Israele colpisce a morte un diciassettenne palestinese durante un’incursione

Redazione di MEMO

14 febbraio 2023 – Middle East Monitor

Le forze di occupazione israeliane hanno colpito a morte un ragazzo palestinese diciassettenne durante un’incursione nel campo profughi di Al-Faraa, nella citta di Tubas della Cisgiordania occupata.

Secondo l’agenzia di notizie Wafa, Mahmoud Majed Al-Aydi è stato colpito alla testa ed è stato portato in condizioni critiche in ospedale, dove è morto per le ferite ricevute.

Un numero elevato di forze israeliane di occupazione all’alba ha fatto una incursione nel campo profughi di Al-Faraa ed ha attaccato molti abitanti con proiettili e lacrimogeni, scatenando le proteste degli abitanti.

L’occupazione israeliana ha affermato che i soldati hanno sparato al ragazzo che si stava avvicinando a loro con un ordigno esplosivo mentre stavano facendo un arresto. Tuttavia non ci sono prove di quanto affermano.

Almeno cinque palestinesi sono stati feriti dopo essere stati colpiti da proiettili veri durante l’incursione e una persona è stata arrestata.

Mahmoud è il quarantottesimo palestinese ucciso dallo Stato di Israele dall’inizio dell’anno. La sua morte avviene due giorni dopo che il quattordicenne Qusai Radwan Waked è stato colpito a morte da un cecchino israeliano mentre giocava sul tetto della sua casa a Jenin.

Nei mesi scorsi c’è stato un incremento del numero delle incursioni israeliane in tutta la Cisgiordania occupata, insieme alle azioni violente dei coloni illegali che a volte hanno attaccato anche le forze israeliane.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Il direttore della CIA paragona la crescente violenza in Palestina alla seconda Intifada

Redazione di MEMO

7 febbraio 2023 – Middle East Monitor

Il direttore della CIA William Burns che è stato un diplomatico di lungo corso durante la seconda intifada, ha affermato che le condizioni nella Cisgiordania occupata hanno una ‘infelice somiglianza’ con la sollevazione palestinese degli anni 2000-2005. Le sue osservazioni arrivano alcuni giorni dopo il suo viaggio nella regione, dove ha incontrato alti dirigenti israeliani e palestinesi.

La crescente violenza in Cisgiordania e a Gerusalemme occupate è stata paragonata alla seconda Intifada dal direttore della CIA William Burns in seguito alla sua recente visita nella regione.

Venti anni fa sono stato un importante diplomatico statunitense durante la seconda Intifada e sono preoccupato – come lo sono i miei colleghi della comunità dell’intelligence – che molto di quanto stiamo vedendo oggi abbia una spiacevole somiglianza con alcune delle realtà che abbiamo visto anche allora,” ha detto Burns la settimana scorsa in una intervista alla Georgetown School of Foreign Service a Washington.

La seconda Intifada iniziò il 28 settembre 2000, quando l’allora leader dell’opposizione Ariel Sharon entrò nella moschea di Al-Aqsa con un contingente pesantemente armato delle forze di sicurezza israeliane. L’incursione provocò una forte risposta palestinese. La successiva insurrezione durò cinque anni e lasciò sul terreno più di 3000 vittime palestinesi e 1000 israeliane.

Le conversazioni che ho avuto con i dirigenti israeliani e palestinesi mi hanno lasciato abbastanza preoccupato riguardo alle prospettive anche a causa di una maggior fragilità e una maggior violenza tra israeliani e palestinesi” ha aggiunto Burns. “Parte della responsabilità della mia agenzia è di lavorare il più strettamente possibile con entrambi i servizi di sicurezza palestinesi e israeliani per prevenire il tipo di esplosioni di violenza che abbiamo visto nelle scorse settimane. Questa sta diventando una grande sfida e sono anche preoccupato riguardo a questo aspetto del quadro mediorientale.”

I commenti del direttore della CIA sono stati fatti a fronte della crescente tensione in tutti i territori palestinesi occupati in seguito ad una operazione militare israeliana la scorsa settimana nella città di Jenin in Cisgiordania, durante la quale dieci palestinesi sono stati uccisi, inclusa una donna di 67 anni. Sette israeliani sono stati uccisi successivamente in una sparatoria a Gerusalemme Est occupata.

