Netanyahu, cedendo alla pressione dell’ultra-destra, afferma che l’invasione di terra a Rafah è imminente

Redazione di Middle East Monitor

9 aprile 2024 – Middle East Monitor

Ieri il primo ministro Benjamin Netanyahu ha annunciato che Israele ha fissato una data per l’assalto di terra a Rafah. La decisione arriva mentre sta montando la pressione dagli alleati della estrema destra che hanno avvertito che la carica di Netanyahu come primo ministro sarebbe a rischio se non lanciasse un attacco contro la città meridionale di Gaza che sta proteggendo 1,5 milioni di palestinesi.

La vittoria richiede l’ingresso a Rafah e l’eliminazione dei battaglioni di terroristi laggiù. Questo accadrà, c’è una data,” ha affermato Netanyahu in una dichiarazione, sfidando i suoi alleati occidentali che sono fortemente contrari alla invasione di Rafah sulla scorta dell’uccisione di 33.000 palestinesi, la maggior parte dei quali donne e minori.

L’impegno del primo ministro per una data specifica per l’offensiva a Rafah fa seguito alle critiche da parte suoi partner della coalizione di estrema destra, che si sono scagliati contro il ritiro domenica da parte dell’esercito israeliano di alcune truppe da Gaza. Israele ha ritirato le sue truppe da Khan Yunis, la più grande città del sud di Gaza.

L’ultranazionalista ministro della Sicurezza Itamar Ben-Gvir ha ammonito: “Se il primo ministro decide di terminare la guerra senza una offensiva di grandi dimensioni a Rafah per sconfiggere Hamas, non avrà un mandato per continuare.”

Gli Stati Uniti hanno recentemente incrementato la pressione pubblica su Netanyahu perché rinunci a lanciare una importante operazione a Rafah, che è diventata un rifugio per più di un milione di persone sfollate a causa dell’operazione militare israeliana. Più del 70% delle infrastrutture di Gaza sono state distrutte e si teme che un’altra invasione di terra sarebbe catastrofica.

La popolarità di Netanyahu è stata significativamente danneggiata dopo sei mesi di guerra e, mentre sia all’interno del Paese che a livello internazionale cresce il malcontento per la gestione del conflitto da parte del suo governo, egli deve affrontare le richieste dei leader dell’estrema destra di intensificare le azioni militari contro Hamas.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Guerra a Gaza: in seguito all’astensione degli USA, l’ONU approva una risoluzione che richiede il cessate il fuoco.

Redazione di MEE

25 marzo 2024 – Middle East Eye

Per la prima volta in cinque mesi di guerra il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha votato per un cessate il fuoco a Gaza dopo che gli USA si sono astenuti anziché porre il veto

Lunedì il Consiglio di Sicurezza ONU ha approvato una risoluzione che chiede un “cessate il fuoco immediato” a Gaza per il restante mese sacro musulmano del Ramadan, dopo che gli Stati Uniti si sono astenuti dal voto rinunciando a porre il veto.

La risoluzione, appoggiata da 14 nazioni tranne gli USA, chiede anche il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani detenuti a Gaza e “l’urgente necessità di aumentare il flusso” degli aiuti nell’enclave assediata.

Amar Bendjama, ambasciatore dell’Algeria all’ONU e uno dei promotori della risoluzione, si è felicitato per la svolta ed ha affermato che il Consiglio di Sicurezza “si è finalmente assunto le sue responsabilità in quanto organo principale per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali”.

Questo bagno di sangue è continuato per troppo tempo”, ha detto.

Il voto di lunedì è avvenuto mentre i leader israeliani continuavano a ribadire l’intenzione di proseguire con l’offensiva sul terreno su vasta scala a Rafah, la città al confine meridionale dove attualmente sono rifugiati un milione e mezzo di palestinesi.

Dall’attacco del 7 ottobre più del 90% dei 2.300.000 abitanti di Gaza è stato sfollato e almeno 32.000 palestinesi sono stati uccisi, in maggioranza donne e bambini.

Nonostante i crescenti allarmi da parte delle agenzie umanitarie e della comunità internazionale secondo cui un assalto a Rafah sarebbe una catastrofe, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha sostenuto che Israele non può raggiungere il suo obbiettivo di una “vittoria totale” contro Hamas senza aggredire la città di confine.

In seguito al voto Netanyahu ha annullato per protesta la prevista visita di una delegazione di alto livello a Washington ed ha accusato gli USA di ritrattare quella che ha detto essere stata una “posizione di principio”.

Il Consigliere per la Sicurezza Nazionale israeliano Tzachi Hanegbi e il Ministro per gli Affari Strategici Ron Dermer, un importante uomo di fiducia di Netanyahu, avrebbero dovuto recarsi a Washington per ascoltare le contro-proposte americane riguardo all’offensiva su Rafah.

Subito dopo il voto il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca John Kirby ha detto ai giornalisti che l’astensione non rappresenta un “cambio nella politica” dell’amministrazione.

Non c’è ragione perché questo sia considerato una forma di escalation”, ha detto. “Nulla è cambiato nella nostra politica. Vogliamo ancora vedere un cessate il fuoco. Vogliamo ancora liberare tutti gli ostaggi. E vogliamo ancora vedere più assistenza umanitaria verso la popolazione di Gaza.”

La decisione di Washington di astenersi attesta settimane di critiche reciproche tra Israele e l’amministrazione Biden.

Da dicembre Biden e altri alti dirigenti USA hanno contestato Israele rispetto alla sua condotta nella guerra, ma il voto di lunedì segna il punto di critica più formale degli USA.

Gli USA hanno posto tre volte il veto rispetto alle richieste di cessate il fuoco. Inoltre Washington aveva bloccato anche un emendamento che chiedeva un cessate il fuoco che la Russia aveva cercato di includere in una risoluzione del Consiglio di Sicurezza a dicembre.

La settimana scorsa gli USA avevano annunciato ufficialmente di essere pronti a limitare il proprio supporto a Israele, presentando una risoluzione per riconoscere “la necessità” di un “immediato e prolungato cessate il fuoco”.

Tuttavia quel testo era stato bloccato da Russia e Cina, che insieme agli Stati arabi lo hanno criticato per non aver chiesto esplicitamente che Israele fermasse la campagna contro Gaza.

Discussioni sulla risoluzione

Gli Stati Uniti hanno ipotizzato una risoluzione di cessate il fuoco fin da febbraio come strumento di pressione su Israele, essendo Washington sempre più frustrata da ciò che Biden ha definito “bombardamento indiscriminato” di Israele su Gaza e dalla mancata predisposizione di un piano post-guerra per l’enclave assediata, che l’ONU ha avvertito essere sull’orlo della carestia.

Frank Lowenstein, ex inviato speciale per i negoziati israelo-palestinesi nell’amministrazione Obama, aveva in precedenza detto a MEE che le crescenti critiche degli USA alle Nazioni Unite hanno rappresentato “un avvertimento a Bibi (il primo ministro Benjamin Netanyahu)”, aggiungendo che “gli israeliani sono molto sensibili riguardo all’ONU. Lo considerano un organismo ostile e confidano sugli USA perché li proteggano in quella sede.”

La risoluzione è dovuta al lavoro dei membri non permanenti del Consiglio, che hanno negoziato con gli Stati Uniti durante il weekend per evitare un ulteriore veto, secondo fonti diplomatiche che hanno espresso un certo ottimismo sulla sua approvazione.

Diversamente dal testo di venerdì, la richiesta di cessate il fuoco nella nuova risoluzione non è collegata ai colloqui in corso, condotti dal Qatar con il sostegno di Stati Uniti ed Egitto, per fermare il conflitto in cambio del rilascio degli ostaggi da parte di Hamas.

Il nuovo testo inoltre deplora “tutti gli attacchi contro civili e obbiettivi civili come anche ogni violenza e ostilità contro civili e tutti gli atti di terrorismo”.

Israele ha criticato il Consiglio di Sicurezza per le precedenti risoluzioni che non hanno specificamente condannato Hamas.

Gli attacchi compiuti da Hamas nel sud di Israele hanno ucciso 1.200 persone ed hanno portato alla cattura di 250 ostaggi condotti a Gaza.

In risposta Israele ha lanciato una sanguinosa offensiva sull’enclave assediata che ha ridotto in macerie la maggior parte della striscia costiera mediterranea.

Un recente rapporto dell’ONU ha avvertito che la carestia è imminente nel nord di Gaza, una crisi di cui molti hanno accusato Israele per aver usato la fame come arma di guerra.

 

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)

 




Biden più vicino che mai alla rottura con Netanyahu sulla guerra a Gaza

Yasmeen Abutaleb, John Hudson e Tyler Pager

11 febbraio 2024 – The Washington Post

Con l’aumentare delle vittime alcuni assistenti esortano Biden a criticare apertamente il primo ministro israeliano

Secondo diverse persone che sono al corrente delle loro discussioni riservate, il presidente Biden e i suoi principali collaboratori sono più che mai vicini a una rottura con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu dall’inizio della guerra di Gaza, poiché non lo considerano più un partner costruttivo che possa essere influenzato anche in via confidenziale.

Secondo sei persone che sono al corrente delle conversazioni e che hanno parlato a condizione di restare anonime per trattare di considerazioni riservate, la crescente frustrazione nei confronti di Netanyahu ha spinto alcuni degli assistenti di Biden a esortarlo a essere più critico in modo esplicito nei confronti del primo ministro sull’operazione militare del suo Paese a Gaza.

Secondo queste persone il presidente, un convinto sostenitore di Israele che conosce Netanyahu da più di 40 anni, è stato finora in gran parte riluttante a rendere pubblica la sua personale frustrazione. Ma vi si sta lentamente avvicinando, hanno detto, dato che Netanyahu continua a far infuriare i funzionari di Biden con umiliazioni pubbliche e arroganti rifiuti alle più elementari richieste degli Stati Uniti.

Netanyahu ha irritato i funzionari statunitensi in diverse occasioni negli ultimi giorni. Ha condannato pubblicamente un accordo sugli ostaggi mentre il segretario di Stato Antony Blinken era nella regione nel tentativo di mediare l’accordo. Ha annunciato che l’esercito israeliano si sarebbe spostato nella città di Rafah, nel sud di Gaza, una mossa a cui i funzionari statunitensi si sono pubblicamente opposti perché Rafah è occupata da circa 1,4 milioni di palestinesi che vivono in condizioni disumane e sono fuggiti lì su ordine israeliano.

Netanyahu ha anche affermato che Israele non smetterà di combattere a Gaza finché non otterrà la “vittoria totale”, anche se i funzionari statunitensi credono sempre più che il suo obiettivo dichiarato di distruggere Hamas sia irrealizzabile.

Per ora la Casa Bianca ha respinto le richieste di sospendere gli aiuti militari a Israele o di imporgli condizioni, affermando che ciò non farebbe altro che incoraggiare i nemici di Israele. Ma alcuni degli assistenti di Biden sostengono che criticare apertamente Netanyahu gli permetterebbe di prendere le distanze da un leader impopolare e dalle sue politiche di terra bruciata, ribadendo al contempo il suo sostegno di lunga data a Israele stesso.

