Riforme giudiziarie israeliane: far scoppiare la bolla di un sistema giuridico coloniale

Pietro Stefanini

22-05-2023, The Legal Agenda

Il 4 gennaio 2023, meno di una settimana prima del giuramento dell’attuale governo israeliano, il ministro della Giustizia Yariv Levin annunciava una controversa revisione del sistema giudiziario. Quello che è diventato noto come il Piano Levin comprende diversi cambiamenti tecnici e legali, ma l’essenza delle riforme proposte risiede nel limitare l’influenza della Corte Suprema israeliana rafforzando al contempo l’autorità della Knesset di approvare leggi con meno ostacoli.[1] Se adottate, sposterebbero in modo significativo l’equilibrio del potere verso il governo e lontano dai rami giudiziari. Mentre in passato la Corte Suprema poteva annullare alcune leggi approvate dalla Knesset quando erano in conflitto con una delle Leggi Fondamentali di Israele, le riforme proposte ridurrebbero la supervisione della Corte e darebbero ulteriore potere al governo.

Dall’annuncio di Levin manifestazioni di massa hanno scosso Israele con dimostranti che lamentavano la presunta svolta autoritaria del paese. Il primo ministro Benjamin Netanyahu è Stato accusato di palese conflitto di interessi perché le riforme legali gli darebbero la possibilità di ottenere l’immunità parlamentare dal suo processo in corso per corruzione, qualcosa che ha cercato di accelerare almeno dall’inizio del 2020.[2] Il nuovo governo è anche definito “il più di estrema destra nella storia di Israele” dato che, insieme al Likud di Netanyahu, la coalizione al potere comprende il Jewish Power Party di Itamar Ben-Gvir e il Religious Sionist Party di Bezalel Smotrich, entrambi coloni ultranazionalisti della Cisgiordania con un noto passato di incitamento alla violenza razziale contro i palestinesi.[3]

In questo contesto, le proteste israeliane sembrano contrapporre il campo liberale come protettore dello “Stato di diritto” all’ascesa di un’estrema destra senza precedenti. Questa è la comune narrazione riportata da molti commentatori internazionali che osservano le manifestazioni e discutono sul futuro della “democrazia” di Israele. Tuttavia, uno sguardo più attento rivela che difendere la Corte Suprema è ben lungi dall’essere una posizione democratica o antiautoritaria. Il diritto in generale, e la Corte in particolare, dovrebbero essere collocati all’interno del loro rilevante contesto storico e politico, che in questo caso è il colonialismo di insediamento israeliano.[4] Se gli osservatori mettessero i palestinesi al centro nel dibattito, il bilancio dell’operato della Corte Suprema mostrerebbe chiaramente di avere costantemente fornito sostegno alle pratiche israeliane di colonizzazione e violenza militare.

Cosa significa la Corte Suprema israeliana per i palestinesi

Dal punto di vista dei colonizzati, la leadership del progetto coloniale sionista – sia di destra che di sinistra – conta poco. Fu il sionismo laburista, apparentemente di sinistra, di David Ben-Gurion predominante nel 1948 che effettuò la pulizia etnica di oltre 750.000 nativi, quella che arabi e palestinesi chiamano la Nakba (catastrofe), per aprire la strada allo Stato colonizzatore di Israele. Commentando i manifestanti israeliani “pro-democrazia” provenienti da quella tradizione politica, lo storico Ilan Pappé scrive che “[l’]erede del sionismo liberale è fondato su una serie di ossimori: Israele come occupante illuminato, pulitore etnico benevolo, Stato apartheid progressista.”[5] Aggiunge che i funzionari militari israeliani, “che hanno commesso innumerevoli crimini di guerra nella Striscia di Gaza, e prima ancora in Cisgiordania e in Libano, stanno ora svolgendo un ruolo cruciale nell’emergente blocco di opposizione.”[6] ] Temono che indebolire la Corte Suprema attraverso riforme giudiziarie contribuirebbe a far diventare Israele un paria globale, come un tempo successe al Sud Africa dell’apartheid, e a perdere la sua legittimità come Stato liberale e democratico.

