamo stati molto frettolosi nell’arrivare a conclusioni. È per questa ragione che in questo caso ci siamo presi tempo, più di cinque ore. Volevamo fare un doppio controllo su tutto.”

Tuttavia da molti punti di vista la risposta iniziale di Israele all’attacco contro l’ospedale ha seguito le stesse caratteristiche di avvenimenti precedenti.

Cos’è successo?

L’attacco contro l’ospedale è la peggiore atrocità avvenuta a Gaza da quando Israele ha iniziato a bombardare l’enclave costiera assediata in seguito all’attacco guidato da Hamas contro Israele il 7 ottobre.

Foto e video da Gaza City hanno mostrato il fuoco che si diffondeva dagli ingressi della struttura, vetri e parti di corpi umani sparsi sul pavimento dell’ospedale.

Un medico ha descritto “scene orripilanti, surreali”, e ha detto a Middle East Eye che l’attacco ha messo “in ginocchio” il sistema sanitario di Gaza.

Al momento dell’incidente l’ospedale, gestito dalla chiesa anglicana, stava fornendo cure e rifugio a centinaia di palestinesi feriti e cacciati dalla guerra israeliana di 11 giorni contro l’enclave assediata.

Foto e video ottenuti da Middle East Eye mostrano paramedici e abitanti che corrono a soccorrere i feriti, con molti minori tra le vittime.

Attorno a loro sul prato ci sono lenzuola, zainetti per la scuola e altri oggetti.

Cos’è successo secondo Israele?

Il ministero della Sanità palestinese ha affermato sul suo canale Telegram che l’ospedale aveva ricevuto minacce da parte di Israele perché venisse evacuato altrimenti sarebbe stato bombardato, e in effetti sabato era stato colpito da un raid aereo come avvertimento per il personale e i pazienti di andarsene.

Mercoledì anche Hamas ha ripetuto la sua convinzione che l’attacco fosse un bombardamento aereo israeliano.

Tuttavia finora Israele ha rifiutato di prendersi la responsabilità della distruzione dell’ospedale.

Al contrario, sostiene che un razzo lanciato dal PIJ è caduto sull’ospedale, una cosa che il gruppo armato nega recisamente, affermando in un comunicato di “non utilizzare luoghi di culto o edifici pubblici, soprattutto ospedali, come centri militari o magazzini per le armi.”

L’account “israeliano” di X martedì notte ha twittato quella che sostiene essere una prova della responsabilità del PIJ nell’attacco, affermando che “dalle analisi dei sistemi operativi dell’IDF [l’esercito israeliano, ndt.] una raffica di razzi nemici è stata lanciata verso Israele ed è passata nelle vicinanze dell’ospedale quando questo è stato colpito.”

Tuttavia la versione originale del post includeva un video dei razzi sparati dai dintorni di Gaza City.

In seguito il video è stato rimosso dall’account, mentre alcuni analisti hanno notato che la prima menzione pubblica del bombardamento è stata alle 19,20 ora locale, mentre il video condiviso da Israele come prova segnava un’ora tra le 19,59 e le 20 ora locale.

Mercoledì quello stesso account ha condiviso un audio dell’esercito israeliano presentata come una conversazione in cui combattenti di Hamas discutono della distruzione dell’ospedale e la attribuiscono al PIJ.

Ma Muhammad Shehada, un attivista per i diritti umani di Gaza che per un decennio ha scritto rapporti contro Hamas, ha postato che la citazione era stata mal tradotta da “loro dicono” in “noi diciamo”.

“Sta descrivendo una diceria, non una prova,” ha scritto Shehada, prima di proseguire elencando altre ragioni per credere che l’audio sia parte di una campagna di disinformazione.

Alex Thomson, un inviato di Channel 4 News [notiziario britannico, ndt.], ha affermato che “molti esperti” gli hanno detto che “la registrazione dei miliziani di Hamas che parlano del cattivo funzionamento del missile è un falso. Dicono che il tono, la sintassi, l’accento e la lingua sono inverosimili.”

Si può sentire uno di loro che dice: “Lo hanno sparato dal cimitero dietro l’ospedale.”

Francesco Sebregondi, architetto e ricercatore che attualmente lavora con l’ong investigativa Index [associazione francese esperta in analisi e ricerche su questioni di interesse pubblico, ndt.], ha detto a Middle East Eye che Israele si è affrettato a dare subito materiale perché gli analisti vi basassero le proprie conclusioni.

“Fornendo rapidamente un certo numero di ‘prove’ poco concrete, per esempio nella forma di riprese del luogo fatte da un drone, l’esercito israeliano può contare anche sull’impazienza di alcuni attori di Open Source Intelligence [informazioni liberamente disponibili al pubblico, ndt.] (OSINT) che usano qualunque immagine/materiale/dato per pubblicare rapidamente nuovi contenuti o ‘analisi’, e di conseguenza appoggiare più o meno direttamente la sua versione degli eventi,” ha detto.

Una reputazione “tutt’altro che impeccabile”

Una serie di episodi passati ha macchiato la reputazione dell’esercito israeliano riguardo alla disinformazione.

Forse l’esempio più noto negli ultimi anni è stata l’uccisione della giornalista palestinese Shireen Abu Akleh.

Abu Akleh, che era anche cittadina statunitense, è stata colpita a morte da forze israeliane l’11 maggio 2022 mentre stava informando su un’operazione militare israeliana a Jenin, nella Cisgiordania occupata. Anche il suo collega Ali al-Samoudi è stato colpito e ferito.

In un primo tempo Israele ha accusato uomini armati palestinesi di averle sparato, ma poi ha concluso che c’erano “molte probabilità che Abu Akleh sia stata accidentalmente colpita da fuoco dell’IDF (l’esercito israeliano) sparato verso sospetti identificati come palestinesi armati.”

L’ufficio della procura generale dell’esercito israeliano ha affermato che non avrebbe aperto un’inchiesta riguardo ai soldati coinvolti nell’incidente in quanto “non ci sono sospetti che sia stato commesso un reato penale.”

Un altro esempio fu la morte del dodicenne Mohammed al-Durah nel 2000, uno degli avvenimenti fondamentali della Seconda Intifada (2000-2005).

Il video del ragazzino rannicchiato con il padre in mezzo ad uno scambio di colpi e che poi si accascia morto scatenò l’indignazione internazionale e rimane un’immagine iconica della repressione israeliana contro i palestinesi.

Benché inizialmente abbiano accettato la responsabilità della sua morte, sostenendo che era stato usato come scudo umano, in seguito, nel 2005, gli israeliani ritrattarono.

Denunce e contro-denunce vennero lanciate avanti e indietro, e alcuni sostennero che France 2 [rete televisiva pubblica francese, ndt.], che inizialmente aveva diffuso il video, avesse inscenato l’incidente. La rete rispose con una serie di denunce per diffamazione che ebbero successo.

“Si parlò molto di questo video, affermazioni che si trattava di un falso. Ma la gente che lo diceva non conosceva neppure la zona,” disse nel 2020 ad Al Jazeera Talal Abu Rahma, il cameraman che aveva ripreso le immagini.

“Ci furono un sacco di chiamate e inchieste nei miei confronti riguardo a quanto fossero veritiere le immagini. Gli ho dato una sola risposta: la telecamera non mente.”

Infine, continueranno ad esserci una serie di narrazioni in conflitto anche riguardo a quanto è avvenuto all’ospedale arabo al-Ahli. Al momento un’inchiesta sul campo sembra assolutamente impossibile e la serie di immagini e riprese diffuse in rete continuerà probabilmente ad essere la principale fonte di informazione.

“Cerchiamo di non essere ingenui riguardo ai pregiudizi politici e analitici di un gran numero di attori nelle attuali comunità OSINT in rete,” afferma Sebregondi.

“Lo stesso termine OSINT viene dal mondo militare e dell’intelligence. Queste comunità in rete comprendono molti (ex) militari e personale dell’intelligence che, sotto le mentite spoglie di reporter totalmente indipendenti, possono anche essere propensi ad appoggiare la continua brutale azione militare israeliana in quella che è ancora definita da molti importanti mezzi di comunicazione come una ‘guerra al terrorismo.’”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Guerra Israele-Palestina: deraglia la politica USA per il Medio Oriente Da quando è scoppiato il conflitto Washington ha fatto una serie di errori marchiani, portando la regione sull’orlo di una guerra più ampia

David Hearst

18 ottobre 2023 – Middle East Eye

Joe Biden non sta avendo una bella guerra. Tre giorni dopo l’attacco di Hamas il presidente USA ha pronunciato un discorso da far invidia persino a David Friedman, ex ambasciatore in Israele sotto la presidenza Trump e difensore dei coloni.

Biden ha erroneamente sostenuto l’affermazione che Hamas avrebbe decapitato neonati, con affermazioni che la Casa Bianca ha poi dovuto smentire; ha promesso il sostegno USA per dare a Israele tutto il necessario per “rispondere a questo attacco” e ha poi erroneamente asserito che i civili a Gaza erano usati come scudi umani.

In quei tre giorni la leadership di Israele ha reso chiarissimo che sarebbe andata giù pesante e che lo Stato nella sua risposta all’attacco di Hamas non avrebbe rispettato le regole di guerra.

Gli eventi si sono svolti di conseguenza e Israele in 10 giorni ha colpito Gaza con una potenza esplosiva equivalente a un quarto di una bomba nucleare.

Mentre Biden stava decollando per il suo ultimo viaggio in Medio Oriente, a Gaza le forze israeliane hanno colpito un ospedale che avevano attaccato pochi giorni prima, dopo aver avvertito di evacuarlo. Oltre 20 altri ospedali hanno ricevuto minacce simili.

Questa volta sono state uccise circa 500 persone. La carneficina all’al-Ahli, uno dei più vecchi ospedali di Gaza, ha fatto un tale piacere a Itamar Ben Gvir, il ministro israeliano della Sicurezza Nazionale, che se ne è prematuramente attribuito la responsabilità: “Fino a quando Hamas non libererà gli ostaggi l’unica cosa che si deve far entrare a Gaza sono centinaia di tonnellate di esplosivo lanciate dall’aeronautica militare, non un grammo di aiuti umanitari.”

Anche Hananya Naftali, che lavorava per il team digitale del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha postato su X: “ULTIMISSIME: l’aeronautica militare israeliana ha colpito una base terrorista di Hamas dentro un ospedale a Gaza.” Ha velocemente tolto il post.

