C’è anche il partito di sinistra israeliano Meretz – nei plateali crimini di guerra coloniali nel Golan

Jonathan Ofir

28 dicembre 2021 Mondoweiss

Israele ha appena approvato un piano per raddoppiare il numero dei circa 25.000 coloni sulle alture del Golan siriano occupate, perché Joe Biden si è rifiutato di annullare la decisione di Trump sui territori acquisiti illegalmente e perché anche il partito di sinistra Meretz si è accodato, dicendo che la questione era “complicata”.

Israele ha appena approvato un piano per raddoppiare il numero dei circa 25.000 coloni sulle alture del Golan siriano occupate. L’annessione del territorio da parte di Israele nel 1981, che se n’era impossessata con la forza nel 1967, è “nulla” ai sensi del diritto internazionale (risoluzione 497 dell’UNSC). Il trasferimento di popolazioni in territori annessi illegalmente è un crimine di guerra. L’amministrazione Trump, tuttavia, in spregio del diritto internazionale, ha riconosciuto il Golan come territorio israeliano, primo e unico Paese a farlo. La solidarietà disfunzionale dei maschi Netanyahu-Trump ha ragggiunto il culmine con una cerimonia di battesimo nel 2019 di un nuovo insediamento del Golan: “Alture Trump”.

La debole amministrazione Biden non si spingerà al punto di annullare questa decisione. Il segretario di Stato Antony Blinken ha affermato che ci sono questioni legali riguardanti quella decisione, ma… per il prossimo futuro non si prevede un cambio di rotta.

Così, ancora una volta, e come con il trasferimento dell’ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme, l’establishment politico degli Stati Uniti ha mostrato un consenso bipartisan. Trump poteva essere oltraggioso quanto voleva, ma quando si trattava di Israele, in realtà le decisioni le ha prese , e Biden che ama Israele non è intenzionato ad opporvisi.

Questo consenso ha incoraggiato il primo ministro leader dei coloni israeliani Naftali Bennett a dire:

Le alture del Golan sono israeliane. Questo è evidente… Conta anche il fatto che l’amministrazione Trump lo abbia riconosciuto e che l’amministrazione Biden abbia chiarito come questa politica non sia affatto cambiata.

Una gran cosa il consenso, non è ovvio?

E cosa c’è di meglio che rispecchiare tale consenso con un governo in Israele di coloni che promuovono le annessioni, dove persino Meretz, il più a sinistra fra i partiti sionisti, sostiene non solo l’annessione illegale ma anche l’espansione degli insediamenti e l’aumento del numero dei coloni?

Così domenica scorsa il governo israeliano, compresi due ministri Meretz (Tamar Zandberg e Nitzan Horowitz), ha tenuto una riunione su quei territori fittamente abitati per lanciare un massiccio piano di espansione delle colonie, che prevede l’apporto di un miliardo di shekel (circa 317 milioni di dollari) con l’obiettivo di raddoppiare la popolazione dei coloni ebrei-israeliani entro il 2030.

L’incontro ricorda la prima riunione del gabinetto di Netanyahu sul Golan occupato nel 2016, quando promise che il Golan sarebbe rimasto per sempre parte di Israele.

Complicato”

Zandberg di Meretz ha affermato che la decisione è stata “complicata”. “Sosteniamo la pace e speriamo che un giorno accada”, ha aggiunto. Attuare e sostenere spudorati crimini di guerra e sperare che un giorno la pace si realizzi…

La speranza non è mai stata così a buon mercato!

L’incontro illegale è stato un po’ eccessivo per il ministro palestinese di Meretz Issawi Freij, che ha deciso di non partecipare, come i membri del partito islamista conservatore Ra’am, un altro partito nel nuovo governo di coalizione. I palestinesi sanno che esiste qualcosa chiamato colonialismo ed espansionismo, e per quanto desiderino essere rilevanti nella politica dello Stato ebraico, partecipare a tali violazioni sfacciate può essere dannoso per la propria credibilità morale.

Ma niente paura, la decisione è stata approvata ai voti e Meretz spera ancora nella pace.

Ciò che molte persone oggi non sanno, è che le alture del Golan furono ripulite etnicamente nel 1967. Circa 124.000 dei 130.000 abitanti siriani furono espulsi con la forza nel 1967 e circa 200 villaggi vennero distrutti. Israele ha permesso a circa 6.000 drusi di rimanere, dal momento che i drusi sono tradizionalmente accondiscendenti nei confronti dell’espansione di Israele e sono alleati dello Stato ebraico dal 1948, e hanno ricoperto molte cariche nella sicurezza.

Quindi l’occupazione israeliana del Golan non fa granché notizia, semplicemente perché lì non c’è resistenza, a differenza dei territori occupati palestinesi della Cisgiordania, di Gerusalemme est e di Gaza. In questo senso il Golan siriano è diventato una specie di terra di sogno per i progetti di espansione coloniale di Israele: “una terra senza popolo per un popolo senza terra”, come recita il fittizio mito sionista.

E se non c’é quasi nessuno oltre agli eletti, allora beh’ , che problema c’é, giusto? Solo aree vuote in attesa di essere colonizzate, è la classica idea di “terra nullius” dei britannici nei confronti dell’Australia: nessun popolo, nessun problema.

Ma proprio come l’incontro di Netanyahu sul Golan è stato un precedente per quello di Bennett, l’attuale mossa espansionistica di Israele sul Golan prelude una maggiore normalizzazione di altre colonie. Può essere che i leader di Meretz lo giudichino solo come un consenso limitato su una questione non controversa come l’annessione della Cisgiordania, semplicemente perché non fa quasi mai notizia (né resistenza) nella società israeliana. Ma per Bennett e i suoi pari questa mossa è solo parte di un piano più grande. Nella visione del mondo di Bennett, non c’è alcuna differenza significativa tra il Golan e la Cisgiordania, è tutto “eretz Israel”, “terra di Israele”, e per lui è evidente perché è scritto da qualche parte nella Bibbia. L’annessione dell’Area C della Cisgiordania, che è qualcosa che Bennett desidera da tempo, è un po’ troppo da ingoiare attualmente per l’amministrazione Biden, così come per Meretz, e creerà ripercussioni, quindi perché non passare dalla porta sul retro e lavorare con il consenso?

Ancora una volta, la semplice verità è arrivata dal legislatore palestinese Ahmed Tibi del partito Joint List, che rappresenta i palestinesi. Ecco il suo tweet:  

Non importa quante riunioni di gabinetto si tengano sul Golan, è territorio siriano occupato,

Tibi ha anche sottolineato la responsabilità della sinistra:

Tutti i membri della coalizione sono responsabili delle decisioni prese durante questa riunione di gabinetto. Così come per l’aumento degli insediamenti in Cisgiordania e la violenza dei coloni.

L’asino del Messia

L’espansione sionista è sempre stata questione di ottenere un ampio consenso per cementare la successiva conquista espansionistica. Nella terminologia popolare dei coloni religiosi, c’è un termine chiamato “asino del Messia”. Fu coniato dal rabbino Avraham Isaac Kook, e l’idea era che gli ebrei sionisti laici fossero l’asino, necessari per trasportare gli ebrei religiosi ortodossi al fine di creare uno Stato ebraico che avrebbe accelerato la venuta del Messia. Il figlio di Kook, Zvi Yehuda, ha continuato l’ideologia di suo padre ed è considerato il padre ideologico del movimento coloniale religioso sionista in Cisgiordania.

Naftali Bennett è certamente un discepolo di questa ideologia. E questa ideologia messianica ha bisogno di un asino. Meretz è lieto di fornire non solo uno, ma molti asini.

traduzione dall’inglese di Stefania Fusero




L’ultima esecuzione extragiudiziale conferma il ferreo sostegno israeliano all’assassinio di palestinesi

Jonathan Ofir

6 dicembre 2021 – Mondoweiss

Nel 2016, quando Elor Azarya sparò in testa ad un palestinese inerme, vi fu effettivamente una discussione su questa azione tra i politici israeliani. Non vi è stato un analogo dissenso questo weekend, dopo l’ultima esecuzione extragiudiziale di Israele.

Sabato scorso un uomo palestinese ha accoltellato un ebreo israeliano vicino alla Porta di Damasco a Gerusalemme, procurandogli ferite lievi. L’uomo, identificato come il 23enne Mohammed Shawkat Salameh della città di Salfit in Cisgiordania, è poi corso verso gli agenti di polizia di frontiera, che gli hanno sparato diverse volte – in particolare due volte mentre già giaceva a terra, immobilizzato, da una distanza di circa 5 metri. Haaretz ha riportato ampiamente sia l’azione che le reazioni.

Il video di quella sparatoria è stato filmato ed è circolato sui social media. 

Soltanto pochi politici in Israele lo hanno criticato. 

Ahmad Tibi, della Lista Unita che rappresenta i palestinesi [con cittadinanza israeliana, ndtr.]:Neutralizzazione” è un eufemismo. Questa è un’esecuzione a sangue freddo, la riprova dell’uccisione di una persona ferita che giace a terra e non minaccia nessuno. Per di più gli sono state negate le prime cure mediche finché è morto, nonostante vi fosse un’equipe medica sul luogo. E’ un atto criminale che richiede un’indagine.”

