Il mondo universitario israeliano si unisce alla repressione contro il dissenso

Mariam Farah 

3 dicembre 2023 – +972 magazine

Dal 7 ottobre nelle università israeliane gli studenti e i docenti palestinesi ed ebrei di sinistra sono stati sospesi, arrestati e intimiditi per le loro opinioni

L’8 ottobre, il giorno dopo che Hamas aveva lanciato un attacco di sorpresa su vasta scala nel sud di Israele, Bayan Khatib ha postato su Instagram un video in cui si vedeva una padella di shakshuka [uova al tegamino con pomodoro, ndt.] che aveva preparato. La ventitreenne palestinese con cittadinanza israeliana, studentessa dell’Istituto Technion di Haifa e per sua stessa ammissione pessima cuoca, ha orgogliosamente sottotitolato il post “Presto mangeremo shakshuka della vittoria,” insieme all’emoticon di una bandiera palestinese.

Interpretando l’uso della bandiera palestinese e la parola “vittoria” come un indicatore del sostegno ad Hamas, i compagni di università di Khatib hanno fatto circolare il post e chiesto che venisse punita sia dall’università che dalle autorità statali.

Le denunce sono state prese sul serio. Il 25 ottobre Khatib è stata arrestata per sospetto incitamento. Ha passato una notte in carcere, condividendo una cella per quattro persone con altre otto donne palestinesi, tutte arrestate dopo che colleghi ebrei israeliani le avevano denunciate alla polizia per sedizione. Il giorno dopo Khatib è stata inviata agli arresti domiciliari.

Una denuncia contro Khatib era stata presentata anche al Technion. La discussione sul suo caso si è tenuta il 9 novembre. Pur avendo chiesto assistenza a docenti dell’università via mail e telefonate, Khatib afferma di non aver ricevuto risposta. È stata sospesa dagli studi sebbene i procedimenti disciplinari nei suoi confronti siano in corso.

Khatid dice a +972 di non essersi mai sentita così a rischio come ora per la sua identità. “Solo essere palestinese e aver esibito simboli della mia origine è diventato causa di sospetto, facendomi sentire intrinsecamente colpevole,” afferma. “Le accuse contro di me sono assurde, solo in base a un video con la shakshuka.”

Studenti e professori palestinesi subiscono da molto tempo razzismo, discriminazioni e soprusi nelle università e nei college israeliani, ma le settimane successive al 7 ottobre hanno visto un significativo aumento dei casi. La repressione della libertà di espressione da parte delle autorità israeliane, che colpisce anche gli ebrei israeliani di sinistra, ha creato un’atmosfera di timore che intende far tacere ogni dissenso per i continui bombardamenti dell’esercito israeliano contro la Striscia di Gaza.

Secondo l’Unione degli Studenti Arabi, dal 7 ottobre circa 160 palestinesi che studiano nelle università e nei college israeliani hanno subito procedimenti disciplinari con l’accusa di sostenere il terrorismo, organizzazioni terroristiche o di incitare al terrorismo.

Nel contempo Adalah, centro legale palestinese con sede ad Haifa, informa di essere stato contattato in questo periodo da 113 studenti arabi e 33 diverse istituzioni accademiche israeliane per chiedere assistenza giuridica. Adalah inoltre nota che in circa metà dei casi di cui è a conoscenza alcuni studenti sono stati temporaneamente sospesi ancor prima che iniziassero i procedimenti disciplinari; in 8 casi gli studenti sono stati espulsi senza una discussione del caso.

L’Unione informa che studenti arabi sono stati arrestati semplicemente per aver scritto o “apprezzato” post innocui sulle reti sociali. Per esempio, secondo l’Unione l’arresto di quattro studenti al college della Galilea occidentale il 19 novembre è avvenuto in modo particolarmente “crudele”, con l’intenzione di umiliarli e perpetrare una politica di intimidazioni.

Forse ancora più allarmanti sono state le persecuzioni di studenti palestinesi da parte dei loro colleghi ebrei. Poco dopo l’inizio della guerra l’Unione Nazionale degli Studenti Israeliani ha chiesto l’immediata sospensione di chiunque abbia espresso adesione agli attacchi di Hamas e ha incoraggiato gli studenti a denunciare in modo anonimo i sospettati di appoggiare il terrorismo.

