L’ONU afferma che se la questione palestinese non viene affrontata, le prospettive della soluzione a due Stati si deterioreranno ulteriormente

 

Redazione di MEMO

Mercoledì 27 luglio 2022 – Middle East Monitor

Martedì un’importante funzionaria dell’ONU ha messo in guardia il Consiglio di Sicurezza che se la questione palestinese non viene affrontata, le prospettive per la soluzione a due Stati “peggioreranno ulteriormente”.

“Sono necessarie immediate azioni per invertire la tendenza negativa e supportare il popolo palestinese”, ha sottolineato Lynn Hastings, la vicepresidente dell’ufficio del coordinatore speciale ONU per il processo di pace in Medioriente. Parlando a nome del coordinatore speciale Tor Wennesland, Hastings ha aggiunto: “Non c’è un’alternativa per un legittimo processo politico che risolva le questioni alla base del conflitto. Dobbiamo focalizzarci sul raggiungimento dell’obiettivo definitivo: due Stati che convivano fianco a fianco in pace e sicurezza, in linea con le risoluzioni ONU, con gli accordi precedenti e con il diritto internazionale.”

Ha puntualizzato che “per anni le espansioni delle colonie illegali nella Cisgiordania occupata hanno progressivamente ridotto il territorio palestinese ed eroso le prospettive per uno Stato palestinese praticabile, dato che la violenza contro i civili inasprisce la sfiducia e provoca un crescente mancanza di speranza in quanto uno Stato, la sovranità e un futuro di pace stanno stanno svanendo.”

La funzionaria dell’ONU ha riportato il numero di palestinesi uccisi e feriti dall’occupazione israeliana durante il periodo del suo rapporto. Allo stesso tempo ha raccontato che le pallottole usate per uccidere la giornalista palestinese-americana Shireen Abu Akleh sono state sottoposte a test forsensi supervisionati da un ufficiale esperto di sicurezza USA. Tuttavia, sebbene nei test “non si sia raggiunta una conclusione definitiva” a causa del danneggiamento dei proiettili, “sembra probabile che gli spari siano provenuti dalle posizioni delle Israeli Defence Forces [l’esercito israeliano, ndt.] (IDF).”

Hastings ha anche citato la mancanza di permessi edilizi rilasciati dagli israeliani ai palestinesi, puntualizzando che le demolizioni israeliane hanno recentemente espulso 61 palestinesi, inclusi 31 minori. Infatti finora quest’anno ci sono stati “trecentonovantanove demolizioni e confische di strutture di proprietà palestinesi palestinesi e sgomberi … con più di 400 palestinesi deportati.”

Hastings ha affermato che i permessi di costruzione sono praticamente impossibili da ottenere da parte dei palestinesi. Ha anche segnalato che la recente sentenza dell’Alta Corte di Giustizia israeliana che permette di procedere con gli sgomberi nei villaggi di Masafer Yatta dimostra che le forze israeliane continuano ad adottare misure restrittive che influiscono sulle comunità palestinesi e sugli operatori umanitari. “Io rimango profondamente preoccupata dal costo umanitario sulle comunità in questione se gli ordini di sgombero dovessero essere portati avanti” ha affermato.

La violenza correlata ai coloni è un’altra questione ed è particolarmente preoccupante nella comunità della Cisgiordania di Ras Al-Tin. “Ripeto che i responsabili di tutti gli atti di violenza devono essere chiamati a risponderne e rapidamente assicurati alla giustizia.”

L’importante funzionaria ha concluso: “L’ONU rimane impegnata a supportare gli israeliani e i palestinesi perché si avviino verso una pace giusta e durevole e noi continueremo a lavorare con le parti e con i partner regionali ed internazionali per ottenere questo risultato.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Lo Stato di Israele, ora etnocratico (eufemismo di razzista) anche per legge.

Ugo Giannangeli

Riceviamo e volentieri pubblichiamo sul sito un interessante contributo di Ugo Giannangeli, giurista e militante della causa palestinese, sugli aspetti politici e giuridici della legge costituzionale sullo Stato-Nazione da poco approvata dal parlamento israeliano e su cui abbiamo già proposto una serie di articoli tradotti ed inseriti nel sito.

