Mustafa al-Barghouti: “Di fronte all’annessione occorre mostrarsi combattivi”

Mustafa Barghouti

15 agosto 2020 – Chronique de Palestine

Il governo di occupazione non cessa di intensificare i propri abusi in parecchi ambiti: l’espansione delle colonie e gli ordini di demolizione di case palestinesi, i quotidiani arresti di palestinesi – alcuni dei quali si accompagnano ad odiosi omicidi, come nel caso della martire Dalia Al-Samoudi a Jenin, gli attacchi contro le istituzioni di Gerusalemme ed il tentativo di ridurre la presenza palestinese nella città.

La decisione israeliana di costruire 1.000 nuovi blocchi di colonie nella zona E1 tra Gerusalemme e la Valle del Giordano è stata di fatto il segnale d’avvio del processo di annessione e di ebraizzazione.

Alcuni analisti pensano che questo processo sia stato rinviato o interrotto, nonostante il fatto che Benjamin Netanyahu non smetta di ripetere che esso è all’ordine del giorno e la sua attuazione viene accuratamente predisposta.

Ma occorre guardare in faccia la realtà: anche senza questo, le costanti pratiche degli israeliani sul terreno modificano lo status quo, attraverso l’ebraizzazione delle aree palestinesi e l’annessione di fatto di tutte le zone che sono purtroppo classificate come zona “C”, cioè il 62% della Cisgiordania [la zona C è sotto completo controllo israeliano in base agli accordi di Oslo del ’93, ndtr.].

Ciò dimostra l’importanza della dichiarazione dei diplomatici americani ai loro omologhi internazionali, che è stata oggetto di una fuga di notizie, relativa al mancato rispetto delle Risoluzioni 242 e 338 delle Nazioni Unite (due delle principali risoluzioni dell’ONU, del 1967 e del 1973, che essenzialmente impegnano al ritiro dai territori occupati e al diritto al ritorno dei profughi, ndtr.) e di altre risoluzioni internazionali. Queste violazioni sono antiche, essi affermano, e la realtà sul terreno cambia con gli anni e si evolve quotidianamente.

Non bisogna collegare le iniziative necessarie a contrastare il processo di annessione e impedire l’attuazione dell’Accordo del Secolo all’annuncio ufficiale dell’annessione. Bisogna collegarle in termini generali alla politica di colonizzazione israeliana e all’applicazione concreta del suo sistema di apartheid.

Il governo israeliano studia le reazioni alle sue pratiche e alle sue dichiarazioni relative all’attuazione dell’annessione ufficiale e tenta di contenere tali reazioni e prendere le sue misure in base ad esse.

Tuttavia si scontra con tre ostacoli evidenti: la presenza fisica di palestinesi che resistono ai suoi piani e rifiutano il regime di apartheid; l’eventualità di dover affrontare sanzioni concrete, compreso un boicottaggio che si sviluppa in modo esponenziale a livello popolare; l’unanimità palestinese riguardo al rifiuto dell’Accordo del Secolo, delle sue mappe geografiche e dei suoi inganni.

Inoltre per Israele il tempo stringe, perché Donald Trump potrebbe perdere le elezioni presidenziali di novembre.

Dal lato palestinese la cosa più pericolosa che potrebbe verificarsi sarebbe adottare una posizione di attesa passiva, o sopravvalutare ed esagerare le conseguenze di un’eventuale caduta di Trump ed elezione di Biden. Infatti, anche se Biden è contrario al piano di annessione di Netanyahu, non farebbe niente per impedire che proseguano i tre processi in atto sul terreno di cui ho parlato prima.

Proseguire il processo di modifica dello status quo, ufficialmente o no, significa eliminare la possibilità di creare uno Stato palestinese indipendente. Basti pensare che il numero di coloni presenti in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza non superava i 120.000 all’epoca della firma degli Accordi di Oslo (1993), mentre ora ammonta a 750.000.

Che alla Casa Bianca ci sia Trump o Biden, e che il primo ministro israeliano sia Netanyahu o Gantz, le iniziative palestinesi che devono essere avviate urgentemente sono le stesse: una reale unità nazionale, l’adozione di una strategia nazionale di lotta unitaria e azioni efficaci per imporre il boicottaggio dell’occupazione e del regime di apartheid.

Non sarà un male per il popolo palestinese se le sue differenti fazioni e dirigenti adotteranno un approccio adeguato. Ma sarà pericoloso se esse si accontenteranno di reagire invece di prendere l’iniziativa.

Il dottor Mustafa al-Barghouti è Segretario generale dell’Iniziativa Nazionale Palestinese, presidente della Società palestinese di assistenza sanitaria e membro del Consiglio Legislativo Palestinese.

(Traduzione dal francese di Cristiana Cavagna)