Ofer Cassif, anch’egli della Lista Unita, ha definito gli spari una “esecuzione sommaria” ed un altro membro della Lista Unita, Aida Touma-Sliman, ha affermato: “Uccidere un uomo che non costituisce più una minaccia è un crimine orrendo. Questa è la realtà creata dall’occupazione.” Anche Esawi Freige, del partito di sinistra [sionista, ndtr.] Meretz, ha detto che sparare dovrebbe servire solo “a salvare vite e non a togliere la vita ad aggressori che non costituiscono più un pericolo.” Lo ha definito “un atto che mostra indifferenza verso la vita umana.”

Fin qui tutto bene – sembra esserci qualche decenza umana nella politica israeliana, che chiama le cose col loro nome. Ma è solo una sottile frangia dello spettro politico. Spostandosi un po’ più a destra, verso il partito Laburista, si trova già sostegno all’assassinio. Il Ministro della Pubblica Sicurezza Omer Bar-Lev: Quando c’è un dubbio, non si indugia.”

Ha detto che gli agenti avevano “un secondo o due” dopo il primo sparo per “decidere se il terrorista che era stato colpito stesse per azionare una cintura esplosiva.”

Ma erano sicuri che ci fosse una cintura esplosiva? L’aggressore indossava una maglietta stretta e non c’era assolutamente traccia di ciò. Negli attacchi col coltello non sono mai state usate cinture esplosive, perché sarebbero state controproducenti rispetto all’obiettivo. Comunque sono passati più di 5 anni dall’ultimo attacco suicida (su un autobus di Gerusalemme) e nessuno di tali attacchi si svolge così. In base alla logica di Bar-Lev, se c’è un minimo dubbio che un palestinese abbia una cintura esplosiva sotto il vestito, è sicuramente meglio sparargli e accertarsi della morte, piuttosto che rischiare – e riguardo ai palestinesi il dubbio c’è sempre.

Più di cinque anni fa, nel caso di Elor Azarya, il paramedico militare che sparò in testa ad un palestinese inerme a bruciapelo, anche Azarya si appellò al fatto di temere una cintura esplosiva. Ma il tribunale respinse questa argomentazione, poiché nessuno lì vicino sembrava preoccupato e la motivazione conclamata di Azarya per lo sparo fu che “doveva morire”.

L’aggressore di sabato scorso non è stato colpito perché fosse sospettato di avere un esplosivo. È stato colpito e lasciato a morire dissanguato perché gli agenti della polizia di frontiera hanno ritenuto che dovesse morire.

E così i politici di tutto il principale arco politico hanno acclamato l’assassinio.

Anche il Ministro degli Esteri, il centrista Yair Lapid, ha detto di “appoggiare in pieno i nostri combattenti. Non lasceremo che i terroristi scorrazzino selvaggiamente a Gerusalemme o in qualunque altra parte del Paese.” Il Ministro della Difesa Benny Gantz ha affermato che gli agenti hanno fatto la cosa “ovvia”, sottolineando che hanno il suo sostegno. Il Primo Ministro Naftali Bennett ha detto di “sostenere pienamente” gli agenti che hanno sparato all’aggressore palestinese, affermando che “hanno agito come ci si aspetta da agenti israeliani.”

E’ interessante che nel caso di Azarya vi fu realmente un notevole dibattito riguardo al fatto, che era essenzialmente identico. Allora il Capo di Stato maggiore Gadi Eisenkot disse che Azarya aveva “sbagliato”. Persino il bellicoso Ministro della Difesa del Likud, Moshe Ya’alon, condannò l’azione: Noi non spariamo semplicemente alle persone, neppure se sono terroristi, neppure ad un altro soldato che ti ha appena sparato ma che poi si è arreso ed è stato neutralizzato, noi non spariamo e basta…Era chiaro ai comandanti che non è ciò che si fa.”[ vedi l’articolo di Gideon Levy sul processo Azarya su zeitun.info]

Ma adesso è qualcosa che si fa. Non c’è dubbio.

Come è accaduto questo slittamento dell’opinione politica egemone? Può essere parte dell’ “effetto Azarya”. Molti in Israele furono sbigottiti dal senso di limitazione che il caso Azarya rappresentava. Azarya rilevò che tali esecuzioni venivano fatte “un sacco di volte”, ma che ora lui veniva usato come capro espiatorio.

E noi abbiamo visto indicatori che certo, questo è stato fatto un sacco di volte dopo il caso di Azarya. L’esecuzione extragiudiziale da parte della polizia del cittadino beduino Yaqub abu al-Qia’an a Umm al Hiran nel 2017 (ci si rese conto in seguito che non era un terrorista e non stava affatto tentando di speronare un’auto) e l’esecuzione da parte della polizia di Ahmed Erekat nel 2020. Questi casi sono chiare esecuzioni, compreso lo stesso diniego di cure mediche, e le analisi di Architettura Forense relative ad entrambi i casi contraddicono esplicitamente l’asserzione che si trattasse di speronamenti deliberati. Nel caso di Al-Qia’an, l’insegnante israeliano, sembra che in seguito molti si siano convinti della sua innocenza. Nonostante ciò, nel caso del palestinese sotto occupazione Erekat, non viene accordato tale beneficio del dubbio e addirittura l’Alta Corte israeliana ha sentenziato che il corpo di Erekat – il suo corpo! – non fosse restituito alla famiglia.

Israele ha deciso di costruire un muro di ferro di negazioni relativamente alla sua politica criminale di esecuzioni extragiudiziali.

Una volta di più, è un motivo per cui è necessaria la CPI [Corte Penale Internazionale, ndtr.]. È un Paese senza legge, che persevera nei crimini di guerra.

Jonathan Ofir

Musicista israeliano, conduttore e blogger/scrittore, che vive in Danimarca.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)





La messa al bando dei difensori dei diritti umani: Israele e Sudafrica a confronto

La messa al bando dei difensori dei diritti umani: Israele e Sudafrica a confronto

Neppure il regime di apartheid in Sudafrica mise mai fuorilegge i difensori dei diritti umani come ha appena fatto Israele che ha dichiarato “organizzazioni terroriste” sei associazioni palestinesi

John Dugard

16 novembre 2021- Mondoweiss

 

Israele ha definito “organizzazioni terroriste” sei associazioni dedite alla causa dei diritti umani nella Palestina occupata. Esse sono: A- Haq che monitora violazioni dei diritti umani nella Palestina occupata e che recentemente ha giocato un ruolo importante nel fornire assistenza al pubblico ministero della Corte Penale Internazionale nelle sue indagini sui crimini commessi da Israele nella Palestina occupata; Addameer che fornisce supporto legale ai prigionieri palestinesi e denuncia le torture contro i detenuti commesse da Israele; Defense for Children International  [Difesa internazionale dei minori -Palestina] che promuove il benessere dei minorenni nella Palestina occupata; la Union of Agricultural Work Committees [Unione dei Comitati del lavoro agricolo], la Union of Palestinian Women’s Committees [Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi] e il Bisan Center for Research and Development  [Centro Bisan per la Ricerca e lo Sviluppo].

Questa dichiarazione, fatta ai sensi di una legge israeliana del 2016, autorizza Israele a chiudere i loro uffici, confiscarne i beni, incarcerare i dipendenti, proibirne il finanziamento e punire il sostegno pubblico per le loro attività.

Oggi si fanno sempre più spesso paragoni fra le leggi e le pratiche dell’apartheid in Sudafrica e in Israele nella Palestina occupata. Due organizzazioni per i diritti umani molto autorevoli, Human Rights Watch, con base negli Stati Uniti, e l’ong israeliana B’Tselem hanno recentemente dichiarato che Israele pratica l’apartheid nella Palestina occupata. Al momento iI pubblico ministero della Corte Penale Internazionale sta indagando se Israele abbia commesso il crimine di apartheid nella Palestina occupata. Nel 2007, quando ero relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati ho denunciato di non avere dubbi che le leggi e le pratiche israeliane costituiscano apartheid, un giudizio basato su 40 anni di vita sotto l’apartheid in Sudafrica e per aver diretto un organismo di difesa dei diritti umani per oltre 10 anni.

Ciò mi induce a esaminare la reazione nel Sudafrica sotto l’apartheid contro le organizzazioni di opposizione o che monitoravano le sue pratiche razziste e repressive.

La legislazione del Sudafrica assomigliava alla legge israeliana del 2016 che ha permesso di dichiarare illegali le organizzazioni. Applicando tali norme il governo sudafricano mise fuori legge, fra gli altri, il partito comunista, l’African National Congress, il partito Liberale, il National Union of South African Students [Sindacato nazionale degli studenti sudafricani] e il Christian Institute, [Istituto Cristiano]. Queste leggi erano chiaramente così ampie da permettere al regime d’apartheid di chiudere organizzazioni che monitoravano violazioni di diritti umani, difendevano diritti umani e lottavano per i diritti umani.

Verso la fine degli anni ’70, al culmine dell’apartheid, furono fondate varie organizzazioni per i diritti umani, quasi tutte con fondi provenienti dagli Stati Uniti.

Insieme monitoravano violazioni di diritti umani, propugnavano uguaglianza razziale e libertà politica, si opponevano alla repressione politica e lottavano per il cambiamento sociale. Il lavoro di queste organizzazioni assomigliava, sotto molti aspetti, a quello delle sei organizzazioni palestinesi recentemente dichiarate illegali. Una di queste era il Centre for Applied Legal Studies [Centro per gli Studi Giuridici Applicati] che dirigevo io.

Il regime di apartheid in Sudafrica mise in chiaro di non gradire queste organizzazioni di difesa dei diritti umani, soprattutto quando le loro pubblicazioni e denunce attiravano l’attenzione su tortura, confisca di terre, demolizioni di case, repressione politica e apartheid, il tipo di attività per cui le sei associazioni palestinesi per la difesa dei diritti umani sono state bandite.

