Un comitato dell’ONU pubblica un esaustivo studio sulla legalità dell’occupazione di Israele 

Jeff Wright

4 settembre 2023,  Mondoweiss

Lo studio è la più esaustiva e persuasiva analisi del perché l’occupazione di Israele è ora diventata illegale”, afferma l’ex Relatore Speciale dell’ONU Michael Lynk. “Sarà a lungo il punto di riferimento intellettuale e politico sulla Palestina e il diritto internazionale.”

La settimana scorsa il Comitato ONU per l’Esercizio dei Diritti Inalienabili del Popolo Palestinese (CEIRPP) ha pubblicato uno studio durato due anni: ‘La legalità dell’occupazione israeliana dei territori occupati, compresa Gerusalemme est.’

Il Presidente del Comitato ambasciatore Cheikh Niang ha presentato lo studio commissionato dal CEIRPP ed elaborato dal Centro Irlandese per i Diritti Umani dell’Università Nazionale di Irlanda a Galway. Niang ha detto: “L’importanza e l’urgenza di questo studio non possono essere sovrastimate…E’ un obbligo per noi, comunità internazionale, approfondire la nostra comprensione delle questioni giuridiche sollevate da questa prolungata occupazione e dal suo forte impatto sui diritti umani, la pace e la stabilità nella regione.”

Su invito del Comitato ONU l’ex Relatore Speciale per l’ONU sulla Palestina Michael Link ha fatto delle riflessioni sullo studio. Ha evidenziato molte delle sue conclusioni e lo ha descritto come “la più esaustiva, dettagliata, accurata documentazione che affronta le questioni che l’Assemblea Generale dell’ONU ha posto di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia per il suo parere consultivo sulla legalità dell’occupazione della Palestina da parte di Israele, che dura ormai da più di 56 anni.”

Il rapporto di 106 pagine è uno studio esaustivo (ricco di oltre 700 note a margine) che conclude che la condotta di Israele incorre in “due chiari presupposti del diritto internazionale che stabiliscono quando un’occupazione belligerante può essere definita illegale.” (Un’occupazione belligerante, il termine più spesso usato nel diritto internazionale, è chiamata più comunemente occupazione militare ed è definita come il controllo militare da parte di una potenza dominante su un territorio al di fuori del territorio sovrano di tale potenza).

Lo studio conduce il lettore nei meandri del diritto internazionale: le definizioni; i casi in cui un’occupazione permessa ai sensi del diritto internazionale può essere considerata illegale; casi analoghi portati davanti alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ); un’analisi – e confutazione – delle politiche e delle posizioni di Israele relativamente alla sua amministrazione del territorio palestinese; la presentazione della prova che l’occupazione belligerante è diventata illegale; un esame della responsabilità – in base al diritto internazionale – per la comunità internazionale di agire per porre termine all’occupazione.

E lo studio giuridico è accessibile a lettori profani. Coloro che sono ben informati sulla perdurante situazione in Palestina/Israele potranno corroborare le proprie conoscenze attraverso le tante risorse e conclusioni rivelate dallo studio.

Mentre riconosce che “la sede più appropriata per esaminare la legalità dell’occupazione è la Corte Internazionale di Giustizia”, lo studio, come si legge, “fornisce la base concreta per sostenere la conclusione che l’occupazione di Israele è illegale.”

A seguito della rilevazione di illegalità, lo studio conclude che, secondo il diritto internazionale, la conseguenza dovrebbe essere l’immediato, incondizionato e totale ritiro delle forze militari di Israele; l’allontanamento dei coloni; lo smantellamento del regime amministrativo militare, con chiare indicazioni che l’annullamento della violazione di un atto illecito a livello internazionale non è soggetto a negoziato. Dovrebbero essere accordate piene e proporzionate riparazioni a singoli individui, corporazioni ed enti palestinesi coinvolti, per il danno generazionale causato dalle appropriazioni di terra e proprietà da parte di Israele, dalle demolizioni di case, spoliazione di risorse naturali, negazione del ritorno ed altri crimini di guerra contro l’umanità organizzati per gli obbiettivi di colonizzazione e di annessione di un occupante illegale.

Si prevedono discussioni all’Aja la prossima primavera da parte della ICJ sulla legalità dell’occupazione israeliana e sulle conseguenze legali spettanti alla comunità internazionale.

Mondoweiss ha intervistato telefonicamente il professor Lynk, ora in pensione, dopo la riunione del comitato.

Mondoweiss: come è nato lo studio, perché il Centro Irlandese per i Diritti Umani?