La frustrazione personale di Biden nei confronti di Netanyahu – che è andata accumulandosi da mesi – è risultata evidente giovedì, quando ha affermato che la campagna militare di Israele a Gaza è stata “eccessiva”, il suo rimprovero finora più aspro.

Il presidente ha anche parlato in modo molto più dettagliato delle sofferenze dei palestinesi, nonché del tempo e delle energie che ha speso cercando di convincere israeliani ed egiziani a concedere maggiori aiuti ai 40 km. di enclave. “Molte persone innocenti stanno morendo di fame”, ha detto Biden. “Molte persone innocenti sono in difficoltà e stanno morendo. E questo deve finire”.

Un particolare punto critico è il piano di Israele di lanciare una campagna militare a Rafah, la città più meridionale di Gaza che confina con l’Egitto e che si è ingrandita fino a diventare più di quattro volte la sua dimensione originale. “Vivono già in tende e non ricevono abbastanza cibo e acqua e gli dicono di andare da qualche altra parte”, ha detto un consigliere esterno della Casa Bianca. “Dove? E come dovrebbero arrivarci?”

Questo articolo si basa su interviste con 19 alti funzionari dell’amministrazione e consulenti esterni, molti dei quali hanno parlato a condizione di anonimato per discutere di colloqui riservati.

Gli assistenti della Casa Bianca affermano pubblicamente che non c’è stato alcun cambiamento nella strategia o nel messaggio di Biden. Ma molti dei suoi alleati sostengono che anche un brusco cambiamento della retorica avrà scarso effetto, a meno che gli Stati Uniti non inizino a imporre condizioni per il loro sostegno a Israele.

Finché sostieni senza condizioni l’operazione militare di Netanyahu a Gaza, non fa assolutamente alcuna differenza quanto cambi il tenore delle tue dichiarazioni”, ha detto Ben Rhodes, vice consigliere per la Sicurezza Nazionale dell’ex presidente Barack Obama. “Fondamentalmente bisogna decidere di non dare a Bibi un assegno in bianco in aiuti.” (“Bibi” è il soprannome comune di Netanyahu.)

Israele ha lanciato la sua campagna militare punitiva in risposta al brutale attacco di Hamas del 7 ottobre, quando i miliziani hanno fatto irruzione attraverso la recinzione di confine tra Israele e Gaza e hanno ucciso 1.200 persone, molte delle quali civili, e hanno preso circa 253 ostaggi. Da allora, secondo il Ministero della Sanità di Gaza, gli attacchi aerei e i raid israeliani hanno ucciso più di 28.000 palestinesi e provocato lo sfollamento di oltre l’80% dei 2,3 milioni di abitanti di Gaza, mentre l’assedio dell’enclave ha creato una vera catastrofe umanitaria.

La Casa Bianca ha fatto cauti passi negli ultimi giorni per segnalare la sua crescente frustrazione. Biden ha emesso un memorandum sulla sicurezza nazionale volto a garantire che i Paesi che ricevono armi statunitensi rispettino determinate linee guida, tra cui non ostacolare l’assistenza umanitaria.

All’inizio di questo mese Biden ha anche emesso un ordine esecutivo che impone sanzioni a quattro coloni della Cisgiordania per violenza contro i palestinesi, un’azione di cui Netanyahu si è lamentato durante un incontro privato con Blinken la scorsa settimana, hanno detto i funzionari. E giovedì il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale John Kirby ha detto che un’operazione israeliana a Rafah “sarebbe un disastro per la popolazione, e noi non la sosterremmo” – la critica più forte con cui la Casa Bianca si è opposta ad un’operazione militare israeliana.

Alcuni degli assistenti del presidente hanno sostenuto che Biden può ancora appoggiare Israele pur denunciando Netanyahu. Ma secondo diverse persone che hanno familiarità con il suo pensiero Biden, che gli assistenti dicono abbia un attaccamento viscerale allo Stato ebraico, ha la tendenza a vedere il primo ministro e lo Stato di Israele come la stessa cosa, e si è opposto all’idea di criticare un primo ministro in carica, soprattutto in tempo di guerra.

Secondo due ex funzionari di Obama, quando era vicepresidente Biden riteneva che Obama e Netanyahu fossero troppo spesso pubblicamente in disaccordo.

Eppure la pazienza di Biden si sta esaurendo, per il modo in cui Israele ha condotto la sua campagna militare, e il presidente sta anche pagando un crescente prezzo politico per il suo sostegno a Israele, mentre Netanyahu sembra desideroso di ottenere un tornaconto politico snobbando pubblicamente Biden. Mentre Biden si avvia verso una faticosa campagna di rielezione, i sondaggi mostrano che i giovani elettori, le persone di colore, i musulmani e gli arabi americani disapprovano fortemente la sua gestione della guerra.

Per mesi i funzionari statunitensi hanno esercitato pressioni sugli israeliani affinché consentissero l’arrivo a Gaza di maggiori aiuti umanitari, tra cui cibo, acqua e medicine, ma hanno dovuto affrontare ripetute resistenze da parte di Netanyahu e del suo governo. I manifestanti israeliani hanno anche bloccato l’ingresso dei camion degli aiuti attraverso il valico di frontiera con Gaza di Kerem Shalom.

Un alto funzionario dell’amministrazione che parla regolarmente con il presidente ha affermato che i commenti insolitamente taglienti di Biden giovedì riflettono ciò che ha detto a lungo in privato.

Non penso che qualcuno possa guardare a ciò che gli israeliani hanno fatto a Gaza e non dire che è esagerato”, ha detto il funzionario. “È tutto frustrante con gli israeliani. Hanno pensato a ciò che avverrà dopo a Gaza? No. Non si sono cimentati con le domande veramente difficili”.

Biden tiene profondamente a portare più aiuti umanitari a Gaza, ha detto il funzionario, aggiungendo che “ci pensa costantemente” ed è frustrato dagli ostacoli che Israele sta frapponendo. “Tutto è una continua lotta”, ha detto il funzionario.

Alla frustrazione dei funzionari statunitensi si aggiunge il loro profondo scetticismo sulla capacità di Israele di raggiungere l’obiettivo dichiarato della vittoria militare totale.

Come riportato per la prima volta dal New York Times, funzionari a conoscenza di un briefing a porte chiuse la scorsa settimana, dei funzionari dell’intelligence statunitense hanno detto ai parlamentari che, sebbene Israele abbia ridotto le capacità militari di Hamas, dopo più di 100 giorni dall’inizio della sua campagna non è vicino all’eliminazione del gruppo.

I leader statunitensi sono scettici nei confronti dell’affermazione di Netanyahu secondo cui avrebbe distrutto due terzi delle squadre combattenti di Hamas, e avvertono che l’alto livello di vittime civili sta garantendo che per decenni a venire accanto a Israele vivrà una popolazione radicalizzata.

Nell’immediato futuro i funzionari statunitensi sono quasi interamente concentrati sulla conclusione di un accordo che vedrebbe il rilascio di molti dei restanti 130 ostaggi israeliani a Gaza in cambio di prigionieri palestinesi e una pausa a lungo termine nei combattimenti.

Funzionari della Casa Bianca hanno affermato che un cessate il fuoco temporaneo consentirebbe loro di far arrivare a Gaza gli aiuti umanitari di cui c’è disperatamente bisogno. Sperano anche che possa fornire lo spazio per iniziare ad affrontare le questioni più difficili del futuro, tra cui chi governerà Gaza, come rendere possibile la nascita di uno Stato palestinese e come riformare l’Autorità Palestinese che governa alcune parti della Cisgiordania.

I funzionari della Casa Bianca sono sempre più vicini alla conclusione che Netanyahu sia concentrato sulla propria sopravvivenza politica a prescindere da qualsiasi altro obiettivo, e che sia ansioso di presentarsi come colui che tiene testa al sostegno di Biden per la soluzione a due Stati. Durante una conferenza stampa il mese scorso, Netanyahu ha rimproverato pubblicamente Biden per il suo sostegno allo Stato palestinese, affermando che un primo ministro israeliano deve essere “capace di dire no ai nostri amici”.

Netanyahu sta giocando la propria politica in patria, e se pensa che denigrare pubblicamente Biden lo possa aiutare, lo farà”, ha detto Frank Lowenstein, ex funzionario del Dipartimento di Stato che ha contribuito a condurre i negoziati israelo-palestinesi del 2014.

Gli assistenti dicono che uno dei motivi principali per cui Biden non ha criticato prima Netanyahu è il suo rapporto decennale con il primo ministro. Biden afferma spesso di dire a Netanyahu: “Ti voglio bene Bibi, anche se non ti sopporto”.

Talvolta Netanyahu ha contribuito a rafforzare la visione di Biden di Israele come un eroico baluardo contro l’antisemitismo globale. Secondo una persona presente allo scambio, che parla a condizione dell’anonimato per descrivere un colloquio privato, durante una visita quando Biden era vicepresidente Netanyahu gli mostrò foto di immagini grossolanamente antisemite provenienti da Hamas e sostenne che quella istigazione era la ragione per cui non si poteva fare la pace con i palestinesi.

Man mano che la frustrazione di Biden cresce, il presidente parla meno di frequente con il leader israeliano. Secondo un alto funzionario dell’amministrazione presente alla conversazione, la loro ultima conversazione, a metà gennaio, era stata in gran parte incentrata sul potenziale accordo sugli ostaggi.

Biden spingeva Netanyahu a “buttare giù un’offerta e mettere alla prova Hamas”, ha detto il funzionario. Il presidente ha poi parlato con il presidente egiziano Abdel Fatah El-Sisi e con l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani, esortandoli a fare pressione su Hamas affinché le due parti potessero avvicinarsi a un accordo.

In questo contesto, il presidente e i suoi collaboratori si sono arrabbiati quando la scorsa settimana Netanyahu ha pubblicamente rifiutato l’ultima proposta di Hamas sugli ostaggi poche ore dopo che Blinken, che era in Israele per la quinta volta dall’inizio della guerra, aveva dichiarato che era una proposta promettente.

La resa alle ridicole richieste di Hamas – che abbiamo appena sentito – non porterà alla liberazione degli ostaggi, e provocherà solo un altro massacro”, ha detto Netanyahu.

Ore dopo Blinken ha espresso le critiche sinora più acute sull’alto numero di vittime civili a Gaza, sulle restrizioni israeliane agli aiuti e sulla retorica incendiaria di Netanyahu e dei suoi ministri che, secondo lui, causano “profonde preoccupazioni” agli Stati Uniti.

Il pedaggio quotidiano che le sue operazioni militari continuano a infliggere a civili innocenti rimane troppo alto”, ha detto mercoledì Blinken ai giornalisti in una conferenza stampa a Tel Aviv. “Gli israeliani sono stati disumanizzati nel modo più orribile il 7 ottobre. Da allora gli ostaggi sono stati disumanizzati ogni giorno. Ma questa non può essere una licenza per privare altri della loro umanità”.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Netanyahu voleva distruggere Hamas. Questa guerra potrebbe distruggere Israele

David Hearst

22 dicembre 2023 – Middle East Eye

La guerra di Gaza è stata un enorme errore di valutazione di Israele. Oltre a essere un disastro morale e militare, sta rinfocolando la resistenza e riaccendendo le braci della rabbia in tutto il mondo arabo.

