La Palestina denuncia la ‘pirateria’ di Israele dopo la riduzione dell’ammontare delle tasse

Redazione di MEMO

5 settembre 2023 – Middle East Monitor

L’agenzia Anadolu riferisce che martedì il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh ha denunciato come “pirateria” la riduzione dell’ammontare delle tasse da parte di Israele.

Martedì il ministro delle Finanze israeliano ha affermato che dedurrà una quota di denaro dai fondi che Tel Aviv riscuote per conto dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) per rimborsare i debiti per l’elettricità palestinese con la Israel Electric Corp (IEC).

Questi sono pirateria e furto sistematici del nostro denaro,” ha affermato Shtayyeh in una dichiarazione.

Queste riduzioni sono una dichiarazione di guerra finanziaria che fa parte della guerra politica in corso contro il popolo palestinese,” ha aggiunto.

Il premier palestinese ha sollecitato l’amministrazione statunitense e l’Unione Europea “a intervenire per fermare tutte queste politiche”, preavviso di “pericolose ripercussioni” della decisione di Israele.

Secondo i mezzi di comunicazione israeliani, il debito palestinese con la IEC è stimato in circa due miliardi di shekel (circa 526 milioni di euro).

Tuttavia la controparte palestinese afferma che i suoi debiti sono solo di 800 milioni di shekels (210.5 milioni di euro).

Negli ultimi anni l’ANP sta affrontando molteplici difficoltà economiche come risultato delle decisioni israeliane di ridurre o di bloccare il trasferimento delle entrate fiscali palestinesi raccolte da Israele.

Il gettito fiscale – conosciuto in Palestina e Israele come maqasa –viene raccolto dal governo israeliano per conto della ANP sulle importazioni ed esportazioni palestinesi. Israele in cambio incassa una commissione del 3% delle entrate fiscali raccolte.

Gli introiti fiscali, che costituiscono la fonte principale delle entrate della ANP, sono stimati intorno ai 30-33 milioni di euro al mese.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Perché Israele attacca i fedeli nella moschea di Al-Aqsa?

Redazione di Middle East Eye

7 aprile 2023 MiddleEastEye

Le forze israeliane cacciano i fedeli palestinesi e incolpano i “rivoltosi” spianando la strada alle incursioni dei coloni

Questa settimana le forze israeliane hanno preso d’assalto per due notti consecutive la moschea di Al-Aqsa nella Gerusalemme est occupata, aggredendo e arrestando i fedeli e scatenando una condanna globale.

Martedì notte decine di militari pesantemente armati hanno fatto irruzione nell’area, lanciando granate stordenti e sparando gas lacrimogeni nella sala di preghiera Qibli dove centinaia di fedeli si erano fermati per pregare durante la notte.

Le truppe israeliane hanno picchiato i fedeli con manganelli e pistole antisommossa, ferendone decine per poi arrestarne diverse centinaia.

Ventiquattro ore dopo militari armati hanno nuovamente preso d’assalto la moschea mentre circa 20.000 fedeli palestinesi stavano recitando le preghiere notturne Taraweeh del Ramadan [speciali preghiere che durante il Ramadan seguono la preghiera serale, ndt.].

Hanno sparato proiettili rivestiti di gomma, gas lacrimogeni e granate stordenti per liberare la moschea e hanno poi inseguito le persone per picchiarle con i manganelli.

Quale giustificazione hanno fornito le autorità israeliane per azioni così violente e brutali nel terzo luogo più sacro dell’Islam durante il mese più sacro della fede musulmana?

Giro di vite sulla devozione del Ramadan

Martedì, dopo le preghiere notturne di Taraweeh, decine di fedeli sono rimasti ad Al-Aqsa per praticare l’Itikaf, atto religioso non obbligatorio comune durante il Ramadan che prevede il pernottamento all’interno delle moschee per pregare, riflettere e recitare il Corano durante la notte.

Le autorità israeliane non consentono ai fedeli di praticare l’Itikaf se non negli ultimi dieci giorni del Ramadan, un divieto che i palestinesi si rifiutano di rispettare.

Inizialmente gli agenti israeliani sono stati avvistati intorno alle 22 mentre entravano nella moschea di Al-Aqsa, dove hanno iniziato ad allontanare le persone dai cortili.

Mentre quelli seduti nei cortili venivano cacciati, molti altri fedeli si sono rinchiusi all’interno della sala di preghiera Qibli per sfuggire alla repressione israeliana.

La polizia ha detto di essere entrata nel complesso perché “centinaia di rivoltosi e dissacratori della moschea si erano barricati” all’interno della moschea.

“Quando la polizia è entrata è stata accolta da lanci di pietre, e fuochi d’artificio sono stati sparati dall’interno della moschea da un folto gruppo di agitatori”, si legge in un comunicato.

Il controllo israeliano sulla Gerusalemme Est occupata, inclusa la Città Vecchia, viola diversi principi del diritto internazionale che stabiliscono che una potenza occupante non ha sovranità sul territorio che occupa e non può apportare cambiamenti permanenti in tale territorio.

Dopo i raid di martedì il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh ha detto: “Israele non vuole imparare dalla storia che al-Aqsa è per i palestinesi e per tutti gli arabi e i musulmani, e che l’assalto ha scatenato una rivoluzione contro l’occupazione”.

Strada spianata alle incursioni dei coloni

Mercoledì mattina presto le forze israeliane hanno nuovamente disperso i fedeli costringendoli a uscire dalla moschea.

Questa volta è stata un’azione delle forze armate per poter spianare la strada alle incursioni dei coloni israeliani, iniziate alle 7 del mattino.

Per facilitare queste quotidiane incursioni le truppe israeliane svuotano regolarmente la moschea dai palestinesi – fatte salve le cinque preghiere quotidiane.

Le associazioni del Temple Movement [movimento ebraico ortodosso estremista che vuole ricostruire il Terzo Tempio al posto della moschea Al-Aqsa e ripristinare la pratica del sacrificio rituale, ndt.] che sostengono la distruzione di Al-Aqsa hanno invocato attacchi di massa per tutta la settimana delle vacanze pasquali, iniziate giovedì.

La moschea di Al-Aqsa è un luogo islamico in cui sono vietate visite non sollecitate e preghiere e rituali da parte di non musulmani, secondo accordi internazionali pluridecennali.

Le associazioni israeliane, in coordinamento con le autorità, hanno da tempo violato il delicato assetto e agevolato irruzioni nel sito per officiare preghiere e riti religiosi.

Questa settimana gruppi ultranazionalisti ebraici hanno offerto ricompense in denaro a chiunque sacrifichi una capra all’interno di Al-Aqsa, atto proibito e altamente provocatorio.

Najeh Bkeirat, vicedirettore del Waqf islamico presso la moschea Al-Aqsa, ha affermato che la condotta della polizia di questa settimana sembra essere premeditata.

“Il governo israeliano sembra aver preso la decisione quest’anno di svuotare la moschea al-Aqsa e Gerusalemme dai palestinesi “, ha detto. “Vogliono solo ebrei in città. Non vogliono palestinesi e musulmani qui”.

I palestinesi temono che le restrizioni su quando loro possano entrare e l’apertura del sito ai coloni stiano gettando le basi per una divisione della moschea tra musulmani ed ebrei analoga alla divisione della moschea Ibrahimi a Hebron negli anni ’90.

Le violente aggressioni israeliane ai fedeli palestinesi in particolare durante il mese del Ramadan sono ormai all’ordine del giorno.

L’anno scorso nei raid israeliani nella moschea durante il mese sacro sono stati feriti oltre 170 palestinesi e più di 300 sono stati arrestati.

Nel maggio 2021 durante il Ramadan centinaia di palestinesi erano rimasti feriti quando le forze israeliane avevano preso d’assalto il complesso e attaccato i fedeli con gas lacrimogeni, proiettili d’acciaio rivestiti di gomma e granate stordenti.

Quegli attacchi, come le incursioni israeliane nel quartiere occupato di Gerusalemme Est di Sheikh Jarrah, erano stati la prima scintilla del grande attacco israeliano alla Striscia di Gaza assediata.