Inoltre le forze israeliane hanno ucciso cinque uomini palestinesi e ne hanno feriti sei domenica notte durante una incursione a Gerico, nella parte orientale della Cisgiordania occupata.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Esperimento fallito: tre motivi per cui Israele teme un ampio conflitto contro Gaza 

Ramzy Baroud

6 febbraio 2023 Middle East Monitor

Sebbene le precedenti guerre di Israele contro Gaza siano spesso state giustificate da Tel Aviv come risposta ai razzi palestinesi o generalmente come azioni di autodifesa, la verità è diversa. Storicamente la relazione di Israele con Gaza è stata determinata dalla necessità di Tel Aviv di creare diversivi alla propria complicata politica, per mostrare i muscoli ai suoi nemici nella regione e per testare le sue innovazioni belliche.

Sebbene la Cisgiordania occupata, e in effetti anche altri Paesi arabi, siano stati usati come campi di prova per la macchina militare israeliana, nessun altro luogo ha permesso a Israele di sperimentare le proprie armi così a lungo come Gaza, facendo di Israele nel 2022 il decimo esportatore globale di armi.

C’è un motivo per cui Gaza è ideale per tali grandiosi, seppur tragici, esperimenti.

Gaza è il posto perfetto per raccogliere informazioni dopo che le nuove armi sono state schierate e usate sul campo di battaglia. Nella Striscia abitano, ammassati in 365 km², due milioni di palestinesi che vivono una misera esistenza, praticamente senza acqua potabile e poco cibo. Infatti, grazie alle cosiddette ‘cinture di sicurezza’ di Israele, gran parte del terreno coltivabile di Gaza che confina con Israele è off limits. I contadini sono spesso uccisi da cecchini israeliani quasi con la stessa frequenza con cui anche i pescatori di Gaza sono presi di mira se si avventurano oltre le tre miglia nautiche a loro assegnate dalla marina israeliana.

The Lab“, [Il laboratorio, N.d.T.], un premiato documentario israeliano uscito nel 2013, descrive con angosciosi dettagli come Israele abbia trasformato milioni di palestinesi in un vero e proprio laboratorio umano per testare nuove armi. Anche prima, ma soprattutto da allora, Gaza è il principale campo di prova per usare questi armamenti.

Gaza è stato ‘ il laboratorio’ anche per esperimenti politici israeliani.

Dal dicembre 2008 al gennaio 2009, quando l’allora prima ministra israeliana pro-tempore Tzipi Livni decise, parole sue, di ” andarci giù pesante”, lanciò contro Gaza una delle guerre più letali sperando che la sua avventura militare l’avrebbe aiutata a consolidare il sostegno al suo partito nella Knesset.

All’epoca Livni era a capo di Kadima [partito politico israeliano centrista, N.d.T.], fondato nel 2005 dall’ex leader del Likud Ariel Sharon. Subentratagli, Livni volle dimostrare il suo valore di personalità forte capace di dare una lezione ai palestinesi.

Sebbene il suo esperimento le avesse guadagnato un certo consenso nelle elezioni del febbraio 2009, dopo la guerra del novembre 2012 le si ritorse contro, nelle elezioni del gennaio 2013 Kadima fu quasi annientata e alla fine scomparve completamente dalla mappa politica israeliana.

Quella non è stata né la prima né l’ultima volta in cui i politici israeliani hanno cercato di usare Gaza e distrarre dalle proprie sventure politiche o per dimostrare le loro credenziali come protettori di Israele uccidendo palestinesi.

Tuttavia nessuno ha perfezionato l’uso della violenza per guadagnare consensi politici quanto l’attuale primo ministro Benjamin Netanyahu. Ritornando a capo del governo più estremista nella storia di Israele, Netanyahu è ansioso di restare al potere, soprattutto perché la sua coalizione di destra ha un sostegno più solido nella Knesset di tutti gli altri cinque governi degli ultimi tre anni.

Con un elettorato di destra a favore della guerra che è molto più interessato all’espansione illegale delle colonie e alla ‘sicurezza’ che alla crescita economica o all’uguaglianza socioeconomica, Netanyahu dovrebbe, almeno tecnicamente, essere in una posizione più forte per lanciare un’altra guerra contro Gaza. Allora perché sta esitando?

Il primo febbraio un gruppo palestinese ha lanciato un razzo verso il sud di Israele causando una risposta israeliana intenzionalmente limitata.

Secondo le fazioni palestinesi della Striscia assediata il razzo fa parte della continua ribellione armata dei palestinesi della Cisgiordania. Doveva servire a dimostrare l’unità politica fra Gaza, Gerusalemme e la Cisgiordania.

