‘In fin di vita’: la famiglia del prigioniero in sciopero della fame chiede il suo rilascio immediato

Yumna Patel

3 gennaio 2022 – Mondoweiss

Il prigioniero palestinese Hisham Abu Hawash è entrato lunedì nel suo 140esimo giorno di sciopero della fame e, secondo la sua famiglia, è in condizioni talmente critiche che potrebbe morire in qualsiasi momento”.

Aggiornamento: Hisham Abu Hawash ha concluso il suo sciopero della fame martedì 4 gennaio dopo 141 giorni di sciopero, a seguito di un accordo con Israele per il suo rilascio dalla detenzione amministrativa il 26 febbraio.

Lunedì 3 gennaio il prigioniero palestinese Hisham Abu Hawash, 41 anni, è entrato nel suo 140esimo giorno di sciopero della fame e, secondo la sua famiglia, è in condizioni così critiche che potrebbe “morire in qualsiasi momento”.

Abu Hawash è stato arrestato dalle forze israeliane nell’ottobre 2020 nel cuore della notte nella sua casa di famiglia nella città di Dura, a sud di Hebron, nel sud della Cisgiordania occupata.

Poco dopo il suo arresto Israele lo ha posto in detenzione amministrativa, una pratica utilizzata da Israele che consente la detenzione dei palestinesi a tempo indefinito senza accuse o processo, sulla base di “prove segrete” contro di loro. Abu Hawash aveva precedentemente trascorso nelle prigioni israeliane due distinti periodi di detenzione amministrativa.

Il 15 agosto 2021, dopo quasi 10 mesi di detenzione amministrativa, la Corte Suprema israeliana doveva esaminare un appello sulla detenzione di Abu Hawash. Ma l’udienza è stata annullata in quanto la procura militare israeliana si è opposta alla presentazione dell’appello davanti alla corte affermando che a causa di “prove segrete” fornite da funzionari dell’intelligence israeliana Abu Hawash non avrebbe potuto appellarsi alla sua detenzione fino a quando non avesse scontato due anni di carcere in detenzione amministrativa.

Quel giorno Abu Hawash ha annunciato che avrebbe iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la sua detenzione arbitraria.

Ora, a più di quattro mesi dall’inizio del suo sciopero, la sua famiglia sostiene che Abu Hawash si trova in condizioni critiche ed è in fin di vita.

“Potrebbe morire da un momento all’altro”, ha detto a Mondoweiss il fratello di Abu Hawash, Emad, dal soggiorno della casa di famiglia a Dura.

Non è più in grado di muoversi e riesce a malapena a parlare. La sua vista è offuscata, i suoi muscoli hanno iniziato ad atrofizzarsi e il potassio e gli enzimi epatici sono a livelli criticamente bassi”, riferisce Emad.

“Hisham era già affetto da problemi renali, che sono congeniti nella nostra famiglia, e ora i medici sono preoccupati che i suoi reni e altri organi possano cedere da un momento all’altro”, aggiunge.

Il ministero della Salute palestinese ha organizzato una delegazione che nel fine settimana ha visitato Abu Hawash presso lo Shamir Medical Center (Assaf Harofeh) a sud di Tel Aviv, dove è detenuto. Secondo una dichiarazione del ministero, “Abu Hawash soffre di offuscamento visivo, incapacità di parlare, grave atrofia muscolare e incapacità di muoversi, mentre la sua capacità di percepire ciò che accade intorno a lui è ridotta.“.

Secondo Emad, Hisham, che è padre di cinque figli di età inferiore ai 13 anni, ha rifiutato ogni tipo di vitamine e sostentamento, ad eccezione di una miscela di acqua per mantenerlo in vita. La famiglia di Hisham riferisce che verso le 3 di questa mattina è entrato in coma.

Hisham ha perso metà del suo peso. Un tempo pesava 85 kg e ora ne pesa meno di 40″, dice Emad, sottolineando che nelle immagini che vede di suo fratello sdraiato nel letto d’ospedale gli risulta “irriconoscibilie“.

Crescenti pressioni

Durante il fine settimana la mobilitazione è cresciuta, poiché le organizzazioni internazionali e i parlamentari statunitensi si sono uniti ai cittadini e ai leader palestinesi nella richiesta a Israele di rilasciare immediatamente Abu Hawash.