Durante l’assedio di Beirut nel luglio 1982, dopo un bombardamento israeliano particolarmente intenso, il presidente degli USA Ronald Reagan chiamò il primo ministro israeliano Menachem Begin per chiedergli di porvi fine.

“Notte dopo notte qui sulle nostre televisioni vengono mostrati al nostro popolo i segni di questa guerra ed è un olocausto,” disse Reagan.

A differenza del democratico che siede oggi alla Casa Bianca, il presidente repubblicano poteva ed era pronto a sostenere con l’azione le proprie parole. Gli USA misero fine alle bombe a grappolo e alla vendita di F16 a Israele.

Il numero dei morti nella guerra del Libano varia enormemente. Secondo le stime libanesi nei quattro mesi che seguirono il lancio dell’invasione furono uccisi 18.085 libanesi e palestinesi. Le cifre dell’OLP sono di 49.600 civili uccisi o feriti.

In appena due mesi Israele ha ucciso lo stesso numero di persone, ma ha inflitto a Gaza un livello di distruzione molto maggiore. 

Secondo gli analisti militari intervistati dal Financial Times la devastazione di Israele nel nord di Gaza, dove dal 4 dicembre è stato distrutto il 68% degli edifici, è paragonabile al bombardamento alleato di Amburgo (75%), Colonia (61%), e Dresda (59%) avvenuto in quelle città dopo due anni di bombardamenti.

Circa 20.000 palestinesi, il 70% donne e minori, sono stati uccisi in metà del tempo che ci volle a costringere l’OLP a lasciare Beirut ovest nel 1982. Eppure la sete di sangue di Israele dopo l’attacco di Hamas il 7 ottobre non è ancora stata saziata. 

Interpretando un sentimento diffuso, Zvi Yehezkeli, corrispondente per gli affari arabi di Channel 13, ha detto che Israele dovrebbe uccidere 100.000 palestinesi. Daniella Weiss, capo del Movimento dei Coloni Israeliani, ha detto che Gaza deve essere rasa al suolo, in modo che i coloni possano vedere il mare.

Terra sacra

A differenza dell’assedio di Beirut o del massacro del 1982 nei campi profughi di Sabra e Shatila, il bombardamento notturno di Gaza viene trasmesso in diretta da Al Jazeera

Milioni di arabi non riescono a distogliere gli occhi dalle scene di orrore in tempo reale. Una signora di 91 anni ad Amman, in Giordania, ha detto al figlio di vergognarsi di mangiare davanti alla televisione mentre Israele sta riducendo Gaza alla fame. 

La fame forzata di massa non è un’esagerazione.

Human Rights Watch ha accusato Israele di usare la fame di massa come arma di guerra. La politica governativa di affamare Gaza è stata confermata da Miri Regev, ministra dei Trasporti, che, in un recente incontro di gabinetto ha chiesto se la fame potrebbe influenzare i leader di Hamas. I suoi colleghi hanno dovuto correggerla precisando che la fame è un crimine di guerra.

L’effetto che queste immagini sta avendo è una catastrofe non solo per questo governo, o per ogni futuro governo di Israele, ma anche per tutti quegli ebrei che decideranno di restare in questa terra quando il conflitto sarà finalmente terminato.

La distruzione di Gaza sta gettando le fondamenta per altri 50 anni di guerra. Generazioni di palestinesi, arabi e musulmani non dimenticheranno mai la barbarie con cui oggi Israele sta smantellando l’enclave. Gaza, di per sé un grande campo profughi, sta diventando terra sacra.

Crollo del sostegno all’ANP

Ci sono israeliani che hanno capito. Ami Ayalon, ex capo di Shin Bet e comandante della marina, è uno di loro. Ayalon ha identificato una debolezza fondamentale nel pensiero convenzionale nei circoli israeliani della sicurezza.

Ha detto ad Aaron David Miller, analista USA del Medio Oriente, che se l’esercito israeliano vede la vittoria attraverso il prisma dello strapotere – cioè più persone uccide e maggiore è la distruzione più pensa di aver vinto – Hamas considera la vittoria attraverso il prisma del potere di persuasione – più cuori e menti conquista, più grande è la vittoria.

Gli israeliani stanno commettendo lo stesso errore dei francesi in Algeria quando, fra il 1954 e il 1962, uccisero da mezzo milione a un milione e mezzo di algerini, dal 5% al 15% della popolazione, pensando che così facendo avrebbero vinto la guerra. Tuttavia alla fine della guerra dovettero andarsene e concedere l’indipendenza all’Algeria.

Null’altro può spiegare la spettacolare ascesa di Hamas nei sondaggi in Cisgiordania, Giordania e persino in posti come l’Arabia Saudita, dove i leader hanno cercato deliberatamente di seppellire la guerra organizzando dei festival.

Khalil Shikaki, sondaggista molto rispettato dell’OLP e che non ama molto Hamas, ha rilevato che il 72 % degli intervistati crede che Hamas sia stata nel “giusto” a lanciare il suo attacco del 7 ottobre, con l’82% di sostegno in Cisgiordania.

Allo stesso tempo il sostegno per l’Autorità Palestinese è di conseguenza crollato. Shikaki riporta che il 60% ne vorrebbe lo scioglimento.

Una serie di valutazioni dell’intelligence USA conferma la rapidissima ascesa della popolarità di Hamas dall’inizio della guerra. Funzionari a conoscenza delle diverse valutazioni dicono che il gruppo si è piazzato con successo in varie parti del mondo arabo e musulmano come difensore della causa palestinese e un combattente efficace contro Israele, come riportato dalla CNN.

Brutte notizie per tutti quei Paesi, naturalmente con gli USA in testa, che pensano che l’AP possa rimpiazzare Hamas a Gaza. Queste non sono solo cifre. È la nuova realtà politica dopo il 7 ottobre.

Ognuno degli alti papaveri di Fatah che la pensi diversamente viene immediatamente contestato. Oggi l’ambizioso esiliato palestinese Mohammed Dahlan [ex-capo della sicurezza di Fatah a Gaza, acerrimo nemico di Hamas e cacciato da Abu Mazen per corruzione, ndt.] e il suo clan sembrano sostenitori di lunga data di Hamas, non come quando si consideravano il fulcro di un piano internazionale per scacciare Hamas da Gaza nel 2007 dopo che aveva vinto le libere elezioni dell’anno prima.

Affare fatto

Ma Hussein al-Sheikh, segretario del comitato esecutivo dell’OLP e recentemente consacrato successore di Mahmoud Abbas, presidente dell’ANP, non ha ancora capito il cambiamento di atmosfera a Ramallah.

Sheikh, parlando a Reuters, ha attaccato Hamas dicendo che dal 2008 ha combattuto cinque guerre contro Israele e non ha ottenuto nulla con l’occupazione militare.

“Alcuni non accettano di credere che i suoi metodi e il suo approccio nella gestione del conflitto con Israele siano l’ideale e il migliore.

“Dopo tutte queste [morti] e dopo tutto quello che è successo, non vale la pena di fare una valutazione seria, onesta e responsabile per proteggere il nostro popolo e la nostra causa palestinese?

Non vale la pena discutere come gestire questo conflitto con l’occupazione israeliana?” dice Sheikh.

Sheikh sembra insinuare che la presa di potere dell’ANP a Gaza dopo guerra sia un affare fatto. Ha detto all’israeliano Channel 12 che Israele e l’AP si sono accordati su un meccanismo che permetterà all’Autorità di ricevere i fondi trattenuti [da Israele] fin dall’inizio della guerra.

Ci sono voluti due giorni interi a Sheikh per fare dietrofront sul suo attacco contro Hamas. Gli è stato chiesto come un leader di Fatah che nei sondaggi ha il 3% possa criticare Hamas, con il suo 48% sul suo stesso terreno.

Sheikh, questa volta parlando con Al Jazeera, ha detto che i suoi commenti sulle responsabilità di Hamas erano stati “fraintesi”: “L’Autorità Palestinese è la prima a difendere la resistenza,” ha detto nervosamente.

Divide et impera

L’offensiva israeliana contro Gaza ha certamente cambiato l’intero Medio Oriente, come aveva promesso il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ma non in modi da cui trarranno beneficio il suo governo o quelli futuri.

Per 17 anni Gaza è stata dimenticata o ignorata dal resto del mondo, eccetto durante le guerre del 2009, 2012, 2014 e 2021, l’America e le maggiori potenze europee hanno fatto del loro meglio per rafforzare l’assedio di Gaza da parte di Israele e dell’egiziano Abdel Fattah el-Sisi.

Bene, con il 60% distrutto e la gran parte della sua popolazione di 2.3 milioni senza case, scuole, ospedali, strade, negozi o moschee a cui far ritorno, non c’è pericolo che Gaza venga più ignorata.

Se per 17 anni la politica di Israele è stata dividere per dominare, separando Gaza dalla Cisgiordania ed eliminando tutte le possibilità di prendere parte a un governo di unità nazionale, Gaza e la Cisgiordania sono riunite come mai prima.

Se la Giordania è stata tranquilla per 50 anni dopo la sanguinosa guerra fra il suo esercito e l’OLP, se le divisioni fra i giordani dell’est e i cittadini palestinesi della Giordania sono state improntate da mutua sfiducia, oggi la Giordania, sia giordani che palestinesi, è un calderone ribollente di odio contro Israele. Ci sono crescenti tentativi di contrabbandare armi verso la Cisgiordania nei 360 km di confine, lungo oltre quattro volte quello con Libano e Siria.

La Giordania stima che Israele avrà bisogno di cinque volte il numero di truppe schierate lungo il confine libanese per metterlo in sicurezza.

In Giordania, con 13 campi profughi e milioni di palestinesi che sono cittadini, c’è la più grande concentrazione della diaspora palestinese, circa sei milioni, superando in numero i palestinesi che vivono in Cisgiordania e a Gaza.

Se il 6 ottobre Netanyahu si è vantato dell’imminente vittoria dei sionisti, sventolando davanti all’assemblea generale delle Nazioni Unite una mappa di Israele dove la Palestina era cancellata, oggi le sue vanterie sembrano tristemente mal riposte; se la firma dell’Arabia Saudita sull’accordo che riconosce Israele era considerata solo una questione di tempo, oggi gli Accordi di Abramo si sono dissolti nel calderone che Israele ha acceso a Gaza.  

Lo scaricabarile di Netanyahu

E le opinioni in Arabia Saudita? L’ultimo sondaggio contiene due cifre sorprendenti per un Paese il cui leader sta deliberatamente cercando di scrollarsi di dosso vecchie abitudini, incluso il sostegno alla Palestina.  Il 91% concorda che la guerra a Gaza sia una vittoria per palestinesi, arabi e musulmani e il 40% ha un atteggiamento positivo su Hamas, un cambiamento di 30 punti dall’agosto di quest’anno.

Oggi se si legge e ascolta quello che hanno da dire sauditi, qatarioti, emiratini e bahreiniti, il riconoscimento di Israele assomiglia straordinariamente all’iniziativa araba di pace del 2002 che gli accordi [di Abramo] avrebbero dovuto sostituire.