La Corte Suprema israeliana ha due funzioni principali: agire come corte d’appello e fungere da Alta Corte di Giustizia.[7] È in quest’ultima funzione che la Corte ha ottenuto un ampio sostegno pubblico. Il più alto ramo giudiziario di Israele ha acquisito importanza anche per aver investigato le azioni del governo e dei militari all’interno dei Territori Occupati (TO) della Palestina del 1967. Eppure, i suoi precedenti nei TO parlano della sua natura antidemocratica e coloniale. La Corte ha autorità sulle aree sotto occupazione militare, dove risiedono circa cinque milioni di palestinesi senza diritto di cittadinanza nello Stato da cui emana il potere giudiziario. Legifera così su soggetti non cittadini sotto occupazione; i palestinesi sono vincolati dalla legge del colonizzatore ma non sono loro concessi diritti politici. La Corte Suprema, quindi, non riconosce nemmeno il controllo del regime israeliano sulla Cisgiordania e sulla Striscia di Gaza come occupazione, ma accetta il punto di vista dello Stato secondo cui i territori sono “contesi”. Il consenso stabilito ai sensi del diritto internazionale è che i territori sono occupati, ma lo Stato israeliano ha solo riconosciuto che rispetterà le “disposizioni umanitarie” delle Convenzioni di Ginevra.

Un esempio attuale della Corte Suprema che sanziona la violenza militare israeliana è stato durante la Grande Marcia del Ritorno del 2018-19. Quando i palestinesi hanno organizzato una serie di proteste pacifiche lungo la recinzione che racchiude la Striscia di Gaza per chiedere la fine dell’assedio in corso dal 2007 e per tornare alle loro terre e case da cui furono espropriati nel 1948 – l’esercito israeliano ha risposto con cecchini che sparavano per uccidere e ferire civili, giornalisti e medici.[8] Per porre fine alle marce, l’esercito israeliano ha ucciso 214 palestinesi e ne ha feriti oltre 36.100 – dei quali oltre 8.000 sono stati colpiti da proiettili veri.[9] A un mese dall’inizio della serie di manifestazioni che sono durate quasi due anni, la Corte Suprema avrebbe potuto limitare il cecchinaggio di manifestanti disarmati. Ma quando ONG per i diritti umani hanno presentato una petizione per rivedere la politica del fuoco indiscriminato dei cecchini, la Corte ha respinto le petizioni e si è schierata con la condotta dell’esercito israeliano.

La Corte Suprema ha autorizzato una serie di pratiche statali violente come, tra l’altro, la negazione del ricongiungimento familiare[10] e l’uso della tortura.[11] La Corte ha anche bloccato qualsiasi petizione per contestare l’incarcerazione a tempo indeterminato dei palestinesi senza processo.[12] Nel 2019, la Corte ha anche approvato la politica draconiana di Israele di trattenere i corpi dei palestinesi uccisi.[13] Per decenni il regime israeliano ha adottato questa misura necropolitica di trattenere i corpi dei palestinesi morti – alcuni dei quali detenuti nel Greenberg Institute of Forensic Medicine, un’affiliata dell’Università di Tel Aviv – come “merce di scambio” per costringere a concessioni durante i negoziati o in potenziali accordi di scambio di prigionieri.[14]

Sulla questione dell’espansione coloniale, la Corte Suprema è un facilitatore dell’espropriazione palestinese. Masafer Yatta è diventato l’ultimo obiettivo di alto profilo dell’occupazione israeliana nell’Area C della Cisgiordania. Un totale di 1.200 palestinesi sarà espulso con la forza dal sud di Hebron, un’area che i coloni israeliani hanno a lungo cercato di colonizzare. Nel maggio 2022, la Corte ha respinto i ricorsi contro gli ordini di sfratto pendenti sulla comunità di Masafer Yatta e ha sostanzialmente accettato l’argomentazione dello Stato israeliano secondo cui la terra è un sito di addestramento militare chiuso su cui gli abitanti palestinesi indigeni non hanno il diritto di vivere.[15]