Michael Lynk: L’idea dello studio è nata tramite il Comitato ONU sull’Esercizio dei Diritti Inalienabili del Popolo Palestinese e la Divisione per i Diritti dei Palestinesi. Hanno individuato la necessità di uno studio ad ampio raggio, sia per la formazione pubblica che per promuovere i passi diplomatici per l’autodeterminazione palestinese.

Per molte ragioni aveva senso contattare il Centro Irlandese. Anzitutto perché l’Irlanda, tra tutti gli Stati europei, ha assunto una posizione molto buona relativamente alle iniquità collegate all’occupazione. In secondo luogo, il Centro ha formato parecchi studiosi di legge che hanno continuato a scrivere molto sulla Palestina. Molti sono andati a lavorare con organizzazioni in Palestina ed Israele su questioni riguardanti l’occupazione e il diritto internazionale. Perciò il Centro aveva la disponibilità, la conoscenza dell’occupazione e la competenza giuridica per essere in grado di condurre lo studio.

Lasciatemi dire che sono una persona profondamente impegnata ad occuparsi di diritto internazionale e di Palestina. Eppure ho imparato moltissimo dallo studio. Vi sono molte fonti e molte conclusioni e molte, molte argomentazioni che non mi erano consuete. E’ rivoluzionario. Nel prossimo periodo sarà il punto di riferimento intellettuale e politico sulla Palestina e il diritto internazionale.

Quali sono alcune delle caratteristiche importanti dello studio?

Una è la visione in gran parte del nord globale – USA, Canada e molti Paesi europei: “Si, ci possono essere illegalità o atti illegittimi da parte di Israele nella gestione dell’occupazione: le colonie, l’annessione di Gerusalemme est, il muro.” Ma complessivamente questi Paesi hanno sempre ritenuto che l’occupazione fosse legale. Dicono: “Stiamo solo aspettando la giusta…magica salsa diplomatica per mettere insieme le parti a negoziare la fine di questo.”

Lo studio dice che non solo ci sono significative illegalità correlate all’occupazione, ma l’occupazione stessa è oggi illegale…

Tutto quel che dovete fare è ascoltare i commenti dei nuovi leader israeliani per capire che l’occupazione non finirà grazie a Israele. Naftali Bennet, quando era Primo Ministro due anni fa, disse: “Sono contrario ad uno Stato palestinese e sto rendendo impossibile condurre negoziati diplomatici che possano portare ad uno Stato palestinese.” Benjamin Netanyahu ha detto – e sto parafrasando: “Il massimo che possiamo offrire ai palestinesi è un non-Stato. Cioè avranno il potere di raccogliere la loro immondizia, pulire le loro strade e gestire il loro servizio idrico. Per il resto, noi controlliamo il territorio dal Mediterraneo al Giordano.”

Quale spera sarà l’impatto dello studio?

Dovrebbe essere una pietra miliare nel pensiero diplomatico riguardo a come affrontare e come porre fine all’occupazione israeliana, obbiettivo dichiarato da tutti gli Stati del mondo, a parte Israele. Se l’occupazione stessa è illegale, questo alza l’asticella della responsabilità in capo alla comunità internazionale, in particolare il nord globale, di ammettere finalmente che l’occupazione non finirà da sola. Non finirà ripetendo il mantra dei “negoziati per una soluzione a due Stati”, quando non viene fatto niente da parte del nord globale per imporre un costo diplomatico… un costo economico ad Israele che sta facendo il possibile per scrivere il necrologio dell’autodeterminazione palestinese.

Quanto all’udienza che si terrà davanti alla ICJ, quale conclusione pratica, concreta possiamo prevedere?

A dicembre dello scorso anno l’ONU ha adottato una risoluzione che chiedeva alla Corte Internazionale di Giustizia un parere consultivo su una serie di questioni – se la prolungata occupazione è sempre illegale, quali sono le conseguenze giuridiche che emergono dall’adozione da parte di Israele delle relative misure discriminatorie, quali sono le conseguenze giuridiche per la comunità internazionale e per le Nazioni Unite. Ricorderete che l’ICJ è la più alta istanza giuridica nel sistema delle Nazioni Unite. Nel 2004 emise un parere consultivo che stabilì che il muro di separazione israeliano era illegale.

Ora, molti Paesi – in primis del sud globale – hanno inviato dichiarazioni scritte alla ICJ, sostenendo che l’occupazione è divenuta illegale e che deve finire immediatamente. Alcuni hanno argomentato che Israele ha violato le norme fondamentali del diritto internazionale istituendo l’apartheid. Solo un piccolo gruppo di Stati – che comprende gli Stati Uniti, Israele, il Regno Unito e il Canada – ha inviato dichiarazioni in cui si chiede che la ICJ non risponda alla richiesta dell’Assemblea Generale di un parere consultivo, sostenendo che tutto dovrebbe invece essere posto ad un tavolo negoziale.