Almeno 256 palestinesi erano stati uccisi a Gaza, compresi 66 minori, mentre 13 persone erano state uccise in Israele.

(tradotto dall’inglese da Luciana Galliano)




Due fratelli palestinesi uccisi in un attacco “deliberato” da parte di un colono.

Redazione di MEE

18 dicembre 2022- Middle East Eye

Secondo quanto riferito Mohammad e Muhannad Yousef Muteir stavano riparando una gomma quando un colono israeliano li ha investiti con la sua auto.

Secondo diverse fonti palestinesi due fratelli palestinesi sono stati uccisi dopo che un colono israeliano li ha investiti nella Cisgiordania occupata.

I fratelli, Mohammad e Muhannad Yousef Muteir, del campo profughi di Qalandia a Gerusalemme, sono stati uccisi sabato notte appena a sud della città di Nablus in Cisgiordania.

Secondo il servizio di emergenza israeliano Magen David Adom, un’auto guidata da un cinquantenne israeliano ha investito il veicolo dei due fratelli che era parcheggiato sul ciglio della strada.

I fratelli stavano riparando una gomma forata quando il colono li ha investiti con il suo veicolo, ha riferito l’agenzia di stampa Wafa.

Mohammad Muteir è morto sul posto e Muhannad Muteir è stato dichiarato morto all’ospedale Hadassah di Gerusalemme.

Il politico palestinese Mohammad Shtayyeh ha definito l’attacco un “crimine orribile”. I notiziari palestinesi hanno affermato che i due fratelli erano stati con la loro famiglia a Nablus per preparare il matrimonio della sorella venerdì prossimo.

Qalandia ha annunciato uno sciopero generale per domenica.

In una dichiarazione alla stampa, il direttore dell’ufficio del Governatorato di Gerusalemme a Qalandia, Zakaria Fayala, ha detto che il colono ha accelerato “deliberatamente” con la sua auto e si è schiantato contro i fratelli uccidendone uno sul posto.

Hanan Ashrawi, una parlamentare palestinese, ha definito l’ultimo incidente un “omicidio mordi e fuggi” che si aggiunge alla lista dei crimini israeliani impuniti”.

Tensioni in aumento

All’inizio di questa settimana l’esercito israeliano ha confermato l’uccisione di una ragazza palestinese di 15 anni durante un rastrellamento nella città occupata di Jenin in Cisgiordania

In seguito a questa uccisione Gli Stati Uniti hanno chiesto di accertarne la “responsabilità”.

Quest’anno gli ultimi decessi sono avvenuti durante un’impennata della violenza israeliana contro i palestinesi in Cisgiordania e una ripresa della resistenza armata palestinese.

Dall’inizio dell’anno il numero di palestinesi uccisi dalle forze israeliane è salito a 218, di cui 52 nella Striscia di Gaza e 166 in Cisgiordania, rendendolo uno degli anni più micidiali mai registrati per i palestinesi dal 2005.

Israele ha recentemente condotto quasi quotidianamente rastrellamenti e arresti in tutta la Cisgiordania, spesso uccidendo o ferendo palestinesi.

Secondo le autorità israeliane i rastrellamenti hanno portato a più di 2.500 arresti. Molte delle incursioni mortali sono avvenute nelle aree di Jenin e Nablus.

La “politica di sparare per uccidere” di Israele è stata ampiamente criticata in seguito all’incremento del numero di morti palestinesi per mano delle sue forze.

Nel frattempo 29 israeliani, soldati compresi, sono stati uccisi da palestinesi nello stesso periodo, il numero più alto dal 2008.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




In centinaia piangono due palestinesi uccisi in seguito alle incursioni israeliane in Cisgiordania

MENA

Qassam Muaddi

Cisgiordania, 2 settembre 2022 – The New Arab

Yazan Afaneh, di 24 anni, è stato ucciso a Ramallah da un proiettile israeliano sparato al cuore, mentre il 25enne Samer Khaled è stato ucciso da un palestinese armato immediatamente dopo un’incursione israeliana a Balata.

Centinaia di palestinesi giovedì hanno preso parte ai funerali del 24enne Yazan Afaneh e del 25enne Samer Khaled, entrambi uccisi durante le incursioni militari israeliane in Cisgiordania occupata.

Nel campo profughi di Qalandia fuori Ramallah i palestinesi hanno pianto Yazan Afaneh, il secondo rifugiato del campo ucciso dalle forze israeliane in due settimane.

A inizio agosto le forze israeliane avevano ucciso nella sua casa l’abitante di Qalandia Mohammad Shaham, di 25 anni, trattenendo poi il suo corpo.

Yazan era un giovane semplice, con una vita normale e normali aspettative rispetto al proprio futuro”, ha detto suo padre a The New Arab, mentre riceveva le condoglianze nella sala del comitato di servizio popolare di Qalandia.

Era fuori casa quando ho ricevuto una telefonata da uno dei suoi amici, che mi ha detto che era stato ferito dall’esercito israeliano”, ricorda il padre. “Sono corso all’ospedale di Ramallah e ho saputo che era morto appena dopo l’arrivo.”

Mohammad Abu Latifah, un caro amico del defunto, ha detto che Afaneh era un barbiere conosciuto ed era gentile con tutti nel campo.

Era amico dei vecchi e dei giovani ed anche dei bambini”, dice Latifah.

Afaneh si trovava a Sateh Marhaba, Ramallah, quando veicoli dell’esercito israeliano sono entrati nel quartiere, provocando il lancio di pietre contro i soldati da parte della gente del luogo alla quale si è unito il giovane barbiere.

I soldati israeliani hanno iniziato a sparare e Yazan ha ricevuto una pallottola nel cuore…Prima dell’arrivo dell’ambulanza Yazan aveva perso molto sangue ed è morto prima di arrivare all’ospedale”, aggiunge.

La polizia palestinese lancia lacrimogeni sulle persone in lutto

Nel campo profughi Balata a Nablus centinaia di palestinesi hanno preso parte al funerale di Samer Khaled, di 25 anni, ucciso durante un’incursione israeliana nel campo dopo mezzanotte.

Il funerale è stato interrotto dalla polizia palestinese che ha lanciato candelotti lacrimogeni sul corteo. I partecipanti infuriati hanno bloccato diverse strade protestando, prima che il funerale proseguisse e il corpo di Khaled fosse finalmente deposto nel cimitero di Nablus.

E’ successo che l’esercito israeliano ha sostenuto di non aver ucciso Samer Khaled e quindi l’Autorità Nazionale Palestinese ha voluto eseguire un’autopsia sul suo corpo”, ha detto a The New Arab Ameen Abu Wardeh, un giornalista abitante di Nablus.

Ha detto che la famiglia ha respinto la richiesta e ha voluto procedere col funerale, facendo sì che la polizia palestinese cercasse di fermare il corteo e di portare il corpo all’obitorio per l’autopsia.

Le cose sono sfuggite di mano e sono scoppiati disordini”, ha detto Abu Wardeh.

Media israeliani hanno detto che dirigenti palestinesi avevano comunicato loro che Khaled probabilmente non era stato ucciso dal fuoco israeliano.

Il governatore di Nablus dell’ANP ha dichiarato che le forze israeliane avevano fatto irruzione a Balata dopo la mezzanotte di mercoledì e quando si è conclusa un veicolo non registrato è entrato nel campo profughi mentre un palestinese armato ha cercato di fermarlo. Ai veicoli non identificati è vietato entrare nel campo profughi dopo la mezzanotte.

Secondo la dichiarazione del governatore l’auto ha rifiutato di fermarsi e il palestinese armato ha aperto il fuoco, ferendo a morte alla nuca Samer Khaled. La dichiarazione del governatore ha aggiunto che in un’indagine sull’uccisione sono stati arrestati tre palestinesi.

Le forze israeliane recentemente hanno usato veicoli civili per irrompere in zone residenziali palestinesi, compresa la città vecchia di Nablus e il campo profughi Balata.