La Cisgiordania sta vivendo i suoi giorni più cupi. Solo a gennaio sono stati uccisi dall’esercito israeliano 35 palestinesi, dieci dei quali sono morti a Jenin in un solo raid israeliano. Un palestinese che ha agito da solo ha reagito uccidendo sette coloni ebrei nella Gerusalemme Est occupata, la scintilla perfetta di quella che normalmente avrebbe causato una massiccia risposta israeliana.

Ma tale risposta per ora è stata limitata alla demolizione di case, arresti e tortura dei famigliari degli aggressori, assedio militare di varie città palestinesi e centinaia di attacchi individuali di coloni ebrei contro i palestinesi.

Una guerra vera e propria, specialmente a Gaza, non si è ancora concretizzata. Ma perché?

Primo, i rischi politici di attaccare Gaza con una lunga guerra, almeno per ora, prevalgono sui vantaggi. Sebbene la coalizione di Netanyahu sia relativamente stabile, le aspettative degli alleati estremisti del primo ministro sono molto alte. Una guerra con un esito incerto potrebbe essere considerato dai palestinesi come una vittoria, un’idea che da sola potrebbe mandare in pezzi la coalizione. Anche se Netanyahu potrebbe scatenare una guerra come ultima risorsa, al momento non ha bisogno di un’alternativa così rischiosa.

Secondo, la resistenza palestinese è più forte che mai. Il 26 gennaio Hamas ha dichiarato di aver usato missili terra-aria per respingere un attacco israeliano contro Gaza. Sebbene l’arsenale militare del gruppo di Gaza sia piuttosto rudimentale, quasi tutto prodotto in loco, è molto più avanzato e sofisticato se confrontato con le armi usate durante la cosiddetta “Operazione [israeliana] Piombo fuso ” nel 2008.

E infine le riserve di munizioni israeliane devono essere al loro punto più basso da molto tempo. Ora che gli USA, il maggiore fornitore di armi a Israele, ha attinto alla sua riserva di armi strategiche a causa della guerra Russia-Ucraina, Washington non sarà in grado di rifornire gli arsenali israeliani con costanti forniture di armamenti come aveva fatto l’amministrazione Obama durante la guerra del 2014. Persino più preoccupante per l’esercito israeliano, a gennaio il New York Times ha rivelato che “il Pentagono sta attingendo a una vasta, ma poco nota, scorta di forniture militari americane in Israele per andare incontro alla disperata necessità di proiettili di artiglieria in Ucraina …”

Sebbene ci sia un maggiore rischio di guerre israeliane contro Gaza rispetto al passato, un Netanyahu intrappolato e messo in difficoltà potrebbe ancora far ricorso a un tale scenario se avesse la sensazione che la sua leadership fosse in pericolo. Infatti nel maggio 2021 il leader israeliano ha fatto proprio questo. Eppure anche allora non ha potuto salvare sé stesso o il proprio governo da una sconfitta umiliante.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Attivisti chiedono protezione delle proprietà palestinesi dai coloni

Redazione di MEMO

1 febbraio 2023 – Middle East Monitor

Ieri la Unified National Leadership of Popular Resistance [Dirigenza Nazionale Unificata della Resistenza Popolare] (UNLPR) ha sollecitato la formazione di comitati popolari per proteggere villaggi e città palestinesi dagli illegali coloni ebrei.

Questo è accaduto durante una riunione tenutasi a Ramallah per discutere la questione della continua aggressione dei coloni ebrei israeliani contro i villaggi e le proprietà vicine agli illegali insediamenti nella Cisgiordania occupata.

In una dichiarazione l’UNLPR ha affermato: “Alla luce delle crescenti occupazione e aggressione dei coloni, dei continui attacchi giornalieri e uccisioni dei civili palestinesi, diventa necessario formare comitati popolari per proteggere il popolo palestinese e le loro proprietà.”

L’UNLPR ha sottolineato che il governo israeliano di occupazione “sta portanto avanti un sistematico terrorismo di stato per imporre l’occupazione di fatto.”

Gli israeliani cercano di mettere in atto nuove leggi razziste aventi come obiettivo i nostri prigionieri, attraverso esecuzioni, cancellazione delle identità ed espulsione” dalle loro case e dalla loro nazione, ha aggiunto.

Nella dichiarazione afferma: “Tutto questo accade con il supporto americano e una comunità internazionale paralizzata, incapace di portare avanti azioni di boicottaggio o di deferire i politici israeliani alla Corte Penale Internazionale per cercare di porre fine alle quotidiane aggressioni israeliane.”

