Ecco cosa dice in realtà per conto dell’ONU Pramilla Patten nel suo rapporto sulle violenze sessuali del 7 ottobre

Rete di solidarietà femminista per la Palestina

11 marzo 2024 – Mondoweiss

Il rapporto dell’ONU sulle violenze sessuali del 7 ottobre non ha evidenziato prove di stupri sistematici da parte di Hamas o di qualsiasi altro gruppo palestinese, nonostante i media abbiano ampiamente riportato il contrario. Ma ci sono problemi più profondi riguardo alla credibilità del rapporto.

Negli ultimi quattro mesi una campagna propagandistica concertata, organizzata dal governo israeliano e amplificata attraverso vari organi d’informazione occidentali, ha accusato Hamas di aver usato il 7 ottobre lo stupro come arma di guerra. Dichiarazioni su una pianificazione e messa in atto da parte di Hamas di violenze sessuali (con atti che vanno dal fortemente grottesco all’apertamente feticistico e bizzarro) sono state usate per dipingere la resistenza palestinese come disumana e per giustificare il genocidio in corso a Gaza da parte di Israele. Analisi recenti che dimostrano il carattere fallace di queste affermazioni invenzioni, errori materiali e cattive pratiche giornalistiche, asserzioni di testimoni e primi soccorritori non attendibili, affiliazioni militari israeliane di fonti chiave, nonché l’assenza di prove legali o di attestazioni video o fotografiche hanno aperto una breccia nell’opinione corrente.

Il 4 marzo la Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite sulla violenza sessuale nei conflitti, Pramila Patten, ha pubblicato un rapporto basato su una visita condotta dal 29 gennaio al 14 febbraio in Israele e nella Cisgiordania occupata per raccogliere, analizzare e verificare le accuse di violenze sessuali legate al conflitto commesse secondo quanto riferito durante i brutali attacchi terroristici condotti da Hamas il 7 ottobre 2023. Il rapporto, che descrive in dettaglio i risultati del sopralluogo di Patten, è emerso in un momento cruciale. Contemporaneamente, mentre la narrazione israeliana secondo cui il 7 ottobre Hamas avrebbe commesso violenze sessuali sistematiche si sta sgretolando, e gli organi di informazione che hanno diffuso tale narrazione sono sotto pressione, il rapporto viene ampiamente proclamato come una difesa di entrambi [Israele e organi di informazione, ndt.].

La nostra analisi mostra che questo non è vero. Il rapporto, infatti, non giunge a molte delle conclusioni per le quali viene elogiato dagli organi di informazione occidentali e molte delle sue conclusioni destabilizzano la narrazione israeliana. Nel rilevare tali conclusioni segnaliamo che il rapporto contiene gravi limiti e discrepanze. È importante capire perché non ci si può fidare del rapporto, dal momento che ha dato nuova vita alla macchina propagandistica sugli stupri di massa utilizzata per giustificare il genocidio di Israele a Gaza.

1. La mancata indagine e i problemi riguardo la metodologia di Patten

Lufficio di Patten non ha né i mezzi né il mandato per indagare su quanto accaduto il 7 ottobre, e le sue risultanze non soddisfano lo standard legale della prova. Al contrario, lufficio della Rappresentante Speciale sulla Violenza Sessuale nei conflitti ha il compito di raccogliere informazioni” e impegnarsi nelpatrocinio legale”.

Ironicamente è proprio lassenza di qualsiasi capacità o potere di indagare che probabilmente ha indotto Israele a rivolgere un invito a Patten. Questo nonostante il rifiuto di Israele di collaborare con lindagine ufficiale dell’ONU attualmente in corso. Nonostante Patten non abbia nascosto che la sua principale preoccupazionenel produrre il rapporto sia stata quella di fare di tutto per gli ostaggi rimasti, ciò che rende la sua missione utile a Israele è la sua compiacenza e deliberata ignoranza nel momento in cui non indaga sulla serie di fatti connessi al 7 Ottobre il suo prima e dopo, contestualmente e storicamente. Non c’è da stupirsi che la missione di Patten abbia goduto della piena cooperazionedel governo israeliano (paragrafo 32), dal momento che era noto in anticipo che la missione non avrebbe potuto anzi, non avrebbe voluto sondare troppo in profondità.

Dopo la pubblicazione del recente rapporto sulla sua missione Patten ha sostenuto che qualsiasi verdetto definitivo sulle violenze sessuali avvenute il 7 ottobre richiederebbe un’indagine ufficiale delle Nazioni Unite.[1] [2] Ma è proprio questa indagine dellONU, presieduta da Navi Pillay, già in corso, che il governo israeliano ha più volte bloccato. Il 15 gennaio, ad esempio, Israele ha dato istruzioni ai medici che avevano curato i sopravvissuti del 7 ottobre di non collaborare con gli investigatori dell’ONU. Lo stesso rapporto di Patten cita la mancanza di cooperazione da parte dello Stato di Israele con gli organi competenti delle Nazioni Unite dotati di mandato investigativo. (Paragrafo 55) Eppure, allo stesso tempo, Israele presenta in modo fuorviante il rapporto di Patten come una convalida dell’ONU alla sua affermazione secondo cui Hamas il 7 ottobre avrebbe commesso violenze sessuali sistematiche.

Per dimostrare quanto sia facile fare uso strumentale del rapporto di Patten, dobbiamo solo ricercare nel suo contesto il significato di “informazione credibile. Durante il suo incontro con i giornalisti Patten ha ripetutamente legittimato il rapporto sostenendo che seguirebbe la metodologia dell’ONU. Ma un esame più attento rivela che quando l’applicazione dell’onere della provautilizzata dagli organi investigativi dell’ONU – “ragionevoli motivi per ritenere” – viene trasferita in un contesto in cui non è possibile alcuna indagine le informazioni possono facilmente essere distorte e utilizzate come armi (paragrafo 26). Nel rapporto le interviste con testimoni secondari anonimi costituiscono alcune delle principali fonti di informazioni credibilima la loro inclusione si basa sulla valutazione personale della credibilità e affidabilità dei testimoni incontratida parte del team della missione. (Paragrafo 26)

In altre parole, ci viene chiesto di fidarci del giudizio di Patten e di prendere il suo rapporto per oro colato. Tale fiducia sarebbe stata più facile se il rapporto avesse incluso citazioni o riferimenti che spiegassero le fonti su cui si basa a proposito delle sue informazioni credibili. Pur comprendendo che le informazioni sensibilidebbano essere rese anonime quando si ha a che fare con dei testimoni (par. 31), ciò oltrepassa il confine delloccultamento quando le informazioni in questione provengono da istituzioni nazionali israeliane o organizzazioni della società civile; le pubblicazioni non vengono citate, né viene identificato alcun funzionario governativo o primo soccorritore (anche se questi hanno già emesso dichiarazioni pubbliche).

Sappiamo, ad esempio, che Patten ha parlato con uomini della ZAKA [vedi infra, ndt] come Yossi Landau (come lei stessa ha ammesso nella conferenza stampa). Landau è stato una figura centrale nella diffusione di false storie intorno al 7 ottobre, tutte ora screditate. Mentre il rapporto di Patten confuta una falsa storia su una donna incinta [a Be’eri] il cui ventre sarebbe stato squarciato prima di essere uccisa e il feto pugnalato mentre era ancora dentro di lei(paragrafo 65), storia che origina anch’essa da Landau, ripete anche, senza metterle in discussione, altre affermazioni fatte pubblicamente da Landau. Ad esempio, il rapporto avalla le ragioni fornite da Landau al New York Times secondo cui il numero limitato di foto scattateda gruppi volontari di ricerca e salvataggio sarebbe dovuto alla loro estrazione religiosa conservatricee per rispetto al defunto” (paragrafo 46) – il tutto senza mai nominare Landau.

Trasmettere queste informazioni in termini generici, senza fonti o attribuzioni, conferisce alle stesse unaura di obiettività” e imparzialità”. Questa mancanza di trasparenza rende quasi impossibile pesare e valutare le informazioni che riceviamo dal rapporto.

Un ulteriore problema è legato al fatto che il piccolo numero di testimoni della violenza sessuale del 7 ottobre sia già stato ampiamente screditato. Si è scoperto che molti hanno mentito esplicitamente nella loro testimonianza, la maggioranza ha legami diretti o indiretti con l’esercito israeliano, tutti i testimoni chiave hanno cambiato la loro testimonianza in modo abbastanza significativo da minare la loro credibilità, e molti appartengono all’organizzazione sionista conservatrice ZAKA, che, secondo il portavoce Yehuda Meshi-Zahav, si considera un braccio del ministero degli Affari esteri”.

Sappiamo già che la squadra di Patten, nonostante abbia lanciato un appello pubblico, non ha incontrato un solo sopravvissuto alla violenza sessuale dal 7 ottobre (par. 48). A meno che Patten, con pochi contatti sul campo e di fronte a quella che lei stessa ha definito disponibilità estremamente limitata di vittime sopravvissute e testimoni di violenze sessuali, sia stata in qualche modo in grado di evocare una serie completamente nuova di testimoni nell’arco di due settimane dobbiamo presupporre che i testimoni credibilidi Patten provengano da questo gruppo già screditato. È quindi altamente improbabile che siano credibili.

Ancora più problematica è lassenza di citazioni delle fonti, data la provenienza di gran parte delle informazioni contenute nel rapporto. Il rapporto stesso afferma che il raggiungimento dell’obiettivo della squadra è stato limitato dal fatto che le informazioni su cui faceva affidamento provenivano in gran parte da istituzioni nazionali israeliane(Paragrafo 55) fra cui: il Presidente di Israele e la First Lady, i ministeri competentile Forze di Difesa Israeliane (IDF), lAgenzia di Sicurezza Israeliana (Shin Bet), e la Polizia Nazionale israeliana incaricata delle indagini sugli attacchi del 7 ottobre (Lahav 433); [e] diversi incontri di lavoro alla base militare di Shura, lobitorio in cui furono trasferiti i corpi delle vittime, nonché un incontro al Centro Nazionale Israeliano di Medicina Legale” (par. 33).

In tutto, la squadra ha condotto 33 incontri con rappresentanti delle istituzioni nazionali israeliane. (par. 33) Rendere tali informazioni generiche e comunicarle con tono impersonale oscurando le fonti dà lillusione di obiettività”, anche se il rapporto rimane fortemente dipendente dalle fonti israeliane. In quanto tale, il rapporto non è solo metodologicamente imperfetto, ma anche pericoloso.

Nella conferenza stampa del 4 marzo Patten ha ammesso che, senza unindagineci occuperemmo delle violenze sessuali praticamente nel vuoto(Minuto 20:36, corsivo nostro). Questa decontestualizzazione consente di far finta che le storie degli stupri di massa del 7 ottobre non abbiano avuto un ruolo persistente nel giustificare il genocidio di Gaza. In questo senso, la mossa di delegittimare nel rapporto due presunti casi di violenza sessuale che hanno avuto un’ampia diffusione (entrambi completamente confutati molto prima della pubblicazione del rapporto) ha avuto l’effetto di convalidare i giudizi di credibilità espressi nel resto del rapporto e confondere i critici. [3] Il rapporto può quindi sembrare in accordo con i principi di indipendenza, imparzialità, obiettività, trasparenza, integrità” (paragrafo 30), anche se presenta una visione parziale del quadro del 7 ottobre.

Patten afferma di comprendere il rischio che il suo rapporto venga strumentalizzato. Quindi potremmo chiederci perché ha accettato linvito in Israele quando sapeva che gli israeliani stavano rifiutando laccesso alla Commissione dInchiesta dell’ONU, lagenzia con poteri investigativi. Come mostriamo nella nostra analisi della diffusione del rapporto Patten nei media occidentali, il rapporto è già stato citato come sostegno ufficiale dell’ONU alle affermazioni di Israele e utilizzato per rivitalizzare la propaganda sugli stupri di massa, proprio quando quella propaganda era stata pubblicamente sfatata. Ciò essenzialmente rende Patten una complice volontaria del genocidio israeliano a Gaza.

2. Sfatando la narrazione sullo stupro di massa

Nonostante la sua complicità con la narrazione israeliana il rapporto di Patten mina molti dei principi fondamentali di tale versione. Gli organi di informazione di massa occidentali sono attualmente impegnati in una campagna concertata per ignorare questo fatto, dal momento che interpretano il rapporto come una conferma delle affermazioni secondo cui il 7 ottobre Hamas avrebbe commesso uno stupro sistematico. In realtà, il rapporto non giunge esplicitamente a questa conclusione. Qui elenchiamo diversi riscontri del rapporto e spieghiamo come e perché minano la narrazione di Israele.

2.1 Il rapporto delle Nazioni Unite non rileva che il 7 ottobre abbia avuto compimento alcun “disegno preordinato” di violenza sessuale

Questa è stata l’affermazione principale di Jeffrey Gettleman, Anat Schwartz e Adam Sella nel loro articolo, ormai completamente screditato, “‘Screams Without Words’: How Hamas Weaponized Sexual Violence on Oct. 7” [“grida senza parole”: come Hamas il 7 ottobre ha utilizzato la violenza sessuale come arma, ndt], in cui sostenevano che i combattenti di Hamas non avrebbero compiuto atti di stupro occasionali e isolati, ma avrebbero invece messo in attoun più ampio disegno preordinato di violenza di genere, utilizzando lo stupro come arma di guerra. Tuttavia, quando, 52 minuti dopo l’inizio della conferenza stampa di Patten del 4 marzo, Farnaz Fassihi del Times ha chiesto: “Potrebbe affermare di aver riscontrato un disegno preordinato di violenza sessuale come strategia di Hamas, sia negli attacchi del 7 ottobre che riguardo gli ostaggi?” Patten ha risposto no in maniera decisa.

In un momento successivo della conferenza stampa, quando la giornalista di Haaretz Liza Rozovsky le ha chiesto: “Ho ragione nel dire che non si può concludere che la violenza sessuale sia stata di carattere sistematico?” Patten ha ribadito la risposta, affermando: “No…il fattore distintivo rispetto al compito che ci eravamo prefissati, la raccolta e la verifica di informazioni allo scopo di includerle nella relazione annuale del Segretario Generale piuttosto che un’indagine, nel qual caso si sarebbe indagata l’eventuale esistenza di aspetti più ampi e sistematici. Non abbiamo approfondito quegli aspetti. (Minuto 57:53)

Il rapporto di Patten non ha potuto né “stabilire l’estensione della violenza sessuale” (par. 86), né “trarre conclusioni sullattribuzione delle presunte violenze sessuali a specifici gruppi armati”. (par. 78) Patten lo ribadisce più avanti, nella stessa audizione, quando spiega:

Non mi addentro sull’estensione, nella relazione non ho dei numeri. Perché per me un caso è più che sufficiente. Non si tratta di… non ho eseguito un esercizio di contabilità. La prima lettera che ho ricevuto dal governo israeliano parlava di centinaia se non migliaia di casi di brutale violenza sessuale perpetrata contro uomini, donne e bambini. Non ho trovato niente, niente del genere. (corsivo aggiunto)

Qui vale la pena chiarire che, mentre il grado di estensione non rientra nellambito del lavoro della missione, lo è la ricerca di disegni preordinati. Vale a dire, il mandato della SRSG-SVC comprende la raccolta, lanalisi e la verifica delle informazioni esistenti, nonché di quelle ricevute in modo indipendente, su episodi e modelli preordinati di violenza sessuale legata ai conflitti(par. 25, corsivo nostro).

È quindi significativo il fatto che non sia stata constatata di fattol’attuazione il 7 ottobre di un disegno preordinato di violenza sessuale. Questo nonostante l’evidente parzialità nellaffidarsi a fonti (di istituzioni nazionali israeliane) di cui soffre il rapporto. Anche al livello molto più basso di informazione credibile(debole come prova, ma con valore indiziario), Patten è chiara durante la conferenza stampa sul fatto che non sia stato riscontrato alcun disegno preordinato di violenza sessuale.