Negli ultimi due mesi Nablus è stata al centro di un’escalation militare israeliana. Le forze israeliane hanno ripetutamente assalito il settore orientale della città, spesso scortando i coloni al sito religioso della ‘Tomba di Giuseppe’ e con scontri a fuoco con palestinesi armati.

A fine luglio e inizio agosto le forze israeliane hanno aggredito anche la città vecchia di Nablus, ingaggiando una battaglia di ore con militanti palestinesi. Sono stati uccisi quattro combattenti palestinesi, oltre ad un adolescente.

Dirigenti USA visitano la regione

Le incursioni israeliane nelle città palestinesi proseguono mentre la vice Segretaria di Stato USA per gli Affari Esteri Barbara Leaf visita Israele e la Cisgiordania occupata per tre giorni, come parte di un più vasto giro della regione.

Secondo quanto riferito da media palestinesi, discuterà della recente escalation in Cisgiordania.

Mercoledì il Primo Ministro palestinese Mohammad Shtayyeh ha incontrato l’inviato USA nella regione, Hadi Amru, a Ramallah.

Secondo l’agenzia di notizie dell’ANP Wafa, Shtayyeh ha detto a Amru che il popolo palestinese “sta subendo una forte pressione” a causa di “misure repressive israeliane senza precedenti, compresi arresti e furti di terra, oltre all’assenza di una prospettiva politica”.

Secondo Wafa Shtayyeh ha anche chiesto a Amru di “non ostacolare” i rinnovati sforzi della Palestina per essere membro dell’ONU a pieno titolo.

Dall’inizio del 2022 le forze israeliane hanno ucciso più di 140 palestinesi in Cisgiordania e Striscia di Gaza.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Palestina: impunità per arresti arbitrari e tortura da parte dell’ANP e di Hamas e persistenti e sistematici abusi un anno dopo il pestaggio a morte di un famoso dissidente

30 giugno 2022 – Human Rights Watch

(Gerusalemme) – Le autorità palestinesi maltrattano e torturano sistematicamente i palestinesi in detenzione, inclusi dissidenti e oppositori, ha affermato oggi Human Rights Watch [organizzazione non governativa internazionale che si occupa della difesa dei diritti umani, ndt.] in un rapporto parallelo presentato al Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura congiuntamente alla organizzazione per i diritti dei palestinesi Lawyers for Justice [Avvocati per la giustizia, ndt.]. La tortura, sia da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) guidata da Fatah [organizzazione politica laica palestinese prevalentemente di sinistra, ndt.] in Cisgiordania che delle autorità di Hamas [organizzazione politica islamista, sunnita e fondamentalista, ndt.] a Gaza, può costituire crimine contro l’umanità, data la sua natura sistematica nel corso di molti anni.

Più di un anno dopo il pestaggio a morte da parte dell’ANP dell’eminente attivista e dissidente Nizar Banat mentre era in custodia detentiva e la repressione violenta di persone che chiedevano giustizia per la sua morte, incluse le retate per proteste pacifiche, nessuno è stato ritenuto responsabile. I pubblici ministeri hanno emesso dei capi d’accusa contro 14 agenti di sicurezza ma i dissidenti affermano che le autorità si stanno muovendo troppo lentamente e sono di parte, come nel caso di una decisione del 21 giugno da parte della procura militare di concedere all’imputato un periodo di libertà di 12 giorni.

“Più di un anno dopo il pestaggio a morte di Nizar Banat l’Autorità Nazionale Palestinese continua ad arrestare e torturare critici e oppositori”, afferma Omar Shakir, direttore di Human Rights Watch per Israele e Palestina. “Gli abusi sistematici da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese e di Hamas costituiscono una componente fondamentale della repressione del popolo palestinese”.

Alla luce di questa serie di abusi altri Paesi dovrebbero tagliare l’assistenza alle forze di sicurezza palestinesi responsabili, inclusa la polizia dell’ANP che ha svolto un ruolo centrale nella recente repressione. La Procura della Corte Penale Internazionale dovrebbe indagare e perseguire le persone credibilmente implicate in questi gravi abusi.

All’alba del 24 giugno 2021 più di una decina di agenti di sicurezza preventiva dell’ANP, che monitorano le attività politiche e le minacce alle autorità a livello nazionale, hanno arrestato e aggredito violentemente Banat. Egli era un famoso dissidente che l’Autorità Nazionale Palestinese aveva precedentemente tenuto in detenzione per il suo attivismo e che aveva pianificato di candidarsi con una lista indipendente durante le elezioni legislative palestinesi del 2021, prima che fossero rinviate.

E’ morto durante la custodia, soffocato dal sangue e dalle secrezioni che avevano riempito i suoi polmoni, ha concluso un’autopsia. Un rapporto congiunto del marzo 2022 dell’organismo di vigilanza legale palestinese, della Commissione indipendente per i diritti umani (ICHR) e dell’associazione palestinese per i diritti umani al-Haq, ha rilevato che a causare la morte di Banat è stato l’uso eccessivo della forza da parte delle forze di sicurezza dell’ANP.

Il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh ha formato un comitato ufficiale per indagare sul decesso, ma il suo rapporto, presentato cinque giorni dopo, nel giugno 2021, non è stato reso pubblico. Il processo contro gli accusati di aver partecipato all’uccisione di Banat è in corso. A maggio la famiglia Banat ha annunciato un boicottaggio del procedimento, adducendo preoccupazioni tra cui la concessione di privilegi agli imputati, come consentire loro di uscire di prigione per visitare la famiglia senza un ordine del tribunale.

Nei mesi successivi alla morte di Banat le forze di polizia dell’ANP hanno disperso violentemente le proteste popolari che chiedevano giustizia e hanno rastrellato decine di persone per aver protestato pacificamente. Jehad Abdo, 54 anni, ha detto a Human Rights Watch che agenti di polizia dell’ANP in abiti civili lo hanno arrestato nell’agosto 2021 mentre si stava recando ad una protesta. I pubblici ministeri lo hanno accusato di aver insultato “autorità superiori” e di “raduno illegale”, accuse che di fatto criminalizzano l’espressione e le manifestazioni pacifiche, e lo hanno rilasciato quattro giorni dopo con imputazioni ancora pendenti.

Hamza Zbeidat, 38 anni, ha riferito a Human Rights Watch di essere stato arrestato anche lui dalle forze di polizia dell’ANP mentre si recava a una manifestazione programmata nellagosto 2021 sul caso di Banat. I pubblici ministeri in seguito hanno accusato Zbeidat di aver insultato “autorità superiori, di “raduno illegale” e istigazione a “conflitti settari”. Ha detto di aver trascorso tre notti in una minuscola cella sovraffollata senza un’adeguata ventilazione e di essere risultato positivo al Covid-19 diversi giorni dopo essere stato rilasciato con accuse pendenti.

Fakhri Jaradat, 53 anni, afferma che le forze di polizia dell’ANP lo hanno arrestato a casa sua in due diverse occasioni nel luglio 2021 dopo la sua partecipazione a manifestazioni legate al caso Banat e lo hanno interrogato riguardo a dei post su Facebook, uno dei quali invitava il presidente dell’ANP Mahmoud Abbas a “lasciare, andarsene.” I pubblici ministeri hanno accusato anche lui di insulti contro “autorità superiori”, “raduno illegale” e istigazione a “conflitti settari”, detenendolo tra i due arresti per circa una settimana in totale, prima di rilasciarlo con accuse ancora in corso.

Fadi Quran, 34 anni, afferma che le forze di polizia dell’Autorità Nazionale Palestinese lo hanno arrestato nell’agosto 2021 mentre camminava nel centro di Ramallah, vicino al luogo di una manifestazione programmata a cui intendeva partecipare, ma il cui svolgimento era stato impedito dalle forze di sicurezza. Ha detto che la polizia lo ha interrogato sulle bandiere palestinesi che portava e sui post su Facebook, incluso uno che criticava il rinvio delle elezioni dell’ANP e il governo del presidente Abbas, e lo ha rilasciato dopo due giorni di detenzione senza accusa.