In effetti, la Corte Suprema riconosce la definizione dello Stato come “ebraico e democratico” e afferma inoltre che questa definizione implica il mantenimento di una maggioranza ebraica in Israele.[16] Un effetto voluto di ciò è precludere la possibilità di qualsiasi ritorno di profughi palestinesi che reclamano le proprie case e terre all’interno dei confini dello Stato israeliano. La definizione includeva anche i palestinesi del ’48 (noti come cittadini palestinesi di Israele), portando a decenni di discriminazione. Storicamente, lo Stato israeliano li ha designati come cittadini di seconda classe, ma spesso sono soggetti alle stesse pratiche coloniali e alla stessa repressione militare diretta contro altri collegi elettorali con diritti nominalmente inferiori sanciti dalla legge.

Estendere la cittadinanza ai palestinesi che rimasero e non furono espulsi nel 1948 fu un compromesso necessario per ricevere un riconoscimento liberale e internazionale per la sovranità del nuovo Stato coloniale di Israele.[17] La cittadinanza, tuttavia, non ha mai voluto dire piena uguaglianza in uno Stato fondato su gerarchie razziali, per cui gli ebrei detengono uno status di supremazia sugli arabi palestinesi. Nel 2021, la Corte Suprema ha riaffermato la legalità di attribuire caratteristiche razziali ai palestinesi da parte di Israele sostenendo la costituzionalità della Legge sullo Stato-Nazione del 2018. Secondo Adalah (il Centro legale per i diritti delle minoranze arabe in Israele) la legge sancisce la “supremazia ebraica sui cittadini palestinesi” e “ha caratteristiche specifiche di apartheid e rivendica atti razzisti come valore costituzionale”. [18] Per la studiosa Lana Tatour, la legge Stato-Nazione semplicemente “conferma la realtà” vissuta dai palestinesi: decenni di occupazione, apartheid e colonizzazione.[19]

Nel 2022, la Corte Suprema ha inoltre convalidato un emendamento del 2008 alla legge sulla cittadinanza del 1952 che consente la privazione della cittadinanza ai palestinesi del ’48 accusati di “violazione della lealtà” – concetto di ampio significato tramite il quale i palestinesi accusati di “terrorismo” rischiano l’espulsione. [20] Nel 2021, con un pretesto simile, al palestinese di Gerusalemme Salah Hammouri è stato revocato il diritto di residenza.[21] Con un emendamento alla legge sull’ingresso in Israele approvato nel 2018, il ministero dell’Interno ha revocato la sua carta d’identità di Gerusalemme e lo status di residenza permanente.[22] Hammouri è stato inizialmente tenuto in detenzione amministrativa e accusato di “terrorismo” per il suo lavoro sui diritti umani con l’ONG palestinese Addameer, un centro di assistenza ai prigionieri che è stato criminalizzato come “organizzazione terroristica” insieme ad altri cinque gruppi per i diritti dei palestinesi. Dopo che la Corte Suprema israeliana ha respinto un ricorso contro la decisione di revocare i suoi diritti di residenza per presunta “violazione della lealtà”, Hammouri è stato espulso dalla sua patria.[23]

Il limitato potenziale di emancipazione della difesa della Corte Suprema

Nonostante il ricco dossier di sanzioni contro la violenza di Stato inflitta ai palestinesi, la Corte Suprema è diventata un’istituzione molto popolare. Consentendo alle petizioni dei politici e della società civile di contestare la legalità della politica del governo, è diventato un sito chiave per la contestazione politica e il dibattito pubblico. È anche vista prevalentemente come una Corte “attivista” – sia in una connotazione positiva che negativa.[24] Spesso è il campo della destra religiosa sionista a criticare la Corte per aver ostacolato il loro progetto di insediamento espansionista. Parte dell’etichetta di “attivista” è venuta da alcune revisioni giudiziarie che occasionalmente si pronunciano a favore dei firmatari che cercano di proteggere i palestinesi. In un esempio recente, nell’aprile 2023, la Corte si è pronunciata contro un tentativo da parte di coloni israeliani di espellere una famiglia palestinese dalla propria casa nella zona di Silwan a Gerusalemme est.[25]