La caratteristica principale degli Accordi di Abramo studiata dall’ex ambasciatore USA in Israele, David M Friedman, e da Jared Kushner [genero e consigliere di Trump, ndt.], era di rendere irrilevante il veto palestinese. Ora c’è di nuovo. Anche se altri Paesi li firmeranno ciò sta diventando irrilevante, dato che la vera lotta si è cristallizzata fra i palestinesi e Israele. 

Fra le rovine di tutti questi piani Netanyahu e la sua coalizione di estrema destra hanno una sola direzione in cui possono andare: avanti. Non possono ritirarsi.

Per la propria sopravvivenza politica e giudiziaria Netanyahu deve continuare la guerra. Così come il sionismo nazional-religioso [l’estrema destra dei coloni, ndt.]. Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich [ministri di estrema destra, ndt.] sanno che perderebbero un’opportunità che si presenta solo una volta nella vita per cambiare l’equilibrio demografico fra ebrei e palestinesi in Cisgiordania se Netanyahu è costretto dal presidente USA Joe Biden a porre fine alla guerra.

Alla domanda di Middle East Eye su quali piani abbia Israele per il “giorno dopo” la fine della guerra, esperti analisti israeliani ed ex diplomatici sono stati unanimi nelle loro risposte: non ce ne sono. 

Eran Etzion, ex diplomatico e membro del Consiglio Nazionale di Sicurezza, ha detto che Netanyahu sta sicuramente pensando al giorno dopo, ma solo a come ciò influenzerà le sue possibilità di sopravvivenza politica.

È molto chiaro che si è già reso conto che gli americani stanno per fermarlo prima che abbia raggiunto gli obiettivi della guerra,” ha detto.

Si sta già preparando per lo ‘scaricabarile’, i suoi bersagli saranno Biden, i capi militari, i media, e come si dice in ebraico, tutto il mondo e sua moglie che gli hanno impedito di raggiungere la vittoria.

“Quindi per lui il giorno dopo è la continuazione della guerra a ogni costo, dato che lo scopo è restare al potere.”

Etzion ha fatto notare che, anche dopo due mesi di campagna, non c’è nessun contesto ufficiale o gruppo di politici che pianifichi la gestione del dopoguerra a Gaza, e non ci sono discussioni ufficiali fra l’establishment della difesa israeliana e i funzionari USA a Washington.

Incredibile errore di valutazione

La guerra potrebbe esaurirsi sotto la pressione USA e continuare come un conflitto caratterizzato da attacchi dell’esercito israeliano contro i leader di Hamas e una guerriglia prolungata di combattenti in piccole unità. 

Ma questo comporta che Israele non solo si impadronisca del valico di Rafah e sigilli i tunnel per impedire ad Hamas di rifornirsi con armi contrabbandate oltre confine, significa che Israele provveda all’amministrazione civile del nord di Gaza, che ha completamente distrutto.

Per la destra gli ostaggi che Hamas continua a detenere sono praticamente come già morti, ma Netanyahu subirà una pressione crescente dalle loro famiglie perché abbandoni la sua guerra.

I fantasmi del Libano stanno veramente ritornando indietro a perseguitare Israele. Ci vollero 15 anni perché Israele se ne andasse quando Beirut era diventata indifendibile, ma nel 2000 se ne andò. Quando lo fece Hezbollah diventò la forza militare e politica predominante in quel Paese.

Questa guerra è stata un incredibile errore di valutazione per Israele. È un disastro militare oltre che morale. Sta dando alla resistenza una popolarità e uno status nel mondo arabo mai visti in molti decenni.

Neppure la prima e la seconda intifada hanno avuto il successo di Hamas a Gaza negli ultimi due mesi. Gaza ha riacceso le braci della rabbia araba per le umiliazioni subite per mano degli immigrati ebrei.

Il risultato di questa guerra potrà essere un continuo stato di conflitto che priverà Israele della sua affermazione di essere diventato un normale Stato occidentale. In queste condizioni, l’allargamento della guerra esisterà sempre, come mostrano gli attacchi degli Houthi dello Yemen contro i cargo occidentali che passano attraverso il mar Rosso.

Mitut Hamas” (crollo di Hamas) slogan in ebraico e scopo del gabinetto di guerra israeliano. Dopo due mesi di una tale distruzione, potrebbero aggiornarlo con questo: “Mitut Israel”, perché è questo l’effetto che potrebbe avere questa guerra.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

David Hearst è cofondatore e capo redattore di Middle East Eye. È un commentatore e conferenziere sulla regione e analista dell’Arabia Saudita. È stato capo redattore di politica estera per The Guardian e corrispondente in Russia, Europa e da Belfast. È arrivato a The Guardian da The Scotsman, dove si occupava del settore dell’istruzione.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Trasferimento forzato, ‘imperativo morale’ e disprezzo coloniale

Ramona Wadi

26 dicembre 2023 Middle East Monitor

Due editoriali usciti il giorno di Natale, uno del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu pubblicato sul Wall Street Journal e l’altro di Joel Roskin, geologo e geografo all’Università Bar-Ilan, apparso sul Jerusalem Post, puntano entrambi verso la pulizia etnica dei palestinesi di Gaza. Solo che la retorica di Netanyahu, non i suoi ordini, lo fa in modo leggermente meno indelicato, per compiacere l’Occidente della cui approvazione ha bisogno per distruggere completamente Gaza.

Netanyahu elenca tre prerequisiti per la “pace” e non cita gli ostaggi israeliani che restano a Gaza sotto la minaccia di essere uccisi dai bombardamenti dell’IDF. “Hamas deve essere distrutto, Gaza deve essere demilitarizzata e la società palestinese deve essere deradicalizzata.” Naturalmente Netanyahu ha bisogno della complicità internazionale e insiste che la comunità internazionale “dovrebbe incolpare Hamas per le massicce perdite civili della guerra in corso”. No, non deve. Israele sta bombardando Gaza con il pretesto di eliminare Hamas per effettuare una campagna di pulizia etnica totale contro il popolo palestinese.

Tuttavia la comunità internazionale non ha fatto altro che mercanteggiare sulle pause umanitarie e gli aiuti umanitari. Nel frattempo, a porte chiuse, il piano di Netanyahu per i palestinesi di Gaza è la “migrazione volontaria” – l’eufemismo di Israele per il trasferimento forzato, vietato dal diritto internazionale, che la comunità internazionale ha normalizzato a favore di Israele nel corso della Nakba del 1948.

Queste notizie non sorprendono, dato che il ministero israeliana dell’Intelligence ritiene che il trasferimento forzato sia l’opzione preferita, e che lo scorso novembre il parlamentare del Likud Danny Danon ha promosso la violazione del diritto internazionale a “imperativo morale” per i Paesi occidentali. Se l’Occidente probabilmente non solleverà che poche obiezioni o nessuna ai piani israeliani di trasferimento forzato, non esiste alcun imperativo morale nell’assecondare la pulizia etnica. Il problema è che la comunità internazionale non ha l’imperativo morale per fermare permanentemente la violenza coloniale israeliana perché la sua complicità è a mala pena distinguibile dalle attuali azioni di Israele.

L’editoriale di Roskin gronda odio, arroganza e ricatto, e ignora completamente la realtà politica di Gaza, incluso il rifiuto della comunità internazionale di accettare i risultati elettorali del 2006 e di avviare un dialogo con Hamas. L’Egitto, scrive Roskin, sarebbe “accolto dalla comunità internazionale quale salvatore della disperata situazione dei gazawi” se accettasse di essere complice dei piani israeliani di pulizia etnica. Roskin considera la Penisola del Sinai il luogo ideale per il “reinsediamento” dei palestinesi cacciati da Gaza dalla campagna di bombardamenti israeliani. Chiamare i trasferimenti forzati “sinceri programmi di reinserimento”, afferma Roskin, “L’obliterazione di Hamas in corso, che terrorizza i funzionari dell’Autorità Palestinese e molti abitanti di Gaza, potrebbe spianare la strada comparsa della soluzione del Sinai prospettata, se presentata in modo accorto e discreto che sia conforme alla mentalità mediorientale.”

Tutte queste parole ostili non rivelano altro che disprezzo coloniale per la popolazione indigena palestinese. I palestinesi non sarebbero forse abbastanza maturi da formare il proprio percorso politico se avessero la possibilità di farlo, invece di diventare rifugiati perpetui secondo il paradigma umanitario, tutto a beneficio di Israele? Se i palestinesi di Gaza non possono ritornare alle proprie terre e sono trasferiti a forza con la completa benedizione della comunità internazionale, Gaza potrebbe essere persa, ma non si vedrà la fine della lotta anticolonialista palestinese.

Un popolo che ricorda non può perdersi, non se sa che il colonialismo è reversibile.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(tradotto dall’inglese da Mirella Alessio)




In segreto Israele ha permesso che Hamas ricevesse milioni di dollari al mese

Mark Mazzetti e Ronen Bergman

11 dicembre 2023 –The Sidney Morning Herald

Tel Aviv

Poche settimane prima del 7 ottobre, quando Hamas ha lanciato il suo attacco mortale contro Israele, il capo del Mossad è arrivato a Doha, Qatar, per un incontro con funzionari qatarini.

Per anni questo governo ha mandato a Gaza milioni di dollari al mese – soldi che hanno contribuito a sostenere l’amministrazione di Hamas. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha non solo tollerato, ma incoraggiato quei pagamenti.

Secondo varie persone a conoscenza delle discussioni segrete, durante i suoi incontri a settembre con funzionari qatarini, al capo del Mossad, David Barnea, è stata posta una domanda che non era all’ordine del giorno: Israele voleva che continuassero con i pagamenti?

Recentemente il governo di Netanyahu ha deciso di continuare con la stessa politica, quindi Barnea ha detto di sì. Il governo israeliano approvava ancora i soldi inviati da Doha.

Permettere i pagamenti – miliardi di dollari lungo circa un decennio – è stato un azzardo di Netanyahu che pensava che un flusso regolare di denaro avrebbe mantenuto la pace a Gaza, il luogo di partenza degli attacchi del 7 ottobre, mantenendo Hamas concentrato sul governare, non combattere.

I pagamenti qatarini, apparentemente un segreto, erano da anni ampiamente conosciuti e discussi sui media israeliani. I critici di Netanyahu li denigrano perché parte di una strategia per “comprare la tranquillità” e, dopo gli attacchi, questa politica è al centro di un’impietosa revisione. Netanyahu si è scagliato contro queste critiche definendo “ridicola” l’ipotesi che avesse cercato di rafforzare Hamas.

In interviste con oltre venti politici israeliani, USA, qatarini e di altri governi mediorientali, attuali e del passato, The New York Times ha scoperto nuovi dettagli sulle origini di questa politica, sulle controversie scoppiate nel governo israeliano e fino a dove Netanyahu si è spinto per proteggere i qatarini dalle critiche e per far continuare il flusso di denaro.

I pagamenti facevano parte di una serie di decisioni di leader politici israeliani, ufficiali dell’esercito e funzionari dell’intelligence – tutti basati sulla valutazione sostanzialmente errata che Hamas non fosse né interessata né capace di un attacco su larga scala. Il Times aveva in precedenza riferito di errori dell’intelligence e di altre supposizioni sbagliate all’alba degli attacchi.