Più tardi lo stesso giorno un portavoce dell’esercito israeliano ha detto che un “razzo nemico” lanciato contro Israele era uscito dalla traiettoria colpendo l’ospedale. Tali razzi non hanno una potenza esplosiva tale da uccidere 500 persone. Inizialmente l’esercito aveva pubblicato immagini che mostravano un razzo del Jihad Islamico, ma dopo la scoperta che questo video era di 40 minuti successivi al bombardamento, l’esercito ha rimosso il filmato.

Sembra che qualcuno stia facendo gli straordinari al suo laptop per cancellare le tracce dell’attacco contro l’ospedale. C’è persino un audio che rivelerebbe la discussione fra miliziani di Hamas che discuterebbero del fallito lancio, salvo il fatto che, secondo Channel 4 [notiziario britannico, ndt.], sarebbe un falso che usa tono, sintassi e accento sbagliati.

Semaforo verdissimo

Mercoledì, quando Biden è atterrato in Israele, gran parte del tour regionale pianificato era stato cancellato. Tale era la rabbia nella Cisgiordania occupata, in Giordania, Libano ed Egitto che nessun leader arabo per garantire la propria sicurezza ha voluto incontrarlo.

Con centinaia di persone radunate davanti alle ambasciate di USA e Israele in Giordania che invocavano l’espulsione dell’ambasciatore israeliano e la revoca del trattato di pace con Israele, la visita ad Amman è stata annullata. 

Ma poco dopo l’arrivo in Israele Biden si è scavato una fossa ancora più profonda quando ha detto a Netanyahu, a proposito dell’attacco all’ospedale: “Basandomi su quanto ho visto sembra che sia stato fatto dall’altra parte, non da voi.”

Dietro le quinte la politica USA per il Medio Oriente sembrava stesse deragliando.

Per essere chiari le azioni intraprese dagli USA dietro le quinte nel periodo immediatamente seguente all’attacco di Hamas ha spianato la strada alla crisi in cui si trova ora la regione. 

Gli USA non hanno solo dato il semaforo più verde possibile alla campagna di bombardamento mirante a spingere più di un milione di persone dalla metà settentrionale della Striscia di Gaza verso il confine egiziano. Non hanno solo dato a Israele, secondo funzionari della difesa, bombe guidate equipaggiate con il sistema JDAM e parecchie migliaia di proiettili di artiglieria 155 mm.

Secondo vari e credibili rapporti, inizialmente hanno anche cercato di persuadere l’Egitto ad accogliere un milione di rifugiati da Gaza. Al Akhbar [quotidiano in lingua araba pubblicato a Beirut, ndt.] all’inizio ha riferito che gli USA hanno cercato di coordinarsi con l’ONU e “organizzazioni internazionali che ricevono finanziamenti dall’ONU” per convincere il Cairo ad aprire il valico di Rafah. Naturalmente c’era di mezzo una bustarella.

Fonti hanno parlato della possibilità che gli USA dessero dei significativi finanziamenti all’Egitto, oltre 20 miliardi di dollari, se avesse accettato. Hanno menzionato una richiesta del Cairo di “facilitare il trasferimento di molte e numerose organizzazioni operanti nel settore del soccorso al confine con Rafah senza entrare a Gaza”.

Anche il sito egiziano Mada Masr ha riferito che funzionari egiziani si sono consultati sul trasferimento di una significativa parte della popolazione di Gaza. Tale affermazione così delicata ha fatto sì che le autorità egiziane intervenissero pesantemente sul sito: i direttori sono stati convocati e il Consiglio Supremo per la regolamentazione dei media ha iniziato un’indagine sulla pubblicazione di “notizie false”. 

Senza dubbio questi incontri si sono svolti prima che il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi si rendesse conto del pericolo per lui in un anno di rielezioni. 

L’11 settembre di Israele

Gli USA hanno commesso tre errori nella loro reazione all’attacco di Hamas. Hanno incoraggiato Israele a colpire senza limiti, hanno inizialmente contemplato lo scenario di un esodo di massa dei palestinesi in Egitto e hanno portato il Medio Oriente sull’orlo di una guerra regionale. 

Fin dall’inizio la narrazione usata da Israele e dagli USA è stata che per Israele l’attacco di Hamas era paragonabile all’11 settembre, che Hamas non era in alcun modo diverso dallo Stato Islamico e che Israele aveva il dovere morale non solo di rispondere all’attacco di Hamas ma anche di sradicare l’intero movimento.

Ciò ha permesso a Israele di pensare che avrebbe potuto usare raid aerei contro Gaza non solo per distruggere Hamas, ma anche per apportare modifiche strutturali all’equilibrio di potere nel Medio Oriente, cioè confrontarsi con Hezbollah e infine con l’Iran.

Sia Netanyahu che il leader dell’opposizione Benny Gantz hanno alluso a un piano che avrebbe, nelle parole di Gantz, “cambiato la situazione strategica e della sicurezza nella regione”. Non mi è chiaro se gli USA avrebbero permesso a Israele di procedere con un piano più ampio che contro Hamas e Gaza, ma chiaramente il piano c’era.

Michael Milshtein, capo del Forum di Studi Palestinesi presso il centro Moshe Dayan all’università di Tel Aviv scrive: “Questa guerra è molto di più di un conflitto fra Israele e Hamas. In Occidente si sta sviluppando l’idea che la guerra delle Spade di Ferro [nome dell’operazione militare israeliana contro Gaza, ndt.] sia un momento qualificante, un’opportunità unica di rimodellare l’architettura del Medio Oriente che ci si aspetta influenzerà anche i rapporti di potere in tutto il mondo.”

Per alcuni giorni sembrava che l’espulsione forzata di metà di Gaza travestita da corridori umanitari potesse funzionare. Il confine nord con il Libano è rimasto tranquillo. Inizialmente Hezbollah non ha reagito. I media occidentali hanno accettato il piano di conquistare Hamas e rioccupare Gaza.

La svolta è arrivata quando il Segretario di Stato USA Antony Blinken sembra si sia reso conto che un’altra Nakba delle dimensioni di quanto accadde nel 1948 sarebbe stata una linea rossa. 

Dopo un incontro di ministri degli esteri, Ayman Safadi, vice primo ministro giordano, ha detto che tutti i paesi arabi si impegnavano in un’azione collettiva contro ogni tentativo di espellere i palestinesi dalla loro patria. Lo stesso messaggio è arrivato dal re  di Giordania Abdullah II durante il suo recente viaggio europeo.

L’urlo di protesta levatosi da Giordania, Egitto, Turchia e Arabia Saudita è stato tale che Blinken ha dovuto ammettere che “non avrebbe avuto seguito”. Biden ha anche detto che la rioccupazione di Gaza sarebbe stato un “errore enorme”. Il Primo Ministro britannico Rishi Sunak ha detto che tutti dovrebbero evitare l’escalation. 

Tutto ciò è stato accompagnato da altri avvertimenti chiari. Hossein Amir-Abdollahian, ministro degli Esteri iraniano, ha messo in guardia che l’asse della resistenza avrebbe aperto “fronti multipli” contro Israele se gli attacchi contro Gaza fossero continuati, dicendo alla televisione nazionale iraniana: “Non c’è più molto tempo. Se i crimini di guerra contro i palestinesi non si fermano immediatamente, si apriranno altri fronti multipli e questo è inevitabile.”

Se gli USA non capiranno hanno solo da guardare fuori dalla finestra dove ci sono proteste di massa senza precedenti in tutta la regione.

Guerra regionale

All’arrivo di Biden in Israele mercoledì la regione era in ebollizione. A parte la questione morale, l’esercito USA è chiaramente impreparato per tale impresa avendo speso gli ultimi anni a ridurre le sue risorse militari.

Secondo il Wall Street Journal l’anno scorso ha ritirato più di otto batterie di missili Patriot da Iraq, Kuwait, Giordania e Arabia Saudita, oltre a un sistema Terminal High Altitude Area Defense [Difesa d’area terminale ad alta quota] (Thaad) dall’Arabia Saudita. Ha svuotato le scorte di munizioni da 155mm in Israele per mandarli in Ucraina. Ha spostato la marina nel Pacifico.

In poco tempo ha dovuto far marcia indietro. Nel Mediterraneo c’è già una portaerei e un’altra sta arrivando [in realtà è già arrivata. ndt.]. L’ultima volta che gli USA hanno impiegato due portaerei in Medio Oriente fu nel 2020. Insieme alle sue navi ha dovuto riportare nel Golfo gli aerei da attacco A-10 e i caccia F-15 e F-16. 

Tutto ciò dovrebbe costituire un deterrente per l’Iran. Non lo sarà. Non mi capita spesso di citare le analisi su Israele dell’editorialista Thomas Friedman [noto giornalista USA tradizionalmente schierato con Israele, ndt.] del New York Times, ma in questa occasione farò eccezione.

Friedman ha scritto: “Se Israele entra in Gaza adesso farà saltare gli Accordi di Abramo, destabilizzerà ancora di più due dei più importanti alleati dell’America (Egitto e Giordania) e renderà impossibile la normalizzazione con l’Arabia Saudita: una gigantesca battuta di arresto. Permetterebbe anche ad Hamas di incendiare veramente la Cisgiordania e fare partire una guerra di pastori fra i coloni ebrei e i palestinesi. Complessivamente farebbe il gioco della strategia iraniana di attrarre Israele verso una eccessiva espansione imperiale, indebolendo in tal modo la democrazia ebraica dall’interno.”

Hamas non ha bisogno di infiammare la Cisgiordania occupata, dato che ci sono enormi proteste in tutte le città principali per chiedere al Presidente Mahmoud Abbas di andarsene, dopo che le forze dell’Autorità Palestinese (AP) hanno usato proiettili veri contro i manifestanti. Ma sul punto strategico sono d’accordo con Friedman, anche se mi addolora dirlo.

Ha anche ragione a dire che un’invasione di terra di 360.000 soldati israeliani afflitti è la ricetta per massacri forse peggiori e di più vaste dimensioni di quelli mai visti fino ad ora.

Perdita del sostegno

C’è una discussione a Washington su come l’attacco di Hamas abbia cambiate la natura, la velocità e l’estensione del sistema del Medio Oriente sostenuto dagli USA. James Jeffrey, ex ambasciatore USA nella regione, ha detto a Middle East Eye: “La capacità di Hamas di sconfiggere l’intera difesa militare israeliana mette questa guerra sullo stesso piano della guerra dello Yom Kippur (la guerra in Medio Oriente del 1973). Nessun conflitto recente ha minacciato il sistema mediorientale sostenuto dagli USA tanto come questo, e tale lo considera l’amministrazione [Biden].”

