Durante i fatti di Hawara l’Autorità Nazionale Palestinese non si è vista da nessuna parte

Amira Hass

2 marzo 2023 –Haaretz

Sebbene le ben addestrate forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese non abbiano trovato un modo per proteggere i loro compatrioti dagli attacchi dei coloni, sono sempre lì quando si tratta di reprimere i loro concittadini.

Le cinque ore durante le quali centinaia di ebrei si sono scatenati senza ostacoli attraverso Hawara, attaccando persone e proprietà e appiccando incendi, sono il risultato di decenni di incoraggiamento alla violenza dei coloni e delle calcolate disattenzione e clemenza da parte dell’esercito israeliano, della polizia, dei pubblici ministeri, dei tribunali e dei successivi governi. Ma quelle cinque ore hanno anche dimostrato ancora una volta quanto l’Autorità Nazionale Palestinese sia compiacente con la divisione artificiale della Cisgiordania nelle aree A, B e C, stabilita dagli Accordi di Oslo – una divisione che doveva essere temporanea e scadere entro il 1999.

Questa è una ragione in più per cui l’opinione pubblica palestinese disprezza e detesta la leadership dell’Autorità palestinese. Sebbene le sue forze di sicurezza, addestrate nei paesi arabi e occidentali, non abbiano trovato un modo per proteggere dagli attacchi dei coloni i loro compatrioti, sono sempre presenti quando si tratta di reprimerli.

L’ “Iniziativa da 14 milioni”, che sta tentando di rivitalizzare l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e di indire le elezioni per un consiglio nazionale e un’assemblea legislativa di tutti i palestinesi, aveva programmato un mercoledì una conferenza stampa in diretta dallo studio televisivo Watan. Considerando la parola “elezione” come una minaccia nucleare, le forze di sicurezza dell’ANP hanno assediato l’edificio che ospita lo studio e hanno fatto irruzione negli uffici per impedire la conferenza stampa. Non era la prima volta che accadeva: le forze di sicurezza hanno interrotto un altro degli incontri dell’iniziativa a novembre.

La scorsa settimana le forze di sicurezza palestinesi hanno istituito posti di blocco alle uscite di diverse città della Cisgiordania per impedire agli insegnanti delle scuole statali, in sciopero dal 5 febbraio, di partecipare a una manifestazione unitaria a Ramallah. L’ANP e il sindacato degli insegnanti della scuola pubblica avevano firmato accordi per un modesto aumento salariale del 15% e l’organizzazione di elezioni sindacali libere e democratiche nel maggio 2022. Ciò ha fatto seguito a un’iniziativa guidata da diverse associazioni educative senza scopo di lucro, gruppi di genitori e dalla Commissione indipendente per i diritti umani (un organo quasi governativo). Come era da prevedere non si è mai tenuta un’elezione. All’inizio di febbraio gli insegnanti hanno appreso che, nonostante l’accordo, gli stipendi di gennaio non includevano l’aumento concordato; sono rimasti addirittura all’80% dei normali livelli salariali, come prima. Ciò ha portato allo sciopero, giunto alla sua quarta settimana, a cui hanno aderito 50.000 insegnanti e che ha tenuto a casa un milione di studenti. I leader dello sciopero mantengono un profilo basso per paura di essere arrestati, come è successo con le precedenti proteste degli insegnanti.

Anche se i figli sono a casa, le associazioni dei genitori sostengono le richieste degli insegnanti. La crisi finanziaria è reale: Israele continua a trattenere ogni anno centinaia di milioni di shekel [1 shekel = 0,26 €] dell’ANP, equivalenti alle indennità che l’ANP paga alle famiglie dei prigionieri detenuti da Israele, ma l’opinione pubblica non crede che non ci siano soldi per stipendi decenti agli insegnanti.

Quindi il messaggio dell’ANP è chiaro: continua a rispettare i suoi accordi con Israele (compreso il coordinamento per la sicurezza), ma non quello con gli insegnanti, uno dei settori più importanti per garantire il benessere comune.

Hawara (e la strada congestionata che la attraversa) è stata classificata più di 25 anni fa come area B [cioè sotto controllo amministrativo palestinese ma israeliano per la sicurezza, ndt.], nella quale ai poliziotti palestinesi è vietato operare e sostarvi armati o in divisa. L’esercito pesantemente armato e la polizia di frontiera, tuttavia, sono una presenza costante vicino a garage e minimarket, stazioni di servizio e bancarelle di falafel. Tutti sanno chi sono stati mandati a proteggere. Le colonie della zona sono note per la loro violenza: Yitzhar e i suoi avamposti, che spuntano febbrilmente come funghi dopo la pioggia; Itamar e i suoi avamposti in espansione; l’avamposto di Givat Ronen, vicino alla colonia di Har Bracha.

I villaggi palestinesi di Burin, Madama, Einabus, Urif, Aqraba, Beita, Yanun e altri vivono da diversi decenni sotto la minaccia del terrore rappresentato da questi intrusi. Alberi abbattuti, raccolti di olive rubati, incendi dolosi, colpi di arma da fuoco contro i contadini, palestinesi aggrediti nelle loro case, sorgenti del villaggio sfruttate [a favore dei coloni, ndt.]: questi non sono atti di “vendetta” compiuti dopo un attacco agli ebrei. Costituiscono un piano calcolato per impossessarsi di più terra palestinese attraverso la violenza e l’intimidazione. Tutto, sia allora che adesso, è stato ed è fatto sotto gli auspici del monopolio esercitato dall’IDF [esercito israeliano, ndt.] sulla sicurezza.

Ovviamente nessuna agenzia di sicurezza palestinese ha tentato di sfidare questa situazione al fine di proteggere gli abitanti dai loro assalitori recidivi. Invece di ringraziare l’Autorità Nazionale Palestinese per la sua obbedienza e lealtà, il governo Netanyahu-Smotrich-Ben-Gvir la incolpa per ogni morto israeliano in un’area sotto il pieno controllo israeliano, vale a dire l’intera Cisgiordania e Israele vero e proprio. Allo stesso tempo, Israele chiede all’ANP di controllare i giovani palestinesi disperati e senza addestramento militare che si sono armati in Cisgiordania. Non c’è da meravigliarsi che il pubblico palestinese ami e ammiri quei giovani uomini armati, anche se non sono capaci, addestrati o preparati a proteggerlo fisicamente dagli attacchi dei coloni o a sventare il furto delle loro terre.

La notte in cui gli ebrei imperversavano ad Hawara, molti dei suoi abitanti che si trovavano fuori città non potevano tornare a casa. Attraverso i social media gli abitanti di Nablus hanno offerto loro ospitalità. A questo si è aggiunto l’apparato di sicurezza nazionale palestinese, che ha aperto loro il suo quartier generale. Le reazioni sono state taglienti, ha detto ad Haaretz un abitante di Nablus. “Cosa siete, un ente di beneficenza?” hanno chiesto con sarcasmo le persone infuriate.