Human Rights Watch afferma che la morte durante la custodia detentiva di Banat e i rastrellamenti dei manifestanti nelle settimane successive riflettono la pratica sistematica delle autorità palestinesi di arresti arbitrari e torture impunite. Le forze di sicurezza dell’ANP e di Hamas maltrattano e minacciano regolarmente i detenuti, usano l’isolamento e le percosse, tra cui frustate ai piedi, e costringono i detenuti in posizioni forzate dolorose per periodi prolungati, tra cui lo stare appesi con le braccia dietro la schiena con cavi o corde, per punire e intimidire i dissidenti e oppositori e ottenere confessioni, come mostrano Human Rights Watch e Lawyers for Justice nel loro rapporto parallelo.

L’ANP e Hamas sostengono che gli abusi non sono altro che casi isolati su cui sono in corso delle indagini e per i quali i trasgressori sono tenuti a rispondere, ma anni di ricerca da parte di Human Rights Watch, incluso il suo rapporto di 147 pagine del 2018, Two Authorities, One Way , Zero Dissent” [Due autorità, un metodo, zero dissenso, ndt.], contraddicono queste affermazioni. Come documentato nel rapporto parallelo, le autorità palestinesi hanno costantemente omesso di ritenere responsabili le forze di sicurezza.

Nel 2021 l’ICHR ha ricevuto 252 denunce di tortura e maltrattamenti e 279 di arresti arbitrari contro le autorità dell’Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania e 193 denunce di tortura e maltrattamenti e 97 di arresti arbitrari contro le autorità di Hamas a Gaza. Le autorità di Hamas hanno anche giustiziato 28 persone a Gaza da quando hanno preso il controllo politico nel giugno 2007, in un contesto in cui prevalgono le violazioni del giusto processo, la coercizione e la tortura, e hanno giustiziato sommariamente decine di altre persone senza alcun processo giudiziario, spesso con l’accusa di collaborazione con Israele.

Le autorità palestinesi dovrebbero rispettare i trattati internazionali sui diritti umani a cui hanno aderito e porre fine ai gravi abusi e all’impunità endemica assicurando i responsabili alla giustizia. Cinque anni dopo l’adesione della Palestina al Protocollo opzionale della Convenzione contro la tortura, che richiede l’istituzione di un “meccanismo nazionale di prevenzione” per monitorare in modo indipendente i centri di detenzione, anche con visite a sorpresa, il presidente Abbas a maggio ha emesso un decreto che istituisce la Commissione nazionale contro la tortura.

Tuttavia, il decreto prevede che il presidente dell’ANP nomini i membri della commissione, che saranno dipendenti del governo, e che la commissione operi come organo di governo. Ciò priverà la commissione di molta effettiva indipendenza, come hanno notato l’ICHR e una dichiarazione congiunta di 26 organizzazioni della società civile palestinese. Il presidente Abbas dovrebbe revocare il decreto e presentare un nuovo regolamento che crei un organismo pienamente indipendente.

Il rapporto parallelo di Human Rights Watch e Lawyers for Justice riguarda anche i maltrattamenti e le torture da parte delle autorità israeliane nei Territori Palestinesi Occupati e l’impunità per questi abusi. Secondo l’organizzazione israeliana per i diritti Public Committee Against Torture in Israel [Comitato pubblico contro la tortura in Israele, ndt.], nonostante le oltre 1.300 denunce di tortura presentate al Ministero della Giustizia israeliano dal 2001 a partire da atti presumibilmente commessi dalle autorità israeliane in Israele o in Cisgiordania, tra cui incatenamento in posizioni dolorose, privazione del sonno ed esposizione a temperature estreme, negli ultimi 20 anni queste denunce hanno portato a due sole indagini penali e nessun atto d’accusa.

Human Rights Watch afferma che nell’ambito dei suoi doveri ai sensi della Convenzione contro la tortura di “prevenire atti di tortura in qualsiasi territorio sotto la sua giurisdizione”, lo Stato di Palestina dovrebbe cessare ogni coordinamento di sicurezza con l’esercito israeliano che contribuisce a facilitare la tortura e altri gravi abusi, e smettere di consegnare i palestinesi, fintanto che persista per coloro che vengono consegnati un rischio reale di tortura e altri maltrattamenti proibiti.

“Molti governi affermano di voler sostenere lo stato di diritto in Palestina e tuttavia anno dopo anno continuano a finanziare le forze di polizia che lo minano attivamente”, afferma Shakir. Gli ostacoli costituiti da presunte preoccupazioni per la fragilità delle istituzioni palestinesi e altre scuse inconsistenti dovrebbero cadere. I governi donatori dovrebbero recidere i legami con la polizia e le forze di sicurezza palestinesi colpevoli di abusi e concentrare le loro politiche in Palestina e Israele sui diritti umani”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Il nuovo governo israeliano non è certo meglio del precedente, afferma il premier palestinese

Oliver Holmes, Gerusalemme

lunedì 14 giugno 2021 – The Guardian

Mohammad Shtayyeh condanna le dichiarazioni di Naftali Bennett a sostegno degli insediamenti coloniali israeliani

La cacciata di Benjamin Netanyahu chiude uno dei “periodi peggiori” del conflitto israelo-palestinese, ma il primo ministro palestinese ha affermato che il nuovo governo guidato da un sostenitore dei coloni, Naftali Bennett, non è certo migliore del precedente.

“Non riteniamo questo nuovo governo affatto migliore del precedente e condanniamo le dichiarazioni del nuovo primo ministro Naftali Bennett a sostegno degli insediamenti coloniali israeliani”, ha detto Mohammad Shtayyeh, riferendosi alle centinaia di migliaia di ebrei israeliani che si sono insediati nella Cisgiordania occupata.

“Il nuovo governo non durerà se non terrà conto del futuro del popolo palestinese e dei suoi diritti legittimi”, ha aggiunto Shtayyeh.

A tarda notte Bennett, ex leader di estrema destra dei coloni, si è rivolto al suo governo appena insediato sostenendo che il paese si troverebbe “all’inizio di giorni nuovi”. Il nuovo primo ministro ha escluso uno Stato palestinese e vuole che Israele mantenga il controllo in ultima istanza su tutte le terre che occupa. In precedenza aveva chiesto che Israele fosse più energico nei suoi attacchi a Gaza.

Bennett è stato a suo tempo a capo dello staff di Netanyahu e membro del suo partito Likud, ma in seguito sono divenuti agguerriti rivali. Lunedì Bennett e Netanyahu hanno tenuto una riunione di 30 minuti per il trasferimento formale del potere. Tuttavia, hanno saltato il servizio fotografico e gli auguri pubblici successivi al passaggio di consegne.

Diversi leader mondiali si sono congratulati pubblicamente con Bennett. E nonostante il governo del nuovo leader si sia esplicitamente impegnato a non compiere sforzi per porre fine all’occupazione israeliana, alcune figure all’estero hanno sottolineato nei loro messaggi di congratulazioni la necessità di perseguire la pace.

Il primo ministro canadese Justin Trudeau, ha affermato che Ottawa “rimane ferma nel suo impegno per una soluzione a due Stati, con israeliani e palestinesi che vivono in pace, sicurezza e dignità, senza paura e sotto il rispetto dei loro diritti umani”.

La Casa Bianca ha dichiarato che Joe Biden, nel corso di una telefonata con Bennett, “ha comunicato che la sua amministrazione intende lavorare a stretto contatto con il governo israeliano negli sforzi per far progredire la pace, la sicurezza e la prosperità di israeliani e palestinesi”.

In una precedente dichiarazione si affermava che il presidente degli Stati Uniti è impaziente di lavorare con Bennett, aggiungendo: “Israele non ha un amico migliore degli Stati Uniti”.

Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha dichiarato che sarà lieto di rafforzare il partenariato UE-Israele “per una prosperità comune e verso una pace e una stabilità regionali durature”. Il ministro degli esteri del Regno Unito, Dominic Raab, ha dichiarato: “Non vedo l’ora di continuare la cooperazione in materia di sicurezza, commercio e cambiamenti climatici e di lavorare insieme per garantire la pace nella regione”.

