Il numero quotidiano di morti a Gaza è superiore a quello di qualunque altro importante conflitto del XXI secolo – Oxfam.

Oxfam

11 gennaio 2024 – Oxfam

L’esercito israeliano sta uccidendo 250 palestinesi al giorno e molte più vite sono a rischio per mancanza di cibo, malattie e freddo.

Mentre l’escalation delle ostilità si avvicina ai 100 giorni, secondo quanto affermato oggi da Oxfam [ong britannica per i diritti umani, ndt.] l’esercito israeliano sta uccidendo giornalmente una media di 250 persone, un bilancio quotidiano di vittime che supera il numero di morti di qualunque altro conflitto importante negli ultimi anni.

Inoltre il 7 ottobre oltre 1.200 persone sono state uccise negli orribili attacchi di Hamas e di altri gruppi armati in Israele e da allora in Cisgiordania sono stati uccisi 330 palestinesi.

Sally Abi Khalil, direttrice di Oxfam per il Medio Oriente, ha affermato: “La portata e le atrocità che Israele sta infliggendo a Gaza sono realmente scioccanti. Per 100 giorni la gente a Gaza ha sopportato un inferno in terra. Nessun luogo è sicuro e un’intera popolazione è a rischio di morte per fame.

È inconcepibile che la comunità internazionale stia a guardare durante il conflitto con il numero di morti più alto del XXI secolo, continuando a bloccare le richieste di un cessate il fuoco.”

Precisazione del 15 gennaio 2024: Utilizzando i dati a disposizione del pubblico, Oxfam ha calcolato che il numero medio di morti al giorno a Gaza è superiore a ogni altro importante conflitto armato recente, compresi quelli in Siria (96,5 morti al giorno), Sudan (51,6), Iraq (50,8), Ucraina (43,9), Afghanistan (23,8) e Yemen (15,8).

L’organizzazione umanitaria segnala che le persone sono progressivamente rinchiuse in zone sempre più ristrette a causa dei continui bombardamenti, in quanto sono stati obbligati a scappare da luoghi che in precedenza era stato detto loro essere sicuri, ma nessun posto a Gaza lo è veramente. Oltre un milione di persone, più di metà della popolazione totale, è stata obbligata a cercare riparo a Rafah, sul confine con l’Egitto. Il personale di Oxfam a Rafah informa di un estremo sovraffollamento, con pochissimi cibo e acqua ed esaurimento delle medicine essenziali. Questa crisi è ulteriormente aggravata dalle restrizioni israeliane all’ingresso di aiuti, dalla chiusura dei confini, dall’imposizione di un assedio e dal rifiuto di farli entrare senza ostacoli. Attualmente sta entrando solo il 10% dell’aiuto alimentare necessario settimanalmente.

Oxfam avverte anche che, oltre alle vittime dirette, la vita è gravemente minacciata da fame e malattie. La comparsa di un clima freddo e piovoso sta rendendo la situazione ancora più critica per mancanza di coperte, di combustibile per il riscaldamento e di acqua calda. Una delle organizzazioni che collaborano con Oxfam, i Palestinian Agricultural Relief Committees [Comitati per il Soccorso ai Contadini Palestinesi] (PARC), ha descritto la situazione di quanti vivono in tenda come “peggiore di qualunque immaginazione”, con rifugi di fortuna che lasciano entrare la pioggia, spazzati via dal vento e le persone ricorrono a mezzi disperati come vendere cibo indispensabile o scorte di acqua per avere una coperta.

Mutaz, un ingegnere che è stato cacciato da Al-Mawasi con la famiglia, ha affermato: “La pioggia stava scendendo da ogni parte nella tenda. Abbiamo dovuto dormire sulla borsa di farina per proteggerla dalla pioggia. Mia moglie e tre delle mie figlie di notte usano una sola coperta. Ci sono coperte sufficienti da condividere solo tra quattro persone. Non abbiamo niente.”