Il solo modo in cui i palestinesi possono mai sperare di trattare veramente ad un tavolo negoziale è se la comunità internazionale insistesse che qualunque negoziato tra Israele e Palestina sia condotto totalmente in un quadro basato sui diritti, con la richiesta centrale che Israele ponga completamente fine all’occupazione, immediatamente e senza condizioni. E che Israele sia responsabile delle riparazioni verso i palestinesi per ciò che è accaduto negli ultimi decenni.

Qualche riflessione personale sul suo lavoro?

Considero un onore nella mia vita l’aver ricoperto il ruolo di Relatore Speciale dell’ONU per sei anni (2016-2022). Prima della mia nomina avevo svolto una notevole quantità di lavoro su Palestina e Israele, avevo vissuto nei territori occupati e lavorato alle Nazioni Unite, avevo fatto ampie letture sulla Palestina. Ma l’opportunità come Relatore Speciale di parlare a livello internazionale sul peggioramento della situazione dei diritti umani, di incontrare le coraggiosissime organizzazioni palestinesi, israeliane e internazionali per i diritti umani che hanno fatto un enorme lavoro su questa questione, è stata la più significativa esperienza della mia carriera giuridica.

Aggiungerò questo: quei sei anni hanno segnato un importante punto di svolta. All’improvviso potevi iniziare a vedere l’enorme cambiamento di direzione. Nel 2016 era un’eresia pronunciare la parola apartheid. Al momento in cui me ne sono andato nel 2022 il termine apartheid era stato adottato da tutte le importanti organizzazioni per i diritti umani internazionali e regionali per descrivere ciò che avveniva nei territori occupati…oltre a ciò che è accaduto dopo il mio periodo in carica: l’avvento di questo nuovo governo israeliano estremista, l’inasprimento dell’atteggiamento internazionale verso l’occupazione. Penso che l’atteggiamento internazionale stia cambiando, e cambiando rapidamente. Non sarebbe cambiato senza tutte queste organizzazioni per i diritti umani che agiscono sul campo in Palestina ed Israele, che hanno fatto un lavoro così eroico per cambiare il vocabolario, per cambiare la consapevolezza di ciò che sta accadendo.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Israele sa che la farà franca rispetto all’attacco al funerale di Shireen Abu Aqleh

Elizabeth Tsurkov

Lunedì 16 maggio 2022 – The Guardian

Le scene di violenza a Gerusalemme sono un sintomo di una cultura dell’impunità all’interno della leadership israeliana e delle forze di polizia da lei gestite

Molte persone sono rimaste scioccate dalle immagini dell’aggressione della polizia di frontiera israeliana al corteo funebre della celebre giornalista palestinese Shireen Abu Aqleh, non solo per la crudeltà della polizia, ma anche per il suo proposito di non curarsi del danno all’immagine recato dall’attacco. L’uccisione di Abu Aqleh, probabilmente da parte di un cecchino israeliano, la successiva incursione nella sua casa di famiglia e l’intimidazione della polizia nei confronti di suo fratello prima del funerale indicano il crescente senso di impunità che coinvolge i decisori politici e l’esercito israeliano.

La classe dirigente politica israeliana aveva promesso all’amministrazione Biden che il funerale di Abu Aqleh sarebbe stato “rispettoso”. Non sarà probabilmente soddisfatta dei video virali che mostrano poliziotti che tentano di strappare le bandiere palestinesi dalla bara di Abu Aqleh mentre picchiano con i randelli i portatori del feretro, facendolo quasi cadere a terra. Eppure per anni la leadership del Paese non ha subito ripercussioni internazionali per le sue azioni nei territori occupati. Nelle sue miti dichiarazioni sull’assalto al funerale, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha descritto le forze israeliane come “intrufolate nel corteo funebre”, come se fossero dei semplici ospiti non invitati.

Israele può contare sull’inerzia internazionale, mentre qualsiasi azione rivolta a punire i poliziotti o condannare il cecchino che ha sparato ad Abu Aqleh, la quale indossava un giubbotto che indicava chiaramente che era una giornalista, porterà attacchi al governo da parte della destra israeliana. Per oltre un decennio la quasi totale scomparsa della sinistra israeliana ha fatto sì che la competizione politica di un qualche rilievo fosse tutta interna al blocco di destra israeliano. Insieme alla crescente forza dell’estrema destra israeliana (sostenuta dall’ex primo ministro Benjamin Netanyahu) ciò ha portato i principali politici a spostarsi ulteriormente a destra per evitare di perdere il sostegno della loro base.