Ma questa analisi fa partire il conto alla rovescia fino all’attacco stesso, non a tutti i segnali che l’hanno preceduto: il collasso dell’AP, gli sconfinamenti israeliani nella moschea di Al-Aqsa, l’impossibilità dei negoziati, i tentativi di stringere un accordo con l’Arabia Saudita passando sopra le teste dei palestinesi e l’impossibilità di tutti i palestinesi di uscire dalle gabbie collettive in cui sono rinchiusi.

Potrebbe anche essere che “il sistema mediorientale sostenuto dagli USA”, basato sul cieco supporto a Israele, non funzioni più? La lettera di dimissioni di Josh Paul, un funzionario ad alto livello del Dipartimento di Stato USA, dimissioni causate dalla posizione della sua amministrazione sulla guerra di Gaza, è una lettura interessante.

Paul ha definito l’attacco di Hamas la “mostruosità delle mostruosità”, ma poi continua: “La reazione di questa amministrazione e anche di gran parte del Congresso è una reazione impulsiva, basata su un pregiudizio confermato, sulla convenienza politica, sulla bancarotta intellettuale e sull’inerzia burocratica. Decenni con lo stesso approccio hanno mostrato che la sicurezza in cambio di pace non porta né alla sicurezza né alla pace. Il fatto che un supporto cieco a una parte sul lungo periodo è distruttivo per gli interessi dei popoli di entrambe le parti.”

Forse Biden ha capito il messaggio. Ma, avendo tolto 12 giorni fa il piede dal freno della rabbia collettiva di Israele, adesso avrà un compito difficile per rimettercelo.

Ho parlato prima di deragliamento, e in realtà è un traballante carro tirato da cavalli. Quello che gli scorsi dodici giorni hanno dimostrato più di ogni altra cosa è l’incapacità degli USA a essere un leader mondiale. Manca dei requisiti: capacità analitica, conoscenza della regione e capacità intellettuale. Spara commenti affrettati e solo dopo pensa alle conseguenze. E’ coinvolto in guerre per le quali è palesemente impreparata.

Accecata dal dogma, sempre entusiasta di dividere il mondo in opposizioni manichee: democrazia contro autocrazia, il mondo giudeo-cristiano contro l’Islam, l’America ha perso contatto con i valori che sostiene di difendere. Mentire a favore di Israele sui crimini di guerra che sta commettendo significa difenderlo?

Washington sta perdendo il sostegno dei suoi alleati. Vedendo le azioni degli USA nessuno può avere molta fiducia che siano state veramente meditate. Le conseguenze di questi 12 giorni e di quelli che seguiranno provocherà sconvolgimenti in lungo e in largo. 

Biden ha tutto l’interesse a chiudere l’episodio ora, fermando l’assalto via terra e costringendo a far entrare a Gaza gli aiuti umanitari essenziali. 

Solo allora potranno avvenire i negoziati con Hamas per uno scambio di prigionieri. Se non riesce a ottenere questi obiettivi base, anche lui scoprirà quali danni un Israele senza limiti può infliggere a sè stesso, alla regione, agli USA e invero al mondo. 

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

David Hearst è cofondatore e capo-redattore di Middle East Eye. È commentatore e conferenziere sulla regione e analista dell’Arabia Saudita. Ha scritto di politica estera per il Guardian, è stato corrispondente da Russia, Europa e Belfast. È arrivato al Guardian da The Scotsman, dove era corrispondente per il settore dell’istruzione.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Guerra Israele-Palestina: questa umiliazione ha profondamente scosso la psiche degli israeliani

Tariq Dana

10 ottobre 2023 – Middle East Eye

Per gli israeliani l’esercito è un motivo di orgoglio nazionale, una forza inespugnabile che garantisce la sostenibilità del progetto sionista del colonialismo di insediamento. Non più.

La recente operazione militare contro Israele lanciata da Hamas da Gaza rappresenta un potenziale punto di svolta nel conflitto e potrebbe sostanzialmente riconfigurare le annose dinamiche di potere fra la resistenza palestinese e Israele.

Descritta da un funzionario israeliano come una “data che per la sua infamia perdurerà in Israele”, l’operazione, soprannominata in codice Alluvione Al-Aqsa è riverberata profondamente in Israele e ha sollevato timori fra i suoi alleati sia nella regione che a livello internazionale.

Il 7 ottobre i gruppi della resistenza palestinese a Gaza hanno iniziato una complessa operazione militare con lancio di razzi contro Israele, un massiccio attacco via terra che ha sfondato le barriere difensive israeliane intorno a Gaza.

I combattenti palestinesi sono riusciti a impadronirsi di colonie israeliane e siti militari confinanti con Gaza.

Secondo Hamas, l’operazione ha causato centinaia di morti e migliaia di feriti fra gli israeliani e oltre 100 ostaggi portati a Gaza. Il numero finale delle vittime israeliane potrebbe essere più elevato di quello riferito fino ad ora. 

Se non si sono ancora avvertite tutte le implicazioni, le dimensioni e il coordinamento dell’attacco suggeriscono una capacità operativa audace e avanzata della resistenza palestinese.

L’impatto psicologico sullo status quo, e la sua distruzione, è stato profondo. Israele, la sua aura di supremazia militare scossa, sta vivendo la sua peggiore sconfitta strategica di fronte alla resistenza palestinese dalla sua creazione 75 anni fa.

Umiliazione

L’operazione non ha solo ribaltato le norme stabilite che governano il conflitto di carattere coloniale, ma anche evidenziato la futilità dell’approccio che da tempo Israele ha verso i palestinesi nel mutevole contesto regionale.

Il quadro offerto dai media su questo evento, uno “shock per gli israeliani”, è rivelatore per parecchi motivi.

In primis evidenzia le crescenti capacità della resistenza palestinese di umiliare l’esercito israeliano fortemente sostenuto dagli USA. Questo livello di innovazione tattica fra i gruppi della resistenza palestinese suggerisce un cambio di paradigma.

Storicamente gli scontri fra le fazioni palestinesi e le forze israeliane hanno seguito uno schema ciclico: azioni di rappresaglia e il ritorno a uno status quo fragile, ma in qualche modo prevedibile.

Ma questa operazione è sfuggita a queste norme. Ha mostrato un livello senza precedenti di coordinamento e di pianificazione strategica, tecniche avanzate di guerra elettronica, operazioni psicologiche e tattiche di guerriglia che hanno annullato efficacemente la superiorità tecnologica e la sproporzionata potenza di fuoco di Israele.

La causa immediata di questo crollo va oltre i soli fallimenti di intelligence e sicurezza, perché questi fallimenti derivano dalle tattiche innovative impiegate dai gruppi di resistenza palestinesi.

Esse sono riuscite ad attraversare la “recinzione che uccide automaticamente” a più livelli, disattivando il suo sistema “Vedi-Spara”, una complessa rete di mitragliatrici automatiche e cecchini robot progettati per rafforzare l’area vietata.

I combattenti palestinesi hanno rapidamente smontato, eluso e neutralizzato questa costosa infrastruttura di sicurezza israeliana tanto magnificata, rendendola inefficace e permettendo ai combattenti palestinesi un accesso illimitato nei territori palestinesi sotto il controllo israeliano.

Quindi la dottrina della deterrenza israeliana è completamente crollata.

Reazione a catena

In secondo luogo la destabilizzazione psicologica seguita a questa operazione potrebbe, in molti modi, essere impattante quanto il danno fisico.

Per gli israeliani l’esercito è un motivo di orgoglio nazionale, una forza inespugnabile che garantisce la sostenibilità del progetto sionista del colonialismo di insediamento. Questa patina di invincibilità si è seriamente incrinata, sollevando domande che potrebbero avere conseguenze a lungo termine per la psiche nazionale israeliana e persino per il suo senso di identità.

L’impatto psicologico di questo evento sulla fiducia di Israele nella sua superiorità militare potrebbe potenzialmente penetrare attraverso molti aspetti della sua società. In una cultura dove il militarismo e il servizio militare obbligatorio sono profondamente intrecciati con la vita quotidiana, uno scossone di queste proporzioni potrebbe portare a una profonda crisi di fiducia tra gli israeliani.

Potrebbe avere effetti sul livello di arruolamento, sulla fiducia pubblica nella leadership politica e militare e persino sull’economia israeliana, dato che questa si fonda in modo significativo sulle esportazioni delle sue tecnologie militari e di sicurezza.

La reazione a catena di questo colpo al morale degli israeliani potrebbe essere di vasta scala, andando a colpire il tessuto complessivo della società israeliana.

Terzo, e forse il punto più importante, l’operazione serve come potente testimonianza della perdurante rilevanza e resilienza della causa palestinese sia nelle politiche regionali che in quelle internazionali, nonostante i sistematici sforzi di relegarle ai margini. 

Alcune autocrazie arabe che avevano normalizzato le relazioni con Israele si erano schierate strategicamente avevano liquidato la lotta palestinese come una questione datata e non più centrale nella politica regionale. 

Tuttavia questa audace operazione prova che la determinazione della resistenza palestinese resta cruciale, influenzando non solo le politiche regionali ma anche con ripercussioni su scala internazionale.

La lotta palestinese è spesso stata vista come la cartina al tornasole di posizioni politiche e morali nella regione, influenzando collaborazioni, alleanze e persino politiche interne di Paesi ben oltre le sue immediate vicinanze. 

La ricerca palestinese di giustizia e autodeterminazione continuerà ad avere un enorme impatto sugli affari mediorientali. La ricaduta di questa operazione potrebbe costringere attori regionali e globali a riconsiderare le politiche che hanno minimizzato le aspirazioni palestinesi.

Mentre alcuni hanno sottovalutato la centralità della causa palestinese tra le mutevoli questioni geopolitiche, gli eventi in corso hanno dimostrato che la lotta anticolonialista mantiene ancora un peso significativo nella formazione delle realtà regionali.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Tariq Dana è professore associato per i conflitti e gli studi umanitari dell’Istituto di Studi post-universitari di Doha. È anche consulente politico di Al-Shabaka, la Rete Politica Palestinese.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Guerra Israele-Palestina: come Gaza ha ribaltato la situazione a discapito dei suoi carcerieri

David Hearst

9 ottobre 2023 – Middle East Eye

La responsabilità dell’assalto di questo fine settimana ricade su tutti coloro che da tempo hanno smesso di considerare i palestinesi come persone

Nelle ultime 48 ore uno Stato abituato a esercitare un controllo totale su sette milioni di palestinesi ha subito una drammatica inversione di ruoli.