Manifestazioni si sono svolte nelle città della Cisgiordania, con folle a Ramallah, Betlemme, Hebron e Nablus che hanno chiesto il rilascio di Abu Hawash. Proteste simili sono state segnalate a Gaza, così come in paesi e città palestinesi in Israele.

In base alle informazioni, domenica la polizia israeliana ha picchiato i manifestanti durante una veglia per Abu Hawash a Umm al-Fahm, nel nord di Israele.

Lunedì notte dei manifestanti con le bandiere palestinesi si sono radunati davanti agli uffici dello Shin Bet, l’agenzia di intelligence interna di Israele, per chiedere il rilascio di Abu Hawash.

Secondo la famiglia di Abu Hawash e i resoconti degli organi di informazione palestinesi, le forze di polizia israeliane hanno fatto irruzione nella sua stanza d’ospedale e hanno allontanato con la forza dall’ospedale sua moglie Aisha, i suoi avvocati e i giornalisti.

Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) ha rilasciato una dichiarazione in cui esprime preoccupazione per le condizioni di Abu Hawash, i potenziali effetti “irreversibili” del suo sciopero della fame e la “possibile perdita di una vita”.

I leader palestinesi, incluso il primo ministro palestinese Mohammed Shtayyeh, hanno affermato di ritenere Israele “pienamente responsabile” della vita di Abu Hawash. Il movimento della Jihad islamica a Gaza ha minacciato ritorsioni se Israele non avesse rilasciato immediatamente Abu Hawash.

Appelli per il rilascio di Abu Hawash sono stati diffusi attraverso l’utilizzo dell’hashtag #FreeHishamAbuHawwash sulle piattaforme sociali della rete. Lunedì in Palestina imperversava su Twitter la versione araba dell’hashtag, insieme al tag #FreeThemAll.

La deputata statunitense Rashida Tlaib si è unita agli appelli per il rilascio di Abu Hawash e ha condiviso su Twitter un video virale dei figli di Abu Hawash in lacrime mentre visitano per la prima volta il padre in ospedale.

“Hisham Abu Hawash – sposato, padre di 5 figli, detenuto senza prove, processo o persino un’udienza in tribunale (in violazione della legge internazionale) dall’ottobre 2020. In sciopero della fame per oltre 140 giorni. Solo il governo di Israele è responsabile di questa situazione e della sua salute e sicurezza”, ha scritto Tlaib.

Siamo con Hisham fino alla fine’

Nonostante le crescenti richieste di rilascio di Abu Hawash sulle piattaforme sociali e nelle piazze palestinesi, Emad Abu Hawash dice a Mondoweiss che la comunità internazionale non ha fatto il proprio dovere al fine di difendere suo fratello.

Emad, che collabora con il Centro Palestinese per i Diritti Umani (PCHR) [organizzazione indipendente con sede a Gaza, ndtr.], riferisce di aver inviato decine di lettere urgenti a organizzazioni come Human Rights Watch e Amnesty International per attirare l’attenzione sul caso di suo fratello, ma senza alcun risultato.

“Ho inviato lettere giorno dopo giorno a diverse organizzazioni internazionali, ma ho ricevuto poche o nessuna risposta”, dice Emad.

Nelle sue lettere, che ha fornito a Mondoweiss, Emad ha scritto, tra l’altro, del fatto che la tortura dei prigionieri e la detenzione amministrativa possono costituire crimini di guerra ai sensi dello Statuto di Roma [trattato internazionale istitutivo della Corte penale Internazionale, ndtr.] e costituire violazioni della Quarta Convenzione di Ginevra [che protegge da atti di violenza e dallarbitrio i civili che si trovano in mano nemica o in territorio occupato, ndtr].

Nelle lettere indirizzate sia a Human Rights Watch che ad Amnesty Emad ha scritto: “Chiedo rispettosamente il vostro intervento per costringere l’occupazione israeliana ad attuare le regole minime standard per il trattamento dei prigionieri e a rilasciare Hisham Abu Hawash data la mancanza di accuse e l’assenza delle garanzie richieste per un libero processo”.

“La comunità internazionale non può trovare scuse sostenendo di non essere consapevole di ciò che sta accadendo”, afferma Emad, che è stato anch’egli recluso in una prigione israeliana in condizioni di detenzione amministrativa.

