Il nuovo governo israeliano è pronto per un’annessione a luglio – e i leader palestinesi giurano di opporvisi

Philip Weiss  

20 Aprile 2020 Mondoweiss

Oggi ci sono grandi novità da Israele. Benny Gantz, l’uomo che per tre elezioni ha cercato di archiviare Netanyahu, si è arreso. Benjamin Netanyahu sarà primo ministro per i prossimi 18 mesi, durante i quali ci sarà il processo per corruzione; dopo di ciò Gantz diventerà primo ministro e l’accordo sulla divisione del potere prevede l’OK a partire da luglio per l’annessione di grandi parti della Cisgiordania occupata.

Barak Ravid dell’israeliana Channel 13 [canale della televisione israeliana, ndtr.] spiega l’accordo sull’annessione. La politica israeliana è semplicemente troppo a destra perché Gantz potesse mantenere la posizione. Questo è il “lascito” di Netanyahu e deve essere implementato mentre Trump è al potere:

L’accordo di coalizione tra Netanyahu e Gantz dice che Netanyahu può portare ‘le intese con l’amministrazione Trump’ sull’annessione di parti della Cisgiordania a una discussione di governo e a un voto o del governo o in parlamento a partire dal 1 luglio … Il desiderio di Netanyahu di annettere la Valle del Giordano e altre parti della Cisgiordania occupata è stato uno dei principali punti critici nei negoziati sul nuovo governo. Gantz ha rinunciato alla sua pretesa di avere potere di veto su qualsiasi decisione di annessione.”

Secondo l’accordo, Netanyahu e Gantz lavoreranno “in pieno accordo con gli Stati Uniti” per quanto riguarda il piano di Trump, incluso il punto di mappare quali parti in Cisgiordania gli Stati Uniti sono pronti a riconoscere come parte di Israele.

Netanyahu considera l’annessione di parti della Cisgiordania la sua principale eredità. Secondo i suoi collaboratori, vuole realizzarla abbastanza presto nel timore che alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti Trump possa perdere e con Joe Biden alla Casa Bianca la mossa sia resa impossibile…

L’accordo ha suscitato grida angosciate da parte dei sionisti liberali, e probabilmente resisterà allopposizione dei principali politici palestinesi della Lista Unita. Aida Touma-Sliman [giornalista e politica arabo-israeliana, ndtr.] scrive:

Il prossimo governo israeliano sarà pericolosamente di destra. Gantz è sceso in campo sperando di sostituire Netanyahu e ha finito per rafforzare la politica razzista e antidemocratica di quest’ultimo. Faremo opposizione a questo governo di annessione – durante la crisi di Covid e dopo.”

I politici palestinesi sono stati i grandi vincitori delle ultime elezioni, e sono rafforzati dalle ultime notizie. Ayman Odeh, responsabile della Lista Unita, scrive su Twitter [in ebraico, traduzione automatica]:

La resa di Gantz è uno schiaffo in faccia ai cittadini recatisi ripetutamente alle urne per estromettere Netanyahu. Gantz non ha avuto abbastanza coraggio per vincere e ha scelto di legalizzare l’annessione, il razzismo e la corruzione.”

Ahmad Tibi, deputato della Lista Unita e medico:

Blu e bianco [il partito di Gantz] ha sventolato la bandiera bianca. Si è arreso a tutti i dettami politici (l’annessione a luglio) e nella sfera civile si è arreso alla legge dello Stato Nazionale, alla legge di Kaminitz [che limita i permessi di costruzione palestinesi] … Vediamo nella lotta contro un governo di 52 ministri e vice ministri una sfida e una missione. Avverto la sconfitta di milioni di cittadini che volevano il cambiamento.”

L’annessione interessa circa il 30 % della Cisgiordania, compresi la valle del Giordano e gli insediamenti ebraici di oltre 620.000 coloni.

Il lobbista israeliano Martin Indyk afferma che Trump si schiererà con l’annessione per soddisfare la destra americana cristiana:

Coronavirus o no … questo è molto chiaro: Trump darà il via libera all’annessione per assicurarsi la base evangelica alle elezioni.”

Indyk esclude la Florida dal gioco di Trump: gli elettori ebrei potrebbero essere cruciali in quello stato altalenante.

L’opinione diffusa è che questo accordo sarà un test per le organizzazioni liberali sioniste negli Stati Uniti, se si opporranno all’annessione ora e coinvolgeranno i politici democratici contro di essa. Si noti che la scorsa settimana tale iniziativa ha portato 11 deputati a scrivere una lettera di opposizione all’annessione. Non esattamente una marea. Ma J Street [gruppo liberale statunitense filoisraeliano per la pace e la democrazia, ndtr.] ha recentemente appoggiato Joe Biden che ha accolto con favore il sostegno; è certo che prenderà posizione contro l’annessione.

Le organizzazioni liberali sioniste dovranno lavorare con i politici palestinesi se mirano a bloccare l’annessione.

Tamara Cofman Wittes, che sostiene Israele, dichiara di sperare che gli eventi in campo non sposteranno nulla verso un governo Biden …

L’approvazione di Trump non mette fine alla questione. Il riconoscimento presidenziale delle rivendicazioni territoriali è una cosa che dipende dalle decisioni dell’esecutivo e può essere immediatamente annullata da una nuova amministrazione.”

(Traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Mancano meno di dieci giorni al Ramadan e le strade della Palestina sono irriconoscibili

Yumna Patel

16 aprile 2020 – Mondoweiss

Ogni anno i palestinesi di Gaza, Israele, Gerusalemme e della Cisgiordania si uniscono a milioni di musulmani di tutto il mondo nel celebrare il sacro mese islamico del Ramadan.

Per i palestinesi, questo periodo è non solo un intenso momento di devozione e preghiera, ma anche il momento per riunirsi con amici e familiari e osservare varie tradizioni.

Ma nel periodo in cui normalmente affollerebbero i mercati per fare la spesa e appenderebbero luminarie festose e altre decorazioni davanti alle loro case, le strade sono vuote e la solita frenesia in vista del Ramadan è stata sostituita da un’atmosfera triste.

Come in gran parte del resto del mondo, i palestinesi sono ancora in lockdown a causa del coronavirus che ha continuato a diffondersi in Israele e nei territori occupati costringendo la gente alla quarantena e al distanziamento sociale.

Dato che il Ramadan si incentra sulle riunioni, nelle moschee per pregare e intorno alla tavola per condividere il cibo con amici e familiari, i palestinesi e tutti i musulmani si trovano a far fronte ad un ennesimo problema a causa della pandemia.

Il sentimento che in questo momento provo io, e con me tutti i palestinesi, è di grande tristezza” dice a Mondoweiss Sheikh Abed al-Majid Amarna, 62anni, il muftì [autorità religiosa, ndtr.] del governatorato di Betlemme.

Quest’anno il Ramadan sarà molto diverso per tutti noi” sostiene Amarna. “Quindi dovremo trovare modi nuovi per adeguarci e celebrarlo comunque.”

I luoghi di preghiera restano chiusi

Quando agli inizi di marzo è iniziato il contagio a Betlemme, decine di moschee e chiese in città sono state chiuse, molte per la prima volta in decenni.

Finora tenere la gente lontana dalle moschee è stato relativamente facile, ma il mese del Ramadan di solito vede grande affluenza di devoti che vanno alle moschee a pregare insieme, dato che il Corano dice che la preghiera collettiva vale di più di quella fatta da soli.

La gente è molto triste per il fatto che il Ramadan stia per arrivare e che le moschee siano ancora chiuse” sostiene Amarna, aggiungendo di aver ricevuto negli ultimi giorni decine di chiamate dai fedeli che volevano sapere se la moschea sarebbe stata aperta durante il mese sacro.