Ma non bandì queste organizzazioni, sebbene ci fossero leggi che l’avrebbero autorizzato. Perché? Sospetto che la ragione principale fosse che erano tutte organizzazioni che cercavano di usare la legge per far progredire la giustizia razziale. Esse dimostravano, specie a una comunità internazionale ostile, che il Sudafrica rispettava lo Stato di Diritto. E il Sudafrica sapeva che ciò era cruciale per mantenere una sembianza di rispettabilità agli occhi degli Stati occidentali.

Ora Israele ha vietato sei associazioni palestinesi che difendono i diritti umani e che, nei limiti della legge, cercano, come le loro controparti sudafricane, di ottenere giustizia per i palestinesi denunciando torture, demolizioni di case, confisca di terre, espansione delle colonie, violenza dei coloni, persecuzione razziale, trasferimenti forzati di palestinesi e l’apartheid israeliano.

Tutto ciò prova che Israele non si preoccupa di presentare un’immagine di Stato di diritto. Non ne ha bisogno perché sa che l’Occidente non agirà contro alcuna violazione. Sa che il suo eccezionalismo è un valore occidentale che perdona a Israele tutti i suoi crimini.

Oggi persone imparziali e informate non si pongono più la domanda: “Israele commette il crimine di apartheid nella Palestina occupata?” Esse accettano l’evidenza che mostra chiaramente che gli ebrei israeliani in Cisgiordania e Gerusalemme Est, compresi gli oltre 800.000 coloni e soldati, costituiscono un gruppo razziale che sistematicamente opprime il gruppo razziale palestinese tramite atti inumani, la definizione del crimine di apartheid dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale. Si fanno invece la domanda: “L’apartheid israeliano è peggio di quello del Sudafrica?”. A giudicare dalle ultime azioni di Israele contro i paladini dei diritti umani la risposta deve essere “sì”.

John Dugard

John Dugard è professore emerito presso le Università di Leiden e Witwatersrand (Johannesburg). Era relatore speciale del Consiglio per diritti umani sui diritti umani nella Palestina occupata e autore del libro “Confronting Apartheid: A personal history of South Africa, Namibia and Palestine.” ([Confrontare gli apartheid: una storia personale di Sudafrica, Namibia e Palestina)

 

(tradotto dall’inglese da Mirella Alessio)

 

 

 

 

 

 

 

 




Attivisti per i diritti umani palestinesi attaccati con con un sistema di spionaggio elettronico israeliano

Attivisti per i diritti umani palestinesi attaccati con con un sistema di spionaggio elettronico israeliano

Un rapporto di Frontline Defenders rivela che sei attivisti, appartenenti alle sei associazioni della società civile recentemente bollate quali “organizzazioni terroriste” da parte del ministro della Difesa Benny Gantz, sono stati bersaglio del sistema di spionaggio militare Pegasus.

Yumna Patel

8 novembre 2021 –   Mondoweiss

 

Un nuovo rapporto ha rivelato lunedì scorso che sei attivisti per i diritti umani palestinesi sono stati presi di mira con un sistema di spionaggio informatico dell’azienda di sorveglianza israeliana NSO, il primo caso segnalato di attivisti palestinesi nel mirino della compagnia di sorveglianza.

Il rapporto di Frontline Defenders (FLD) [ONG che protegge gli attivisti per i diritti umani a rischio, ndtr.] rivela che sei attivisti, appartenenti alle sei associazioni della società civile recentemente bollate dal ministro della Difesa israeliano Benny Gantz come “organizzazioni terroriste”, sono stati bersaglio dello spyware di tipo militare Pegasus.

Secondo FLD, dopo che l’associazione era stata contattata da Al-Haq, organizzazione per i diritti umani di Ramallah, una delle sei prese di mira[dal governo israeliano, ndtr], temendo che il telefono di uno di loro fosse stato infettato da uno spyware aveva fatto esaminare 75 iPhone.

Le rilevazioni di FLD, confermate da Citizen Lab [laboratorio specializzato in sicurezza del web dell’Università di Toronto, ndtr] e dal laboratorio di sicurezza di Amnesty International, hanno scoperto che sei cellulari erano stati hackerati con uno spyware.

Fra le vittime dell’attacco informatico figurano Ghassan Halaika, ricercatore di Al-Haq, Ubai Al-Aboudi, cittadino palestinese-statunitense che è direttore esecutivo del centro Bisan per la Ricerca & lo Sviluppo, e Salah Hammouri, avvocato franco-palestinese che lavora per il gruppo in difesa dei diritti dei detenuti Addameer.

Il mese scorso Hammouri, originario di Gerusalemme, ha ricevuto una notifica dal ministero degli interni israeliano che il suo status di residente permanente della città è stato revocato per presunta “violazione della fedeltà alla nazione”. Salah Hammouri è cittadino francese.

Secondo FLD le altre tre vittime dell’attacco informatico preferiscono rimanere anonime.

In base al rapporto tracce dello spyware nel telefono di Halaika, così come in quello del “difensore dei diritti umani n. 6”, come viene chiamato nel rapporto, mostravano segni di spyware Pegasus risalenti al 2020, mentre i dispositivi degli altri quattro attivisti colpiti mostravano prove di attività di Pegasus nel periodo fra febbraio e aprile 2021.

Il rapporto riscontra che alcune delle procedure usate per hackerare i cellulari dei sei attivisti palestinesi sono le stesse usate contro altri difensori dei diritti umani e giornalisti di altri Paesi.

Il rapporto evidenzia che quando Pegasus viene installato sul telefono di qualcuno, l’intruso ottiene “l’accesso completo” a messaggi, mail, contenuti, microfono, fotocamera, passwords, messaggi vocali sulle app di messaggistica, dati di localizzazione, chiamate e contatti.

Pegasus è anche in grado di attivare da remoto fotocamera e microfono sul dispositivo infettato per permettere all’hacker di spiare le chiamate e le attività della vittima.

“In questo modo lo spyware consente di sorvegliare non soltanto la vittima, ma anche chiunque entri in contatto con lei tramite quel dispositivo,” osserva FLD. “Questo significa che, oltre a prendere di mira i palestinesi, compresi quelli con doppia cittadinanza, anche i non-palestinesi (compresi stranieri e diplomatici) con cui queste vittime sono state in contatto, cittadini israeliani inclusi, potrebbero essere stati sottoposti a tale sorveglianza, il che, nel caso dei cittadini israeliani, equivarrebbe ad una violazione della legge israeliana.”

Quindi FLD prosegue ricordando che la ditta NSO ha negato che lo spyware Pegasus sia utilizzato nella sorveglianza di massa dei difensori dei diritti umani, in quanto “esso è destinato ad essere utilizzato solo dai servizi segreti governativi e dalle forze dell’ordine con lo scopo di combattere il terrorismo e il crimine.”

“In questo modo, il fatto che Israele abbia designato “terroriste” queste organizzazioni dopo che sono state scoperte tracce di Pegasus, ma pochi giorni prima della rivelazione di questa indagine, sembra essere uno sforzo evidente di nascondere le proprie azioni e non mostra alcun collegamento a prove che porterebbero discredito a tali organizzazioni,” afferma FLD.

“I difensori dei diritti umani non sono terroristi,” dichiara il gruppo. “Questo sviluppo segna una grave  estensione delle politiche e pratiche sistematiche di Israele intese a zittire i difensori dei diritti umani palestinesi che perseguono la giustizia e  l’accertamento delle responsabilità per la violazione dei diritti umani dei palestinesi.”

“Arbitraria, oppressiva, angosciante”

In seguito alla pubblicazione del rapporto FLD, le sei organizzazioni della società civile coinvolte hanno rilasciato un comunicato congiunto per condannare le “rivelazioni di una massiccia operazione di sorveglianza arbitraria, oppressiva, angosciante e per sollecitare una risposta ferma, che comprenda azioni concrete, da parte della comunità internazionale.”

“La violazione e il controllo dei dispositivi di difensori dei diritti umani viola non soltanto il diritto alla privacy dei difensori dei diritti umani e dei loro legali, ma anche delle tante vittime che hanno avuto qualche tipo di comunicazione con loro,” affermano le associazioni.

Nel loro comunicato le associazioni fanno notare che, malgrado gli accordi intercorsi fra l’azienda NSO con USA e Francia per escludere la sorveglianza dei cittadini di quei Paesi, nel caso di Ubai Al-Aboudi e Salah Hammouri “la compagnia ha in seguito infranto tali accordi”.

“Il parallelismo nei tempi fra l’inchiesta di FLD e la classificazione delle organizzazioni della società civile da parte del ministero della difesa israeliano a poca distanza dall’inizio di tale indagine potrebbe non essere altro che il tentativo preventivo di nascondere le prove della sorveglianza e di insabbiare le operazioni clandestine condotte mediante lo spyware.”

“La sorveglianza dei difensori dei diritti umani palestinesi si unisce ad un’inaccettabile serie infinita di azioni coordinate da parte delle istituzioni governative israeliane e dei loro affiliati volte a istigare e compiere campagne sistematiche e organizzate di calunnie, intimidazioni e persecuzioni contro la società civile palestinese. Negli ultimi decenni tali tecniche hanno comportato campagne di diffamazione tese a bollare i difensori dei diritti umani come “terroristi”, di istigazione all’odio razziale e violenza, discorsi d’odio, arresti arbitrari, torture e maltrattamenti, minacce di morte, divieti di viaggiare, revoche di residenza e deportazioni,” afferma il comunicato.

