Successo nell’ostacolare la macchina da guerra israeliana

Huda Ammori

11 Marzo 2024-Declassified UK

Negli ultimi tre mesi Palestine Action ha costretto quattro società britanniche a tagliare i legami con la società di armi israeliana Elbit Systems.

Mentre il genocidio di Gaza infuria molte persone cercano modi concreti per smantellare la macchina da guerra israeliana.

Per molti anni Palestine Action ha intrapreso un’azione diretta e coerente contro Elbit Systems, la più grande azienda di armi israeliana. Un killer un tempo silenzioso che opera in tutta la Gran Bretagna è diventato l’obiettivo più noto del movimento di solidarietà con la Palestina.

Ma prendere di mira Elbit richiede anche comprendere che l’azienda non agisce da sola. Coloro che facilitano le operazioni della Elbit traggono profitto anche dallo spargimento di sangue palestinese e possono essere più suscettibili alle pressioni esterne.

Per mantenere le fabbriche di armi funzionanti, Elbit ha bisogno di appaltare una moltitudine di servizi tra cui fornitori, reclutatori di personale, gestori di strutture e trasporti.

Alcune delle fabbriche non sono di proprietà della Elbit, che quindi richiede ai proprietari e ai gestori immobiliari di ospitare le sue attività criminali. Coloro che lavorano direttamente con Elbit sono considerati obiettivi secondari della campagna di Palestine Action.

Poiché la campagna contro Elbit è cresciuta nel corso degli anni, sono aumentate anche le azioni contro obiettivi secondari. Tra queste: dipingere i loro edifici con vernice rossa per simboleggiare lo spargimento di sangue palestinese, lo smantellamento di infrastrutture, atti vandalici e assalti agli uffici.

Le azioni intraprese hanno dato i loro frutti poiché solo negli ultimi tre mesi quattro società hanno tagliato i legami con Elbit dopo campagne mirate.

Obiettivi secondari

Il 1° dicembre dello scorso anno è stato annunciato che Fisher German, i gestori della proprietà della fabbrica di motori UAV [per droni, n.d.t.] di Elbit a Shenstone, nello Staffordshire, hanno abbandonato ogni collaborazione con Elbit. La notizia è arrivata dopo una campagna di due anni contro l’azienda che prevedeva ripetute verniciature e occupazioni dei loro uffici in tutto il paese.

Dopo una campagna di due mesi i soci di iO, gli unici reclutatori di Elbit nel Regno Unito, hanno concluso la loro collaborazione con il produttore di armi israeliano, che era anche il loro più grande cliente.

La campagna contro di loro è iniziata con l’assalto degli attivisti ai loro nuovissimi uffici di Manchester presso l’edificio Express, a cui è seguita rapidamente la copertura con vernice rossa spruzzata su quattro dei loro uffici in tutto il paese.

Prima che i soci di iO annunciassero di aver rescisso il loro contratto con Elbit, sono stati espulsi dai loro uffici di Manchester a causa di “problemi di sicurezza” nell’edificio Express.

La vittoria successiva ha richiesto solo un’azione! Naked Creativity, il sito web indicizzato che pubblicizza la fabbrica UAV Tactical Systems di Elbit a Leicester, ha smesso di lavorare con Elbit dopo che i loro uffici di Londra sono stati verniciati con lo slogan “Drop UAV”.

Ultima, ma forse la più significativa, una delle maggiori compagnie di navigazione del mondo, Kuehne+Nagel, ha dichiarato di aver smesso di collaborare con Elbit e che si asterrà dal farlo in futuro.

Il colosso della logistica è una delle sole sei società autorizzate alla raccolta, consegna e smaltimento sicuro di armi in Gran Bretagna.

Ridurre il bacino degli appaltatori

Lavorare con Elbit ora comporta il rischio aggiuntivo di Palestine Action. Per la compagnia israeliana di armamenti questo significa l’obbligo di informare ogni nuovo potenziale appaltatore della pressione che dovrà affrontare.

Anche se non lo facessero, una semplice ricerca su Google rivelerà il loro potenziale destino. Ridurre il potenziale bacino di appaltatori significa che Elbit , a differenza di altre società, non sarà in grado di ottenere il miglior prezzo per i servizi esterni, il che può ridurre la loro competitività e i margini di profitto.

La reputazione costruita da Palestine Action per l’instancabile azione diretta ha reso più rapido il raggiungimento delle vittorie.

Per coloro che lavorano con Elbit il dilemma che si pone è: sostenere anni di azione diretta contro di noi o porre fine ai nostri legami con Elbit il prima possibile ed evitare lo scontro?

Sempre più aziende stanno optando per quest’ultima ipotesi.

Per Elbit, la pressione perché cessi le operazioni in Gran Bretagna continua a crescere. Dopotutto, per i trafficanti di armi il denaro è l’aspetto più importante.

Poiché continuano a non essere in grado di mantenere un modello di produzione affidabile a causa della tempistica imprevedibile delle azioni contro di loro e lavorano costantemente per trovare nuovi appaltatori a un prezzo peggiore, a che punto interromperanno e cesseranno le operazioni in questo paese?

Sancire la vittoria

Forse il risultato più significativo dell’azione diretta contro obiettivi secondari è il modo in cui vengono sancite le vittorie.

Invece che evitare di ammettere che la dissociazione da Elbit sia dovuta alle pressioni della campagna ciascuna delle quattro società che hanno recentemente tagliato i legami con Elbit ha dovuto inviare direttamente un’e-mail di conferma a Palestine Action.

Questo è diventato un requisito necessario per cessare la campagna contro un’azienda complice.

Nel mezzo di un genocidio è necessario intraprendere ogni strada per isolare, danneggiare e distruggere la macchina da guerra israeliana.

Concentrare i nostri sforzi su Elbit Systems e su tutti coloro che li facilitano si sta rivelando una strategia di successo, una strategia che molti altri possono seguire per incanalare la nostra rabbia verso risultati.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Decade di nuovo la causa contro Palestine Action

Kit Klarenberg

10 ottobre 2022 The Electronic Intifada

Il 22 settembre cinque attivisti di Palestine Action [rete di protesta pro-palestinese che pratica la disobbedienza civile, ndt.] avrebbero dovuto presentarsi in tribunale per un’udienza di patteggiamento per avere intrapreso quest’estate un’azione contro il produttore di armi israeliano Elbit Systems.