Tuttavia, la Corte Suprema declina di affrontare le questioni strutturali dell’ingiustizia. La questione della legalità delle colonie, dei posti di blocco e del muro di separazione sono tutte questioni generali che la Corte si rifiuta di prendere in considerazione. Invece, consente di esaminare solo un elemento singolo: una singola colonia o checkpoint o un percorso parziale del muro.[26] Oscura così il contesto storico e politico in cui si collocano queste questioni. Attraverso questo tipo di mosse legali e digressive, la Corte Suprema – come sottolinea lo studioso di diritto Nimer Sultany – legittima in pratica l’occupazione coloniale di Israele. Può intervenire per respingere i peggiori eccessi violenti di Israele, ma nel complesso lascia indenne il progetto coloniale. Sultany conclude che non c’è “alcun motivo per cui i colonizzati abbiano fiducia nelle istituzioni dello Stato di diritto coloniale”.[27]

Alcune organizzazioni palestinesi intravedono ancora un valore nella “resistenza legale” facendo uso del sistema giudiziario israeliano, sebbene siano consapevoli che è improbabile che i tribunali dei loro oppressori conducano a una vera misura di giustizia o liberazione. L’avvocato palestinese Hassan Jabareen, uno dei fondatori di Adalah, ha sostenuto che la petizione alla Corte Suprema non fornisce quasi mai un rimedio legale interno per le vittime palestinesi. Dove la petizione può avere successo è mobilitare strumenti che trascendono la funzione dei tribunali nazionali. Attingendo ai casi presentati durante l’Intifada di Al-Aqsa (2000-2005), suggerisce che le petizioni hanno avuto due principali effetti positivi: creare una documentazione storica degli eventi che funziona contro i tentativi di sopprimere la copertura delle operazioni dell’esercito israeliano; e per raccogliere sostegno internazionale, ad es. alle Nazioni Unite o nei tribunali internazionali, ancorando le petizioni ai principi del diritto internazionale.[28]

Eppure, i sostenitori della Corte Suprema usano il suo lavoro come prova di una forma legale e disciplinata di dominio israeliano. Per difendere la sua condotta contro i palestinesi nei TO, il regime israeliano fa riferimento abitualmente alle decisioni della Corte come prova della “protezione dei diritti della popolazione locale”.[29] Inoltre, i critici delle riforme giudiziarie del Piano Levin temono che minare l’autorità della Corte esporrebbe i soldati israeliani alla giurisdizione della Corte Penale Internazionale (CPI). Il professore di diritto americano e apologeta filoisraeliano Alan Dershowitz ha recentemente definito la Corte Suprema un ” Iron Dome legale” – in analogia al sistema di difesa aerea che intercetta i razzi lanciati sulla Palestina del 1948 dai gruppi di resistenza della Striscia di Gaza. Per Dershowitz, la Corte che esamina le azioni dei soldati israeliani può fungere da deterrente contro le indagini in corso della CPI sui crimini di guerra.[30] Secondo il principio di “complementarità” della Corte penale internazionale, un caso è inammissibile se è attualmente oggetto di indagine da parte di uno Stato avente giurisdizione su di esso.

La legittimazione da parte della Corte Suprema delle pratiche israeliane di colonizzazione e repressione militare, unita al suo limitato potenziale di emancipazione, invitano alla cautela riguardo all’uso di mezzi legali come principale strumento di resistenza. Inoltre, impegnarsi con un sistema legale così ingiusto che rende poca o nessuna giustizia ai palestinesi può avere l’involontaria conseguenza di rafforzare la sua legittimità. In definitiva, i palestinesi continuano ad attingere dall’intero repertorio della lotta anticoloniale adottata anche da altri movimenti di liberazione di successo contro il dominio coloniale. Insieme alla resistenza legale nei tribunali nazionali e internazionali, ciò include anche varie tattiche come scioperi, manifestazioni, lotta armata e campagne globali come il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni.