L’esperienza ci insegna che i soldati dell’IDF e i poliziotti di frontiera avrebbero sparato e persino ucciso qualsiasi palestinese avesse cercato di opporsi agli aggressori e difendere la propria famiglia, i vicini o la proprietà con una pistola, un bastone o un coltello. Oppure potrebbe essere stato arrestato e condannato in un tribunale militare prima di essere condannato a molti anni di prigione per possesso di un’arma illegale, aver sparato e messo in pericolo vite ebraiche.

Anche se i poliziotti dell’Autorità Nazionale Palestinese fossero potuti arrivare rapidamente ad Hawara per proteggere i loro connazionali dagli assalitori ebrei, l’esercito li avrebbe bloccati o addirittura uccisi o imprigionati e i giudici militari li avrebbero condannati a lunghe pene detentive senza ascoltare le spiegazioni dei loro avvocati. Qualsiasi tentativo locale di organizzare una difesa usando le armi sarebbe finito in uno spargimento di sangue, soprattutto da parte palestinese, e con un’escalation incontrollabile. È comprensibile, quindi, perché un tale intervento sia ancora oggi improbabile.

Ma al di là delle dichiarazioni, delle condanne e delle richieste che le Nazioni Unite forniscano protezione internazionale, per anni alti funzionari palestinesi si sono astenuti, come risposta alla violenza dei coloni, dall’alzare la testa, revocare un accordo, o stabilire condizioni chiare e ben definite per continuare il coordinamento della sicurezza con Israele.

Invece di inviare le sue forze di sicurezza ad impedire conferenze stampa e manifestazioni che invocano la democratizzazione, e di spiare la propria gente, l’Autorità Nazionale Palestinese avrebbe potuto dislocare permanentemente queste forze – disarmate e in borghese, ma addestrate al controllo antisommossa – nei villaggi frequentemente attaccati dai coloni. Avrebbe potuto informare Israele che lo stava facendo perché l’esercito e la polizia israeliani non stanno adempiendo ai loro doveri come dettato dal diritto internazionale e persino dagli Accordi di Oslo. Avrebbe potuto inviare i suoi comandanti di grado più alto in tournée regolari in questi villaggi, per partecipare all’aratura e alla raccolta delle olive, pascolare le pecore con gli abitanti del villaggio, mentre spiegava agli ufficiali israeliani di non essere disponibile per riunioni di coordinamento con l’IDF, lo Shin Bet e l’Amministrazione Civile, poiché era impegnata a proteggere la sua gente.

La conclusione ovvia è che le agenzie di sicurezza palestinesi e il loro comandante supremo Mahmoud Abbas considerano sacro non solo il coordinamento per la sicurezza con Israele, ma anche i confini dei Bantustan creati dalle divisioni temporanee e permanenti nelle aree A, B e C. Ecco come possono essere garantiti i ristretti interessi personali ed economici del gruppo dirigente, così slegato dal suo popolo.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Perché il pogrom di Huwwara era inevitabile

Maureen Clare Murphy

27 febbraio 2023 – The Electronic Intifada

All’inizio di gennaio, mentre Israele stava formando il suo governo più apertamente di estrema destra mai varato, Nadav Tamir, un ex diplomatico israeliano e attuale direttore di un’organizzazione lobbystica J Street,[ associazione sionista moderata, ndt.], ha dato un profetico avvertimento.

Tamir ha affermato che Zvika Fogel, una figura precedentemente poco conosciuta che ora presiede il Comitato per la sicurezza nazionale del parlamento israeliano, “esprime apertamente la velenosa verità” del partito Potere Ebraico di Itamar Ben-Gvir, un attore chiave nella coalizione di governo di Benjamin Netanyahu.

Tamir afferma che mentre Ben-Gvir potrebbe desiderare di mascherare i suoi obiettivi estremisti con un linguaggio moderato, Fogel “ha parlato con orgoglio tranquillamente e ad alta voce: vale la pena ascoltarlo”.

Fogel ha svolto quel ruolo lunedì, elogiando l’effetto “deterrente” dopo che centinaia di coloni hanno attaccato le comunità palestinesi nel nord della Cisgiordania, dando fuoco a case e veicoli palestinesi.

Un palestinese di 37 anni è stato ucciso durante questa furia durata ore, organizzata dai coloni dopo che due fratelli israeliani sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco a Huwwara, l’epicentro della rabbia violenta della folla di giustizieri.

Mentre Netanyahu e Ben-Gvir facevano finta di invitare gli israeliani ad astenersi dal farsi giustizia da sé, Fogel ha intrapreso una campagna mediatica esprimendo la sua approvazione per la devastazione.

Fogel ha affermato: “Una Huwwara chiusa e bruciata – questo è quello che voglio vedere”. Ha spiegato: “Questo è l’unico modo per ottenere deterrenza. Dopo un omicidio come quello di ieri dobbiamo bruciare villaggi quando [l’esercito israeliano] non agisce”.

Fogel in seguito ha ritrattato i suoi commenti e si è contraddetto dicendo: “Ho detto che lo Stato è quello che dovrebbe agire per scoraggiare i terroristi, sicuramente non i civili”.

Ma a quel punto i seguaci del suo partito e gli aderenti all’ideologia suprematista che esso rappresenta avevano già ricevuto il messaggio, forte e chiaro.

Violenza autorizzata dallo Stato”

Anche se chiedere ai vendicatori “di non farsi giustizia da sé” lunedì era la linea del governo Netanyahu, essa è smentita da tutto ciò che la coalizione di governo ha detto e fatto fino ad ora.

Breaking the Silence, un gruppo di veterani [dell’esercito, ndt] israeliani che denunciano quanto avviene nei territori occupati, ha affermato lunedì che “il pogrom di Huwwara è stata una violenza autorizzata dallo Stato”.

Rappresentati ai massimi livelli del governo, “i coloni si sono scatenati impunemente perché sanno di avere lo Stato dalla loro parte”, ha aggiunto Breaking the Silence.

E questo include l’esercito israeliano, la cui funzione principale nella Cisgiordania occupata è proteggere i coloni che vivono in colonie per soli ebrei costruite in violazione del diritto internazionale.

B’Tselem,organizzazione israeliana per i diritti umani, ha sottolineato la “sinergia” della cooperazione: “I coloni effettuano l’attacco, i militari lo proteggono, i politici lo sostengono”.

Rifiutando le affermazioni che suggerivano che il governo israeliano avesse perso il controllo, B’Tselem ha affermato che “è proprio così che si manifesta il controllo israeliano” e ha aggiunto che “il pogrom di Huwwara è stata una manifestazione estrema di una politica israeliana di lunga data”.