Sono molto dispiaciuto, ma devo dir loro che probabilmente le moschee resteranno chiuse” afferma Amarna, aggiungendo che esse non sono solo luoghi di preghiera, ma anche posti dove la gente va per socializzare e passare del tempo insieme.”

Dall’altra parte del muro, nel territorio occupato di Gerusalemme est, Alaa Daya, 23 anni, studentessa di cinema, che vive nella Città Vecchia, si lamenta del fatto che la moschea di Al-Aqsa, il terzo luogo sacro per i musulmani che attrae migliaia di fedeli ogni giorno, ma specialmente durante il Ramadan, resterà invece chiusa.

Questa è la prima volta nella mia vita che la vedo chiusa ” dice Daya a Mondoweiss. “Spezza veramente il cuore.”

Questo è il momento dell’anno durante il quale le strade della Città Vecchia sono normalmente affollate di palestinesi provenienti da tutto il Paese e da altri musulmani di tutto il mondo che vengono qui, in questo luogo sacro, a passare il loro Ramadan, ” sostiene. “Ma ora sembra una città spettrale.”

Oltre a perdere le preghiere che attirano decine di migliaia di fedeli, Daya dice che lei e i suoi amici non vedevano l’ora di ritrovarsi insieme nel vasto cortile e negli spazi che circondano la moschea.

Le nostre case nella Città Vecchia sono veramente piccole e attaccate una all’altra, e così noi spesso ci ritroviamo intorno ad Al-Aqsa e passiamo del tempo insieme dopo le preghiere della sera” afferma. “Ma ora, per via del coronavirus, non potremo farlo. È veramente triste.”

Trovare modi nuovi per pregare

Nonostante le difficoltà causate dal lockdown, Sheikh Amarna e altri leader religiosi a Betlemme e in Palestina stanno cercando di adattarsi in modi nuovi per osservare anche quest’anno il Ramadan.

Stiamo facendo del nostro meglio per trovare modi nuovi e creativi per far sì che la gente senta comunque che sta vivendo al meglio questo mese,” dice Amarna a Mondoweiss.

Fra le nuove misure che i leader adotteranno ci sono le lezioni di storia islamica e di spiritualità, tradizionali durante il Ramadan, che verranno trasmesse sui canali televisivi e in streaming sui social.

Abbiamo aperto le nostre linee telefoniche e i canali social alla gente in modo che, se hanno domande durante questo mese o vogliono saperne di più dell’Islam, possono farlo guardando la TV e tramite i loro telefonini invece di andare in moschea.” dice Amarna.

Amarna ha anche incoraggiato i fedeli a recitare a casa e con le loro famiglie le preghiere rituali supplementari di tarawih che i musulmani recitano prima dell’alba e dopo quelle di isha [quinta preghiera giornaliera dei musulmani, ndtr.] solo durante il Ramadan.

Possono riunirsi con le loro famiglie, uno di loro può guidare la preghiera e ciò impartirà loro la stessa benedizione che avrebbero se pregassero in una moschea.” dice Amarna.

Si possono notare le differenze’

Oltre a trovare nuovi modi di devozione, i palestinesi saranno anche costretti ad adattare le loro abitudini culturali e sociali durante il Ramadan.

Waleed Da’na, 53 anni, un panettiere di Betlemme racconta a Mondoweiss che avrebbe potuto dire che quest’anno il Ramadan sarebbe stato diverso perché la gente non faceva o acquistava i qatayef, pancake ripieni di panna o noci speziate, dolci tipici del Ramadan.

Di solito in questo periodo dell’anno, poco prima del Ramadan, si poteva sentire il profumo di qatayef aleggiare per le strade. Ma dato che tutti sono chiusi in casa, abbiamo avuto solo pochissimi clienti.” afferma, aggiungendo che sia musulmani che cristiani aspettano tutto l’anno per godersi questi dolcetti tipici.

Il Ramadan ha qualcosa di speciale nel modo in cui facciamo le cose in Palestina,” dice Da’na.  “Si può veramente notare che quest’anno è diverso.”

Il Ramadan non è solo preghiera e celebrazioni, ma è anche un momento per riunirsi, condividere pasti e storie tutti insieme e riallacciare i rapporti. ” continua. “È veramente un momento speciale affinché le famiglie e i vicini si ritrovino.“

Da’na, Sheikh Amarna e Alaa Daya sperano che le famiglie approfittino del mese stando insieme, cercando di gustarselo per quanto possibile, date le difficili circostanze.

Anche se la gente celebra da sola nelle proprie case, spero che trascorrano un Ramadan felice e benedetto.”

(tradotto dall’inglese da Mirella Alessio)




L’apartheid al tempo del coronavirus

Yoav Haifawi

13 aprile 2020 – Mondoweiss

Devo dissentire dal dottor Azmi Bishara. Cercando di difendere l’ultima disastrosa risposta degli Stati capitalisti dell’Occidente alla pandemia, egli sostiene su “Arab 48” [app di notizie in arabo, ndtr.] che i governi non dovrebbero essere giudicati in base alla loro condotta durante le emergenze. Trovo che sia proprio il contrario. In molti casi abbiamo visto che in tempi normali un Paese se la può benissimo cavare senza un governo in carica. Ma una gravissima crisi mette brutalmente in evidenza molte cose sulla natura di ogni regime proprio nel momento in cui abbiamo disperatamente bisogno di un buon governo che ci protegga, e tutti ne stiamo prendendo atto.

L’“Economist” [noto settimanale di economia pubblicato a Londra, ndtr.] informa che negli Stati Uniti l’EPP (Equipaggiamento Protettivo Personale), salvavita importato dal governo (attraverso la FEMA [ente federale per la gestione delle emergenze]) è affidato a distributori privati perché ci guadagnino a spese della vita delle équipe mediche in prima linea. Abbiamo visto tutti i Paesi ricchi interrompere l’esportazione di prodotti sanitari essenziali e offrire più degli altri per accaparrarsi qualunque cosa sul mercato. Quando l’Italia era nel momento peggiore della crisi, la Germania ha vietato l’esportazione di forniture mediche, ma quando la Cina ha mandato l’equipaggiamento salvavita necessario i dirigenti dell’UE hanno messo in guardia che la Cina lo stava facendo “per fini propagandistici”.

Leggere le notizie locali sul coronavirus in Israele è una storia ancora diversa. Il regime israeliano di apartheid sta dimostrando di essere assurdamente anormale persino nel più abnorme dei momenti. Qui ci sono alcuni esempi strazianti su com’è l’apartheid ai tempi del coronavirus.

Pronti a morire come Sansone

Ci sono molte notizie su come ogni Stato e ogni istituzione sanitaria oggi stia cercando ogni opportunità per comprare EPP. La Turchia è uno dei principali produttori mondiali e uno dei pochi ancora disposti a venderli, nonostante l’epidemia sia in peggioramento sul fronte interno. Bloomberg [rete televisiva di notizie economiche, ndtr.] ha riferito che la Turchia stava fornendo equipaggiamento di protezione personale a Israele, compresi maschere chirurgiche, camici e guanti sterilizzati.

Giovedì 9 aprile tre aerei israeliani dovevano prelevare le forniture mediche da un aeroporto militare turco. Ma poi pare che la Turchia abbia chiesto che in cambio Israele consentisse il passaggio di pari quantità di aiuti turchi contro il coronavirus ai palestinesi.