Tuttavia, prima ancora che il procedimento fosse iniziato, i cinque sono stati informati all’ultimo minuto che tutte le accuse erano state ritirate. Le autorità hanno stabilito che nella causa “non c’erano prove sufficienti per fornire una prospettiva realistica di condanna”, come hanno confermato i rappresentanti di Palestine Action.

I cinque attivisti erano stati arrestati all’inizio di luglio per danni penali e violazione di domicilio aggravata per aver interrotto l’attività della fabbrica di motori UAV [unmanned aerial vehicle, velivolo senza pilota, drone ndt] di Elbit a Shenstone, Staffordshire, nelle Midlands occidentali inglesi. Avevano spruzzato la fabbrica, i cancelli e i sistemi di sicurezza esterni con vernice rossa, a simboleggiare il sangue dei palestinesi, e si erano incatenati ai cancelli della fabbrica.

Il sito è stato reso inutilizzabile. Elbit è stata costretta a interrompere temporaneamente la produzione di componenti per droni come i motori.

L’azienda fornisce circa l’85% della flotta di droni israeliani.

La fabbrica di Shenstone, UAV Engines, produce componenti per droni ed è una parte fondamentale degli investimenti di Elbit in Gran Bretagna.

Fra i droni con componenti realizzati a Shenstone c’è il Watchkeeper, utilizzato dall’esercito britannico nelle guerre all’estero e dalla forza di frontiera britannica per sorvegliare e attaccare i migranti.

Perciò il sito è stato a lungo bersaglio degli attacchi di Palestine Action e quello di luglio è stato solo l’ultimo di una campagna ad ampio raggio per distruggere le strutture di Elbit e rendere impossibile la normale produzione.

Nel corso di questa campagna alcuni attivisti del gruppo sono stati arrestati, ma i conseguenti procedimenti giudiziari sono falliti.

A febbraio, quattro attivisti erano stati liberati, perché di nuovo non c’era “alcuna possibilità realistica di condanna”.

Considerazioni su chi indaga

Uno dei cinque di Shenstone, un attivista che desidera essere chiamato Randeep, non è particolarmente sorpreso dalla notizia.

Randeep è comunque leggermente irritato dal fatto che le accuse siano state ritirate dopo che ha sostenuto la spesa per l’acquisto dei biglietti del treno per partecipare all’udienza di patteggiamento.

Questo conferma ulteriormente ciò che già sapevamo. Non siamo noi i criminali e ostacolare la colonizzazione israeliana della Palestina non solo un è dovere morale, è anche giuridicamente valido”, ha affermato in una nota.

Un altro accusato, Richard Spence, ha detto a The Electronic Intifada che la conclusione dell’accusa di mancanza di “prove sufficienti per fondare una realistica prospettiva di condanna” è particolarmente degna di nota, dato che né lui né i suoi colleghi attivisti hanno fatto alcun tentativo di eludere l’arresto o hanno negato di aver agito. In altre parole, un caso facile da risolvere, se mai avessero fatto qualcosa di criminale.

“Il CPS [Crown Prosecution Service, la Procura della Corona] deve aver capito, dopo che altri portati in tribunale per aver preso di mira lo stesso sito sono stati dichiarati non colpevoli, che non c’è ragione per punire degli attivisti che difendono i diritti umani”, ha affermato.

Ad oggi, diversi attivisti di Palestine Action sono stati arrestati e perseguiti per aver violato i siti Elbit e quelli dei suoi fornitori in Gran Bretagna.

Solo un caso si è concluso con una effettiva condanna. L’attivista in questione ha ricevuto una sospensione condizionale della pena di tre mesi e una multa trascurabile di soli 25 dollari.

È raro che i casi anche solo raggiungano il tribunale. In uno di questi casi nel dicembre 2021, tre attivisti – che avevano ugualmente preso di mira il sito di Shenstone – sono stati dichiarati non colpevoli di danni penali dopo un processo di due giorni.

Gli avvocati dei tre attivisti, tra cui l’avvocata palestinese Mira Hammad, hanno sostenuto con successo che, sebbene le loro azioni avessero apportato un danno alla fabbrica, non erano di natura criminale, ma costituivano un’azione proporzionata per prevenire crimini molto più gravi in Palestina.

All’epoca Huda Ammori, co-fondatore di Palestine Action, sostenne che la sentenza equivaleva ad un sostegno del tribunale per la campagna del gruppo. Secondo le stime della polizia britannica ad agosto, e come riportato in un cortometraggio su Palestine Action, nell’arco di un anno il gruppo avrebbe inflitto perdite per oltre 22 milioni di dollari ai siti Elbit in tutto il paese.

Le prossime sfide

Tuttavia, sono in vista importanti sfide legali per il gruppo e i suoi attivisti. In tutto, da qui al prossimo anno sono previsti 13 diversi procedimenti giudiziari contro gli attivisti di Palestine Action.

Il 21 novembre, gli attivisti che hanno scalato il tetto della fabbrica di Elbit a Oldham, vicino a Manchester, e sono entrati nel sito danneggiando dei macchinari, sono accusati di danni penali e furto con scasso.

All’inizio di ottobre, inoltre, presso la Corte di Snaresbrook a Londra sarebbe dovuto iniziare un processo contro un gruppo di attivisti che è stato soprannominato “gli otto di Elbit”. Come apparso su The Electronic Intifada il mese scorso, devono affrontare una marea di accuse per le quali potrebbero essere incarcerati individualmente e collettivamente per molti anni.

Degli otto, tre – Ammori, il suo collega co-fondatore di Palestine Action Richard Barnard e la loro compagna Emily Arnott – affrontano l’accusa più grave di tutte, quella di associazione a delinquere a fini di ricatto.

L’accusa si basa sul fatto che gli attivisti hanno scritto alla società che ha affittato gli uffici londinesi di Elbit incoraggiandone i dirigenti a sfrattare la produzione di armi e minacciando di intensificare la campagna se questa richiesta non fosse stata soddisfatta. La pena massima per il ricatto secondo la legge inglese è di 14 anni di carcere.

Tuttavia, per ragioni poco chiare, tale processo è stato rinviato almeno fino al novembre 2023.