Questo invito ha aumentato terribilmente il rischio di violenza fisica. Il 28 ottobre una folla di ebrei israeliani estremisti si è riunita fuori dai dormitori degli studenti arabi nel college di Netanya gridando “morte agli arabi”. La polizia ha dovuto impedire alla folla di irrompere nell’edificio e alla fine gli studenti minacciati sono stati evacuati per la loro sicurezza.

Insieme ad Adalah l’Unione degli Studenti Arabi ha fatto pressioni per un’indagine sull’attacco al college di Netanya. Ha anche chiesto ai dirigenti delle università israeliane di fornire una maggiore protezione agli studenti palestinesi e di riaccogliere quelli che sono stati sospesi, incoraggiando docenti arabi ed ebrei progressisti a intervenire contro azioni punitive ingiustificate.

L’Unione ha anche preso un’iniziativa inconsueta per ottenere un intervento esterno, contattando università e donatori stranieri legati alle istituzioni israeliane sollecitandoli ad aiutare gli studenti palestinesi e anche chiedendo all’UE di riconsiderare la sua collaborazione con il ministero dell’Educazione israeliano.

Tossicità e persecuzione

La persecuzione dei palestinesi nelle università israeliane non si limita agli studenti. Anche il personale docente sta affrontando accuse simili. Il 9 ottobre 25 professori dell’università di Haifa, tra cui il vice-rettore, hanno inviato una lettera riservata al rettore, il professor Gur Alroey, manifestando preoccupazione riguardo alla sospensione di cinque studenti il giorno precedente. Hanno sostenuto che l’università non aveva seguito il suo regolamento amministrativo né spiegato le proprie decisioni.

In una lettera, che in seguito è stata resa pubblica, Alroey ha risposto ai docenti ammonendoli per il loro presunto sostegno agli studenti che ha accusato di appoggiare Hamas o il terrorismo. Il rettore ha persino chiesto le dimissioni del suo vice, ma in seguito ha ritirato la richiesta.

Ameed Saabneh, un importante studioso palestinese dell’università di Haifa e uno degli autori della lettera al rettore, dice a +972 che l’università non ha l’autorità di sospendere gli studenti dai loro corsi. “Solo le commissioni di controllo hanno il potere di prendere decisioni relative la sospensione degli studenti,” chiarisce.

Saabneh spiega che dopo che l’incidente è stato reso noto l’atmosfera all’università è diventata tesa. “I rapporti tra gli studenti si sono avvelenati, erodendo il tono in precedenza corretto delle discussioni,” afferma. “Sono stato informato dai miei studenti che si sentono perseguitati dai loro colleghi, dall’Unione degli Studenti e dall’amministrazione dell’università.”

La situazione ha creato una “crisi di fiducia” tra i professori e i loro studenti, continua Saabneh. “L’aspetto più preoccupante è che gli studenti hanno iniziato a mandare lettere al capo dipartimento minacciando di boicottare i docenti che hanno firmato la lettera al rettore,” afferma.

Secondo un recente rapporto dell’Accademia dell’Uguaglianza [associazione di base che promuove pari diritti tra le varie comunità nell’istruzione superiore israeliana, ndt.] dal 7 ottobre almeno sei professori e assistenti delle istituzioni accademiche israeliane hanno dovuto affrontare azioni disciplinari per presunto incitamento al terrorismo o appoggio a organizzazioni terroristiche. In seguito a ciò alcuni di loro sono stati licenziati.

Una degli accademici presi di mira è Nadera Shalhoub-Kevorkian, docente di criminologia alla facoltà di Legge dell’Università Ebraica e alla Queen Mary University di Londra. Il mese scorso, insieme ad altri 3.000 accademici e studenti di tutto il mondo specializzati nello studio dell’infanzia, ha firmato una petizione che critica l’aggressione israeliana contro i minori palestinesi, chiede un immediato cessate il fuoco e la fine del “genocidio” a Gaza.

Pochi giorni dopo ha ricevuto una lettera da Asher Cohen, il preside dell’Università Ebraica, che la accusa di “Incitamento contro lo Stato di Israele”, minacciandola di azioni legali e invitandola a dimettersi. Cohen ha condiviso la lettera con altri membri del personale dell’università ed è diventata popolare sulle reti sociali. Subito dopo Shalhoub-Kevorkian ha iniziato a ricevere minacce in rete.

Il suo avvocato, Alaa Mahajna, ha accusato Cohen di aver distorto i contenuti della petizione ed ha affermato che l’università avrebbe potuto essere perseguita per aver violato il diritto del lavoro e aver provocato minacce contro un membro del personale docente. Egli ritiene che l’università abbia chiesto le dimissioni di Shalhoub-Kevorkian solo sulla base delle sue opinioni politiche, cosa che ritiene una pericolosa fuga in avanti senza precedenti.