Diverse altre organizzazioni per i diritti umani, fra cui Access Now, Human Rights Watch, Masaar – Technology and Law Community, Red Line for Gulf, 7amleh- The Arab Center for the Advancement of Social Media, SMEX, e INSM Network for Digital Rights- Iraq, hanno condannato l’hackeraggio dei telefoni degli attivisti.

Le associazioni hanno diffuso un comunicato congiunto in cui condannano l’attacco informatico che viola il diritto alla privacy degli attivisti, affermando che l’hackeraggio “mina la loro libertà di espressione e di associazione e minaccia la loro sicurezza personale e le loro vite.”

“Non pregiudica solo chi viene direttamente colpito, ma ha anche un effetto dannoso su sostenitori e giornalisti, che potrebbero auto-censurarsi per paura di una potenziale sorveglianza,” afferma il comunicato.

Le associazioni si sono anche appellate agli Stati affinché “mettano in atto un’immediata moratoria di vendite, trasferimento ed uso delle tecnologie di sorveglianza finché non vengano adottate adeguate tutele in materia di diritti umani”, e agli esperti dell’ONU affinché “adottino misure urgenti per denunciare le violazioni dei diritti umani da parte degli Stati agevolate dall’uso del sistema di spionaggio informatico Pegasus dell’azienda NSO e forniscano un sostegno immediato e determinante ad indagini imparziali e trasparenti sugli abusi.”

Anche la Campagna USA per i Diritti dei Palestinesi ha condannato l’attacco informatico con la dichiarazione del suo direttore esecutivo Ahmad Abuznaid: “Sappiamo riconoscere la repressione quando la vediamo.”

“Calunniare i difensori dei diritti umani e fare propaganda per delegittimare il loro lavoro. Sorvegliare attivisti e giornalisti che osano dire la verità. Tutto mentre continuano a commettere violazioni dei diritti umani giorno dopo giorno. Il regime israeliano è uno Stato di apartheid di separazione e disuguaglianza che impiega ogni tattica autoritaria a sua disposizione, ma noi conosciamo la verità: la liberazione è in arrivo e la Palestina sarà libera,” dice Abuznaid.

L’esercito adotta la designazione di “terrorismo” di Gantz

La rivelazione dell’attacco informatico segue immediatamente l’adozione da parte del complesso militare israeliano della precedente ordinanza del ministro della difesa Benny Gantz che definiva come “organizzazioni terroriste” le sei associazioni per i diritti umani palestinesi.

Lo scorso tre novembre il comando militare israeliano in Cisgiordania ha emesso cinque ordinanze militari separate per dichiarare “illegali” le organizzazioni, con l’effetto di mettere fuori legge le  attività delle organizzazioni in Cisgiordania, dove hanno sede e dove lavora la maggior parte del loro personale.

Se ad ottobre la designazione di Gantz spianava la strada alla criminalizzazione del lavoro delle organizzazioni all’interno di Israele, le ordinanze militari consentono la chiusura dei loro uffici e il sequestro di ciò che contengono.

Questo mette anche a rischio imminente di arresti e carcerazioni arbitrarie il personale di tali organizzazioni, con la motivazione che lavora”, secondo la designazione, per una “organizzazione terrorista”.

“In pratica, la designazione attribuita alle organizzazioni palestinesi dà facoltà ad Israele di chiuderne gli uffici, sequestrarne le proprietà, conti bancari compresi, oltre ad arrestarne e trattenerne il personale,“ affermano in una dichiarazione le organizzazioni.

“Rappresenta inoltre un allarmante tentativo di criminalizzare e minare i loro sforzi di promuovere i diritti umani dei palestinesi e il perseguimento delle responsabilità tramite procedure internazionali, screditandone il fondamentale lavoro, isolandole dalla comunità internazionale, eliminandone da ultimo le fonti di finanziamento.”

Le ordinanze militari sono state emanate alcuni giorni dopo la rivelazione di +972 Magazine e di The Intercept [rivista web USA creata dal fondatore di Ebay, ndtr.] secondo cui un dossier segreto israeliano di cui erano entrati in possesso non forniva alcuna vera prova che giustificasse la designazione delle associazioni quali organizzazioni terroriste.

Le 74 pagine del documento secretato sarebbero state usate dallo Shin Bet, il servizio di intelligence interno israeliano, per cercare di convincere i governi europei ad interrompere il finanziamento delle organizzazioni per i diritti palestinesi.

“Alti funzionari di almeno cinque Paesi europei hanno detto che il dossier non contiene alcuna ‘prova concreta’ e hanno così deciso di mantenere il sostegno finanziario alle organizzazioni,” afferma l’articolo di +972.

Israele rafforza la sorveglianza dei palestinesi con il programma di riconoscimento facciale

Martedì, poche ore prima che venisse rivelato l’attacco informatico della NSO contro i sei attivisti palestinesi, un servizio del Washington Post ha rivelato che l’esercito israeliano sta effettuando una “vasta operazione di controllo” nella Cisgiordania occupata mediante l’uso di tecniche di riconoscimento facciale.

Il Washington Post ha riferito che da due anni l’esercito sta usando una tecnologia per smartphone chiamata “Blue Wolf”, [lupo azzurro, ndtr] che “cattura foto dei volti dei palestinesi e li confronta con un database di immagini così esteso che un ex soldato lo ha definito un ‘Facebook per palestinesi’ segreto dell’esercito”, afferma il servizio.

Secondo il reportage, i soldati israeliani di stanza in Cisgiordania “l’anno scorso hanno fatto a gara per fotografare i palestinesi, vecchi e bambini compresi, e le unità che raccoglievano più foto venivano premiate.”

Il servizio stima che il numero minimo delle persone fotografate per il programma di sorveglianza “è stato dell’ordine di diverse migliaia.”

L’articolo afferma che, oltre alla tecnologia Blue Wolf, le autorità militari israeliane hanno installato fotocamere per la scansione facciale nella città di Hebron nel sud della Cisgiordania “per aiutare i soldati dei posti di blocco ad identificare i palestinesi  ancor prima che esibiscano i documenti di identità.”

“Una rete ancora più grande di telecamere a circuito chiuso, denominata “Smart City Hebron”, monitora in tempo reale la popolazione cittadina e a volte riesce a vedere all’interno delle case”, ha affermato un ex soldato citato nel servizio.

Hebron è un delicato punto nevralgico all’interno della Cisgiordania, e spesso gli attivisti lo hanno definito un “microcosmo” dell’occupazione israeliana.

La città è divisa fra circa 40.000 autoctoni palestinesi e un gruppo di coloni israeliani tristemente noti per la loro violenza ideologica che vivono nel cuore della Città Vecchia. In seguito al massacro di dozzine di palestinesi per mano di un colono israeliano nel 1994, la città vecchia venne divisa fra aree controllate dai palestinesi e dagli israeliani note come aree H1 e H2, la seconda dove vivono in maggioranza coloni.

I 40.000 palestinesi che vivono nell’area H2 sono perennemente circondati dagli oltre 1.000 soldati israeliani di stanza nell’area e da 20 posti di blocco militari che ne limitano qualsiasi movimento.

L’alta concentrazione di soldati e di coloni armati israeliani ha trasformato la città in uno dei principali luoghi della violenza coloniale e militare in Cisgiordania, dove le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno.

 

(traduzione dall’inglese di Stefania Fusero)

 

 

 

 

 




I residenti di Sheikh Jarrah rifiutano l’accordo con i coloni

 I residenti di Sheikh Jarrah rifiutano l’accordo “tirannico” con i coloni

I residenti di Sheikh Jarrah hanno respinto una proposta della Corte Suprema israeliana che li avrebbe resi “inquilini protetti” nelle loro stesse case e avrebbe aperto la strada a future evacuazioni da parte dei coloni israeliani.

 Yumna Patel  

 2 novembre 2021 Mondoweiss

 

Martedì i residenti di Sheikh Jarrah hanno annunciato che avrebbero respinto la proposta della Corte Suprema israeliana che li avrebbe resi “inquilini protetti” nelle loro stesse case, aprendo la strada a future evacuazioni delle loro famiglie da parte dei coloni israeliani.

Dopo aver mancato all’inizio di quest’anno di pronunciarsi in merito all’appello delle famiglie contro gli sgomberi, la Corte Suprema ha presentato ad agosto una proposta di “compromesso” tra le famiglie palestinesi e Nahalat Shimonim, l’organizzazione di coloni che cerca di sfrattarli dalle loro case.

L’accordo mirava a dichiarare i residenti palestinesi “inquilini protetti”, che avrebbero pagato un canone annuo di 2.400 shekel (750 dollari) all’organizzazione dei coloni per poter rimanere nelle loro case.

Accettare lo status di residenti protetti riconoscerebbe in effetti la proprietà della terra ai coloni, una condizione che i residenti hanno categoricamente rifiutato.

L’accordo offriva comunque ai residenti tale status solo per altre due generazioni, dopodiché le famiglie sarebbero state nuovamente costrette allo sfratto da parte di Nihalat Shimonim, che sostiene che la terra appartenga a coloni ebrei.

“È ora che la nostra Nakba finisca”

In una dichiarazione, le famiglie hanno definito la proposta un “accordo tirannico”, in cui la “espropriazione sarebbe comunque incombente e le nostre case sarebbero comunque considerate appartenere a qualcun altro”.