Gli illegali coloni ebrei hanno recentemente accentuato le loro aggressioni ai palestinesi e alle loro proprietà nella Cisgiordania occupata, mentre il governo dello Stato di occupazione ha anche incrementato le restrizioni contro i prigionieri palestinesi.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Il battaglione delle torture dell’esercito israeliano

Tawfiq Abu Shomar

28 gennaio 2023 MiddleEastMonitor

Mi ricorderò per sempre quel crimine del gennaio 2022, le torture e l’omicidio di un cittadino palestinese ottantenne, malato, Omar Asaad di Ramallah, per mano dell’esercito israeliano: i soldati lo hanno arrestato, bendato e ammanettato. Poi lo hanno portato in un edificio abbandonato con temperature vicine allo zero, lo hanno buttato a terra e il suo cuore si è fermato.

Questo palestinese era tornato nella sua terra dopo un lungo percorso di esilio. Era cittadino americano, un investitore finanziario a cui non mancavano i soldi. Era tornato in patria per vivere il resto della sua vita nella casa dei suoi antenati, tra la sua famiglia e la sua gente.

I suoi assassini appartengono a un battaglione noto come Nahal Haredi. Questo battaglione è stato istituito da un’associazione ortodossa di destra, Netzah Yehuda (Battaglione dell’Eternità Giudea), in collaborazione con il Ministero della Difesa. L’associazione ultraortodossa ha chiesto al Ministero della Difesa di istituire questo battaglione speciale per attrarre ortodossi nell’esercito, dato che gli ortodossi considerano l’esercito israeliano un peccato. Il battaglione fu istituito ed entrò a far parte della Brigata Kfir. Il battaglione non accetta donne o non ebrei. La sua principale lealtà è verso i rabbini più che verso gli ufficiali dell’esercito. È specializzato nella soppressione e nella tortura di palestinesi innocenti, senza controllo o responsabilità.

Istituito nel 1999, il battaglione concentra le sue uccisioni a Jenin, Nablus, Ramallah e nella Valle del Giordano. Quattro dei suoi membri si sono ripresi mentre torturavano brutalmente un palestinese puntandogli la canna di una pistola nel posteriore, e hanno postato le foto su siti di social network orgogliosi di quello che avevano fatto.

Il battaglione criminale ha irritato l’ambasciata degli Stati Uniti, che ha chiesto a Israele di condurre un’indagine sull’omicidio di Asaad, cittadino americano, il che ha spinto il capo di stato maggiore Aviv Kochavi a emettere una sentenza per interrogare alcuni soldati (una formalità) e poi ha ordinato il trasferimento del battaglione sulle alture del Golan.

Tuttavia, Bezalel Smotrich, partner di Netanyahu nel governo rabbinico e secondo Ministro della Difesa, ha confidato qualche giorno fa a chi gli è vicino che intende riportare il battaglione in Cisgiordania a continuare le sue missioni criminali.

Voglio ricordare anche i crimini di questo battaglione nella Striscia di Gaza nel 2014, durante la guerra dei 50 giorni con il nome israeliano di Operazione Margine Protettivo. Quando ho visitato un edificio residenziale nell’estremità orientale del campo profughi di Al-Bureij, che il battaglione Nahal aveva usato come quartier generale per i suoi soldati, ho visto cosa avevano fatto i soldati Nahal. Avevano completamente distrutto gli arredi dell’edificio e lasciato i loro escrementi sul letto in camera da letto.

I membri di questo battaglione sono seguaci di Dov Lior, rabbino capo dell’insediamento di Kiryat Arba a Hebron. Lui e altre decine di rabbini sono i capi del battaglione Nahal, a cui forniscono regole religiose. Il 23 luglio 2014 i giornali israeliani hanno pubblicato un decreto del rabbino Lior che diceva:

La legge ebraica consente di distruggere l’intera Striscia di Gaza per portare la pace nel sud del Paese. In tempo di guerra la Nazione sotto attacco può punire la popolazione nemica con le misure che ritiene opportune, come il blocco dei rifornimenti e dell’elettricità, o anche bombardare l’intera area secondo il giudizio del ministero dell’esercito. Nel caso di Gaza, sarebbe consentito al Ministro della Difesa persino ordinare la distruzione di tutta Gaza. Discorsi umanitari e considerazione non sono nulla in confronto alla salvezza dei nostri fratelli del sud e in tutto il Paese e al ripristino della quiete nella nostra terra”.

Queste dichiarazioni hanno infastidito persino gli israeliani, e Zehava Gal-On, capo del partito Meretz, ha risposto: “I commenti razzisti del rabbino Dov Lior non rientrano da tempo nel regno della libertà di parola. Stiamo parlando di un uomo che elogia l’omicidio di massa, che sostiene coloro che uccidono innocenti e che ha preso parte al fomento che ha portato all’assassinio di un primo ministro”. Gal-On ha invitato il procuratore generale ad aprire un’indagine contro di lui per istigazione.