Sia secondo “Times of Israel” [quotidiano israeliano in rete, ndtr.] che “Arab 48” pare che venerdì 10 aprile Israele abbia rifiutato di arrendersi al “terrorismo” turco e l’equipaggiamento non è stato fornito. Come disse l’eroico “Sansone”: “Che muoia io con i tutti i palestinesi…”

Poi ieri, 12 aprile, “Haaretz” [quotidiano israeliano di centro sinistra, ndtr.] ha informato in merito a nuovi negoziati tra Israele ed Hamas relativi a uno scambio di prigionieri. Hamas ha affermato di essere pronto ad arrivare a un compromesso rispetto alle sue precedenti condizioni per proteggere prigionieri palestinesi anziani e malati dal pericolo di soccombere al coronavirus in prigione. Ciò che è significativo per il nostro discorso è che, secondo “Haaretz”, i palestinesi intendono che parte dell’accordo sia che Israele fornisca alla Striscia di Gaza, tuttora assediata, un numero non specificato di ventilatori per curare i pazienti di coronavirus. Ciò che è ancora più significativo è che, secondo lo stesso articolo, fonti israeliane hanno negato (a parte ogni dettaglio riportato riguardo al previsto accordo) che potessero essere consegnati ventilatori a Gaza!

Il Mossad ruba EPP?

Molto tempo fa Yeshayahu Leibowitz [eminente intellettuale e religioso israeliano, ndtr.] ammonì che Israele sarebbe diventato uno “Stato dello Shabak” – in riferimento all’onnipotente “servizio della sicurezza generale” (GSS, Shabak [noto anche come Shin Bet, ndtr.]). Un articolo su Maariv [giornale israeliano di centro destra, ndtr.] del 27 luglio 2019 stimava che lo Shabak e il Mossad (il suo gemello, responsabile delle operazioni fuori dai confini nazionali) impieghino ognuno circa 7.000 persone e abbiano un bilancio che supera il miliardo di dollari. Mentre gli investimenti di Israele per la salute sono bassi rispetto ad altri Paesi dell’OCSE, esistono questi due mostri e si è deciso di utilizzarli per lottare contro la pandemia.

Iniziamo con il Mossad. Gli è stato affidato il compito di acquistare equipaggiamento sanitario. Secondo “the Marker” [quotidiano economico in lingua ebraica legato ad Haaretz, ndtr.] avrebbe chiesto una somma di 7 miliardi di shekel [1,8 miliardi di euro], ma per iniziare gliene sono stati dati 2,5 [640 milioni di euro]. Tuttavia non ha competenze professionali in campo medico, né esperienza particolare o infrastrutture tali da operare acquisti su larga scala e gestire procedure di importazione.

Il Mossas si è subito vantato di aver importato 100.000 test virologici da una fonte non specificata, solo per essere redarguito da un funzionario del ministero della Sanità che ha affermato che quelli non erano i test di cui c’era bisogno. Dopo che la critica è stata resa pubblica il funzionario si è affrettato a chiedere scusa, e il Mossad ha promesso di ricontrollare ciò che serve e di continuare la ricerca.

Il 6 aprile “Haaretz” ha riferito che il ministro della “Difesa” di Israele, Naftali Bennett, non ha negato, e di fatto ha implicitamente riconosciuto, che il Mossad ha rubato equipaggiamento medico da altri Paesi. Quando durante un’intervista alla radio militare gli è stato chiesto se il Mossad avesse rubato equipaggiamento sanitario relativo alla pandemia di coronavirus, Bennett ha risposto: “Non risponderò a questa domanda. Stiamo tutti operando in modo aggressivo e astuto.” (È stato riportato in inglese su Middle East Eye).

Non sorprende che il Mossad, specializzato in assassinii, spionaggio e ogni sorta di attività clandestine, faccia ricorso a metodi illegali nel suo nuovo ruolo. Ma ci si potrebbe aspettare che Bennett, che dovrebbe essere un uomo d’affari rispettabile, sia almeno sufficientemente astuto da negarlo. Tuttavia potrebbe avere una buona ragione per far credere all’opinione pubblica israeliana che il Mossad stia rubando per lei. Sulla stampa israeliana alcuni commentatori hanno affermato che dare miliardi di shekel a organismi segreti come il Mossad significa che non c’è alcun controllo su come i soldi vengano spesi. Ora, quando ci fossero delle domande in merito, Bennett potrebbe sussurrare “Shh…” e ammiccare: “Non vuoi mica svelare segreti di Stato.”

Inoltre Israele è abituato ad essere al di sopra delle leggi internazionali per tutti i suoi crimini di guerra, quindi perché dovrebbe temere di rubare equipaggiamento sanitario in giro per il mondo?

Sul ricevitore dello Shabak

Sul fronte interno, allo Shabak è stato assegnato il compito di identificare i percorsi delle persone infettate dal coronavirus e di informare quelli che sono stati in contatto perché si mettano in auto-isolamento. Per la prima volta è diventato di dominio pubblico che lo Shabak può tracciare (ora lo sta facendo in modo ufficiale) l’ubicazione di ogni persona, almeno finché la gente va in giro con il proprio cellulare.

Per i palestinesi, sia in Cisgiordania che all’interno della Linea Verde [cioè in Israele, ndtr.], i continui controlli da parte dello Shabak non sono una novità. Persino ad Haifa, il luogo più pacifico sotto l’apartheid israeliana, qualunque giovane palestinese può essere invitato senza alcuna ragione a “colloqui” indiscreti da parte di ufficiali dello Shabak. Per gli attivisti politici il governatore militare (sì, ci sono governatori militari da entrambi i lati della Linea Verde) può emanare un ordine di detenzione amministrativa in base a “prove” segrete dello Shabak, in modo che al detenuto o al suo avvocato non sia consentito neppure sapere di cosa sia accusato. Funzionari dello Shabak compaiono nei tribunali sotto falso nome e alla difesa non è permesso neppure vederne il volto. Le loro parole in tribunale sono considerate indiscutibili.

Appena lo Shabak ha iniziato a prendere di mira israeliani ebrei, certo senza mandarli in prigione ma solo in auto-isolamento, improvvisamente la stampa si è riempita di articoli sui suoi errori.

Una donna aveva fatto in modo che il marito, tornato dall’estero, stesse in auto-isolamento nella loro casa, mentre lei sarebbe rimasta con i genitori per poter continuare il suo lavoro. Ma dopo essere passata per strada nei pressi della sua casa per salutare il marito che era sul balcone a distanza di sicurezza, è stata messa anche lei in auto-isolamento. Un’altra donna ha preparato una torta per un vicino in isolamento e gliel’ha lasciata vicino alla porta chiusa. Anche lei è caduta nella rete dello Shabak. Altri si sono lamentati di non riuscire a capire perché gli sia stato detto di isolarsi, in quanto non gli è stato detto con chi e quando si sarebbero incontrati.

Persone la cui vita è stata improvvisamente sconvolta senza ragione hanno chiamato il ministero della Sanità e gli è stato risposto che non ne sapevano niente, è competenza dello Shabak. Gli hanno detto che “lo Shabak non sbaglia mai.”

Alcuni hanno tentato di chiamare direttamente lo Shabak ed hanno scoperto che non c’è modo di raggiungere il servizio segreto né di presentare ricorso contro le sue decisioni.

Un caso riportato in dettaglio è quello di un medico che aveva qualche sintomo e gli è stata fatta l’analisi del coronavirus. Il test è risultato negativo (nessun virus), ma a quanto pare è stato inserito un risultato sbagliato nel sistema. Subito tramite un messaggino sul telefono è stato ordinato ai suoi parenti, vicini e colleghi di auto-isolarsi. Persino lui, con rapporti con il sistema sanitario e con il certificato di test negativo in suo possesso, ha avuto molte difficoltà a convincere le autorità a riconsiderare la decisione. Solo dopo che i media hanno messo in evidenza l’assurdità della situazione il ministero della Sanità ha ammesso l’errore.