I combattenti palestinesi hanno preso il posto dei coloni armati che terrorizzano gli abitanti dei villaggi palestinesi riuscendo a prendere il controllo di alcuni insediamenti coloniali adiacenti a Gaza.

Invece degli abitanti di Huwwara o Nablus o Jenin, traumatizzati ogni notte dagli attacchi dei coloni e dalle incursioni dellesercito israeliano, sono stati quelli di Sderot a doversi nascondere rannicchiandosi nei loro scantinati e chiedersi quando il loro esercito sarebbe giunto per proteggerli.

I combattenti palestinesi hanno sequestrato decine di soldati e civili israeliani, che ora si trovano negli scantinati di tutta Gaza.

Nessuno dovrebbe vantarsi di questo. Sono stati uccisi civili innocenti; sono state terrorizzate madri incinte e sono morti bambini. Lattacco ha travolto chiunque si trovasse sul suo cammino, indipendentemente dalle appartenenze politiche, dal sesso o dalletà.

Conosco una donna aspramente contraria al trionfalismo nazionalista religioso di destra e convinta sostenitrice dei diritti umani dei palestinesi che è stata trascinata in uno scantinato a Gaza.

Ma le scene sulle quali il mondo ha perso l’uso della parola non sono queste. Sono quelle di soldati israeliani che portano via palestinesi per farli scomparire in galera per periodi indefiniti di detenzione amministrativa.

Secondo gli ultimi rapporti a Gaza potrebbero esserci quasi 100 prigionieri. Lesercito e le forze di polizia meglio equipaggiati del Medio Oriente hanno subito perdite inaudite (lultimo bilancio, compresi i civili, è di 600 morti e più di 1.500 feriti)[al 12ott i morti israeliani sono 1200 e i feriti oltre 2700, ndt] mentre sono rimasti bloccati in violenti scontri a fuoco strada per strada nei villaggi e nelle città attorno a Gaza.

Colossale fallimento dellintelligence

Questa è la prima volta che si assiste a scene del genere dalla guerra del 1948 che diede origine alla prima Nakba e allo Stato di Israele. Per gli israeliani queste scene sono molto peggiori della guerra arabo-israeliana del 1973, scatenata quasi 50 anni fa.

Nel 1973 abbiamo combattuto con un esercito addestrato, ha detto l’esperto analista israeliano Meron Rapoport a Middle East Eye. E qui parliamo di persone che non hanno altro che un Kalashnikov. È inimmaginabile. È un fallimento militare e di intelligence dal quale Israele impiegherà molto tempo per riprendersi in termini di fiducia in sé stesso”.

Lo sfondamento della recinzione meglio difesa e sorvegliata lungo l’intero confine di Israele e unincursione di queste dimensioni insieme alla cattura del quartier generale militare della divisione dellesercito che controlla Gaza rappresentano il peggior fallimento che i servizi di intelligence israeliani hanno subito nella loro storia.

Hamas ha raggiunto l’obiettivo della totale sorpresa. La famosa unità di intelligence militare israeliana, la 8200, in grado di ascoltare ogni conversazione telefonica a Gaza è stata colta di sorpresa, così come lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interna.

Gli israeliani si chiedono come il loro esercito abbia potuto commettere un errore talmente grande da schierare 33 battaglioni nella Cisgiordania occupata per proteggere i coloni lasciando il confine meridionale vulnerabile agli attacchi.

Tutto ciò ha innescato unonda durto delle dimensioni di uno tsunami che ha investito una nazione così abituata a impersonare i Signori della Terra. In realtà sono loro che dovrebbero far scattare le sorprese, non i loro sudditi.

Rinascere più forti

Solo due settimane fa il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha sventolato davanti allAssemblea generale delle Nazioni Unite una mappa in cui tutti i territori palestinesi erano stati cancellati.

Sono convinto che ci troviamo sulla soglia di una svolta ancora più epica: una pace storica tra Israele e Arabia Saudita. Una pace di questo tipo contribuirà notevolmente a porre fine al conflitto arabo-israeliano, ha affermato Netanyahu.

I funzionari statunitensi non la pensavano diversamente, dal momento che una figura di alto livello dellamministrazione ha affermato che da molti anni a questa parte la regione è pressoché stabile”.

Come in un unico coro Washington, Tel Aviv e Riad hanno parlato della prospettiva che lArabia Saudita firmasse un accordo di normalizzazione con Israele, quasi che questo fosse di per sé la via verso la pace.

Erano tutti diventati così convinti di escludere i palestinesi da questa equazione, come se lintera popolazione palestinese un giorno avrebbe potuto cancellare la propria bandiera e identità nazionale e avrebbe accettato il ruolo di Gastarbeiter [lavoratore ospite in tedesco, ndt.] nella terra di qualcun altro.

Ora è stato inviato un messaggio molto chiaro: i palestinesi esistono e non sono affatto in procinto di venire sottomessi.

Ogni volta che sono stati annientati come forza combattente, nel 1948, 1967, 1973 e in ogni operazione successiva, rinasceva più forte una nuova generazione di combattenti. E nessuna versione passata di Hamas o Hezbollah è più forte di quelle che Israele si trova ad affrontare oggi.

Hamas ha definito il suo attacco al sud di Israele il diluvio di Al-Aqsa per unottima ragione. Questo attacco non è venuto dal nulla.

Lo status quo di Al-Aqsa

L’8 ottobre 1990, esattamente 33 anni fa, un gruppo di coloni e i Fedeli del Monte del Tempio, un gruppo di estrema destra che pretendeva di svolgere un sacrificio rituale sul Monte del Tempio, un atto proibito dal rabbino capo di Israele, tentarono di porre una prima pietra per la costruzione del Terzo Tempio presso la Moschea di Al-Aqsa.

La popolazione palestinese della Città Vecchia oppose resistenza, lesercito israeliano aprì il fuoco e in pochi minuti vennero uccisi più di 20 palestinesi, con altre centinaia di feriti e arrestati.

Da allora i leader israeliani sono stati continuamente avvertiti di mantenere lo status quo in un luogo sacro rivendicato da entrambe le religioni, e ogni anno hanno ignorato quegli ammonimenti forzando il divieto.

E così anche oggi, quando Al-Aqsa è stata presa dassalto ripetutamente per consentire ai fedeli ebrei laccesso al sito islamico dove visite, preghiere e rituali non graditi da parte dei non musulmani sono vietati sulla base di accordi internazionali pluridecennali.

Un tempo queste violente incursioni erano opera di quelli che tra gli ebrei erano considerati gruppi marginali di estremisti. Ora non più. Adesso sono guidati da Itamar Ben Gvir, che sfila con il titolo di ministro della sicurezza nazionale israeliana.

Giorno dopo giorno, con il sostegno dei parlamentari del Likud, come Amit Halevi, viene elaborata una politica volta a dividere la moschea di Al-Aqsa tra ebrei e musulmani, proprio come fu divisa la moschea Ibrahimi a Hebron negli anni 90.

Ben Gvir, il ministro con il potere di nominare il capo della polizia israeliana, non ha risparmiato i cristiani dalle sue politiche fasciste. Quando cinque ebrei ortodossi sono stati arrestati dalla polizia con laccusa di aver sputato contro i fedeli cristiani nella Città Vecchia di Gerusalemme, il ministro ha risposto: Continuo a pensare che sputare contro i cristiani non sia un reato penale. Penso che dobbiamo intervenire attraverso listruzione e leducazione. Non tutto giustifica un arresto”.

Silenzio internazionale

La pressione continua ad aumentare, sia ad Al-Aqsa che nello spaventoso bilancio quotidiano delle vittime palestinesi, la maggior parte dei quali giovani. Human Rights Watch ha rilevato che nell’arco di più di 15 anni questultimo, fino alla fine di agosto, è stato il più sanguinoso per i minorenni palestinesi nella Cisgiordania occupata, con almeno 34 minori uccisi.

E ciò viene accolto con il silenzio della comunità internazionale, la cui attenzione resta concentrata solo sugli scambi commerciali tra il Mar Rosso e Haifa.

Se c’è qualcuno responsabile dello spargimento di sangue di questo fine settimana e dei massacri di civili che, come è vero che la notte segue il giorno, sono destinati a verificarsi a Gaza mentre lesercito israeliano lancia unoffensiva di terra, sono tutti i leader stranieri che dicono che Israele condivide i loro valori. Tutti questi leader permettono a Israele di dettare la politica, anche se questa danneggi palesemente la loro.

Qualunque cosa accada nei prossimi giorni e settimane a Gaza, e Israele ha già scatenato una vendetta selvaggia a prescindere dallassenza di un obiettivo militare, Hamas ha senza dubbio segnato una vittoria significativa.

Ha portato con sé giornalisti e operatori televisivi che hanno registrato tutto ciò che è accaduto. Queste riprese parleranno a ogni giovane palestinese e arabo che le vedrà.

Le riprese mostrano i palestinesi che ritornano nelle terre da cui i loro padri erano stati cacciati. I rifugiati costituiscono il 67% della popolazione di Gaza, provenienti principalmente dalle terre intorno a Gaza che Hamas ha temporaneamente liberato.

Questo fine settimana hanno esercitato con la forza delle armi il diritto al ritorno che era stato tolto dal tavolo delle trattative 23 anni fa.

Le immagini diranno a tutti i palestinesi che la resistenza non è una causa persa contro un nemico estremamente potente. Diranno che la loro volontà di resistere è più potente di quella del loro oppressore.

Lo scenario è cambiato per sempre

Non ho dubbi che ora i civili palestinesi pagheranno un prezzo enorme mentre Israele persegue la sua vendetta biblica. Ai più di due milioni di persone nella Striscia è stata già tagliata lelettricità.

Ma non ho neanche dubbi che dopo questi eventi le cose non torneranno più come prima.

Dopo aver negato per generazioni lesistenza della Nakba, i parlamentari israeliani ne stanno ora programmando apertamente unaltra. Ariel Kallner ha twittato: Cancellate il nemico adesso! Questo giorno è la nostra Pearl Harbor. Impareremo ancora dalle lezioni. Ora un obiettivo: la Nakba!

Netanyahu non è da meno con il suo appello a tutti i palestinesi di Gaza affinché lascino le loro case, come se ci fosse un posto dove andare.