In risposta alla richiesta di un commento, il direttore delle comunicazioni internazionali dell’università ha affermato: “La lettera (del preside) parla da sé.” Finora Shalhoub-Kevorkian si è rifiutata di presentare le sue dimissioni.

Warda Sada, un’educatrice e pacifista, ha dovuto affrontare una persecuzione simile. È stata rimossa dal suo incarico presso il Kaye Academic College of Education a Be’er Sheva dopo che uno studente ha pubblicato alcuni dei suoi post sulle reti sociali prima e dopo la guerra. A quanto dice Sada, tutti questi post condannano la violenza da entrambe le parti e sono contro la guerra e l’uccisione di civili. Il Kaye College è generalmente noto per promuovere un contesto educativo multiculturale e multilinguistico e si vanta della diversità dei suoi studenti e docenti, che riflette la diversità etnica della regione del Naqb/Negev.

“Come educatrice con 30 anni di esperienza sul campo e 28 all’università non avrei mai pensato che la persecuzione accademica avrebbe raggiunto questi estremi,” dice Sada a +972. “La nostra responsabilità come docenti è promuovere il pensiero critico, incoraggiare la ricerca e mettere in pratica le teorie che insegniamo. Noi, come educatori, miriamo a trasmettere un messaggio al mondo, a sostenere i colleghi insegnanti ad esprimere liberamente le proprie idee.”

L’epurazione ha colpito anche gli accademici ebrei. Uri Horesh, docente di linguistica araba all’ Achva Academic College, nei pressi di Ashdod, dice a +972 che il 15 ottobre, mentre si trovava a New York, ha ricevuto una mail dal college con una contestazione riguardante un post di Facebook in cui compariva la frase “Liberare il ghetto di Gaza.” Horesh inizialmente aveva condiviso il post un mese prima, ma lo ha ripostato dopo l’inizio della guerra.

“Il college ha travisato il senso del mio post, affermando che ho apertamente appoggiato un’azione terroristica,” ha detto Horesh. “Mi hanno accusato di infangare la reputazione del college.”

Il 23 ottobre Horesh ha scoperto di non avere più accesso al collegamento in rete dell’università e che il suo nome era stato rimosso dal sito web del college. Non ha ricevuto alcuna comunicazione ufficiale di essere stato sospeso. Una settimana dopo gli è stato chiesto di assistere a un’audizione disciplinare. Si è rifiutato, affermando che il procedimento era illegittimo e che le sue opinioni politiche personali sono irrilevanti per il suo datore di lavoro. Qualche giorno dopo ha ricevuto una lettera dal college che confermava il suo licenziamento e che minacciava di trattenergli lo stipendio (anche se alla fine è stato pagato).

Horesh nota che molti dei suoi studenti sono cittadini palestinesi di Israele e che il suo licenziamento non è stato solo un colpo per lui ma anche per loro, un messaggio intimidatorio che scoraggia dal condividere le loro opinioni. Benché avesse previsto il ritorno in Israele il giorno in cui ha ricevuto la prima contestazione, Horesh teme di essere arrestato all’arrivo e quindi ha rimandato il suo ritorno a tempo indeterminato.

Accuse collettive contro tutti gli arabi”

L’anno accademico in Israele avrebbe dovuto iniziare l’8 ottobre, ma lo scoppio della guerra il giorno prima ha comportato che i corsi sono stati posticipati e ripetutamente rinviati. Secondo una recente dichiarazione dell’Associazione dei Presidi delle Università il prossimo obiettivo è iniziare il 24 dicembre, ma farlo richiede prima la smobilitazione dei riservisti dell’esercito.

Mentre questa data si avvicina, ci sono timori riguardo a come sarà l’atmosfera, soprattutto per gli studenti e i docenti palestinesi. Una recente inchiesta ha rilevato che il 17% degli studenti arabi interpellati ha espresso dubbi se iniziare l’anno o di non aver intenzione di farlo, principalmente per ragioni economiche e legate alla sicurezza.