Forse si spera che un lungo periodo da trascorrere con un futuro incerto smorzi la passione. Nel frattempo, però, gli otto attivisti accusati rimangono sulle loro posizioni e considerano il loro eventuale processo un’opportunità d’oro per mettere Elbit sul banco degli imputati.

Sperano di porre ai rappresentanti dell’azienda domande sgradite sulle sue operazioni e, nel processo, impegnarsi a rendere pubbliche sicure prove degli scopi distruttivi per cui quelle armi vengono regolarmente usate a Gaza e in Cisgiordania.

Palestine Action sospetta fortemente che uno dei motivi principali per cui i casi precedenti sono decaduti prima di arrivare in tribunale è che i rappresentanti di Elbit non vorrebbero trovarsi a dover ammettere in una udienza pubblica la loro complicità attiva, continua e diretta negli abusi perpetrati contro i civili palestinesi. In termini di pubblicità negativa, il prossimo processo potrebbe produrre grande disagio ai potenti – ciò che il gruppo considererebbe un grande successo anche in caso di condanna.

“Il governo britannico e Elbit sanno che stiamo decostruendo la loro violenza, il loro apartheid, le loro spudorate violazioni del diritto internazionale”, ha detto un attivista di Palestine Action che ha chiesto di essere chiamato Finn.

“Hanno paura che i loro crimini vengano smascherati, e hanno ragione ad essere spaventati”, ha aggiunto Finn, uno degli attivisti che è uscito dal tribunale il mese scorso. “Questo è un appello a chiunque stia pensando di prendere parte all’azione diretta. Noi siamo innocenti e loro colpevoli, non importa quello che dicono i tribunali”.

Kit Klarenberg è un giornalista investigativo che indaga il ruolo dei servizi di intelligence nel plasmare la politica e la percezione del pubblico.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Sfidare Golia: come Palestine Action ha cacciato la Elbit

Huda Ammori

28 giugno 2022 – The New Arab

Huda Ammori, cofondatrice di Palestine Action [rete di attivisti filo-palestinesi che usa tattiche di disobbedienza civile contro fabbriche di armi israeliane, ndtr.], descrive l’azione diretta degli attivisti contro la fabbrica di armi Elbit Systems per il suo ruolo nel produrre armi per Israele e di come siano riusciti a estrometterla dal Regno Unito.

Armati di vernice rosso sangue, stencil fatti in casa e una macchina fotografica: eravamo pronti a prendere d’assalto 77 Kingsway, il quartier generale londinese della maggiore industria bellica israeliana, Elbit Systems. Per farci aprire la porta ed entrare nei loro prestigiosi uffici è bastato un sorriso. Siamo entrati: la vernice spruzzata ovunque nell’atrio, gli striscioni appesi, le riprese fatte e tutto finito prima che gli addetti alla sicurezza ci buttassero fuori. Ma prima di andarcene avevamo scritto una promessa sul loro muro: ritorneremo!  

E siamo ritornati.

Per creare un movimento abbastanza forte da far chiudere tutte e dieci le sedi della Elbit in Gran Bretagna dovevamo essere destabilizzanti e costanti. Azioni occasionali non sarebbero servite. Ogni minuto senza una nostra azione era un minuto in cui la Elbit avrebbe commesso un altro omicidio. Per sconfiggerli dovevamo bombardarli.  

Lottavamo contro Golia: una fabbrica di armi fondata nel 1966 con lo scopo specifico di armare le milizie sioniste per attuare la pulizia etnica del popolo palestinese. Oggi il loro modello aziendale si basa sullo sviluppo di armi sperimentali usate contro la popolazione imprigionata a Gaza ed etichettate come “testate in battaglia” e poi spedite verso Israele e altri regimi repressivi.

A luglio 2020 la Gran Bretagna ospitava dieci sedi della Elbit che producevano droni militari, software per artiglieria e acquisizione dati.   

Palestine Action è nata per cacciare dal Paese il commercio di armi israeliane. Le azioni non hanno solo preso di mira le sedi della Elbit, ma abbiamo anche fatto pressione su chi ne agevolava la capacità di operare in Gran Bretagna.

Israele non potrebbe fabbricare in modo autonomo la sua sanguinaria catena produttiva di armi. Per ottenere un prestigioso spazio per i propri uffici nel centro di Londra la Elbit aveva avuto bisogno di un agente immobiliare che chiudesse un occhio sui crimini di guerra israeliani, una carneficina che le ha permesso di fare una paccata di soldi. Ecco perché la multimiliardaria società immobiliare JLL è diventata il punto focale a livello nazionale degli attivisti autonomi. Da York a Brighton le sedi di JLL sono regolarmente state oggetto delle scritte con la vernice rossa di Palestine Action.

Con un bersaglio secondario e una palazzina di uffici nel centro di Londra da prendere sistematicamente di mira, la duplice strategia per cacciare la Elbit da Londra si è velocemente messa in moto.

A poche settimane dal lancio della campagna i ministeri israeliani degli Affari Strategici e della Difesa hanno incontrato il governo britannico per discutere su come “reprimere il nostro movimento”. Come noi, anche loro avevano capito il potere dell’azione diretta. 

È cominciata così una campagna strategica dello Stato per distruggere il nostro movimento nelle fasi iniziali della sua formazione. Passaporti rubati dalla polizia, irruzioni nelle case e una serie di arresti violenti non sono esperienze piacevoli, ma nulla a confronto con quello che succede a chi si trova dalla parte sbagliata delle armi di Elbit.

Ogni ostacolo che affrontavamo era un passo avanti verso la sconfitta del commercio israeliano di armamenti. E ogni volta che lo Stato interveniva, altre persone si offrivano di unirsi alla lotta per far chiudere Elbit. Le tattiche dello Stato hanno avuto l’effetto contrario.  

Palestine Action non faceva che rafforzarsi mentre le sedi della Elbit diventavano sempre più deboli. Il maggiore trafficante di armi israeliano è stato costretto a spendere in sicurezza cifre sempre maggiori, tra l’altro non riuscendo a tenere lontani i nostri attivisti. Le azioni sono diventate più frequenti, più dirompenti e, per la Elbit, considerevolmente più costose.