“Tali ‘accordi’ distraggono dal crimine in corso: la pulizia etnica perpetrata da una magistratura coloniale e dai suoi coloni”, afferma la dichiarazione.

Martedì, in conferenza stampa, Muna El-Kurd ha affermato che il rifiuto delle famiglie deriva “dalla convinzione della giustizia della nostra causa e dei nostri diritti alle nostre case e alla nostra patria”.

Le famiglie hanno accusato il tribunale di “eludere la responsabilità a pronunciarsi sul caso” e di costringere i residenti a prendere una decisione – qualcosa che secondo loro ha creato “l’illusione di essere noi ad avere la palla”.

Con il rifiuto delle famiglie, il tribunale dovrà ora pronunciarsi sulla causa di sfratto. Se la corte suprema deciderà a favore dei coloni, i residenti palestinesi del quartiere saranno allontanati con la forza dalle loro case e sostituiti dai coloni, una realtà che è già stata imposta a diverse famiglie di Sheikh Jarrah.

Il caso attuale riguarda solo quattro famiglie, ma una sentenza contro i residenti palestinesi aprirebbe la strada alla futura espulsione di più di una dozzina di altre famiglie di Sheikh Jarrah, anch’esse già sottoposte a ordini di sfratto.

La lotta delle famiglie di Sheikh Jarrah è piombata sulla scena mondiale all’inizio di quest’anno, attirando massicce proteste in Palestina e all’estero e l’attenzione dei leader mondiali.

Durante le proteste nel corso dell’estate, è stato documentato che le forze israeliane attaccavano violentemente i residenti locali e anche i giornalisti che seguivano gli eventi.

Sembrerebbe che la crescente attenzione internazionale che circonda Sheikh Jarrah abbia evitato per un po’ qualsiasi sgombero forzato, ma i residenti sostengono che occorre intraprendere un’azione effettiva per proteggerli.

“La comunità internazionale ha a lungo sostenuto che l’espansione dei coloni e l’espulsione forzata da Sheikh Jarrah sono crimini di guerra. Pertanto, deve rispondere a tali gravi violazioni del diritto internazionale con reali ripercussioni diplomatiche e politiche”, afferma la dichiarazione delle famiglie, aggiungendo che “la cultura dell’impunità non deve continuare”.

“È tempo che la nostra Nakba finisca”, hanno detto le famiglie. “Le nostre famiglie meritano di vivere in pace senza il fantasma incombente di un’imminente espropriazione”.

La Corte Suprema confisca terreni per il comune

Lunedì, in una sentenza separata, la Corte Suprema ha deciso di confiscare ai residenti di Sheikh Jarrah un pezzo di terra all’ingresso del quartiere e di consegnarlo alla municipalità israeliana di Gerusalemme.

Il terreno confiscato misura circa 4.700 metri quadrati e, secondo quanto riferito, dovrebbe utilizzarsi come terreno “pubblico” del comune.

In una dichiarazione a The New Arab, Hashem Salaymeh, membro del consiglio locale di Sheikh Jarrah, ha affermato che la decisione di confiscare la proprietà e consegnarla al comune è stata “estremamente dannosa” per la causa dei residenti.

“Questo manda il messaggio che Sheikh Jarrah è preso di mira da tutti gli attori israeliani: dal governo, dal comune e dai coloni privati. Questo rende il caso di Sheikh Jarrah ancora più complicato”, ha detto Salaymeh.

 

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)

 




I palestinesi lottano per salvare un cimitero di Gerusalemme

I palestinesi lottano per salvare un cimitero di Gerusalemme dall’essere distrutto per far posto a un parco israeliano

Yumna Patel

29 ottobre 2021 – Mondoweiss

 

Venerdì forze israeliane hanno lanciato lacrimogeni e bombe stordenti contro i palestinesi all’esterno del cimitero di al-Yusufiyah nella Gerusalemme est occupata, l’ultima escalation sul posto, in quanto i palestinesi lottano per salvare il cimitero dall’essere distrutto per far posto a un parco israeliano.

Secondo informazioni locali, gruppi di palestinesi si sono riuniti fuori dal cimitero, situato nelle immediate vicinanze delle mura della Città Vecchia, per protestare contro la costruzione nella zona di un parco israeliano che minaccia di distruzione parecchie tombe palestinesi.

Video ripresi sul posto venerdì mostrano poliziotti di frontiera israeliani armati che lanciano lacrimogeni e granate assordanti contro la folla, mentre altri arrestano violentemente giovani palestinesi e minacciano con i manganelli persone che stanno filmando la scena.

L’attacco contro i manifestanti è avvenuto dopo che forze israeliane hanno chiuso il cimitero con lamiere e reticolati nel tentativo di impedire alle numerose famiglie di accedere al cimitero mentre i bulldozer israeliani stavano lavorando nella zona.

Video mostrano la polizia israeliana che tenta di cacciare con la forza le famiglie che insistono per rimanere lì e perché gli venga consentito di visitare le tombe dei propri cari.

Un video postato sulle reti sociali mostra un gruppo di donne palestinesi che cerca di aprire di forza i portoni, ma inutilmente.

Una delle donne è Ola Nababteh, che all’inizio di questa settimana è stata filmata mentre si aggrappava disperatamente alla tomba del figlio quando i poliziotti israeliani stavano cercando di strapparla dalla pietra tombale.

Il video, diventato virale sulle reti sociali, mostra Nababteh in lacrime supplicare i poliziotti dicendo “Andiamo, lasciatemi qui,” mentre i bulldozer spianavano la terra attorno a lei.

Secondo la Reuter [agenzia di stampa britannica, ndtr.], Arieh King, vice sindaco di Gerusalemme e leader del movimento di destra dei coloni a Gerusalemme, ha affermato che non c’è “alcun tentativo di rimuovere il cimitero e la polizia ha portato via Nababteh perché era troppo vicina ai lavori di costruzione.”

Ma Nababteh ha sostenuto tutt’altro, dicendo a Middle East Eye che nel corso degli anni, quando andava sulla tomba del figlio, era costantemente maltrattata dalle autorità israeliane, che le dicevano che non aveva avuto il permesso di seppellire suo figlio lì.

Quindi, quando all’inizio del mese, durante i lavori di costruzione israeliani sul posto, sono stati disseppelliti resti umani, lei e altri palestinesi con parenti sepolti nel cimitero hanno temuto che i loro cari potessero presto subire un destino simile.

Le autorità israeliane sostengono che i resti che sono stati disseppelliti appartenevano a tombe “non autorizzate” che nel corso degli anni erano state “illegalmente collocate” nel cimitero e che le tombe “autorizzate” non sarebbero state danneggiate.

Per anni i palestinesi hanno lottato contro i progetti israeliani di parchi e riserve naturali, che minacciano più di un cimitero musulmano in città.

Nel 2018 forze israeliane hanno scavato all’interno del cimitero di Bab al-Rahma, fuori dalla Città Vecchia, come parte del progetto di creare un percorso per turisti per il parco nazionale della Città di David [parco archeologico gestito da un’associazione di coloni, ndtr.], che passa attraverso il cimitero plurisecolare, luogo di riposo eterno per generazioni di palestinesi e di altri arabi.

Nel contempo Mustafa Abu Zahra, capo della Commissione per la Tutela dei Cimiteri Islamici di Gerusalemme, ha detto a Mondoweiss che le profanazioni di cimiteri musulmani in città sono iniziate fin dagli anni ’70.

Negli ultimi anni ogni tentativo da parte dei palestinesi di scavare nuove tombe nel cimitero è stato respinto con la forza dalle autorità israeliane, che hanno distrutto le sepolture e limitato l’accesso dei palestinesi alla zona.

“Questa è una violazione delle leggi internazionali e parte della continua ebraizzazione di Gerusalemme da parte di Israele. Questo cimitero rappresenta la nostra cultura, la nostra vita, la nostra storia, e Israele sta cercando di cancellare tutto ciò,” aveva detto allora.

Aviv Tatarsky, ricercatore dell’ong israeliana di sinistra “Ir Amim”, dice a Mondoweiss che “i parchi nazionali sono stati ampiamente utilizzati in modo improprio da Israele a Gerusalemme est come uno dei mezzi per limitare pesantemente le aree residenziali palestinesi al fine di realizzare la politica demografica israeliana di garantire una maggioranza ebraica a Gerusalemme,” e che la politica crea pressioni che “incoraggiano” gli abitanti di Gerusalemme est a lasciare la città.

 

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Israele approva 1.300 nuove unità abitative

 

Yumna Patel

26 ottobre 2021 – Mondoweiss

Israele approva 1.300 nuove unità abitative. Altri progetti in arrivo

Domenica Israele ha approvato progetti per 1.300 nuove unità di insediamento abitativo nella Cisgiordania occupata. Verso la fine di questa settimana l’Alto Comitato Israeliano di Pianificazione dovrebbe incontrarsi per portare avanti i progetti di altri 2.862 alloggi.

Israele ha approvato piani per 1.300 nuove unità abitative nelle colonie della Cisgiordania occupata, la prima mossa del genere da quando il presidente degli Stati Uniti Joe Biden è entrato in carica.

Il Ministero israeliano per l’Edilizia e gli Alloggi ha annunciato domenica che, in violazione al diritto internazionale, sono state pubblicate gare d’appalto per 1.355 nuove case nelle colonie in Cisgiordania.

L’annuncio di domenica rappresenta l’ultimo passaggio dell’iter prima che inizi effettivamente la costruzione delle abitazioni.