Bennett, 49 anni, ha prestato giuramento domenica sera dopo che il leader dell’opposizione, Yair Lapid, un centrista ex conduttore televisivo, ha conquistato la fiducia alla Knesset con un vantaggio esiguo di 60 seggi contro 59. In base a un accordo di condivisione del potere, Bennett consegnerà le redini del governo a Lapid dopo due anni.

La nuova amministrazione rompe una fase di stallo politico che ha portato dal 2019 a quattro elezioni anticipate. Durante tale periodo Netanyahu, famoso per le sue capacità politiche, è riuscito a far litigare e a dividere i suoi rivali tenendosi aggrappato al potere, anche dopo essere stato incriminato in tre casi penali di corruzione con accuse che egli nega.

Bennett guida un auto-definito “governo del cambiamento” che è un mix di politici ideologicamente opposti, da intransigenti nazionalisti religiosi ebrei a un piccolo partito islamista arabo, il cui leader, Mansour Abbas, è considerato un pragmatico.

Gli accordi di coalizione resi pubblici dichiarano che il nuovo governo si concentrerà principalmente su questioni economiche e sociali, come l’approvazione di un bilancio statale e la costruzione di nuovi ospedali, piuttosto che rischiare una lotta intestina nel tentativo di affrontare la crisi israelo-palestinese. Tuttavia Bennett in qualità di primo ministro avrà poteri esecutivi per consolidare ulteriormente l’occupazione.

Entrando a far parte della coalizione, Bennett è stato bollato come traditore da alcuni politici della destra religiosa, che lo hanno accusato di aver abbandonato la sua ideologia per unirsi a politici di “sinistra” ebrei e arabi.

Prima del voto di domenica Bennett ha dichiarato al parlamento che Israele era stato gettato in un vortice di odio e lotte intestine”.

Di fronte alle urla rabbiose di bugiardo” e criminale” da parte degli oppositori di destra, egli ha dichiarato: “È giunto l’ora che i vari rappresentanti politici, da tutta la nazione, fermino, fermino questa follia”.

Domenica sera a Gerusalemme, dopo che Netanyahu era stato rimosso dall’ incarico, migliaia di israeliani hanno riempito una piazza vicino alla Knesset sventolando la bandiera bianca e blu del Paese. Nel centro di Tel Aviv gli oppositori di Netanyahu festeggiavano recando cartelli con scritto “Ciao ciao Bibi”.

Netanyahu è stato al potere per così tanto tempo che – dopo che il voto di fiducia di domenica lo ha detronizzato – è tornato automaticamente a sedersi in un posto riservato al primo ministro. Sollecitato con discrezione da un parlamentare del suo partito, si è trasferito in un seggio destinato all’opposizione.

Il primo grande test per il nuovo governo sarà martedì, quando un corteo a cui parteciperanno nazionalisti ebrei di estrema destra marcerà attraverso i quartieri palestinesi di Gerusalemme.

La polizia israeliana aveva cambiato il percorso per evitare il quartiere musulmano della Città Vecchia, dopo che una marcia simile il mese scorso ha svolto un ruolo chiave nel dare origine alle tensioni che hanno portato all’ultimo conflitto di Gaza. Tuttavia, la marcia programmata attraverserà di nuovo la zona araba ed è vista come fortemente provocatoria.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Che cosa ha fatto l’ANP per bloccare l’apartheid in Israele? 

Ramona Wadi

4 maggio 2021 – Middle East Monitor

L’Autorità Nazionale Palestinese non avrebbe potuto sperare in un momento migliore per la pubblicazione del rapporto dell’Human Rights Watch [nota Ong per i diritti umani con sede negli USA, ndtr.] che descrive il sistema israeliano di apartheid e le violazioni.

Per l’ANP è un peccato che i palestinesi non si facciano ingannare da leader che invocano l’intervento della comunità internazionale in seguito al rapporto, mentre ancora una volta annullano le elezioni in un ciclo che si ripete e che, nello stesso momento stesso in cui sono state annunciate le date, era ovviamente destinato a verificarsi.

Una brevissima nota dell’agenzia di stampa palestinese Wafa ha fornito dettagli circa Mohammad Shtayyeh, primo ministro dell’ANP, che invoca le Nazioni Unite e le istituzioni ad esse affiliate perché riconoscano i crimini israeliani e “la necessità di formare un fronte internazionale per porre fine all’occupazione israeliana nei territori palestinesi.”

Un fronte ipotetico, naturalmente, di cui la leadership palestinese non farebbe parte. Per l’ANP si è infatti dimostrata redditizia la sicurezza di cui gode grazie alla collaborazione con Israele e la comunità internazionale nel mantenere l’espansione israeliana, che è ricompensata generosamente, così come il coordinamento per la sicurezza, che consolida il sistema israeliano di apartheid.

Con HRW che denuncia l’apartheid proprio mentre l’ANP è indaffarata ad annullare le elezioni, si è aperta una breve finestra di opportunità durante la quale la dirigenza palestinese si è lanciata nelle lamentele, la sua strategia logora e sostanzialmente inutile. Non solo perché la comunità internazionale non avrebbe mai prestato attenzione a dichiarazioni che chiedono che uno dei suoi maggiori alleati sia ritenuto responsabile, ma anche perché l’ANP stessa è un’entità senza dignità.

Nessun autentico passo per combattere l’apartheid è stato compiuto dall’autorità guidata da Mahmoud Abbas. Ha sempre preso l’imbeccata da quello che altre organizzazioni, se possibile quelle influenti, hanno fornito ai media. Prima B’Tselem [organizzazione israeliana non governativa che documenta le violazioni dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, ndtr.] e ora HRW hanno evidenziato il sistema israeliano di apartheid, entrambe in ritardo, ma comunque ancora accolte positivamente. Comunque l’ANP ha un’esperienza di prima mano dell’apartheid israeliano e ha mantenuto una posizione quasi silenziosa intervallata da occasionali minacce. L’approccio va ad aggiungersi alle occasioni in cui il presidente Mahmoud Abbas si è rimangiato le proprie decisioni che avrebbero potuto sfidare il sistema israeliano di apartheid.

Invece, Abbas ha optato per un ciclo ripetitivo che promuove falsamente un cambiamento in attesa del momento opportuno per porre fine alla débâcle a modo suo, a beneficio dell’ANP e di Israele.

Il suo unico avvertimento recente è stato il mese scorso durante la conferenza di J-Street [associazione ebraico-americana sionista progressista, ndtr.] quando ha avvertito che il popolo palestinese e la comunità internazionale non avrebbero accettato una situazione di apartheid de-facto in Palestina. Ovviamente i palestinesi non accetteranno tale asservimento, ma come fa Abbas a essere così sicuro che la comunità internazionale non chiuderà un occhio ora che gli Accordi di Abramo [tra Israele e alcuni Paesi arabi, sponsorizzati da Trump, ndtr.] hanno cambiato la percezione riguardo alla concezione israeliana di annessione ed espansione?

Abbas ignora il fatto che, mentre la comunità internazionale è stata disposta a esplorare alternative che proteggessero l’espansione israeliana, il che significa che un “Piano B” verrebbe preso in considerazione se favorisce Israele, lo stesso riconoscimento non verrebbe assegnato ai palestinesi, che restano legati alla fasulla diplomazia e politica dei “due Stati”. Il rapporto di HRW non è un argomento propagandistico che possa essere sfruttato dall’ANP. I fatti che contiene dovrebbero obbligare la dirigenza palestinese ad analizzare il proprio ruolo nel mantenere le pratiche israeliane di apartheid contro il popolo della Palestina occupata.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Un rave, una DJ e un dibattito: i palestinesi scandalizzati da un tecno-party in un luogo sacro

Akram Al-Waara – Ramallah, Cisgiordania occupata

31 dicembre 2020 – Middle East Eye

Nonostante fosse stata concessa l’autorizzazione per l’evento, il governo palestinese ha arrestato la famosa DJ palestinese Sama Abdulhadi e la tiene in carcere da quindici giorni

* Nota redazionale. Oggi 4 gennaio Sama Abdulhadi è stata scarcerata su cauzione ma rimane inquisita e non può lasciare la Palestina per Parigi dove abita.