Il precedente di Hebron

Per un altro tragico esempio di questa politica bisogna guardare alla città di Hebron, in Cisgiordania.

Un giorno, 29 anni prima del pogrom dei coloni a Huwwara, Baruch Goldstein, un colono ebreo nato negli Stati Uniti, sparò nella moschea di Ibrahimi, massacrando 29 uomini e ragazzi palestinesi.

Goldstein era un seguace del rabbino genocida Meir Kahane. Ben-Gvir, il ministro della Sicurezza Nazionale di Israele, definisce sé stesso come un “discepolo” di Kahane, come ha affermato The Times of Israel, e considera Goldstein un eroe.

Sulla scia del massacro di Goldstein, Israele intensificò le sue misure repressive contro i palestinesi e spartì la moschea Ibrahimi a favore dei coloni – un precedente che Israele potrebbe tentare di ripetere alla moschea al-Aqsa di Gerusalemme.

Da allora i coloni hanno sequestrato proprietà palestinesi nella Città Vecchia di Hebron, rendendo il suo ex cuore commerciale una città fantasma chiusa.

Lunedì, dopo che l’esercito israeliano ha chiuso i negozi palestinesi a Huwwara, agli osservatori non è sfuggito il parallelo con Hebron.

Lungi dal fatto che Israele non gradisca la violenza dei coloni, quest’ultima è un mezzo necessario per raggiungere l’obiettivo dello Stato di svuotare la Palestina della sua popolazione nativa in modo che possa essere sostituita da coloni stranieri.

La violenza dei coloni, compresi i massacri durante il periodo della fondazione di Israele nel 1948, è stata essenziale per la formazione e il mantenimento di uno Stato ebraico in Palestina.

La “guerra” di Ben-Gvir

Lunedì Ben-Gvir ha espresso un cenno di approvazione a questa prosecuzione della violenza che ha descritto come una necessità esistenziale per il progetto sionista in Palestina: “Questa non è una guerra iniziata ieri, non è una guerra che finirà in un giorno, ma è una guerra per la nostra casa, per le nostre vite”.

Ben-Gvir stava parlava con i coloni a Evyatar, un avamposto non autorizzato dal governo israeliano.

I coloni hanno fondato Evyatar nel maggio 2021 su un terreno appartenente alle comunità palestinesi di Beita, Qabalan e Yatma a Jabal Subeih, vicino alla città di Nablus, nel nord della Cisgiordania. Da allora diversi palestinesi sono stati uccisi durante le proteste contro l’insediamento o subito dopo.

Il governo di Netanyahu intende legalizzare Evyatar, che è stato co-fondato da Zvi Sukkot, un estremista di estrema destra del famigerato insediamento di Yitzhar che, dopo aver ottenuto il seggio lasciato da Smotrich [ministro delle Finanze in carica e che ha rilasciato dichiarazioni simili a quelle di Fogel, ndt.] e che è anche un parlamentare dell’attuale maggioranza del governo israeliano.

I coloni di Yitzhar, che si trova vicino a Huwwara ed è costruito in parte sulla terra del villaggio, sono noti per aver attaccato le vicine comunità palestinesi, con le guardie private di Yitzhar che hanno persino dato ordini ai soldati israeliani durante quegli attacchi.

Il leader dell’opposizione Benny Gantz ha dichiarato lunedì di sostenere il compromesso che il suo governo ha fatto per “legalizzare” Evyatar.

Gantz e il suo collega dell’opposizione Yair Lapid sono stati molto critici nei confronti del governo di estrema destra, affermando che ha “perso il controllo” e sta portando Israele a un “disastro della sicurezza”.

Ma a parte le critiche, Gantz e Lapid condividono la stessa visione di uno Stato suprematista ebraico in Palestina, anche se con una patina di democrazia liberale piuttosto che con la tendenza teocratica di Ben-Gvir e Smotrich.

Le fiamme che hanno avvolto Huwwara domenica sono la logica conclusione dell’ideologia suprematista di Israele.

Lo Stato è oggi guidato dagli aderenti più estremi al sionismo, che, secondo le parole del commentatore palestinese Muhammad Shehada, “non si fermeranno finché tutta la terra non sarà in fiamme”.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




I disordini di Huwwara: il racconto in prima persona dell’attacco dei coloni israeliani contro una cittadina palestinese

Hussein al-Suwaiti a Huwwara, Palestina occupata

27 febbraio 2023 – Middle East Eye

Testimonianza resa a Ola Marshoud

Hussein al-Suwaiti descrive le scene dell’aggressione da parte di coloni israeliani violenti, che ha lasciato sul terreno macchine, edifici e autodemolizioni bruciati in tutta la sua cittadina

I coloni israeliani si sono riuniti presso l’incrocio di una colonia, sono scesi a Huwwara a piedi ed hanno dato fuoco a tutta la cittadina.

Sono arrivati sventolando bandiere per vendicarsi perché in precedenza quel giorno un palestinese aveva ucciso due coloni israeliani.

I coloni hanno incendiato case, negozi e autodemolizioni. Si sono diretti verso la strada principale della cittadina in cui abitiamo e prima hanno aggredito i nostri vicini. Hanno dato fuoco all’autosalone del mio vicino e all’autodemolizioni di fronte.

Poi si sono diretti contro la mia famiglia.

Hanno attaccato la nostra casa con pietre e pezzi di ferro ed hanno cercato di farvi irruzione. Hanno scagliato tutto quello che trovavano contro la nostra casa.

Huwwara aveva già subito attacchi dei coloni in precedenza, ma non così, non a questo livello di violenza. È stato indescrivibile.

Abbiamo iniziato a pregare e i miei figli si sono messi a piangere e a gridare.

Nel passato alcuni coloni si erano piazzati fuori dalla nostra casa, gridando e lanciando qualche pietra. Attaccavano una o due case alla volta, ma ieri si sono sparpagliati in città più di 250 coloni.

Non potevi neanche cercare rifugio dai tuoi vicini perché anche loro erano sotto attacco.

Ridotta in cenere

Vicino a me c’è un’officina di autodemolizioni, con dentro circa 25 macchine.

I coloni hanno incendiato le gomme, le hanno lanciate contro le auto e l’hanno ridotta in cenere.

Ne hanno bruciata anche un’altra vicino, più grande della mia, e il fumo ha riempito la strada. I soldati israeliani hanno sparato gas lacrimogeni contro i coloni, ma la maggior parte è finita nella nostra casa, che è sparita sotto tutto quel fumo e quei lacrimogeni. Stavamo soffocando. Non potevamo far altro che pregare, gridare aiuto e urlare contro i coloni.