Secondo quanto ha riferito Haaretz, i piani regolatori hanno approvato 729 unità nella grande colonia di Ariel (distretto di Salfit), 324 a Beit El (Ramallah), 102 a Elkana (Salfit), e altre a Geva Binyamin (Ramallah), Immanuel, Karnei Shomron e Beitar Illit (Betlemme).

“Accolgo con entusiasmo la promozione di più di 1.000 unità abitative. Continuerò a potenziare (in Cisgiordania) l’insediamento ebraico”, ha detto dei progetti Zeev Elkin [del partito di destra Nuova Speranza, ndtr.], Ministro per l’Edilizia e gli Alloggi.

Secondo Haaretz, il ministero ha annunciato anche progetti per “raddoppiare la popolazione ebraica nella Valle del Giordano entro il 2026”, impegnandosi a promuovere 1.500 nuove unità abitative nell’area.

Sotto la guida dell’ex primo ministro Benjamin Netanyahu, Israele ha compiuto grandi passi nel tentativo di annettere illegalmente la Valle del Giordano, nonostante un’estesa riprovazione da parte della comunità internazionale.

L’annuncio ha suscitato immediata condanna da parte dei leader arabi palestinesi e della regione, che hanno invitato i loro interlocutori internazionali, in particolare gli Stati Uniti, a fare pressione su Israele affinché fermi i piani.

Tuttavia alla vigilia dell’annuncio gli Stati Uniti non hanno condannato esplicitamente l’espansione delle colonie, e il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price venerdì ha affermato che gli Stati Uniti sono “preoccupati” per i progetti e ha invitato sia la parte israeliana che quella palestinese ad “astenersi da passi unilaterali che esacerbino la tensione e minino i tentativi di far avanzare la soluzione negoziata dei due Stati”.

L’inviato delle Nazioni Unite per il Processo di Pace in Medio Oriente, Tor Wennesland, ha affermato in una dichiarazione di essere “profondamente preoccupato” per l’approvazione degli appalti e per la continua espansione delle colonie israeliane nei territori palestinesi occupati.

“Ribadisco che tutti gli insediamenti sono illegali secondo il diritto internazionale, rappresentano un ostacolo sostanziale alla pace e devono cessare immediatamente”, ha affermato Wennesland.

L’annuncio di domenica di portare avanti i progetti è arrivato sulla scia della decisione di Israele di etichettare sei organizzazioni della società civile palestinese come “istituzioni terroristiche”, una mossa che ha suscitato una rapida e diffusa condanna da parte di gruppi e leader per i diritti umani locali e internazionali.

Secondo Haaretz, la decisione di portare avanti i 1.300 progetti, insieme all’attacco alle organizzazioni della società civile, sta causando tensioni all’interno della coalizione di governo israeliana, guidata dal primo ministro di destra [estrema, ndtr.] Naftali Bennet.

Secondo quanto è stato riferito, i partiti di sinistra israeliani hanno espresso il loro disaccordo nei confronti di questa iniziativa, chiedendo che Bennet “freni” l’espansione delle colonie e e la possibile legalizzazione e riedificazione dell’avamposto di Evyatar a Beita, una mossa che i deputati di destra tuttora sostengono, afferma Haaretz.

In progetto ulteriori unità abitative nelle colonie

I capi della coalizione dovrebbero incontrarsi alla fine di questa settimana per “appianare” le differenze, mentre mercoledì è prevista un’altra riunione, durante la quale potrebbero essere approvate altre 2.862 unità abitative nelle colonie da costruirsi in Cisgiordania.

L’osservatorio di controllo degli insediamenti Peace Now ha dichiarato in un rapporto che questo mercoledì, 27 luglio 2021, l’Alto Consiglio di Pianificazione dell’Amministrazione Civile (HPC) si riunirà per discutere l’approvazione di 30 progetti per 2.862 unità nelle colonie.

Lo scorso agosto il ministro della Difesa Benny Gantz ha approvato la convocazione dell’HPC per discutere i progetti in questione anche se, a causa di uno sciopero dichiarato dai lavoratori dell’Amministrazione Civile [ente militare che gestisce i territori occupati, ndtr.], la discussione dei progetti è stata rimandata.

All’epoca i progetti ammontavano a 1.956 unità sparse nelle colonie della Cisgiordania. Questa volta, sono state aggiunte più di 1.000 nuove unità in progetto, per un totale di 2.862.

I piani da discutere mercoledì sono diversi rispetto a quelli delle 1.300 unità approvate domenica.

Secondo Peace Now, tra i progetti in discussione mercoledì c’è la legalizzazione retroattiva di due avamposti di coloni costruiti illegalmente senza alcun permesso ufficiale da parte del governo israeliano.

Tra gli avamposti da legalizzare ci sono i progetti per “Michmach East”, situato vicino al territorio di Khan al-Ahmar, il villaggio beduino palestinese che Israele ha ripetutamente tentato di demolire completamente, sostenendo che sia “illegale”.

Oltre ai progetti di 2.862 unità di insediamento, con un’iniziativa inedita l’HPC discuterà progetti per 1.303 unità abitative per i palestinesi dell’Area C – più del 60% della Cisgiordania, dove Israele ha vietato qualsiasi costruzione palestinese (pur consentendo la costruzione di colonie).

Peace Now ha tuttavia notato che la maggior parte delle unità palestinesi che sono all’ordine del giorno per l’approvazione sono già state costruite e stanno cercando di essere legalizzate, il che significa che i progetti vedranno di fatto la costruzione di pochissime nuove case per i palestinesi.

“È importante sottolineare che quasi tutti i progetti dell’HPC sono sul tavolo da molti anni e sono in attesa di approvazione, insieme a molti altri progetti per i palestinesi”, ha affermato Peace Now, aggiungendo che anche se i progetti verranno approvati, si tratterà di “una goccia nell’oceano rispetto ai reali bisogni di sviluppo dei palestinesi”.

“Va notato che anche le domande di permesso per i palestinesi nell’ambito dei progetti esistenti (di solito secondo i vecchi piani britannici) approvati sono quasi sempre respinte”, ha affermato l’associazione.

 

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Dopo che i cecchini israeliani hanno ucciso 40 palestinesi in 3 mesi, il capo dell’esercito ha detto: ‘così non va, rilassatevi’

Dopo che i cecchini israeliani hanno ucciso 40 palestinesi in 3 mesi, il capo dell’esercito ha detto: ‘così non va, rilassatevi’

Dopo che i soldati israeliani hanno ucciso “come se nulla fosse” più di 40 palestinesi in 2 mesi, il capo di stato maggiore dell’esercito ha detto: “Così non va bene” ed ha ordinato ai cecchini di “rilassarsi”. Ma quando il giornalista Ohad Hemo ha riportato l’accaduto al Forum della Politica Israeliana, la presidentessa Susie Gelman ha subito espresso le sue preoccupazioni riguardo all’evasione dei prigionieri palestinesi da un carcere israeliano.

 Philip Weiss

17 settembre 2021 – Mondoweiss

 

Tre giorni fa un’associazione filoisraeliana ha tenuto un dibattito che ha rivelato la sua totale indifferenza nei confronti delle vite dei palestinesi. Il giornalista israeliano Ohad Hemo ha detto al Forum della Politica Israeliana, un’organizzazione lobbistica israelo-americana, che, dopo che i soldati israeliani hanno ucciso “come se nulla fosse” più di 40 palestinesi in Cisgiordania in due mesi, il capo dell’esercito ha detto: “Questo non va bene” ed ha ordinato ai cecchini di “rilassarsi”.

Susie Gelman, la presidentessa del Forum della Politica Israeliana, non ha risposto alla scioccante notizia, ma ha riportato la discussione sui suoi “motivi di preoccupazione” – l’evasione dei prigionieri palestinesi da un carcere israeliano.

Ecco la descrizione secondo Hemo di questa furia omicida:

Nelle ultime settimane è successo qualcosa in Cisgiordania. Posso dirvi che negli ultimi due mesi ci sono stati più di 40 palestinesi uccisi con armi da fuoco da Israele. E siamo arrivati al punto che il capo dell’esercito ha convocato tutti i comandanti impegnati in Cisgiordania e ha detto loro: ‘Aspettate un momento, così non va bene. Voglio dire che vengono uccise facilmente persone in incursioni, manifestazioni o altro. Perciò per favore parlate ai vostri cecchini. Parlate alla vostra gente nell’esercito. Solo questo, perché si rilassino’.

Hemo, il giornalista che si occupa della questione palestinese per il Canale 12 israeliano, ha preso spunto da un notiziario del 10 agosto. Dopo che i soldati israeliani avevano ucciso più di 40 palestinesi in tre mesi, compresi “civili…uccisi per errore”, Aviv Kochavi, capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, ha richiesto dei cambiamenti.

Il Forum della Politica Israeliana palesemente non si preoccupa di queste uccisioni. Si stava svolgendo una discussione sull’evasione del 6 settembre in cui sei palestinesi sono fuggiti attraverso un tunnel dal carcere di Gilboa, e Gelman, che stava intervistando Hemo, ha ripetutamente espresso preoccupazione riguardo alle “conseguenze” di questa grave violazione della sicurezza”.

“Parlaci di questi sei prigionieri”, ha detto Gelman. “Voglio dire, questo genere di cose non dovrebbero proprio accadere. Vi sono ovviamente moltissime domande e sicuramente ci sarà un’indagine su che cosa sia andato storto…Come è mai possibile? …. Probabilmente alcune persone a causa di questo fatto perderanno il lavoro.”