Sono anni che le organizzazioni palestinesi per i diritti umani denunciano al mondo il crimine della detenzione amministrativa. Il mondo ne è a conoscenza, ma ha scelto di non agire”.

Secondo l’organizzazione per i diritti dei detenuti palestinesi Addameer attualmente 500 prigionieri palestinesi sono imprigionati da Israele in regime di detenzione amministrativa.

Il mese scorso Israele ha rilasciato il prigioniero palestinese Kayed Fasfous dopo 131 giorni di sciopero della fame attuato in protesta contro la sua detenzione amministrativa. Nel novembre 2021 il prigioniero palestinese Miqdad Qawasmeh ha concluso il suo sciopero della fame di 113 giorni dopo che Israele ha accettato di porre fine alla sua detenzione amministrativa a febbraio del 2022.

“Qualsiasi cosa succeda siamo con Hisham”, dice Emad. “Sta lottando per la libertà e noi saremo con lui fino alla fine”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




L’ANP accusata di essere uno ‘Stato di polizia’ a causa dell’arresto di un regista palestinese

Shatha Hammad da Nablus, Palestina

14 settembre 2020 – Middle East Eye

L’Autorità Nazionale Palestinese ha effettuato 30 arresti politici, 33 convocazioni per interrogatori e nove incursioni a partire da agosto

Di fronte al palazzo del Consiglio dei Ministri palestinese a Ramallah il 66enne Asaad Thaher cammina con il suo bastone, accanto a decine di poliziotti antisommossa e transenne di ferro, per andare a sedersi e prendere fiato.

Thaher è arrivato da Nablus, la sua città nel nord della Palestina, ad un’ora circa di macchina, per recarsi al quartier generale dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) a Ramallah a chiedere giustizia per suo figlio Abdel-Rahman.

Il regista trentottenne è detenuto dall’ANP dal 19 agosto, quando è stato arrestato dal corpo di sicurezza preventiva.

Non so niente di Abdel-Rahman. Non lo vedo da quando è stato arrestato”, ha detto Thaher a Middle East Eye. “Sono molto preoccupato ed ho paura per lui…Non ho la minima informazione che possa alleviare le mie preoccupazioni”, ha detto prima di scoppiare in lacrime, incapace di continuare a parlare.

Invece ha interpellato un gruppo di circa 50 giornalisti che il 9 settembre avevano tenuto un presidio di solidarietà, insieme alla famiglia di Abdel-Rahman, davanti all’ufficio del Primo Ministro Mohammed Shtayyeh. Hanno chiesto il rilascio del detenuto, il rispetto della libertà di parola e di espressione e la fine della detenzione da parte dell’ANP di giornalisti e attivisti.

Nel contempo le forze di sicurezza dell’ANP hanno formato uno stretto cordone intorno all’ufficio di Shtayyeh, hanno dispiegato poliziotti antisommossa e minacciato l’immediata interruzione del sit-in se qualcuno avesse tentato di avanzare.

Abdel Rahman è stato arrestato la sera del 19 agosto mentre lasciava il suo posto di lavoro al centro televisivo An-Najah a Nablus, dove produce e presenta diversi programmi in tv.

Il giorno dopo all’una di notte le forze di sicurezza hanno fatto irruzione a casa sua ed hanno confiscato la sua attrezzatura, computer e files.

Il raid è stato terribile. I miei figli, uno di quattro anni e l’altro di otto, hanno visto il loro padre con le manette ai polsi ed in un tale stato di umiliazione”, ha detto a MEE Rasha, la moglie di Rahman.

Questo ha provocato loro un forte trauma psicologico. Non ho potuto spiegar loro che cosa stava succedendo.”

Il regista ha una laurea in architettura, ma ha a lungo lavorato nel campo dei media e dell’arte come giornalista e presentatore, con programmi su canali quali la televisione giordana Ro’ya, la televisione locale Wattan e la televisione britannica Al Araby. Abdel Rahman ha anche prodotto parecchi documentari e programmi satirici.

Arresto arbitrario

Secondo il suo avvocato Muhannad Karajeh dell’associazione di Ramallah ‘Avvocati per la Giustizia’, quasi un mese dopo Abdel Rahman resta in prigione con accuse che includono “vilipendio dell’autorità”.