All’inizio della settimana a Jabaliya un campo profughi è stato inondato da liquami quando le tubature e una stazione di pompaggio sono state danneggiate da attacchi aerei israeliani. La mancanza di acqua potabile e di condizioni igieniche adeguate pone un gravissimo rischio per la salute. I casi di diarrea sono quadruplicati rispetto a quelli dello stesso periodo dell’anno scorso, anche se in realtà il loro numero probabilmente è molto più alto.
Sally Abi Khalil afferma: “Mentre le atrocità di massa proseguono, si continuano a perdere vite e approvvigionamenti vitali non possono entrare. Il blocco totale israeliano della Striscia di Gaza sta limitando aiuti salvavita, compresi cibo, materiale sanitario e strutture idriche e igieniche.

Oltre al già orribile numero di decessi, molte altre persone potrebbero morire per fame, malattie curabili, diarrea e freddo. La situazione è particolarmente preoccupante per i bambini, le donne incinte e chi aveva già problemi di salute.

L’unico modo per fermare la strage e impedire che si perdano molte altre vite è un immediato cessate il fuoco, che gli ostaggi vengano rilasciati e che possano entrare aiuti medici indispensabili.”

Oggi la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite sta tenendo un’udienza sulla legalità della prolungata aggressione israeliana contro Gaza e potrebbe emanare un’ordinanza d’emergenza perché la campagna militare israeliana venga sospesa. Oxfam sostiene ogni tentativo di indagine ed esame su atrocità di massa e violazioni dei diritti umani indipendentemente da chi li abbia perpetrati.

Precisazione del 15 gennaio 2024: Oxfam ha calcolato il numero medio quotidiano delle morti legate al conflitto nei Paesi citati utilizzando i dati resi pubblici dall’ONU o da fonti accademiche, dividendo il totale dei morti per la durata di ogni conflitto. Tuttavia tale calcolo non rappresenta quindi il numero di morti rispettivi nelle fasi più acute delle ostilità. Dopo un ulteriore controllo Oxfam ribadisce con convinzione che Gaza rimane il più sanguinoso conflitto per numero di morti di ogni altro negli ultimi 24 anni, ma i dati esatti varieranno durante i periodi di scontri più intensi. Di conseguenza Oxfam ha eliminato dal paragrafo introduttivo da “supera il numero di morti di qualunque altro conflitto importante negli ultimi anni” le parole ‘di gran lunga’ .

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Per scongiurare una grave crisi alimentare la Palestina richiede un’attenzione immediata

Ramzy Baroud

19 aprile 2022 – Middle East Monitor

Mohammed Rafik Mhawesh, un giovane giornalista di Gaza e mio amico, mi ha detto che nel territorio assediato nelle ultime settimane il costo del cibo è salito alle stelle. Le famiglie già impoverite faticano a mettere insieme il pranzo con la cena. Ha spiegato che “I prezzi dei generi alimentari hanno subito una notevole impennata, specialmente dall’inizio della guerra Russia-Ucraina.”

Il costo di alimenti essenziali come grano e carne è raddoppiato. Quello dei polli, per esempio, che comunque solo una piccola frazione degli abitanti Gaza poteva permettersi, è aumentato da 20 shekel (circa 5.70 euro) a 45 shekel (quasi 13 euro).

Tale impennata sarebbe forse gestibile in alcune parti del mondo, ma in una società già poverissima che da 15 anni subisce un assedio ermetico da parte dell’esercito israeliano si tratta di una imminente e grave crisi alimentare.

L’ong internazionale Oxfam l’ha segnalata l’11 aprile, quando ha comunicato che i prezzi dei generi alimentari nella Palestina occupata erano saliti del 25% e, cosa più allarmante, le scorte di farina nei Territori Palestinesi Occupati potrebbero “esaurirsi in tre settimane “.

L’impatto della guerra Russia-Ucraina si fa sentire in tutto il mondo, in alcuni luoghi più che in altri. I Paesi africani e mediorientali che da anni combattono contro povertà, fame e disoccupazione sono i più colpiti.