Con il tempo quello che era partito come un prestigioso edificio nel centro di Londra è diventato un posto squallido, vecchio e fatiscente. Hanno rimosso le sporgenze per impedire alla gente di arrampicarsi, tolto le decorazioni esterne in modo che non fossero abbattute dagli attivisti e assunto un servizio di sicurezza 24 ore su 24 per sorvegliare l’ingresso.

Comunque tutte le loro ulteriori misure per tener lontana Palestine Action sono continuamente fallite. Siamo andati, siamo rimasti e li abbiamo fatti chiudere mille volte.

Nell’aprile 2022 gli attivisti hanno piantato l’ultimo chiodo nella bara del quartier generale londinese di Elbit. Settimana dopo settimana abbiamo danneggiato 77 Kingsway, bloccando gli ingressi, spruzzando l’edificio di vernice rosso sangue e facendo sì che l’opinione pubblica sapesse esattamente chi si nascondeva dietro la porta.

Mentre Elbit era contrariata da tutte le continue azioni al loro quartier generale, la comunità circostante offriva agli attivisti caffè, cibo e costanti messaggi di sostegno. Man mano che cresceva la pressione sulla Elbit e sull’agenzia immobiliare che le aveva affittato la sede, l’unica opzione che restava loro era quella di andarsene.  

E infatti se ne sono andati! Proprio la settimana scorsa è stato annunciato che Elbit Systems ha abbandonato il quartier generale londinese a causa della continua campagna di azione diretta di Palestine Action durante la quale sono state arrestate 60 persone. La notizia è arrivata esattamente 5 mesi dopo la chiusura permanente della fabbrica di armi Elbit-Ferranti a Oldham.

La prova è nei fatti: l’azione diretta funziona. 

Le pressioni sui governi, le petizioni e le tattiche tradizionali delle campagne non sono mai riuscite a bloccare il traffico di armi fra Gran Bretagna e Israele. Ma nessuno riesce a fermare chi si impegna in prima persona per far chiudere le fabbriche di armamenti sulla soglia di casa nostra. 

Huda Ammori è la cofondatrice della rete azione diretta Palestine Action e ha condotto vaste ricerche e campagne contro la complicità britannica con l’apartheid israeliano. 

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autrice e non rappresentano necessariamente quelle di The New Arab, della sua direzione o redazione.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




L’israeliana Elbit vende la fabbrica di armi britannica presa di mira dagli attivisti

Asa Winstanley  10 gennaio 2022

Electronic Intifada

Lunedì i membri del gruppo Palestine Action hanno celebrato la propria vittoria quando il gigante delle armi israeliano Elbit Systems ha venduto una delle sue fabbriche nel Regno Unito.

Il gruppo ha condotto una prolungata campagna di azione diretta contro la fabbrica da agosto 2020.

Gli attivisti hanno protestato, occupato, bloccato e generalmente interrotto i normali affari, spiega il gruppo.

Questa notizia conferma la nostra strategia a lungo termine”, ha detto lunedì Palestine Action.

“L’azione diretta funziona: le persone coraggiose che hanno occupato la fabbrica nell’ultimo anno possono affermare con orgoglio che la tecnologia dei droni non è più prodotta a Oldham”.

Gli attivisti hanno sistematicamente rotto le finestre della struttura Ferranti di Elbit a Oldham. Hanno anche fatto irruzione nei locali e causato danni all’interno. Il sito è stato costretto a chiudere per giorni e Palestine Action afferma di aver causato “milioni di danni”.

Il gruppo riferisce che 36 dei suoi attivisti sono stati arrestati sul posto dall’anno scorso. Ma ad oggi nessuno è stato condannato.

La fabbrica di componenti Ferranti a Oldham, vicino a Manchester nel nord dell’Inghilterra, era uno dei 10 siti di proprietà di Elbit nel Regno Unito.

Elbit ha annunciato lunedì di aver venduto la parte principale di Ferranti a TT Electronics, una società britannica, per circa 12 milioni di dollari in contanti.

Il produttore dei micidiali droni non ha menzionato la campagna di Palestine Action, sostenendo che la vendita fosse una “riorganizzazione” che aiuterebbe a “concentrare le attività su determinate aree”.

Elbit UK ha affermato in un secondo comunicato stampa che la vendita era solamente finalizzata a “consolidare la posizione di mercato” della società.

Ma Huda Ammori, co-fondatrice di Palestine Action, ha dichiarato lunedì a The Electronic Intifada che la vendita è stata “una vittoria assolutamente straordinaria” che, secondo lei, “dimostra il potere delle persone quando si uniscono”.

Ammori ha affermato che mentre il commercio di armi di Israele trae vantaggio dall’essere parzialmente basato in Gran Bretagna, questo potrebbe rappresentare “anche il suo peggior tracollo perché le persone qui non lo approvano”.

Ha detto che il gruppo intende “continuare la nostra campagna di azione diretta, prendendo di mira tutti i siti di Elbit fino a quando non saranno costretti a lasciare definitivamente la Gran Bretagna”.

Elbit non ha risposto alle e-mail che chiedevano una reazione.

I suoi comunicati stampa di lunedì affermavano che le restanti parti di Ferranti non vendute a TT Electronics sarebbero state integrate in Elbit Systems UK, la cui sede legale è a Bristol, nel sud-ovest dell’Inghilterra.

Fino a novembre, la fabbrica Ferranti sembrava sull’orlo di una improvvisa chiusura con la perdita di posti di lavoro.

La municipalità di Oldham ha elencato sul suo sito web l’edificio di Ferranti come una delle “proprietà commerciali attualmente disponibili” in città, pubblicizzandolo come “luogo perfetto per le aziende che desiderano spazi flessibili per uffici “.

Raggiunto da The Electronic Intifada via telefono a novembre, un portavoce del consiglio comunale ha negato che l’attività fosse chiusa, affermando che l’elenco era “un vecchio link” di circa sei anni fa.

Subito dopo la telefonata, la pagina è stata cancellata dal sito web del consiglio comunale di Oldham.

Palestine Action afferma che lo stesso mese fonti anonime gli hanno rivelato “che erano stati emessi avvisi di licenziamento di massa al personale che lavorava in fabbrica e che i locali erano stati sgomberati in preparazione all’abbandono da parte di Elbit “.