Quando stavano davanti all’ingresso di casa cercando di fare irruzione ho iniziato a tirargli contro attraverso la finestra le scarpe dal porta scarpe che avevo vicino a me. Mentre ciò avveniva i soldati israeliani se ne stavano lì fermi a guardare.

Ho urlato verso i soldati e gli ho detto che i coloni stavano cercando di entrare a forza in casa mia. Mi hanno puntato contro le armi e mi hanno detto di tornare dentro.

Non c’era nessuno ad aiutarci. Il fuoco si stava avvicinando sempre di più e stavamo per bruciare vivi nella nostra casa. Il mio maggior timore era che mi incendiassero la macchina che avevo parcheggiato nel cortile davanti all’entrata. Se lo avessero fatto, saremmo rimasti bloccati in casa.

Ho scritto su Facebook un messaggio angoscioso: per l’amor di Dio, abbiamo bisogno di un’ambulanza e di un mezzo antincendio.

Il fuoco aveva attecchito nell’officina di autodemolizioni. Sono arrivati sul posto dei poliziotti palestinesi e hanno chiesto a noi e ai nostri vicini di lasciare le nostre case. Ci hanno messi su un’ambulanza palestinese e ci hanno portati in ospedale.

A mio figlio di sette anni hanno dovuto dare l’ossigeno per le inalazioni di fumo, mentre io ho ricevuto cure d’emergenza perché ho l’asma.

Sfrontatezza

Ho altri tre figli, di 15,14 e 13 anni. Il panico che abbiamo vissuto è indescrivibile.

L’attacco di ieri ha messo in discussione la sicurezza che si prova nella propria casa, nella propria città. Ora siamo in stato di allerta e ci aspettiamo che ritornino in qualunque momento.

Prima che iniziasse questo attacco i coloni erano arrivati a Huwwara con le loro famiglie, compresi i bambini, alcuni dei quali nei passeggini, e andavano in giro per la città.

Dietro a questa sfrontatezza c’è l’esercito. I coloni sanno di essere protetti dai soldati, per cui ovviamente fanno tutto quello che vogliono. Sono entrati nella cittadina sotto la protezione dell’esercito, che gliel’ha consentito.

In passato, quando arrivavano sul posto, i soldati contenevano la situazione e i coloni si disperdevano. Questa volta no.

Quando ho urlato ai soldati che non potevamo respirare, mi hanno puntato contro i fucili. Dobbiamo avere osservatori internazionali sul posto.

Come dice il proverbio, “il giudice e il boia sono la stessa identica persona”. Non c’è nessuno che ci protegga.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Dopo aver aiutato le vittime del terremoto, un palestinese è stato ucciso dalla furia israeliana

Fayha Shalash

27 febbraio 2023 – Middle East Eye

Sameh al-Aqtash era appena tornato dal volontariato in Turchia quando i coloni hanno attaccato il suo villaggio in Cisgiordania

Quattro giorni fa Sameh al-Aqtash è tornato dalla Turchia, dove aveva sostenuto le vittime del terremoto come volontario. Domenica sera il 37enne palestinese è stato ucciso da coloni israeliani che si sono scatenati nel suo villaggio, Zatara, nella Cisgiordania occupata.

Zatara si trova a sud di Nablus, vicino a un famigerato checkpoint militare israeliano dove, secondo gli abitanti, i soldati vessano quotidianamente i palestinesi. A Zatara vivono solo 100 persone e sono tutti membri della stessa famiglia. La maggior parte di loro sono donne e bambini.

Gli attacchi dei coloni israeliani sono iniziati dopo che domenica pomeriggio un presunto palestinese armato ha ucciso due coloni vicino alla città di Huwwara. In risposta, centinaia di israeliani hanno attaccato città e villaggi palestinesi, ferendo quasi 300 persone e bruciando le case.

Nonostante Zatara si trovi a circa sei chilometri da Huwara, dove i coloni sono stati uccisi e la violenza della folla ha raggiunto il massimo, un gruppo di israeliani ha attaccato il villaggio e ha iniziato a tentare di rimuoverne il principale cancello di ingresso.

Abdel Moneim, il fratello di Aqtash, era con lui mentre si precipitavano a fermare il vandalismo dei coloni.

“Ci siamo affrettati tutti, incluso Sameh, e abbiamo fermato i coloni al cancello e impedito loro di entrare”, ha detto a Middle East Eye.

Ma dopo poco tempo i coloni hanno attaccato di nuovo, questa volta con la protezione dei soldati israeliani. I colpi di arma da fuoco hanno iniziato a prenderci di mira e poi Sameh è caduto a terra”.

Coloni e soldati stazionano insieme dopo la furia devastatrice. (Reuters)

Con i soldati israeliani e i coloni che bloccavano le strade, nessuna ambulanza ha potuto accedere a Zatara, così i fratelli di Aqtash hanno dovuto usare un veicolo privato e trasportarlo su una strada sterrata fino al vicino paese di Beita.

Mentre correvano lungo la strada accidentata, il sangue è uscito da un foro di proiettile nell’addome di Aqtash, che ha iniziato a perdere conoscenza.

Al centro medico di Beita i fratelli di Aqtash sono scoppiati in lacrime quando il medico ha detto loro che egli era morto per le ferite. Lascia tre figli, il più piccolo è una bambina di quattro mesi.

Abdel Moneim afferma: “Non c’erano scontri quando i coloni ci hanno attaccato. Sameh era una persona gentile che amava aiutare la gente: due giorni prima di essere ucciso aveva parlato con i capi dei consigli locali della nostra regione per raccogliere donazioni per le vittime del terremoto in Turchia e Siria”.

Città in fiamme

Le cicatrici degli attacchi senza precedenti dei coloni alle città e ai villaggi a sud di Nablus saranno difficili da cancellare. Case, negozi e automobili sono stati distrutti e incendiati. I coloni hanno massacrato il bestiame dei palestinesi.

Elias Dmaidi, un bambino di otto anni residente a Huwwara, ha detto che pensava che sarebbe stata l’ultima della sua vita.

“Non ho mai visto un attacco così grave: centinaia di coloni urlavano, insultavano, distruggevano tutto ciò che incontravano e davano fuoco alle case mentre le famiglie erano dentro”, ha detto Dmaidi ai giornalisti.

Huwwara, una città divisa da una strada principale frequentata da coloni e soldati israeliani, ha avuto una storia di conflitti crescenti.

La maggior parte delle sue terre sono state confiscate da Israele per costruire colonie ebraiche illegali, con varie strade ad uso esclusivo degli israeliani costruite per servirli e garantire la loro sicurezza.

Mentre il caos inghiottiva la città, l’esercito israeliano ha chiuso tutti i checkpoint intorno a Nablus, bloccando i palestinesi all’interno e all’esterno dell’area. Nonostante gli attacchi dei coloni, gli abitanti hanno aperto le loro case a tutti coloro che non potevano andarsene.