Persino quando l’esercito israeliano ha ottenuto i piani di battaglia di un’invasione di Hamas e gli analisti hanno notato significative esercitazioni terroristiche subito al di là del confine con Gaza, i pagamenti sono continuati. Per anni funzionari dell’intelligence israeliana hanno persino scortato un addetto qatarino dentro Gaza, dove distribuiva soldi da valige piene di milioni di dollari.

Il denaro del Qatar aveva destinazioni umanitarie, come pagare i salari del governo a Gaza e comprare combustibile per alimentare una centrale elettrica. Ma ora i funzionari dell’intelligence israeliana credono che i soldi abbiano giocato un ruolo nel successo degli attacchi del 7 ottobre, quanto meno perché le donazioni hanno permesso ad Hamas di dirottare parte per proprio budget verso operazioni militari. Autonomamente l’intelligence israeliana ha da tempo ipotizzato che il Qatar usasse altri canali per finanziare segretamente l’ala militare di Hamas, un’accusa che il governo del Qatar ha respinto.

Un funzionario qatarino ha dichiarato: “Ogni tentativo di gettare un’ombra di incertezza sulla natura civile e umanitaria dei contributi del Qatar e sul loro impatto positivo è infondato.”

Un funzionario dell’ufficio di Netanyahu ha dichiarato che vari governi israeliani hanno permesso al denaro di arrivare a Gaza per motivi umanitari, non per rafforzare Hamas. Ha poi aggiunto: “Il primo ministro Netanyahu ha agito per indebolire significativamente Hamas. Ha condotto tre importanti azioni militari contro Hamas, nel corso delle quali sono stati uccisi migliaia di terroristi e comandanti di Hamas.”

Hamas ha sempre affermato pubblicamente la sua intenzione di eliminare lo Stato di Israele. Ma ogni pagamento testimoniava l’opinione del governo israeliano che Hamas fosse una seccatura di scarso rilievo, forse persino una risorsa politica.

Già nel dicembre 2012 Netanyahu aveva detto al noto giornalista israeliano Dan Margalit che era importante mantenere forte Hamas come contrappeso all’Autorità Palestinese in Cisgiordania. In un’intervista Margalit ha affermato che Netanyahu gli aveva detto che avere due fazioni forti antagoniste tra loro, fra cui Hamas, avrebbe alleggerito la pressione su di lui nei negoziati per creare uno Stato palestinese.

Un funzionario dell’ufficio del primo ministro ha detto che Netanyahu non ha mai rilasciato tale dichiarazione. Ma nel corso degli anni Netanyahu ha esposto quest’idea ad altri.

Se l’esercito israeliano e i leader dell’intelligence hanno ammesso errori che hanno condotto all’attacco di Hamas, Netanyahu si è rifiutato di affrontare tali temi. E con una guerra a Gaza, per il momento il regolamento di conti politico con l’uomo che ha ricoperto la carica di primo ministro per 13 degli ultimi 15 anni è sospeso.

I critici di Netanyahu dicono che al centro di questo suo approccio verso Hamas ci fosse un cinico piano politico: tener tranquilla Gaza per restare al potere senza risolvere la minaccia di Hamas o il ribollente scontento palestinese.

Per oltre un quindicennio l’idea di Netanyahu è stata che, se compri la tranquillità e fai finta che il problema non esista, puoi aspettare che svanisca,” dice Eyal Hulata, consigliere della sicurezza nazionale israeliana dal luglio 2021 fino all’inizio di quest’anno.

Cercare l’equilibrio

Netanyahu e i suoi assistenti della sicurezza hanno cominciato lentamente a riconsiderare la loro strategia verso la Striscia di Gaza dopo parecchi, sanguinosi e inconcludenti conflitti militari contro Hamas.

Tutti ne avevamo abbastanza di Gaza,” dice Zohar Palti, ex direttore dell’intelligence per il Mossad. “Abbiamo tutti detto ‘Dimentichiamoci di Gaza’, perché sapevamo che eravamo a un punto morto.”

Nel 2014, dopo uno dei conflitti, Netanyahu ha tracciato un nuovo corso – enfatizzare una strategia per cercare di “limitare” Hamas mentre Israele si concentrava sul programma nucleare iraniano e sui suoi eserciti per procura, incluso Hezbollah.

Questa strategia è stata sostenuta da ripetute valutazioni dell’intelligence secondo cui Hamas non era né interessata né capace di lanciare un grande attacco in Israele.

Durante questo periodo il Qatar è diventato un finanziatore chiave per la ricostruzione e le attività di governo a Gaza. Una delle nazioni più ricche al mondo, il Qatar, ha da sempre sostenuto la causa palestinese e, più di tutti i suoi vicini, coltivato stretti legami con Hamas. Queste relazioni si sono rivelate preziose in settimane recenti poiché funzionari qatarini hanno contribuito a negoziare la liberazione degli ostaggi israeliani a Gaza.

L’opera del Qatar a Gaza durante questo periodo è stata approvata dal governo israeliano. Netanyahu ha persino fatto pressione su Washington per conto del Qatar. Nel 2017, quando i Repubblicani spingevano per imporre sanzioni finanziarie contro di esso per il suo sostegno ad Hamas, ha spedito funzionari della difesa a Washington. Secondo tre persone a conoscenza del viaggio, gli israeliani hanno detto ai parlamentari USA che il Qatar giocava un ruolo positivo nella Striscia.

Yossi Kuperwasser, ex capo della ricerca dell’intelligence militare israeliana, afferma che alcuni ufficiali vedevano i benefici di mantenere un “equilibrio” a Gaza. “La logica di Israele era che Hamas avrebbe dovuto essere forte abbastanza da governare Gaza,” dice, “ma sufficientemente debole da essere controllata da Israele.”

Le amministrazioni di tre presidenti americani – Barack Obama, Donald Trump e Joe Biden – hanno ampiamente appoggiato il fatto che i qatarini giocassero un ruolo diretto nel finanziare le operazioni a Gaza.

Ma non tutti erano d’accordo.

Avigdor Lieberman [politico dell’estrema destra laica, ndt.], mesi dopo essere diventato ministro della Difesa israeliano nel 2016, scrisse una nota segreta a Netanyahu e al capo di stato maggiore dell’esercito israeliano dicendo che Hamas stava lentamente sviluppando le sue capacità militari di attaccare Israele e sostenendo che Israele avrebbe dovuto attaccare per primo.

L’obiettivo di Israele è “garantire che il prossimo scontro tra Israele e Hamas sia la resa dei conti finale,” scrisse nel documento datato 21 dicembre 2016, una cui copia è stata visionata dal Times. Un attacco preventivo, disse, avrebbe potuto eliminare la maggioranza dei “leader dell’ala militare di Hamas”.

Netanyahu respinse il piano preferendo il contenimento invece dello scontro.

Valige piene di contanti

Durante un incontro di gabinetto del 2018, gli assistenti di Netanyahu presentarono un nuovo piano: ogni mese il governo qatarino avrebbe fatto pagamenti in contanti per milioni di dollari direttamente alla gente di Gaza quale parte di un accordo di cessate il fuoco con Hamas.

Lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno, avrebbe monitorato la lista dei destinatari per cercare di garantire che i membri dell’ala militare di Hamas non ne avrebbero beneficiato direttamente.

Valige piene di contanti ben presto cominciarono ad attraversare il confine di Gaza.

Ogni mese funzionari della sicurezza israeliani incontravano Mohammed al-Emadi, un diplomatico qatarino, al confine tra Israele e la Giordania. Da qui veniva portato in auto al valico di frontiera di Kerem Shalom e a Gaza.

Secondo ex funzionari israeliani e USA, all’inizio Emadi portava con sé da distribuire 15 milioni di dollari americani, con pagamenti di 100 dollari dati in località prescelte a ogni famiglia approvata dal governo israeliano,

I fondi dovevano servire a pagare salari e altre spese, ma un diplomatico occidentale che ha vissuto in Israele fino all’anno scorso ha detto che da tempo i governi occidentali pensavano che Hamas ne incassasse una parte.

I soldi sono intercambiabili,” dice Chip Usher, un analista del Medio Oriente presso la CIA fino al suo pensionamento quest’anno. “Tutto quello che Hamas non doveva sottrarre al suo bilancio poteva essere usato per altri scopi.”

Yossi Cohen, che si è occupato del Qatar per molti anni quale capo del Mossad, si è interrogato sulle politiche israeliane riguardo ai soldi per Gaza. Durante l’ultimo anno in cui ha gestito il servizio di spionaggio credeva che ci fosse poco controllo su dove finissero i soldi.

Nel giugno 2021 Cohen nel suo primo discorso pubblico dopo il pensionamento ha detto che i soldi qatarini alla Striscia di Gaza erano “fuori controllo”.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Netanyahu rischierà un conflitto nei tunnel per “estirpare Hamas” e rimanere al potere?

Nils Adler

8 dicembre 2023- Al Jazeera

Le forze israeliane potrebbero rischiare uno scontro sotto Gaza mentre Netanyahu, politicamente in difficoltà, persegue la sconfitta totale di Hamas.

La presa di Benjamin Netanyahu sulla propria carica di primo ministro di Israele appare sempre più debole.

Molti israeliani ritengono lui e il suo gabinetto responsabili dei fallimenti in termini di sicurezza del 7 ottobre, ed egli è stato oggetto di pesanti critiche interne per la gestione della guerra contro Gaza. A ciò si aggiunge il fatto che da tempo è impelagato in accuse di corruzione e critiche sui progetti di modifica del sistema giudiziario.

Diversi sondaggi mostrano che se le elezioni si tenessero adesso sarebbe costretto a dimettersi.

Ora, mentre i soldati israeliani marciano più in profondità nel sud di Gaza, Netanyahu potrebbe trovarsi di fronte a una decisione in grado di comportare enormi conseguenze politiche per la sua carriera: se inviare truppe israeliane nella rete di tunnel di 500 km sotto Gaza.

Ogni tunnel rappresenta una minaccia significativa”

Secondo Philip Ingram, membro dell’MBE [ordine dell’impero britannico, principale onorificenza del Paese, ndt.] ed ex ufficiale dellintelligence militare britannica, se gli israeliani dovessero entrare nella rete di tunnel di Gaza ciò inaugurerebbe una nuova fase della guerra, riducendo significativamente il differenziale di potenza militare tra i contendenti.

In superficie Israele ha intrapreso un implacabile bombardamento aereo e uninvasione di terra dellenclave di 365 kmq sfruttando la sua superiorità sul piano degli armamenti.

Sottoterra Hamas potrebbe fare affidamento su una sofisticata rete di tunnel che costringerebbero i soldati israeliani a procedere a piedi in un’unica fila.

Le sfide per gli israeliani sarebbero enormi” a causa della mancanza di informazioni sufficienti sulla localizzazione dei tunnel, sulla loro estensione e sull’entità delle trappole esplosive che Hamas potrebbe aver predisposto, ha detto Ingram, aggiungendo che dal punto di vista militare gli israeliani vorrebbero certamente evitare di dover combattere nei tunnel”.

Data lesperienza di Hamas nel predisporre trappole esplosive e agguati ogni tunnel rappresenta una minaccia significativa” per le truppe israeliane, ritiene Elijah Magnier, un analista militare che si è occupato di Medio Oriente per più di 30 anni.