Comunque la Palestina è tutta un’altra storia. È un Paese occupato che dipende quasi interamente dai provvedimenti della potenza occupante, Israele, che si rifiuta di rispettare il diritto internazionale e quello umanitario. Il problema dei palestinesi è complesso, ma, in un modo o nell’altro, quasi ognuno dei suoi vari aspetti è collegato a Israele.

Da molti anni Gaza è soggetta al blocco economico imposto da Israele. La quantità di cibo a cui Israele permette di entrare nella Striscia è razionata e manipolata dallo Stato occupante e usata come punizione collettiva. Amnesty International nel suo rapporto sull’apartheid in Israele pubblicato a febbraio ha dettagliato le restrizioni israeliane sulle derrate palestinesi e le riserve di carburante. Secondo l’organizzazione dei diritti umani Israele usa “formule matematiche per determinare quanto cibo far entrare a Gaza”, limitando le provviste a ciò che Tel Aviv giudica “essenziale per la sopravvivenza della popolazione civile”.

A parte i molti problemi infrastrutturali derivanti dall’assedio, come la quasi totale mancanza di acqua potabile, elettricità e attrezzature agricole, Gaza ha per esempio anche perso gran parte della sua terra coltivabile, destinata ad essere una zona di esclusione militare israeliana stabilita lungo il confine nominale intorno alla Striscia.

La Cisgiordania non sta molto meglio. La maggior parte dei palestinesi nei Territori Occupati, oltre all’impatto devastante della pandemia da Covid-19 e alle debolezze strutturali nell’Autorità Palestinese, afflitta da corruzione e malgoverno, sta patendo l’oppressione crescente dell’occupazione israeliana.

Secondo Oxfam l’ANP importa il 95% del suo grano e non possiede nessuna struttura di stoccaggio. Tutte queste importazioni passano attraverso Israele, che controlla ogni accesso alla Palestina dal mondo esterno. Dato che Israele stesso importa quasi metà del suo grano e cereali dall’Ucraina, i palestinesi sono ostaggio di questo particolare meccanismo dell’occupazione.

Comunque Israele ha ammassato riserve di cibo ed è in massima parte indipendente per l’energia, mentre i palestinesi sono in difficoltà a tutti i livelli. Mentre l’ANP ha parte della colpa per aver investito nel suo elefantiaco apparato di “sicurezza” a spese della sicurezza alimentare, Israele ha in mano quasi tutte le chiavi della sopravvivenza dei palestinesi.

A causa delle centinaia di checkpoint nella Cisgiordania occupata posti dall’esercito israeliano e che separano le comunità una dall’altra e i contadini dalle proprie terre, in Palestina l’agricoltura sostenibile è quasi impossibile. Questa complessa situazione è ulteriormente aggravata da due grossi problemi: gli oltre 700 kilometri del cosiddetto “Muro di Separazione” che non “separano” per niente gli israeliani dai palestinesi, ma privano illegalmente i palestinesi di ampie aree delle loro terre, quasi tutte zone agricole, e il vero e proprio furto di acqua palestinese dalle falde acquifere della Cisgiordania. Mentre molte comunità palestinesi in estate non hanno acqua potabile, Israele non ha mai scarsità di acqua in nessun periodo dell’anno.

La cosiddetta Area C determinata dagli Accordi di Oslo costituisce quasi il 60% dell’area totale della Cisgiordania ed è sotto completo controllo militare israeliano. Sebbene sia relativamente poco popolata, contiene la maggior parte dei terreni agricoli dei Territori Palestinesi Occupati, specialmente le zone della fertilissima valle del Giordano. A causa della pressione internazionale Israele ha rimandato la sua annessione ufficiale dell’Area C, ma essa è comunque praticamente avvenuta e i palestinesi sono lentamente cacciati via e rimpiazzati da una popolazione crescente di coloni illegali ebrei-israeliani.