Se Israele volesse davvero scatenare una guerra regionale un tentativo di ripetere quanto accaduto nel 1948 sarebbe il modo più rapido per farlo. Né lEgitto né la Giordania lo tollererebbero, e i loro accordi di pace con Israele diventerebbero nulli.

Una guerra regionale coinvolgerebbe il movimento di resistenza meglio equipaggiato della regione: Hezbollah, che domenica ha iniziato uno scontro a fuoco con Israele al confine libanese, potrebbe essere riluttante a farsi coinvolgere ma potrebbe anche esservi trascinato dentro. Hezbollah segnala da tempo che unincursione di terra a Gaza costituirebbe per loro una linea rossa.

Nel corso dell’anno i leader politici di Hamas hanno visitato Beirut e hanno avuto incontri con il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Secondo alcune fonti sarebbe già stata presa una decisione riguardo ad una mobilitazione generale. Da tutto ciò si può supporre che il dito di Hezbollah sia sul grilletto.

Israele dovrà anche fare i conti col fatto che Hamas detiene decine di ostaggi. La Direttiva Annibale, un ordine militare top-secret secondo il quale Israele dovrebbe colpire i propri soldati per evitare che cadano nelle mani del nemico, non è più in vigore.

Né lo è lidea che a Gaza 2,3 milioni di persone possano essere rinchiuse in una gabbia costrette a seguire una dieta a basso contenuto proteico e che il loro carceriere butti via le chiavi.

Questa è l’esplosione che io e altri avevamo da tempo avvertito sarebbe arrivata. Ho detto che se Israele non avesse invertito la rotta avviando negoziati seri su una soluzione giusta a questa crisi con la concessione ai palestinesi degli stessi diritti degli ebrei ci sarebbe stata una risposta. Ora è successo. Quando tutto sarà finito lo scenario non sarà più lo stesso.

Mentre tre famiglie allargate di Gaza venivano spazzate via dal colpo diretto sulle loro case da parte delle bombe di precisione israeliane, Rishi Sunak, il primo ministro del Paese che ha più responsabilità di ogni altro per questo conflitto, ha detto che la Gran Bretagna è inequivocabilmente dalla parte di Israele, e ha illuminato Downing Street con una stella di David. Nel frattempo il suo ministro degli Interni ha detto che chiunque venga sorpreso a manifestare per le strade in solidarietà con la Palestina sarà arrestato. Di conseguenza il Regno Unito ha abbandonato qualsiasi suo possibile ruolo futuro nel porre fine a questo terribile conflitto.

La responsabilità di quanto accaduto lo scorso fine settimana ricade su tutti coloro che si sono illusi di pensare che le successive generazioni di leader israeliani avrebbero potuto cavarsela impunemente nel fare quello che volevano. La responsabilità ricade su tutti coloro, compresa la maggior parte dei dittatori arabi, che hanno smesso di considerare i palestinesi come un popolo. Nelle settimane e mesi a venire ognuno imparerà una lezione dolorosa.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Guerra Israele-Palestina: gli è stato detto di lasciare le loro case. Lo hanno fatto. Eppure sono stati bombardati.

Maha Hussaini, Gaza City, Palestina occupata

9 ottobre 2023 – Middle East Eye

Ai palestinesi di Beit Hanoun è stato intimato dall’esercito israeliano di lasciare le proprie case e dirigersi al centro città. Ore dopo il centro città è stato preso di mira.

Domenica i palestinesi di Beit Hanoun sono stati svegliati da esplicite istruzioni da parte dell’esercito israeliano: lasciate le vostre case e recatevi in centro città.

L’avviso, che normalmente precede la maggior parte dei bombardamenti aerei israeliani, non è stato una gran sorpresa, dato che le bombe israeliane erano piovute sulla Striscia di Gaza assediata per tre giorni di seguito.

Molti a Beit Hanoun, un’area densamente popolata nel nordest di Gaza, hanno seguito il consiglio.

Sono andati verso ovest, a circa due chilometri di distanza, verso il campo profughi di Jabalia, nella speranza di trovare un luogo relativamente sicuro.

Invece hanno trovato la morte.

Gli aerei da combattimento israeliani hanno bombardato due edifici nel principale mercato del campo, uccidendo almeno 50 persone, a detta del Ministero della Salute di Gaza.

Stavo guidando la macchina e mi ero quasi immesso in strada, improvvisamente il cielo si è infiammato di una immensa luce”, ha detto a Middle East Eye Muhammed Lubbad, un abitante di Gaza, poco dopo gli attacchi.

Improvvisamente c’erano persone sul tetto della mia macchina, la gente è stata letteralmente scaraventata in aria. Alcuni corpi sono stati trovati sui tetti degli edifici. Nelle strade c’erano corpi di bambini, qualche testa mozzata, la testa gettata fuori dall’edificio e il corpo all’interno”, ha aggiunto.

Mentre lui cerca di ricomporsi, l’auto di Lubbad reca i segni del devastante raid, con il sangue dei passanti sparso ovunque.

Ancora non mi rendo conto di cosa è successo”, dice. “Sono state uccise decine di persone, compresi autisti di taxi, pedoni e commercianti. Quasi tutti quelli che si trovavano dentro il centro commerciale di Rabaa sono stati uccisi. Nessuno vi è rimasto vivo.

E’ un massacro che nessuno immaginava potesse accadere.”

Israele ha lanciato attacchi aerei su Gaza sabato dopo che combattenti del territorio assediato e impoverito hanno scatenato un attacco senza precedenti contro la barriera di sicurezza che controlla i movimenti dei palestinesi in ingresso e in uscita da Israele.

Dopo aver lanciato migliaia di razzi e mandato centinaia di combattenti al di là del confine per terra, aria e mare, i combattenti palestinesi hanno ucciso almeno 800 israeliani e preso oltre 100 ostaggi.

Solo nelle ultime 24 ore l’aviazione di Israele ha lanciato almeno 2.000 munizioni e più di 1.000 tonnellate di esplosivi sulla Striscia assediata.

Edifici residenziali di molti piani, attività commerciali, moschee, ospedali e banche sono stati tutti presi di mira, con almeno 560 palestinesi morti confermati e più di 2.900 feriti.

Molti a Gaza hanno detto a MEE di essersi rassegnati ad ulteriori uccisioni.

Da un luogo preso di mira ad un altro’

Muhammed Abdallah, abitante del campo profughi di Jabalia, si trovava in casa quando è avvenuto l’attacco.

Gli attacchi aerei hanno fatto tremare la casa, i miei nipoti sono stati scaraventati contro il muro e i vetri delle finestre in frantumi li hanno feriti. Li abbiamo presi in braccio e siamo scesi in strada cercando un’ambulanza o qualche assistenza, solo per scoprire che l’intera zona era disseminata dei corpi degli uccisi”, ha detto Abdullah a MEE.

Mucchi di corpi, centri commerciali in fiamme, case abbattute, auto distrutte. In strada c’erano più di 50 corpi. Non sapevamo che cosa fare.

Chi di noi poteva trasportare delle vittime mentre fuggiva dalla zona, lo ha fatto.”

Abdullah ha detto che la maggioranza delle persone uccise si erano spostate dalle zone vicine dopo aver ricevuto messaggi dalle forze israeliane che li esortavano a recarsi in centro città.

Abbiamo preso dei taxi per l’ospedale per curare quelli [dei nostri bambini] che erano feriti e abbiamo evacuato gli altri nel quartiere di Rimal. E adesso abbiamo appena ricevuto messaggi che ci spingono a lasciare la zona di Rimal. Li abbiamo portati da un luogo preso di mira ad un altro che sarà preso di mira”, ha detto.

Ora non sappiamo dove portarli.”

Densamente popolata

Le zone prese di mira erano vicino ad una scuola gestita dall’agenzia ONU che si occupa dei rifugiati palestinesi (UNRWA). Più di 20.000 palestinesi hanno cercato rifugio in 44 scuole gestite dall’UNRWA.

Più del 60% dei palestinesi a Gaza sono rifugiati, in seguito all’espulsione delle famiglie da altre parti della Palestina nel 1948.

Affiancata da Israele ed Egitto sulla costa mediterranea, la Striscia di Gaza è una delle aree più densamente popolate al mondo.

Circa il 97% dell’acqua potabile di Gaza è contaminata e gli abitanti sono costretti a vivere con costanti interruzioni di elettricità a causa di una rete elettrica che è stata gravemente danneggiata in ripetuti attacchi israeliani.

Al tempo stesso quasi il 60% dei palestinesi vive in povertà e la disoccupazione giovanile è al 63%.

Secondo l’UNRWA gli anni di conflitto e assedio hanno reso l’80% della popolazione di Gaza dipendente dall’assistenza internazionale.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Le forze israeliane aprono il fuoco in una scuola in Cisgiordania durante un raid

Redazione MEE

2 ottobre 2023 – Middle East Eye

Il Ministero dell’Istruzione ha sospeso le lezioni nel villaggio di Burqa dopo che un bambino è stato ferito dalle forze israeliane che avevano fatto irruzione nella scuola

Lunedì nel villaggio di Burqa, a nord-ovest della città occupata di Nablus, in Cisgiordania, sono state sospese le lezioni dopo che il giorno prima le forze israeliane avevano aperto il fuoco nella scuola.

I militari israeliani hanno fatto irruzione nella scuola sparando proiettili veri e gas lacrimogeni e hanno lasciato un bambino ferito e altre decine con intossicazione da inalazione di fumo.

Il governatore ad interim di Nablus, Ghassan Daghlas, ha affermato che la decisione di chiudere la scuola è stata presa per preservare la sicurezza degli studenti alla luce dell’aggressione israeliana.

Secondo i media locali a Masafer Yatta, situata a sud della città di Hebron in Cisgiordania, le forze israeliane hanno anche impedito agli insegnanti di accedere a 27 scuole.

Le forze israeliane hanno posizionato barriere e grandi cubi di cemento per bloccare le strade onde impedire l’accesso alle scuole e interdire l’uscita delle persone dall’area.

Secondo quanto riportato sui media locali i raid e l’iniziativa di bloccare l’accesso alle scuole facevano parte della ricerca da parte delle forze israeliane dell’autore di un attacco a fuoco che ha danneggiato le case dei coloni a Hebron.

Raid nella Città Vecchia

Il raid nella scuola e il blocco delle strade sono avvenuti lo stesso giorno in cui le forze israeliane hanno fatto irruzione in alcune parti della Città Vecchia di Gerusalemme.