Ciò farà sì che ogni giudice israeliano ci pensi due volte prima di basarsi sulle “prove” segrete dello Shabak per mandare in galera un palestinese? C’è da dubitarne.

La polizia aggredisce abitanti palestinesi di Giaffa

Per le normali forze di polizia israeliane la dichiarazione del blocco totale del Paese è stata un’ulteriore opportunità per maltrattare i palestinesi. Non posso qui riportare le tante violenze in Cisgiordania, dove aggressioni generalizzate contro i palestinesi da parte di coloni e soldati sono già state riportate qui il 6 aprile. Quello che è meno noto è il grave attacco avvenuto l’1 e il 2 aprile contro i palestinesi di Giaffa, una città araba che è stata annessa a Tel Aviv ed ora è sottoposta a pesanti pressioni per “ebraicizzarla/ gentrizzarla”.

La popolazione araba di Giaffa è per lo più povera e marginalizzata, e i rapporti con la polizia erano tesi anche prima della pandemia. Quando è stato decretato il blocco totale, la polizia di Tel Aviv ha avuto l’opportunità di fare una dimostrazione di forza a Giaffa come non è mai stato fatto in nessun altro quartiere. Ha provocato due giorni di estesi scontri che sono continuati fino a notte inoltrata.

Non ho potuto andare a Giaffa, ma ho parlato per telefono con un attivista del posto ed ho sentito il racconto di prima mano su come tutto è accaduto. Il primo giorno, durante quella che avrebbe dovuto essere la messa in pratica del blocco, la polizia ha iniziato ad arrestare giovani del posto. Per quanto ho sentito, ciò che ha provocato di più gli abitanti è stato il fatto che la stessa polizia non abbia dimostrato alcuna intenzione di seguire le istruzioni contro l’infezione. Si spostavano in gruppi compatti, senza mascherine e colpivano la gente a mani nude. Una donna che ha cercato di proteggere suo figlio è stata gettata a terra, la sua testa ha battuto sull’asfalto ed ha iniziato a sanguinare. Le persone in tutto il quartiere scoppiavano di rabbia, non più disposte a sopportare.

Il secondo pomeriggio alcuni attivisti hanno iniziato una veglia silenziosa contro la violenza della polizia, cercando di mantenere il distanziamento sociale stabilito, rimanendo lontani. Benché l’ordine di chiusura totale consenta specificamente le manifestazioni, la polizia ha chiesto che i dimostranti si disperdessero e subito li ha attaccati. Poi la strada è stata chiusa e gli scontri sono ripresi.

Il terzo giorno è stata la stessa dirigenza locale palestinese che ha fatto di tutto per convincere gli attivisti e la popolazione in generale a rimanere in casa. Il pericolo di infezione era troppo grande, e la violenza della polizia e le proteste contro di essa contineranno probabilmente molto dopo la pandemia.

* * *

L’apartheid ha avvelenato le nostre vite per molti anni. È ancora più pericolosa in questi tempi difficili.

Yoav Haifawi è un attivista antisionista.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Un gruppo di pressione democratico filo-israeliano si attribuisce i meriti del ritiro di Sanders e della raccolta fondi per mantenere la piattaforma democratica favorevole a Israele

Michael Arria 

9 aprile, 2020 – Mondoweiss

Il gruppo di pressione Democratic Majority for Israel [Maggioranza Democratica Per Israele] (DMFI) stamattina ha inviato un’email in cui festeggia il ritiro di Bernie Sanders dalla corsa per le presidenziali e prepara i propri sostenitori alla battaglia per mantenere la piattaforma dei Democratici su posizioni pro-israeliane.

L’email, scritta da Mark Mellman, il presidente DMFI, si attribuisce in parte il merito per il ritiro di Sanders. “Bernie Sanders ha sospeso la sua campagna per la presidenza” ha scritto Mellman. “Questa è una grande vittoria a cui voi avete contribuito.”

Prima del caucus in Iowa a gennaio, il DMFI aveva condotto nello Stato una campagna pubblicitaria anti-Sanders, ma il senatore del Vermont aveva comunque vinto nel voto popolare. Il gruppo aveva speso più di 800.000 dollari in annunci pubblicitari e con ciò aveva aiutato Sanders a raccogliere 1,3 milioni di dollari in un solo giorno.

Mellman dichiara che la prossima battaglia della lobby riguarderà le linee programmatiche dei Democratici. “Gruppi estremisti allineati con Sanders, così come alcuni dei suoi principali surrogati, comprese le congressiste Rashida Tlaib e Ilhan Omar, hanno dichiarato pubblicamente il loro tentativo di spostare la piattaforma su posizioni anti-Israele” scrive. Mellman fa notare che, mentre alcuni sminuiscono l’importanza delle linee programmatiche di partito, il GOP (Grand Old Party = partito repubblicano) è diventato effettivamente un partito anti-aborto dopo la modifica della sua piattaforma nel 1976. “Da politico di carriera vi dico che se quest’anno i Democratici adottano una piattaforma anti-israeliana, il vocabolario, i punti di vista e i voti dei politici si sposteranno drammaticamente contro di noi” scrive Mellman. “Semplicemente non possiamo permetterci di perdere questa battaglia.”

Nel 2016, i membri della campagna a favore di Sanders hanno insistito perché si menzionasse la richiesta di porre fine all’occupazione e all’espansione degli insediamenti. Tale tentativo venne alla fine respinto dal comitato incaricato di redigere la piattaforma con un voto di 8 a 5. Comunque, la piattaforma ha incluso espressioni relative allo Stato palestinese.

Il DMFI è stato fondato nel 2019 con donazioni di Democratici e insider per contrastare una crescente simpatia dentro il partito verso i palestinesi. Il luglio scorso hanno mandato una lista di punti di discussione a favore di Israele per i candidati Democratici da usare se, durante le tappe della campagna, avessero dovuto affrontare attivisti anti-occupazione. Il gruppo ha più volte affermato che senatori come Sanders e Omar sono estranei alle opinioni più diffuse sull’argomento, ma ci sono molti sondaggi che indicano che i votanti democratici sono più a sinistra del proprio partito sul tema Israele/Palestina. Infatti un recente sondaggio dell’Università del Maryland mostra che quasi la metà dei votanti democratici a conoscenza del movimento del BDS [Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro Israele] lo sostiene.

Michael Arria

Michael Arria è il corrispondente di Mondoweiss dagli Stati Uniti.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Il punto di vista di un epidemiologo sul COVID-19 in Palestina

Rob Lipton

2 aprile 2020 Mondoweiss

In deroga al mio solito focus su Muzzlewatch sui tentativi di censurare il BDS e su altri punti di vista “pro-palestinesi” e anti-sionisti, indosso le vesti del mio lavoro quotidiano come epidemiologo socio- territoriale per parlare di alcuni aspetti della pandemia COVID-19, in via di diffusione in Paestina e Israele. Questo nell’ambito di un ciclo di interventi che seguirà gli effetti della pandemia in Israele e Palestina. Chiaramente, questo evento mondiale avrà ripercussioni di vasta portata e molto imprevedibili.

La prima cosa da capire è che ci troviamo nei primissimi giorni della pandemia. Al momento della stesura di questo articolo, ci sono 6.360 casi in Israele con 33 morti, mentre in Palestina 155 casi e 1 morto. Queste [cifre] cresceranno rapidamente su entrambi i lati della linea verde. Ovviamente la Cisgiordania, prosciugata delle sue risorse, e Gaza, prigione a cielo aperto, sono a gravissimo rischio, come in questa sede è stato a lungo ribadito – ma, come è ovvio, i confini non sono qualcosa che il COVID-19 riconosca.