I prezzi dei generi alimentari in rapida crescita stanno danneggiano proprio quei contadini e allevatori che sono impegnati a riempire l’enorme voragine causata dall’insicurezza alimentare globale risultante dalla guerra. Secondo Oxfam, in Cisgiordania i costi dei mangimi sono saliti del 60%, problema che va ad aggiungersi al “presente fardello” che gli allevatori devono affrontare, come l’”inasprimento dei violenti attacchi dei coloni israeliani” e “lo sfollamento forzato”, un eufemismo usato per definire la pulizia etnica, parte delle politiche di annessione di Israele.

La fine della guerra Russia-Ucraina probabilmente porterebbe un parziale miglioramento, ma persino questo non porrebbe fine all’insicurezza alimentare della Palestina dato che il problema è provocato e prolungato da specifiche politiche israeliane. Nel caso di Gaza infatti la crisi è totalmente creata da Israele con in mente specifici obiettivi politici. L’infame commento dell’ex consigliere del governo israeliano Dov Weisglass che nel 2006 spiegava i motivi dell’assedio di Gaza resta il principio guida dell’atteggiamento di Israele verso la Striscia: “L’idea è di mettere i palestinesi a dieta, ma di non farli morire di fame.”

Perciò, per scongiurare una grave crisi alimentare, la Palestina ha bisogno di un’attenzione immediata. L’estrema e prolungata povertà e l’elevata disoccupazione a Gaza non lasciano alcun margine per altre disastrose limitazioni. Comunque qualsiasi cosa si faccia ora sarebbe solo un rimedio a breve termine. Si deve tenere un dibattito serio, che coinvolga i palestinesi, i Paesi arabi, la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) e altri organismi per discutere e risolvere l’insicurezza alimentare palestinese. Per la gente della Palestina occupata questa è la vera e concreta minaccia esistenziale.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Gli USA valutano se definire “antisemite” importanti organizzazioni per i diritti umani

Nahal Toosi

21 ottobre 2020 – Politico

Secondo l’assistente di un parlamentare del Congresso in contatto con il Dipartimento di Stato, il segretario di Stato Mike Pompeo sta spingendo per questa dichiarazione.

Due persone a conoscenza della questione affermano che l’amministrazione Trump sta prendendo in considerazione di dichiarare che una serie di importanti Ong internazionali – tra cui Amnesty International, Human Rights Watch e Oxfam – sono antisemite e che i governi non dovrebbero appoggiarle.

La dichiarazione proposta potrebbe essere resa pubblica dal Ddipartimento di Stato [il ministero degli Esteri USA, ndtr.] entro questa settimana. Se ciò venisse dichiarato, probabilmente provocherebbe una rivolta da parte delle associazioni della società civile e potrebbe scatenare un contenzioso legale. Chi critica questa possibile iniziativa teme che ciò possa portare anche altri governi a reprimere ulteriormente queste associazioni. Nel contempo le organizzazioni citate negano qualunque accusa di antisemitismo.

Secondo l’assistente di un parlamentare del Congresso in contatto con il Dipartimento di Stato, il segretario di Stato Mike Pompeo sta facendo pressioni per questa dichiarazione. Pompeo pensa ad una futura candidatura presidenziale ed ha preso una serie di misure per guadagnarsi i favori degli elettori filo-israeliani ed evangelici, una componente fondamentale della base elettorale di Trump.

Ma la proposta sta provocando l’opposizione di funzionari del Dipartimento di Stato. Tra i contrari ci sono avvocati del dipartimento che avvertono che ciò ha basi incerte riguardo a problemi di libertà di parola, potrebbe portare a denunce e potrebbe persino non avere legittime basi legali dal punto di vista amministrativo.

Mercoledì nessun portavoce del Dipartimento di Stato ha al momento risposto a una richiesta di commento. Un ex- funzionario del Dipartimento di Stato con contatti interni ha confermato il fondamento della dichiarazione ed ha affermato che potrebbe essere resa pubblica a breve.