I video online mostrano soldati armati fino a i denti picchiare e attaccare donne palestinesi anziane mentre camminano per la Città Vecchia.

Gli attacchi coincidono con la festa ebraica di Sukkot, durante la quale vengono rafforzate le misure di sicurezza per dare via libera ai fedeli ebrei per compiere i loro riti religiosi nella Città Vecchia.

Domenica e lunedì centinaia di coloni israeliani hanno preso d’assalto anche i cortili della moschea di al-Aqsa.

Le forze israeliane hanno imposto restrizioni all’ingresso dei fedeli nella moschea e hanno aggredito i palestinesi che cercavano di entrare nel sito.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Regno Unito e Israele: è iniziata la lotta contro la strumentalizzazione dell’antisemitismo?

Jonathan Cook

25 settembre 2023 – Middle East Eye

Organizzazioni e accademici ebraici stanno finalmente smascherando la campagna diffamatoria dellestablishment britannico per mettere a tacere le critiche nei confronti di Israele e distruggere la sinistra

Secondo un nuovo sondaggio condotto nelle università britanniche unondata di accuse di antisemitismo molto compromettenti ma infondate si è scatenata contro studenti e accademici.

In 38 dei 40 procedimenti contro docenti, studenti, sindacati e associazioni studentesche nei cinque anni fino al 2022 non è stata trovata alcuna prova a sostegno delle accuse di antisemitismo. Negli altri due casi i procedimenti devono ancora concludersi.

Dietro le nude cifre si cela lenorme costo sostenuto dagli incriminati per tali false accuse: sofferenza personale, danni alla reputazione e alla carriera, nonché lulteriore effetto dissuasivo sulla libertà accademica nella più ampia comunità universitaria.

È improbabile che questo sia uno spiacevole effetto collaterale di quelle accuse. Sembra esserne esattamente lo scopo.

Questo mese Brismes, un’organizzazione che rappresenta gli accademici britannici che studiano il Medio Oriente, ha pubblicato in una relazione i risultati di un sondaggio da cui emerge che il numero delle accuse errate o calunniose di antisemitismo sarebbe in crescita.

Londata di accuse si è scatenata dopo che le università hanno iniziato ad adottare la definizione revisionata e altamente controversa di antisemitismo promulgata dallInternational Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) nel 2016.

Fino ad ora 3/4 delle università hanno approvato la definizione dopo che nel 2020 Gavin Williamson, in qualità di Ministro dellIstruzione, ha minacciato di tagliare i finanziamenti a chiunque si rifiutasse di farlo.

La maggior parte degli 11 esempi illustrativi dell’IHRA, alcuni dei quali, come rileva il rapporto, contraddicono la definizione principale, sposta l’attenzione dal significato tradizionale di odio verso gli ebrei per focalizzarsi sulla critica a Israele.

Come molti hanno paventato, ciò ha fornito ai più convinti sostenitori di Israele uno strumento che possono usare per diffamare chiunque esprima solidarietà con i palestinesi contro loppressione israeliana, intimidendo il pubblico e costringendolo a un silenzio complice.

In verità questo è sempre stato lobiettivo. La definizione dellIHRA è nata dagli sforzi segreti del governo israeliano di offuscare le tradizionali distinzioni tra antisemitismo e antisionismo per proteggersi dai critici, tra cui le organizzazioni per i diritti umani che mettono in evidenza il regime di apartheid di Israele contro i palestinesi.

I critici messi a tacere

L’ufficializzazione della definizione dell’IHRA ha rischiato di violare il dovere legale della Gran Bretagna di proteggere la libertà di parola. Il governo del Regno Unito è uno dei firmatari della Convenzione europea sui diritti umani e, paradossalmente, a maggio ha approvato una Legge sullIstruzione Superiore (libertà di Parola).

La legge è apparentemente progettata per “garantire agli studenti la possibilità di parlare liberamente dentro e fuori l’aula, offrendo allo stesso tempo maggiore protezione agli accademici che insegnano materie che potrebbero offendere alcuni studenti”.

Ciò potrebbe spiegare perché la task force governativa sullantisemitismo abbia voluto reclamizzarne il riscontro da parte delle università che, a suo dire, dimostrerebbe come ladozione della definizione IHRA non abbia avuto alcun impatto sulla libertà accademica.

Le prove raccolte da Brismes, supportate dalla ricerca dellEuropean Legal Support Centre, sembrano sfatare tale affermazione. La strumentalizzazione dell’antisemitismo sta creando nei campus universitari un clima che sempre più interdice la discussione sui crimini israeliani.

Ma la lezione da imparare dalla crescente strumentalizzazione dellantisemitismo nel mondo accademico non si limita alle università. Come Middle East Eye ha regolarmente documentato, tattiche diffamatorie simili, invariabilmente basate sulla definizione dellIHRA, sono state utilizzate per anni per mettere a tacere attivisti politici, organizzazioni per i diritti umani, illustri personaggi della cultura e palestinesi.

Lobiettivo dellestablishment britannico è stato quello di utilizzare la definizione IHRA per ripulire del tutto il discorso politico e sociale riguardante Israele lasciandovi solo le critiche più blande.

Questo contesto consente al Regno Unito di intensificare i legami commerciali con Israele e di approvare leggi che concedono a Israele protezioni speciali nel momento in cui è stato raggiunto un consenso da parte della comunità internazionale per i diritti umani sul fatto che Israele è uno stato di apartheid e dopo che lanno scorso il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha incluso nel suo nuovo governo alcuni politici autoproclamatisi fascisti.

Senza un minimo segno contrario da parte del partito laburista allopposizione, il disegno di legge sullattività economica degli enti pubblici del governo britannico negherà a enti pubblici quali le autorità locali il diritto di sostenere il boicottaggio, le sanzioni e le campagne di disinvestimento contro Israele per la sua oppressione dei palestinesi.

La verità orwelliana della politica ufficiale è questa: più i crimini di Israele vengono resi pubblici, meno ci è permesso di parlarne o fare qualcosa.

Azione legale

Il rapporto Brismes è il segnale tardivo di una ribellione. Così come la decisione questo mese di attivisti politici ebrei di allertare la Commissione per le Uguaglianze e i Diritti Umani (EHRC) sul trattamento discriminatorio del partito laburista sotto la guida di Keir Starmer nei confronti di membri ebrei.

Jewish Voice for Labour (JVL), che rappresenta gli ebrei di sinistra nel partito, ha inviato una denuncia formale al Labour, preparata dallo studio legale Bindmans, accusandolo di “discriminare illegalmente i suoi membri ebrei e illegalmente vessarli “.

La lettera, inviata anche allorganismo di vigilanza per le pari opportunità, sostiene che gli ebrei vengono penalizzati, invariabilmente sulla base della definizione dellIHRA, a causa delle loro critiche espresse nei confronti di Israele. Lascia intendere che se le preoccupazioni dell’organizzazione non venissero affrontate potrebbero seguire delle azioni legali.

JVL specifica che i membri ebrei del Labour sentono una speciale responsabilità morale di parlare apertamente della brutalità israeliana nei confronti dei palestinesi perché quell’oppressione è portata avanti da Israele in nome di tutti gli ebrei.

Ciononostante, le statistiche sul Labour mostrano che i componenti ebrei del partito hanno probabilità sei volte maggiori rispetto ai non ebrei di essere indagati per antisemitismo, e quasi dieci volte di essere espulsi dal partito.

La lettera aggiunge che le vessazioni nei confronti dei componenti ebrei di sinistra da parte della sede centrale del partito laburista comprendono un “severo regime disciplinare” che li sottopone a indagini, nonché una riluttanza a prendere sul serio le loro denunce. undici dei dodici membri ebrei del comitato esecutivo della JVL sono stati indagati.

L’anno scorso John McDonnell, ex cancelliere ombra, scrisse lui stesso al partito ammonendo che un trattamento “irrispettoso” verso membri della JVL avrebbe costituito una discriminazione.

Jenny Manson, una delle fondatrici di JVL, ha detto a MEE che agli iscritti ebrei sottoposti a provvedimento disciplinare per presunta condotta antisemita veniva spesso richiesto di ricevere una formazione sull’antisemitismo nel caso volessero restare nel partito.

È una beffa crudele, persino brutale, etichettare questi membri ebrei come antisemiti quando essi possiedono un’esperienza e una comprensione approfondita del vero antisemitismo”, afferma.

I laburisti, aggiunge, non solo sembravano tollerare la loro rappresentazione come untipo sbagliato di ebrei, ma spesso appoggiavano implicitamente questa etichettatura razzista rifiutandosi di affrontare il problema dei comportamenti vessatori nei loro confronti.

Evidenze insabbiate

La notifica da parte della JVL al garante delle pari opportunità sul trattamento abusivo verso i membri ebrei del partito probabilmente metterà in imbarazzo Starmer. Richiama alla mente le affermazioni fatte contro il suo predecessore, Jeremy Corbyn.

Nel caso di Corbyn, a differenza di Starmer, non cerano prove al di là delle insinuazioni alimentate dai media che il Labour discriminasse gli ebrei o assecondasse lantisemitismo.

Ciononostante nel 2018 due organizzazioni filo-israeliane hanno deferito i laburisti alla EHRC sostenendo che sotto Corbyn lantisemitismo dilagasse. L’organismo di vigilanza aveva condotto un’indagine, la prima su un importante partito politico, i cui risultati sono stati divulgati due anni dopo.

Anche basandosi sulla definizione dellIHRA la Commissione per le Uguaglianze aveva potuto identificare solo due casi di ciò che ha definito vessazioni antisemite, in ogni caso da parte di una singola persona e non di strutture di partito.

In effetti la conclusione principale, sepolta sia nel rapporto che nella copertura mediatica, è stata che, quando i funzionari di Corbyn discriminavano interferendo nelle procedure disciplinari per antisemitismo, di solito erano a favore dei denuncianti. In altre parole, il partito laburista sotto Corbyn ha definito ingiustamente alcuni comportamenti come antisemiti pur mancando di prove.

Leccessiva solerzia da parte della squadra di Corbyn di sospendere o espellere membri per antisemitismo sulla base di prove inconsistenti non era affatto sorprendente, dato che tutti i media britannici stavano dipingendo i laburisti sotto la guida di Corbyn come un covo di antisemiti.

L’anno scorso unindagine indipendente di Martin Forde del King’s College, ordinata da Starmer, ha rivelato che la questione dellantisemitismo è stata utilizzata faziosamente come arma principalmente per danneggiare Corbyn e i suoi sostenitori di sinistra e rafforzare la destra laburista.