Attenzione: nei prossimi giorni l’esercito israeliano sarà guidato da una banda di rabbini il cui obiettivo principale è condurre una guerra senza tregua contro i palestinesi specialmente a Gerusalemme!

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(tradotto dallinglese da Luciana Galliano)




Le Nazioni Unite condannano Israele riguardo alle misure punitive come ritorsione contro il voto palestinese sulla CIG.

Redazione di MEMO

17 gennaio 2023 – Middle East Monitor

Nel dicembre 2022 l’assemblea generale delle Nazioni unite ha approvato una risoluzione che richiede alla Corte Internazionale di Giustizia un parere sull’occupazione israeliana.

Gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno condannato le sanzioni dello Stato di Israele contro l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e richiesto l’immediato annullamento delle misure punitive che sono state introdotte all’inizio di questo mese dal governo di estrema destra dello Stato di occupazione. Più di 90 Stati hanno sostenuto una risoluzione che esprime “forte preoccupazione”, e sanziona anche Israele per le misure volte a punire il popolo palestinese, la leadership e la società civile in risposta alla decisione dell’organizzazione mondiale di richiedere un parere alla Corte Internazionale di Giustizia.

Il 30 dicembre l’assemblea generale di 193 membri ha espresso 87 voti contro 26, con 53 astensioni, a favore di una risoluzione che chiede l’opinione della CIG sull’occupazione israeliana della Palestina. La risoluzione che è stata promossa dai palestinesi insieme a molti altri Stati, chiede alla CIG di valutare le “conseguenze giuridiche risultanti dalla violazione in corso da parte dello Stato di Israele del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione” così come alle sue misure “che hanno l’obiettivo di alterare composizione demografica, carattere e status” della città santa di Gerusalemme.

Lo Stato di Israele ha reagito con un pacchetto di sanzioni contro i palestinesi, provocando la condanna degli USA ed ora delle Nazioni Unite, inclusa la Germania che, nonostante abbia votato contro la risoluzione iniziale delle Nazioni Unite per deferire la questione della occupazione israeliana alla CIG, è stato tra i quattro Stati dell’Unione Europea a sostenere la dichiarazione di ieri che richiede “la loro immediata cancellazione”.

Ciò che è sorprendente riguardo alla dichiarazione,” ha detto l’ambasciatore palestinese alle Nazioni Unite Riyad Mansour, “è che è stata firmata da Nazioni che si sono astenute o che hanno votato contro alla risoluzione che richiedeva l’opinione alla Corte”. Mansour ha evidenziato l’isolamento dello Stato di Israele all’interno della comunità internazionale e ha fatto un’osservazione sul perché Stati europei come la Germania abbiano votato a favore.

Ma punire persone per il fatto che si rivolgano all’assemblea generale per l’adozione di una risoluzione è diverso,” Mansour ha continuato. “Questa è la ragione per cui sono stati con noi e si sono opposti a questa politica del governo israeliano e stanno chiedendo un annullamento di questa decisione” ha aggiunto. L’inviato palestinese ha spiegato che “ogni Nazione che creda nel multilateralismo e sia sostenitrice di un ordine basato sul diritto internazionale non può far altro che opporsi a tali misure punitive che hanno come obbiettivo e colpiscono il popolo, la leadership e la società civile palestinesi.”

Mansour crede che un numero maggiore di Nazioni sosterranno la dichiarazione quando il consiglio di sicurezza terrà oggi la sua riunione mensile sul Medio Oriente, che si concentrerà sulla decennale occupazione israeliana della Palestina.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Cosa accadrebbe nel caso in cui la CIG delegittimasse l’occupazione israeliana della Palestina?

Ramzy Baroud

10 gennaio 2023 – Middle East Monitor

Ancora una volta la Corte internazionale di giustizia (CIG) è in procinto di emettere un parere legale sulle conseguenze dell’occupazione israeliana della Palestina. Il 31 dicembre uno storico voto delle Nazioni Unite ha invitato la CIG a esaminare in termini giuridici l’occupazione, i diritti del popolo palestinese all’autodeterminazione e la responsabilità da parte di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite di porre fine alla prolungata occupazione israeliana. Un accento particolare sarà posto sulla “composizione demografica, carattere e status” della Gerusalemme occupata.