Se si considera che i palestinesi del ’48 sono in gran parte assenti dalle proteste antigovernative, la storia di un autoritarismo ribelle che fa scoppiare la bolla della democrazia liberale cade rapidamente a pezzi. I palestinesi del ’48 si sono schierati in piena forza durante la rivolta popolare del 2021 nota come “Unity Intifada”, in cui tutti i gruppi palestinesi frammentati, all’interno della Palestina storica e in diaspora, hanno preso parte alla resistenza anticoloniale contro il regime israeliano. [31] Non sorprende che abbiano delle riserve sull’unirsi agli sforzi per salvare l’attuale Corte Suprema.

In particolare, non è emersa alcuna mobilitazione su larga scala da parte del blocco “pro-democrazia” per protestare contro i recenti attacchi israeliani a Gaza che hanno ucciso oltre 30 palestinesi. Nel momento in cui la violenza di Stato contro i palestinesi si intensifica, i manifestanti israeliani tornano all’ovile con lo stesso regime coloniale che fino ad ora hanno definito autoritario e inaccettabile. [32]

Per concludere, spesso si trascura il fatto che gli artefici della pulizia etnica della Palestina del 1948 volevano anche uno Stato democratico liberale. Consideravano il governo di una minoranza di coloni una forma illegittima nell’ordine internazionale dell’epoca; questo è uno dei motivi per cui ricorsero all’espulsione di massa dei palestinesi in modo da poter costruire uno Stato-nazione a maggioranza ebraica con caratteristiche liberali e democratiche. Allo Stato attuale, i manifestanti israeliani non stanno compiendo una rottura significativa con quella storia, ma stanno promuovendo un retaggio della cancellazione palestinese. Mentre l’esito di questa lotta tra i poli liberali e della destra religiosa della società dei coloni israeliani dovrà attendere almeno fino alla sessione estiva della Knesset, preservare la Corte Suprema significherebbe garantire la sua posizione nel legiferare sulla colonizzazione della Palestina.

Traduzione di Angelo Stefanini

[1] For a detailed breakdown of the Levin Plan, see Sawsan Zaher, “The Impact of Israel’s Judicial Reforms on Palestinians – A Legal Perspective”, Rosa Luxemburg Stiftung, 29 March 2023.

[2] Henriette Chacar, “Israel’s attorney general accuses Netanyahu of breaking the law”, Reuters, 24 March 2023; BBC News, “Benjamin Netanyahu asks for immunity from prosecution”, 1 January 2020.

[3] Haaretz, “Netanyahu’s Government, the Most Right-wing in Israel’s History, Takes Office”, 2022.

[4] See, for example, Omar Jabary Salamanca et al., “Past is Present: Settler Colonialism in Palestine”, Settler Colonial Studies, 2(1), 1–8, 2012; and Areej Sabbagh-Khoury, “Tracing Settler Colonialism: A Genealogy of a Paradigm in the Sociology of Knowledge Production in Israel,” Politics & Society, 50(1), 44–83, 2022.

[5] Ilan Pappé, “Fantasies of Israel”, New Left Review, 19 April 2023.

[6] Ibid.

[7] The permanence of a High Court is a legacy of the British Mandatory period (1922-1948).

[8] Jasbir Puar and Ghassan Abu-Sitta, “Israel is trying to maim Gaza Palestinians into silence”, Al Jazeera English, 31 March 2019.

[9] “Two Years On: People Injured and Traumatized During the ‘Great March of Return’ are Still Struggling”, United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA), 6 April 2020.

[10] Mazen Masri, “Love Suspended: Demography, Comparative Law and Palestinian Couples in the Israeli Supreme Court”, Social & Legal Studies, 22(3) 309–334, 2013.

[11] Ardi Imseis, “Moderate Torture on Trial: Critical Reflections on the Israeli Supreme Court Judgement concerning the Legality of General Security Service Interrogation Methods”, 19 Berkeley J. Int’l Law. 328, 2001; “UN expert alarmed at Israeli Supreme Court’s ‘license to torture’ ruling”, OCHA, 20 February 2018.

[12] Mohammed El-Kurd, “Israeli Protesters Say They’re Defending Freedom. Palestinians Know Better.”, The Nation, 30 March 2023.