Al sorgere del mattino il sole ha rivelato l’entità dei danni. Nere strisce carbonizzate macchiavano case, negozi e alberi. Anche la scuola era stata attaccata. Temendo per la propria vita gli studenti lunedì sono rimasti a casa.

Palestinesi ispezionano i danni causati dalla furia dei coloni (AP)

Durante i disordini al personale medico e ai vigili del fuoco è stato impedito di raggiungere le aree colpite, con il risultato che centinaia di palestinesi feriti sono stati curati molto tempo dopo essere stati aggrediti.

Ahmed Jibril, direttore delle ambulanze e del dipartimento di emergenza della Mezzaluna Rossa palestinese, ha affermato che i medici sono stati oggetto di numerosi abusi durante l’attacco a Huwwara.

Ha proseguito: “I paramedici sono stati attaccati ed è stato impedito loro di entrare in città, anche le ambulanze sono state colpite. L’ aggressione non è stata opera solo dei soldati, ma anche dei coloni, che hanno aggredito il personale medico mentre cercava di trasportare un ferito”.

Bersagliati dentro casa

Anche Brin, una cittadina vicina che si trova accanto a blocchi di colonie, è stata oggetto di furiosi attacchi.

Ayman Soufan era a casa con moglie e figli quando i coloni li hanno attaccati e hanno dato fuoco alla loro casa.

Ha raccontato a Middle East Eye: “Più di 100 coloni ci hanno attaccati e si sono divisi in due gruppi, uno ha sfondato finestre e porte e l’altro ha rubato le nostre cose e le pecore dalla parte anteriore della casa”.

Poi le hanno dato fuoco. La famiglia di mio fratello e io siamo fuggiti dall’altra parte per proteggerci. Mio figlio è stato colpito alla spalla da una pietra lanciata dai coloni.”

Quasi ogni mese vengono attaccati da coloni. protetti dai soldati israeliani, che vogliono prendere la loro casa e rubare la loro terra per espandere gli insediamenti vicini.

Soufan prosegue: “I coloni hanno cercato di bruciarci vivi all’interno della nostra casa, se non fossimo riusciti a scappare ora saremmo morti. Nonostante l’enorme incendio, i vigili del fuoco non sono riusciti a raggiungerci perché i soldati li hanno ostacolati e il fuoco è rimasto acceso finché non si è spento da solo. Dal 2000 viviamo la stessa spirale di aggressione”.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Un israeliano-americano ucciso in un attacco a Gerico

Redazione di Al Jazeera

28 febbraio 2023 – Al Jazeera

La sparatoria è avvenuta dopo che coloni ebrei hanno ucciso un palestinese durante una sanguinosa aggressione contro alcuni villaggi della Cisgiordania.

Un automobilista israeliano-americano è stato ucciso in un attacco da un sospetto palestinese armato vicino la città di Gerico, nella Cisgiordania occupata.

Fonti ufficiali israeliane hanno affermato che prima di dileguarsi gli aggressori palestinesi hanno effettuato molteplici sparatorie da automobili su una superstrada vicino a Gerico, in una delle quali lunedì è stato ucciso l’ israeliano -americano.

Gli Stati Uniti hanno confermato che l’uomo ucciso era un cittadino statunitense, ma non ne hanno rese note le generalità.

L’incidente è accaduto dopo che coloni ebrei si sono scatenati a Huwara e in altri villaggi palestinesi vicino a Nablus, in Cisgiordania, uccidendo un civile palestinese e bruciando decine di automobili e di case in quello che è stato descritto da alcuni palestinesi come un “pogrom” [termine riferito alle sanguinose violenze antiebraiche nell’Europa orientale, ndt.].

Israele ha rinforzato le sue basi in Cisgiordania dopo che domenica due fratelli provenienti da una colonia ebraica sono stati uccisi, ma è stato accusato di aver appoggiato i coloni ebrei che hanno attaccato i villaggi palestinesi.

Con il mese sacro musulmano del Ramadan e la festività della Pasqua ebraica tra poche settimane, mediatori esteri hanno chiesto di ridurre le tensioni che hanno subito una impennata dopo che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha riconquistato il potere alla testa di una coalizione di estrema destra.

Gli eventi fanno dubitare della capacità di Netanyahu di camminare sul filo del rasoio diplomatico tra Washington – che spinge per un compromesso duraturo – e il suo governo, che include coloni estremisti che chiedono una azione dura contro gli attacchi palestinesi.

Nelle periodiche conferenze stampa il portavoce del dipartimento di Stato [statunitense, ndt.] Ned Price ha condannato gli attacchi da entrambe le parti e ha accolto positivamente le affermazioni di Netanyahu, che chiede la cessazione di ciò che ha descritto come “violenza da giustizieri” da parte dei coloni.

Ci aspettiamo che il governo israeliano assicuri la piena responsabilità e i azioni legali contro coloro che sono stati responsabili di questi attacchi, in aggiunta agli indennizzi per le case e le proprietà distrutte”, ha affermato Price.

Domenica la Giordania ha ospitato un raro incontro tra funzionari israeliani e palestinesi, con la presenza di rappresentanti americani. Il ministro degli Esteri giordano ha affermato che lo Stato di Israele ha promesso una riduzione degli annunci di colonie ebraiche e ha riconfermato i precedenti accordi di pace.

Tuttavia Netanyahu ha subito negato e ha twittato che non ci sarà nessun congelamento [dello sviluppo, ndt.] delle colonie.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




La violenza dei coloni fomenta la tensione in Cisgiordania

Donald Macintyre & Quique Kierszenbaum ad Al Mufakara

28 novembre 2021 – The Guardian

Mentre peggiorano gli attacchi contro i palestinesi, noi abbiamo parlato con contadini, coloni, attivisti israeliani per i diritti umani e con la madre di un bambino di tre anni ferito in un raid

L’attacco era già in corso quando, dopo essere andata velocemente dalla vicina a riprendersi il figlio più piccolo, Baraa Hamamda, 24 anni, è corsa a casa dove ha trovato Mohammed, tre anni, che giaceva in una piccola pozza di sangue e apparentemente senza vita sul nudo pavimento dove l’aveva lasciato addormentato. “Ho pensato: “Ecco, è morto,” dice. “Non tornerà in vita.”

Mohammed non era morto, anche se non riprenderà coscienza per oltre undici ore, perché era stato colpito alla testa da una pietra scagliata attraverso una finestra da un colono israeliano, uno delle decine che avevano invaso l’isolato villaggio di Al Mufakara che si trova in Cisgiordania, sulle aride e rocciose colline a sud di Hebron.