Nell’eventualità di una guerra nei tunnel la resistenza palestinese sembra godere di un vantaggio strategico”, dice, riferendosi allelevato numero di soldati israeliani che muoiono o rimangono feriti nella ricerca degli ingressi alla rete di tunnel.

Lesercito israeliano vanta tra i suoi ranghi i Weasels [faine, ndt.] (Samur), ununità specializzata nella guerra nei tunnel, riferisce Ingram, spiegando che le truppe specializzate avranno tutti gli strumenti” e cani addestrati per essere agevolati nel farsi strada nei tunnel.

Tuttavia, non importa quanto si siano esercitati, dice: quale sia la reale situazione laggiù resta in gran parte sconosciuto, il che rende il tutto molto rischioso.

L’organizzazione predisposta da Hamas e la sua profonda conoscenza della vasta rete di tunnel sposterebbero anche i combattimenti da un conflitto a 360 gradi” in superficie a uno in 3D” per le truppe israeliane, che potrebbero dover affrontare un attacco da ogni angolo, afferma.

In ogni caso, gli esperti ritengono che un potenziale conflitto nei tunnel resti probabile a causa della promessa di Netanyahu di eliminare Hamas e i suoi centri di comando sotterranei.

Magnier ritiene che la recente pausa umanitaria” di sette giorni a Gaza ha permesso ad Hamas e alla Jihad islamica di ristrutturare le loro strategie difensive e prepararsi al conflitto in corso”.

Settimane fa i media hanno riferito che Israele avrebbe preso in considerazione la possibilità di avvalersi a proprio favore dell’utilizzo all’interno dei tunnel di gas tossici per cercare di debellare i combattenti di Hamas al loro interno. Lipotesi ha suscitato scalpore a livello internazionale.

Il Wall Street Journal ha recentemente affermato che Israele potrebbe valutare come alternativa all’ingresso delle truppe l’ipotesi di allagare i tunnel con acqua di mare.

Citando funzionari statunitensi, i media hanno affermato che le forze israeliane avrebbero già assemblato a metà novembre un complesso di cinque pompe appena a nord del campo profughi di Shati.

Si legge nell’articolo che le pompe attingerebbero l’acqua dal Mediterraneo immettendola nei tunnel e sarebbero in grado di allagare la rete nel giro di poche settimane.

Estirpare Hamas

Netanyahu si è impegnato a distruggere Hamas” come una delle risposte allattacco del 7 ottobre.

E alla fine per salvare la sua carriera politica potrebbe decidere di inviare truppe nei tunnel nonostante il rischio di enormi perdite, ha detto Nader Hashemi, professore associato di Politica Medio Orientale e Islamica alla Georgetown University.

Netanyahu, ha aggiunto Hashemi, sa che a meno che non riesca a estirpare Hamas e… rivendicare una vittoria finale, non avrà la possibilità di proseguire la sua carriera politica in Israele”.

Netanyahu non ha promesso solo la sconfitta di Hamas, ma anche il rilascio dei 125 prigionieri che secondo Israele si trovano ancora a Gaza.

Israele ritiene che i prigionieri siano tenuti nelle reti sotterranee sotto Gaza, il che significa, secondo Magnier, che l’accesso ai tunnel sarà considerato cruciale dalle forze israeliane incaricate di liberarli.

Unoperazione militare nei tunnel potrebbe anche mettere a rischio i prigionieri, un’altra cosa che Netanyahu potrebbe essere disposto a rischiare per garantire la sconfitta di Hamas.

Hashemi fa riferimento alla Direttiva Annibale, una oscura politica militare israeliana che, secondo quanto riferito, consentirebbe nel caso di rapimento di un soldato luso del massimo della forza, anche se ciò provocasse la morte del soldato, come indicazione che Israele potrebbe dare priorità ai suoi obiettivi militari rispetto alla morte degli ostaggi”.

Costi militari vs benefici politici

Hashemi dice che anche se Netanyahu prende in considerazione un’eventuale operazione nei tunnel, la domanda nella sua mente sarà “quante vittime è disposto a subire davanti all’opinione pubblica” per raggiungere il suo obiettivo.

Ingram ritiene che la decisione verrà presa dopo aver soppesato rischi e benefici e che un probabile risultato sarà che Israele continuerà a mappare la rete dallalto, con l’uso di radar che penetrano nel terreno nel tentativo di identificare i centri di comando chiave, in modo da prenderli di mira espressamente facendo uno squarcio” nella rete.

Dice che, sebbene in molti conflitti precedenti ci sia stata una guerra nei tunnel, la città sotterranea” creata da Hamas ha raggiunto una nuova dimensione”. Afferma che lesercito israeliano si trova ad affrontare un compito senza precedenti e dovrà essere incredibilmente cauto.

Non è chiaro quando Israele potrebbe tentare di entrare nei tunnel.

Magnier dice che Israele è sotto pressione di fronte alle crescenti critiche internazionali e ai crimini di guerra e contro lumanità” e mentre ciò implica che avrebbe bisogno di raggiungere i suoi obiettivi più velocemente, stabilire un calendario specifico per le operazioni di terra costituisce una sfida per qualsiasi comandante militare”.

Lavanzata israeliana, prosegue, è stata straordinariamente lenta nonostante sia avvenuta in una zona residenziale piccola ma densamente popolata” e spiega come il bombardamento indiscriminato di aree civili da parte di Israele abbia aiutato involontariamente la resistenza fornendole copertura e riparo.

Se le truppe israeliane entrassero nella rete di tunnel ciò potrebbe significare un conflitto prolungato, che si svolgerebbe sotto terra in un vuoto di informazioni.

Se accerchiato Hamas potrebbe trovarsi ad affrontare una carenza di carburante e di rifornimenti mentre, al contrario, le truppe israeliane potrebbero procedere a rilento per settimane e settimane solo per avanzare di 100 metri”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Guerra Israele-Palestina: lo scopo di Israele è molto più sinistro del ripristino della ‘sicurezza’

Richard Falk

3 novembre 2023 – Middle East Eye

Israele ha colto questa opportunità per realizzare le ambizioni territoriali sioniste nel mezzo della ‘nebbia di guerra’ provocando un’ultima ondata di catastrofico spossessamento dei palestinesi

Antonio Guterres, Segretario Generale dell’ONU è stato recentemente messo alla gogna da Israele per aver affermato un’ovvietà quando ha osservato che l’attacco di Hamas del 7 ottobre “non è avvenuto in un vuoto”.

Guterres ha richiamato l’attenzione di tutto il mondo sulla lunga storia di gravi provocazioni criminose israeliane nella Palestina occupata che avvengono sin da quando divenne la potenza occupante dopo la guerra del 1967. 

 All’occupante, ruolo che ci si aspetta essere temporaneo, è affidato in tali circostanze il mantenimento del diritto umanitario internazionale assicurando la sicurezza e l’incolumità della popolazione civile occupata, come esplicitato nella Quarta Convenzione di Ginevra.

Israele ha reagito con tale rabbia alle osservazioni di Guterres, assolutamente appropriate e accurate, che potevano essere interpretate solo implicando che Israele “se lo doveva aspettare” alla luce dei suoi gravi e vari abusi contro il popolo nei territori palestinesi occupati, i più plateali a Gaza, ma anche in Cisgiordania e Gerusalemme. 

Dopo tutto, se Israele potesse presentarsi al mondo come vittima innocente dell’attacco del 7 ottobre, un episodio in sé stesso ricolmo di crimini di guerra, potrebbe ragionevolmente sperare di ottenere carta bianca dai suoi sostenitori in Occidente per vendicarsi a piacimento, senza preoccuparsi di essere limitato dal diritto internazionale, dall’autorità dell’ONU o dalla morale comune. 

Invece Israele ha reagito all’attacco del 7 ottobre con la sua tipica abilità nel manipolare il dibattito globale che influenza l’opinione pubblica e guida la politica estera di molti e importanti Paesi. Qui tali tattiche sembrano quasi superflue, dato che gli Usa e l’UE hanno rapidamente concesso una totale approvazione in bianco a qualsiasi cosa faccia Israele in risposta, per quanto vendicativa, crudele o estranea a ripristinare la sicurezza del confine israeliano. 

Il discorso di Guterres all’ONU ha avuto un impatto così eclatante perché ha fatto scoppiare il palloncino israeliano dell’innocenza costruita ad arte secondo cui l’attacco del 7 ottobre è arrivato inaspettatamente. Escludere il contesto ha distolto l’attenzione dalla devastazione di Gaza e dall’assalto genocida contro la sua popolazione di 2.3 milioni di persone, prevalentemente innocenti e da lungo tempo perseguitate.

Incredibili falle

Ciò che trovo strano e inquietante è che da quel giorno questo fattore è stato raramente preso in considerazione, nonostante il consenso sul fatto che l’attacco di Hamas sia stato possibile solo per le incredibili falle nelle capacità israeliana di intelligence e di rigida sicurezza sui confini, che si supponevano seconde a nessuno.

Invece di un giorno dopo pieno di furia vendicativa, perché l’attenzione in Israele e altrove non si è concentrata nell’attuare interventi di emergenza per restaurare la sicurezza di Israele tappando queste costose falle, ciò che sembrerebbe il modo più efficace per garantire che nulla di simile al 7 ottobre possa ripetersi?

Io posso capire la riluttanza del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a sottolineare questa spiegazione o a sostenere questa forma di risposta che equivarrebbe a una confessione della sua personale corresponsabilità per la tragedia traumaticamente subita da Israele quando i combattenti palestinesi si sono riversati oltre il confine. 

Ma quella d’altri in Israele e fra i governi suoi sostenitori?

 Indubbiamente Israele con tutta probabilità sta impiegando tutti i mezzi a sua disposizione, con un senso di urgenza, per tappare queste incredibili falle nel suo sistema di intelligence e per rimpolpare il suo potenziale militare sui relativamente brevi confini di Gaza. 

Non è necessario essere un genio della sicurezza per concludere che occuparsi in modo affidabile di questi problemi di sicurezza farebbe di più per prevenire e scoraggiare futuri attacchi di Hamas che questa continua saga che infligge punizioni devastanti contro la popolazione palestinese di Gaza, tra cui in pochissimi fanno parte dell’ala militare di Hamas. 

 Furia genocida

A settembre Netanyahu, in un discorso all’ONU durante il quale ha parlato di una nuova pace in Medio Oriente fra le prospettive di una normalizzazione Israele-Arabia Saudita, ha fornito ulteriore plausibilità a tali speculazioni presentando una mappa del Medio Oriente senza includere la Palestina, cancellando di fatto i palestinesi dalla propria patria. La sua presentazione rappresenta un diniego implicito del consenso dell’ONU sulla formula dei due Stati come una roadmap per la pace. 

Nel frattempo la furia genocida della risposta israeliana all’attacco di Hamas sta facendo infuriare il mondo arabo, anzi tutto il mondo, persino i Paesi occidentali. Ma dopo più di tre settimane di spietati bombardamenti, assedio totale e uno spostamento forzato di massa, la decisione di Israele di scatenare questo torrente di violenza contro Gaza deve essere ancora contrastata dai suoi sostenitori in Occidente. 