Linchiesta di Forde ha confermato molte delle rivelazioni contenute in un rapporto interno trapelato che dimostrava come la burocrazia laburista di destra avesse complottato contro Corbyn tirando per le lunghe dei casi disciplinari per metterlo in imbarazzo e cercando attivamente di sabotare la sua campagna elettorale del 2017.

Starmer ha fatto del suo meglio per insabbiare il rapporto Forde sin dalla sua pubblicazione lo scorso anno. Si sta anche preparando a rischiare fino a 4 milioni di sterline (4,6 milioni di euro) in spese legali per fare causa ad ex membri dello staff di Corbyn che accusa di aver fatto trapelare il rapporto.

Il partito laburista non ha risposto alla richiesta di commento di Middle East Eye.

Politica truccata

Paradossalmente ora, sotto la guida di Starmer, la discriminazione contro gli ebrei da parte dei laburisti è quantificabile: i membri ebrei critici nei confronti di Israele sono stati presi di mira in misura sproporzionata.

Un risultato del genere era ciò contro cui la squadra di Corbyn aveva esplicitamente messo in guardia durante la sua dirigenza, pur sottoposto com’era a forti pressioni da parte dei media e delle organizzazioni lobbistiche filo-israeliane.

Nonostante lesiguità delle prove contro Corbyn, lEHRC ha imposto al Labour un piano dazione, monitorandolo efficacemente per prevenire la continuazione o il ripetersidi atti illegittimi legati allantisemitismo. Piano d’azione che, ha aggiunto, “in caso di inadempienza sarebbe stato imposto giuridicamente dal tribunale”.

A quanto pare Jewish Voice for Labour sta smascherando il bluff dell’EHRC. Quando Corbyn era leader lorganismo per le pari opportunità era stato fin troppo pronto a indagare sui laburisti, anche sulla base di deboli prove di antisemitismo e vessazioni nei confronti degli ebrei.

Sottoporrà Starmer ad una indagine simile, soprattutto quando le prove di vessazioni contro dei membri ebrei del partito sembrano schiaccianti e il piano d’azione di chi controlla le pari opportunità viene così palesemente ignorato?

Non contateci troppo. Gia a gennaio lEHRC ha liberato i laburisti dalle misure speciali.

Un portavoce dell’EHRC ha detto a Middle East Eye che la commissione era “soddisfatta di come [il partito laburista] avesse implementato gli interventi migliorativi necessari riguardo le procedure di reclamo, tesseramento, formazione e altre sulla base degli standard legali richiesti”.

Come aveva comunicato Corbyn in risposta alla pubblicazione del rapporto della commissione nel 2020, la portata dellantisemitismo nel Labour sotto la sua guida è stata fortemente sopravvalutata per ragioni politiche dai nostri avversari allinterno e allesterno del partito. Quegli avversari hanno vinto.

Tuttavia la mancanza di preoccupazione per il fatto che gli ebrei vengano discriminati così apertamente da uno dei due maggiori partiti britannici dimostra quanto Corbyn avesse ragione.

Il furore non ha mai riguardato lantisemitismo o il benessere degli ebrei. Per alcuni si è trattato di mettere a tacere le critiche a Israele mentre per altri di impedire a un socialista moderato di avvicinarsi al numero 10 di Downing Street.

Starmer, che ha posto in cima al suo programma patriottismo, NATO e grandi imprese, non ha nulla da temere. A nessuno al potere importa quanto il suo partito perseguiti gli ebrei quando quegli ebrei sono di sinistra.

La strumentalizzazione dellantisemitismo sta ancora servendo al suo scopo: ha schiacciato politicamente la sinistra usando Israele come clava ed è ora impegnato a soffocare le discussioni nelle università che avrebbero potuto mettere in luce quanto fosse fasulla e politicizzata la campagna contro la sinistra.

Ecco perché la controffensiva è importante. Non si tratta solo di mettere le cose in chiaro. Si tratta di scoprire quanto sia veramente truccata la politica britannica.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Jonathan Cook è autore di tre libri sul conflitto israelo-palestinese e vincitore del Premio Speciale Martha Gellhorn per il giornalismo. Il suo sito web e il blog sono disponibili all’indirizzo www.jonathan-cook.net

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Gaza: nel 2023 Israele ha negato cure salvavita a “due minori palestinesi al giorno”.

Maha Hussaini

 

13 settembre 2023 – Middle East Eye

Secondo Save the Children in sei mesi quasi 400 minori malati di Gaza sono stati privati della possibilità di lasciare l’enclave assediata alla volta della Cisgiordania.

Gaza city, Palestina occupata.

Secondo un nuovo rapporto di Save the Children le autorità israeliane hanno impedito trattamenti salvavita a quasi 400 minori palestinesi a Gaza nel corso della prima metà del 2023.

Ogni mese una sconcertante media di 60 giovani pazienti non ha avuto il permesso di recarsi nella Cisgiordania occupata per ricevere cure mediche urgenti, il che significa oltre due minori al giorno.

Questi dinieghi hanno lasciato i minori privi di accesso ad interventi chirurgici cruciali e a farmaci d’urgenza che non sono disponibili nell’enclave assediata.

Alcuni sono minori gravemente malati, che non hanno altra scelta se non lasciare Gaza per sopravvivere”, ha affermato in una dichiarazione Jason Lee, direttore di Save the Children nel territorio palestinese occupato.

Negare ai minori l’assistenza sanitaria è disumano e una violazione dei loro diritti.”

L’organizzazione con sede a Londra ha detto che solo in maggio le autorità israeliane hanno respinto o inevaso le richieste di 100 minori per ottenere permessi di uscita attraverso il valico di Beit Hanoun (Erez), sotto il controllo di Israele, nel nord della Striscia di Gaza.

Nello stesso mese almeno sette minori comparivano fra i 33 palestinesi uccisi nell’attacco israeliano contro Gaza tra il 9 e il 13 maggio 2023.

Lasciati a morire

A causa della grave carenza di attrezzature e personale medico, una considerevole quota di pazienti a Gaza, in particolare quelli affetti da patologie come il cancro e le malattie croniche, devono ottenere impegnative mediche finanziate dall’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) per poter farsi curare nella Cisgiordania occupata o in Israele.

Dopo aver ottenuto le prescrizioni e le coperture finanziarie per le cure mediche, i pazienti devono poi fare domanda per il permesso di uscita israeliano per poter lasciare la Striscia attraverso il valico di Beit Hanoun, l’unico passaggio via terra per i palestinesi che vogliono muoversi tra Gaza e il resto dei territori palestinesi occupati.

Uno su 10 pazienti che richiedono permessi di uscita muoiono entro sei mesi dalla prima domanda.

Inoltre affrontano un periodo di attesa di quasi cinque settimane perché ogni domanda passi le procedure delle autorità israeliane.

Nel 2022 tre minori palestinesi sono morti dopo mesi di attesa dei permessi di uscita israeliani che avrebbero loro permesso di attraversare il confine ed accedere alle cure mediche salvavita nella Cisgiordania occupata. Tra loro vi erano il sedicenne paziente di leucemia Salim al-Nawati e Fatima al-Masri di 19 mesi.

Masri, che soffriva di un difetto del setto cardiaco atriale (un foro nel cuore), era nata dopo otto anni di matrimonio ed è morta dopo che le autorità israeliane hanno lasciato inevase cinque richieste inoltrate dai suoi genitori per farle rilasciare un permesso di uscita.

Ho inoltrato la prima domanda alla fine del 2021 ed ho avuto un appuntamento il 26 dicembre, ma poco prima di quella data ho ricevuto un messaggio che diceva che la domanda era oggetto di riesame” ha detto a MEE tempo fa il padre di Masri, Jalal.

Sono passato nuovamente attraverso la stessa lunga procedura per inoltrare un’altra domanda ed ho avuto un nuovo appuntamento per il 13 febbraio. Tre giorni prima ho ricevuto di nuovo lo stesso messaggio. Allora ho inoltrato una terza domanda per avere un altro appuntamento il 6 marzo, che è stato rinviato fino al 27 marzo e poi al 5 aprile. Fatima è morta 11 giorni prima di quella data.”

Complesse restrizioni alle cure mediche

Devastato da 16 anni di assedio israeliano e da ripetuti attacchi militari, il sistema sanitario di Gaza affronta enormi sfide, con le severe restrizioni da parte di Israele all’ingresso di forniture mediche, attrezzature e farmaci vitali.

Secondo il Ministero della Sanità palestinese a Gaza, a maggio circa 224 articoli farmaceutici (il 43% dell’elenco di farmaci essenziali) e 213 prodotti medici monouso (il 25% dell’elenco essenziale) erano a scorta zero.

Mentre a decine di migliaia di pazienti sono concesse ogni anno prescrizioni mediche fuori da Gaza dall’ANP, a quasi un terzo dei gazawi vengono negati da Israele i permessi di uscita .

Nel 2022 circa il 33% delle 20.295 richieste di permesso di pazienti inoltrate alle autorità israeliane è stato respinto o rinviato. Ciò comprende come minimo il 29% di richieste inoltrate a nome di pazienti minori, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

Tuttavia i dinieghi di permesso non sono la sola sfida che i pazienti di Gaza affrontano attraverso la lunga procedura per ottenere adeguate cure mediche fuori dalla Striscia.

Nella maggior parte dei casi, circa il 62% delle volte, le autorità israeliane hanno respinto o rinviato le domande di permesso per i familiari assistenti e gli accompagnatori che dovrebbero accompagnare i pazienti nei viaggi per motivi medici.

Inoltre 225 pazienti sono stati sottoposti ad interrogatori di sicurezza da parte di Israele e solo a 24 di essi sono stati concessi permessi di uscita.

L’enclave costiera, che ospita più di 2 milioni di abitanti, ha 36 ospedali che dispongono di una media di 1.26 letti ospedalieri ogni 1000 persone, in base ai dati del Ministero della Sanità palestinese.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Golda: maldestro tentativo di promuovere la propaganda israeliana

Nada Elia

30 agosto 2023 – Middle East Eye

Il film è permeato dalla narrazione sionista, mentre ignora verità fondamentali sulla guerra arabo-israeliana del 1973

Avevo scarse aspettative per Golda, il film sull’ex prima ministra israeliana che nel 1973 ottenne la vittoria del proprio Paese contro gli eserciti egiziani e siriani. 