Tra queste crescenti pressioni la Commissione di Monitoraggio dell’Educazione Araba [creata dagli enti locali dei comuni arabo-israeliani, ndt.] ha manifestato timori riguardo all’imminente anno accademico. Il 27 novembre l’istituzione ha inviato una lettera a Varda Ben Shaul, direttore generale del Consiglio per l’Educazione Superiore in Israele, evidenziando i pressanti problemi psicologici, sociali ed economici sollevati da questa nuova situazione e chiedendo un immediato programma specifico per sostenere gli studenti arabi e favorire il loro impegno nell’educazione superiore. La lettera sottolinea anche la necessità di collaborare con le istituzioni educative e con importanti ministeri per affrontare i problemi di soprusi e razzismo e chiede formalmente un incontro con Shaul per risolvere in modo attivo le questioni attuali e future.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Tre giovani donne arabe aggredite da una folla violenta ad Haifa. La polizia ‘guardava e non faceva nulla’

Judith Sudilovsky

| 27 giugno 2021 – Haaretz

Gli agenti sono passati senza fermarsi vicino alle giovani donne, le figlie del console onorario spagnolo nel nord di Israele. Ci sono volute tre telefonate e parecchie ore prima che un’auto della polizia arrivasse sul posto.

La notte del 12 maggio una banda di 30 uomini ha aggredito tre giovani donne e vandalizzato la loro auto di fronte alla loro casa nella German Colony [quartiere costruito nel XIX secolo per accogliere i pellegrini tedeschi in Terra Santa, ndtr.] di Haifa. L’aggressione è avvenuta durante un’ondata di rivolte che nelle città miste è seguita all’attacco missilistico di Hamas contro Israele ed alla controffensiva israeliana nella Striscia di Gaza.

Alcune delle 16 videocamere che la loro famiglia ha installato intorno alla proprietà hanno filmato l’aggressione. Un video del cellulare di un vicino mostra le giovani donne gridare ed affrontare gli uomini che le spintonano, che scagliano sassi contro la loro auto e ne frantumano il parabrezza con dei bastoni.

Le donne – Sama Abunassar, 23, e le sue sorelle Nardine, 20, e Hala, 16 – sono le figlie di Reem e Wadie Abunassar. Wadie è il portavoce dei vescovi cattolici della Terrasanta e console onorario della Spagna nel nord di Israele.

Secondo il resoconto delle sorelle e dei loro vicini, alcuni agenti di polizia dell’unità speciale Yasam [reparto antisommossa, ndtr.] stazionavano a circa 50 metri di distanza lungo la strada, sullo stesso lato della loro casa, ma non sono intervenuti. Un agente ha perfino spinto via Sama, dicendole “vattene da qui” mentre lei lo pregava di aiutarla.

Ero scioccata che stesse accadendo una cosa del genere. Mi aspettavo che qualcuno venisse a difendermi. Non è accorso nessuno, né polizia, né vicini. Eravamo solo le mie sorelle ed io contro 30 uomini,” ricorda Sama, a poco più di un mese dall’aggressione. “Non sapevo cosa fare. Pensavo

Il giorno dopo, la polizia ha preso le riprese delle videocamere di sicurezza della famiglia. Wadie e Nardine hanno riferito alla polizia della notte dell’attacco, ma gli investigatori non hanno raccolto le testimonianze di Sama o Hala.

Nessun sospetto è stato interrogato per aver preso parte all’attacco, che ha anche causato danni ad altre proprietà di arabi lungo la strada.

Il 14 giugno la famiglia Abunassar è stata informata della chiusura del caso per mancanza di prove.

Ma più che mettere in discussione il mancato arresto di qualcuno tra i sospetti aggressori, la famiglia chiede perché gli agenti –che si trovavano a poche decine di metri dal luogo dell’attacco e sono stati testimoni dell’aggressione – non facessero nulla per fermare i facinorosi, permettendo alla violenza di continuare.

Stavo gridando per chiedere aiuto”

Quella stessa mattina circolavano sui social media e di bocca in bocca voci su possibili dimostrazioni in altri quartieri di Haifa, ma non si faceva menzione della German Colony, situata sotto i giardini Baha’i e normalmente frequentata dai turisti per i suoi bar e ristoranti alla moda.

Verso le nove di sera Sama stava tornando a casa dal lavoro all’ Haifa Mall, quando un reparto di agenti di polizia della Yasam l’ha fermata a pochi metri dalla propria casa. Lei ha chiesto il permesso di percorrere la breve distanza fino a casa. L’hanno lasciata passare ed ha parcheggiato nello spazio privato di fronte alla sua abitazione, interrompendo per un momento la chiacchierata in arabo con un vicino, che stava fuori [di casa].