Alle 13,30 circa dei coloni provenienti da 2 avamposti illegali persino secondo la legge israeliana, Havat Maon e Avigayil, tra i quali sorge, in una posizione difficile, il villaggio palestinese, hanno aggredito un gruppo di pastori palestinesi della vicina Rakiz, lanciando pietre e accoltellando pecore, uccidendone sei. Oltre una dozzina dei 120 abitanti di Al Mufakara hanno risposto con sassi nel tentativo di respingerli. Ma i coloni, parecchi dei quali armati, sono entrati rapidamente nel villaggio e, mentre le donne si barricavano con i bambini nelle case, hanno lasciato una scia di finestre fracassate, auto rovesciate, parabrezza rotti, cisterne dell’acqua perforate, penumatici tagliati, pannelli solari vandalizzati e sei palestinesi feriti, incluso Mohammed.

Pare che all’inizio alcuni soldati abbiano tentato di interporsi, un video delle Forze di Difesa Israeliane [IDF, l’esercito israeliano, ndtr.] li mostra mentre stanno immobilizzando un colono. Ma Mahmoud Hamamda, il nonno di Mohammed, dice che quando sono arrivati i rinforzi si sono concentrati nel disperdere i palestinesi che stavano difendendo il villaggio, circa la metà dei quali si è ora ritirata nella valle sottostante. “Erano a fianco dei coloni, sparavano contro i palestinesi, gas lacrimogeni, granate stordenti e proiettili di gomma,” aggiunge. “Se Israele avesse fatto rispettare la legge nessuno di questi coloni sarebbe qui … invece i soldati israeliani arrivano con i fucili d’assalto M16 e affrontano gente disarmata.”

Tutto ciò solleva la domanda su cosa Israele stia facendo per contenere quello che sembra un crescente uso sistematico della violenza da parte dei coloni delle aree rurali. L’incursione contro Al Mufakara, che Haaretz, quotidiano israeliano di centro-sinistra, ha definito un “pogrom”, è il caso più eclatante fra quelli di una recente violenza in aumento da parte dei coloni. Le organizzazioni israeliane per i diritti umani sostengono che è usata sempre di più come strategia per tentare di allontanare molti dei 300.000 palestinesi che abitano nel 60% della zona agricola della Cisgiordania occupata designata come Area C [sotto totale ma temporaneo controllo di Israele, ndtr.] dagli accordi di Oslo.

Probabilmente i coloni stavano provando con la forza a fare quello che Israele cerca da tempo di ottenere con la burocrazia. A differenza della maggior parte dei coloni, agli abitanti palestinesi di villaggi come Mufakara non sono concessi permessi per costruire ambulatori medici e scuole o asfaltare le strade di accesso, così sconnesse da far rizzare i capelli. Non avendo accesso ai servizi, finiscono per pagare l’acqua cinque volte di più degli israeliani. Molte case hanno ricevuto dall’esercito ordini di demolizione. Questo va ad aggiungersi alle decine di migliaia di ettari di “terre demaniali” assegnate ai coloni anche se, da generazioni, sono state usate come pascoli dai palestinesi.

B’Tselem, l’organizzazione israeliana per i diritti umani, ha affermato questo mese che lo Stato ha “sfruttato la violenza dei coloni per promuovere la propria politica di occupazione delle terre dei palestinesi a favore degli ebrei”.

Anche se Naftali Bennett, che a giugno ha sostituito Benjamin Netanyahu come primo ministro, è un nazionalista di destra, è stato obbligato a includere nella sua coalizione il partito laburista e il Meretz (il partito ebraico più di sinistra) così come, per la prima volta, Ra’am, un partito arabo di tendenza islamista. Alla base dell’accordo politico che Bennett ha stretto con i suoi partner di centro-sinistra c’era che non avrebbe coronato il proprio sogno di annettere de jure parti fondamentali della Cisgiordania e in cambio il governo si sarebbe concentrato sulle politiche riguardanti Israele vero e proprio: niente annessioni, ma neppure fine dell’occupazione.

Bennett condivide completamente la visione espansionistica dei leader dei coloni per i quali Israele si estende fino al fiume Giordano e ha promesso di continuare la crescita delle colonie esistenti. Mentre il ministro degli esteri Yair Lapid ha immediatamente twittato la condanna dell’attacco ad Al Mufakara definendolo “terrorismo” e “non il modo in cui si comportano gli ebrei”, Bennett non l’ha fatto.

Membri del Meretz [storico partito della sinistra sionista, ndtr.] che siedono all’opposizione nella Knesset, come l’avvocatessa Gaby Lasky, sono stati espliciti sulla necessità che il governo ordini ai soldati di usare i suoi evidenti poteri legali contro l’uso della violenza da parte dei miliziani coloni come “strumento strategico”, inclusi i metodi di controllo dei disordini che l’esercito applica regolarmente contro i palestinesi.

Lei fa notare che la Quarta Convenzione di Ginevra, quella violata da tutte le colonie nei territori conquistati da Israele nel 1967, impone espressamente, nell’articolo 27, che i soggetti di una potenza occupante “debbano essere protetti… da tutti gli atti di violenza o relative minacce”. Mentre i coloni vengono giudicati da tribunali civili israeliani e i palestinesi da quelli militari, “[l’esercito] può legalmente dispendere [i coloni]; può arrestare qualcuno fino all’arrivo della polizia”. Invece, dice, c’è stata “impunità verso i coloni violenti”.

Dopo aver espresso la propria preoccupazione presso le sedi diplomatiche, inclusa Washington, il ministro della Difesa, Benny Gantz, ha reso noto di aver convocato il 18 novembre i vertici di esercito, polizia e intelligence per inasprire le procedure contro quelli che lui chiama “crimini d’odio” in Cisgiordania, incluse nuove linee guida contro le truppe che “restano in attesa” durante gli attacchi dei coloni contro i palestinesi. Tra i presenti c’era anche Yehuda Fuchs, capo del Comando centrale delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), che, durante una delle rare visite ad Al Mufakara dopo l’invasione dei coloni, ha assicurato che “è dovere dell’esercito proteggere tutti gli abitanti”.

Ma Avner Gvaryahu, ex sergente dei corpi speciali nella Cisgiordania settentrionale e direttore esecutivo dell’organizzazione di veterani anti-occupazione Breaking the Silence [“Rompere il silenzio”, ong israeliana contraria all’occupazione formata da ex-soldati, ndtr.], è profondamente scettico. “Le parole non contano nulla,” dice. “Contano solo le azioni. Per ora la violenza dei coloni continua a devastare e Gantz non ha fatto nulla.”

Egli dubita che, anche se sul campo si impiegassero più forze di polizia, “ci sarebbero dei cambiamenti sostanziali” perché l’occupazione, le colonie e gli avamposti, “fanno tutti parte di un sistema di violenza. In questa situazione noi abbiamo il dovere di proteggere i palestinesi, eppure noi sappiamo che alla maggior parte dei soldati non viene detto che hanno l’autorità e a loro, semplicemente, non è ordinato di applicare la legge contro i coloni.”