Una festa organizzata sabato ha suscitato una polemica all’interno della società palestinese e scatenato un acceso dibattito sulla cultura e la religione. Questo clamore fa seguito alla diffusione di video che mostrano gente che fa festa bevendo e ballando nell’antico sito di Nabi Moussa, un luogo sacro musulmano situato nella Cisgiordania occupata, che secondo la tradizione islamica sarebbe il luogo di sepoltura di Mosè.

In un video ampiamente diffuso giovani palestinesi ballano sotto giochi di luce al suono di una musica tecno all’interno di un’antica costruzione a Nabi Moussa, tra Gerico e Gerusalemme.

In un altro video si vede un gruppo di giovani interrompere la festa gridando ai partecipanti: “Fuori! Subito! Uscite!”. Uno dei partecipanti risponde che hanno il permesso del Ministero del Turismo palestinese.

Ciononostante i giovani insistono nel disperdere i festaioli e si avvicinano alla DJ di fama internazionale Sama Abdulhadi – ritenuta la prima donna DJ professionista palestinese -, che fa filmare un video sul sito. 

Si sente Sama Abdulhadi pregare le persone che le si avvicinano: “Siamo desolati, siamo desolati, ce ne andiamo. Vi giuro che ce ne andiamo.”

Lunedì le forze dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) hanno arrestato Sama Abdulhadi e l’ hanno fermata per interrogarla, pur se i responsabili non hanno specificato i motivi del suo arresto. Martedì un giudice ha deciso di prorogare la sua detenzione di quindici giorni.

Una festa “immorale” e “irrispettosa”

Il video ha suscitato l’indignazione di molti palestinesi per i quali questa festa è un affronto all’islam e una “profanazione” del luogo sacro. Il giorno seguente fedeli palestinesi si sono recati a Nabi Moussa e hanno organizzato una manifestazione per pregare nella moschea del sito e condannare una festa “immorale” e “irrispettosa”.

Contemporaneamente si è visto sulle reti sociali uno slancio di solidarietà da parte di utenti di internet palestinesi e stranieri in difesa di Sama Abdulhadi, mentre una petizione per la sua liberazione è stata firmata da migliaia di fan e simpatizzanti.

Nei giorni successivi alla festa, dei video di palestinesi che esprimevano la propria indignazione hanno inondato Twitter, TikTok e Facebook; alcuni di loro chiedevano che i partecipanti alla festa, gli organizzatori ed i rappresentanti del governo che hanno concesso il permesso fossero ritenuti responsabili.

Ciò che è accaduto a Nabi Moussa è abbastanza sconvolgente per noi, in quanto palestinesi: è qualcosa che non possiamo accettare”, confida a Middle East Eye Alaa al-Daya, una studentessa di 23 anni originaria di Gerusalemme.  

Secondo me non è una bella cosa fare questo genere di feste in un luogo che ha tanta importanza religiosa e culturale per le persone”, sostiene.

La giovane spiega che il concetto di rave party, per di più nel luogo di un’antica moschea, non è accettato da una gran parte della comunità palestinese.

Secondo i partecipanti e gli organizzatori della festa l’evento aveva lo scopo di celebrare e preservare la cultura palestinese, precisa.

Ma io non sono d’accordo. Fare festa e bere non sono cose condivise da tutti i palestinesi. Ci sono altri modi per celebrare e proteggere la nostra cultura”, afferma.

Se si fosse trattato di un festival di dabkeh (danza tradizionale araba) o di musica tradizionale palestinese, forse le persone non vi avrebbero visto un problema così grave.”

Invece lo zio di Sama Abdulhadi, Samir Halileh, ha dichiarato che sua nipote faceva un video e intendeva ricreare un’ambientazione caratteristica della musica tecno. Ha aggiunto che le voci sulla presenza di droga erano infondate.

Affermazioni contraddittorie

I responsabili dell’Autorità Nazionale Palestinese si sono affrettate a smentire ripetutamente le affermazioni secondo cui il Ministero del Turismo aveva rilasciato un’autorizzazione per l’evento. Analogamente, il Ministero degli Affari Religiosi e quello del Turismo hanno subito dichiarato di non essere stati informati dell’evento.

Osama Estetia, responsabile dei musei del Ministero del Turismo, ha però dichiarato mercoledì che, quando avevano ricevuto la richiesta per filmare il sito allo scopo di promuoverlo in rete, i suoi servizi non erano stati informati del tipo di musica che sarebbe stata suonata.

L’impiegato che ha ricevuto la richiesta ha risposto trasmettendo un elenco di condizioni, in particolare il rispetto dei regolamenti del sito, delle procedure di pubblica sicurezza, della rilevanza religiosa e della privacy del santuario”, ha dichiarato in un’intervista rilasciata alla rete televisiva Al-Watan.

Osama Estetia ha declinato ogni responsabilità riguardo ai fatti, affermando che il ministero aveva chiesto agli organizzatori di coordinarsi con il governatorato di Gerico, in quanto il ministero non era responsabile della gestione del sito stesso.

Secondo lui erano stati gli organizzatori a proporre quel luogo, affermazione contraddetta dal capo della Commissione palestinese indipendente per i diritti umani, Ammar Dweik, che ha affermato il contrario.

Il Primo Ministro Mohammad Shtayyeh ha annunciato la creazione di una “commissione d’inchiesta” per scoprire ciò che è avvenuto e anzitutto perché la festa sia stata organizzata a Nabi Moussa.

Mahmoud al-Habbash, consigliere del presidente Mahmoud Abbas per le questioni religiose, ha pubblicato un comunicato in cui afferma di provare “disgusto e rabbia per quel che è avvenuto alla moschea di Nabi Moussa.”

Non so ancora chi sia responsabile di questo peccato, ma, chiunque sia, la sanzione sarà all’altezza dell’atrocità commessa. Una moschea è una casa di dio, il suo carattere sacro è il carattere sacro della religione stessa”, ha dichiarato.

Sama è un capro espiatorio”

Secondo lo zio di Sama Abdulhadi l’evento ha avuto luogo con l’approvazione del ministero e il problema sta nella definizione del sito stesso, cioè se si tratti di un sito sacro religioso o di un sito turistico che ospita un albergo, delle piazze e una moschea.

È chiaro che Sama è stata vittima di questo contrasto sulla definizione del luogo. Noi non accettiamo l’idea di aver urtato delle sensibilità religiose o profanato un luogo sacro e la disputa sulla natura del sito deve essere definita dal governo.”

Samir Halileh sostiene che sua nipote, che è disposta a collaborare, dovrebbe essere liberata e che dovrebbe essere doverosamente condotta un’inchiesta.

L’insieme del sito occupa 5.000 m2 e la moschea 60 m2. Ci siamo assicurati presso il Ministero del Turismo che fosse possibile organizzarvi una festa”, ha dichiarato alla tv Al-Watan [rete televisiva palestinese accusata da Israele di essere vicina ad Hamas, ndtr.].

Ci hanno detto che il sito comprendeva grandi cortili e che i turisti vi avevano accesso.”

Poco dopo il suo arresto ha iniziato a circolare una petizione per la liberazione di Sama Abdulhadi. Giovedì scorso contava circa 76.000 firme. Secondo la petizione l’incidente avvenuto a Nabi Moussa ha provocato “una feroce campagna di disinformazione sulle reti sociali, che ha alimentato reazioni violente e attacchi personali contro Sama.”

La petizione sottolinea anche il fatto che gli organizzatori hanno sicuramente ricevuto un’autorizzazione scritta dal Ministero del Turismo, che controlla il sito, ma altresì che la festa si è svolta nella zona del “bazar” e non dentro la moschea.

Il ministero era a conoscenza del genere di musica che sarebbe stata suonata durante il concerto – la musica tecno – e che il concerto sarebbe stato filmato in questo sito archeologico (…) allo scopo di promuovere i siti rilevanti del patrimonio palestinese e la musica tecno palestinese presso il pubblico musicale di tutto il mondo.”