Apparentemente dal nulla, una ressa si è formata intorno a loro; gli uomini provenivano dalla parte orientale della strada, proprio dove si trovava un altro gruppo di agenti di polizia, e alcuni portavano il viso coperto da magliette, altri imbracciavano bandiere d’Israele o ne erano avvolti, molti avevano il volto in piena vista. Gli agenti non hanno impedito loro di invadere la strada.

Il vicino è sparito in casa propria e Sama è stata lasciata sola mentre il gruppo di persone violente l’ha circondata ed ha iniziato a inveire contro di lei, scandendo “Morte agli Arabi” e giurando di non lasciare nemmeno un arabo in città. Hanno spinto Sama ed hanno colpito la sua macchina nuova con bastoni e pietre, frantumando il parabrezza e rompendo le maniglie delle portiere. Quando hanno finito la scorta delle proprie pietre, si sono muniti di sassi trovati nel giardino di famiglia e li hanno gettati contro la macchina, racconta Sama.

Ho chiesto ancora e ancora perché stessero facendo questo. Cosa volevano ottenere in quel modo? Qualcuno mi ha presa e spintonata, ha detto che non sarebbero rimasti più arabi e mi ha spruzzato addosso uno spray urticante. Mi sono coperta il volto con le braccia e il mio braccio ne è rimasto ustionato,” dice Sama. “Hanno usato le aste delle bandiere per spaccare il parabrezza.”

Alle grida di Sama, le sue due sorelle sono accorse fuori dalla casa e l’hanno vista circondata dalla folla violenta.

Terrorizzata, Nardine ha chiamato i suoi genitori, che avevano portato in viaggio verso Tiberiade la sorella minore Eman, di tredici anni, e un amico, poco prima della festa cattolica dell’Ascensione del 13 maggio, la prima uscita serale dopo i lunghi lockdown e le restrizioni causate dal coronavirus.

Ho gridato ai miei genitori di tornare a proteggerci perché non c’era nessun’altro a farlo, né i nostri vicini, né la nostra famiglia, né la polizia.,” dice Nardine. “Ricordo che uno fascinoroso mi ha insultata con un sacco di parolacce volgari e pesanti.”

 È troppo imbarazzante ripetere gli insulti.

Abbiamo preso un aereo verso casa, dovevamo tornare,” afferma Reem. A circa 65 kilometri di distanza, a Tiberiade, lei aveva già visto l’inizio dell’attacco, mentre controllava le telecamere di sorveglianza tramite un’app sul suo cellulare. Dopo due rapine senza arresti in casa propria, ha preso l’abitudine di controllarle regolarmente. “Ho visto le persone arrivare e non ho smesso di urlare a Wadie che dovevamo assolutamente rincasare,” racconta.

Wadie ha immediatamente chiamato il dipartimento di polizia di Haifa e chiesto che mandassero una pattuglia a proteggere le sue figlie. Hanno chiamato altre due volte precipitandosi verso casa, chiedendo che mandassero un’auto, ma inutilmente. Non ne è stata mandata nessuna prima che gli Abunassar arrivassero a casa loro. Solo circa tre ore dopo, intorno all’una di notte, si è presentata una pattuglia.

Ho visto la polizia stare da entrambi i lati [della strada] e non fare niente,” afferma Hala, raccontando l’aggressione. “Ho visto vari uomini gridare ‘Morte agli Arabi’, circondando mia sorella. Volevo aiutarla. Avevo paura che mia sorella morisse. Sono davvero furiosa con la polizia. Stavo urlando per ricevere aiuto”

Nemmeno un sospettato

Durante l’intervista, Hala è stata forte, dicendo di non essere spaventata, ma Reem confida che ora sua figlia non dorme bene e non è riuscita a svegliarsi in tempo per le ultime lezioni dell’anno. Nessuno dorme molto bene, ammette, e lei e le sue figlie cominceranno presto una terapia per il trauma subito. Reem stessa si rifiuta di andare fuori casa durante la notte, per paura di non essere lì nel caso le sue figlie avessero bisogno di lei. Sa di essere diventata troppo protettiva quando loro escono, le chiama e scrive loro messaggini in continuazione, dice.

Laila Sharif, 57 anni, una vicina sedeva con ospiti nel suo giardino, festeggiando l’Eid al-Fitr [festa della fine del Ramadan, ndtr.], quando ha sentito le donne gridare. Lei, il suo figlio diciassettenne Adam e sua nipote sono usciti per provare ad aiutare le sorelle.