Hemo ha detto: “Quattro di loro sono condannati all’ergastolo per aver ucciso degli israeliani o aver preso parte ad attacchi terroristici …. Mahmoud al-Arda è un killer, credetemi, è un vero terrorista della Jihad islamica.”

Hemo ha ripetutamente definito i palestinesi dei terroristi. Nessuno dei 4.500 palestinesi prigionieri di Israele sono prigionieri politici, ha detto Hemo, sono tutti “terroristi.”

“Stiamo parlando di circa 4.500 prigionieri attualmente detenuti nelle carceri israeliane. Non parlo di prigionieri politici, parlo di terroristi.”

Gelman e Hemo non si sono mai posti l’ovvia domanda: ci sono state delle conseguenze per gli assassini israeliani degli oltre 40 palestinesi? La risposta è sicuramente ‘no’. L’associazione (israeliana) per i diritti umani B’Tselem ha documentato che solo “in casi molto rari” i soldati israeliani sono accusati di reato per aver ucciso o ferito dei palestinesi. E quando lo sono, raramente vengono condannati. Al contrario i palestinesi in Cisgiordania vengono condannati ad un tasso di quasi il 100% nei tribunali militari – che è uno dei motivi per cui Human Rights Watch lo scorso aprile ha affermato che Israele pratica l’apartheid.

Hemo si presenterà il mese prossimo ad un’altra associazione filoisraeliana.

Philip Weiss

Philip Weiss è caporedattore di Mondoweiss.net ed ha fondato il sito nel 2005-06.

 

      (Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Israele non può essere accusato di niente

Israele non può essere accusato di niente, grazie alla narrazione della cultura dell’hasbara della vittimizzazione ebraica.

L’etnocentrismo ha devastato la cultura politica ebraica.

Yakov Hirsch

20 settembre 2021 – Mondoweiss

 

Il mio lavoro si concentra sulla cultura dell’hasbara: la costruzione sociale di una realtà alternativa che si centra sulla vittimizzazione del popolo ebraico che ha poco a che vedere con il mondo reale. Ma, nonostante le idee della cultura dell’hasbara siano a-storiche, i suoi concetti e discorsi sull’odio contro gli ebrei sono ora un’opinione diffusa nella cultura politica ebraica e americana. E ciò ha avuto parecchie conseguenze disastrose per il mondo in cui viviamo.

Hasbara è la parola israeliana per propaganda, e la cultura dell’hasbara sostiene che l’antisemitismo è un odio unico che va collocato in una categoria differente dalle altre forme di odio. E i guardiani della narrazione della vittimizzazione fanno tutto il necessario per continuare a mantenere questa prospettiva. In un editoriale del 2009 sul NYT riguardo ai “timori di Israele” Jeffrey Goldberg ha espresso perfettamente la prospettiva della cultura dell’hasbara riguardo all’antisemitismo “eterno”:

“L’antisemitismo è un odio sui generis che è mutevole, impermeabile alla logica ed eterno.”

È impossibile comprendere il mondo attuale senza prima capire la grande lotta della cultura dell’hasbara contro questo “odio sui generis”. I proseliti della cultura dell’hasbara sottolineano eventi della storia ebraica per trasmettere la convinzione che tutto il mondo sia ossessionato, e sempre lo sia stato, dall’eliminazione degli ebrei, arrivando fino ad oggi con l’esistenza dello Stato ebraico.

La prospettiva vittimistica di Yair Rosenberg non riflette il mondo reale. Come ho dimostrato nel mio ultimo articolo, la nuova serie di video di Rosenberg “per spiegare l’antisemitismo” ascrive agli eventi uno scorretto “significato” più ampio. Gli esseri umani, i loro pensieri e motivi individuali non sono come i sostenitori della cultura dell’hasbara di solito interpretano il mondo. I sostenitori della cultura dell’hasbara sono alla continua ricerca di quel “significato più ampio”.

Nel suo video “Al di là di sinistra e destra” Yair Rosenberg sostiene che l’antisemitismo continua a prosperare oggi perché persone di destra come di sinistra tendono a vigilare contro il fanatismo antiebraico solo quando proviene dai loro nemici politici. La voce narrante afferma che si capisce perché ciò avvenga.

“È molto più difficile parlarne quando l’intolleranza viene dai tuoi amici e alleati.” Con chi riesci a provocare dei cambiamenti, chiede: con i tuoi amici o con i tuoi nemici? Nella tua comunità o in quella di qualcun altro? Quindi, mentre la destra denuncia l’antisemitismo nella sinistra e la sinistra denuncia quello di destra, esse non condannano gli intolleranti della propria parte politica.

Nell’immaginario della cultura dell’hasbara quello che gli storici chiamano “essere antisemita” è un’incessante persecuzione degli ebrei. E di conseguenza gli ebrei devono essere protetti. Questo è il ruolo e il dovere che si sono assunti i giornalisti della cultura dell’hasbara. E, dato che secondo la cultura dell’hasbara il popolo ebraico e ora Israele sono eternamente vittime, diventano anche eternamente innocenti.

Il risultato di questa innocenza “fuori dalla storia” è che ora diventa “comprensibile” qualunque odio e razzismo che provenga dalla comunità ebraica.

Prendete in considerazione l’opinione di Yair Rosenberg sull’ ‘imbarazzante’ politica israeliana Miri Regev, ex-ministra della Cultura di Benjamin Netanyahu. Secondo Rosenberg l’estremismo di destra di Regev è comprensibile a causa dei tweet antisemiti che egli ha trovato su Twitter.

“Miri Regev è una dei ministri di Israele più di destra, demagogica e imbarazzante, ma menzogne inquietanti come queste sul potere malvagio di Israele aiutano la gente come lei ad essere eletta.”

E non si tratta solo di Rosenberg. Tutta una generazione di giornalisti della cultura dell’hasbara ha imposto a forza al mondo reale la sua prospettiva vittimistica: l’antisemitismo eterno rende comprensibile qualunque cosa Israele e i suoi sostenitori dicano. Prendete in considerazione la reazione di Jeffrey Goldberg [giornalista USA, ndtr.] all’accoglienza estasiata che l’AIPAC [principale organizzazione della lobby filoisraeliana negli USA, ndtr.] ha riservato a Donald Trump nel 2016:

“Quanti di voi sono sorpresi che un pubblico filo-israeliano abbia apprezzato un discorso filo-israeliano di Donald Trump dovrebbero smettere di essere sorpresi.”

Quello a cui dovrebbe rispondere Jeffrey Goldberg se gli venisse chiesto è: “Perché la gente dovrebbe smettere di manifestare sorpresa riguardo all’entusiasmo delirante del pubblico dell’AIPAC per Donald Trump? Quello che Goldberg dovrebbe dire è la differenza tra il pubblico dell’AIPAC e la solita folla seguace di Trump che Goldberg ha passato anni a condannare incessantemente. Perché Goldberg sta concedendo un’approvazione a un’organizzazione ebrea filo-israeliana che non attribuirebbe a un’altra aggregazione favorevole a Trump? Dov’è finito il suo usuale moralismo?” La sua risposta a questa domanda spiegherebbe parecchio.

Tutto ciò che deve avvenire per dare un senso al mondo è che Jeffrey Goldberg risponda a questa domanda.

Si noti che Peter Beinart [noto intellettuale e commentatore ebreo americano, ndtr.] non ha nessun problema a condannare quello stesso evento. Come ho già sostenuto, l’importanza culturale di Peter Beinart è che egli è il giornalista ebreo più influente senza che abbia una prospettiva vittimistica.

Il discorso della politica estera è pieno di esempi di come la prospettiva vittimistica modelli il mondo. Come Bret Stephens ha spiegato ai lettori del New York Times perché sembrava che Israele stesse per annettere i territori? Ha detto che la mano di Netanyahu era stata forzata dalle critiche globali contro Israele.

Naturalmente, secondo la prospettiva vittimistica di Stephens, annettere i territori è “comprensibile”.

Questa prospettiva vittimistica rende legittima qualunque cosa abbia fatto Netanyahu. Ho già denunciato ad alta voce quanti collaborano con Netanyahu per fuggire dal luogo del loro delitto culturale.

Si veda questo tweet di David Frum. Frum è stato dalla parte di Netanyahu contro il giornale [israeliano] progressista Haaretz. Dopo che Chemi Shalev di Haaretz ha twittato un editoriale del New York Times in cui si sosteneva che “Benjamin Netanyahu sta schiacciando la stampa libera di Israele,” Frum ha risposto:

“Il malefico piano di Netanyahu per schiacciare la stampa? Consentire l’esistenza di un giornale che non piace alla sinistra israeliana. Proprio così.”

Il lungo regno di Netanyahu non può essere compreso senza prendere in considerazione la protezione culturale garantita da questi giornalisti ebrei. Non era Jeffrey Goldberg l’esperto numero 1 al mondo su Israele e Netanyahu quando Obama e Kerry erano apparentemente così anti-israeliani? Dov’è andato? Chi meglio di Goldberg per spiegare come sia possibile che il corrotto uomo forte sacro della cultura dell’hasbara sia arrivato in un attimo a diventare dittatore degli ebrei? Ma, come previsto, una volta diventato capo-redattore dell’Atlantic [rivista USA progressista di cultura e politica estera, ndtr.]  sotto Trump, Goldberg ha perso ogni interesse in Israele e nelle questioni ebraiche che gli hanno fatto fare carriera.