In effetti, il massimo che si può intendere che il rapporto delle Nazioni Unite affermi sono informazioni credibilisu casi differenti. Potenzialmente per compensare lassenza di uno schema preordinato, il rapporto contestualizza in luoghi diversi informazioni riguardanti lo stupro e lo stupro di gruppo. Elenca almeno treluoghi distinti per i quali sostiene che vi siano informazioni credibili di atti di violenza sessuale: il festival musicale Nova e le aree circostanti”; strada 232 e altre vie di fuga’”; e il Kibbutz Re’im. Questa molteplicità di luoghi è ingannevole. A un esame più attento, almeno due dei contesti risultano indistinguibili: il festival musicale Nova si è svolto in un prato che confina con la strada 232, quindi fingere che il festival e zone circostantinon includesse anche la strada 232 è un gioco di prestigio che porta ad alcune delle peggiori incoerenze del rapporto. Nel rapporto ci viene detto:

“Altre fonti credibili sul sito del festival musicale Nova hanno descritto di aver visto numerosi individui assassinati, per lo più donne, i cui corpi sono stati trovati nudi dalla vita in giù, alcuni completamente nudi, con alcuni colpi di pistola alla testa e/o legati, di cui alcuni con le mani dietro la schiena e legati a strutture come alberi o pali. (Par. 58, corsivo nostro)

Eppure il riepilogo colloca questi corpi legati a strutture come alberi e pali lungo la Strada 232. (punto 13) Questo errore è significativo poiché l’impressione di molteplici testimonianze e di una ripetizione di indizi circostanziali di violenza sessuale, quando, in realtà, sono descritti gli stessi episodi. In altre parole, le conclusioni del rapporto vanno oltre e gonfiano anche le affermazioni minime che si possono ricavare dalle cosiddette informazioni credibili raccolte.

Inoltre, quasi tutti i casi di violenza sessuale trattati dal rapporto ci sono familiari grazie a precedenti rapporti e articoli dei media, che si tratti del New York Times, della presa di posizione di Physicians for Human Rights Israel [medici per i diritti umani Israele, ndt.], del rapporto più recente dellAssociation of Rape Crisis Centers in Israel [associazione dei centri antistupro israeliani, ndt.] o una serie di altre fonti. C’è solo un nuovo caso di stupro che il rapporto dell’ONU tenta di aggiungere alla lista già molto limitata di presunti casi che ha iniziato a circolare all’infinito nella sfera pubblica da quando la propaganda di massa sugli stupri è iniziata in grande stile a novembre. Questo caso è localizzato nel terzo sito, il Kibbutz Re’im (2 km a sud-ovest del sito del festival musicale Nova). Viene descritto come lo stupro di una donna allesterno di un rifugio antiaereo allingresso del kibbutz Reim, confermato da testimonianze e materiale digitale”. (par. 61) È basandosi quasi esclusivamente su questo caso che il rapporto giudica che vi siano fondati motivi per ritenere che nel kibbutz Reim si siano verificati casi di violenza sessuale, tra cui lo stupro”. (par. 61)

Tuttavia la descrizione all’esterno di un rifugio antiaereo all’ingresso del kibbutz Re’im” è fuorviante, perché il rifugio antiaereo si trova all’esterno del kibbutz sulla strada 232. Anche se questo caso è classificato nel rapporto dell’ONU sotto l’intestazione che fa riferimento al kibbutz Re’im, avrebbe potuto benissimo essere classificata sotto l’intestazione: strada 232”; infatti fa parte delle aree circostanti al sito del festival Nova. La ragione per cui ciò è importante è che questo è l’unico caso di presunta informazione credibile di stupro in un kibbutz. Finora, in tutti i resoconti e le storie dei media, pochissimi presunti stupri sono stati localizzati nei kibbutz, e tutti questi sono stati confutati. Lo stesso rapporto dell’ONU giudica le altre accuse di violenza sessuale nei kibbutz non verificate (kibbutz Kfar Aza) o infondate (tre accuse nel kibbutz Beeri, che è lunico kibbutz visitato dalla squadra della missione).

Dato che Hamas non sapeva che il 7 ottobre nel campo vicino a Re’im si sarebbe svolto il Nova Music Festival (il rave avrebbe dovuto concludersi il 6 ottobre), se avesse pianificato di utilizzare lo stupro o la violenza sessuale come arma di guerra contro i civili, avrebbe preso di mira i kibbutz. Eppure non ci sono state presentate informazioni credibili su violenze sessuali in nessuno dei kibbutz. [4]

Nonostante le apparenze contrarie, il rapporto dell’ONU non ha cambiato la situazione. Ciò getta ulteriori dubbi sulle affermazioni secondo cui il 7 ottobre la resistenza palestinese avrebbe commesso uno stupro sistematico.

2.2 Il rapporto non attribuisce alcun atto di violenza sessuale a Hamas o ad altre organizzazioni di resistenza palestinesi

Nonostante la trionfante dichiarazione del presidente israeliano Isaac Herzog secondo cui il rapporto conferma con limpidezza e coerenza morale i crimini sessuali sistematici, premeditati e continui commessi dai terroristi di Hamas contro le donne israeliane, il rapporto non rileva esplicitamente che Hamas in particolare abbia commesso alcun crimine. Nella conferenza stampa, Patten spiega che:

Dati i molteplici attori presenti, Hamas, la Jihad islamica palestinese, altri gruppi armati, civili, armati e disarmati, non mi sono addentrata nellattribuzione, considerati i tempi e dato il fatto che non stavo conducendo unindagine.

Lo stesso rapporto della missione rileva che Hamas ha formalmente negato le accuse di aver commesso degli stupri il 7 ottobre e ribadisce che non ritiene alcun gruppo responsabile di possibili casi di violenza sessuale:

“Dato che la missione non era investigativa non ha raccolto informazioni e/o tratto conclusioni sull’attribuzione di presunte violenze sessuali a specifici gruppi armati.” (Paragrafo 78)

Vari titoli di mezzi di informazione hanno scelto di ignorare tale affermazione: CBS News ha riferito che LONU dichiara di avere ‘fondati motivi per ritenere’ che il 7 ottobre Hamas abbia compiuto attacchi sessuali,” e Associated Press e Time che “Linviata dell’ONU afferma che esistono ‘fondati motivi’ per ritenere che il 7 ottobre Hamas abbia commesso violenze sessuali. Titoli che affermano che il rapporto di Patten abbia attribuito la violenza sessuale a Hamas sono apparsi anche su The Guardian, The Financial Times e The Washington Post.

2.3 Il rapporto non individua un singolo elemento di prova audiovisivo o fotografico che confermi lo stupro

Questo nonostante il fatto che un patologo forense e un analista digitale del team della missione abbiano esaminato:

Oltre 5.000 foto, circa 50 ore e diversi file audio di filmati degli attacchi, forniti in parte da varie agenzie statali e attraverso una revisione online indipendente di varie fonti aperte, per identificare potenziali casi e indicazioni di violenza sessuale legata al conflitto. Il contenuto comprendeva gli attacchi reali e le loro conseguenze immediate, catturati attraverso bodycam e telecamere da cruscotto dei combattenti, cellulari individuali, televisioni a circuito chiuso e telecamere di sorveglianza del traffico. (Paragrafo 34)

Nella sezione dedicata alle conclusioni del rapporto Patten scrive che “Attraverso la valutazione medico-legale delle foto e dei video disponibili non è stato possibile identificare alcuna indicazione tangibile di stupro”. (Paragrafo 74)

Inoltre il rapporto aggiunge in una nota che:

La squadra della missione ha preso atto delle affermazioni delle autorità israeliane secondo cui alcuni dei materiali online incriminanti, compresi quelli che raffiguravano specificamente atti di violenza sessuale, sarebbero stati rimossi… è opinione della squadra della missione che se fossero stati diffuse sui principali mezzi di comunicazione evidenti prove digitali di violenze sessuali o di ordini di commettere violenza sessuale, ciò sarebbe stato probabilmente scoperto, dato il volume delle informazioni pubblicate online e ulteriormente diffuse, rendendo improbabile la rimozione di ogni traccia di tale materiale. (Paragrafo 77)

2.4 Il rapporto conferma che i testimoni hanno diffuso storie false sulle violenze sessuali del 7 ottobre

Confermando ciò che giornalisti e attivisti indipendenti dimostrano ormai da mesi il rapporto si è prodigato nel constatare la manipolazione di prove e testimonianze, affermando che:

“Va rilevato che i testimoni e le fonti con cui la squadra della missione ha collaborato hanno adottato nel tempo un approccio sempre più cauto e circospetto riguardo ai resoconti precedenti, fino a ritrattare in alcuni casi le dichiarazioni rese in precedenza.” (Par. 64)

E:

“interpretazioni forensi imprecise e inaffidabili da parte di alcuni non professionisti hanno costituito una sfida ulteriore.” (Paragrafo 10)

Tra queste interpretazioni imprecise sono compresi rapporti ampiamente diffusi (con riedizioni da parte di BBC, NBC News, The New York Post, Unherd e altri) secondo cui una donna sarebbe stata trovata al Kibbutz Beeri con oggetti come coltelli inseriti nei genitali. Tuttavia, quando la squadra della missione ha esaminato le foto, non ha trovato nulla del genere. (Minuto 55:10)

Nella sua conferenza stampa Patten suggerisce che le interpretazioni errate dei primi soccorritori potrebbero essere state intenzionali: “Potrebbero non essere stati in malafede, non lo so, ma è un fatto che abbiamo trovato molti casi di interpretazioni forensi inaffidabili e imprecise da parte di persone inesperte. (Minuto 56:20)

Le allusioni a “persone inesperte” o ai primi soccorritori si riferiscono quasi certamente alla ZAKA, un’organizzazione religiosa conservatrice ultra-ortodossa intervenuta sulla scia del 7 ottobre come gruppo di primi soccorritori. Mondoweiss ha già ampiamente documentato l’inaffidabilità dell’organizzazione e il loro coinvolgimento nella fabbricazione di prove delle atrocità del 7 ottobre.

Il governo israeliano riconosce la ZAKA come lunica organizzazione responsabile della gestione delle morti dovute ad attacchi terroristici” in Israele. Ormai abbiamo ampie prove che i membri della ZAKA, che mantengono una posizione religiosa radicale contraria alle autopsie e alle procedure forensi, hanno usato la loro immaginazioneper inventare storie elaborate di brutalità sessuale sulla scia del 7 ottobre. Il rapporto di Patten sottolinea le pratiche inaffidabili della ZAKA, ma ignora opportunamente lo stretto rapporto della ZAKA con il governo israeliano: lorganizzazione riceve finanziamenti governativi e si coordina con i principali ministeri governativi, il tutto atteggiandosi a organizzazione non governativa neutrale. Il portavoce della ZAKA Yehuda Meshi-Zahav ha affermato che lorganizzazione agisce come un braccio del ministero degli affari esterie il 23 novembre 2023 Benjamin Netanyahu ha incontrato i membri della ZAKA, dicendo loro: Voi avete un ruolo importante nellinfluenzare lopinione pubblica, che a sua volta influenza i leader. Siamo in guerra; e questa continuerà”.

Il rapporto di Patten funziona come una distrazione dal genocidio

Nonostante il fatto che il rapporto di Patten non riscontri alcuna informazione credibile a sostegno di una serie di stupri avvenuti il 7 ottobre, che non abbia poteri investigativi e che mantenga evidenti lacune di credibilità che non può colmare nellambito del suo mandato, i media occidentali hanno seguito le indicazioni guida del governo israeliano nellinquadrare il rapporto come una conferma della versione di Israele secondo cui il 7 ottobre Hamas avrebbe commesso violenze sessuali sistematiche.

Allo stesso tempo, questi organi di informazione ignorano il totale rifiuto di Israele di collaborare con lindagine ufficiale dell’ONU su tali affermazioni. Dobbiamo vedere il rapporto di Patten per quello che è: un tentativo di dare una patina di legittimità ad affermazioni che sono state ampiamente smentite riciclando testimonianze anonime sotto la copertura della metodologia ONU” – ma senza il mandato investigativo necessario per legittimare quella metodologia. Il rapporto di Patten non individua esplicitamente una tipologia di violenza sessuale, non fornisce alcuna indicazione sulla sua proporzione e non fa il nome di alcun possibile autore. Ciò non sembra preoccupare Patten, che ribadisce continuamente di agire nel suo ruolo di difensora delle vittime di violenza sessuale legata ai conflitti e non di inquirente.

Ma difensora di chi? In definitiva, uno dei maggiori problemi di questo rapporto è che funge da distrazione una distrazione dalla difficile situazione di migliaia di uomini, donne e bambini palestinesi che continuano a essere sottoposti ad abusi sessuali accertati e torture nelle carceri delloccupazione; dal destino attuale di quelle donne i cui indumenti intimi i soldati israeliani hanno fotografato dopo aver bombardato le loro famiglie e le loro case; da persone costrette a identificare i propri figli, mariti e padri spogliati e lasciati con i soli indumenti intimi, umiliati sessualmente e torturati.

È una distrazione dallagonia delle madri che ora sono costrette a guardare i loro figli morire di fame; dal terrore di oltre 50.000 donne incinte a Gaza senza cibo, acqua o assistenza medica e senza un posto sicuro dove partorire; dal dolore delle donne palestinesi che piangono i 30.000 martiri già massacrati nel genocidio in corso da parte di Israele.

Come femministe, rifiutiamo categoricamente luso delle accuse di violenza sessuale come arma per giustificare queste atrocità e ci uniamo alle femministe di tutto il mondo nel chiedere che coloro che condividono questa propaganda siano ritenuti responsabili di complicità nel genocidio e di aver anzi costruito il consenso per la sua attuazione.

Note

[1] La prima e principale raccomandazione del rapporto Patten è che venga svolta unindagine. (Par. 88).

[2] Questa non è la prima volta che Patten si nasconde dietro la sua mancanza di mandato investigativo per diffondere affermazioni dubbie senza prove. Nellottobre 2022, quando le è stato chiesto se avesse prove a sostegno della sua affermazione secondo cui i soldati russi avevano commesso uno stupro di gruppo utilizzando il Viagra (unaffermazione circolata per la prima volta online), Patten è apparsa offesa. Non è compito del mio ufficio andare a indagare, ha ribattuto, ho un mandato di patrociniola mia sede è a New York, in un ufficio a New York, e ho un mandato di patrocinio. L’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (OHCHR), che ha il mandato di indagare, nel suo ampio rapporto non ha fatto menzione delle affermazioni sul Viagra.

[3] Sfatando le invenzioni già falsificate riguardanti il Kibbutz Be’eri (paragrafo 65), screditando ZAKA (già un facile bersaglio per Haaretz) e fornendo interpretazioni alternative di foto e video post mortem di “danni devastanti da ustione”, il rapporto dell’ONU si posiziona come autocorrettivo e quindi rinnova la narrazione dello stupro di massa in una forma più credibile.

[4] Inoltre, alcuni dei sopravvissuti nei kibbutz hanno testimoniato di essere stati trattati umanamente dai combattenti palestinesi che li avevano fatti prigionieri (come nell’esempio spesso citato di Yasmin Porat).

Rete di Solidarietà Femminista per la Palestina

La Rete di Solidarietà Femminista per la Palestina è un collettivo internazionale di accademiche, avvocatesse e organizzatrici femministe antimperialiste e anticolonialiste impegnate contro la propaganda colonialista dei coloni sionisti e a favore di una Palestina libera.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Nuovi rapporti confermano mesi di torture, abusi e violenze sessuali da parte di Israele contro i prigionieri palestinesi

Yumna Patel

27 febbraio 2027 Mondoweiss

Per mesi i prigionieri palestinesi hanno dato testimonianze di torture per mano delle autorità militari e carcerarie israeliane. Nuovi rapporti fanno luce sugli abusi perpetrati all’interno dei centri di detenzione israeliani, in particolare sulla violenza sessuale.

La settimana scorsa sono apparsi due nuovi rapporti riguardanti la tortura e il crudele trattamento dei palestinesi nelle carceri e nei centri di detenzione israeliani dopo il 7 ottobre, comprese testimonianze di violenza sessuale contro donne e ragazze palestinesi. I rapporti hanno rinnovato il dibattito sulle dure condizioni dei palestinesi prigionieri in Israele, sulle quali gli stessi detenuti palestinesi e alcune associazioni per i diritti umani lanciano l’allarme da mesi.

Il 19 febbraio esperti dei diritti umani delle Nazioni Unite hanno espresso il loro allarme per quelle che hanno descritto come “vergognose violazioni dei diritti umani” perpetrate dalle forze israeliane contro donne e ragazze palestinesi a Gaza. Oltre alle esecuzioni extragiudiziali e arbitrarie di donne e bambini a Gaza, gli esperti delle Nazioni Unite hanno sottolineato il trattamento delle detenute palestinesi nelle carceri israeliane.