La causa è pendente, e il tribunale continua a prorogare la sua detenzione basandosi sulle richieste della procura di “proseguire le indagini”.

Abdel Rahman non ha commesso alcun reato. Lo stanno interrogando solo relativamente al suo lavoro artistico e di informazione”, ha affermato Rasha.

Karajeh ha spiegato a MEE che non è ancora riuscito ad incontrare il suo cliente di persona e quindi non conosce dettagliatamente le sue condizioni di detenzione e durante gli interrogatori. All’avvocato è stato anche impedito di prendere visione dell’intera documentazione sull’indagine e di averne una copia.

Mi è stato permesso di vedere solo delle parti della documentazione investigativa e tutte riguardano il suo lavoro artistico e sui media, che è critico riguardo all’Autorità Nazionale Palestinese e al suo comportamento, e si tratta di lavori che sono stati diffusi sui canali televisivi di Ro’ya e Al Araby”, ha detto Karajeh a MEE.

L’avvocato ha detto che accusano Abdel-Rahman anche sulla base di generiche attività come “avviare un gruppo WhatsApp” e “comunicare in rete con persone influenti fuori dalla Palestina”, e che per la maggior parte gli interrogatori hanno riguardato il suo lavoro prima del 2016.

In base al documento che Karajeh ha visionato, una delle domande che il procuratore capo ha rivolto ad Abdel-Rahman è stata: “Qual è la tua definizione di libertà di opinione e di espressione?”, cosa che secondo Karajeh dimostra, insieme ai fatti relativi all’intero caso, che la sua detenzione riguarda quello che ha detto.

Avvocati per la Giustizia’ afferma che la protratta detenzione di Abdel- Rahman è una violazione della legge fondamentale palestinese, che garantisce la libertà di opinione e di espressione.

In una dichiarazione l’associazione ha affermato che “ciò che viene attribuito a Thaher non si discosta da un naturale esercizio di libertà di opinione e di espressione” e ha definito il suo arresto “arbitrario”.

Le forze di sicurezza dell’ANP hanno rifiutato di rilasciare commenti pubblici sul caso o fornire informazioni ai giornalisti.

Karajeh ha sottolineato che finora le autorità hanno trattato Abdel-Rahman ignorando le garanzie di un processo equo, come le visite dell’avvocato, negandogli una copia della documentazione e rifiutando il suo rilascio.

Il periodo di fermo di Abdel -Rahman è scaduto, ma il servizio di sicurezza preventiva continua a chiedere ulteriori proroghe della sua detenzione col pretesto di indagine in corso,” ha aggiunto.

Rasha ha potuto visitare Abdel-Rahman solo una volta dal suo arresto, per mezz’ora. Dice che suo marito ha cercato di rassicurarla, ma che “non stava per niente bene.”

Cercava di mostrarsi forte, ma non era così e aveva paura di parlare”, aggiunge. Afferma che, quando lo ha visto in tribunale, “mostrava segni di stanchezza, sfinimento e malattia.”

In seguito la famiglia è venuta a sapere che il loro figlio era stato portato in ospedale almeno una volta.

Stato di emergenza

Lo stato di emergenza imposto dall’ANP a partire da marzo per contrastare la diffusione del Covid-19 è stato caratterizzato da continui arresti politici in un contesto di violazioni della libertà di espressione, nonostante le dichiarazioni di Shtayyeh che avrebbe garantito la libertà di parola.

Il Comitato delle Famiglie dei Prigionieri Politici nella Cisgiordania occupata ha condannato le violazioni dei diritti umani fondamentali da parte dei servizi di sicurezza, rilevando soprattutto il continuo rinnovo dello stato di emergenza in violazione della Legge Fondamentale Palestinese. Il comitato ha affermato in una dichiarazione di aver osservato un incremento delle violazioni da parte dell’ANP a partire da agosto, compresi 30 casi di arresti politici, 33 convocazioni per interrogatori e nove irruzioni in case e posti di lavoro.

L’attivista per i diritti umani e giornalista Majdouline Hassouna dice a MEE di ritenere che la protratta detenzione di Abdel-Rahman e l’indagine sulle sue produzioni artistiche e sui media rappresentano una grave escalation contro la libertà dei giornalisti e le libertà di opinione e di espressione.