Ebbene sì, alla fine ce l’hanno fatta! La Knesset, nella notte tra il 18 e il 19 luglio ha votato la legge fondamentale (Basic law, la 14ª dello Stato) per cui Israele è Stato ebraico, per gli ebrei, degli ebrei, solo per gli ebrei e degli ebrei di tutto il mondo. Era nell’aria da tempo, da anni. Si attendeva solo il momento propizio. Ora è arrivato. Come dargli torto?

Il Consiglio di sicurezza dell’Onu nel dicembre 2016 condanna la politica di colonizzazione e ne ordina la cessazione, richiamando tutte le precedenti risoluzioni disattese, ma la colonizzazione prosegue senza un attimo di interruzione; anzi, con legge retroattiva si regolarizzano anche gli avamposti illegali secondo la stessa legge israeliana.

Il 14 maggio 2018 Trump festeggia il 70° anniversario della Nakba spostando l’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme, come preannunciato mesi prima e nonostante il voto della Assemblea generale dell’ONU del dicembre 2017 contrario al riconoscimento di fatto di Gerusalemme capitale di Israele, in ennesimo spregio del diritto internazionale, nella fattispecie della risoluzione che vuole la città sottoposta a speciale regime (status internazionale).

Il Giro d’Italia 2018 parte da Israele dove si corrono le prime tre tappe; si mobilita il movimento di solidarietà internazionale con la causa palestinese, si smaschera l’operazione “Bartali salvatore di ebrei e giusto tra le nazioni” ma le tappe si svolgono regolarmente senza altre significative reazioni.

Infine il test decisivo per saggiare il livello di impunità raggiungibile: dal 30 marzo 2018 in poi i cecchini dell’esercito israeliano, contrabbandato come il più etico del mondo, sparano sulla popolazione di Gaza ammassata vicino al confine per rivendicare il diritto al ritorno già riconosciuto sin dal 1948 con la risoluzione Onu numero 194; uccidono 140 persone e ne feriscono oltre 15.000; sparano su donne, bambini, giornalisti, medici, infermieri. La comunità internazionale reagisce con blande parole di biasimo per l’uso eccessivo della forza.

Dopo questi crimini e queste provocazioni impunite come dare torto ad Israele se pensa che sia giunto il momento per sancire con legge quella che è sempre stata la realtà sul campo?

L’Alta corte di giustizia da anni aveva preparato il terreno. Due sentenze del 2013 sono particolarmente significative a conclusione di un lunghissimo iter giudiziario: una causa è stata promossa dalla associazione Ani Israeli (Io sono israeliano) rappresentata da 21 membri tra cui il presidente Uzzi Ornan, professore emerito di lingua ebraica ; l’altra dal professor Uzzi Ornan personalmente. I ricorrenti chiedevano di essere registrati come cittadini israeliani in base alla residenza e non come ebrei in virtù del diritto di ritorno ai sensi dell’articolo 2 della legge sulla cittadinanza del 1952. La corte ha dato loro torto. Si legge in sentenza: “Il concetto che l’ebraismo non è solo religioso ma anche una appartenenza nazionale è elemento fondamentale del sionismo”. In un altro caso, quello dei beduini del Negev, la corte giunge a parlare esplicitamente di razza: gli insediamenti beduini devono essere sradicati per fare posto a “insediamenti di coloni ebrei etnicamente puri” ( ethnically pure Jewish settlers ).

Vediamola, allora, questa legge.

Israele è definito Stato nazione del popolo ebraico e, all’articolo 1, la legge stabilisce che “il diritto di esercitare l’autodeterminazione nazionale nello Stato di Israele è esclusivamente per il popolo ebraico”.

L’articolo 3 sancisce che Gerusalemme, integra e unita, è la capitale di Israele.

L’articolo 4 declassa la lingua araba da lingua ufficiale a lingua a statuto speciale.

L’articolo 5 afferma che lo Stato è aperto alla immigrazione ebraica e al ritorno degli esuli.

L’articolo 6 sancisce lo speciale rapporto tra lo Stato e gli ebrei nel mondo di cui Israele si proclama difensore e garante.