Secondo quanto riferito, molte sono state sottoposte a trattamenti inumani e degradanti, sono state private di assorbenti mestruali, cibo e medicine e sono state duramente picchiate. In almeno un’occasione, le donne palestinesi detenute a Gaza sarebbero state tenute in gabbia sotto la pioggia e al freddo, senza cibo”, si legge nella nota.

Siamo particolarmente angosciati dalle notizie secondo cui le donne e le ragazze palestinesi in detenzione sono state sottoposte anche a molteplici forme di violenza sessuale, come essere spogliate nude e perquisite da ufficiali maschi dell’esercito israeliano. Almeno due detenute palestinesi sarebbero state violentate, mentre altre sarebbero state minacciate di stupro e violenza sessuale”, hanno detto gli esperti, aggiungendo che foto di detenute palestinesi in “circostanze degradanti” sarebbero state scattate dall’esercito israeliano e caricate online.

Nel loro insieme, questi presunti atti possono costituire gravi violazioni dei diritti umani internazionali e del diritto umanitario, e rappresentare crimini gravi ai sensi del diritto penale internazionale che potrebbero essere perseguiti ai sensi dello Statuto di Roma”, hanno detto gli esperti. “I responsabili di questi presunti crimini devono essere incriminati e le vittime e le loro famiglie hanno diritto a pieno risarcimento e giustizia”, hanno aggiunto.

Lo stesso giorno delle dichiarazioni degli esperti delle Nazioni Unite, Physicians for Human Rights Israel (PHRI, Medici per i Diritti Umani di Israele) ha pubblicato un rapporto di 41 pagine sulla condizione dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane dal 7 ottobre, che l’organizzazione ha detto essere diventate “un apparato di vendetta e punizione.”

Il rapporto PHRI descrive nel dettaglio le estese violazioni dei diritti dei prigionieri da parte del Servizio penitenziario israeliano (IPS) e di altri organismi di sicurezza israeliani a partire dal 7 ottobre, compreso l’isolamento dei prigionieri dal mondo esterno, la mancanza di accesso all’assistenza sanitaria, la negazione della luce del giorno o dell’ora d’aria e il sovraffollamento delle celle prive di arredi e risorse di base come materassi e coperte, nonché di acqua ed elettricità.

Oltre a tali condizioni, il PHRI descrive nel dettaglio anche il “trattamento crudele, inumano e degradante” dei prigionieri, comprese le molestie sessuali e la violenza. “In decine di casi… le guardie sono entrate in uno o due alla volta nelle celle e hanno picchiato brutalmente [i prigionieri] con i manganelli… le persone in carcere hanno anche riferito di aggressioni fisiche che includevano pugni, schiaffi e calci quando uscivano dalle loro celle o mentre venivano trasferiti in un’altra struttura, anche contro persone malate e disabili”, afferma il rapporto PHRI.

Persone entrate di recente in detenzione hanno raccontato che le guardie dell’IPS li hanno costretti a baciare la bandiera israeliana e chi si rifiutava veniva violentemente aggredito”.

Similmente a decine di rapporti redatti in precedenza da associazioni per i diritti dei prigionieri palestinesi e da esperti in diritti umani, il rapporto PHRI sottolinea che i modelli di abuso e tortura indicano che “non si tratta di episodi isolati di guardie ribelli, ma di modelli di violenza sistematica”.

Dopo il 7 ottobre vengono alla luce gli abusi

All’indomani degli attacchi di Hamas del 7 ottobre, mentre Israele iniziava la sua campagna militare su Gaza, un’altra campagna è partita nella Cisgiordania occupata. I raid militari israeliani, consueti eventi notturni nel territorio, sono diventati molto più frequenti.

Nel giro di poche settimane migliaia di palestinesi, compresi i lavoratori giornalieri di Gaza intrappolati [in Israele], sono stati arrestati nel cuore della notte. Con la stessa rapidità con cui la popolazione carceraria ha cominciato ad aumentare, hanno cominciato ad arrivare le testimonianze dei palestinesi di soldati israeliani violenti che picchiavano i fermati e le loro famiglie e saccheggiavano le case.

Allo stesso tempo ha iniziato ad emergere una tendenza inquietante. Sui social media hanno iniziato a circolare video e foto che mostravano le forze israeliane sottoporre detenuti palestinesi ad abusi fisici, sessuali e verbali. Le riprese sono state filmate e pubblicate online con orgoglio dagli stessi soldati.

Il 31 ottobre uno dei primi video di questo tipo ha iniziato a circolare sui social media.

Mostrava un gruppo di uomini palestinesi distesi a terra, bendati con mani e piedi legati, molti dei quali parzialmente o completamente nudi. Gli uomini venivano portati in giro, presi a calci e picchiati da soldati militari israeliani in uniforme. Alcuni uomini piangevano di dolore, altri giacevano inerti, i corpi nudi ammucchiati uno sopra l’altro.

L’allarmante video ha provocato un’onda d’indignazione all’interno della comunità palestinese. Molti utenti online hanno paragonato le scene inquietanti alle famigerate foto dei corpi ammucchiati dei prigionieri iracheni torturati dalle forze armate statunitensi nella prigione di Abu Ghraib in Iraq quasi 20 anni fa.

Sono emerse voci contrastanti su dove siano avvenute le torture: alcuni indicavano che avessero avuto luogo nella Cisgiordania occupata, mentre altri dicevano che fossero scene di palestinesi detenuti nelle aree fuori dalla Striscia di Gaza. Mondoweiss non ha potuto verificare il luogo esatto dei fatti. Tuttavia, due associazioni per i diritti dei prigionieri hanno verificato che si tratta di un video autentico, girato in Cisgiordania dopo il 7 ottobre.

Secondo quanto riportato dai media israeliani, gli uomini palestinesi torturati erano lavoratori della Cisgiordania arrestati nella zona delle colline a sud di Hebron dopo aver presumibilmente tentato di entrare in Israele senza permesso.

In una rara ammissione di colpa l’esercito israeliano ha affermato di stare indagando sull’incidente, dichiarando: “la condotta [dei soldati] che emerge da queste scene è grave e non corrisponde ai valori dell’IDF”.

Ma la montagna di prove di torture, abusi e molestie nei confronti dei detenuti palestinesi per mano delle forze israeliane accumulata negli ultimi mesi continua a contraddire chiaramente le dichiarazioni dell’esercito israeliano sui suoi “valori” e sulla moralità dei suoi soldati. .

Secondo gli ultimi dati di Addameer, un’organizzazione per i diritti dei prigionieri palestinesi con sede a Ramallah dal 7 ottobre, l’esercito israeliano ha rastrellato e arrestato più di 6.000 palestinesi.

Video e denunce di abusi fisici e torture hanno cominciato ad emergere già alla fine di ottobre ma le denunce non sono cessate e hanno continuato ad accumularsi sia in Cisgiordania che nella Striscia di Gaza. Mentre un gran numero di palestinesi vengono sottoposti a detenzione arbitraria, coloro che sono potuti uscire hanno condiviso varie testimonianze di derisioni e molestie sino alle percosse fisiche e alle aggressioni sessuali.

Dal 7 ottobre almeno otto prigionieri palestinesi sono morti nelle carceri israeliane. Le associazioni per i diritti umani sospettano fortemente che si tratti di crimini, anche se è impossibile confermarlo poiché Israele si rifiuta di rilasciare i loro corpi.

Questo è il momento più pericoloso e violento degli ultimi anni per essere arrestati in Cisgiordania”, ha detto a Mondoweiss Abdullah al-Zghari, portavoce dell’Associazione dei prigionieri palestinesi. “Loro [Israele] stanno arrestando tutti, persone di età diverse, giovani e anziani, bambini, donne, ragazze, ex prigionieri, tutti”.

È evidente dal modo in cui arrestano le persone, dal tipo di aggressioni e abusi a cui abbiamo assistito, che questa è una campagna di vendetta”, ha detto al-Zghari.

Stanno portando avanti la loro vendetta per quanto accaduto il 7 ottobre”.

In un rapporto approfondito di gennaio, Addameer ha dipinto un quadro simile, affermando che gli arresti di massa e l’intensificarsi della brutalità contro i prigionieri palestinesi in risposta ad atti di resistenza palestinese sono tattiche comuni utilizzate da Israele fin dall’inizio della sua occupazione.

Con il tempo, l’intensità della brutalità e degli arresti non fa che aumentare come forma di

punizione e come modo per sopprimere la resistenza, con l’obiettivo di controllare tutti gli aspetti della vita palestinese e punire un’intera società”, ha affermato Addameer.

Arresto arbitrario e abusi: “Sono stato picchiato per cent’anni della mia vita”

Comune a tutti i resoconti sulla campagna di arresti e incarcerazioni di massa di Israele delle organizzazioni per i diritti umani è la natura del tutto arbitraria con cui i palestinesi vengono presi di mira, arrestati e maltrattati.

Mentre Israele considera tutti i palestinesi sotto detenzione come “prigionieri di sicurezza”, quasi 3.500 dei circa 9.000 prigionieri sono detenuti nelle carceri israeliane senza essere mai stati accusati di un crimine o sottoposti a processo. Quel numero comprende persone comuni nonché attivisti, giornalisti e operatori per i diritti umani.

Altre centinaia di palestinesi arrestati ma poi rilasciati hanno raccontato di essere stati arbitrariamente fermati ai posti di blocco e successivamente arrestati e maltrattati fisicamente e verbalmente.

Questo è il caso del diciannovenne Mahmoud Dweik, un adolescente palestinese della città di Hebron nel sud della Cisgiordania occupata.

Il 4 novembre Dweik era in giro con i suoi amici per Hebron quando una jeep militare israeliana ha fermato la loro macchina. I soldati israeliani hanno iniziato a perquisire il veicolo e i telefoni dei ragazzi.

La perquisizione dei soldati ha portato alla luce prove sufficienti per arrestare i tre giovani: un bastone e un taglierino trovati in una cassetta degli attrezzi nel bagagliaio dell’auto e la foto di un posto di blocco israeliano sul telefono di Mahmoud, scattata più di un anno prima.

I soldati hanno poi portato Mahmoud e i suoi due amici in un accampamento militare in cima alla collina che domina la città di Hebron. E allora sono iniziate le violenze.

Circa 40 soldati, in gruppi, si sono alternati a picchiarci dall’inizio del nostro sequestro, dalle 19:00 fino alle 5 del mattino”, si legge in una testimonianza scritta da Mahmoud, condivisa con Mondoweiss da suo padre Badee. Il giovane adolescente l’ha descritta come una “festa di botte”.

“Sono stato picchiato [abbastanza] per cent’anni della mia vita”, ha detto Mahmoud, aggiungendo che i soldati hanno usato mani, piedi, fucili e bastoni per picchiare i ragazzi. Dopo circa otto ore di abusi i ragazzi sono stati portati in una stazione di polizia israeliana nell’insediamento illegale di Kiryat Arba, nel cuore della città vecchia di Hebron. I ragazzi hanno trascorso un’ora alla stazione di polizia prima di essere trasportati nuovamente al campo militare dove erano stati picchiati.

Abbiamo dormito per terra senza coperte o altro per proteggerci. Abbiamo semplicemente dormito all’aperto”, ha detto Mahmoud. Poche ore dopo, i ragazzi sono stati riportati alla stazione di polizia di Kiryat Arba. Ogni speranza di essere rilasciati e tornare a casa è stata delusa quando, poco dopo, i tre amici sono stati portati nella prigione militare di Ofer fuori Ramallah, nella Cisgiordania centrale.

Un viaggio che avrebbe dovuto durare due ore è stato tirato per le lunghe sino a più di 12 ore, ha detto Mahmoud, descrivendo il trasporto in “gabbie” all’interno di veicoli militari israeliani, dove stavano seduti su massacranti panche di ferro. Non è stato dato loro alcun cibo e l’acqua è stata fornita solo una volta.

Quando è arrivato in prigione è stato spogliato dei suoi vestiti e perquisito dalle guardie carcerarie, che lo hanno costretto a “piegarsi su e giù più volte con la faccia rivolta al muro”, ha detto Mahmoud.

Alla fine Mahmoud è stato accusato di “possesso di materiale sul telefono che minaccia la sicurezza dello Stato di Israele”. Il materiale in questione era la foto del posto di blocco militare che Mahmoud aveva scattato con il suo cellulare più di un anno e mezzo prima. Dopo 12 giorni di prigione, è stato rilasciato dietro pagamento di una cauzione di 1.000 shekel (250 euro).

Mahmoud dice di essere stato rilasciato a un posto di blocco vicino alla città di Ramallah nel cuore della notte senza telefono, con indosso solo i boxer e un paio di pantaloni da carcerato troppo grandi.

Grazie alla gentilezza di sconosciuti Mahmoud si è potuto vestire e prendere in prestito un telefono per chiamare suo cugino che viveva a Ramallah. Ha trascorso la notte a casa di suo cugino prima di tornare a Hebron il giorno successivo dove si è ricongiunto con i genitori.

“Sono stati i giorni più infernali della mia vita”, ha detto.

Di tendenza sui social media: i soldati documentano i propri abusi

Quando un palestinese viene arrestato dalle forze israeliane spesso passano diversi giorni prima che la sua famiglia venga a conoscenza di dove e in quali condizioni il congiunto è detenuto.

Questo rimane un dato di fatto, ma dal 7 ottobre sempre più famiglie palestinesi sono venute ad avere notizie dei loro cari attraverso i social media, imbattendosi in foto e video di membri della loro famiglia degradati, torturati e umiliati, registrati e pubblicati dai soldati israeliani.

Wajd Jawabreh, 33 anni, è madre di tre ragazze di età inferiore ai 10 anni e residente in un campo profughi nella zona di Betlemme. Il 31 ottobre Jawabreh era a casa e dormiva con suo marito, Khader Lutfi e le figlie, quando le forze israeliane hanno fatto irruzione in casa e arrestato suo marito.

Circa 30 minuti dopo il suo arresto a Wajd, già sconvolta, è stato inviato il link a un video sui social media. Ciò che ha visto è stato un colpo al cuore.

Nel video si vedeva suo marito, Khader, bendato e con le mani legate, in ginocchio davanti a un soldato israeliano, e si può sentire il soldato, che sembra essere quello che ha filmato il video, urlare imprecazioni a Khader, dicendo in arabo: “Buongiorno stronzo”, mentre gli dà un calcio nello stomaco.

Sono rimasta scioccata e sopraffatta. Mi ha spezzato il cuore. Non riuscivo a smettere di piangere”, ha detto Wajd a Mondoweiss a dicembre, più di un mese dopo l’arresto di Khader. “È davvero difficile vedere la persona con cui hai condiviso la vita in quelle condizioni.”

Wajd ha detto a Mondoweiss che il video è stato “girato con uno scopo”, ovvero umiliare suo marito, che è molto stimato nella loro comunità. “Da quando ho visto il video fino ad ora ho cercato di non lasciare che il video spezzasse la mia determinazione, perché è ciò che vuole l’occupazione”.

Il video di Khader è stato ampiamente diffuso sui social media, accumulando centinaia di migliaia di visualizzazioni. Wajd ha detto che ha cercato più di ogni altra cosa di assicurarsi che le sue figlie non lo vedessero mai, e che ogni nuova visione e condivisione del video la feriva ancora di più.

Non voglio che mio marito venga visto o ricordato in questo modo. Voglio che venga ricordato come la persona gentile e forte che è”, ha detto.

L’umiliazione e la vergogna che Wajd ha provato guardando il video di suo marito picchiato e umiliato sono proprio l’obiettivo di quei contenuti, dicono le associazioni per i diritti dei palestinesi.

Gli israeliani stanno cercando di umiliare i prigionieri e i detenuti dopo quello che è successo a Gaza [il 7 ottobre]. Li stanno mettendo alla prova in modi disgustosi, li spogliano dei loro vestiti, li picchiano nudi a terra, li rilasciano senza vestiti in modo che provino vergogna e umiliazione nelle loro comunità”, ha detto Abdullah al-Zghari a Mondoweiss.

Anche questo fa parte della tortura e della paura collettive instaurate dall’occupazione nella popolazione palestinese: far sì che le persone abbiano paura di essere arrestate. Questa è la prova di quanto ci disumanizzino e non ci considerino come esseri umani”, ha detto.