[13] “Israeli High Court of Justice Upholds Israel’s Policy of Withholding the Bodies of Palestinians Killed”, Al-Haq, 9 September 2019.

[14] Noura Erakat and Rabea Eghbariah, “The Jurisprudence of Death: Palestinian Corpses & the Israeli Legal Process”, Jadaliyya, 8 February 2023.

[15] Ibid.

[16] Mazen Masri, The Dynamics of Exclusionary Constitutionalism: Israel as a Jewish and Democratic State, Bloomsbury Professional, 3, 2017.

[17] Shira Robinson, Citizen Strangers: Palestinians and the Birth of Israel’s Liberal Settler State, Stanford University Press, 2013.

[18] “Israel’s Jewish Nation-State Law”, Adalah, 20 December 2020.

[19] Lana Tatour, “The Nation-State Law: Negotiating Liberal Settler Colonialism”, Critical Times, 4 (3): 578, 2021.

[20] “Q&A: Israeli Supreme Court allows government to strip citizenship for ‘breach of loyalty’”, Adalah, 14 September 2022.

[21] When East Jerusalem was occupied and annexed in 1967, Israel granted Palestinians a unique status of permanent residency in the city but not citizenship.

[22]“Punitive Residency Revocation: the Most Recent Tool of Forcible Transfer”, Al-Haq, 7 March 2018.

[23] Chloé Benoist, “Salah Hammouri: A Case Study of the Occupation and Western Complacency”, Institute for Palestine Studies, 7 February 2023.

[24] Nimer Sultany, “The “Passive Virtues” of Israel’s “Activist” Supreme Court”, The Nakba Files, 17 November 2016.

[25] “Palestinian family in Jerusalem’s Silwan win Israeli Supreme Court battle to save home”, The New Arab, 4 April 2023.

[26] Nimer Sultany, “Activism and Legitimation in Israel’s Jurisprudence of Occupation”, Social & Legal Studies, Vol. 23(3), 325, 2014.

[27] Ibid, 333.

[28] Hassan Jabareen, “Transnational Lawyering and Legal Resistance in National Courts: Palestinian Cases before the Israeli Supreme Court,” Yale Human Rights & Development Law Journal, 13, no. 1, 240, 2010.

[29] David Kretzmer and Yaël Ronen, The Occupation of Justice: The Supreme Court of Israel and the Occupied Territories, Oxford University Press, 2, 2021.

[30] Michael Starr, “Dershowitz: High Court an ‘Iron Dome’ that protects IDF soldiers from ICC”, The Jerusalem Post, 12 January 2023.

[31] Lana Tatour, “The ‘Unity Intifada’ and ’48 Palestinians: Between the Liberal and the Decolonial”, Journal of Palestine Studies, 50:4, 84-89, 2021.

[32] “Israel kills 30 Palestinians in Gaza as violence escalates”, Al Jazeera English, 11 May 2023.

 




Domenica Israele ha espulso Salah Hammouri dalla sua patria, ignorando le proteste della Francia

Ali Abunimah

18 dicembre 2022 – Electronic Intifada

Padre palestinese e madre francese, è arrivato a Parigi accolto da un benvenuto entusiasta della moglie Elsa Lefort e dei suoi sostenitori e ha promesso di continuare a lottare in nome dei palestinesi.

All’aeroporto di Parigi Hammouri, nato a Gerusalemme, ha detto ai giornalisti che l’obiettivo di Israele è “svuotare la Palestina dei suoi cittadini.”

Oggi sento di avere un’enorme responsabilità per la causa mia e del mio popolo,” ha aggiunto Hammouri.

Non rinunceremo alla Palestina, soprattutto perché non permetteremo che le future generazioni debbano patire quello che abbiamo sofferto noi. È nostro diritto resistere.”

Alla domanda se cercherà di ritornare in Palestina, Hammouri, visibilmente emozionato, ha risposto: “Ho lasciato l’anima nella mia patria. E continuerò a lottare per questo, perché secondo me è mio diritto vivere a Gerusalemme, vivere nella mia patria, ed è diritto della mia famiglia stare là.”