L’articolo 7 afferma che lo sviluppo di insediamenti ebraici è un valore nazionale e Israele lo incoraggia e promuove.

Il contrasto totale con il diritto internazionale è messo nero su bianco; si sancisce la legittimità della conquista territoriale con la forza; si proclama e, di fatto, si rivendica la extra-legalità dello Stato ebraico.

Gli ebrei sono non solo un popolo (con buona pace di Shlomo Sand e il suo “L’invenzione del popolo ebraico”) ma anche una Nazione senza limiti territoriali. A proposito: non un cenno nella legge ai confini dello Stato; non un cenno alla Costituzione in attesa di promulgazione dal 1948. Del resto, tante volte notabili israeliani hanno affermato che la Costituzione non serve quando ci sono già Talmud e Torah, testi di cui però Israel Shahak offre una lettura preoccupante, si vedano i passi sulla superiorità dell’ebreo rispetto al gentile in “Storia ebraica e giudaismo. Il peso di tre millenni”.

La Repubblica islamica dell’Iran, l’acerrimo nemico, ha una Costituzione ispirata sì all’Islam ma che sancisce il rispetto dei diritti dei non musulmani (art.14), conferisce libertà religiosa alle minoranze riconosciute: ebrei, cristiani e zoroastriani (art.13) e, all’art.3 punto 5, rigetta il colonialismo.

La diversa religione dei cristiani e dei musulmani con cittadinanza israeliana (il 20% degli israeliani) li priva della autodeterminazione riservata, ex articolo 1, ai soli ebrei. Il discrimine non è la cittadinanza ma la religione professata o, meglio ancora, l’essere ebreo e il non esserlo!

Potrebbe prestarsi a dubbi interpretativi (ma solo per gli ingenui) il testo sul ritorno degli esuli di cui non è precisata la religione: “Lo Stato è aperto alla immigrazione ebraica e al ritorno degli esuli”. Un giurista pignolo potrebbe validamente sostenere che se per esuli il legislatore avesse voluto riferirsi ai soli ebrei, si tratterebbe di una inutile ripetizione a fronte della già citata immigrazione ebraica. L’apertura al ritorno degli esuli potrebbe allora riguardare i palestinesi della diaspora, cacciati nel 1948 e nel 1967. Perché un ebreo di Manhattan mai stato in Israele è esule più di un palestinese di Jenin cacciato dalla casa ove la sua famiglia è vissuta per secoli? Il giurista pignolo dimostrerebbe con questa interpretazione una sottile capacità ermeneutica ma anche una grande ingenuità: gli esuli sono sempre e solo gli ebrei.

La legge in esame si pone in contrasto non solo con il diritto internazionale ma anche con la Dichiarazione di fondazione dello Stato di Israele e con alcune affermazioni di illustri statisti israeliani tra cui uno dei padri fondatori della patria, Ben Gurion. La Dichiarazione di fondazione dello Stato di Israele del 14 maggio 1948 recita: “ lo Stato d’Israele sarà aperto per l’immigrazione ebraica e per la riunione degli esuli, incrementerà lo sviluppo del Paese per il bene di tutti i suoi abitanti, sarà fondato sulla libertà, sulla giustizia, sulla pace come predetto dai profeti d’Israele, assicurerà completa uguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti senza distinzione di religione, razza o sesso, garantirà la libertà di religione, di coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura, preserverà i luoghi santi di tutte le religioni e sarà fedele ai principi della Carta delle Nazioni Unite”.

Sul diritto all’autodeterminazione Ben Gurion è stato esplicito: “Il diritto all’autodeterminazione è un principio universale. Siamo stati, sempre e dovunque, tra i più ferventi sostenitori di questo principio. Siamo radicalmente per il diritto all’autodeterminazione di ogni popolo, di ogni individuo, di ogni gruppo umano e va da sé che il popolo arabo di Palestina ha il diritto di autodeterminarsi. Questo diritto non è limitato e non potrà essere condizionato dai nostri interessi… È possibile che la realizzazione delle aspirazioni dei palestinesi ci crei gran difficoltà ma questa non è una ragione per negare i loro diritti “. (Cristina Tani, I palestinesi e l’occupazione israeliana, p.260)