Torture e violenze sessuali nelle carceri

Se gli abusi sui detenuti palestinesi iniziano al momento dell’arresto, i rapporti delle associazioni per i diritti umani e degli stessi prigionieri indicano che alcune delle peggiori torture e maltrattamenti avvengono mentre i palestinesi sono chiusi nelle carceri e nei centri di detenzione israeliani.

Testimonianze strazianti sono ripetutamente emerse da parte dei palestinesi di Gaza che sono stati imprigionati durante l’invasione di terra da parte di Israele, con i detenuti che hanno raccontato di essersi visti negare l’accesso al cibo, all’acqua e ai bagni. Video e foto hanno mostrato segni profondi e tagli sui polsi e le caviglie dei detenuti di Gaza rilasciati, che hanno affermato di essere stati legati per giorni senza alcun sollievo o riposo. In alcuni casi, secondo quanto riferito, le forze israeliane hanno utilizzato i cani dell’esercito per minacciare i detenuti.

A gennaio, durante una visita a Gaza, Ajith Sunghay, capo dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani nei territori palestinesi occupati, ha dichiarato di aver visitato un certo numero di detenuti palestinesi che erano stati detenuti “in luoghi sconosciuti” per un periodo compreso tra 30 e 55 giorni.

Hanno raccontato di essere stati picchiati, umiliati, sottoposti a maltrattamenti e a ciò che può costituire tortura. Hanno riferito di essere stati bendati per lunghi periodi, alcuni di loro per diversi giorni consecutivi”, ha detto Sunghay. “Un uomo ha detto di aver avuto accesso a una doccia solo una volta durante i 55 giorni di detenzione. Ci sono segnalazioni di uomini che sono stati successivamente rilasciati ma solo in mutande e senza indumenti adeguati per questo clima freddo”.

Si stima che circa 600 palestinesi di Gaza siano detenuti nelle carceri israeliane. Di contro altre centinaia sono trattenute nei campi di detenzione israeliani, anche se il numero esatto di quest’ultima categoria è sconosciuto. Nei campi di detenzione Haaretz ha riferito che i prigionieri dormono praticamente nudi ed esposti al rigido freddo invernale, sono costantemente bendati e sottoposti a continue torture quasi ad ogni ora del giorno.

Nel dicembre 2023, è stato riferito, un numero non dichiarato di detenuti di Gaza “è morto” all’interno dei campi di detenzione israeliani. Tali rapporti non includevano gli almeno altri otto palestinesi non originari di Gaza che sono morti nelle carceri israeliane dal 7 ottobre.

Mentre i prigionieri di Gaza stanno probabilmente affrontando torture e abusi estremi a causa della loro identità, pratiche simili di tortura e abusi di ogni tipo, inclusa la violenza sessuale, sono stati impiegati anche contro palestinesi provenienti da altre parti dei territori occupati che sono detenuti nelle carceri israeliane.

Citando un avvocato palestinese che ha visitato i detenuti palestinesi ogni settimana dal 7 ottobre Amnesty International ha affermato: “Ai detenuti palestinesi è stato negato il diritto all’attività fisica all’aperto e una delle forme di umiliazione a cui sono sottoposti durante il conteggio dei detenuti è di essere costretti a inginocchiarsi sul pavimento.”

L’avvocato Hassan Abadi ha aggiunto che ai palestinesi detenuti “sono stati confiscati e talvolta bruciati tutti gli effetti personali inclusi libri, diari, lettere, vestiti, cibo e altri oggetti. Le autorità carcerarie hanno confiscato gli assorbenti alle detenute palestinesi nel carcere di al-Damon”. Secondo Abadi, una cliente da lui difesa gli ha detto che quando è stata arrestata e bendata un ufficiale israeliano “l’ha minacciata di stupro”.

Nel suo rapporto di gennaio, Addameer ha dettagliato diversi casi di minacce sessuali e violenze da parte delle forze israeliane contro uomini e donne palestinesi in detenzione. L’associazione ha affermato che tale violenza è strutturalmente impiegata dall’occupazione israeliana che è “ben consapevole dello stigma nei confronti degli uomini e delle donne palestinesi e dell’importanza dell’integrità e dell’onore del loro corpo. Ciò è particolarmente importante nelle società arabe”.

Molte testimonianze provenienti da donne vittime includono aspetti di molestie sessuali, minacce di stupro e perquisizioni forzate delle donne all’interno delle carceri e spesso persino

davanti ai propri figli durante le intrusioni domestiche. Questi sono tutti metodi di coercizione attuati per far sentire le donne impotenti e dare all’occupazione un senso di controllo sulle donne e sul loro corpo. È un abuso di potere e di autorità e gioca sulla paura delle vittime”, ha affermato l’associazione.

Addameer ha segnalato il caso di un prigioniero maschio di Gerusalemme, denominato “O.J.” nel rapporto, il quale afferma di essere stato sottoposto ad una perquisizione durante la quale gli agenti israeliani “hanno accarezzato ripetutamente le sue parti intime con la scusa di una perquisizione approfondita. Una volta denudato lo avrebbero fatto sedere e alzarsi più volte. Inoltre, mentre era nudo e veniva perquisito, l’ambiente in cui era tenuto aveva finestre senza vetri, così che il vento freddo entrava nella stanza.”

In un altro caso documentato da Adammeer, le forze israeliane hanno fatto irruzione nella casa di una donna a Gerusalemme, l’hanno minacciata di stupro, le hanno sputato in faccia e l’hanno costretta a spogliare del tutto la sua nipotina appena nata di due settimane.

Questi atti di costrizione di uomini e donne a denudarsi toccandoli in modo inappropriato con la scusa della perquisizione di sicurezza sono compiuti con l’intento di mettere in imbarazzo e molestare sessualmente uomini e donne palestinesi”, ha detto Addameer.

Nel rapporto di Medici per i Diritti Umani, un prigioniero di nome “A.G.” che è stato detenuto nella prigione israeliana di Ktzi’ot, ha detto che le forze speciali israeliane sono entrate nella loro cella e hanno picchiato tutti, urlando insulti sessualmente espliciti tra cui “voi puttane”, “vi scoperemo tutti”, “scoperemo le vostre sorelle e mogli”, ecc. A.G. è stato poi portato in un bagno dove le forze israeliane urinavano su di loro.

A.G. ha anche descritto dettagliatamente episodi di perquisizioni violente, in cui le guardie carcerarie “bloccavano insieme individui nudi e infilavano un dispositivo di ricerca in alluminio nelle natiche. In un caso, le guardie hanno fatto passare una tessera magnetica fra le natiche di una persona. Ciò è avvenuto davanti agli altri detenuti e alle guardie, che hanno espresso il loro divertimento”.

Con il pretesto della guerra a Gaza, il Ministero della Sicurezza Nazionale, il suo ministro e il Ministero della Difesa, con il sostegno attivo e passivo di altri membri e ministri della Knesset, hanno promosso abusi senza precedenti dei diritti dei palestinesi in custodia militare e in detenzione. ” conclude il rapporto PHRI.

Lo Stato ha ripetutamente insistito sul fatto che si tratta di misure necessarie adottate nell’ambito delle ordinanze di emergenza per mantenere la sicurezza nazionale. Eppure, in realtà, queste misure violano il diritto locale e internazionale, nonché i trattati internazionali”.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Oltre 2/3 degli ebrei israeliani si oppongono agli aiuti umanitari ai palestinesi che muoiono di fame a Gaza

Jonathan Ofir

23 Febbraio 2024-Mondoweiss

Un nuovo sondaggio dell’Israeli Democracy Institute mostra che il 68% degli ebrei israeliani si oppone “al trasferimento di aiuti umanitari ai residenti di Gaza”.

È un dato scioccante. L’Israeli Democracy Institute ha pubblicato questa settimana un sondaggio che dimostra che oltre i 2/3 degli ebrei israeliani – cioè il 68% – si oppongono “in questo momento al trasferimento di aiuti umanitari ai residenti di Gaza

La situazione è anche peggiore: il sondaggio ha cercato di escludere qualsiasi possibile opposizione all’UNRWA (contro cui Israele si sta scagliando) o alle autorità di Hamas (che Israele considera terroristi). Inutilmente. Oltre due terzi si oppongono comunque agli aiuti umanitari “tramite organismi internazionali che non siano collegati ad Hamas o all’UNRWA… La maggioranza degli intervistati ebrei (68%) si oppone al trasferimento di aiuti umanitari anche in queste condizioni”, rileva il sondaggio.

I numeri sono peggio quando si tratta degli ebrei israeliani di destra, dove l’opposizione è all’80% – quattro su cinque. E si consideri che circa 2/3 degli elettori israeliani sono considerati di destra.

Qui bisogna davvero fermarsi. Ci troviamo in una situazione in cui i palestinesi di Gaza muoiono di fame, le persone disperate consumano mangimi per animali. Questa settimana il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite ha riferito che le persone a Gaza stanno “già morendo per cause legate alla fame” e uno screening nutrizionale dell’UNICEF nel nord di Gaza ha rilevato che 1 bambino su 6 sotto i due anni è gravemente malnutrito. Gli israeliani non ignorano affatto questi dati. Stanno sostenendo il genocidio a stragrande maggioranza.

È ormai prassi comune nella società israeliana discutere a partire da quale età sia accettabile che i bambini muoiano di fame. Una recente discussione sul programma di notizie dell’emittente pubblica più popolare ha raggiunto un consenso tra un ex funzionario del Mossad e la conduttrice veterana sul fatto che è legittimo che i bambini di età superiore ai 4 anni muoiano di fame.

Gran parte del mondo, compresi gli Stati Uniti, sembra negare quanto sia omicida ed esplicitamente genocida la società israeliana. Nancy Pelosi continua a parlare di Israele come “l’unica democrazia nella regione” mentre gli stessi israeliani sostengono la morte per fame dei bambini. La gente semplicemente non sembra capirlo.

L’aiuto umanitario è stato uno dei punti principali dell’ordinanza della Corte Internazionale di Giustizia del 26 gennaio, emessa quando la corte ha ritenuto plausibile che Israele stesse commettendo un genocidio, secondo l’accusa del Sud Africa. Era il punto 4 dei 6, che afferma:

Lo Stato di Israele adotterà misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura dei servizi di base e dell’assistenza umanitaria urgentemente necessari per affrontare le condizioni di vita avverse affrontate dai palestinesi nella Striscia di Gaza”.

Anche il giudice israeliano aggiunto appositamente alla Corte, Aharon Barak, che ha votato contro 4 delle 6 misure urgenti, ha votato a favore di questa (è stata approvata 16 a 1, con l’eccezione della giudice ugandese Julia Sabutinde che ha votato recisamente contro tutte le misure).

È una cosa così basilare, un bisogno così fondamentale – anche in guerra, quando ci si oppone a una questione così fondamentale diventa qualcosa di diverso dalla guerra: diventa un genocidio. Come stiamo assistendo.

Questo sondaggio sembra solo confermare ciò che abbiamo già visto. I manifestanti israeliani hanno bloccato i camion degli aiuti al confine meridionale vicino a Rafah. Si sarebbe forse tentati di inquadrarli come estremisti marginali, ma il sondaggio mostra che sono la maggioranza. Il sondaggio afferma anche che i leader israeliani come il ministro della Difesa Yoav Galant, che all’inizio del genocidio disse: “Ho ordinato un assedio totale sulla Striscia di Gaza – niente elettricità, niente cibo, niente gas, tutto è chiuso – stiamo combattendo animali umani e noi agiamo di conseguenza”, rappresentano la maggioranza della popolazione.

Questo è il peggior livello di disumanizzazione nella società israeliana che posso ricordare da quando vi sono nato 52 anni fa. Naturalmente, questa disumanizzazione non è iniziata il 7 ottobre, esisteva molto prima che io nascessi e anche prima che esistesse lo Stato. Ma ora sembra essere giunto al culmine. Agli israeliani non sembra importare più nemmeno di mantenere una parvenza di tolleranza: sono entrati in una vera e propria modalità di genocidio. E quando dico disumanizzazione, non sono solo i palestinesi ad essere disumanizzati in questo processo. Gli israeliani si stanno riducendo a un livello di barbarie. È qualcosa che abbiamo fatto a noi stessi mentre ci convincevamo che uccidere decine di migliaia di palestinesi ci avrebbe salvato in qualche modo da questo abisso. Non è così.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Ex funzionario del Mossad: a Gaza i bambini di età superiore ai 4 anni meritano di morire di fame

Jonathan Ofir

15 Febbraio 2024Mondoweiss

In un’intervista alla televisione israeliana, l’ex funzionario del Mossad Rami Igra ha affermato che tutti i palestinesi di Gaza di età superiore ai 4 anni sono “coinvolti” e meritano di affrontare la politica di punizione collettiva di Israele che consiste nel negare cibo e aiuti umanitari.

La depravazione morale genocida di Israele continua a sprofondare in nuovi abissi.

Martedì, l’emittente pubblica israeliana Kan ha trasmesso un programma di notizie sul “130° giorno di guerra” condotto dalla veterana Ayala Hasson. Durante il programma ha intervistato l’ex funzionario del Mossad Rami Igra, che era stato a capo dell’agenzia di spionaggio e assassinio “Divisione Captive & Missing”.

Igra ha fatto eco all’affermazione del presidente Isaac Herzog secondo cui “non ci sono [civili] non coinvolti a Gaza”. Igra sottolinea il punto dicendo “Non esiste una cosa del genere”, mentre Hasson lo interrompe affermando “Hai ragione, hai ragione”.

Ingra poi prosegue specificando questo assioma genocida in modo bizzarro, esentando i bambini di età inferiore ai quattro anni:

A Gaza tutti sono coinvolti. Tutti hanno votato Hamas. Chiunque abbia più di quattro anni è un sostenitore di Hamas. E il nostro obiettivo in questo momento, e questo è conseguente a quello che hai detto, è trasformarli da sostenitori di Hamas in avversari di Hamas”.

Questo messaggio folle e delirante è accompagnato da un approccio apparentemente “umanitario”:

E il modo è fornire noi gli aiuti umanitari”.

Quindi, questo colonialista illuminato sta dicendo che se Israele, piuttosto che l’UNRWA (che Israele sta attaccando, infangando e facendo pressioni per definanziare), sarà il fornitore, allora i palestinesi impareranno cos’è Israele!

All’interno della macchina del genocidio israeliano tutti sanno che la frase “tutti sono coinvolti” significa che tutti possono essere uccisi. Tutti lo sanno. Quindi Hasson ritiene necessario moderare un po’ il messaggio, ma prima sottolinea il suo totale accordo con il messaggio:

OK, guarda, per quanto riguarda i non coinvolti, ogni casa a Gaza è un quartier generale di Hamas, armi, Al Aqsa, tutto, ci sono tutti i segnali”.

Hasson in effetti glielo concede . Tutto ciò non è in discussione. “Ogni casa a Gaza”.

Ma ora, un po’ di tolleranza:

Eppure, come hai detto, bambini da zero a quattro anni? Non sono coinvolti – forse quando cresceranno lo saranno. Nel frattempo non si può farli morire di fame, sono bambini, non c’è niente da fare”.

Proviamo a ricapitolare questa logica sbalorditiva. Hasson capisce che Igra sta parlando di una punizione collettiva genocida – usando la fame come arma di guerra – ma sostiene che i bambini sotto i quattro anni non dovrebbero essere fatti morire di fame perché “sono bambini”. Ergo, un bambino che raggiunge i quattro anni, non è più un bambino e, quindi, a quel punto può morire di fame

“Sono d’accordo con te”, afferma Igra

Questo è nell’interesse di tutti noi”, aggiunge Hasson.

Ma anche contro il nostro interesse”, conferma Igra.

Sì, esattamente”, concorda Hasson.

Ci si potrebbe quasi commuovere dall’emozione per lo straordinario consenso a cui arrivano questi due liberali. Sono partiti dalla visione tradizionale secondo cui tutti gli abitanti di Gaza sono un bersaglio legittimo per il genocidio, ma poi sono riusciti a trovare un terreno comune su una visione più sfumata secondo cui i bambini di età inferiore ai quattro anni dovrebbero essere considerati bambini.