Vediamo qualche altra azione “comprensibile” degli israeliani. Secondo la cultura dell’hasbara è comprensibile che gli ebrei israeliani lincino arabi. Leggete solo l’articolo di Jeffrey Goldberg del 2012 “Un quasi linciaggio a Gerusalemme”, in cui ha richiamato all’ordine la giornalista del NYT Isabel Kershner per aver definito “linciaggio” un’imboscata di ebrei contro un arabo. Ancora una volta, in base alla cultura dell’hasbara l’attacco contro arabi innocenti è comprensibile.

“Questo tipo di cose non sono realmente una novità. Avendo scritto un articolo sul corteo funebre di Meir Kahane, il rabbino razzista assassinato a New York più di 20 anni fa, posso testimoniare il fatto che teppisti ebrei, molti dei quali provenienti dai quartieri più poveri di Gerusalemme (e molti che sono discendenti di ebrei fuggiti o espulsi da Paesi arabi), si sono periodicamente scagliati contro arabi innocenti. Lo hanno fatto durante il funerale e in incidenti successivi.”

Notate il sottotesto: dopotutto questi ebrei provenivano da quartieri poveri e molti di loro erano discendenti di ebrei che fuggirono, o furono espulsi, da Paesi arabi. Quindi la loro vendetta è naturale.

Sono questo offuscamento e oscurantismo che DEVONO portare ai pogrom contro gli arabi che da allora sono diventati eventi quasi settimanali.

Il punto di vista della cultura dell’hasbara sull’innocenza di Israele di fronte all’eterno antisemitismo è la ragione per cui l’onesto Rosenberg e altri combattenti contro l’odio sono rimasti in silenzio mentre l’epoca dell’odio da anni ’30 si ripeteva di fronte a tutto il mondo. Il loro discorso vittimistico porta alla totale impunità e immunità di Benjamin Netanyahu. Si legga questo tweet di Eli Lake:

“Fantastico articolo di @LahavHarkov [giornalista israeliana del Jerusalem Post, ndtr.] su Tablet riguardo alla disponibilità di Israele nei confronti dei regimi autoritari e alla complicata posizione in cui mette lo Stato ebraico. Lo consiglio caldamente.”

C’è da meravigliarsi che Netanyahu sia andato in giro per il mondo a distribuire programmi di spionaggio informatico a regimi reazionari? I giornalisti della cultura dell’hasbara gli coprono le spalle. Secondo la prospettiva vittimistica Netanyahu è in una “posizione difficile” e cerca di proteggere Israele. Qualunque cosa Netanyahu abbia fatto è diventata “comprensibile” e nessuno lo sa più di Netanyahu. Come ho sostenuto, questo è stato il segreto del suo successo.

E dalla prospettiva della vittimizzazione ebraica Israele non può essere accusato di niente. Perché? Perché essere troppo duri con Israele “rafforzerà” gli antisemiti e provocherà il rischio della distruzione di Israele. Si veda questo tweet di Rosenberg per capire come la cultura dell’hasbara risponda alle accuse di apartheid contro Israele. Secondo la dottrina della cultura dell’hasbara, “la progressione dei tweet affatto sorprendente” è il passaggio da “Israele è colpevole di apartheid” all’idea che “l’Olocausto non ci sia mai stato”.

È proprio così? Quelli di noi che vivono nel mondo reale sanno che sono stati i soldi e la cultura dell’hasbara di Sheldon Adelson [miliardario ebreo statunitense, ndtr.] che hanno dettato la politica di Trump riguardo a Israele, per non parlare della costante pressione di suo [di Trump] genero a favore di Israele. Questo è un altro esempio del fatto che Israele e il popolo ebraico sono stati tolti dalla storia, come ho scritto nel mio ultimo articolo.

Quindi perché la cultura dell’hasbara pensa che così tanti ce l’abbiano e sempre ce l’avranno con il popolo ebraico? O, come dice Bari Weiss [giornalista del Wall Street Journal, del NYT e di Die Welt, ndtr.], perché “tutti odiano gli ebrei”?

La risposta della cultura dell’hasbara è che il popolo ebraico è migliore di qualunque altro popolo. Yair Rosenberg descrive quanto sia eccezionale il popolo ebraico.

“Nessuno che conosca gli ebrei rimarrà sorpreso che Israele abbia definito la protesta come un diritto fondamentale che è consentito persino durante un lockdown d’emergenza.”

È così che due anni fa Bari Weiss ha detto a Jake Tapper [noto giornalista televisivo USA, ndtr.] nel [centro culturale ebraico, ndtr.] 92d Street Y:

“La nostra unicità è ciò che continua a far impazzire la gente.”

L’etnocentrismo che si nota in questo articolo ha devastato la cultura politica ebraica. E non c’è una lotta ebraica più importante che smentire questa sacra prospettiva vittimista della cultura dell’hasbara.

 

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)

 




Attivisti lanciano una campagna di boicottaggio contro Duty Free Americas per il suo sostegno ad associazioni di coloni israeliani in Cisgiordania

Michael Arria

3 settembre 2021 – Mondoweiss

Una coalizione di organizzazioni in Florida chiede di boicottare Duty Free Americas per il suo sostegno finanziario a gruppi di coloni razzisti e ultranazionalisti in Cisgiordania.

La South Florida Coalition for Palestine [Coalizione nella Florida meridionale per la Palestina] chiede di boicottare la compagnia di Miami “Duty Free Americas” [catena di negozi duty free che opera in aeroporti USA e in altre parti del mondo, ndtr.] per i suoi legami con le colonie illegali israeliane e l’espulsione forzata dei palestinesi.

La catena Duty Free Americas, che appartiene alla famiglia Falic, gestisce oltre 180 negozi in aeroporti e valichi di frontiera negli USA e in America latina. Secondo un’inchiesta del 2019 di Associated Press, nell’arco di dieci anni la famiglia Falic ha donato a gruppi di coloni 5,6 milioni di dollari, oltre a fornire sostegno finanziario a gruppi ebraici razzisti e ultranazionalisti di Hebron.

Simon Falic, uno dei tre fratelli che gestisce Duty Free, ha dichiarato ad Associated Press che gli ebrei dovrebbero poter vivere in tutta la Terra Santa a loro piacimento. “Siamo orgogliosi di sostenere delle associazioni che aiutano a promuovere la presenza ebraica su tutta la terra di Israele,” ha detto. “Secondo noi l’idea che la semplice presenza ebraica in qualche area geografica possa costituire un ostacolo alla pace non ha alcun senso.”

La coalizione che promuove il boicottaggio comprende Dream Defenders, Jewish Voice for Peace South Florida, Al-Awda South Florida, Students for Justice in Palestine South Florida, CAIR Florida, e South Florida Muslim Federation.

Siamo soprattutto noi che viviamo in Florida che dovremmo aderire all’appello di boicottare Duty Free Americas, in quanto i proprietari della compagnia vivono qui, molti dei loro negozi si trovano in questo Stato e dobbiamo richiamarli alle loro responsabilità e chiedere loro conto dei milioni di dollari che hanno donato per sostenere la perpetuazione della Nakba [”catastrofe”, termine con cui si indica l’esodo forzato di circa 700.000 palestinesi dopo la proclamazione dello Stato di Israele, ndtr.],” ha detto a Mondoweiss la coordinatrice regionale per la Florida centrale di CAIR-Florida [Consiglio sulle Relazioni USA-Musulmani, ndtr.]. “La South Florida Coalition for Palestine risponderà a questo appello da parte del popolo palestinese ospitando una protesta virtuale il 12 settembre per lanciare la campagna in Florida – non rimarremo in silenzio di fronte all’occupazione, l’apartheid e la pulizia etnica.”

All’evento di promozione del boicottaggio si unirà alla coalizione anche Campaign to Defund Racism, movimento a guida palestinese che prende di mira le organizzazioni “benefiche” collegate alle colonie israeliane.

Oltre duecento organizzazioni, villaggi e attivisti palestinesi si sono appellati alla comunità internazionale affinché si taglino i fondi alle associazioni di coloni israeliani. Ciò che vediamo arrivare dagli organizzatori nella Florida del Sud, quali al Awda, Jewish Voice for Peace e Dream Defenders, non è che una delle varie strategie che si dovranno utilizzare per mettere i bastoni fra le ruote al movimento di occupazione israeliano,” dice Cody O’Rourke del collettivo Good Shepherd [“Buon Pastore”, che ha sede nelle colline di Hebron, ndtr.], organizzazione che fa parte della campagna Defund Racism. “Prendere di mira i donatori, partecipare a campagne di pubblica utilità, ricorrere ai tribunali e fare pressione sui procuratori generali e sul Dipartimento del Tesoro affinché facciano rispettare le norme già in vigore sulle associazioni benefiche sono tutte tattiche che si dovranno assumere ed usare.”

All’inizio dell’anno gli attivisti hanno protestato davanti alla sede centrale di Duty Free Americas nella città di Hollywood, in Florida. “Come si è visto recentemente nei quartieri di Sheikh Jarrah e Silwan a Gerusalemme Est, i coloni ebrei israeliani stanno espellendo con la forza i palestinesi dalle loro case,” ha affermato nel corso dell’evento l’organizzatore Thomas Kennedy. “Siamo qui per protestare contro i finanziamenti provenienti dai proprietari di Duty Free Americas, che sostengono la costruzione di colonie illegali ebraiche in Cisgiordania e Gerusalemme Est.”

 

traduzione dall’inglese di Stefania Fusero