L’ultima volta venne chiesto alla CIG di fornire un parere giuridico sulla questione fu nel 2004. Tuttavia allora il parere era in gran parte incentrato sulle “conseguenze legali derivanti dalla costruzione del muro [dell’apartheid israeliano]”.

Sebbene sia vero che la CIG concluse che la totalità delle azioni israeliane nei Territori palestinesi occupati è illegale ai sensi del diritto internazionale – la Quarta Convenzione di Ginevra, le relative disposizioni dei precedenti Regolamenti dell’Aia e, naturalmente, numerose risoluzioni della Assemblea generale e del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – questa volta la corte esprimerà la sua opinione sul tentativo di Israele di rendere permanente quella che dovrebbe essere un’occupazione militare temporanea.

In altre parole, la CIG potrebbe – e molto probabilmente lo farà – delegittimare ogni singola azione intrapresa da Israele nella Palestina occupata dal 1967. Questa volta le conseguenze non saranno simboliche, come spesso accade nelle decisioni dell’ONU relative alla Palestina.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che ha fatto più di ogni altro leader israeliano per “normalizzare” l’occupazione della Palestina, si è comprensibilmente adirato dopo il voto delle Nazioni Unite. Lo ha descritto come “spregevole”.

I suoi partner di coalizione sono stati altrettanto intransigenti. “L’occupazione [israeliana] della Cisgiordania è permanente e Israele ha il diritto di annetterla”, ha detto il membro della Knesset Zvika Fogel il 1° gennaio in un’intervista sulla emittente israeliana Radio 103FM. Più di ogni altra cosa, le parole di Fogel riassumono la nuova realtà in Israele e Palestina. Sono finiti i giorni dell’ambiguità politica riguardo alle motivazioni ultime di Israele nei Territori palestinesi occupati.

In effetti Israele sta ora cercando di gestire una fase completamente nuova del suo progetto coloniale in Palestina, un’impresa iniziata propriamente nel 1947-48 e che, secondo i calcoli di Israele, sta per concludersi con la colonizzazione totale della Palestina. Questa è la versione israeliana di una “soluzione a uno Stato” basata su apartheid e discriminazione razziale.

Il partito di Fogel, Otzma Yehudit, è un membro importante della nuova coalizione di destra di Netanyahu. Le sue parole non riflettono semplicemente le sue opinioni personali o solo quelle del suo versante ideologico.

Il nuovo governo è pieno di estremisti del calibro, tra gli altri, di Bezalel Smotrich, Itamar Ben-Gvir e Yoav Galant – ed è ora impegnato in un’agenda contraria alla pace per una questione politica. Il 28 dicembre, subito dopo aver prestato giuramento, il nuovo governo ha annunciato che “avanzerà e realizzerà insediamenti in tutte le parti di Israele”. Non è stata fatta alcuna distinzione tra “Israele”, come riconosciuto dai Paesi di tutto il mondo, e i Territori palestinesi occupati. Nelle intenzioni della coalizione l’annessione è già avvenuta.

Ben-Gvir, il cui raid alla moschea di Al-Aqsa nella Gerusalemme est occupata ha suscitato molte critiche in tutto il mondo, sta inviando chiari messaggi ai palestinesi e alla comunità internazionale in generale: per quanto riguarda Israele, nessuna legge internazionale è rilevante, niente è sacro e nessun centimetro della Palestina è off limits.

Questa volta, però, non è come al solito. Sì, l’espansione territoriale di Israele a spese della Palestina occupata è stata il comune denominatore tra tutti i governi israeliani negli ultimi 75 anni, ma vari governi, comprese le prime presidenze di Netanyahu, hanno trovato modi indiretti per giustificare la costruzione di insediamenti coloniali illegali. Le cosiddette “espansioni naturali” e le “esigenze di sicurezza” erano solo due dei tanti pretesti forniti da Israele per giustificare la sua continua spinta all’acquisizione di terre con la forza.

In pratica, nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile senza l’inesauribile sostegno finanziario, militare e politico degli Stati Uniti. Inoltre i veti statunitensi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e l’incessante pressione sui membri dell’Assemblea generale dell’ONU hanno permesso a Israele di aggirare indenne il diritto internazionale. Esso è in grado di agire con totale impunità. Il risultato è la tragica realtà di oggi.

Secondo il sito web ufficiale delle Nazioni Unite attualmente ci sono quasi 700.000 coloni ebrei illegali che vivono in territorio palestinese occupato. La ONG israeliana Peace Now afferma che questi coloni ebrei vivono in 145 colonie illegali nella Cisgiordania occupata, oltre a 140 avamposti di insediamenti coloniali, illegali anche secondo la legge israeliana ma che probabilmente saranno ufficializzati dal nuovo governo.