Gli israeliani non hanno idea della profondità dell’abisso morale in cui sono sprofondati. È ormai una cultura genocida così impoverita di senso morale da essere senza speranza, e ritiene ancora di avere tutto sotto controllo. Hanno certamente ancora il controllo sui palestinesi, ma hanno completamente perso il controllo. E lo stesso vale per chi continua a sostenere questo abominio in nome della democrazia e dei valori condivisi.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Tribunale olandese ordina al governo di interrompere la fornitura di componenti degli F-35 a Israele

David Kattenburg

13 febbraio 2024 – Mondoweiss

Una corte di appello ha ordinato al governo olandese di cessare l’esportazione componenti di F-35 verso Israele, dicendo che “c’è un rischio evidente che i pezzi di ricambio degli F-35 da esportare saranno usati per commettere gravi violazioni del diritto umanitario internazionale.”

La sentenza ribalta una decisione del 15 dicembre della Corte Distrettuale dell’Aia che aveva rigettato la causa intentata da tre organizzazioni per i diritti umani olandesi con cui intendevano interrompere la fornitura di parti di ricambio degli F-35 a Israele. 

Questi pezzi di ricambio sono immagazzinati nella base aerea di Woensdrecht, sull’estuario della Schelda, uno dei tre ‘centri di distribuzione logistici’ europei del letale bombardiere F 35 Lighting II, prodotto dalla Lockheed Martin. Gli utilizzatori di F-35 di tutta l’Europea (e Israele) vanno là per acquistare ricambi in base a una autorizzazione generale che si applica a tutti i membri del “programma internazionale F-35.”

Per le organizzazioni olandesi di diritti umani che hanno avviato la causa riguardo ai ricambi dei F-35, la decisione della Corte di Appello riafferma la supremazia del diritto internazionale sugli accordi internazionali nel loro Paese e del ruolo dei gruppi di cittadini nel promuovere l’applicazione della legge.

[Per] questo governo, in questo momento, le relazioni commerciali e internazionali con gli Stati Uniti e Israele sono più importanti del diritto internazionale,” ha detto a Mondoweiss Gerard Jonkman, direttore del Forum dei Diritti. “E se questo Paese, con questo atteggiamento, deve ora interrompere le forniture di queste parti di ricambio a Israele, penso che ciò sia veramente significativo e sicuramente è un colpo duro per il governo olandese.”

La decisione della Corte

A una lettura attenta la decisione di lunedì della Corte di Appello lunga 18 pagine riguarda molto più che il rifornimento di parti di ricambio per cacciabombardieri con alte prestazioni in una guerra sempre più sanguinosa.

L’aspetto più significativo è l’enunciazione del primato della legge internazionale su commercio e politica estera, illegali e miopi, e il ruolo decisivo dei cittadini nella difesa dello stato di diritto. 

La corte riconosce l’interesse che ha lo Stato nell’assicurare che l’Olanda ottemperi ai suoi obblighi internazionali verso gli USA, un alleato importante,” hanno stabilito tre giudici della Corte di Appello. Ma, “l’ottemperanza con [i suoi] obblighi internazionali … ha un peso maggiore.”

Con uguale forza, la sentenza di ieri ha respinto le argomentazioni del governo secondo cui i cittadini e i gruppi della società civile olandese non hanno “interessi” da difendere per conto della popolazione civile di Gaza, né il diritto di esigere l’osservanza da parte del governo dei suoi impegni con l’UE e il più ampio diritto internazionale.

Le tre organizzazioni olandesi che hanno intentato la causa civile sugli F-35, Oxfam Novib, PAX Netherlands Peace Movement Foundation e The Rights Forum, “sono organizzazioni di pubblico interesse che perseguono, fra le altre cose, lo scopo che non si commettano gravi violazioni del diritto umanitario internazionale con parti di armi fornite dall’Olanda,” ha affermato la sentenza. Inoltre ha dichiarato che gli standard del Netherlands Customs Act [legge olandese sulle dogane] e dell’EU Common Agreement [Accordo Comune dell’Unione Europea] “servono appunto a proteggere gli interessi” delle organizzazioni olandesi della società civile.

È una tesi che potrebbe applicarsi altrove nel mondo, dove i diritti dei cittadini di opporsi all’esportazioni di armamenti o di denunciare funzionari stranieri ai sensi delle proprie legislazioni interne sono stati sbrigativamente respinti — nei Paesi Bassi, negli Stati Uniti e in Canada, per esempio.

La vendita di F-35 a Israele viola gli obblighi olandesi secondo l’Articolo 1 della Quarta Convenzione di Ginevra, che richiede agli Stati di “rispettare e assicurare il rispetto” delle convenzioni in “tutte le circostanze,” ha sostenuto l’avvocata Liesbeth Zegveld davanti alla Bassa Corte il 4 dicembre.

Zegveld ha anche sostenuto che l’esportazione olandese delle componenti degli F-35 a Israele viola il Trattato sul Commercio di Armi del 2014 e la Posizione Comune del Consiglio dell’Unione Europea del 2008. 

Essa stabilisce che alle licenze di esportazione “verrà negata l’approvazione se fosse in contrasto con … gli obblighi internazionali degli Stati membri,” o se “ci fosse un chiaro rischio che la tecnologia o gli equipaggiamenti militari da esportare possano essere usati per la repressione interna,” o per commettere “gravi violazioni del diritto umanitario internazionale,” o che “il destinatario potrebbe usare aggressivamente la tecnologia o gli equipaggiamenti militari … contro un altro Paese o per affermare con la forza una pretesa territoriale,” o con scopi “altri che gli interessi legittimi della sicurezza e difesa nazionale del destinatario.”

Bloccare l’esportazione di componenti degli F-35 non è nulla di nuovo. Secondo il NL Times tra il 2004 e il 2020 il governo olandese ha rifiutato di emettere permessi per l’esportazione di equipaggiamenti militari a Israele in 29 occasioni.  

Eppure il 4 dicembre gli avvocati del governo hanno detto alla Corte Distrettuale che l’esportazione di parti di ricambio per gli F-35 a Israele poteva continuare. La flotta israeliana di Adirs F-351 è centrale per la sua “strategia di sicurezza regionale,” hanno affermato. 

Gli avvocati del governo hanno anche sostenuto che, interrompendo le esportazioni di parti di ricambio per gli F-35, i Paesi Bassi sarebbero venuti meno agli accordi [che li impegnano a] fornire in modo affidabile dal magazzino di Woensdrecht, deludendo “le aspettative di tutti i partner degli F-35” e imponendo costi amministrativi a tutti i membri del programma internazionale F-35.

Gli avvocati del governo hanno detto alla Corte che, anche se si interrompesse l’esportazione, Israele si rivolgerebbe ad altre fonti. “I Paesi Bassi non hanno voce in capitolo.”

Scartando queste argomentazioni burocratiche, la giuria di tre giudici della Corte di Appello olandese ha ingiunto al governo dei Paesi Bassi di cessare tutte le esportazioni e il transito di parti di ricambio per gli F-35 verso Israele entro sette giorni dalla sentenza di ieri e di corrispondere a Oxfam Novib le spese di 7.800 dollari [circa 7.200 €]. 

Citando disposizioni del Trattato sul Commercio di Armi e la Posizione Comune del Consiglio dell’Unione Europea, la Corte di Appello ha deliberato che “c’è un evidente rischio che le parti degli F-35 da esportare siano usate per commettere gravi violazioni del diritto umanitario internazionale,” o per “facilitare” tali violazioni che sono già state commesse:

I fatti dimostrano che è stato causato un alto numero di vittime civili, incluse migliaia di minori, che migliaia di case sono state distrutte, che sono state usate le cosiddette ‘bombe stupide’ [a caduta libera], che ogni zona residenziale è attaccata se c’è anche solo la minima indicazione che vi avvengano attività terroristiche, che i limiti applicati in Precedenza [sic] riguardanti i ‘danni collaterali nell’attuale conflitto sono stati estesi, che la politica di avvisare i civili prima di un attacco è stata abbandonata, che la fornitura di acqua potabile, le panetterie e i mulini per la farina sono stati distrutti… e che molti degli ospedali di Gaza non funzionano più. Non è plausibile che questa distruzione sia stata inflitta esclusivamente su obiettivi militari o che costituisca un legittimo ‘danno collaterale’, non solo alla luce delle sue dimensioni senza precedenti, ma anche delle affermazioni fatte dagli stessi soldati israeliani. Basandosi su quanto sopra la Corte conclude anche che le violazioni del diritto umanitario internazionale per cui c’è un rischio evidente sono ‘serie’.”

La risposta della Corte alle tesi del governo che non è obbligato a rivalutare le esportazioni di armi in conseguenza delle prove schiaccianti di crimini di guerra è tassativa.

Concedere permessi di esportazioni di armi che non necessitino mai di essere rivalutati anche se si commettono serie violazioni del diritto umanitario internazionale nel Paese di destinazione (incluso il rischio di genocidio, come sostengono le organizzazioni dei diritti umani olandesi), minerebbe l’EU Common Agreement, per non dire degli obblighi dei Paesi Bassi ai sensi delle Convenzioni di Ginevra e dei Protocolli Addizionali che obbligano gli Stati “a garantire che ‘in ogni circostanza’ un altro Stato agisca in accordo con il diritto umanitario internazionale,” ha dichiarato la Corte di Appello.

[Il ministro] non ha preso in considerazione … che se tale serio rischio esiste in base al [Common Agreement] ha già l’obbligo di impedire l’esportazione delle parti degli F-35 a Israele, a prescindere da ogni altra considerazione di politica estera, come le buone relazioni con Israele e gli Stati Uniti,” ha dichiarato la Corte.

In risposta alle altre argomentazioni del governo secondo cui Israele si rivolgerà agli USA per i ricambi dei suoi F-35, è in pericolo la sopravvivenza del deposito militare nella base aerea di Woensdrecht, accogliere le richieste di Oxfam avrebbe “conseguenze immediate, irreversibili e immense” “sulla posizione nel mondo,” dei Paesi Bassi che porterebbero a “dubitare” della sua “affidabilità,” con conseguente impatto sulla sicurezza olandese, europea e globale, per non citare il successo del progetto degli F-35 del Pentagono, la Corte si è dichiarata “non convinta.”

La reazione del governo olandese

La vendita delle parti di ricambio degli F-35 a Israele “non è illegale,” ha dichiarato il governo olandese in un comunicato stampa a poche ore dalla sentenza di ieri della Corte di Appello. “Il governo crede che stia allo Stato determinare la propria politica estera.” Il governo olandese pensa di ricorrere in appello, una decisione approvata da Israele.

Sono piuttosto sicuro che anche se facesse appello noi vinceremmo,” ha detto a Mondoweiss Jonkman del Rights Forum. “Ci vorranno molti soldi e molto tempo. Penso che sia inutile che il governo si appelli. È molto chiaro che in questo momento e in questo Stato non si possono mandare armi o parti di aerei o altro in un Paese di cui la Corte Internazionale di Giustizia sta dicendo che sta avvenendo un possibile genocidio.”

Il governo si consulterà presto con partner internazionali del programma F-35 per garantire il ruolo dell’Olanda nel programma,” continua la dichiarazione del governo, “Il governo farà tutto il possibile per convincere alleati e partner che l’Olanda resta un elemento affidabile del progetto e nella cooperazione per la difesa europea e internazionale. Tale cooperazione è importante per la stessa sicurezza nazionale dell’Olanda. Ma è anche essenziale per Israele perché l’aereo F-35 è fondamentale per la sicurezza di Israele, in particolare in relazione alle minacce che provengono dalla regione, per esempio da Iran, Yemen, Siria e Libano.” 

La decisione dello Stato di fare appello … è indipendente dalla situazione a Gaza,” continua il comunicato. “I Paesi Bassi continuano a invocare un cessate il fuoco immediato e temporaneo per permettere a quanti più aiuti umanitari possibili di raggiunge il popolo sofferente di Gaza. La situazione è estremamente grave. È chiaro che il diritto umanitario internazionale si applica in pieno e che anche Israele deve rispettarlo.”

John Dugard guarda alla posizione dell’Olanda con gli occhi del cinico. In risposta a una domanda di Mondoweiss, l’avvocato sudafricano ed ex relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nella Palestina occupata scrive:

I Paesi Bassi hanno ripetutamente e orgogliosamente affermato di essere la capitale del diritto internazionale nel mondo. In queste circostanze è strano che non siano riusciti ad avallare la decisione della CIG nella causa del Sudafrica contro Israele. È ancora più strano che abbia cosi rapidamente deciso di presentare appello contro la decisione sulle componenti degli F-35 che con tutta evidenza mette i Paesi Bassi in conflitto con la decisione della CIG. È un giorno triste per il diritto internazionale in Olanda: si è forse perso per strada?”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Giustiziati nel sonno: come le forze israeliane hanno assassinato tre palestinesi durante un’incursione in un ospedale della Cisgiordania

SHATHA HANAYSHA

30 gennaio 2024 – Mondoweiss

Le forze israeliane travestite da operatori ospedalieri e civili sono entrate nell’ospedale Ibn Sina di Jenin e hanno assassinato tre palestinesi mentre dormivano. Questo sfrontato omicidio segna un’escalation senza precedenti nella guerra di Israele contro i palestinesi in Cisgiordania.

Abeer Al-Ghazawi è andata a dormire la scorsa notte sentendosi rassicurata, sapendo che suo figlio, Basel, era in un letto dell’ospedale Ibn Sina di Jenin, accompagnato da suo fratello Mohammed. Per lei l’ospedale rappresentava il posto più sicuro nella loro città natale, Jenin. Per mesi, l’esercito israeliano ha intensificato le sue operazioni nella città settentrionale della Cisgiordania e nel suo campo profughi, conducendo violenti raid e attacchi di droni che hanno ucciso decine di persone.

Basel, 19 anni, era in cura per un grave infortunio subito lo scorso ottobre quando un attacco di droni israeliani lo ha reso paraplegico, costretto su una sedia a rotelle. Ad accompagnarlo in ospedale c’erano il fratello maggiore Mohammed, 24 anni, e il loro amico Mohammed Jalamneh, 28 anni. Secondo testimoni, nelle prime ore del mattino di martedì 30 gennaio, i tre giovani dormivano nella stanza d’ospedale di Basel quando un’unità sotto copertura delle forze speciali israeliane è entrata nella loro stanza al terzo piano dell’ospedale e li ha giustiziati a bruciapelo, con armi da fuoco silenziate.

Una decina di membri delle forze speciali israeliane travestiti da operatori ospedalieri e civili palestinesi – tra cui soldati vestiti da donne palestinesi velate, uno con un marsupio per infanti e lavoratori dell’ospedale, e un altro travestito da paziente su sedia a rotelle – si sono infiltrati nell’unità di terapia intensiva dell’ospedale, aggredendo l’infermiera di turno.

Ripresi dalle telecamere a circuito chiuso, i soldati israeliani travestiti possono essere visti muoversi nel reparto ospedaliero con i fucili d’assalto spianati. Mentre alcuni soldati depongono i loro marsupi e altri travestimenti, si può vedere almeno un soldato che tiene sotto tiro un civile. Il civile è in ginocchio con le mani dietro la testa. Il soldato israeliano toglie la giacca all’uomo e poi gliela mette in testa.

Fuori dall’inquadratura delle riprese della telecamera di sorveglianza diffuse dall’ospedale Ibn Sina le forze speciali si sono fatte strada verso la stanza di Basel. Lì sono entrate nella stanza dove dormivano i tre giovani. I soldati hanno sparato cinque colpi, uccidendo Basel, suo fratello Mohammed e il loro amico Mohammed mentre dormivano. Nel giro di 10 minuti le forze si sono ritirate dalla scena.

Un testimone oculare e paziente dell’ospedale, che ha chiesto l’anonimato, ha informato Mondoweiss di aver sentito delle urla nel corridoio, di essere uscito e di aver visto tre persone armate davanti a lui. Uno dei soldati, ha raccontato il testimone, tratteneva l’infermiera di turno e “la picchiava continuamente sulla testa”.

I soldati hanno urlato all’uomo di tornare nella sua stanza. Ha detto a Mondoweiss che quando ha tentato di uscire di nuovo dalla sua stanza per vedere cosa stava succedendo i soldati hanno sparato verso la sua stanza.

Ha continuato affermando che, dopo che i soldati si erano ritirati, si è precipitato nella stanza in cui erano entrati solo per trovare i tre martiri “che giacevano nei loro letti, con il sangue che scorreva dalle loro teste”. Ha detto che l’operazione all’interno della stanza non è durata più di tre minuti e che si è reso conto, quando li ha sentiti parlare ebraico, che le persone che ha visto erano “musta’ribeen”, il termine arabo per le unità speciali delle forze israeliane che si travestono da palestinesi per effettuare rapimenti e omicidi nei territori palestinesi occupati.