Il primo ministro israeliano Naftali Bennett e Netanyahu hanno cercato a tutti i costi di evitare di apparire teneri con le forze di sicurezza israeliane, indipendentemente dai loro crimini. Nel 2016, dopo che il soldato israeliano Elor Azaria venne ripreso dalla telecamera mentre uccideva ad Hebron un aggressore palestinese reso inoffensivo, Netanyahu condannò inizialmente il suo gesto. Successivamente, dopo aver visto i risultati di un sondaggio, ribaltò la sua posizione e chiese la grazia per Azaria. Azaria finì per scontare solo nove mesi in una prigione militare. Dopo il suo rilascio divenne una delle principali celebrità nei circoli di destra. Non sono stati processati dei poliziotti ripresi mentre picchiavano giornalisti a Gerusalemme, o dei soldati coinvolti nella detenzione di un anziano palestinese-americano, che è stato legato, imbavagliato e bendato e che è morto poco dopo sembra in seguito ad un attacco cardiaco.

Questi famosi casi di impunità non sono un’eccezione. I dati raccolti dalla ONG israeliana per i diritti umani Yesh Din mostrano che solo lo 0,7% delle denunce presentate dai palestinesi contro i soldati porta a procedimenti giudiziari, mentre l’80% dei casi viene chiuso senza un’indagine penale. I militari israeliani non hanno motivo di aspettarsi delle conseguenze personali per l’uccisione di una giornalista o per l’attacco al suo funerale, trasmesso in diretta in tutto il mondo.

Prima del funerale di Abu Aqleh la polizia israeliana ha ingiunto alla sua famiglia di impedire che l’evento si trasformasse in una protesta, un chiaro tentativo di dimostrare il dominio di Israele. Non è la prima volta che la classe dirigente e l’esercito israeliani tentano di fare prepotenze simili: all’inizio di quest’anno la leadership israeliana ha permesso ai fedeli ebrei di salire sul Monte del Tempio/Haram al-Sharif [sito religioso situato nella città Vecchia di Gerusalemme importante per l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam, ndtr.] e di pregare lì, violando un precedente accordo con il Waqf islamico [ente deputato al controllo degli edifici religiosi islamici, ndtr.] di Gerusalemme e con la Giordania.

Nel 2017, in un’altra dimostrazione di forza, Israele ha installato metal detector agli ingressi della moschea di al-Aqsa. Le rivolte di massa hanno portato Israele a fare marcia indietro e rimuoverli dopo diverse settimane. Durante il mese del Ramadan i poliziotti israeliani hanno impedito ai palestinesi di sedersi vicino alla Porta di Damasco, un popolare spazio comune, e hanno effettuato arresti di massa di coloro che lo facevano. Di recente lo Shin Bet [agenzia di intelligence per gli affari interni dello Stato di Israele, ndtr.] dopo aver triangolato i loro telefoni ha inviato a dei palestinesi nella moschea di al-Aqsa messaggi con minacce di vendetta per loro presunte partecipazioni a rivolte.

I violenti tentativi della polizia israeliana di rimuovere le bandiere palestinesi issate durante il funerale di Abu Aqleh sono solo l’ultima manifestazione di una politica che mira a schiacciare i segni dell’identità palestinese a Gerusalemme. Nel 2018 il governo israeliano ha stanziato 2 miliardi di shekel (567.307.000 milioni di euro, ndtr.] per “incrementare la sovranità israeliana su Gerusalemme est”, con l’obiettivo di far sì che più scuole passino dall’insegnamento del programma giordano a quello israeliano. Le autorità israeliane hanno costretto le poche scuole della città che ancora insegnavano il programma palestinese a censurare i libri di testo che trattavano la storia palestinese. All’inizio di quest’anno i poliziotti israeliani hanno arrestato studenti palestinesi all’Università Ebraica di Gerusalemme per aver cantato quelle che la polizia sosteneva fossero canzoni nazionalistiche palestinesi.

L’uccisione di Abu Aqleh e la violenza esercitata sulle persone in lutto ha sicuramente causato danni alla reputazione di Israele. Ma a meno che la disapprovazione internazionale non si traduca in un cambiamento politico tangibile la leadership israeliana non ha motivo di smettere di esercitare altri abusi in futuro. I suoi leader sono impegnati a placare una base di destra che richiede a come minimo il pieno sostegno delle forze di sicurezza israeliane. Finché gli alleati di Israele continueranno a tollerare questi abusi, l’impunità rimarrà la regola, non l’eccezione.

Elizabeth Tsurkov è ricercatrice presso il Forum for Regional Thinking, un centro di ricerca israelo-palestinese.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)