In particolare gli USA stanno sostenendo Israele presso l’ONU usando il loro veto quando necessario al Consiglio di Sicurezza e votando quasi senza nessuna condivisione da parte di Paesi importanti contro un cessate il fuoco all’Assemblea Generale. Persino la Francia ha votato la risoluzione dell’Assemblea Generale e il Regno Unito ha avuto un minimo di decenza e si è astenuto, entrambi probabilmente reagendo pragmaticamente alla pressione popolare che sale da grandi e infuriate dimostrazioni di piazza a casa. 

Nelle reazioni alle tattiche israeliane a Gaza si è anche dimenticato che, fin dall’inizio, questo governo estremista ha iniziato una serie scioccante di violente provocazioni nella Cisgiordania occupata. Molti hanno interpretato questo palese scatenarsi di violenza dei coloni come parte dell’obiettivo del progetto sionista mirante ad ottenere la vittoria su ciò che resta della resistenza palestinese. 

Ci sono poche ragioni per dubitare che Israele abbia deliberatamente reagito in modo sproporzionato al 7 ottobre nell’iniziare immediatamente una risposta genocida, soprattutto se il suo proposito era di distogliere l’attenzione dall’escalation della violenza dei coloni in Cisgiordania, esacerbata dalla distribuzione da parte del governo di armi “ai gruppi di sicurezza civile”. 

Il piano finale del governo israeliano sembra porre fine una volta per tutte a fantasie di partizione dell’ONU, al servizio dell’obiettivo massimalista sionista di un’annessione o di una totale sottomissione dei palestinesi cisgiordani.

In effetti, per quanto possa sembrare macabro, la leadership israeliana ha colto l’occasione del 7 ottobre “per finire il lavoro” commettendo un genocidio a Gaza, con la scusa che Hamas è un pericolo tale da giustificare non solo la sua distruzione, ma questo attacco indiscriminato contro l’intera popolazione. 

La mia analisi mi porta a concludere che la guerra in corso non sia principalmente per la sicurezza a Gaza o contro le minacce alla sicurezza poste da Hamas, ma piuttosto per qualcosa di molto più sinistro e incredibilmente cinico. 

Israele ha colto questa opportunità per soddisfare le ambizioni territoriali sioniste nel mezzo della ‘nebbia di guerra’, provocando un’ultima ondata di catastrofico spossessamento dei palestinesi. È di secondaria importanza se chiamarla “pulizia etnica” o “genocidio” anche se ci sono i requisiti per definirla la maggiore catastrofe umanitaria del XXI secolo. 

In effetti il popolo palestinese è perseguitato da due convergenti catastrofi: una politica e l’altra umanitaria.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Richard Falk, studioso di diritto internazionale e relazioni internazionali, ha insegnato presso la Princeton University per quarant’anni. Nel 2008 è stato nominato alle Nazioni Unite per sei anni come Relatore speciale per i diritti umani dei palestinesi.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Quello che sappiamo finora dell’attacco mortale ad un ospedale di Gaza

Redazione di Al Jazeera

18 ottobre 2023 – Al Jazeera

Funzionari palestinesi affermano che almeno 500 persone sono state uccise in un raid aereo israeliano sull’ospedale arabo Al-Ahli a Gaza.

Almeno 500 persone sono state uccise in un attacco aereo israeliano contro l’ospedale arabo Al-Ahli nella Striscia di Gaza assediata, hanno detto funzionari palestinesi.

Il ministero della Sanità di Gaza ha affermato che l’esplosione nell’ospedale è stata causata da un raid aereo israeliano. Israele ha attribuito l’esplosione ad un lancio difettoso di un razzo da parte del gruppo armato della Jihad islamica palestinese (PIJ). La PIJ ha negato l’accusa.

Al Jazeera non è stata in grado di verificare in modo indipendente i resoconti.

Mentre la tensione continua a crescere, ecco cosa sappiamo finora dell’esplosione:

Centinaia di morti

Il ministero della Sanità di Gaza afferma che almeno 500 persone sono state uccise nell’esplosione, di gran lunga il più alto numero di vittime di qualsiasi singolo incidente avvenuto a Gaza durante l’attuale guerra tra Israele e Hamas.

Il ministero ha detto che centinaia di altre vittime sono rimaste sotto le macerie.

Hamas ha affermato che l’esplosione ha ucciso soprattutto sfollati.

Il ministro della Sanità dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mai Alkaila, ha accusato Israele di aver compiuto “un massacro”.

Situato nel centro di Gaza l’ospedale, gestito dalla diocesi episcopale di Gerusalemme, è stato colpito mentre era ultra affollato da migliaia di palestinesi in cerca di rifugio nel mezzo di una campagna di brutali attacchi aerei israeliani su gran parte della Striscia di Gaza assediata.

Come ha reagito il mondo?

I leader mondiali hanno denunciato il bombardamento e i leader di tutto il Medio Oriente hanno rilasciato le dichiarazioni più ferme.

Inoltre proteste sono scoppiate in tutto il Medio Oriente compresa la Giordania e la Cisgiordania occupata da Israele dove le proteste palestinesi si sono scontrate con le forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese.

La Giordania ha annullato il vertice previsto nella capitale Amman con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e i leader arabi.

Il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi ha affermato che l’incontro si terrà in un momento in cui tutti i presenti potranno concordare di lavorare per porre fine alla “guerra e ai massacri contro i palestinesi”.

Il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi, che avrebbe dovuto partecipare al vertice, ha dichiarato di condannare “nei termini più forti possibili” il bombardamento israeliano dell’ospedale di Gaza.

Anche l’Arabia Saudita ha rilasciato una ferma dichiarazione, condannando “nei termini più forti possibili l’atroce crimine commesso dalle forze di occupazione israeliane con il bombardamento dell’ospedale battista Al Ahli a Gaza”.

I leader occidentali non hanno incolpato Israele per l’attacco, il presidente francese Emmanuel Macron ha affermato in un post sui social media che “niente può giustificare un attacco contro un ospedale” e ha aggiunto che “bisogna far luce sulle circostanze”.

Biden in un comunicato ha espresso “le più sentite condoglianze per le vite innocenti perse nell’esplosione dell’ospedale di Gaza”.

Cosa dice Israele?

Le autorità israeliane hanno detto che l’ospedale è stato colpito da un razzo vagante lanciato dalla Jihad islamica palestinese che opera all’interno della Striscia di Gaza.

“Un’analisi compiuta dai sistemi operativi dell’IDF [l’esercito israeliano] indica che una raffica di razzi è stata lanciata da terroristi a Gaza, passando in prossimità dell’ospedale Al Ahli di Gaza nel momento in cui è stato colpito”, ha detto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in un post sui social media.

Le informazioni provenienti da molteplici fonti che in nostro possesso indicano che la Jihad islamica è responsabile del fallito lancio di un razzo che ha colpito l’ospedale di Gaza”.

Il portavoce militare israeliano, il contrammiraglio Daniel Hagari, ha detto ai giornalisti che i razzi lanciati dalla PIJ sono passati vicino all’ospedale al momento dell’attacco che, secondo lui, ha colpito il parcheggio della struttura.

Hagari ha affermato che non c’è stato alcun attacco diretto sulla struttura e che le riprese dei droni militari hanno mostrato “una sorta di impatto nel parcheggio”.

Ha detto che in effetti nel momento dell’esplosione all’ospedale i militari avevano un’operazione dell’aeronautica israeliana in corso nell’area “ma è stato impiegato un tipo diverso di munizioni che non… si adatta al filmato che abbiamo [dell’] ospedale”.

Cosa dice PIJ?

La PIJ ha respinto l’accusa israeliana secondo cui sarebbe stata responsabile dell’attacco.

In un comunicato ha affermato: “Il nemico sionista sta facendo del suo meglio per eludere le proprie responsabilità per il brutale massacro commesso con il bombardamento dell’Ospedale nazionale arabo battista di Gaza attraverso la sua consueta fabbricazione di bugie e puntando il dito contro il movimento della Jihad islamica in Palestina”.

Il comunicato prosegue: “Affermiamo quindi che le accuse avanzate dal nemico sono false e infondate”

Imran Khan, giornalista di Al Jazeera, ha notato che alcuni osservatori hanno messo in dubbio la versione israeliana degli eventi e inoltre hanno sottolineato che Israele ha una lunga storia di false attribuzioni degli atti compiuti dalle sue stesse forze a gruppi armati palestinesi.

Martedì Khan ha affermato; “Abbiamo già visto questo tipo di cose da parte degli israeliani”.

Prendiamo ad esempio l’uccisione della nostra collega Shireen Abu Akleh. All’inizio gli israeliani hanno incolpato i combattenti all’interno del campo di Jenin per la sua morte. Solo più tardi hanno ammesso che era stato uno di loro”.

(Traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Guerra Israele-Palestina: come Gaza ha ribaltato la situazione a discapito dei suoi carcerieri

David Hearst

9 ottobre 2023 – Middle East Eye

La responsabilità dell’assalto di questo fine settimana ricade su tutti coloro che da tempo hanno smesso di considerare i palestinesi come persone

Nelle ultime 48 ore uno Stato abituato a esercitare un controllo totale su sette milioni di palestinesi ha subito una drammatica inversione di ruoli.

I combattenti palestinesi hanno preso il posto dei coloni armati che terrorizzano gli abitanti dei villaggi palestinesi riuscendo a prendere il controllo di alcuni insediamenti coloniali adiacenti a Gaza.

Invece degli abitanti di Huwwara o Nablus o Jenin, traumatizzati ogni notte dagli attacchi dei coloni e dalle incursioni dellesercito israeliano, sono stati quelli di Sderot a doversi nascondere rannicchiandosi nei loro scantinati e chiedersi quando il loro esercito sarebbe giunto per proteggerli.

I combattenti palestinesi hanno sequestrato decine di soldati e civili israeliani, che ora si trovano negli scantinati di tutta Gaza.

Nessuno dovrebbe vantarsi di questo. Sono stati uccisi civili innocenti; sono state terrorizzate madri incinte e sono morti bambini. Lattacco ha travolto chiunque si trovasse sul suo cammino, indipendentemente dalle appartenenze politiche, dal sesso o dalletà.

Conosco una donna aspramente contraria al trionfalismo nazionalista religioso di destra e convinta sostenitrice dei diritti umani dei palestinesi che è stata trascinata in uno scantinato a Gaza.

Ma le scene sulle quali il mondo ha perso l’uso della parola non sono queste. Sono quelle di soldati israeliani che portano via palestinesi per farli scomparire in galera per periodi indefiniti di detenzione amministrativa.

Secondo gli ultimi rapporti a Gaza potrebbero esserci quasi 100 prigionieri. Lesercito e le forze di polizia meglio equipaggiati del Medio Oriente hanno subito perdite inaudite (lultimo bilancio, compresi i civili, è di 600 morti e più di 1.500 feriti)[al 12ott i morti israeliani sono 1200 e i feriti oltre 2700, ndt] mentre sono rimasti bloccati in violenti scontri a fuoco strada per strada nei villaggi e nelle città attorno a Gaza.