Ho sentito le voci delle ragazze urlare. Le conosco. Siamo vicine. Non volevo lasciarle sole. Ho pensato di poter essere in grado di aiutare,” dice Sharif, un’insegnante di chimica delle superiori.

Ma la folla violenta l’ha spinta indietro e ha distrutto l’entrata della sua casa. Un uomo ha estratto una pistola dalla tasca e le ha intimato di rincasare. Afferma che hanno spruzzato contro suo figlio e sua nipote uno spray urticante, poi hanno cominciato a rincorrerla, ma lei è riuscita a scappare nel giardino sul retro attraverso un passaggio nascosto. Quando la maggior parte degli uomini se n’era andata, è uscita di nuovo fuori.

[Nei pressi] c’era la polizia e … non ha fatto un bel niente, Ho la sensazione che li stesse proteggendo [i rivoltosi],” dice Sharif.

Quando è riuscita a raggiungere le sorelle Abunassar, loro erano già collassate a terra, sul ciglio della strada, e piangevano istericamente.

È stato difficile per le ragazze. Erano in stato di shock. Stavano in strada a piangere e urlare. La minore, Hala, … non smetteva di gridare. Era isterica. Sono stata là con loro finché non sono arrivati i genitori,” afferma Sharif.

Sharif ha anche presentato una denuncia alla polizia sull’aggressione, ma non ha ricevuto alcun riscontro.

Descrive un uomo armato di fucile, sulla trentina, poco più alto di lei, con la pelle chiara e i capelli castani coperti da una kippah [zuccotto usato dagli ebrei osservanti, ndtr.]. “Se mi mostrassero una foto, sarei in grado di identificarlo,” dice. “Da allora non mi sento più al sicuro, Ad Haifa non ci sono scontri tra arabi ed ebrei. Bus di rivoltosi sono arrivati in autobus da tutto il Paese.”

Degli agenti di polizia le hanno sorpassate senza soccorrerle senza nemmeno fermarsi a verificare se le sorelle fossero ferite, sostiene Sama. I vicini hanno iniziato a scendere alla spicciolata in strada e qualcuno ha prestato un primo soccorso a Nardine, che aveva una gamba sanguinante.

Quando Wadie e Reem sono arrivati hanno trovato le loro figlie sul ciglio della strada, sconvolte, e qualche vicino attorno a loro. Tuttavia né la polizia né un’ambulanza erano sul posto. Le donne sono finalmente state portate al Rambam Health Care Campus per ulteriori cure, trasportate da un ex-vicino, un autista di ambulanza ebreo che per caso passava lì vicino di ritorno a casa da lavoro.

Non ci immaginavamo che ci fosse da preoccuparsi e credevamo che la polizia sarebbe stata in giro e capace di impedire che succedesse qualunque incidente,” dice Wadie. “Abbiamo voluto credere che le cose fossero sotto controllo. Ho voluto credere che niente sarebbe successo perché le autorità avrebbero svolto il loro lavoro. Conosciamo Haifa come una città tollerante.”

Wadie si aspettava che la pattuglia già appostata nei dintorni della sua casa sarebbe accorsa in aiuto delle sue figlie, così come la polizia era stata in grado di entrare ad Umm al-Fahm e soccorrere una famiglia ebrea, che era entrata per sbaglio nella città araba il giorno dopo gli attacchi alle sue figlie, afferma.

Avevo visto come la polizia aveva reagito contro i rivoltosi arabi la notte precedente,” aggiunge. “Perché tra le decine di aggressori la polizia non è riuscita a trovare neppure una persona?”

La famiglia ha presentato un esposto contro la polizia per il mancato intervento durante l’aggressione e inoltre si è opposta alla decisione di chiudere il caso.

Con tutta la tecnologia a disposizione della polizia e delle forze di sicurezza, con tutte le registrazioni video prese dalle telecamere degli Abunassar, sembra che la polizia non abbia mosso un dito per identificare gli aggressori, afferma l’avvocato della famiglia, Hani Khoury.

Supponiamo pure che quella notte ci fosse una grande quantità di eventi e forte tensione, lo comprendiamo,” sostiene Khoury. “Non c’è comunque alcuna giustificazione per il loro mancato intervento, dato che stazionavano a 50 metri dalla casa, e che la risposta alla richiesta di aiuto delle figlie sia stata: ‘Andatevene di qui’.”