Sama Abdulhadi e gli organizzatori del concerto non si sono forse resi conto che questo genere di musica non era consono al sito e alle sue implicazioni storiche, religiose e culturali, ma ciò non toglie che il Ministero del Turismo abbia l’intera responsabilità della decisione di autorizzare lo svolgimento del concerto”, specifica la petizione.

Tra i firmatari della petizione figura l’avvocata ed attivista palestinese-americana Noura Erakat, che ha dichiarato in un post su Facebook di aver firmato la petizione in quanto ritiene che Sama Abdulhadi sia “un capro espiatorio dell’Autorità Nazionale Palestinese.”

Per Alaa al-Daya, la giovane studentessa, gli organizzatori avrebbero dovuto essere informati meglio e Sama non avrebbe dovuto essere arrestata; secondo lei la vera responsabilità è del governo.

È chiaro che adesso il governo cerca di salvare la faccia e di addossare la colpa a qualcun altro, dopo aver visto le reazioni negative che tutto ciò ha provocato”, afferma.

L’hanno arrestata solo per dimostrare di aver preso misure contro la festa. Sama non dovrebbe essere in carcere. È la persona che ha autorizzato la festa che dovrebbe esserci.”

(Traduzione dal francese di Cristiana Cavagna)




La pandemia da coronavirus e il fallimento della strategia di disimpegno dell’ANP

Ihab Maharmeh

16 giugno 2020 – Al Jazeera

È tempo che l’Autorità Nazionale Palestinese adotti una strategia radicalmente nuova

Lo scorso anno, quando il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito il suo impegno ad annettere parti della Cisgiordania occupata e l’amministrazione USA ha insistito sull’unilaterale “accordo del secolo”, l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) si è arrabattata per mettere insieme una nuova strategia politica.

Nell’aprile 2019 il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh, nominato da poco, ha annunciato che il governo avrebbe proceduto con un “disimpegno economico” dall’occupazione. Durante l’estate alcuni politici palestinesi hanno continuato a parlare di questa nuova strategia e in settembre l’ANP finalmente ha preso l’iniziativa, dichiarando che avrebbe posto fine alle importazioni dirette di bovini da Israele.

Nei mesi successivi i tentativi del governo dell’ANP di mettere in atto questa strategia ha dato come risultato una piccola guerra commerciale con Israele, terminata repentinamente in marzo quando le autorità palestinesi hanno dovuto affrontare la prospettiva di una grave epidemia del nuovo coronavirus.

La pandemia è subito diventata la prova decisiva della nuova strategia, sgretolatasi quando l’ANP si è cimentata nel controllo della diffusione della malattia e nella gestione dell’economia palestinese già in difficoltà. Dato che le ultime dichiarazioni del presidente palestinese Mahmoud Abbas riguardo alla fine degli accordi e del coordinamento per la sicurezza con Israele dimostrano ancora una volta di essere una vuota minaccia, è tempo che la dirigenza palestinese cambi radicalmente la sua strategia.

La “strategia del disimpegno”

Per anni l’idea di un “disimpegno economico” da Israele è circolata nei circoli politici palestinesi. Nel passato ci sono stati anche tentativi di imporre vari boicottaggi sui prodotti israeliani che non hanno avuto alcun successo.

Quando gli USA hanno spostato la loro ambasciata a Gerusalemme, riconoscendo le rivendicazioni israeliane sulla città, e inquietanti particolari dell’“accordo del secolo” dell’amministrazione Trump sono stati resi noti, è ricomparsa l’idea di un disimpegno palestinese.

Quando nell’aprile 2019 è entrato in carica, Shtayyeh ne ha fatto una priorità del suo nuovo governo. Il primo ministro palestinese ha parlato di rafforzare l’indipendenza economica palestinese promuovendo la produzione locale, le esportazioni e le importazioni dirette dall’estero e incoraggiando i palestinesi che lavorano in Israele a cercare piuttosto lavoro nei territori palestinesi.

Ha anche affermato che il suo governo avrebbe perseguito una strategia di “sviluppo a grappolo”, stimolando alcuni settori economici nelle diverse regioni: agricoltura a Jenin, industria a Nablus, turismo a Betlemme e fornitura di servizi medici nella Gerusalemme est occupata.

La strategia si basava sul fatto che l’ANP continuasse a ricevere gli introiti fiscali che, secondo il protocollo di Parigi del 1994, vengono raccolti per suo conto dalle autorità israeliane. Tuttavia negli ultimi 25 anni Israele ha regolarmente trattenuto parte delle risorse fiscali del governo palestinese con vari pretesti, compreso, più di recente, che l’ANP sta pagando sussidi alle famiglie di prigionieri politici palestinesi che gli israeliani considerano “terroristi”.

Trattenere questi fondi è solo una delle molte tattiche coercitive a disposizione del governo israeliano per contrastare qualunque politica palestinese ritenga minacci i suoi interessi economico-politici. E quello che è successo dopo il bando palestinese sull’importazione di bestiame l’ha illustrato alla perfezione.

Nel gennaio 2020 il governo israeliano ha emanato un bando sull’importazione di prodotti agricoli palestinesi. All’inizio di febbraio l’ANP ha vietato l’importazione di alcuni prodotti israeliani, a cui gli israeliani hanno risposto impedendo a quelli palestinesi di attraversare il territorio israeliano per l’esportazione in Giordania.

Due settimane dopo, quando si è profilata un’epidemia di COVID-19 che minacciava la già disastrata economia palestinese, l’ANP ha ceduto ed ha tolto il bando sui prodotti israeliani. La dirigenza palestinese ha affermato di aver raggiunto un accordo con gli israeliani per l’importazione di bestiame direttamente dal mercato internazionale attraverso Israele.

L’annuncio è stato fatto solo un giorno prima che Israele dichiarasse ufficialmente di aver registrato il primo caso di COVID-19. La diffusione del virus nei territori palestinesi occupati era solo questione di tempo. Il 5 marzo l’ANP ha annunciato il suo primo test positivo al COVID-19 ed ha decretato lo stato d’emergenza di un mese.

La pandemia di coronavirus non ha solo accelerato la fine dei tentativi palestinesi di mettere in pratica il “disimpegno economico”, ma ha anche dimostrato proprio quanto impotente sia l’ANP nel prendere una qualunque decisione importante riguardo al popolo palestinese, persino quando si tratti di salute pubblica.

Il fallimento dell’ANP nel combattere il COVID-19

Dall’inizio di marzo l’ANP ha cercato di mettere in atto una serie di misure per arginare la diffusione del nuovo coronavirus. Fin da subito è risultato chiaro che il contagio si sarebbe esteso da Israele ai lavoratori palestinesi che lavorano nelle città israeliane e nelle colonie illegali. Ciò è stato confermato in seguito dalle statistiche: in aprile il 79% dei casi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza era dovuto a lavoratori in Israele o a loro familiari.

Così, il 17 marzo Shtayyeh ha annunciato che gli spostamenti tra il territorio israeliano e quello palestinese sarebbero stati interrotti e che, se volevano continuare a lavorare, i lavoratori avrebbero avuto tre giorni per trovarsi una sistemazione in territorio israeliano.

Dopo una settimana, e dopo che molti lavoratori malati sono stati maltrattati dalle autorità israeliane, Shtayyeh ha chiesto ai palestinesi di lasciare il proprio lavoro in Israele e di rimanere a casa, in quanto correvano il serio rischio di contrarre il virus. Ciò ha minacciato l’economia israeliana, soprattutto nel settore dell’edilizia, per cui il governo israeliano ha agito rapidamente ed ha iniziato a concedere permessi ai palestinesi perché rimanessero in territorio israeliano.

L’ANP voleva che le autorità israeliane iniziassero a fare controlli medici sui lavoratori palestinesi, ma gli è stato rifiutato. Quindi il movimento dei palestinesi dentro e fuori Israele è continuato, vanificando gli sforzi del governo palestinese di frenare la diffusione del virus.