Il problema più importante riguarda la capacità di assistenza sanitaria, e la Palestina semplicemente non ha le risorse per affrontare alcun genere di forte impennata nelle cure di emergenza, le cure intensive e le cure post ricovero. Al momento della stesura di questo articolo la maggior parte dei casi gravi e dei decessi riguardano la popolazione più anziana e, a questo proposito, la piramide delle età in Cisgiordania e Gaza potrebbe essere effettivamente favorevole. Rispetto all’età della popolazione israeliana possiamo rilevare che ci sono molti più giovani in Palestina. Al momento, le persone anziane sono più a rischio di malattie gravi e decessi rispetto alle più giovani (anche se sembra che, negli Stati Uniti, anche gli adulti relativamente più giovani, di età compresa tra 25 e 44 anni, siano a rischio di ricovero). D’altra parte, sebbene i giovani possano contrarre una malattia lieve o essere asintomatici, queste persone risultano comunque contagiose. Non sappiamo con precisione cosa questo implicherà col procedere della pandemia.

Il problema più consistente, tuttavia, riguarda i confini artificiali e il controllo micro-territoriale dei movimenti dei palestinesi. L’impossibilità per i palestinesi, già abbastanza grave in tempi “normali”, di suddividere le risorse sanitarie in base alle necessità, di organizzare correttamente la popolazione in base alle esigenze di distanziamento sociale e di una razionale quarantena e di tracciare e testare correttamente le persone, prevedibilmente comporterà molti più casi di malattie gravi e di morti, al di là di ciò che potrebbe accadere in uno scenario meno ad ostacoli. Se Israele imporrà un duro coprifuoco / quarantena alla Palestina, simile a quello del 2002 durante la seconda Intifada, diventerà estremamente difficile rispondere alla pandemia in crescita, fino al punto di vietare la libertà di movimento di ambulanze e operatori di Pronto Soccorso.

Una popolazione segregata, che sia per la porosità dei confini della Cisgiordania che per il contesto carcerario di Gaza, fa sì che il coronavirus sarà molto più grave per i palestinesi e lo stesso per gli israeliani, perché ci sarà un enorme serbatoio di infezione facilmente travasabile tra popolazioni contigue. La struttura a patchwork della Cisgiordania implica che sarà davvero difficile mantenere un effettivo isolamento in quanto palestinesi e israeliani vivono essenzialmente fianco a fianco. Questa situazione sarà aggravata dalla mancanza, in Palestina, di risorse sanitarie disponibili. Le malattie gravi dei palestinesi sono spesso curate in Israele e possiamo facilmente immaginare una situazione di quarantena “stretta” che impedisca tale assistenza sanitaria. Inoltre, se il sistema sanitario israeliano risultasse sovraccarico, ci sarebbero ancora minori possibilità per tutte le persone in Israele e in Palestina.

Rob Lipton è membro di lunga data di Jewish Voice for Peace, ha scritto per il Muzzlewatch di JVP, è stato membro dell’ISM [Movimento Internazionale di Solidarietà, ONG impegnata nel sostegno della causa palestinese, ndtr.] ed è stato il direttore di FAIR [organizzazione che monitora le notizie dei media degli Stati Uniti per “inesattezza, pregiudizi, e la censura”, ndtr.] di Los Angeles durante la prima guerra del Golfo. È poeta laureato a Richmond, California e epidemiologo territoriale.

(traduzione dall’inglese di Aldo lotta)

 

 




‘Una grandissima e tempestiva vittoria per il BDS: Microsoft disinveste da AnyVision, l’azienda israeliana di riconoscimento facciale

Michael Arria 

30 marzo 2020  Mondoweiss

Microsoft ha annunciato che sta disinvestendo la propria quota in AnyVision, la società israeliana di riconoscimento facciale. La decisione fa seguito a un controllo imposto da una campagna del BDS [Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni, ndtr.] che l‘aveva presa di mira. Gli attivisti dicono che la tecnologia di riconoscimento facciale di AnyVisionè usata per sorvegliare i palestinesi in Cisgiordania.

Dopo che il giugno scorso Microsoft aveva investito nell’azienda, NBC News [canale televisivo USA di notizie, ndtr.] aveva riferito che AnyVision “gestiva un progetto segreto di sorveglianza militare” in Palestina. “Il riconoscimento facciale è probabilmente il mezzo migliore per un completo controllo governativo degli spazi pubblici e quindi dobbiamo trattarlo con estrema cautela” aveva detto all’epoca Shankar Narayan di ACLU [American Civil Liberties Union, Ong per la difesa dei diritti civili e delle libertà individuali negli Stati Uniti, ndtr.]. Quando NBC ha contattato Eylon Etshtein, l’AD di AnyVision, per il servizio, ha negato di essere a conoscenza del progetto, sottolineando che la Cisgiordania non è occupata e insinuando che il reportage fosse finanziato da un gruppo di attivisti palestinesi.

Durante l’estate del 2019, Jewish Voice for Peace [Voce Ebraica per la Pace, associazione ebraica USA contraria antisionista, ndtr.] ha lanciato la campagna #DropAnyVision, chiedendo a Microsoft di abbandonare l’azienda. Quest’anno si sono uniti i gruppi MPower Change [organizzazione in rete di musulmani statunitensi, ndtr.] e SumofUs [Ong USA che promuove campagne di sensibilizzazione e responsabilizzazione su vari temi, ndtr.] per lanciare una petizione. Oltre 75.000 persone l’hanno firmata ed è stata consegnata nella sede dell’azienda da militanti e dipendenti della Microsoft.

A novembre 2019, Microsoft aveva assunto Eric Holder, l’ex Procuratore Generale degli Stati Uniti (e il suo team dello studio legale internazionale Covington & Burling) per condurre un’indagine indipendente sulla AnyVision per determinare se le pratiche della ditta fossero in linea con i principi etici di Microsoft. Si era concluso che la tecnologia era usata nei posti di blocco dei varchi di frontiera, ma che la compagnia “al momento non gestiva quel programma di sorveglianza di massa in Cisgiordania di cui si parlava nei reportage dei media.”

Ciononostante, Microsoft ha deciso di separarsi da AnyVision. “Dopo un’attenta analisi, Microsoft e AnyVision hanno deciso che è nell’interesse di entrambe che Microsoft disinvesta la propria quota in AnyVision”, ha affermato in un comunicato. “L’audit ha confermato la difficoltà per Microsoft di essere un investitore di minoranza in una ditta che vende tecnologia sensibile, dato che tali investimenti generalmente non permettono il livello di supervisione o controllo che Microsoft esercita sull’uso delle proprie tecnologie.”

La decisione di Microsoft di lasciare AnyVision è un bruttissimo colpo per questa startup israeliana profondamente implicata [nella repressione israeliana] e un successo per la grandiosa campagna del BDS guidata da Jewish Voice for Peace” ha detto in un comunicato Omar Barghouti, il co-fondatore di BDS. “Grazie alla complicità di molte corporazioni come AnyVision e nonostante la minaccia del coronavirus, i crimini di guerra di Israele contro i palestinesi continuano e quindi non possono che continuare anche la nostra resistenza e la nostra lotta per libertà, giustizia e uguaglianza.”

La decisione di Microsoft di accogliere la richiesta della campagna e abbandonare AnyVision, l’azienda israeliana di sorveglianza, è una grandissima e tempestiva vittoria per il BDS” ha twittato l’account ufficiale del Comitato Nazionale del BDS palestinese (BNC).