Gli attacchi ai giornalisti da parte dell’ANP non sono mai cessati. Tuttavia oggi appare chiaro che aumenteranno e diventeranno sistematici”, ha detto Hassouna. “È facile per i servizi di sicurezza accusarci di appartenere a qualche partito e costruire accuse per fornire una copertura alla nostra detenzione per via dei nostri diritti di opinione, espressione e del nostro lavoro giornalistico.

Oggi non esiste alcuna struttura giudiziaria o politica che faccia pressione sui servizi di sicurezza per il rilascio di Abdel-Rahman. Siamo diventati uno stato di polizia”, ha affermato, aggiungendo che lei e i suoi colleghi intendono rivolgersi ad ambasciate e consolati per premere per il suo rilascio, nel timore che venga sottoposto a tortura o ricatto per estorcergli una confessione. 

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Nuovo servizio di salute mentale a Gaza: un progetto di controllo psicologico

Samah Jabr

14 febbraio 2020 – Middle East Monitor

In marzo nel nord della Striscia di Gaza, nei pressi del valico di Erez, inizierà ad operare un ospedale da campo costruito dal gruppo di soccorso israeliano “Natan” insieme all’organizzazione evangelica cristiana statunitense “Friend Ships” [Navi Amiche].

Le autorità della Ramallah occupata hanno affermato che il progetto, capeggiato da donatori filo-israeliani, è una copertura per operazioni americane e israeliane di intelligence. Il primo ministro dell’ANP Mohammed Shtayyeh ha accusato l’ospedale di essere funzionale al “piano per la pace” dell’amministrazione Trump; ma sfortunatamente le proteste hanno inteso danneggiare l’immagine pubblica delle autorità di Gaza più che analizzare e spiegare ai palestinesi, comprese le autorità di Gaza, il danno intenzionale di un tale progetto. Come reazione, il portavoce di Hamas, Hazem Qassim, è rimasto sulla difensiva, dicendo a Dunya Al-Watan [portale di notizie]: “Loro (l’Autorità Nazionale Palestinese) confondono quelli (i loro timori) con informazioni immaginarie.”

Ho visto inserzioni per cercare volontari internazionali, compresi professionisti della salute mentale, perché lavorino nel progetto e ho scoperto quanto segue:

Natan”, una “organizzazione umanitaria no-profit” israeliana con sede a Tel Aviv fa parte di questo progetto, che tra le varie cose fornisce cure psicologiche tramite persone con passaporto non israeliano contattate per fornire servizi sanitari a Gaza.

Friend Ships e Natan hanno anche collaborato per fornire cure mediche ai siriani sul lato controllato dalla Siria delle Alture del Golan occupate.

Nella sua inserzione per [la ricerca di] volontari Natan afferma: “Questo nuovo centro di salute può influenzare direttamente la sicurezza israeliana riducendo la minaccia di violenze da Gaza migliorandovi la qualità di vita dei civili.” L’organizzazione utilizza l’usuale linguaggio israeliano per descrivere i palestinesi come una minaccia che deve essere tenuta sotto controllo in ogni modo possibile: niente riguardo alla giustizia, all’occupazione o alla necessità di togliere l’assedio. In questo caso “migliorarvi la qualità di vita dei civili” è una strategia di controllo ed egemonia.

L’inserzione menziona in particolare un membro della direzione di Natan, il maggiore generale Matan Vilnai, ex vice capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, che viene consultato per garantire la sicurezza dei volontari. L’annuncio non cita tuttavia il fatto che quest’uomo è stato imputato di crimini contro l’umanità per il bombardamento di Gaza nel 2009. Né fa riferimento alle sue minacce di genocidio contro i gazawi “che attireranno su di sé una Shoà più grande perché useremo tutta la nostra potenza per difenderci,” utilizzando la parola ebraica normalmente riservata per fare riferimento all’Olocausto ebraico.

L’equipe e i volontari presso il nuovo centro medico entreranno nel campo da Israele e i pazienti del lato palestinese attraverso checkpoint controllati da forze di occupazione israeliane scelte in base ai criteri di Vilnai: altro che umanitarismo!