C’erano sicuramente scarse prove durante la raccolta delle olive di quest’anno che, dopo l’attacco contro Al Mufakara, il cambio di governo avesse modificato il comportamento dei coloni. Nel villaggio di Turmus Aya un contadino di 42 anni, Mumtaz al Salmah, racconta come il 23 ottobre tre gruppi familiari palestinesi siano fuggiti davanti a 20 coloni mascherati che lanciavano pietre e che poi hanno svuotato i sacchi delle olive raccolte, dato fuoco a una macchina e tagliato le gomme di altre. Al Salmah, l’ultimo a fuggire, dice di essere stato bastonato sulla testa e sul collo e che le truppe arrivate hanno usato gas lacrimogeni e granate stordenti per respingere chi era arrivato dal villaggio per aiutare le famiglie, per farli smettere di scagliare pietre. “Adesso ho paura di andare con le donne e i bambini a raccogliere le olive,” dice. “Loro [i coloni] ci attaccano sulle nostre terre e davanti ai nostri bambini ed io non posso fare nulla.”

Anche i soldati sono stati attaccati da coloni estremisti. Ma ci sono fattori culturali che fanno sì che molti si schierino con i coloni. Gli esperti hanno stimato nel 2016 che da un terzo a metà delle reclute dell’esercito sposa il sionismo religioso, il credo dei coloni più ideologizzati, contro il 10% della popolazione in generale.

Oltre a dire che il sionismo religioso è “dominante” fino ai livelli più alti, Yehuda Shaul, un altro attivista anti-occupazione di spicco del Centro per gli affari pubblici di Israele, aggiunge che i coloni spesso godono di un rapporto “simbiotico” con unità dell’IDF a livello locale. Attingendo alla propria esperienza come coscritto a Hebron egli dice dei coloni: “La domenica sono nel mio accampamento e usano il poligono di tiro perché fanno parte delle mie unità di riservisti, il sabato mi invitano per il cholent (il tradizionale stufato dello Sabbath); il martedì il loro leader partecipa all’incontro delle IDF su intelligence e operazioni; il mercoledì faccio un giro con loro alla Tomba del Patriarca [Giuseppe] e volete che li arresti il giovedì? Ma siete matti?”

La presenza di ebrei civili israeliani può offrire ai contadini palestinesi una certa protezione. Un venerdì di questo mese, a Burin, un villaggio della Cisgiordania settentrionale, Michael Marmur, londinese, docente di teologia ebraica, che presiede Rabbis for Human Rights [“Rabbini per i Diritti Umani”, ndt.] era su una scala e raccoglieva olive con la famiglia Qaduz nei pressi di Givat Ronen, avamposto illegale e notoriamente abitato da estremisti. A Burin il mese precedente i soldati non avevano impedito ai coloni di prendere ripetutamente a pietrate una casa occupata da tre donne e un ragazzino e solo quando, dopo 40 minuti, finalmente è arrivato un contingente armato più numeroso, i coloni se ne sono andati, dando fuoco a 100 olivi.

Descrivendo “sottostimolati e fortemente motivati” i coloni “giovani delle colline”, in prima fila nella battaglia per l’Area C, Marmur cita il comandamento biblico di non “distogliere lo sguardo” e dichiara “un obbligo morale opporsi alle quotidiane violazioni dei diritti umani”.

Il contadino Jamal Qaduz, 48 anni, ha mostrato la sua gratitudine ai suoi visitatori israeliani non solo con generose porzioni di arrayes (piadine farcite di carne), ma dicendo, mentre saliva verso i suoi oliveti con le olive ancora da raccogliere nei pressi di Givat Ronen: “La prossima settimana avremo bisogno di molti altri volontari, ho paura di avvicinarmi di più senza di loro.”

Seppure con poche speranze, Qaduz ha presentato un reclamo alla polizia sull’incidente della settimana precedente. Secondo Yesh Din, l’organizzazione israeliana per i diritti umani, oltre l’80% di tali reclami non si conclude con un’indagine penale e dal 2015 al 2019 solo il 9% è finito con un rinvio a giudizio.

A Burin i coloni non hanno sparato. Ma il 10 novembre nel villaggio di Khalat al-Daba, sulle colline a sud di Hebron, gli eventi hanno preso una piega più inquietante. I coloni, a cui un ufficiale militare dell’amministrazione civile aveva detto di smantellare una tenda che avevano eretto, ufficialmente per far ombra alle loro pecore, ma vicino a una masseria palestinese, sono rimasti nella zona, spostando il loro gregge sotto gli olivi coltivati dagli abitanti del villaggio.

Itai Feitelson è arrivato poco dopo le 8 con altri attivisti, palestinesi e israeliani, in seguito alle informazioni secondo cui i coloni avevano cominciato a tirare pietre, rompendo la gamba di un palestinese di 64 anni. Feitelson, 26 anni, appartiene a una nuova generazione di attivisti israeliani che passano lunghi periodi sulle colline a sud di Hebron, imparando l’arabo e aiutando gli agricoltori palestinesi. Membro di quella che lui descrive come una “famiglia israeliana tradizionale”, Feitelson ha fatto i suoi tre anni di servizio militare nel nord di Israele, scegliendo un distaccamento di intelligence, un compromesso che non l’avrebbe invischiato nell’occupazione, ma gradualmente ha deciso di impegnarsi di più. Dice: “Non mi piace farmi sparare, ma mi piace raccogliere le olive, mi piace andare con i pastori, mi piace vivere nei villaggi.

Non ci sono molte vittorie. Qualche volta si può rendere meno tesa una situazione o prevenire un arresto o avere la sensazione che una protesta è soppressa in modo meno duro perché ci sono degli israeliani qui.”

Eppure quella notte a Khalat al-Daba Feitelson ha solo potuto testimoniare gli eventi che si sono svolti rapidamente nel buio. C’è stata una drammatica escalation quando, in quello che sembrava il momento di massima tensione, i soldati improvvisamente “sono saliti sulle loro jeep e se ne sono andati ”.

Una tregua minacciosa è stata seguita da “un fittissimo lancio di pietre da entrambe le parti” fino a che, appena sette minuti dopo che l’esercito se n’era andato “i coloni hanno cominciato a sparare come pazzi”, apparentemente con delle pistole, ferendo due palestinesi e colpendo dei veicoli, inclusa un’ambulanza palestinese. Dopo ci sono voluti 40 minuti prima che, su insistenza degli abitanti del villaggio, sia ricomparso l’esercito che ha ordinato ai palestinesi di ritornare al paese e infine ha scortato i coloni verso l’avamposto illegale di Mitzpe Yair.