Il testimone ha descritto quello che ha visto come “la scena più straziante” a cui aveva assistito in vita sua. Quando ha cercato di sdraiarsi e riposare dopo l’attacco ha detto che non riusciva a dormire, perché la scena orribile dei letti d’ospedale insanguinati gli scorreva nella mente.

Mondoweiss ha visitato la scena dell’assassinio poche ore dopo che ha avuto luogo. Il letto accessibile ai disabili dove dormiva Basel era macchiato di sangue. Il cuscino su cui giaceva era insanguinato e coperto di frammenti di cervello e cranio.

Accanto al letto di Basel c’erano i resti del suo ultimo pasto.

Inoltre il sangue di suo fratello e del loro amico era schizzato sulle pareti e sul pavimento della stanza dove dormivano.

Lo Shin Bet (Shabak), l’agenzia di intelligence interna israeliana, e l’esercito israeliano hanno riconosciuto in una dichiarazione congiunta di essere coinvolti nell’operazione all’interno dell’ospedale. Hanno dichiarato di aver “bloccato un gruppo di militanti di Hamas che si nascondevano nell’ospedale Ibn Sina nella città di Jenin mentre pianificavano di lanciare un attacco a breve”.

Mohammed Jalamneh è stato rivendicato da Hamas come un suo membro e i due fratelli, Basel e Mohammed, sono stati rivendicati come membri dal gruppo palestinese della Jihad islamica. Si dice che tutti e tre i giovani fossero combattenti della Brigata Jenin, un gruppo di resistenza palestinese all’interno di Jenin e nel campo profughi di Jenin che comprende più fazioni della resistenza.

Mentre Basel era effettivamente disabile e relegato su una sedia a rotelle, né lui né suo fratello o l’amico erano attivamente impegnati in un combattimento armato quando sono stati colpiti alla testa. Secondo l’ospedale quando sono stati assassinati i tre stavano dormendo.

Tuttavia, nonostante le gravi accuse secondo cui l’assassinio costituisce un crimine di guerra, i responsabili israeliani hanno festeggiato l’operazione.

“Mi congratulo vivamente con i commando della marina della polizia israeliana per la loro impressionante operazione di ieri sera in collaborazione con l’IDF e lo Shin Bet nel campo profughi di Jenin che ha portato all’eliminazione di tre terroristi”, ha dichiarato il Ministro della Sicurezza Nazionale israeliano Itamar Ben Gvir nel corso del video su X (ex Twitter).

Walid Jalamneh, padre del martire Mohammed, ha respinto e denunciato la dichiarazione ufficiale dell’esercito israeliano esprimendo il suo sgomento per l’intrusione nell’ospedale e la violazione della sacralità delle strutture mediche. Ha affermato che l’attacco è stato un “crimine evidente e una violazione delle leggi internazionali”.

Ha detto: “Sì, è vero che mio figlio è ricercato dagli occupanti [israeliani], ma l’irruzione nell’ospedale in questo modo mentre era in compagnia del suo amico e il suo fratello malato è un crimine

La Brigata Jenin, l’ala militare del Movimento della Jihad islamica, ha denunciato in un comunicato l’assassinio dei tre martiri all’interno dell’ospedale.

Il gruppo ha promesso di rispondere e ha affermato il proprio impegno a “continuare il cammino aperto dai martiri con il loro sangue puro”, sostenendo che questi omicidi non indeboliranno la loro determinazione.

Il Ministero della Sanità palestinese ha rilasciato una dichiarazione in cui invita urgentemente l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, le istituzioni internazionali e le organizzazioni per i diritti umani a porre tempestivamente fine alla “serie quotidiana di crimini commessi dall’occupazione contro le persone e i centri sanitari nella Striscia di Gaza” e in Cisgiordania” e ad offrire la “protezione necessaria alle strutture e al personale medico”.

La dichiarazione sottolinea inoltre che questo crimine è “parte di una serie di decine di crimini commessi dalle forze di occupazione contro strutture e personale medico” e ricorda che il diritto internazionale prevede una protezione generale e specifica per i luoghi civili, compresi gli ospedali, come stipulato nella Quarta Convenzione di Ginevra e Primo e Secondo Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1977, nonché dalla Convenzione dell’Aja del 1954.

Wesam Sbeihat, direttore del Ministero della Salute a Jenin, ha dichiarato a Mondoweiss: “L’intrusione nei reparti e nelle stanze dell’ospedale, così come l’esecuzione e l’assassinio all’interno dell’ospedale di un paziente e dei suoi compagni è un crimine che viene documentato e aggiunto all’elenco dei crimini dell’occupazione contro le équipe mediche e gli ospedali. L’occupazione deve essere ritenuta responsabile dei suoi crimini”.

Sbeihat ha proseguito: “Abbiamo anche il referto medico del paziente assassinato oggi; è stato sottoposto a riabilitazione medica per mesi contrariamente a quanto affermato dagli occupanti secondo cui si nascondeva all’interno dell’ospedale”.

Dal 2022 Israele tenta di eliminare la resistenza nel campo e nella città di Jenin attraverso vari mezzi, tra cui bombardamenti aerei, omicidi ed esecuzioni di militanti. Tuttavia questa è la prima volta che gli occupanti hanno invaso un ospedale ed effettuato un’operazione di assassinio al suo interno.

Questo fatto è anche successo pochi giorni dopo che la Corte Internazionale di Giustizia ha stabilito che l’accusa di genocidio avanzata dal Sudafrica contro Israele era “plausibile”, ordinando a Israele di “prevenire atti di genocidio” a Gaza.

Dall’inizio della campagna militare israeliana nella Striscia di Gaza il 7 ottobre l’esercito e il governo israeliani hanno continuato a perpetuare la narrazione secondo cui i gruppi militanti palestinesi utilizzano gli ospedali per le loro operazioni. Nonostante la mancanza di prove concrete dell’esistenza di “centri di comando” di Hamas all’interno o sotto gli ospedali di Gaza, Israele ha continuato ad attaccare gli ospedali di Gaza mentre le sue forze di terra si facevano strada attraverso la Striscia.

Il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, Herzi Halevi, ha commentato l’assassinio avvenuto in ospedale, sostenendo che i tre giovani erano “coinvolti in una cellula terroristica che pianificava un grave attacco contro civili israeliani”. Halevi ha affermato che l’esercito israeliano “non permetterà che gli ospedali diventino una copertura per il terrorismo”.

Ha continuato: “Non vogliamo trasformare gli ospedali in campi di battaglia. Ma siamo ancora più determinati a non permettere che gli ospedali a Gaza, in Giudea e Samaria [così chiamano la Cisgiordania, ndtr.], in Libano, in superficie o nei cunicoli dei tunnel e nei tunnel sotto gli ospedali, diventino un luogo che funge da copertura per il terrorismo e che consente ai terroristi di nascondere armi, riposarsi, uscire per sferrare un attacco”.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




‘Ottantunesimo giorno dell’operazione “Inondazione Al-Aqsa”: l’OMS afferma che il sistema sanitario di Gaza è stato “decimato” dai bombardamenti israeliani

Mustafa Abu Sneineh  

 26 dicembre 2023 – Mondoweiss

Vittime

  • Oltre 20.674 uccisi* e almeno 54.536 feriti nella Striscia di Gaza.

  • 305 palestinesi uccisi nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme est.

  • Israele ha rivisto al ribasso da 1.400 a 1.147 la stima del numero di morti del 7 ottobre.

  • 491 soldati israeliani uccisi e almeno 1.952 feriti dal 7 ottobre.

* Questo dato è stato confermato dal ministero della Sanità di Gaza il 25 dicembre. A causa delle interruzioni della rete di comunicazione all’interno della Striscia di Gaza da metà novembre il ministero della Sanità di Gaza non è in grado di aggiornare regolarmente e in modo accurato i propri dati. Tenendo conto dei dispersi, alcune associazioni per i diritti umani portano la stima del numero di morti a circa 28.000.

Avvenimenti principali

  • Il leader di Hamas Yahya Sinwar afferma che i combattenti hanno inflitto perdite e danni alle forze israeliane colpendo dal 7 ottobre non meno di 5.000 soldati e attaccando 750 veicoli militari.L’esercito israeliano sostiene che l’aviazione ha lanciato più di 100 attacchi in 24 ore contro Gaza.

  • La Mezzaluna Rossa palestinese afferma che i suoi uffici di Khan Younis sono stati bombardati dall’artiglieria israeliana, che ha distrutto il piano superiore e ha ferito parecchi palestinesi che vi si erano rifugiati.

  • Il personale dell’OMS ha sentito racconti strazianti di sopravvissuti palestinesi del bombardamento israeliano contro il campo profughi di Al-Maghazi, che ha ucciso 70 persone.

  • Le forze israeliane hanno pesantemente bombardato quartieri di Khan Younis e i dintorni dell’ospedale Nasser, cercando di conquistare un avamposto nel sud di Gaza.

  • Forze israeliane hanno ucciso due palestinesi nel campo profughi di Al-Fawwar a Hebron, nel sud della Cisgiordania.

  • Dopo aver fatto irruzione nella sua casa a Ramallah, le forze israeliane hanno arrestato la nota attivista politica Khalida Jarrar,.

  • Forze israeliane hanno fatto irruzione nel campo profughi di Nur Shams a Tulkarem per circa otto ore, hanno fatto saltare in aria tre proprietà e arrestato parecchi palestinesi.

Il leader di Hamas loda la tenacia dei palestinesi contro l’aggressione israeliana

In una lettera pubblicata dal sito in arabo di Al-Jazeera, nel suo primo messaggio pubblico dal 7 ottobre il leader di Hamas Yahya Sinwar ha affermato che le brigate Izz al-Din Al-Qassam stanno conducendo una feroce battaglia senza precedenti contro le forze dell’occupazione israeliana nella Striscia di Gaza.

La lettera di Sinwar era indirizzata ai membri dell’ufficio politico di Hamas durante il dialogo per i tentativi di mediazione egiziani e qatarini per raggiungere un accordo di cessate il fuoco e uno scambio di ostaggi con Israele. Tuttavia più tardi, lunedì, Al-Jazeera ha tolto dal sito la lettera.

Sinwar ha affermato che i combattenti della resistenza hanno inflitto perdite significative alle forze israeliane, colpendo almeno 5.000 soldati e uccidendone un terzo. Il leader di Hamas ha aggiunto che i combattenti della resistenza hanno attaccato un totale di 750 veicoli militari, determinandone a quanto ha affermato la distruzione totale o parziale.

Ha aggiunto che i palestinesi della Striscia di Gaza “hanno fornito un esempio di sacrificio, eroismo, lealtà, solidarietà e interdipendenza senza precedenti” durante la guerra, in cui le forze israeliane hanno ucciso più di 20.000 palestinesi e ne hanno feriti circa 55.000.

I dati ufficiali israeliani indicano che fino a lunedì nei combattimenti sono stati uccisi 156 soldati israeliani. Tuttavia questi numeri potrebbero essere più alti, in quanto in base a fonti indipendenti l’esercito israeliano avrebbe imposto un ordine di riservatezza che impedisce ai media israeliani di dare informazioni sulle vittime israeliane nella Striscia di Gaza.

Forze israeliane bombardano gli uffici della Mezzaluna Rossa palestinese a Gaza

Martedì mattina l’esercito israeliano ha affermato che nelle ultime 24 ore l’aviazione ha lanciato nella Striscia di Gaza più di 100 attacchi.

Martedì la Mezzaluna Rossa palestinese (PRCS) ha detto che i suoi uffici a Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, sono stati attaccati da un bombardamento dell’artiglieria israeliana che ha distrutto il piano superiore. Vari sfollati palestinesi che vi si erano rifugiati sono rimasti feriti.

La PRCS ha affermato che l’equipaggio di un’ambulanza è sopravvissuto “miracolosamente” al bombardamento israeliano di lunedì mentre stava trasportando i corpi di palestinesi uccisi nel quartiere di Al-Katiba a Khan Younis. Forze israeliane la scorsa settimana hanno anche arrestato parecchi dipendenti della PRCS nel centro ambulanze di Jabalia, nel nord di Gaza, dopo avervi fatto irruzione.

Dal 7 ottobre la PRCS, che nella Striscia di Gaza gestisce vari ambulatori medici e ospedali convenzionati, opera in condizioni durissime e con carenza di rifornimenti sufficienti di medicine e carburante. Dal 7 ottobre sono stati uccisi dai bombardamenti israeliani almeno 284 membri del personale, molti dei quali mentre stavano fornendo interventi di pronto soccorso e assistenza medica.

Lunedì pomeriggio il ministero della Sanità di Gaza ha detto che da ottobre 20.674 persone sono state uccise come martiri e 54.536 ferite nei bombardamenti israeliani.

Il personale dell’OMS ha sentito storie orribili dai sopravvissuti palestinesi del massacro di Al-Maghazi

Domenica notte almeno 70 palestinesi sono stati uccisi nel bombardamento israeliano di case nel campo profughi di Al-Maghazi, nella zona centrale di Gaza. Il direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) Tedros Adhanom Ghebreyesus ha scritto su X che nell’ospedale Al-Aqsa il personale dell’OMS ha sentito “storie terribili” da vittime del brutale bombardamento di Al-Maghazi.

“Il personale dell’OMS ha ascoltato resoconti strazianti, che sono condivisi sia da lavoratori sanitari che dalle vittime, delle sofferenze causate dalle esplosioni. Un bambino ha perso tutta la sua famiglia nell’attacco contro il campo. Un infermiere dell’ospedale ha sofferto la stessa perdita, in quanto tutta la sua famiglia è stata uccisa,” ha scritto Ghebreyesus.

Ha aggiunto che il personale sanitario dell’ospedale Al-Aqsa ha cercato di salvare la vita di Ahmad, un bambino di 9 anni, che aveva subito una ferita alla testa dovuta a schegge e detriti provocati da un’esplosione israeliana mentre stava attraversando una strada ad Al-Maghazi.

“I medici ci hanno detto che le sue ferite erano talmente serie che non sarebbe sopravvissuto,” ha scritto lunedì.

“L’ospedale (Al-Aqsa) sta assistendo molti più pazienti di quanti la sua capienza e il suo personale possano gestire. Molti non sopravviveranno all’attesa. Al momento l’ospedale ha in funzione cinque sale operatorie e altre due sono gestite da (Medici senza Frontiere), ma non è ancora sufficiente,” ha aggiunto.

Ghebreyesus ha chiesto un cessate il fuoco e ha affermato che il personale dell’OMS sta assistendo alla distruzione del sistema sanitario di Gaza, che è stato “messo in ginocchio” dalla prosecuzione dei bombardamenti israeliani.

Gemma Connell, dell’agenzia umanitaria dell’ONU (OCHA), martedì ha detto alla BBC che lunedì le condizioni dell’ospedale Al-Aqsa erano “una totale carneficina”.

Connell ha affermato che durante la sua visita all’ospedale “ci sono stati nuovi attacchi aerei che hanno colpito aree limitrofe all’ospedale nella zona centrale [della Striscia] e vi venivano portate nuove vittime.”

“Tragicamente ho visto spirare un bambino di nove anni con una terribile ferita alla testa,” ha aggiunto. “Quando dico che ci sono stati di nuovo attacchi oggi e che sono arrivate vittime, alcuni di questi attacchi sono avvenuti in zone in cui era stato detto alla gente di spostarsi, il che, penso, riprende ancora una volta il ritornello che sono così stanca di dire: a Gaza non ci sono posti sicuri.”

Le forze israeliane concentrano la potenza di fuoco contro Khan Younis, nel tentativo di conquistare un avamposto nel sud di Gaza

Nelle ultime 24 ore le forze israeliane hanno intensificato la campagna di bombardamenti nella Striscia di Gaza concentrando la loro potenza di fuoco contro Khan Younis e nelle zone meridionali [della Striscia di Gaza], mentre le forze di terra cercano di conquistare un avamposto nella seconda città più grande dell’enclave costiera.

Almeno dieci palestinesi sono stati uccisi in un attacco aereo israeliano nella città di Khan Younis. L’agenzia di stampa Wafa informa che le forze israeliane hanno bombardato anche i dintorni dell’ospedale Nasser, le case della famiglia Al-Najjar a sud dell’area di Kaizan Al-Najjar a Khan Younis e della famiglia Abu Rizqa nel quartiere olandese della città.