La coalizione guidata da Netanyahu è stata costituita con il programma che in futuro gli avamposti saranno effettivamente legalizzati e quindi riceveranno finanziamenti governativi ufficiali. Ciò non dovrebbe rappresentare un grosso problema politico per Netanyahu che nel 2020 è riuscito a convincere la Knesset [parlamento, ndt.] israeliana sulla prospettiva dell’annessione di gran parte della Cisgiordania ed è ora determinato a portare avanti un processo di “annessione morbida”; annessione de facto che rischia di essere legalizzata in seguito come annessione de jure.

Né la piena colonizzazione della Palestina si rivelerebbe un problema giuridico. La legge israeliana sullo Stato-nazione del 2018 ha già fornito la copertura legale a Tel Aviv per violare il diritto internazionale e fare ciò che vuole in termini di colonizzazione di tutta la Palestina ed emarginazione dei legittimi diritti dei palestinesi. Secondo la nuova Legge Fondamentale di Israele, “Lo Stato di Israele è lo Stato-nazione del popolo ebraico in cui esso realizza il suo diritto naturale, culturale, religioso e storico all’autodeterminazione”. Proprio questo riferimento è stato citato nella dichiarazione del nuovo governo del 29 dicembre.

Non molti in Israele protestano contro tale situazione. In un recente articolo sul Palestine Chronicle lo storico israeliano Ilan Pappe ha spiegato come le attuali formazioni socio-politiche della società israeliana, oltre le tre correnti dominanti di destra ed estremiste impegnate nella Coalizione Netanyahu: ebrei ultraortodossi, ebrei religiosi nazionalisti ed ebrei laici del Likud, rendano quasi impossibile l’emergere di politiche alternative di rilevante consenso.

Ciò significa che il cambiamento in Israele non potrebbe mai venire dall’interno dello stesso Israele. Mentre i palestinesi continuano a resistere, i governi arabi e musulmani, e la comunità internazionale in generale, devono affrontare lo stato di occupazione, usando tutti i mezzi a loro disposizione per porre fine a questa farsa. L’opinione della CIG è molto importante ma senza un’azione significativa un’opinione legale da sola non capovolgerà la sinistra realtà dei fatti in Palestina, specialmente quando questa realtà è finanziata, appoggiata e sostenuta da Washington e dagli altri alleati occidentali di Israele.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Amnesty denuncia il divieto ‘repressivo’ israeliano nei confronti della bandiera palestinese

Redazione di MEMO

11 gennaio 2023 – Middle East Monitor

Amnesty International ha criticato il divieto “repressivo” da parte del ministro israeliano della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir di esibire la bandiera palestinese in luoghi pubblici nello Stato di Israele come “un tentativo codardo e prevedibile di cancellare l’identità del popolo palestinese e una violazione spudorata della carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e dei diritti umani”

L’organizzazione per la difesa dei diritti ha aggiunto in una dichiarazione pubblicata ieri che i risultati di una inchiesta che ha condotto rivelano che “l’istigazione contro la bandiera palestinese da parte di politici e organizzazioni israeliane durante gli anni passati ha avuto un grande successo nell’instillare la paura nelle menti di molti ebrei quando la vedono”.

Amnesty sollecita le autorità israeliane a ritirare le direttive emanate da Ben-Gvir, avvisando che esse “costituiscono una chiara violazione della dichiarazione universale dei diritti umani e della carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che costituiscono la pietra miliare del diritto internazionale”.

Il portavoce dell’organizzazione, Rami Haidar, ha affermato che “la direttiva per la messa in pratica del divieto di esibire la bandiera palestinese rientra nell’ambito delle punizioni collettive su base razzista”, notando che la soppressione della bandiera costituisce la base per violare i diritti umani e può condurre ad altre proibizioni o restrizioni.

Domenica Ben-Givr ha ordinato alla polizia di vietare l’esibizione di bandiere palestinesi in luoghi pubblici.

La decisione è arrivata dopo i festeggiamenti organizzati nella citta di Ara in Israele, in seguito al rilascio di Karim Younes, che ha passato 40 anni in prigione, durante i quali cono comparse bandiere palestinesi.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Un’organizzazione pro-Israele protesta con la FIFA perché il Marocco ha sventolato la bandiera palestinese

Redazione di MEMO

13 dicembre 2022 – Middle East Monitor

La nota organizzazione di propaganda pro-Israele UK Lawyers for Israel [Avvocati Britannici per Israele] (UKLFI) ha protestato contro la squadra di calcio del Marocco per aver sventolato la bandiera palestinese durante la Coppa del Mondo del 2022 in Qatar. Secondo il Jewish Chronicle [giornale ebraico pubblicato in inglese a Londra], l’ente con sede a Londra ha scritto al presidente della commissione disciplinare della FIFA Jorge Palacio accusando lo Stato nord-africano di aver violato le regole della FIFA.