Nonostante il trauma rispetto all’accaduto, nonostante la delusione per come la polizia ha gestito la situazione, loro continuano a credere nella buona volontà della gente e nella tolleranza e coesistenza tipici di Haifa, afferma Wadie. Sanno che ci sono delinquenti ovunque nel mondo e in ogni società, dice. Si aspettano solo che la polizia sia lì per proteggere le persone dalla violenza degli estremisti.

Non abbiamo un altro Paese a cui siamo legati,” dice Reem. “Amo questo e desidero vivere qui, in pace.”

In risposta all’inchiesta su questo caso, la polizia ha dichiarato: “In seguito all’acquisizione dei reclami rispetto al caso è stata aperta e condotta in maniera equa ed imparziale un’indagine ufficiale, a prescindere dalle identità dei sospetti o delle vittime; l’indagine è stata condotta in maniera professionale ed approfondita, con lo scopo di ricostruire la verità e rendere giustizia alle parti coinvolte. Come parte dell’inchiesta ufficiale, è stata presa in considerazione una serie di iniziative, come la raccolta di prove, la visione dei video di sicurezza ed altro. Nonostante gli sforzi investigativi e l’espletamento di tutte le azioni richieste, nessun sospetto è stato identificato in flagranza. Se riceveremo altri dettagli dalla polizia o emergeranno altre notizie, che potrebbero portare a sviluppi nell’indagine, queste saranno controllate come da procedura.”

(traduzione dall’inglese di Andriano Parrotta)




Israele-Palestina: pestaggi, arresti e grida di “morte agli arabi” durante la marcia dell’estrema destra nella Città Vecchia di Gerusalemme

Shady Giorgio da Gerusalemme

15 giugno 2021 – Middle East Eye

La polizia israeliana ha chiuso la simbolica Porta di Damasco e ha picchiato e arrestato i palestinesi nel corso del corteo per due volte posticipato

Martedì la polizia israeliana ha picchiato e arrestato dei palestinesi dopo aver chiuso la Porta di Damasco per far posto agli israeliani che si radunavano per l’inizio di una provocatoria marcia nazionalista attraverso la città vecchia della Gerusalemme est occupata.

La cosiddetta marcia della bandiera si è tenuta martedì dopo essere stata annullata nei giorni in cui le ripetute azioni repressive israeliane nella moschea di al-Aqsa e la minaccia di espulsione delle famiglie palestinesi stavano causando dei tumulti a Gerusalemme.

Prima della marcia, dopo aver chiuso alcune strade e la Porta di Damasco, la polizia israeliana ha arrestato a Gerusalemme dei palestinesi. I video pubblicati su Twitter mostrano agenti israeliani che picchiano un palestinese sui gradini della Porta di Damasco.

La Mezzaluna Rossa ha riferito che durante gli scontri con le forze dell’ordine israeliane nella zona della Città Vecchia sono rimaste ferite 27 persone, di cui tre a causa di proiettili d’acciaio ricoperti di gomma, uno dopo essere stato picchiato e un altro colpito da una granata stordente. Due persone sono state ricoverate.

Le autorità hanno picchiato i venditori che lavoravano nei negozi vicini alla Porta di Damasco e li hanno allontanati dalla Città Vecchia. L’area intorno alla Porta è stata isolata nel primo pomeriggio di martedì, fatta eccezione per i giornalisti, con diverse barriere erette per favorire il passaggio della marcia dei coloni.

Grida di “morte agli arabi”

All’inizio della marcia più di mille israeliani si sono radunati nella piazza della Porta di Damasco sventolando bandiere nazionali e cantando gli inni del movimento dei coloni.

I video pubblicati sui social media mostrano gli israeliani che sventolano bandiere e gridano “morte agli arabi”.

Alcuni di loro hanno issato sulle loro spalle Itamar Ben-Gvir, il parlamentare di estrema destra e alleato di Benjamin Netanyahu, e Bezalel Smotrich, leader della fazione Sionismo Religioso di estrema destra.

Prima della marcia le autorità israeliane hanno alzato il livello di allerta nel Paese, rinforzando lo schieramento di forze di polizia e di militari vicino alla Striscia di Gaza sotto assedio e nelle città israeliane con popolazione mista ebrea e palestinese.

Martedì pomeriggio sono stati lanciati da Gaza in Israele alcuni palloni incendiari e sono stati segnalati 20 incendi lungo il confine con Gaza.

Inoltre, in previsione di una possibile escalation a Gaza, le autorità israeliane hanno dirottato verso la “Rotta del Nord” i voli in entrata e in uscita da Israele.

