Le crescenti richieste di sostituire la leadership palestinese

27 ottobre 2020 – Middle East Monitor

I palestinesi sono ancora sorpresi del ripetersi periodico di appelli e dichiarazioni locali, regionali e internazionali che chiedono la “sostituzione” della leadership palestinese, in concomitanza con l’attuale verificarsi di un processo di normalizzazione, presupposto all’introduzione di una leadership che accetti e condivida questo percorso. I palestinesi sono ancora più sorpresi nel momento in cui queste richieste vengono fatte da consessi e figure che fino a poco tempo fa facevano parte dei circoli vicini alla leadership palestinese e con cui hanno lavorato per molti anni.

L’ex primo ministro britannico Tony Blair ha richiesto la sostituzione dell’attuale leadership palestinese dicendo: “Dobbiamo cercare di portare avanti una generazione di politici palestinesi che capiscano che l’unico modo per ottenere [la costituzione di] uno Stato palestinese è mediante un’intesa onesta e profonda tra popoli, tra culture e non solo [attraverso] un negoziato sui territori”.

Nel frattempo è stata erroneamente attribuita all’ambasciatore americano in Israele David Friedman una dichiarazione secondo cui gli Stati Uniti stavano valutando la possibilità di sostituire il presidente palestinese Mahmoud Abbas con il leader cacciato da Fatah, Muhammad Dahlan [espulso nel 2011 dal partito in seguito alle accuse di Mahmoud Abbas di aver ucciso Arafat avvelenandolo e per corruzione, ndtr.].

Tale dichiarazione è stata successivamente corretta con le parole: “Non abbiamo alcun desiderio di inventarci la leadership palestinese” e “la leadership palestinese non sta servendo adeguatamente il popolo”.

Quanto al colonnello Dror Shalom, a capo della divisione di ricerca dell’intelligence militare dell’esercito israeliano, egli ha affermato che ci sono due principali pericoli per Israele, uno dei quali è il crollo dell’Autorità Nazionale Palestinese, perché la sua posizione è diventata un indicatore strategico, soprattutto nella fase successiva ad Abbas, in cui dovremo affrontare una bomba a orologeria.

Nel frattempo, in seguito alla firma degli accordi di normalizzazione con Israele, gli organi di informazione sauditi ed emiratini hanno lanciato un ampio attacco contro l’Autorità Nazionale Palestinese e il suo presidente e hanno pubblicato articoli e rapporti che chiedono la fine dell’era di Abbas coinvolgendo Dahlan, loro alleato.

È chiaro che i rapidi sviluppi nell’agone palestinese possono minare la stabilità dell’Autorità Nazionale Palestinese, soprattutto con l’intensificarsi delle dichiarazioni sulla possibile defezione del presidente Abbas, per motivi di salute o politici. Questo soprattutto con la diffusione in corso del coronavirus in Cisgiordania, con le crescenti pressioni degli ultimi mesi sull’Autorità Nazionale Palestinese e mentre l’opinione pubblica palestinese si rende conto dell’entità delle difficoltà da affrontare.

Resta la domanda sulla possibilità che Abbas accetti di dimettersi dal suo incarico se si terranno le elezioni presidenziali – cosa su cui ha tenuto la bocca cucita – con l’accrescersi degli inviti dall’estero perché ponga fine al suo mandato e lasci l’incarico. Ma chi potrebbe succedergli?

Sebbene Israele sappia che Abbas ha molti difetti, ci sono buone ragioni per cui tema il giorno in cui non sarà più al comando dell’Autorità Nazionale Palestinese. È vero che ha interrotto il coordinamento sulla sicurezza e ha tagliato i rapporti politici, ma non ha ancora rotto tutti i legami.

Il capo del servizio di sicurezza israeliano Shin Bet Nadav Argaman ha messo in guardia riguardo l’indebolimento della posizione di Abbas, il rafforzamento di Hamas in Cisgiordania e il declino della popolarità nell’agone palestinese di quelli che ha definito “moderati”.

Esiste una serie di scenari essenziali per il dopo Abbas: il primo, ottimista, prevede che il potere sia trasferito con tranquillità e che il prossimo presidente segua l’approccio di Abbas, attuando le sue politiche. Ciò eviterebbe la violenza e si concentrerebbe sul versante diplomatico.

Il secondo scenario, rappresentato dal caos, vedrebbe la presa del controllo della disputa da parte delle fazioni di Fatah più preoccupanti [per Israele]. Ciò potrebbe consentire ad Hamas di imporre la sua autorità sulla Cisgiordania, nonostante l’organizzazione venga continuamente perseguitata da Israele per cui in Cisgiordania farebbero la loro ricomparsa gli attacchi armati.

Per quanto riguarda il terzo scenario, sarebbe una via di mezzo, con un periodo di transizione in cui guiderebbe l’ANP una figura debole, ma con l’approvazione di tutte le parti fino al momento delle elezioni generali.

Gli israeliani considerano l’era di Abbas solo dal punto di vista della sicurezza. A differenza del suo predecessore Yasser Arafat, egli si è opposto alle operazioni armate e il suo governo ha visto il coordinamento israelo-palestinese sulla sicurezza raggiungere uno stadio molto avanzato. Esso comprendeva il coordinamento tra le forze di sicurezza di entrambe le parti, l’amministrazione civile [organo militare che governa i territori palestinesi occupati, ndtr.] e l’esercito israeliano, e il risultato è stato salvaguardare la vita degli israeliani. Israele potrebbe non trovare un presidente che cooperi più di Abbas, in quanto egli ha “fornito i benefici” che Israele voleva.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale del Middle East Monitor

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)