Si prevede che la dichiarazione assumerà la forma di un rapporto dell’ufficio di Elan Carr, l’inviato speciale USA per il monitoraggio e la lotta all’antisemitismo. Il rapporto citerebbe organizzazioni che includono Oxfam, Human Rights Watch e Amnesty International. Dichiarerebbe che la politica USA è di non appoggiare, anche finanziariamente, tali organizzazioni e invita altri governi a smettere di sostenerle.

Il rapporto citerebbe l’appoggio, presunto o percepito, di tali organizzazioni al movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni, che ha preso di mira Israele per la sua costruzione di colonie sulla terra che i palestinesi rivendicano per un futuro Stato.

Si prevede anche che punti su rapporti e comunicati stampa rilasciati da tali gruppi sull’impatto delle colonie israeliane, così come sul loro coinvolgimento o appoggio percepito a un elenco delle Nazioni Unite su imprese che operano nei territori contesi.

L’impatto concreto di tali organizzazioni non è immediatamente chiaro e potrebbe dipendere da quale branca o divisione di un gruppo venga presao in considerazione. Per esempio Human Rights Watch e Amnesty International USA non ricevono fondi dal governo USA. Oxfam America neppure, ma a seconda delle circostanze le sue sezioni all’estero potrebbero ricevere finanziamenti dagli americani.

Inoltre non tutte le associazioni citate appoggiano ufficialmente il movimento BDS o prendono posizione su di esso. Ma tutte hanno criticato in una misura o nell’altra le politiche di colonizzazione israeliana e il modo in cui vengono trattati i palestinesi, e organizzazioni filo-israeliane hanno sostenuto che le attività di queste associazioni rappresentano comunque un appoggio per il movimento e quindi sono antisemite.

Contattati da POLITICO, i rappresentanti ufficiali delle tre organizzazioni non erano a conoscenza della possibile dichiarazione del Dipartimento di Stato.

Bob Goodfellow, direttore esecutivo ad interim di Amnesty International USA, ha affermato che qualunque accusa di antisemitismo sarebbe “priva di fondamento”.

AI USA è profondamente impegnata a lottare contro l’antisemitismo e contro ogni forma di odio in tutto il mondo, e continuerà a proteggere le persone ovunque vengano negate giustizia, libertà, verità e dignità,” afferma in un comunicato. “Contestiamo risolutamente ogni accusa di antisemitismo e ci prepariamo di affrontare ogni attacco del Dipartimento di Stato.”

Anche Noah Gottschalk, responsabile della politica internazionale di Oxfam America, nega come “false” e “offensive” le accuse di antisemitismo.

Oxfam non appoggia il BDS né chiede il boicottaggio di Israele o di qualunque altro Paese,” ha affermato Gottschalk. “Oxfam e i nostri partner israeliani e palestinesi da decenni operano sul terreno per promuovere i diritti umani e contribuire alla sopravvivenza di comunità israeliane e palestinesi. Noi sosteniamo la nostra lunga storia di lavoro per proteggere le vite, i diritti umani e il futuro di ogni israeliano e palestinese.”

Il funzionario di Human Rights Watch Eric Goldstein ha notato che l’amministrazione Trump spesso si basa sul lavoro di gruppi come il suo per legittimare le sue stesse prese di posizione politiche.

  • Lottiamo contro ogni forma di discriminazione, compreso l’antisemitismo,” dice Goldstein in un comunicato. “Criticare politiche governative non equivale ad attaccare un gruppo di persone specifico. Per esempio, le nostre critiche al governo USA non ci rendono antiamericani.”

La bozza di dichiarazione del Dipartimento di Stato attinge molte delle sue informazioni da Ong Monitor, un sito filo-israeliano che controlla le attività di organizzazioni per i diritti umani e altre e spesso le accusa di essere anti-israeliane.

Lo scorso anno Israele ha espulso Omar Shakir, un ricercatore di Human Rights Watch, accusato di appoggiare il movimento BDS. Human Rights Watch e Shakir, cittadino USA, hanno negato questa accusa.

Mercoledì, alla domanda in merito alla possibile dichiarazione USA, nessun portavoce dell’ambasciata israeliana ha commentato.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)