Colossale fallimento dellintelligence

Questa è la prima volta che si assiste a scene del genere dalla guerra del 1948 che diede origine alla prima Nakba e allo Stato di Israele. Per gli israeliani queste scene sono molto peggiori della guerra arabo-israeliana del 1973, scatenata quasi 50 anni fa.

Nel 1973 abbiamo combattuto con un esercito addestrato, ha detto l’esperto analista israeliano Meron Rapoport a Middle East Eye. E qui parliamo di persone che non hanno altro che un Kalashnikov. È inimmaginabile. È un fallimento militare e di intelligence dal quale Israele impiegherà molto tempo per riprendersi in termini di fiducia in sé stesso”.

Lo sfondamento della recinzione meglio difesa e sorvegliata lungo l’intero confine di Israele e unincursione di queste dimensioni insieme alla cattura del quartier generale militare della divisione dellesercito che controlla Gaza rappresentano il peggior fallimento che i servizi di intelligence israeliani hanno subito nella loro storia.

Hamas ha raggiunto l’obiettivo della totale sorpresa. La famosa unità di intelligence militare israeliana, la 8200, in grado di ascoltare ogni conversazione telefonica a Gaza è stata colta di sorpresa, così come lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interna.

Gli israeliani si chiedono come il loro esercito abbia potuto commettere un errore talmente grande da schierare 33 battaglioni nella Cisgiordania occupata per proteggere i coloni lasciando il confine meridionale vulnerabile agli attacchi.

Tutto ciò ha innescato unonda durto delle dimensioni di uno tsunami che ha investito una nazione così abituata a impersonare i Signori della Terra. In realtà sono loro che dovrebbero far scattare le sorprese, non i loro sudditi.

Rinascere più forti

Solo due settimane fa il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha sventolato davanti allAssemblea generale delle Nazioni Unite una mappa in cui tutti i territori palestinesi erano stati cancellati.

Sono convinto che ci troviamo sulla soglia di una svolta ancora più epica: una pace storica tra Israele e Arabia Saudita. Una pace di questo tipo contribuirà notevolmente a porre fine al conflitto arabo-israeliano, ha affermato Netanyahu.

I funzionari statunitensi non la pensavano diversamente, dal momento che una figura di alto livello dellamministrazione ha affermato che da molti anni a questa parte la regione è pressoché stabile”.

Come in un unico coro Washington, Tel Aviv e Riad hanno parlato della prospettiva che lArabia Saudita firmasse un accordo di normalizzazione con Israele, quasi che questo fosse di per sé la via verso la pace.

Erano tutti diventati così convinti di escludere i palestinesi da questa equazione, come se lintera popolazione palestinese un giorno avrebbe potuto cancellare la propria bandiera e identità nazionale e avrebbe accettato il ruolo di Gastarbeiter [lavoratore ospite in tedesco, ndt.] nella terra di qualcun altro.

Ora è stato inviato un messaggio molto chiaro: i palestinesi esistono e non sono affatto in procinto di venire sottomessi.

Ogni volta che sono stati annientati come forza combattente, nel 1948, 1967, 1973 e in ogni operazione successiva, rinasceva più forte una nuova generazione di combattenti. E nessuna versione passata di Hamas o Hezbollah è più forte di quelle che Israele si trova ad affrontare oggi.

Hamas ha definito il suo attacco al sud di Israele il diluvio di Al-Aqsa per unottima ragione. Questo attacco non è venuto dal nulla.

Lo status quo di Al-Aqsa

L’8 ottobre 1990, esattamente 33 anni fa, un gruppo di coloni e i Fedeli del Monte del Tempio, un gruppo di estrema destra che pretendeva di svolgere un sacrificio rituale sul Monte del Tempio, un atto proibito dal rabbino capo di Israele, tentarono di porre una prima pietra per la costruzione del Terzo Tempio presso la Moschea di Al-Aqsa.

La popolazione palestinese della Città Vecchia oppose resistenza, lesercito israeliano aprì il fuoco e in pochi minuti vennero uccisi più di 20 palestinesi, con altre centinaia di feriti e arrestati.

Da allora i leader israeliani sono stati continuamente avvertiti di mantenere lo status quo in un luogo sacro rivendicato da entrambe le religioni, e ogni anno hanno ignorato quegli ammonimenti forzando il divieto.

E così anche oggi, quando Al-Aqsa è stata presa dassalto ripetutamente per consentire ai fedeli ebrei laccesso al sito islamico dove visite, preghiere e rituali non graditi da parte dei non musulmani sono vietati sulla base di accordi internazionali pluridecennali.

Un tempo queste violente incursioni erano opera di quelli che tra gli ebrei erano considerati gruppi marginali di estremisti. Ora non più. Adesso sono guidati da Itamar Ben Gvir, che sfila con il titolo di ministro della sicurezza nazionale israeliana.

Giorno dopo giorno, con il sostegno dei parlamentari del Likud, come Amit Halevi, viene elaborata una politica volta a dividere la moschea di Al-Aqsa tra ebrei e musulmani, proprio come fu divisa la moschea Ibrahimi a Hebron negli anni 90.

Ben Gvir, il ministro con il potere di nominare il capo della polizia israeliana, non ha risparmiato i cristiani dalle sue politiche fasciste. Quando cinque ebrei ortodossi sono stati arrestati dalla polizia con laccusa di aver sputato contro i fedeli cristiani nella Città Vecchia di Gerusalemme, il ministro ha risposto: Continuo a pensare che sputare contro i cristiani non sia un reato penale. Penso che dobbiamo intervenire attraverso listruzione e leducazione. Non tutto giustifica un arresto”.

Silenzio internazionale

La pressione continua ad aumentare, sia ad Al-Aqsa che nello spaventoso bilancio quotidiano delle vittime palestinesi, la maggior parte dei quali giovani. Human Rights Watch ha rilevato che nell’arco di più di 15 anni questultimo, fino alla fine di agosto, è stato il più sanguinoso per i minorenni palestinesi nella Cisgiordania occupata, con almeno 34 minori uccisi.

E ciò viene accolto con il silenzio della comunità internazionale, la cui attenzione resta concentrata solo sugli scambi commerciali tra il Mar Rosso e Haifa.

Se c’è qualcuno responsabile dello spargimento di sangue di questo fine settimana e dei massacri di civili che, come è vero che la notte segue il giorno, sono destinati a verificarsi a Gaza mentre lesercito israeliano lancia unoffensiva di terra, sono tutti i leader stranieri che dicono che Israele condivide i loro valori. Tutti questi leader permettono a Israele di dettare la politica, anche se questa danneggi palesemente la loro.

Qualunque cosa accada nei prossimi giorni e settimane a Gaza, e Israele ha già scatenato una vendetta selvaggia a prescindere dallassenza di un obiettivo militare, Hamas ha senza dubbio segnato una vittoria significativa.

Ha portato con sé giornalisti e operatori televisivi che hanno registrato tutto ciò che è accaduto. Queste riprese parleranno a ogni giovane palestinese e arabo che le vedrà.

Le riprese mostrano i palestinesi che ritornano nelle terre da cui i loro padri erano stati cacciati. I rifugiati costituiscono il 67% della popolazione di Gaza, provenienti principalmente dalle terre intorno a Gaza che Hamas ha temporaneamente liberato.

Questo fine settimana hanno esercitato con la forza delle armi il diritto al ritorno che era stato tolto dal tavolo delle trattative 23 anni fa.

Le immagini diranno a tutti i palestinesi che la resistenza non è una causa persa contro un nemico estremamente potente. Diranno che la loro volontà di resistere è più potente di quella del loro oppressore.

Lo scenario è cambiato per sempre

Non ho dubbi che ora i civili palestinesi pagheranno un prezzo enorme mentre Israele persegue la sua vendetta biblica. Ai più di due milioni di persone nella Striscia è stata già tagliata lelettricità.

Ma non ho neanche dubbi che dopo questi eventi le cose non torneranno più come prima.

Dopo aver negato per generazioni lesistenza della Nakba, i parlamentari israeliani ne stanno ora programmando apertamente unaltra. Ariel Kallner ha twittato: Cancellate il nemico adesso! Questo giorno è la nostra Pearl Harbor. Impareremo ancora dalle lezioni. Ora un obiettivo: la Nakba!

Netanyahu non è da meno con il suo appello a tutti i palestinesi di Gaza affinché lascino le loro case, come se ci fosse un posto dove andare.

Se Israele volesse davvero scatenare una guerra regionale un tentativo di ripetere quanto accaduto nel 1948 sarebbe il modo più rapido per farlo. Né lEgitto né la Giordania lo tollererebbero, e i loro accordi di pace con Israele diventerebbero nulli.

Una guerra regionale coinvolgerebbe il movimento di resistenza meglio equipaggiato della regione: Hezbollah, che domenica ha iniziato uno scontro a fuoco con Israele al confine libanese, potrebbe essere riluttante a farsi coinvolgere ma potrebbe anche esservi trascinato dentro. Hezbollah segnala da tempo che unincursione di terra a Gaza costituirebbe per loro una linea rossa.

Nel corso dell’anno i leader politici di Hamas hanno visitato Beirut e hanno avuto incontri con il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Secondo alcune fonti sarebbe già stata presa una decisione riguardo ad una mobilitazione generale. Da tutto ciò si può supporre che il dito di Hezbollah sia sul grilletto.

Israele dovrà anche fare i conti col fatto che Hamas detiene decine di ostaggi. La Direttiva Annibale, un ordine militare top-secret secondo il quale Israele dovrebbe colpire i propri soldati per evitare che cadano nelle mani del nemico, non è più in vigore.

Né lo è lidea che a Gaza 2,3 milioni di persone possano essere rinchiuse in una gabbia costrette a seguire una dieta a basso contenuto proteico e che il loro carceriere butti via le chiavi.

Questa è l’esplosione che io e altri avevamo da tempo avvertito sarebbe arrivata. Ho detto che se Israele non avesse invertito la rotta avviando negoziati seri su una soluzione giusta a questa crisi con la concessione ai palestinesi degli stessi diritti degli ebrei ci sarebbe stata una risposta. Ora è successo. Quando tutto sarà finito lo scenario non sarà più lo stesso.

Mentre tre famiglie allargate di Gaza venivano spazzate via dal colpo diretto sulle loro case da parte delle bombe di precisione israeliane, Rishi Sunak, il primo ministro del Paese che ha più responsabilità di ogni altro per questo conflitto, ha detto che la Gran Bretagna è inequivocabilmente dalla parte di Israele, e ha illuminato Downing Street con una stella di David. Nel frattempo il suo ministro degli Interni ha detto che chiunque venga sorpreso a manifestare per le strade in solidarietà con la Palestina sarà arrestato. Di conseguenza il Regno Unito ha abbandonato qualsiasi suo possibile ruolo futuro nel porre fine a questo terribile conflitto.

La responsabilità di quanto accaduto lo scorso fine settimana ricade su tutti coloro che si sono illusi di pensare che le successive generazioni di leader israeliani avrebbero potuto cavarsela impunemente nel fare quello che volevano. La responsabilità ricade su tutti coloro, compresa la maggior parte dei dittatori arabi, che hanno smesso di considerare i palestinesi come un popolo. Nelle settimane e mesi a venire ognuno imparerà una lezione dolorosa.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)