Il mese scorso una giuria ha assolto tre attivisti di Palestine Action per il reato di danni arrecati in un altro sito Elbit a Shenstone vicino a Birmingham.

Gli attivisti hanno sostenuto con successo che, sebbene le loro azioni costituissero un danno alla fabbrica, non si trattava di un reato penale.

Hanno sostenuto invece che le loro azioni erano commisurate a prevenire un crimine molto più grande: quello della violenza israeliana contro i palestinesi, come il bombardamento israeliano di Gaza a maggio.

Elbit è responsabile di oltre l’80% della flotta di droni israeliani.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Quali sono state le principali vittorie del BDS nel 2021?

Nora Barrows-Friedman

30 dicembre 2021 – Electronic Intifada

Nonostante il fatto che la pandemia di Covid-19 sia continuata, il 2021 è stato un anno in cui c’è stato un incremento di mobilitazione della campagna per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni [contro Israele] (BDS), di azioni della società civile coronate da successo e di significative vittorie giudiziarie per i diritti dei palestinesi.

Fondi pensione hanno abbandonato imprese israeliane, personalità della cultura hanno rifiutato di superare i limiti [posti dal BDS] e un’importante azienda produttrice di gelati ha ritirato i propri prodotti dalle illegali colonie israeliane.

A Oakland, in California, prolungate azioni dirette hanno avuto successo nel far pagare un prezzo a Israele dopo che a maggio ha scatenato un attacco letale di 11 giorni contro Gaza.

All’inizio di giugno, come parte di un’ondata di proteste internazionali sotto la bandiera di #BlockTheBoat [Blocca la Nave], attivisti e lavoratori portuali hanno impedito per più di due settimane dalla data di arrivo prevista che una nave cargo israeliana attraccasse al porto della città.

La nave ha palesemente cercato di evitare il picchetto ed ha lasciato la zona portuale della baia con il suo carico intatto.

Nel Regno Unito manifestanti di Palestine Action [rete di attivisti filo-palestinesi che usa tattiche di disobbedienza civile contro fabbriche di armi israeliane, ndtr.] hanno obbligato industrie belliche israeliane a chiudere le attività in parecchie delle loro 10 sedi in Gran Bretagna.

Alcuni attivisti hanno condotto sit-in e sabotaggi contro filiali di Elbit Systems, di proprietà israeliana, chiudendo fabbriche, rompendo vetri, danneggiando macchinari, scrivendo graffiti e spruzzando di pittura rossa muri per simbolizzare il sangue palestinese.

Nel suo primo anno di vita Palestine Action – creata nel 2020 – ha effettuato più di 70 azioni contro Elbit, tra cui 20 importanti occupazioni di sedi e fabbriche.

A dicembre Palestine Action ha vinto un’importante battaglia giudiziaria, in quanto attivisti che avevano imbrattato una fabbrica di droni israeliani sono stati assolti da accuse di danneggiamento.

Continueremo a compiere azioni dirette per interrompere e sabotare il commercio di armi israeliane,” ha detto a The Electronic Intifada la co-fondatrice Huda Ammori.

A luglio, dopo anni di attività negli Usa e da parte di attivisti palestinesi del boicottaggio, Ben & Jerry’s – impresa che produce gelati di proprietà di Unilever – ha annunciato che non avrebbe più venduto i suoi prodotti nelle illegali colonie israeliane, affermando che tale vendita è “in contrasto con i propri valori”.

Dirigenti israeliani e associazioni della lobby sono stati duramente colpiti dalla notizia ed hanno fatto ricorso a calunnie contro l’impresa di gelati e i membri del suo consiglio di amministrazione.

Il ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid ha promesso di fare ricorso alla ventina di Stati USA che hanno approvato misure anti-BDS per “far valere quelle leggi contro Ben & Jerry’s”, mentre il primo ministro Naftali Bennett ha promesso di “agire in modo aggressivo” contro l’industria che produce gelati.

Ma, pur tra le minacce, finora l’azienda ha difeso la sua decisione.

Il Comitato Nazionale del BDS palestinese ha invitato Ben & Jerry’s a “porre fine a qualunque attività nell’Israele dell’apartheid.”

A fine dicembre un noto sito antipalestinese che stila liste nere ha nominato il presidente del consiglio di amministrazione dell’impresa come suo “principale antisemita dell’anno”, portando l’associazione per i diritti civili Palestine Legal [organizzazione USA che si dedica alla difesa legale di attivisti filo-palestinesi, ndtr.] a evidenziare quanto tali accuse suonino vuote.

L’associazione ha affermato: “La decisione di Ben & Jerry’s di smettere di trarre profitto da colonie esclusivamente ebraiche costruite su terra rubata è il minimo indispensabile che la ditta possa fare per rispettare il suo pubblicizzato impegno per la giustizia sociale.”

Ecco alcune delle altre principali vittorie del BDS per i diritti dei palestinesi di cui Electronic Intifada ha informato nel 2021.

Imprese israeliane sono state scaricate

In tutto il mondo fondi pensione hanno tolto imprese israeliane dal portafoglio dei loro investimenti a causa delle violazioni dei diritti umani e delle leggi internazionali da parte di Israele.

Un importante fondo pensioni di un ente locale britannico ha disinvestito dall’impresa israeliana di armamenti Elbit System. Benché inizialmente il fondo pensioni abbia cercato di negare che l’iniziativa riguardasse il ruolo dell’impresa nelle violenze contro i palestinesi, gli attivisti avevano inondato l’ufficio con richieste di eliminare Elbit dai suoi investimenti.

Il presidente della commissione pensioni del Comune ha comunque ammesso che Elbit è stata esclusa dal suo nuovo gestore degli investimenti, Storebrand, “per ragioni legate ai diritti umani e alle leggi internazionali.”

Storebrand è un’azienda norvegese che esclude Elbit a causa di problemi legati ai diritti umani.

Quest’anno un fondo pensioni statale neozelandese da 29 miliardi di euro ha annunciato di aver escluso cinque banche israeliane dal proprio piano di investimenti a causa del loro ruolo nel finanziamento delle colonie israeliane nella Cisgiordania occupata.

Una valutazione di NZ Super Fund ha concluso che possedere azioni delle principali banche israeliane violerebbe la sua politica di investimenti responsabili.