Le politiche americane sostenute da Israele hanno danneggiato il settore della salute, soprattutto a Gaza. C’è una grave carenza di cure mediche, medicinali e materiale sanitario che nessuno può negare. Apparentemente il settore delle cure mediche sembra un tentativo di mitigare questa situazione premeditata, ma di fatto è un modo per imporre ulteriore controllo e dipendenza per i palestinesi più vulnerabili.

Israele ha fatto accordi con i pazienti palestinesi che sperano di lasciare la Striscia di Gaza per trattamenti sanitari per trasformarli in informatori contro il loro stesso popolo in cambio di permessi di uscita per avere accesso a cure mediche. Ha anche impedito ai genitori di accompagnare i figli molto malati fuori da Gaza, lasciando che i minori morissero da soli negli ospedali di Gerusalemme.

Israele ha imposto un assedio, ha danneggiato infrastrutture e provocato una situazione umanitaria terribile a Gaza, lasciandola nell’assoluta necessità di aiuti e dipendente dagli interventi umanitari dall’estero. Ciò ha reso i governanti di Gaza incapaci di vedere il chiaro danno psicologico e morale di questo progetto, che consente a Israele di lavarsi le mani dopo tutto il sangue che ha versato nella Striscia ed essere sia chi perpetra [crimini] che chi guarisce, in una dinamica del trauma estremamente complessa.

Un centro di salute controllato dall’esercito israeliano è l’antitesi di un luogo sicuro richiesto per cure psicologiche; un terapista volontario che accetti le premesse di un progetto per rafforzare la sicurezza di “Israele” e controllare la “violenza” palestinese non ha la consapevolezza necessaria e l’empatia richiesta per essere un terapeuta per i gazawi; di fatto, e nel migliore dei casi, questo è un progetto per migliorare le pubbliche relazioni a favore di Israele e garantire un’esperienza professionale molto eccitante a volontari in una zona di trauma.

Ovviamente ci sono altri potenziali rischi politici e per la sicurezza nell’utilizzo di questo complesso sanitario: domare la Marcia del Ritorno e far perdere la sincera solidarietà internazionale che invia la Freedom Flottilla con una piccola quantità di aiuti sanitari a Gaza. In un precedente articolo ho affermato che “un rapporto della UN Disengagement Observer Force [Forza di Osservazione del Disimpegno dell’ONU] (UNDOF) ha rivelato che Israele ha collaborato con gruppi jihadisti salafiti nelle Alture del Golan occupate. Questa collaborazione non si è limitata ad offrire aiuto medico ai membri di Jabhat Al-Nusra feriti. Al contrario, ci sono rapporti che descrivono il trasferimento di materiale non specificato da Israele ai siriani, così come incidenti in cui i soldati israeliani hanno lasciato passare siriani che non erano feriti.”

Temo che questo progetto non solo faccia arrivare materiale ed equipaggiamento dal confine siriano a quello di Gaza, ma anche competenze nell’uso del rapporto terapeutico e rapporti medici confidenziali per spiare la popolazione, creare divisioni e reclutare informatori e collaborazionisti.

L’11 novembre 2018 otto agenti israeliani in incognito travestiti da membri di una famiglia palestinese sono entrati a Gaza con l’obiettivo di installarvi impianti di spionaggio nel sistema di comunicazioni private di Hamas. Un’inchiesta ha scoperto che l’unità israeliana utilizzava mezzi di spionaggio e un’attrezzatura per la perforazione entrati a Gaza con la copertura dell’organizzazione umanitaria internazionale Humedica, un ente con sede in Germania che fornisce aiuti a Gaza.

Il responsabile di zona, Joao Santos, con passaporto portoghese, ha abbandonato Gaza il giorno dopo che l’operazione è fallita. Sarebbe un volontario.

In un momento in cui la politica internazionale sta consentendo a Israele di avere il controllo totale su terra e risorse, l’aiuto umanitario viene utilizzato per consentire il controllo delle menti dei palestinesi.

L’aiuto umanitario può essere un mascheramento di intenzioni sadiche e per mantenere la dominazione degli israeliani sui palestinesi. La giusta risposta a tutto ciò sono la promozione dell’autosufficienza palestinese e la fine immediata della separazione tra Gaza e Cisgiordania. I professionisti e i servizi palestinesi della salute mentale in Cisgiordania sono ansiosi di fornire una risposta e di soddisfare le necessità degli abitanti di Gaza appena avremo la libertà di farlo.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)