L’Hollywood Reporter ha descritto il film come un biopic che presenta l’unica donna capo di stato di Israele come “una leader militare sorprendentemente efficace” e una scaltra diplomatica. Ovviamente il regista Guy Nattiv non voleva mostrarci molto del lato “umano” dietro la leggenda, o solo aspetti che potrebbero renderla ancor più leggendaria. Ma con un interesse potenzialmente rinnovato in questo personaggio storico forse questo potrebbe essere un ottimo momento per separare il mito dalla realtà. 

Il mito: negli Stati Uniti Golda Meir è un’icona femminista. Era il quarto primo ministro di Israele dal 1969 al 1974 quando, in un sondaggio Gallup, fu votata “la donna più ammirata” negli USA, davanti all’allora first lady Betty Ford, con Pat Nixon, moglie dell’ex presidente Richard Nixon, al terzo posto. 

La leader israeliana era bianca, appartenente alla seconda ondata [migratoria], ragazza copertina del femminismo sionista progressista americano, il cui ritratto con la didascalia “Ma sa scrivere a macchina?” era comparso sui manifesti di una campagna pubblicitaria che criticava gli stereotipi di genere sul posto di lavoro. 

Naturalmente è detestata dai palestinesi come la donna che, fra numerose altre affermazioni offensive, ha detto che “i palestinesi non esistono” e insinuato che gli arabi odino gli ebrei più di quanto non amino i propri figli. 

 Non molti di quelli a cui piacerebbe riproporre la negazione della nostra esistenza fatta dalla Meir sono effettivamente al corrente del più ampio contesto di quella affermazione, di quanto sia profondamente radicata nella visione del mondo eurocentrica ed imperiale che un popolo non costituisca di diritto una nazione in mancanza degli orpelli del moderno Stato-Nazione europeo. 

Quindi Meir non stava negando che noi esistessimo come esseri umani, ma piuttosto che avessimo diritti in quanto palestinesi perché la Palestina, la nazione storica, non era uno Stato indipendente riconosciuto secondo i criteri europei. 

Quando mai c’è stato un popolo indipendente palestinese con uno Stato palestinese?” ha detto. “Era Siria meridionale prima della Prima Guerra Mondiale e poi una Palestina che includeva la Giordania. Non è che ci fosse un popolo palestinese in Palestina che si considerava un popolo palestinese e noi siamo arrivati e li abbiamo buttati fuori e tolto loro il Paese. Non esistevano.” 

Mentalità coloniale

Ovviamente questa è la stessa mentalità con cui si sono privati i popoli autoctoni dell’isola di Turtle [nel lago Erie, tra Michigan e Ohio, ndt.] del loro diritto alla sovranità, perché non avevano confini arbitrari e un sistema politico riconosciuto dai conquistatori europei. Il sionismo si basa su questa mentalità coloniale reiterata ufficialmente quest’anno dal ministro israeliano delle finanze Bezalel Smotrich, che ha anche detto che la storia palestinese e la nazione palestinese non esistono.

Basta dare un’occhiata ai documenti dell’epoca a cui Meir fa riferimento per dimostrare che si sbaglia: la rivista Falastin fu fondata agli inizi del 1900 e la valuta dell’epoca reca la scritta “Palestina”, non “Siria meridionale”.

Gli israeliani sembrano più equilibrati a proposito di questa donna controversa. L’enciclopedia delle donne ebree Shalvi/Hyman scrive: “Era, come si dice oggi, un’‘ape regina,’ una donna che, arrivata in vetta, ha tolto la scala. Non ha esercitato le prerogative del potere per risolvere i problemi specifici delle donne, per promuovere altre donne o per far progredire lo status delle donne nella sfera pubblica. Il fatto è che, alla fine del suo mandato, le sue sorelle israeliane non stavano meglio di prima che si insediasse.” 

Le prime recensioni di Golda non sono state entusiastiche. Bad Movie Reviews, un canale YouTube dedicato alla recensione di brutti film, l’ha descritto come parole come “noioso”, “piatto” e “unidimensionale”.

Secondo il Washington Post il film “è superficiale”. Infatti non ci è mai detto il motivo per cui l’Egitto e la Siria hanno attaccato Israele il 6 ottobre 1973. Era per riottenere la penisola del Sinai e le alture del Golan, entrambe occupate illegalmente da Israele dal 1967. 

Invece sentiamo Meir mettere in guardia dalla minaccia per Israele “se i siriani conquistano le alture di Golan”. Ma un esercito che si riprende una terra occupata illegalmente non sta “conquistando” quella terra, la sta liberando. 

Invenzioni offensive

Meir è interpretata da Helen Mirren, il cui talento va “perso in una nuvola di fumo”, secondo una recensione pubblicata dal Detroit News, che definisce i film “irritante” e “maldestro”. Inoltre il focus è sull’ “autodifesa” di Israele, un presunto “diritto” più volte ricordato dai nostri politici quando in realtà nessun Paese ha il “diritto” di difendere un’occupazione illegale, anzi ha l’obbligo giuridico di porvi fine.

Persino il Los Angeles Times, una testata decisamente filo-sionista, ha definito la pellicola “scialba”, pur lodando l’interpretazione di Mirren, “la migliore e forse la sola cosa interessante”. Stranamente il quotidiano osserva che, mentre Bradley Cooper ha suscitato controversie perché indossava una protesi sul naso per interpretare un altro famoso ebreo, Leonard Bernstein, il dibattito se ‘solo ebrei dovrebbero interpretare ebrei?’ qui non c’è stato”, anche se Mirren indossa un naso finto (e abiti imbottiti) per interpretare il personaggio sullo schermo.

Ovviamente questi recensori, come me, non si sono fatti influenzare dal battage pubblicitario del film. Cosa Golda dovesse trasmettere noi non l’abbiamo capito

E va bene così. La mia preoccupazione era che il film avrebbe avuto un gran successo, tale da migliorare l’immagine di Israele con la sua hasbara sionista [propaganda per diffondere all’estero informazioni positive su Israele e le sue azioni, ndt.] in un momento in cui il Paese ne ha un bisogno disperato. E la narrazione sionista certamente permea tutto il film: “Questo è di nuovo come nel 1948,” dice Meir, come se nel 1948 fosse stato Israele, non la Palestina, ad essere stato attaccato. 

Meir sostiene anche che gli “arabi” (riferendosi a egiziani e siriani, i palestinesi non sono citati neppure una volta nel film) non piangono i propri morti, mentre la morte di ogni soldato ebreo morto in battaglia grava pesantemente sulla sua anima. Altre simili invenzioni sioniste offensive costellano il film.

Ma l’effetto complessivo del film è proprio il contrario. Vediamo un Paese intenzionato ad attivare la sua potenza nucleare per tenersi illegalmente terra occupata e politici manipolatori disposti a estorcere armi agli USA anche quando il Paese sembra riluttante a offrirglieli senza condizioni. Questa non è proprio la leader eroica, straordinaria ed etica con cui il regista e i produttori sicuramente volevano far colpo su di noi. 

In conclusione, anche se Golda avrebbe dovuto tenere a galla la propaganda israeliana, in realtà l’ha affondata.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(Traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




La polizia israeliana ferisce decine di lavoratori palestinesi che protestano vicino al valico

Fayha Shalash, Ramallah

29 agosto 2023 MiddleEastEye

I palestinesi protestano contro le autorità israeliane che impediscono agli autobus di portarli al lavoro in Israele.

Martedì mattina la polizia di frontiera israeliana ha attaccato i lavoratori palestinesi vicino al valico settentrionale della città di Qalqilya, nella Cisgiordania settentrionale occupata, ferendone decine.

Decine di lavoratori avevano bloccato parte della Route 55 adiacente al valico di Eyal, uno dei principali posti di blocco tra Israele e Cisgiordania, dopo che la polizia israeliana aveva impedito ad autobus e altri veicoli di trasportarli ai loro luoghi di lavoro in Israele.

Centinaia di guardie di frontiera israeliane sono arrivate sul posto per reprimere la protesta, ferendo decine di lavoratori e proprietari di veicoli che sono stati poi trasferiti all’ospedale governativo Darwish Nazzal di Qalqilya.

Le autorità israeliane hanno fermato gli autobus che, secondo loro, circolano senza licenza o trasportano lavoratori senza permesso.

Senza autobus e altri appositi veicoli i palestinesi che lavorano in Israele non hanno mezzi a disposizione per raggiungere il posto di lavoro dopo aver attraversato il posto di blocco.

Come ogni mattina, Zuhdi Abu Taha, 34 anni, si stava recando al valico per andare al lavoro. È rimasto sorpreso dalla presenza di decine di lavoratori sulla strada principale e di un gran numero di soldati israeliani.

All’improvviso i soldati hanno iniziato a lanciarci contro granate assordanti e lacrimogeni. Ho sentito qualcosa colpirmi il viso e il sangue riempirmi la bocca con un dolore forte e insopportabile, quando una granata stordente mi è esplosa accanto”, ha detto Abu Taha a Middle East Eye.

Abu Taha è stato prima trasferito all’ospedale governativo con una lacerazione al labbro inferiore, un ampio taglio a quello superiore, una mascella rotta e denti rotti. Ma a causa della gravità delle ferite, è stato portato in un ospedale privato a Nablus per un intervento chirurgico urgente.

Più di 20 lavoratori hanno riportato soffocamento e contusioni durante l’attacco, che ha causato scontri nella zona durati più di un’ora.

Secondo Abu Taha l’assalto ai lavoratori non è una novità, anche se possiedono i permessi necessari.

Ogni mattina i lavoratori aspettano diverse ore al valico prima di poter entrare, il che li porta a soffrire spesso di affanno e, in alcuni casi, di attacchi di cuore.

I lavoratori palestinesi accusano Israele di abusi e maltrattamenti intenzionali e di trascurare i loro diritti come lavoratori e le misure di sicurezza pubblica, la cui mancanza mette le loro vite in costante pericolo.

Shaher Saad, segretario generale della Federazione Generale dei Sindacati Palestinesi, ha definito brutale l’attacco contro i lavoratori palestinesi che cercano di guadagnarsi da vivere in circostanze difficili.

In un comunicato stampa ha affermato che le autorità israeliane hanno soppresso gli autobus che trasportano i lavoratori come forma di punizione collettiva.

Ha inoltre invitato l’Organizzazione Internazionale del Lavoro e la Confederazione Internazionale dei Sindacati a intervenire immediatamente e a proteggere con urgenza i lavoratori che entrano in Israele per lavoro.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)