Ho visto i coloni sparare,” dice Feitelson, “ma mai per 40 minuti. La cosa più incredibile da quello che ho capito … è che l’esercito se ne sia andato. Era così ovvio che la situazione stava per peggiorare.”

La relazione di questo mese di B’Tselem si concentra principalmente su un nuovo tipo di avamposto “non autorizzato”, 40 “fattorie” sparse in Cisgiordania che gradualmente si stanno impadronendo di pascoli e fonti d’acqua, vitali per i palestinesi. Questo, dice Yehuda Shaul, “sarà l’ultimo chiodo piantato nella bara delle comunità pastorali palestinesi”. La violenza, sostiene Shaul, è “esistenziale per le fattorie… un passo necessario” verso l’obiettivo di “rimuovere le comunità di pastori palestinesi”.

Il 7 novembre, degli uomini provenienti da una di queste fattorie, di proprietà del colono Issachar Mann, si sono diretti verso il villaggio di al-Tha’ala e sono riusciti ad abbeverare le proprie pecore a una cisterna da tempo usata e di cui si occupano pastori palestinesi. Tali cisterne sono fondamentali per l’economia pastorale palestinese perché gli abitanti dei villaggi dipendono da esse per le proprie pecore.

Un attivista palestinese, Basil Adraa, è arrivato in tempo per filmare scene caotiche mentre i soldati respingevano i palestinesi verso il villaggio permettendo nel contempo alle pecore dei coloni di raggiungere la cisterna. I soldati dicono che l’uso della cisterna è “permesso a entrambe le parti”. Comprensibilmente, i palestinesi la considerano totalmente di loro proprietà. In uno scambio rivelatore, un ufficiale ha chiesto ad Adraa il suo nome. Adraa gli ha risposto in ebraico: “Perché non chiedi ai coloni mascherati di identificarsi?”

Non preoccuparti,” replica l’ufficiale, “li conosco molto bene.”

L’incidente ad al-Tha’ala è successo mentre a Susiya, un paese vicino, Hamdan Mohammed stava descrivendo una scena bizzarra del giorno prima, quando dei coloni hanno fatto irruzione nel campo giochi del villaggio creando l’immagine di uomini fatti e adolescenti che sghignazzando andavano su altalene e dondoli mentre tutt’intorno i soldati dell’IDF impedivano ai palestinesi di entrare. Era il sabbath, cosa che ha spinto Hamdan a commentare: “Non rispettano la loro stessa religione.”

Ben oltre mille anni fa ebrei e musulmani hanno occupato occasionalmente la zona. Il villaggio palestinese di Susiya è destinato a essere demolito, in quanto giudicato illegale ai sensi della legge israeliana, sebbene non lo sia più di 150 avamposti ebraici molto più recenti e “non autorizzati”, incluso quello di Givat Ha Degel, da cui provenivano alcuni degli invasori del parco giochi. Secondo il diritto internazionale la parte palestinese del villaggio è completamente legale, motivo per cui EU e USA sono da tempo contrari alla sua demolizione.

La Susiya israeliana, di cui Givat Ha Degel è un avamposto, è la colonia più grande della zona. Ma, sebbene alcuni dei suoi 1.500 abitanti si siano uniti all’irruzione del parco giochi, Nadav Abrahamov, importante colono di Susiya, dice che è stato un “errore”. Egli dice che non c’è stata “violenza”, ma che i coloni della zona “si erano veramente arrabbiati” vedendo un nuovo parco giochi in un’area su cui pendono degli ordini di demolizione e poi che, proprio quella mattina, degli attivisti israeliani erano arrivati a filmare delle case costruite recentemente a Givat Ha Degel.

Ciononostante, dice Abrahamov, l’episodio è stato “uno stupido incidente. Non avrebbe dovuto succedere.” Inoltre sostiene che l’irruzione ad Al Mufakara è stata l’azione di “una minoranza di una minoranza”, anche se riconosce di non sapere “esattamente cos’è successo”.

Qualsiasi soluzione, dice Abrahamov, richiede la rimozione degli attivisti israeliani, che descrive ripetutamente come “anarchici” e che, insiste, sono “quelli che creano le tensioni”. Egli dice che “senza di loro, noi [i coloni e i palestinesi aggrappati al loro villaggio di Susiya] possiamo trovare un modo di vivere insieme”. Egli dice che i leader della colonia di Susiya hanno ripetutamente impedito agli abitanti di ripetere l’irruzione al parco giochi il sabato successivo, in effetti stringendo un accordo con l’esercito che avrebbe vietato l’ingresso all’area agli “anarchici”. In realtà quel sabato l’esercito ha piazzato dei checkpoint temporanei, impedendo alle auto con targa israeliana, incluse, per due ore, quelle dell’Observer, di raggiungere le colline a sud di Hebron.

Eppure, nonostante l’asserzione che i coloni di Susiya senza gli “anarchici” avrebbero potuto coabitare con i palestinesi di Susiya, che preferirebbero non esistessero, resta un abisso incolmabile fra la loro visione e quella della comunità internazionale su chi abbia o meno il diritto di abitare sulle colline a sud di Hebron e nel resto dell’Area C. La designazione di Area C, indispensabile per il futuro dello Stato palestinese che i governi stranieri insistono nel volere, doveva essere temporanea, in attesa di un accordo di pace finale. Invece i coloni adesso stanno aspettando la sua completa annessione a Israele. “Noi siamo una parte integrale di Israele, ma non [ancora] nello Stato di Israele,” si lamenta Shmaya Berkowitz, un altro colono di Susiya.

Né il concetto che la violenza dei coloni sia limitata a una frangia ultra-estremista si sposa facilmente con l’accusa di organizzazioni come Yesh Din, sostenute da prove crescenti, secondo cui essa è “parte di una strategia calcolata per privare i palestinesi delle loro terre”. O con Yehuda Shaul, convinto sostenitore dell’accordo a due Stati con i palestinesi, che sostiene che “la violenza dei coloni non è una storia di 50 matti alla periferia del movimento … ma un passo essenziale nell’evoluzione del progetto coloniale”.

L’altra settimana l’esercito israeliano ha detto di essere “impegnato a garantire il benessere di tutti gli abitanti della zona e ad agire per prevenire la violenza nella sua area di responsabilità”. Riferendosi ai coloni, ha aggiunto: “Qualsiasi affermazione che l’IDF supporti o permetta violenze da parte degli abitanti dell’area è falsa.”

Tornando ad Al Mufakara, Baraa Hamamda dice che da quel pomeriggio di settembre i suoi bambini sono traumatizzati e che adesso sono spaventati dalle finestre, sapendo che sono fatte di vetro che può essere rotto da una pietra. “Loro dicono: ‘Come fanno i vetri a proteggerci? Noi non abbiamo bisogno di finestre.’”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)