Lunedì pomeriggio gli attacchi aerei israeliani hanno ucciso cinque palestinesi nel quartiere di Al-Amal di Khan Younis. Il ministero della Sanità di Gaza ha affermato che da domenica pomeriggio le forze israeliane hanno commesso 25 massacri, uccidendo almeno 250 palestinesi e ferendone altri 500.

Ad est e a nord di Khan Younis le forze israeliane hanno colpito con bombardamenti di artiglieria e attacchi aerei le cittadine di Bani Suheila, Al-Bureij e i campi profughi di Al-Maghazi.

Anche Juhr Al-Dik, una zona a sud-est di Gaza City, è stata bombardata. Juhr Al-Dik è diventata il luogo di molti attacchi dei combattenti palestinesi contro le forze israeliane schierate nella zona da fine ottobre.

Nella città meridionale di Rafah molti palestinesi feriti dagli attacchi israeliani sono stati ricoverati nell’ospedale Kuwaitiano. Forze israeliane hanno bombardato la casa della famiglia Al-Amsi in piazza Al-Najmeh a Rafah e un’altra casa nel campo profughi di Al-Shaboura. Lunedì pomeriggio forze israeliane hanno bombardato anche la città di Deir Al-Balah.

Forze israeliane hanno assaltato il campo profughi di Nour Shams, uccidendo due palestinesi a Hebron

Martedì mattina forze israeliane hanno ucciso due palestinesi nella Cisgiordania occupata.

Il ministero della Sanità ha affermato che Ibrahim Majid Abdel Majeed al-Titi, 31 anni, e Ahmad Muhammad Yousef Yaghi, 17, sono stati uccisi da fuoco israeliano nel campo profughi di Al-Fawwar a Hebron, nel sud della Cisgiordania.

Martedì mattina forze israeliane hanno attaccato Al-Fawwar e hanno sparato proiettili veri contro palestinesi, uccidendo Yaghi e al-Titi. Il numero totale di palestinesi uccisi dalle forze israeliane e dai coloni nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme dal 7 ottobre è salito a 305.

La Wafa ha informato che durante la notte forze israeliane hanno arrestato 55 palestinesi. Gli arrestati più famosi sono l’attivista politica Khalida Jarrar, 60 anni, e Rashad Karaja, capo del consiglio comunale del villaggio di Safa, nei pressi di Ramallah. Sia Jarrar che Karaja sono importanti attivisti di sinistra.

Le forze israeliane hanno fatto irruzione nella casa di Jarrar nella città di al-Bireh, nei pressi di Ramallah, ed hanno perquisito i suoi effetti personali. Jarrar è stata arrestata molte volte nel corso degli anni ed ha scontato varie sentenze consecutive di detenzione amministrativa, l’ultima nel 2021, dopo di che è stata rilasciata dalla prigione israeliana. La figlia minore di Jarrar, Suha, è morta durante l’ultimo periodo di detenzione di sua madre, e Jarrar, nonostante fosse in prigione senza accuse né processo, non ha potuto partecipare al funerale della figlia.

A Hebron forze israeliane hanno arrestato anche 17 palestinesi delle famiglie Abu Hadid e Al-Atrash, mentre al check point militare di Barta’a, a sud della città di Jenin, sono stati arrestati anche altri 17 operai e commercianti prima di essere trasferiti nei centri di detenzione di Salem e Huwwara.

La Wafa ha informato che durante la notte a Betlemme sono stati arrestati 15 palestinesi, tra cui due donne e un giornalista.

Secondo il Club dei Prigionieri Palestinesi da ottobre le forze israeliane hanno arrestato un totale di 4.785 palestinesi dalle loro case o ai posti di controllo militari. Dopo un’incursione di circa otto ore nel campo profughi di Nour Shams, a est della città di Tulkarem, martedì mattina le forze israeliane si sono ritirate dalla zona.

Forze israeliane hanno fatto saltare in aria tre case a Nour Shams, tra cui quella di Odeh Khalil Arif Hassan, 38 anni, nel quartiere di Al-Maslakh. Hassan era stato arrestato durante l’incursione.

La Wafa ha informato che l’esplosione ha provocato danni alle case vicine, tra cui quella di Abdul Hadi Arif e Muhammad Al-Azab.

La seconda casa che le forze israeliane hanno fatto saltare in aria è stata quella di Yousef al-Zindeeq, situata all’ingresso di Nour Shams. Il secondo piano della casa di Musa Al-Azb è stato in seguito fatto esplodere, provocando un incendio.

La Wafa ha riportato che durante il raid forze israeliane hanno vandalizzato case palestinesi e hanno requisito telefonini, arrestando Abdel Karim Omar Nasrallah, 27 anni, e Ahmad Muhammad Abu Zahra, 26.

Bulldozer israeliani hanno sfasciato vari veicoli palestinesi, distrutto muri e danneggiato strade a Nour Shams. Un edificio in costruzione nella zona di Aktaba è stato colpito con bombe anticarro Energa.

Secondo la Wafa forze israeliane hanno fatto irruzione anche nella città di Tulkarem, e Nour Shams è diventato una “zona militare” chiusa, il che impedisce l’ingresso e l’uscita di palestinesi del campo, mentre un aereo da ricognizione israeliano ha sorvolato a bassa quota la zona.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Vergogna a Israele che sfrutta l’Olocausto per giustificare il genocidio

Sig Giordano 

18 dicembre 2023, Mondoweiss

La storia dei miei nonni sopravvissuti all’Olocausto mi ha insegnato cos’è un genocidio, ed è così che posso condannare ciò che Israele sta facendo a Gaza in questo momento. Come osa Israele sfruttare la sofferenza della mia famiglia per cercare di giustificare il suo genocidio a Gaza?

Se i miei nonni fossero ancora vivi, in questo ottobre si sarebbe celebrato l’ottantesimo anniversario del loro incontro. Nel 1943 i miei nonni, Isidor e Marianne, si incontrarono a Theresienstadt, un campo di concentramento nella Cecoslovacchia occupata dai nazisti. Ero molto legato a mio nonno Isi, che sopravvisse alla nonna. Tra le sue cose mi affidò la stella “ebraica” di stoffa gialla con sopra la parola “Jude” che gli avevano fatto indossare nel campo.

Durante un incontro alle Nazioni Unite (ONU) il 31 ottobre, Gilad Erdan, ambasciatore israeliano all’ONU, ha indossato una stella ebraica simile a quella di mio nonno. Rivolgendosi al Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha dichiarato che indossava la stella per denunciare il silenzio del Consiglio riguardo all’attacco del 7 ottobre contro Israele. Erdan ha paragonato questo silenzio al silenzio che permise che si verificasse l’Olocausto. In risposta Dani Dayan, il direttore dello Yad Vashem, il museo israeliano memoriale dell’Olocausto, ha subito denunciato quell’uso improprio della stella, sostenendo che Erdan stava “disonorando le vittime dell’Olocausto, così come lo Stato di Israele”.

Dayan aveva assolutamente ragione nel richiamare l’attenzione su quanto fosse offensivo che Erdan indossasse la stella gialla. Le ragioni di Dayan, tuttavia, sono completamente sbagliate. Per sostenere il suo argomento, Dayan ha sostenuto che la stella gialla simboleggia la debolezza del popolo ebraico durante l’Olocausto, ribadendo una narrazione storica inquietante e falsa.

I sionisti hanno a lungo cercato di raffigurare le vittime dell’Olocausto come deboli per sostenere la fondazione e poi il mantenimento dello Stato di Israele. Questa mossa iniziò anche prima dell’Olocausto, quando alcuni sionisti si allinearono con la scienza razziale eugenetica dell’epoca sostenendo che gli ebrei dovevano purificare la propria razza e creare una propria razza forte. Arthur Ruppin, eminente scienziato sociale e capo dell’ufficio palestinese dell’Organizzazione sionista mondiale all’inizio del XX secolo, promosse l’insediamento in Palestina come risposta ai pericolosi risultati della “mescolanza razziale” degli ebrei europei. Non era il solo, poiché molti intellettuali ebrei sostenevano che la formazione dello Stato sionista avrebbe consentito agli ebrei di “rigenerare i propri corpi” degenerati nelle condizioni di assimilazione nell’Europa occidentale e di oppressione in quella orientale.

Una volta fondato Israele, le vittime dell’Olocausto furono regolarmente trattate come deboli e come esempi all’opposto di ciò che rappresentava lo Stato sionista, il che portò al pessimo trattamento per i sopravvissuti che divennero cittadini israeliani. Come Dayan stesso ha ribadito, l’Olocausto rappresenterebbe un monito sul contrapporre la debolezza degli ebrei nella diaspora alla forza degli ebrei nello Stato di Israele.

Nonostante la distanza delle loro opinioni, leader israeliani come Erdan e Dayan fanno regolarmente uso dell’Olocausto per difendere la violenza di Stato contro i palestinesi. A differenza di Erdan e Dayan, conoscere il genocidio contro i miei antenati mi ha permesso di capire che ciò che sta accadendo oggi in Palestina è un genocidio. Sapere che si sta perpetrando un genocidio è doloroso di per sé. Sapere che un genocidio viene compiuto presumibilmente a mio nome (in quanto ebreo) è estremamente doloroso. Ma sapere che un genocidio viene giustificato con l’appropriazione della sofferenza della mia famiglia mi fa infuriare. Sono furioso. Come osa lo Stato di Israele insultare la storia della mia famiglia?

Gli orrori che la mia famiglia ha dovuto sopportare sono inimmaginabili per la maggior parte delle persone. Mia nonna e mio nonno, adolescenti quando si incontrarono al campo, sono gli unici membri sopravvissuti delle loro famiglie. Mio nonno faceva parte della resistenza nel campo, e nascondeva le persone che erano sulle liste per essere deportate ad Auschwitz. Mio nonno ha letteralmente salvato la vita a mia nonna. Questa non è una storia di debolezza. Tuttavia, è una storia dalla quale ho imparato molte lezioni sulle condizioni che consentono il genocidio.

Ricordo che avevo 8 o 9 anni e sedevo al tavolo di cucina a fare colazione mentre mia madre cucinava. La radio era accesa come ogni mattina e trasmetteva le notizie di 1010 WINS [radio privata di New York, ndt.]: “Dacci 22 minuti, ti daremo il mondo”. Nei titoli un gruppo di resistenza rivendicava la responsabilità di un attentato da qualche parte fuori dagli Stati Uniti. Ho chiesto a mia madre: “Cos’è un gruppo di resistenza?” Lei mi ha spiegato l’idea di resistenza parlando dell’Olocausto e della lotta di suo padre per reagire.

Anche se non tutte le persone che affermano di resistere sono automaticamente nel giusto, quando sono cresciuto mi sono reso conto che il modo in cui si vede la resistenza in una determinata situazione dipende dal proprio punto di vista. Ciò può sembrare ovvio, ma nei media occidentali, nella politica e nei contesti educativi vediamo regolarmente un’associazione tra gruppi di resistenza e terrorismo che crea un lato giusto e uno sbagliato dati per scontati.

Nei giorni successivi all’11 settembre 2001, come cittadino americano che vive negli Stati Uniti mi sono ricordato che quando mi opponevo all’idea di invadere l’Afghanistan ero “con noi” o “contro di noi”. Il nazionalismo forzato mi ha ricordato gli studi sull’Olocausto che avevo intrapreso durante il college. La creazione della mentalità “Noi contro loro” per proteggere la Germania era stata una parte fondamentale nel coinvolgere ampi segmenti di tedeschi non ebrei nella lotta contro il popolo ebraico.

La resistenza si muove contro coloro che detengono il potere. Inoltre essere oppressi, per definizione, significa essere dalla parte dei perdenti in una dinamica di potere. Allora, com’è possibile che Israele, un paese con uno degli eserciti più potenti del mondo, sostenuto dalla più potente potenza militare ed economica del mondo, gli Stati Uniti, abbia cercato di dipingersi come il campione di un popolo oppresso che deve lottare contro i movimenti di resistenza palestinesi?

Jonathan Greenblatt, direttore dell’Anti-Defamation League (ADL) [organizzazione non governativa ebraica internazionale con sede a New York in difesa dei diritti civili e contro l’antisemitismo, ndt.] ha pubblicato un articolo sulla rivista Time dopo l’attacco del 7 ottobre sostenendo che non c’è modo di interpretare l’attacco di Hamas se non come “odio” e “intolleranza tossica nella sua forma più pura”. E se invece di rendere eccezionale l’esperienza ebraica in modo che l’Olocausto diventi un esempio di migliaia di anni di odio per gli ebrei prestassimo attenzione alle reali lezioni che possiamo imparare dagli orrori dell’Olocausto? La lezione di cui abbiamo bisogno non è che gli ebrei sono sempre stati e sempre saranno odiati. La lezione dell’Olocausto è che coloro che detenevano il potere economico e politico usarono il nazionalismo e l’idea a giustificazione del genocidio che i tipi di persone cosidette inferiori costituissero una minaccia per lo Stato-nazione.

Molti ebrei e non ebrei resistettero per quanto poterono. Il problema non era una resistenza debole, il problema era la forza delle narrazioni nazionaliste ed eugenetiche.

La buona notizia è che milioni di persone e di ebrei stanno prendendo posizioni critiche della situazione e opponendosi ai messaggi che ci vengono porti dai più potenti leader israeliani e statunitensi. Siamo solidali con i palestinesi che lottano per il loro diritto all’esistenza e all’autodeterminazione. Vediamo cambiamenti nei sondaggi d’opinione pubblica, e il numero di azioni guidate e sostenute dagli ebrei contro l’attuale genocidio è più grande che mai. Molti parlano apertamente e dicono ad alta voce che “Mai più” significa “Mai più per nessuno”.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Come Israele ha sabotato lo scambio di prigionieri ampliando la definizione di “prigionieri di sicurezza”

YOAV HAIFAWI

7 DICEMBRE 2023 – Mondoweiss

Israele ha sabotato lo scambio di prigionieri con Hamas ampliando la definizione di “prigionieri di sicurezza” per includere quelli detenuti per poco più che post sui social media.

Venerdì primo dicembre Israele ha ripreso il massiccio bombardamento di Gaza in una campagna che è già stata giudicata da esperti internazionali e organizzazioni per i diritti umani una delle peggiori e mortali della storia moderna. Israele ha accusato Hamas di aver violato i termini dello scambio di prigionieri. Eppure ho visto da vicino, seguendo i processi politici presso il tribunale di Haifa, come sia invece Israele che ha minato le basi stesse di ciò che significa uno scambio di prigionieri. Lo ha fatto attraverso arresti di massa di palestinesi prima dello scambio di prigionieri, trattenendoli come “prigionieri di sicurezza” secondo una definizione che è stata ampliata dopo il 7 ottobre, e poi rilasciandoli come parte dello scambio di prigionieri – anche se fin dall’inizio Israele non aveva motivo di trattenerli in prigione. Questo è stato un periodo in cui i palestinesi all’interno della Linea Verde [il confine tra Israele e la Cisgiordania, ndt.] sono diventati improvvisamente una parte significativa del conflitto più ampio.

Sono stati tempi frenetici per noi nella Palestina del ’48 [cioè in Israele, ndt.] e la gente qui è terrorizzata. A partire dal 7 ottobre, quando lo shock provocato dagli attacchi si è trasformato rapidamente in una rabbia indiscriminata, molti ebrei si sono attivati contro i loro colleghi e compagni di classe palestinesi per scoprire segni di slealtà e denunciarli alle autorità. Centinaia sono stati interrogati e arrestati per poco più che dei post sui social media. Quando ho chiesto a un amico apolitico del mio quartiere come stava, ha risposto: “Non vedo, non sento, non parlo!” Ciò è continuato fino ad oggi. Proprio di recente sono andato al supermercato all’angolo e la gente discuteva se saresti stato arrestato per un “mi piace” o solo per aver condiviso un post. Come ho detto, c’è paura ovunque.