L’ANP ha anche cercato di combattere la diffusione del virus nelle aree B e C della Cisgiordania occupata, che sono sotto diretto controllo della sicurezza israeliana. Shtayyeh ha chiesto alle comunità locali di formare commissioni d’emergenza e di impegnarsi nell’erogazione di servizi sanitari e di sicurezza in quelle zone.

Ma le forze di occupazione israeliane hanno sistematicamente minato questi tentativi. Hanno attaccato le barriere palestinesi predisposte dalle comunità locali agli ingressi dei loro villaggi per controllare il passaggio dei lavoratori palestinesi di ritorno a casa da Israele.

Le autorità di occupazione hanno anche sabotato i tentativi di funzionari palestinesi che cercavano di mettere in atto misure preventive nelle cittadine e nei quartieri palestinesi all’interno dei confini amministrativi della Gerusalemme est occupata.

Il 3 aprile le autorità di occupazione hanno arrestato il ministro degli Affari di Gerusalemme, Fadi al-Hadami, per attività “illegali”. Due giorni dopo hanno arrestato anche Adnan Ghaith, il governatore di Gerusalemme dell’ANP. Entrambi erano impegnati nella lotta contro l’epidemia.

Inoltre Israele ha negato al governo palestinese il permesso di operare a Gerusalemme e di testare i palestinesi al virus.

É tempo di una nuova strategia

Il 19 maggio, in risposta al piano israeliano per annettere parti della Cisgiordania in luglio e al tacito consenso degli USA a questo proposito, Abbas ha dichiarato “nullo” ogni accordo con Israele e gli USA. Ciò è avvenuto circa un anno dopo che aveva annunciato la sospensione di ogni accordo con Israele.

Il presidente ha affermato che quest’ultima dichiarazione mette fine alla cooperazione per la sicurezza con le forze israeliane e trasferisce ogni responsabilità per i territori palestinesi occupati al governo israeliano. Ma l’annuncio era scarso di dettagli e finora non sembra aver dato come risultato alcun mutamento significativo nei rapporti con Israele.

Di fatto alcuni politici palestinesi hanno inviato messaggi per rassicurare Israele che i servizi di sicurezza palestinesi continueranno il proprio lavoro nel bloccare ogni forma di resistenza contro Israele in Cisgiordania. Sembra che questa sarà l’ennesima delle decine di dichiarazioni dell’ANP sull’interruzione del coordinamento per la sicurezza con Israele che non hanno comportato nessuna seria azione.

É davvero incomprensibile perché l’ANP continui ad insistere nell’utilizzare lo stesso strumentario di misure inefficaci che, nel corso dell’ultimo quarto di secolo, non ha bloccato la costante colonizzazione israeliana della terra palestinese né lo sfruttamento delle risorse palestinesi. Con l’imminente annessione di fino al 30% della Cisgiordania in luglio, è ormai il momento per l’ANP di abbandonare questi triti tatticismi.

La dirigenza palestinese deve smettere di parlare di uno Stato palestinese sui confini del 1967 e ammettere che la Palestina storica è governata da un sistema di apartheid. Ciò aprirebbe la strada all’estensione della resistenza contro il colonialismo e l’oppressione israeliani per tutti i palestinesi all’interno e fuori dalla Palestina.

Nella Palestina storica definire Israele una potenza che pratica l’apartheid consentirebbe a tutti i palestinesi (quelli che vivono in Cisgiordania, a Gaza e nelle terre occupate nel 1948) di intraprendere una resistenza decentralizzata contro l’apartheid utilizzando ogni possibile strategia e strumento. Anche la dirigenza palestinese ne farebbe parte.

Fuori dalla Palestina riconoscere l’apartheid aiuterebbe i palestinesi della diaspora a convincere la comunità internazionale ad accettare la lotta dei palestinesi in quanto lotta contro l’apartheid e il razzismo.

In questo modo i palestinesi passeranno dal sogno irraggiungibile dei due Stati alla realtà della resistenza contro l’apartheid e ciò aiuterà ad attirare il supporto di chiunque nel mondo creda nella giustizia, nell’uguaglianza e nella libertà.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.

Ihab Maharmeh è un ricercatore presso il Centro Arabo per la Ricerca e gli Studi Politici.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




L’ANP prospetta uno Stato demilitarizzato come controproposta al piano Trump

Ali Younes

9 giugno 2020 – Al Jazeera

I palestinesi inviano una risposta ai mediatori sul piano americano, il quale favorisce Israele con l’annessione di parti della Cisgiordania occupata.

L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) afferma di aver inviato ai mediatori internazionali una controproposta al piano mediorientale del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, proponendo l’istituzione di uno Stato palestinese demilitarizzato e sovrano nella Cisgiordania occupata, Gerusalemme est e Gaza.

Martedì, nel corso di una conferenza stampa con giornalisti stranieri, il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh ha affermato che la proposta è stata presentata al Quartetto, un organo internazionale composto da Nazioni Unite, Unione Europea, Stati Uniti e Russia che ha il compito di mediare i colloqui di pace tra Israele e i palestinesi.

Secondo Shtayyeh, la proposta palestinese mira alla creazione di uno “Stato palestinese sovrano, indipendente e demilitarizzato”, con Gerusalemme est come capitale. Inoltre lascia aperta la porta a modifiche dei confini tra lo Stato proposto e Israele, così come a scambi di aree di territorio uguali “per dimensioni, volume e valore – uno contro uno”.

Nessun altro dettaglio è al momento disponibile.

La proposta palestinese è arrivata in risposta al controverso piano di Trump che dà il via libera all’annessione da parte di Israele di ampie zone della Cisgiordania occupata, comprese le colonie illegali e la Valle del Giordano.

Presentato alla fine di gennaio, il piano di Trump propone l’istituzione di uno Stato palestinese demilitarizzato sul restante mosaico di parti sconnesse dei territori palestinesi senza Gerusalemme est, che i palestinesi vogliono come capitale del loro Stato.

I palestinesi hanno respinto il piano di Trump in quanto del tutto fazioso a favore di Israele e hanno minacciato di ritirarsi dagli accordi di Oslo.

La leadership palestinese aveva già tagliato i rapporti con l’amministrazione Trump nel 2017 a proposito della sua posizione pro-Israele, compreso il suo riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele e il trasferimento lì dell’ambasciata americana nel maggio 2018.

La prevista annessione da parte israeliana priverebbe i palestinesi delle principali risorse agricole di terra e acqua, specialmente nella regione della Valle del Giordano. Inoltre affosserebbe definitivamente la soluzione dei due Stati al conflitto arabo-israeliano basata sull’idea di terra in cambio della pace.

Shtayyeh ha avvertito che se il governo israeliano andasse avanti con la prevista annessione, “il governo palestinese annuncerà la costituzione dello Stato [previsto] e l’istituzione di un Consiglio” che svolgerebbe le funzioni di Parlamento.

Questi sforzi, ha detto ad Al Jazeera, mirano a contrastare le politiche sia israeliane che statunitensi volte a minare il “diritto” palestinese ad uno Stato indipendente e il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi che furono espulsi con la forza dalle loro case e città quando fu fondato Israele nel 1948.

Wasel Abu Yousef, alto dirigente e membro del comitato esecutivo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), ha descritto l’annuncio di martedì come “parte di diversi passi su cui sta lavorando la leadership palestinese, come raggiungere l’unità palestinese, boicottare i prodotti israeliani e portare avanti presso la Corte Penale Internazionale (CPI) le incriminazioni per crimini di guerra di Israele per la sua guerra contro Gaza del 2014”.

Abu Yousef ha affermato che la leadership palestinese non ha altra scelta se non quella di controbattere agli obiettivi statunitensi e israeliani di negare ai palestinesi i loro diritti e di respingere le attuali proposte di “pace” che vanno ben al di sotto delle richieste dei palestinesi.

“Nessun leader palestinese – ha detto – può essere d’accordo con le condizioni poste da americani e israeliani di dover rinunciare ai diritti o al ritorno dei rifugiati palestinesi, accettando l’annessione di Gerusalemme o permettendo a Israele di annettere parti della Cisgiordania dove ha costruito le sue illegali colonie ebree”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)