Anche in Norvegia e Scozia fondi pensione hanno disinvestito da imprese che traggono profitto dalle colonie israeliane, tra cui imprese edili, aziende delle telecomunicazioni e banche.

KLP, il principale fondo pensioni norvegese, ha escluso 16 imprese che traggono profitto dalle colonie perché, ha affermato, c’è un “rischio inaccettabile” che contribuiscano a violazioni dei diritti umani.

A dicembre in Finlandia una parlamentare ha presentato un progetto di legge che vieterebbe l’importazione di prodotti dalle colonie israeliane costruite su terra palestinese e siriana occupata.

A settembre l’Unione Europea è stata obbligata a registrare un’iniziativa di cittadini europei che intende bloccare i commerci con colonie su territori occupati.

La misura potrebbe interrompere il redditizio accesso sui mercati UE di cui godono attività economiche nelle colonie israeliane costruite su terre palestinesi in violazione delle leggi internazionali.

Vittorie su leggi anti-BDS e sulla persecuzione di attivisti

A febbraio, facendo seguito a decisioni simili del tribunale federale in Arizona, Kansas e Texas, una misura contro il BDS in Arkansas è stata dichiarata incostituzionale.

Una corte d’appello federale USA ha sentenziato che la legge statale del 2017 che impone a imprese contrattate dallo Stato di dichiarare che non boicotteranno Israele rappresenta una violazione della libertà di parola.

Questa è la prima corte d’appello federale a decidere sulla costituzionalità di leggi contro il boicottaggio, e con questa decisione nessuna legge anti-BDS è stata accolta nel merito,” ha affermato Palestine Legal.

Ogni legge che ha superato una disputa giudiziaria lo ha fatto attraverso espedienti legali per evitare un’analisi costituzionale,” ha aggiunto l’associazione.

A gennaio un tribunale spagnolo ha respinto una denuncia penale per presunti crimini d’odio contro otto attivisti del BDS, una grande vittoria per il diritto a boicottare Israele in quel Paese.

Il tribunale ha sentenziato che gli attivisti avevano esercitato il proprio diritto alla libera espressione perseguendo obbiettivi politici legittimi.

I giudici hanno citato una fondamentale decisione del giugno 2020 della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo secondo cui invitare a un boicottaggio contro Israele a causa delle sue politiche non è una forma di discriminazione ma un discorso politico protetto.

Gli attivisti hanno salutato la vittoria come un segno di come “la strategia globale dei sionisti e (i tentativi da parte dei) loro alleati di estrema destra per delegittimare il movimento BDS stanno fallendo.”

Negli USA, benché l’amministrazione Biden abbia ripreso la promessa di lottare contro il BDS dell’era di Trump e Obama – con la lobby israeliana che ha chiesto al nuovo presidente di incrementare gli attacchi contro gli attivisti nei college – gli studenti hanno ottenuto una vittoria che segna un precedente.

A marzo un giudice della California ha sentenziato contro le richieste di un querelante anti-palestinese di perseguire attivisti per i diritti umani riguardo al loro appoggio al BDS e ai diritti dei palestinesi.

Ciò ha segnato la prima volta in cui un tribunale USA “ha riconosciuto il contesto maccartista che devono affrontare quanti parlano a favore dei diritti dei palestinesi,” secondo il gruppo per i diritti civili Palestine Legal, che insieme ad altri avvocati ha rappresentato otto imputati.

La sentenza “respinge il concetto secondo cui gli studenti perdono i loro diritti costituzionali quando sostengono i diritti dei palestinesi in un’università pubblica,” ha affermato Palestine Legal.

I canadesi vogliono interrompere la vendita di armi a Israele

In Canada i leader del formalmente progressista Nuovo Partito Democratico [di orientamento socialdemocratico, ndtr.], Jagmeet Singh, ha chiesto al primo ministro Justin Trudeau di porre fine alla vendita di armi a Israele.

L’iniziativa di Singh è arrivata dopo che dirigenti e iscritti del partito hanno approvato una mozione per porre fine al commercio di armi con Israele.

La mozione ha specificato che il commercio di armi tra Canada e Israele deve essere interrotto “finché non verranno rispettati i diritti dei palestinesi.”

Il voto “invia il messaggio che in Canada i progressisti e le persone che hanno a cuore i diritti umani non appoggiano lo status quo e vedono le sanzioni contro Israele non solo come appropriate, ma necessarie,” ha detto in aprile a Electronic Intifada Amy Kishek, una importante promotrice della risoluzione.

Ampio sostegno ai diritti dei palestinesi e al BDS

Nonostante le enormi pressioni da parte di dirigenti e sostenitori della lobby israeliana nel partito Laburista britannico, i delegati del congresso di settembre del partito hanno approvato una risoluzione che chiede sanzioni ed embargo militare contro Israele.

La risoluzione appoggia l’indagine della Corte Penale Internazionale su crimini di guerra nella Cisgiordania e nella Striscia di Gaza occupate.

Essa sostiene altre “misure efficaci chieste dalla società civile palestinese” – un’affermazione del movimento BDS che intende porre fine alle violazioni israeliane dei diritti dei palestinesi e delle leggi internazionali.

Essa ribadisce anche esplicitamente “il diritto del popolo palestinese di tornare alle proprie case, come sancito dalle leggi internazionali.”

All’inizio dell’anno un sondaggio ha evidenziato che più del 60% dei membri del partito Laburista appoggia la campagna BDS.

Nella stessa indagine circa metà di quanti sono stati interpellati è d’accordo con l’affermazione secondo cui “Israele è uno Stato di apartheid, che discrimina sistematicamente i palestinesi.”

Negli USA un sondaggio di marzo ha indicato che la maggioranza dei democratici vuole che gli USA esercitino maggiori pressioni su Israele.

Cultura e sport

Benché a causa della pandemia molti artisti, personaggi della cultura, scrittori e atleti abbiano dovuto cancellare o rinviare tournée, concerti e apparizioni, una schiera di musicisti ha incrementato le campagne per invitare artisti a non organizzare spettacoli in Israele.

Rage Against the Machine, Patti Smith, Noname, Vic Mensa, Thurston Moore e Run the Jewels sono stati tra i primi firmatari di “Iniziativa dei Musicisti per la Palestina”, che ha continuato ad attirare adesioni.