La decisione di Microsoft di disinvestire da AnyVision è una vittoria importante dei militanti per la giustizia tecnologica e per la comunità internazionale solidale con i palestinesi.”, ha detto Lau Barrios, manager della campagna MPower Change. Questa decisione di Microsoft, leader globale del settore del software, rafforza la nostra convinzione che non ci si possa fidare di governo, polizia e forze armate e del loro uso della sorveglianza tecnologica come quella del riconoscimento facciale che è sempre di più utilizzata negli USA e in tutto il mondo per monitorare, sorvegliare e criminalizzare ulteriormente neri, immigrati, palestinesi e comunità musulmane.”

Michael Arria

Michael Arria è il corrispondente di Mondoweiss dagli Stati Uniti.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Netanyahu per sempre! Gantz abbandona la sua opposizione

Philip Weiss  

26 marzo 2020 – Mondoweiss

Questa mattina c’è una notizia straordinaria da Israele. Lo stallo politico del Paese durato un anno sembra essere stato superato. Il leader dell’opposizione politica a Netanyahu dell’ultimo anno, Benny Gantz, si è piegato ed ha unito le forze con Netanyahu per fare un governo che lo avrà ancora come primo ministro.

Secondo le notizie, Gantz sta rompendo la sua alleanza “Blu e Bianco” di tre fazioni di centro-destra e aggiungendo 15 seggi al blocco di 58 o 59 seggi di Netanyahu per creare una maggioranza forte.

“Benjamin Netanyahu sarà primo ministro…Benny Gantz sarà ministro degli Esteri,” afferma Ellie Hochenberg di i24 News [rete televisiva privata israeliana filogovernativa, ndtr.]. Sostiene che Netanyahu, a differenza di Gantz, è rimasto leale alla sua base e ai suoi alleati politici di destra.

Netanyahu è già il primo ministro di Israele più a lungo in carica, con quattro mandati e 14 anni, di cui 11 di fila dal 2009. È stato salvato dal suo ex- capo di stato maggiore dell’esercito – il generale Gantz ha colpito Gaza nel 2014 [operazione “Margine protettivo”, ndtr.] uccidendo più di 500 minorenni.

Netanyahu sembra essere stato salvato da due fattori: la crisi del coronavirus si sta aggravando in Israele e rendendo gli israeliani poco disposti a sostituirlo, nonostante il fatto che sia accusato di corruzione e debba essere processato, e il palese razzismo.

Solo una settimana fa, più o meno, sembrava che Gantz stesse per cacciare Netanyahu. Ma poi il razzismo ha bloccato ogni speranza di farlo. [La coalizione] “Blu e Bianco” (33 seggi), insieme al partito di destra di Avigdor Lieberman (7 seggi), i resti della sinistra israeliana (7 seggi) e la Lista Unita palestinese (15 seggi), si era impegnata a formare una maggioranza e a mettere al tappeto Netanyahu. I palestinesi non avrebbero fatto parte del governo che ne sarebbe sorto, però è così che funziona uno Stato ebraico.

Poi sono iniziate le defezioni: tre parlamentari della destra ebraica si sono rifiutati di lavorare con i loro colleghi palestinesi persino temporaneamente. Gantz è passato da 62 a 59. Ancora una volta lui e Netanyahu erano praticamente in un vicolo cieco e ci sono stati colloqui per una quarta tornata elettorale, dopo le tre nell’ultimo anno (dall’aprile 2019 al 2 marzo 2020).

Il nuovo governo non è ufficiale: quello che è ufficiale è che Benny Gantz sta per diventare presidente della Knesset, sostituendo l’alleato di Netanyahu Yuli Edelstein e riaprendo il parlamento, che era stato chiuso. “La mossa dovrebbe essere temporanea finché verrà formato un governo di unità nazionale,” scrive Lahav Harkov sul Jerusalem Post [giornale israeliano in inglese, ndtr.].

L’iniziativa di Gantz tradisce molti dei suoi alleati. Il leader politico palestinese Ahmad Tibi ha detto che i parlamentari palestinesi voteranno contro Gantz.

Un altro dirigente palestinese, Ayman Odeh, ha scritto acidamente (traduzione di google dall’ebraico): “Non perdono mai un’occasione per perdere un’occasione,” una battuta sulla falsariga di quella di Abba Eban, secondo il quale gli arabi non perdono mai simili opportunità.

La sinistra ebraica è stata totalmente screditata da questi avvenimenti. Ha giocato una parte nel portare in auge ed elogiare Gantz. Uno di loro ha rifiutato di votare per Gantz se i palestinesi avessero fatto parte della coalizione.

Tibi ha scritto alla CNN che la Lista Unita è la vera opposizione al governo di destra israeliano. Ma Harkov afferma che ci sarà una lotta politica per il ruolo di opposizione tra la Lista Unita e i resti dell’alleanza “Blu e Bianco” – i circa 18 seggi dei partiti di destra di Moshe Ya’alon e di Yair Lapid. Raviv Drucker [noto giornalista investigativo israeliano ostile a Netanyahu, ndtr.] sostiene che il partito di destra di Moshe Ya’alon guiderà l’opposizione. Alcuni osservatori dicono che Gantz sarà giocato dal mago della politica, Netanyahu.

“Con 15 seggi Benny Gantz è completamente nelle mani di Netanyahu. Non sarebbe sorprendente se le promesse di Netanyahu iniziassero a svanire ora che ha ottenuto il suo principale obiettivo – è riuscito a smantellare ‘Blu e Bianco’,” ritiene Raviv Drucker. Chemi Shalev di Haaretz ha la stessa opinione (traduzione di google): “Se fossi Bibi, un minuto dopo che Gantz ha prestato giuramento (come presidente del parlamento), romperei l’accordo per l’unità. [Netanyahu] ha schiacciato l’opposizione senza pagare un centesimo.”

Shalev paragona Gantz a un vice-cancelliere tedesco di breve durata, Franz von Papen, che consentì ad Hitler di arrivare alla cancelleria nel 1933. Chi ha detto che le metafore sul nazismo sono illegittime riguardo a Israele? Ancora Shalev (traduttore google): “Inconcepibile…Come se il coronavirus non fosse abbastanza, Gantz è arrivato e l’ha fatta sulla testa di metà dei civili. C’è di che essere sollevati?”

Shalev dice anche che “gli unici voti sicuri contro Netanyahu saranno quelli di Lieberman e della Lista Unita.” Un altro segno che nell’epoca di Netanyahu la sinistra ebraica è ridotta a brandelli, mentre la Lista Unita è l’unica a cui la sinistra in Israele si può rivolgere. E nella crisi sta assurgendo al ruolo di guida.

Arabi ed ebrei lottano insieme contro il coronavirus, ma gli ebrei non vogliono i palestinesi in politica, scrive Odeh: “Garantisco che, che siate arabi o ebrei, che abbiate votato per noi o meno, che vi abbiano fatti uscire dall’URSS, ridotto lo stipendio o licenziato, avete un punto di riferimento nella Knesset. Siamo qui per voi.”

Philip Weiss è caporedattore di Mondoweiss e fondatore del sito nel 2005-06.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Trattenendo il respiro a Betlemme mentre la primavera ci passa accanto

Yumna Patel  

24 marzo 2020 – Mondoweiss

È difficile resistere al richiamo della primavera palestinese, che mi attrae alla finestra con raggi di sole, una fresca brezza e gli uccelli che cinguettano.

La fine di marzo e l’inizio di aprile sono spesso visti come la stagione più bella in Palestina.