I prigionieri politici sono una parte importante della vita palestinese, anche nella cultura popolare. Negli ultimi decenni si è verificato un cambiamento significativo nella terminologia relativa ai detenuti. Negli anni ’70 e ’80, gli attivisti politici nella Palestina del ’48 parlavano di “prigionieri” usando lo stesso termine usato per i criminali e le vittime innocenti del sistema capitalista. Anche la prima associazione che difese i palestinesi nelle carceri dell’occupazione si chiamava “Gli amici del prigioniero”. Negli anni Novanta la parola araba asir (plurale asra, femminile asirah), che indica i prigionieri di guerra, è diventata il termine comune per chiunque fosse stato arrestato nel contesto della lotta per la liberazione.

Alcuni degli asra erano feda’iyeen – guerriglieri che avevano deciso di portare armi e lottare contro l’espropriazione della popolazione palestinese. Altri erano asra siyasiyun, militanti politici irriducibili che il regime aveva deciso di mettere a tacere, come la leadership di Al-Ard [organizzazione che si occupa di aiutare i contadini palestinesi, ndt.], Abna’ al-Balad [movimento nazionalista degli arabo-israeliani, ndt.] e il movimento islamico. Essere un asir, nonostante tutte le sofferenze, significava in un certo senso far parte dell’élite politica. Quando parliamo dell’asra palestinese, includiamo tutti coloro che sono stati arrestati come parte della lotta, non importa se provengono dalla Cisgiordania, da Gaza, dalla Palestina del ’48 o dalla diaspora. Inoltre non distinguiamo se fossero affiliati all’OLP, ad altri movimenti di resistenza, a un’organizzazione locale o se non lo fossero affatto. Inoltre, il termine non distingue di cosa siano stati accusati quegli asra, poiché ciò significherebbe dare legittimità ai tribunali dell’occupazione, dove i palestinesi non si aspettano mai giustizia.

Ma il senso di essere prigioniero politico è cambiato dopo il 7 ottobre.

Prendiamo, ad esempio, il caso di Mariam (nome di fantasia), una studentessa di una famiglia palestinese conservatrice. Il 7 ottobre, alcuni studenti ebrei hanno trovato su una pagina Facebook un post politico moderato che portava il suo nome. L’hanno denunciata all’Università di Haifa. Mariam ha affermato che non era il suo account e ha mostrato un altro account Facebook con il suo nome, dove ha pubblicato le foto della sua famiglia e dei suoi parenti. La direzione dell’università, oltre ad adottare misure amministrative contro Mariam, ha denunciato il suo caso alla polizia.

La polizia ha arrestato Mariam e ha avviato un’indagine approfondita. La loro teoria era che avesse due pagine Facebook, una per la sua famiglia conservatrice e l’altra per i suoi amici universitari. Quando Mariam ha negato le accuse, hanno convocato i suoi amici e conoscenti per un interrogatorio. Anche se altri studenti che avevano postato cose simili sono stati rilasciati, la detenzione di Mariam è stata prolungata con la motivazione che, se fosse stata rilasciata, avrebbe potuto compromettere le indagini. Mentre era ancora in prigione come “prigioniera di sicurezza”, è stata rilasciata durante lo scambio di donne tra Israele e Hamas.

Secondo Yousef Taha, responsabile del Joint Body of Arab Student Blocs in Universities and Colleges, il fronte unito delle organizzazioni studentesche palestinesi del ’48, c’erano sette o otto studentesse che all’epoca erano detenute e rilasciate come parte dello scambio di prigionieri. Ognuna di loro è stata accusato per un singolo post sui social media; i loro casi non erano significativamente diversi da quelli di una dozzina di studenti rilasciati dai tribunali nello stesso periodo. Fino ad ora lo Stato non ha nemmeno annullato le accuse contro di loro, e in alcune udienze a cui ho assistito la pubblica accusa ha dichiarato che stava“studiando la situazione”, chiedendo che le udienze fossero rinviate.

Per fare un altro esempio, il caso di due giovani donne palestinesi di Haifa che sono state arrestate e incriminate per “minacce” e “disturbo dell’ordine pubblico” dimostra come accuse ridicole siano state sufficienti per trattare gli arrestati come “prigionieri di sicurezza”. Secondo l’accusa il 12 ottobre le due donne avrebbero insultato una poliziotta con un messaggio volgare su WhatsApp e, più tardi lo stesso giorno, avrebbero chiamato il numero per le emergenze della polizia di Haifa e avrebbero detto: “Vengo da Gaza, dalla Palestina, sono Hamas. Sono ad Haifa per uccidere subito tutti gli ebrei “. Quando sono state arrestate hanno detto che stavano solo scherzando, ma sono state trattenute in detenzione e successivamente incriminate.

Queste due giovani donne sono state classificate dalle autorità carcerarie israeliane come “prigioniere di sicurezza” e sono state incarcerate in dure condizioni nella prigione di Damon. Una di loro è stata rilasciata nell’ambito dello scambio di prigionieri. L’altra è stata condannata il 4 dicembre dal tribunale di Haifa e resterà in una prigione di sicurezza per il terzo mese fino alla sentenza formale.

Qui devo chiarire che nel sistema carcerario israeliano esiste un regime completamente diverso per gli oltre 7.000 “prigionieri di sicurezza” palestinesi, che sono privati della maggior parte dei diritti fondamentali dei prigionieri normali. Molti di loro provengono dalla Cisgiordania e da Gaza, ma ci sono anche molti palestinesi con cittadinanza israeliana.

Molti temono che i prigionieri rilasciati nello scambio saranno ora oggetto di vendetta, anche se la decisione di rilasciarli è stata del governo. Adalah e altre organizzazioni per i diritti umani hanno avvertito che Israele potrebbe provare a etichettarli tutti come “sostenitori di Hamas” e persino applicare nuove leggi per revocare loro la cittadinanza e i diritti sociali fondamentali.

Lunedì si è saputo che il comune sionista di Gerusalemme sta impedendo agli studenti delle scuole superiori rilasciati di frequentare la scuola. Il Technion ha annunciato che a una studentessa palestinese detenuta anche lei per un post su Facebook e successivamente rilasciata durante lo scambio di prigionieri “non” verrà “mai più” consentito di riprendere gli studi. L’università ha annunciato questa misura estrema ovviamente senza avviare alcun procedimento “disciplinare” rilevante, che renderebbe necessario verificare i fatti del caso.

Più in generale la detenzione arbitraria di palestinesi dei territori del ’48 per infrazioni minori e definirli “prigionieri di sicurezza” – molti dei quali sono poi stati rilasciati durante lo scambio di prigionieri – ha consentito a Israele di evitare il rilascio di altre donne palestinesi “vere” prigioniere di sicurezza che stanno scontando condanne molto più lunghe.

Mentre lo scambio di prigionieri andava avanti sotto la pressione della minaccia di una ripresa delle mortali operazioni militari, con nuovi elenchi di persone da rilasciare pubblicati ogni mattina, Israele ha sabotato il processo. A differenza di Hamas, che doveva riunire dai nascondigli con gravi rischi i prigionieri, Israele poteva facilmente preparare elenchi ordinati. Ma quello che ha fatto invece è stato pubblicare un elenco con centinaia di nomi, sostenendo che queste erano le persone che avrebbero potuto essere rilasciate. All’ultimo momento, dopo che Hamas aveva pubblicato l’elenco esatto della giornata, ha puntato a selezionare i prigionieri a cui rimaneva meno tempo da trascorrere in prigione o che non erano nemmeno stati condannati per alcun reato.

Resta da chiedersi se questo modo deliberatamente subdolo di gestire lo scambio di prigionieri sia uno dei motivi per cui l’intero processo è fallito.

(traduzione dall’’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




“Hanno sparato a suo figlio in braccio e l’hanno costretta a gettare il suo corpo”: testimonianze dalla marcia mortale in via Salah al-Din

Tareq S. Hajjaj

30 Novembre 2023 – Mondoweiss

Molteplici testimonianze raccolte da palestinesi sfollati dal nord di Gaza rivelano gli orrori in via Salah al-Din, indicata dall’esercito israeliano come passaggio sicuro”.

Durante il cessate il fuoco temporaneo ho potuto visitare diversi rifugi che ospitano gli sfollati arrivati dal nord di Gaza, principalmente l’Ospedale Europeo e una scuola gestita dall’UNRWA a Khan Younis. Anche ora, dopo tutto quello che abbiamo visto, è difficile credere alle storie che ho sentito raccontare in vari rifugi. La maggior parte dei racconti verte su come [i rifugiati] hanno evacuato la parte nord essendo stati espulsi verso sud, compreso lo straziante viaggio lungo via Salah al-Din, indicata dallesercito israeliano come un passaggio sicuro”. Dalle testimonianze che ho ascoltato è emerso chiaramente che quella strada è stata designata non per facilitare la fuga dei civili ma per umiliarli, degradarli e, in alcuni casi, ucciderli sistematicamente. Non tutti sono sopravvissuti al viaggio verso sud, e anche adesso la via Salah al-Din è disseminata di decine di cadaveri – di uomini, donne e bambini – in diversi stati di decomposizione.

Il quadro che emerge non è quello di un percorso umanitario” ma di una marcia della morte. Queste sono alcune delle testimonianze che ho raccolto da decine di testimoni oculari.

Il soldato mi ha ordinato di attraversare il posto di blocco strisciando

In una piccola stanza larga poco più di due metri due giovani sono sdraiati su dei materassi. Sono arrivati insieme all’ospedale, ma uno di loro, Ayman, ha raccontato una storia che sembra uscita da un romanzo di guerra.

La sua casa nel nord di Gaza è stata bombardata con all’interno la sua famiglia di 21 persone. Quattro di loro, suo padre e tre dei suoi fratelli, sono rimasti uccisi e adesso lui è il membro più giovane della famiglia. Ayman è stato ferito e trasferito in ospedale, il piede destro sorretto da poco più di un fascio di muscoli e pelle, poiché la tibia destra è stata completamente distrutta. In ospedale l’intero piede e la gamba sono stati rinforzati con delle placche fino al ginocchio. Suo cugino Mahmoud è rimasto con lui in ospedale. Quando la scorsa settimana l’esercito israeliano ha fatto irruzione nell’ospedale indonesiano anche Mahmoud è stato colpito a un piede e i medici hanno applicato anche a lui delle placche di metallo.

Eppure, quando è arrivato il momento dellevacuazione dallospedale lesercito ha costretto tutti i presenti a marciare a piedi verso sud. È stato allora che è cominciato lincubo di Ayman.

“Camminavo con le stampelle e due paramedici in fuga con noi verso sud mi aiutavano lungo la strada”, ha detto a Mondoweiss. “A volte mi trasportavano o mi offrivano un appoggio per procedere.”

Quando hanno raggiunto il posto di blocco militare israeliano eretto in via Salah al-Din un soldato lo ha chiamato da lontano e gli ha ordinato di camminare da solo e di gettare via le stampelle prima di arrivare al posto di controllo per la perquisizione.

“Non ero ancora in grado di mettere il piede a terra né di esercitarvi alcuna pressione”, racconta Ayman. “Ma il soldato continuava a ordinarmi di camminare senza stampelle.”

“Nel momento in cui ho messo il piede a terra sono caduto, incapace di sopportare il dolore”, continua. Ma il soldato insisteva dicendomi di alzarmi”.

Ayman afferma che non poteva sopportare l’umiliazione che il soldato gli stava imponendo. Per la seconda volta ha cercato di alzarsi e di fare un altro passo.

La placca della sua gamba si è rotta. È crollato a terra, urlando di dolore. Il soldato non ha fatto nulla, ordinandogli semplicemente di superare il posto di blocco strisciando e di proseguire per la sua strada. Ayman non ha avuto altra scelta che fare come gli era stato ordinato, trascinandosi fino ad arrivare dall’altra parte, dove la gente lo ha raccolto e assistito.

Ayman è ora ricoverato all’ospedale europeo di Khan Younis e necessita di due interventi chirurgici. Il primo per riparare la lussazione del ginocchio derivante dalla rottura della placca – a guardarlo ha la gamba piegata a U in modo innaturale – e il secondo intervento per dotarlo di una nuova placca metallica. Il problema è che a causa delle traversie incorse e del conseguente duplice trauma i medici dellospedale europeo non sono stati in grado di eseguire lintervento chirurgico, e lui ha bisogno per guarire di un trasferimento in un ospedale fuori Gaza.

Non c’era niente di sbagliato in me”, dice Ayman. Se solo il soldato mi avesse permesso di camminare con le stampelle o di farmi trasportare dai paramedici niente di tutto questo sarebbe ora necessario”.

Insiste sul fatto che i soldati ci tenevano a umiliare i rifugiati, per aggiungere un ulteriore carico di sofferenza al loro viaggio. Sembravano trarre piacere dalla punizione [inflitta], dice.

Testimonianze di cecchini che sparano contro bambini” a distanza e costringono i genitori ad abbandonare i loro cadaveri

Alcune storie hanno una diffusione così ampia da essere raccontate nello stesso modo da disparate persone. In alcuni casi la persona che ha subito il calvario non ha intrapreso il viaggio verso sud, ma la sua storia è stata testimoniata da molte altre persone che lo hanno fatto. Mondoweiss non ha potuto verificare in modo indipendente questi racconti.

Un episodio che ho sentito da più persone incontrate in una scuola dellUNRWA racconta la storia di una donna che portava in braccio il suo bambino e camminava lungo Salah al-Din. Suo figlio piangeva forte mentre lo trasportava, mi hanno detto più persone, ripetendo tutti gli stessi dettagli e riportando la stessa sequenza di eventi che sarebbero seguiti: un soldato, infastidito dagli strilli del bambino “gli ha sparato” da lontano colpendolo alla testa mentre era in braccio alla madre. A quel punto il soldato ha preso il megafono ordinandole di gettarlo sul ciglio della strada e di continuare a camminare.

Del tutto sotto shock, la donna ha iniziato a piangere e urlare, ma alla fine è stata costretta a obbedire agli ordini dei soldati che circondandola dai lati, alcuni anche appollaiati su un carro armato, la minacciavano con le armi. Tutti mi hanno detto la stessa cosa: che la donna è stata costretta a deporre il suo bambino senza vita e riprendere il cammino continuando a urlare e piangere per tutto il percorso.

Questa non è lunica storia del genere che ho sentito. Muhammad al-Ashqar, un rifugiato presso una scuola dell’UNRWA a Khan Younis, mi ha detto che uno dei suoi parenti portava sua figlia di 4 anni sulle spalle e un cecchino l’ha colpita da lontano uccidendola. E anche in questo caso gli hanno ordinato col megafono di metterla da parte e di continuare a marciare verso sud. Neanche lui ha avuto scelta, altrimenti sarebbe stato fucilato con il resto della famiglia.

Queste storie sono confermate dalle ondate di rifugiati che continuano ad arrivare dal nord, che riferiscono di aver visto decine di cadaveri ingombrare il passaggio sicuro” indicato da Israele, sia di vecchi che di giovani, mentre marcivano sul lato della strada. Nuovi rifugiati arrivati l’altro ieri hanno riferito che alcuni dei corpi avevano cominciato a essere divorati da animali randagi.

Ci sono ulteriori dettagli. L’esercito israeliano ha dato rigide istruzioni ai profughi in fuga: non raccogliere nulla che dovesse cadere in terra, non voltarti e non guardare altrove se non a sud, non parlare con nessuno, non disobbedire agli ordini dei soldati. Se infrangi queste regole sarai ucciso.

Molti sfollati affermano che i soldati hanno costretto le persone a compiere azioni degradanti sottoponendole ad ulteriori umiliazioni. Una donna anziana mi ha detto che c’era una fossa profonda scavata nel terreno in cui erano ammucchiati cadaveri di uomini, donne e bambini, e quando un soldato voleva terrorizzare una persona la costringeva a togliersi i vestiti e scendere nella fossa. I soldati ne uccidevano alcuni, aggiungendo i loro cadaveri al mucchio, lasciando gli altri vivi ma dopo averli costretti a rimanere seduti nudi tra i cadaveri fino a quando non erano soddisfatti. Quindi i soldati ordinavano loro di alzarsi e continuare a camminare verso sud.

I prossimi giorni riveleranno ancora più orrori perché, come mi ha detto una donna alla scuola dellUNRWA, questa non è una guerra qualunque: racchiude in sé molti tipi di guerra che vengono condotti contro la popolazione di Gaza. Una delle forme di guerra più depravate e degradanti che Israele ha impiegato contro di loro è il viaggio verso sud e il passaggio attraverso il checkpoint di Salah al-Din, un presunto passaggio sicuro” che è, in realtà, una marcia della morte.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)