A luglio un atleta algerino si è rifiutato di competere con un israeliano ai Giochi Olimpici di Tokio ed ha affrontato sanzioni amministrative da parte del Comitato Olimpico Internazionale. Il 26 luglio Fethi Nourine non ha partecipato alle eliminatorie contro l’avversario sudanese Mohamed Abdalrasool in quanto il vincitore dell’incontro avrebbe dovuto competere contro l’israeliano Tohar Butbul.

Ogni competizione tenuta sotto la bandiera israeliana è un riconoscimento non solo dello Stato di Israele, ma anche della legittimità dell’occupazione della terra palestinese,” ha scritto Nourine su Facebook alla fine di luglio.

Il suo ritiro ha evitato la possibilità di affrontare l’israeliano.

Nourine ha spiegato di rifiutare la normalizzazione con il rappresentante di un “colonizzatore e occupante”.

L’atleta e il suo allenatore Amar Benikhlef sono stati privati dell’accredito olimpico e sono stati rispediti in patria.

E infine ad ottobre la scrittrice irlandese di successo Sally Rooney ha rispettato l’appello al boicottaggio rifiutando di consentire a una casa editrice israeliana di comprare i diritti di traduzione e pubblicazione in ebraico del suo ultimo romanzo, Beautiful World, Where Are You [Dove sei, mondo bello, Einaudi, 2022].

La Campagna Palestinese per il Boicottaggio Accademico e Culturale di Israele (PACBI) ha elogiato Rooney per essersi aggiunta a “innumerevoli scrittori internazionali nell’appoggio al boicottaggio delle istituzioni culturali del settore editoriale complice di Israele.”

Rooney ha affermato che sarebbe stata contenta di vendere i diritti per la traduzione in ebraico se fosse stato possibile trovare un’impresa che non violasse i principi dell’appello del BDS.

Ho semplicemente sentito che nelle attuali circostanze non sarebbe stato giusto per me accettare un nuovo contratto con un’impresa israeliana che non prendesse pubblicamente le distanze dall’apartheid,” ha affermato Rooney.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Gli attivisti britannici filopalestinesi dimostrano che l’azione diretta e il BDS sono efficaci

Yvonne Ridley

11 giugno 2021 – Middle East Monitor

Questa notte i sostenitori della Palestina hanno festeggiato una vittoria, dopo che la Scozia ha onorato la sua reputazione di “territorio ostile” per i sionisti con l’annuncio che l’ultimo fondo pensioni delle amministrazioni locali del Paese ha disinvestito dalla controversa banca israeliana Hapoalim. Anni di campagne e pressioni, guidate dalla Campagna Scozzese di Solidarietà con la Palestina e altri scozzesi sensibili, hanno dato i loro frutti.

Ciò dimostra ancora una volta la forza del movimento non violento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), un’iniziativa diretta dai palestinesi che lavora per la libertà, la giustizia e l’uguaglianza. Il BDS è calunniato dai gruppi di pressione filoisraeliani solo perché insiste sul fatto che i palestinesi hanno gli stessi diritti del resto dell’umanità.

Ora la Scozia è una zona libera dalla banca Hapoalim”, ha dichiarato il cofondatore di SPSC, Mick Napier, dopo aver annunciato che il Fondo Pensioni del Lothian [regione della Scozia sud-orientale, ndtr.], che rappresenta i quattro consigli comunali orientale, centrale e occidentale e della città di Edimburgo ha disinvestito dalla banca israeliana. Hapoalim compare nel database dell’ONU delle imprese che partecipano ad attività che danneggiano i diritti civili, politici, economici, sociali e culturali del popolo palestinese in tutto il territorio palestinese occupato, compresa Gerusalemme est.

Un’indagine dell’ONU ha scoperto che le attività della banca Hapoalim riguardano la fornitura di servizi e programmi che appoggiano la conservazione e l’esistenza di colonie illegali nella Cisgiordania occupata, compresa la rete di trasporti. Anche le operazioni bancarie e finanziarie contribuiscono a sviluppare, ampliare o conservare le illegali colonie israeliane e le loro attività, compresi i prestiti immobiliari e lo sviluppo di imprese.

Il fondo pensioni del Lothian è il secondo più grande delle autorità locali scozzesi, con 84.000 affiliati e 8.000 milioni di sterline di attivo. È il terzo fondo di questo tipo, e l’ultimo, che ha preso le distanze dalla banca Hapoalim. Il fondo pensioni di Falkirk [nella Scozia centro-meridionale, ndtr.] è stato il primo a disinvestire nel 2018 in risposta alle campagne dell’SPSC appoggiate dalla pressione dei sindacati. L’anno successivo il fondo pensioni del Tayside [regione a nord di Edimburgo, ndtr.] ha disinvestito, lasciando il fondo pensioni del Lothian come unico fondo municipale scozzese che continuava a fare investimenti nella banca.

Ora è giunta la notizia che anche questo ha disinvestito, il che significa che gli 11 fondi pensione delle autorità locali scozzesi si sono liberati dagli investimenti nell’impresa israeliana che contribuisce a sostenere la rete di colonie illegali di Tel Aviv nei territori palestinesi occupati.

Secondo Napier il fondo del Lothian ha resistito ad anni di pressioni perché disinvestisse, finché in marzo ha ceduto. Benché sia poco probabile che ciò venga attribuito alle campagne del SPSC, i suoi membri e i sindacati hanno fatto costantemente pressione nelle riunioni del consiglio di amministrazione del fondo pensioni e i consiglieri eletti hanno ricevuto migliaia di mail degli elettori locali.

Napier ha spiegato che una delegazione della campagna “Time to Divest” [Tempo di Disinvestire] si è riunita con il direttore generale del fondo pensioni del Lothian e i suoi collaboratori nel dicembre 2019. “Nonostante la riunione, non abbiamo trovato un accordo perché il fondo fosse coerente con il suo impegno riguardo ai Principi di Investimento Responsabile dell’ONU e si assicurasse di non investire in imprese che vengono considerate complici di violazioni dei diritti umani.”