Sui mandorli fioriscono i pallidi fiori rosa e le foglie verde scuro dei fichi iniziano a svettare dopo un inverno particolarmente freddo.

È un periodo in cui la maggior parte dei palestinesi di Betlemme si radunerebbe con la famiglia e gli amici e si dirigerebbe sulla cima delle colline di Beit Jala, i ventosi sentieri della valle al- Makhrour e gli antichi terrazzamenti di Battir.

Ma quest’anno gli abitanti della piccola città di Betlemme rimpiangono il passaggio della primavera in quarantena, mentre il blocco totale della città entra nella sua quarta settimana.

Il piccolo assaggio della primavera che possono ritrovare dovrà essere assaporato da dentro le loro case, da un balcone o, se sono fortunati, in un giardino di famiglia.

Il numero di casi di coronavirus in Palestina ha raggiunto i 60 – 58 nella Cisgiordania occupata e 2 nella Striscia di Gaza.

La grande maggioranza dei casi, circa 40, rimane a Betlemme, l’epicentro dell’epidemia in Palestina.

La scorsa settimana abbiamo ricevuto qualche buona notizia molto attesa, quando il ministero della Salute ha annunciato che 17 dei primi pazienti di COVID-19 di Betlemme sono convalescenti.

In seguito ci è stato detto che uno dei 17 a quanto pare ha avuto una ricaduta ed è risultato positivo al virus dopo essere stato dimesso. Un piccolo incidente di percorso. La cosa importante è stata che pare che siamo riusciti con successo ad “appiattire la curva” [dei contagi].

È stato sorprendente vedere una società così profondamente caratterizzata da legami comunitari e da interazioni sociali, praticare così bene il concetto di distanziamento sociale.

A Betlemme per lo più la gente ha seguito gli ordini del governo di stare a casa, uscendo solo per ragioni indispensabili, come andare dal dottore o comprare alimenti.

Le attività economiche sono rimaste chiuse, la polizia ha incrementato i posti di blocco attorno alla città ed è stato imposto e, per quanto ne sappiamo, rispettato il coprifuoco dalle 7 del mattino alle 7 di sera.

Mentre le moschee e le chiese una volta affollate sono vuote, il richiamo musulmano alla preghiera risuona ancora in città – solo che ora con una piccola modifica. Invece di chiamare la gente a radunarsi nella moschea per pregare, ai fedeli viene detto di starsene a casa.

Ogni due o tre giorni lavoratori della difesa civile o delle amministrazioni locali vengono a disinfettare diversi quartieri in tutta la città e il ministero della Salute fornisce alla gente dati significativi sulla diffusione del virus.

A Betlemme si spera che le rigide misure di contenimento che sono state attuate quando tre settimane fa il primo test è risultato positivo faranno in modo che la città possa essere liberata del virus prima del resto del Paese.

Questa speranza tuttavia non annulla il vero timore che circonda il fatto che il virus si stia diffondendo in altri luoghi della Cisgiordania: finora Hebron, Ramallah, Nablus e Tulkarem.

Saranno in grado le autorità di questi altri governatorati, alcuni dei quali sono grandi il doppio o il triplo di Betlemme, di mettere in atto le stesse misure di contenimento che hanno preso quelle di Betlemme?

I cittadini palestinesi che stavano vivendo e studiando all’estero stanno lentamente ritornando nel Paese, suscitando timori che in questo modo il virus si possa diffondere.

Martedì il governo ha annunciato che una donna palestinese che recentemente era tornata dagli USA è risultata positiva al test per il virus ed è stata messa in quarantena a Ramallah.

Sette studenti palestinesi che stavano studiando in Italia in coordinamento tra l’Autorità Nazionale Palestinese e il governo israeliano sono stati portati in Israele e sarebbero immediatamente stati messi in quarantena e testati per il virus.

E mentre la percezione generale dell’ANP durante questo periodo è prevalentemente positiva, l’efficienza della sua organizzazione recentemente è stata messa in dubbio dopo un video scioccante diffuso sulle reti sociali che ha mostrato un lavoratore palestinese gettato dalle forze israeliane dall’altra parte di un posto di blocco in Cisgiordania, dopo che l’uomo ha iniziato a manifestare sintomi del virus.

L’ANP ha promesso ai lavoratori e alle loro famiglie che da parte dei loro datori di lavoro [israeliani] gli sarebbero state fornite sistemazioni adeguate per il mese o due in cui saranno obbligati a rimanere in Israele, nel caso scelgano di andarvi a lavorare la scorsa settimana.

Ha anche promesso alla cittadinanza in generale che il ritorno di tutti i lavoratori sarà fatto in stretto coordinamento con il governo israeliano e che chiunque sarà immediatamente messo in quarantena al suo ritorno.

Ma se Israele continua a scaricare al di là del confine i lavoratori ogni volta che sono malati, senza avvertire in precedenza i funzionari dell’ANP, come potrebbe il governo gestire la situazione?

Per molti palestinesi la decisione del governo di consentire ai lavoratori di andare in Israele, dove i casi sono oltre i 1.000, è stato un grave errore e nelle prossime settimane potrebbe dimostrarsi una spina nel fianco dell’ANP, sia riguardo gli sforzi di contenimento e nei termini della salvaguardia dell’ordine pubblico.

In fin dei conti i palestinesi sono tutti consapevoli del fatto che il loro sistema sanitario non può affrontare neppure la più piccola epidemia, soprattutto a Gaza, dove ci sono solo 62 ventilatori in tutto il territorio, che ospita più di 2 milioni di abitanti.

Mentre stiamo per entrare nella quarta settimana di quarantena, le persone stanno trattenendo il respiro per vedere se, in qualche modo, riescono a evitare il disastro che sta dilagando in tutto il resto del mondo.

Yumna Patel è la corrispondente di Mondoweiss dalla Palestina.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




L’UNRWA chiede all’amministrazione Trump di ripristinare i finanziamenti in quanto si trova in prima linea nella crisi COVID-19 in Palestina

Michael Arria

24 marzo 2020 Mondoweiss

L’amministrazione Trump taglia tutti i finanziamenti all’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e il Lavoro per i Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente). Oltre cinque milioni di persone nella regione dipendono dall’organizzazione per i servizi sociali, ma ora il suo lavoro è diventato veramente cruciale in seguito alla crisi da COVID-19.

A settembre 2018 Yumna Patel di Mondoweiss ha prodotto un video che evidenzia l’impatto potenzialmente devastante dei tagli.

La scorsa settimana la direttrice esecutiva dell’UNRWA Mara Kronenfeld ha sottoposto una deposizione al Sottocomitato per gli Stanziamenti Abitativi presso lo Stato, Operazioni Estere e Programmi Connessi, chiedendo al Congresso di annullare la decisione del 2018 dell’amministrazione Trump. “Abbiamo ora i 144 centri di salute dell’Agenzia in prima linea nella lotta contro una pandemia globale”, si legge nella deposizione di Kronenfield. “L’Agenzia ha già richiesto agli Stati donatori un’ulteriore cifra di 14 milioni di dollari per far fronte alla crisi. L’UNRWA sta cercando altri finanziamenti per garantire che nelle strutture UNRWA siano disponibili adeguate misure di prevenzione e risposta, soprattutto in quelle sanitarie ed educative.”

Kronenfeld ha citato anche il vice Commissario Generale dell’UNRWA Christian Saunders riguardo alla catastrofica situazione economica dell’organizzazione. L’UNRWA ha iniziato l’anno con 55 milioni di dollari di debito e non è riuscita a ottenere i finanziamenti necessari. “Se non riceviamo altre garanzie o se coloro che hanno assunto degli impegni non li onorano, alla fine del mese prossimo resteremo senza denaro”, ha detto Saunders. “A questo punto non vedo come le necessità dei rifugiati palestinesi possano essere soddisfatte quest’anno, se gli aiuti rimangono fermi ai livelli del 2019; i nostri programmi principali, portati avanti a Gaza, in Giordania, Libano, Siria e Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, si bloccheranno.”