È il caso di segnalare che un tentativo del partito arabo Balad ed altri di far definire Israele come lo Stato di tutti i suoi cittadini è caduto nel vuoto perché in contrasto con la decisione di renderlo Stato solo del popolo ebraico. Qualche ottimista ha messo in evidenza che la legge è passata ma molti sono stati i voti contrari ( 55 contro 62 favorevoli). Prima di valutare positivamente questo dato penso che si dovrebbero conoscere le motivazioni dei voti contrari che potrebbero riguardare non il merito ma aspetti secondari del testo oppure la scelta dei tempi oppure l’opportunità politica ( in tal senso il presidente Rivlin e il Procuratore generale, come riferito da Gideon Levy su Internazionale del 19 luglio 2018).

In conclusione si può esclamare: il re è nudo!

Già Gideon Levy ha messo in evidenza come la legge non faccia altro che codificare la realtà; e questo è scioccante, dice Levy, per i progressisti che non vedevano l’apartheid solo perché non codificato come in Sudafrica; che ritenevano Israele democratico perché gli arabi israeliani avevano diritto di voto (anche se mai un arabo è andato e mai potrà andare al governo, ndr) ; che non vedevano la contraddizione nella definizione di Israele Stato ebraico e democratico.

Quali conseguenze ora? La legge potrebbe aprire scenari interessanti. L’articolo che promuove la colonizzazione mette la parola fine alla soluzione “due popoli due Stati”. La legge nel suo complesso mette la parola fine allo “Stato unico bi-nazionale laico e democratico”. Tertium non datur. La storia e la resistenza palestinese diranno.

Qualcosa però si potrebbe fare nel frattempo: espellere Israele dall’Onu. Ora la violazione del diritto internazionale non è solo nei fatti e sul campo ma è scritta, sancita e rivendicata: sulla base di questi principi ora codificati coerentemente Israele ha disatteso tutte le risoluzioni dell’ONU. Coerentemente Lapid ed altri hanno definito il Consiglio dei diritti umani covo di terroristi antisemiti.

Ma se questo è il rapporto tra Israele e l’ONU di cui Israele fa parte come la mettiamo con la risoluzione n.273 dell’11 maggio 1949? Con questa risoluzione l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ammette lo Stato d’Israele (definito “peace-loving State”, uno Stato che ama la pace!!) a far parte delle Nazioni Unite a condizione che Israele metta in opera le risoluzioni Onu sul Piano di partizione della Palestina (risoluzione 181 del 29 novembre 1947) e sul diritto al ritorno dei profughi (risoluzione 194 dell’11 dicembre 1948). Si legge nella risoluzione n. 273 a pagina 62 “Prendendo atto, inoltre, della dichiarazione con la quale lo Stato di Israele accetta senza riserva alcuna gli obblighi che derivano dalla Carta delle Nazioni Unite e si impegna a osservarli dal giorno in cui esso diventerà membro delle Nazioni Unite. Richiamando le sue risoluzioni del 29 novembre 1947 e spiegazioni fornite davanti alla commissione politica speciale dai rappresentanti del governo di Israele per quanto concerne la messa in opera delle suddette risoluzioni dell’Assemblea Generale… Decide di ammettere Israele all’organizzazione delle Nazioni Unite.”

L’ammissione di Israele nel consesso Onu è quindi sottoposta a condizione e Israele ha accettato la condizione “senza riserva”; la condizione non è mai stata rispettata. Israele non ha titolo per sedere all’Onu e non lo ha mai avuto, ora più che mai essendo legge fondamentale dello Stato la volontà di non adempiere agli obblighi assunti. Ricorrono i presupposti di cui all’art.6 dello Statuto ONU per la “persistente violazione dei principi” della Carta. La decisione spetta alla Assemblea generale su proposta del Consiglio di sicurezza, lo stesso di cui è stata ignorata la risoluzione n.2334 del dicembre 2016.

Come sempre, ovviamente, il problema non è giuridico ma politico; sul piano politico, però, sembrano più che mai mature le condizioni per una azione di contrasto di Israele analoga a quella esercitata a suo tempo contro il Sudafrica.

Salvo voler discriminare i palestinesi anche rispetto ai neri.

Ugo Giannangeli, luglio 2018