Imperterriti, per ottenere questa vittoria storica SPSC, Unison Scotland [sindacato scozzese degli impiegati pubblici, ndtr.] e altri membri della campagna Time To Divest hanno inviato letteralmente migliaia di mail ai consiglieri locali. “Questo sarà un boccone amaro da masticare per i sionisti,” ha aggiunto Napier, anche se ha avvertito che gli attivisti del BDS scozzese non si accontenteranno. “C’è ancora molto da fare per esercitare pressioni affinché i fondi pensione delle autorità locali scozzesi continuino a disinvestire da imprese belliche e altre operazioni commerciali che sono complici di quelli che Human Rights Watch [famosa Ong internazionale per i diritti umani, ndtr.] definisce “crimini contro l’umanità di apartheid e persecuzione” da parte di Israele.

Egli ha sottolineato che il fondo pensioni del Lothian, per esempio, continua a investire in Booking Holdings (anch’esso presente nella lista dell’ONU), in Caterpillar, BAE Systems, Lockheed Martin, General Dynamics e Northrop Grumman, il che significa che continua a investire nell’apartheid israeliano. “La nostra campagna continua. Stiamo mostrando in tutta la Scozia che forti pressioni possono produrre risultati.” L’esperto attivista ha invitato più persone a essere coinvolte come volontari inviando una mail a info@timetodivest.net.

Nel contempo a sud del Confine [scozzese, ndtr.] altri attivisti filopalestinesi hanno scelto una forma meno sottile di azione diretta come metodo che prediligono per affrontare le imprese belliche le cui armi sono state usate soprattutto contro le popolazioni civili a Gaza e nella Cisgiordania occupata. Palestine Action [Azione Palestina] ha preso di mira la sede centrale della LaSalle Investment Management, insozzando il luogo con pittura rosso sangue, impedendovi l’ingresso e rivestendo il posto con video sulla “scena del delitto di guerra. ” LaSalle Investment Management, una succursale della Jones Lang LaSalle, è proprietaria della sede centrale di Elbit Systems, che consente quelle che l’associazione descrive come “operazioni letali e agevolazione dei crimini di guerra israeliani.”

Finora LaSalle ha rifiutato di rispondere alle ripetute richieste di sfrattare Elbit o di riconoscere il ruolo che l’impresa gioca nella repressione dei palestinesi e di altri civili in tutto il mondo. L’azione diretta di mercoledì segna un’escalation contro i proprietari di tutti i siti di Elbit in Gran Bretagna. Il gruppo afferma che non smetterà “finché Elbit sarà sfrattata dal Regno Unito e completamente chiusa.”

Un comunicato stampa reso pubblico mercoledì afferma: “Palestine Action è impegnata in una campagna di forti azioni dirette contro Elbit System, danneggiando il più possibile i profitti dell’impresa per chiuderla del tutto e impedire che venga agevolata l’uccisione di palestinesi.”

Cosa importante, il gruppo ha evidenziato che né i crimini di guerra israeliani né Elbit System operano in modo isolato. “Per funzionare efficacemente si basano su una catena logistica globale di produzione, spedizione, vendita e, ovviamente, locatori. Palestine Action intende rompere questa catena mortale di approvvigionamento per salvare la vita dei palestinesi.”

Si stima che le audaci iniziative di Palestine Action abbiano obbligato l’impresa a chiudere le proprie attività e siano costate milioni di sterline di perdite nella produzione.

Elbit Systems è la principale industria israeliana di armamenti e produce l’85% degli aerei da guerra e da ricognizione senza pilota dell’esercito di terra israeliano. Molti prodotti di Elbit, in particolare i droni da guerra Hermes, vengono utilizzati direttamente nel massacro indiscriminato di civili palestinesi a Gaza e nella repressione e controllo dei palestinesi nel resto dei territori occupati.

L’impresa pubblicizza apertamente e cinicamente i suoi prodotti come “testati in combattimento”, quello che per molti attivisti è un riferimento all’uso di queste armi contro civili palestinesi. Dicono che Elbit esporta i suoi prodotti letali a regimi oppressivi di tutto il mondo. Anche i civili del Myanmar, dell’Armenia e dello Sri Lanka e i rifugiati e richiedenti asilo che attraversano il Mediterraneo e il Canale della Manica hanno denunciato il loro uso.

Uno dei maggiori sostenitori di questo tipo di azioni dirette è stato il leader dei diritti civili, il defunto Martin Luther King, che ha persino ammiratori in Israele, dove il governo ha dato il suo nome a un parco nazionale. Vale la pena ricordare agli israeliani e ai loro sostenitori che fu King ad affermare: “Lo scopo dell’azione diretta è creare una situazione talmente critica da portare inevitabilmente a un negoziato.”

I successivi governi israeliani di Benjamin Netanyahu hanno dimostrato che lo Stato di occupazione è impegnato ad ampliare il proprio territorio invece di tornare alle frontiere formali del 1967 (la Linea Verde dell’”armistizio” del 1949) e consentire la fondazione di uno Stato palestinese sostenibile. I negoziati del cosiddetto “processo di pace” hanno strappato una concessione dopo l’altra ai palestinesi senza niente in cambio. È poco probabile che il nuovo “governo per il cambiamento” proposto sia diverso.

Per questo sono così importanti le vittorie del BDS come quella vista in Scozia, e l’azione diretta contro quanti traggono benefici dall’apartheid israeliano. Lo Stato sionista deve sapere che, finché continua ad esistere l’occupazione israeliana, ci sarà un prezzo da pagare. I negoziati vanno benissimo, ma la libertà e la giustizia per i palestinesi, basate sui diritti umani e sulle leggi internazionali, devono avere la priorità.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Monitor de Oriente.

Yvonne Ridley

La giornalista e scrittrice britannica Yvonne Ridley propone analisi politiche su questioni riguardanti il Medio Oriente, l’Asia e la guerra mondiale contro il terrorismo. Il suo lavoro è stato pubblicato su molte pubblicazioni di tutto il mondo, da oriente a occidente, da testate tanto diverse come The Washington Post, il Teheran Times e il Tripoli Post, ottenendo riconoscimenti e premi negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Dieci anni di lavoro per le grandi testate di Fleet Street [via di Londra in cui si trovano i principali quotidiani britannici, ndtr.] hanno ampliato il suo ambito di attività ai media elettronici e alla radiofonia, con la produzione di una serie di documentari su argomenti palestinesi e internazionali, da Guantanamo alla Libia alle Primavere Arabe.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)