La marcia si è svolta lungo le mura della Città Vecchia dalla Porta di Damasco alla Porta di Giaffa, prima di dirigersi verso il Muro Occidentale.

Contro manifestazioni palestinesi hanno avuto luogo a Gerusalemme e in città israeliane con un numero significativo di palestinesi, in seguito all’invito da parte di alcune organizzazioni palestinesi ad una “giornata della rabbia” in segno di denuncia contro la marcia dell’estrema destra.

Nella città di Gaza alcuni manifestanti hanno dato fuoco a immagini dell’ex leader Netanyahu e del suo successore appena nominato, il nazionalista ebreo favorevole al colonialismo ed informatico milionario Naftali Bennett.

Il primo test del nuovo governo

La Marcia della Bandiera si tiene solitamente in occasione del Giorno di Gerusalemme, che segna la conquista e la successiva occupazione di Gerusalemme Est da parte di Israele nella guerra mediorientale del 1967.

La marcia riunisce generalmente migliaia di giovani religiosi israeliani di estrema destra, che intonano slogan anti-palestinesi e sventolano bandiere israeliane mentre attraversano le stradine della Città Vecchia di Gerusalemme est.

Il percorso della Marcia della Bandiera, inizialmente programmata per il 10 maggio, è stato deviato dal luogo critico della Porta di Damasco in seguito alle proteste palestinesi contro la prevista espulsione forzata dei palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah e i violenti attacchi delle forze israeliane alla moschea di al-Aqsa.

Quel giorno la marcia è stata annullata in seguito al suono delle sirene quando Hamas ha lanciato da Gaza quattro razzi verso Gerusalemme dopo che Israele aveva ignorato il suo ultimatum che chiedeva il ritiro delle forze israeliane da al-Aqsa.

Nei successivi 11 giorni l’esercito israeliano e Hamas si sono impegnati in una guerra che avrebbe causato 248 morti a Gaza e 13 in Israele.

La marcia è stata successivamente riprogrammata per il 10 giugno, ma ancora una volta rinviata in seguito alla minaccia da parte di Hamas di una ripresa delle ostilità nel caso in cui avesse avuto luogo.

La nuova data per la marcia è stata stabilita l’8 giugno dal gabinetto dell’allora primo ministro Benjamin Netanyahu, che domenica è stato destituito dal parlamento israeliano dopo 12 anni trascorsi nella carica di primo ministro.

La Marcia della Bandiera sarà il primo test per il fragile governo di coalizione di Bennett, messo insieme dal centrista laico Yair Lapid, un ex presentatore televisivo, e comprendente otto partiti, che vanno da Yamina di Bennett, di estrema destra, al partito laburista di sinistra e a un partito islamista che rappresenta parte dei cittadini palestinesi di Israele.

Anche se Bennett è un membro di spicco dell’estrema destra israeliana, Netanyahu ha etichettato il nuovo governo come un “pericoloso” governo di “sinistra” e lo ha accusato di essere “la più grande frode elettorale nella storia” di Israele.

Una provocazione contro la nostra gente

I suprematisti ebrei, tra cui il deputato israeliano Itamar Ben-Gvir, hanno nel frattempo promesso di partecipare alla marcia indipendentemente da quanto ne potessero dire il nuovo governo – o i palestinesi.

“Arriverò oggi per partecipare alla parata della bandiera e sventolerò la bandiera israeliana”, ha scritto su Twitter martedì mattina. “Non abbiamo bisogno del permesso di Hamas o della Jihad islamica per marciare nella capitale di Israele”.

marcia come “una provocazione e un’aggressione che dovrà cessare contro il nostro popolo, Gerusalemme e la sua sacralità”.

Lunedì Shtayyeh ha twittato: “Mettiamo in guardia dalle pericolose ripercussioni che potrebbero derivare dall’intenzione della potenza occupante di consentire ai coloni israeliani estremisti di tenere domani la Marcia della Bandiera nella Gerusalemme occupata”.

Ad aprile i coloni israeliani avevano già marciato per le strade della Città Vecchia di Gerusalemme scandendo “morte agli arabi”, scatenando scontri tra palestinesi e polizia militare israeliana, la quale ha impedito ai primi di accedere alla piazza della Porta di Damasco.

L’inviato delle Nazioni Unite per la pace in Medio Oriente, Tor Wennesland, ha invitato “tutte le parti interessate ad agire in modo responsabile e ad evitare qualsiasi provocazione che potrebbe portare a un altro scontro”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)