Sabato scorso i funzionari della sanità palestinesi hanno comunicato che due persone a Gaza sono risultate positive al test del COVID-19. Questa notizia naturalmente ha aumentato l’ansia nella regione, dato che il blocco israeliano già vieta che molte risorse essenziali arrivino nella zona. Medhat Abbas, direttore generale della medicina di base a Gaza, ha detto a The Guardian che attualmente dispongono di 40 posti letto di terapia intensiva e ne avrebbero solo 100 perfino in condizioni di emergenza. “Possiamo occuparci dei casi attuali e in numero limitato, ma se la pandemia aumenta, come è accaduto in alcuni Paesi, avremo bisogno di interventi internazionali”, ha detto.

Per settimane abbiamo detto allo staff dell’UNRWA di Gaza che dobbiamo agire come se il COVID-19 fosse presente”, ha twittato il direttore dell’UNRWA di Gaza Matthias Schmale. “Dopo l’annuncio (di ieri) dei due casi esogeni, la linea ora è di comportarci come se ci fosse un pieno scoppio dell’epidemia ed un severo coprifuoco. Meglio essere preparati che piangere! Cercheremo di mantenere i servizi salvavita.”

Michael Arria è il corrispondente USA per Mondoweiss

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Messaggio da Betlemme: un barlume di speranza dopo due settimane di blocco

Yumna Patel –

20 marzo 2020 https://mondoweiss.net/

Questo è il primo di una serie bisettimanale di articoli che saranno inviati dalla nostra corrispondente palestinese Yumna Patel che vive a Betlemme, epicentro dell’epidemia di coronavirus in Palestina. Mentre la crisi continua ad acuirsi, Yumna ci dà un quadro della vita quotidiana in città, delle emozioni della gente, dei pensieri e delle paure delle persone.

Le ultime due settimane sono state una girandola di emozioni per il popolo di Betlemme. Sono passati 15 giorni da quando è stato dichiarato lo stato di emergenza e la città è stata messa sotto chiave, dopo la conferma di quattro casi di coronavirus.

Da allora, il numero di persone in strada è costantemente diminuito, il numero di casi confermati ha continuato a salire, sebbene più lentamente rispetto al rapido peggioramento dall’altra parte del muro.

Inutile dire che le persone hanno paura. Non esiste una sola conversazione in cui “corona virus” non sia menzionato nei primi cinque secondi.

Ma, nonostante il blocco e le maggiori restrizioni ai movimenti in tutta la città, c’era un’aria di ottimismo. Nella maggior parte, le persone erano contente del grado di successo con cui l’ANP sembrava affrontare la situazione.

Con chiunque parlassi, sosteneva con orgoglio che la Palestina era il “secondo miglior Paese” dopo la Cina nell’affrontare e rispondere rapidamente al coronavirus. Dopo numerose ricerche su Google, devo ancora trovare conferma di questo.

Che fosse corretta o no, l’opinione espressa da questa voce ha chiaramente avuto un effetto positivo sulle persone.

Dopotutto, nel corso di due settimane abbiamo ancora meno di 50 casi confermati, rispetto ai 500 di Israele.

La maggior parte dei negozi è rimasta chiusa, ad eccezione dei mercati di generi alimentari, e le persone sono rimaste nelle loro case. Pur appartenendo ad una cultura profondamente radicata nei legami di socializzazione e di comunità, le persone hanno messo in pratica il “distanziamento sociale” relativamente bene.

Nonostante nella maggior parte della città – che vive di turismo e del lavoro in Israele – non si lavori, le persone hanno eseguito gli ordini del governo con poche resistenze.

Ma appena è sembrato che potessimo uscire da questo pasticcio prima di quanto ipotizzato, mercoledì sera è invece parso che le cose peggiorassero.

Betlemme e le città vicine, Beit Sahour e Beit Jala, sono state messe in totale isolamento. Ad eccezione di giornalisti, funzionari della sanità e della sicurezza e speciali casi umanitari, a nessuno sarebbe stato permesso di lasciare la propria casa. Chiunque fosse stato sorpreso a violare il blocco sarebbe stato passibile di una multa.

Chiunque fosse stato trovato a violare un autoisolamento o un ordine di quarantena, sarebbe stato multato fino a 1.000 dinari giordani [1.312 €].

Le misure più rigide sono arrivate quando si è scoperto che le persone sospette di avere il virus avevano ignorato l’ordine di quarantena e negli ultimi giorni si erano mosse in giro per la città.

Dopo la notizia del blocco, la città è arrivata al massimo affollamento da settimane, tutti ci siamo precipitati nei negozi per fare scorta di cibo e provviste, non sapendo quando saremmo stati in grado di farlo di nuovo.

Nel campo profughi in cui vivo, i volontari dei centri locali distribuivano sacchi di prodotti e altri generi di prima necessità alle famiglie con situazioni finanziarie particolarmente difficili.

Nonostante il panico, le scene sono state molto più civili di quelle che vedevamo negli Stati Uniti. Gli scaffali erano ben forniti, anche di carta igienica, e nessuno sembrava fare incetta. Le persone stavano comprando ciò di cui avevano bisogno.

Quando i vicini si incontravano, reprimevano la tentazione di stringersi la mano e scambiarsi il tradizionale bacio sulla guancia, optando invece per un sorriso e una mano sul cuore.

Mentre le persone riempivano i loro carrelli di cose essenziali come farina, olio, sale e vari prodotti per l’igiene, c’era un senso di frustrazione tra gli acquirenti: a causa della trascuratezza di alcune persone, l’intera città soffriva più di quanto non avessimo già sofferto.

Nei supermercati si sentivano chiacchiere sull'”egoismo” delle persone che violavano la quarantena e voci su quanto tempo sarebbe durato il nuovo blocco.

Ora più che mai le persone sembravano davvero capire e preoccuparsene quanto le loro azioni potessero influenzare la vita di chi li circonda.

Tutti quelli che conosco, me compresa, siamo rimasti incollati ai notiziari a tutte le ore del giorno e della notte. Non è facile cancellare il turbamento e l’ansia che ne derivano.

Vedere i sistemi sanitari di alcuni dei Paesi più ricchi del mondo sull’orlo del collasso rende ancora più difficile liberarsi del pensiero di cosa accadrebbe se l’epidemia si acuisse in un luogo come la Palestina.

Di certo ospedali già poco attrezzati e scarsamente finanziati non sarebbero in grado di sostenere nemmeno una parte di ciò che stanno affrontando Paesi come l’Italia. Se questo sforzo iniziale di contenimento fallisse, potrebbe portare al disastro per il sistema sanitario, l’economia e il popolo palestinesi.

Ma proprio quando i sentimenti di paura e frustrazione sembravano sopraffarci, venerdì abbiamo ricevuto qualche buona notizia.

Diciassette fra i primi pazienti infettati dal COVID-19, che erano stati messi in quarantena presso l’Angel Hotel di Beit Jala e il Paradise Hotel di Betlemme, sono ufficialmente in fase di recupero, riducendo il numero dei casi confermati a 31.

Video di pazienti sorridenti che agitano le mani mentre lasciano l’hotel sono stati fatti circolare sui social media, facendoci sorridere e restituendo un senso di speranza in città.

Sarà una lunga strada da percorrere, ma potremmo farcela.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)