L’UKLFI ha chiesto a Palacio di aprire immediatamente un’indagine e di emanare misure cautelari per evitare che si ripetano tali violazioni durante le semifinali di domani e la finale per il terzo posto di sabato.

L’UKLFI dichiara che il Marocco ha violato l’articolo 11.2 del codice disciplinare FIFA che prescrive che chiunque usi “un evento di sport per dimostrazioni di natura non sportiva” può essere soggetto a misure disciplinari. Il Marocco è stato accusato di aver violato molti altri codici disciplinari.

La bandiera palestinese è stata presente ovunque durante tutto il torneo in Qatar. I colori rosso, bianco, nero e verde della bandiera palestinese si sono visti negli stadi, nei mercati, nei ristoranti e nella metropolitana. Le Nazioni arabe e africane che hanno giocato nel torneo hanno sventolato anche i colori palestinesi a fianco delle loro bandiere nazionali.

Il Marocco ha celebrato ogni vittoria esibendo la bandiera palestinese. Anche la bandiera del Qatar è stata sventolata dai giocatori marocchini, ma non sembra che l’UKLFI abbia sollevato alcuna obiezione a ciò nella sua denuncia alla FIFA.

L’organizzazione filoisraeliana è diventata famosa per il suo supporto allo Stato di apartheid. In una delle sue campagne l’UKLFI ha fatto pressioni su una commissione di controllo [sul materiale didattico] perché modificasse un suo libro di testo su Israele e Palestina. Le modifiche sono state stroncate come propaganda israeliana e il libro è stato ritirato.

Inoltre le relazioni dell’UKLFI con gruppi israeliani di estrema destra sono state motivo di preoccupazione anche tra ebrei inglesi che nel 2019 hanno sollecitato i sostenitori dell’UKLFI perché annullassero un evento molto controverso con un gruppo israeliano di estrema destra e a favore dei coloni.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Un documento israeliano evidenzia il ruolo dei coloni nella espulsione dei palestinesi dalla Cisgiordania

Redazione di MEMO

12 dicembre 2022 – Middle East Monitor

L’agenzia di notizie Anadolu [agenzia di stampa governativa della Turchia, ndt.] riferisce che secondo notizie di lunedì dei media israeliani, i coloni israeliani stanno attivamente informando le autorità locali israeliane riguardo ad ogni attività edilizia dei palestinesi nella Cisgiordania occupata, nel tentativo di espropriarli.

Un documento interno ufficiale ottenuto dal quotidiano Haaretz mostra una stretta cooperazione tra i coloni e l’amministrazione civile israeliana per segnalare qualunque lavoro intrapreso dai palestinesi.

Il documento elenca 1.168 delazioni effettuate da coloni israeliani nel periodo dal 10 marzo al 19 ottobre attraverso una piattaforma online.

Scavano un pozzo”, “gli arabi stanno piantando alberi” e “intensa attività ediliza e preparazione di appezzamenti di terreno” sono state tra le forme delle denunce dei coloni contro i palestinesi.

Questo articolo afferma: “Il documento interno fornisce anche un’altra rapida panoramica sul coinvolgimento dei coloni nelle operazioni dell’amministrazione civile e dell’esercito israeliani, dall’espulsione dei palestinesi dalla maggior parte del territorio della Cisgiordania e dal divieto di attività edilizie e costruzione di infrastrutture fino al meticoloso sforzo di assicurarsi che essi non vadano oltre i confini delle enclave che Israele ha destinato loro”.

Israele usa ampiamente il pretesto della mancanza di permessi di costruzione per demolire case ed edifici palestinesi, specialmente nell’area C della Cisgiordania Occupata, che costituisce circa il 60% di tale territorio.

L’area C è sotto il controllo amministrativo e di sicurezza israeliano fino a quando un accordo sullo stato finale non sarà raggiunto con i palestinesi.

Secondo gli accordi di Oslo del 1995 tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), la Cisgiordania, includendo Gerusalemme Est, è stata suddivisa in tre parti – Area A, B e C [strutturate a macchia di leopardo, con Area A divisa in enclave separate tra loro, ndt.]

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)