Il fatto che Hammouri abbia la cittadinanza di un altro Paese, la Francia, non mitiga in alcun modo la gravità di espellerlo dalla sua città e patria contro la sua volontà” ha dichiarato l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, avvertendo che la sua espulsione stabilisce “un pericoloso precedente per altre deportazioni di palestinesi dai territori occupati.”

Il pretesto israeliano per espellere Hammouri è la “violazione dell’obbligo di fedeltà” dell’avvocato per i diritti umani a una potenza occupante che l’ha sottoposto a varie forme di persecuzione, inclusi parecchi periodi di detenzione da quando aveva 15 anni e a cui non deve alcuna fedeltà.

Da marzo fino alla sua espulsione, Israele l’ha tenuto in “detenzione amministrativa”, reclusione senza accuse o processo basato su supposte “prove segrete.”

Prima della sua forzata espulsione Hammouri ha anche rilasciato un messaggio vocale ai suoi sostenitori in Palestina.

Condanna e silenzio francese

Resta molta rabbia sull’inazione del governo del presidente Emmanuel Macron per impedire a Israele di perpetrare un crimine di guerra.

Patrice Leclerc, sindaco del quartiere parigino di Gennevilliers e uno dei molti politici eletti che hanno accolto Hammouri all’aeroporto, ha espresso la sua “vergogna per l’incapacità”, presumibilmente del governo francese.

Oggi condanniamo la decisione, contraria alla legge, delle autorità israeliane di espellere Salah Hammouri in Francia,” ha detto domenica il ministero degli Esteri a Parigi.

Il ministero degli Esteri si è vantato di aver detto ripetutamente alle autorità israeliane “nel modo più chiaro che si oppone a questa espulsione di un abitante palestinese di Gerusalemme Est, un territorio occupato ai sensi della Quarta Convenzione di Ginevra.”

Come ha detto domenica Amnesty International Francia, l’espulsione di palestinesi dai territori occupati da parte di Israele “costituisce una grave violazione del diritto internazionale e della Quarta Convenzione di Ginevra e un potenziale crimine di guerra.”

L’espulsione potrebbe costituire un crimine contro l’umanità, ha aggiunto Amnesty, notando che tutti questi crimini ricadono sotto la giurisdizione della Corte Penale Internazionale.

Ma piuttosto che affermare quanto sia stata diligente e attiva la Francia a favore di Hammouri, la dichiarazione del ministero degli Esteri va letta come una dichiarazione di un fallimento.

Questo non sorprende poiché, in nessun momento l’amministrazione Macron, strenuamente filoisraeliana, ha neppure accennato al fatto che Israele avrebbe dovuto affrontare delle conseguenza per l’espulsione di Hammouri.

Appelli alle linee aeree

Recentemente, Addameer, l’associazione palestinese per i diritti dei prigionieri per la quale Hammouri lavora, si è unita alla campagna per invitare Easy Jet, Air France e Transavia a non collaborare all’espulsione di Hammouri.

Chiediamo alle linee aeree commerciali di fare tutto il possibile per non collaborare a quello che potrebbe equivalere a un crimine di guerra rifiutando di trasportare individui sottoposti a deportazione forzata illegale e di rilasciare una dichiarazione pubblica a riguardo,” ha detto Addameer.

C’è un precedente recente, quando varie linee aeree hanno rifiutato di aiutare il governo britannico a trasportare richiedenti asilo in Ruanda, una politica che è stata messa in discussione perché crudele e illegale.

Alla fine l’espulsione di Hammouri è avvenuta grazie a una linea nazionale israeliana.

Electronic Intifada ha saputo che Hammouri è rimasto ammanettato dal momento in cui le autorità israeliane l’hanno prelevato dalla prigione di Hadarim e spinto a bordo di un volo della El Al, fino all’apertura del portellone a Parigi.

Porgere scuse

Nel frattempo i sostenitori di Israele in Francia hanno portato a livelli assurdi i loro sforzi per difendere le azioni di Tel Aviv.

Jacques Attali, noto personaggio pubblico ed ex consigliere del presidente François Mitterand, ha rimproverato a una deputata del blocco parlamentare di sinistra La France Insoumise (LFI) di descrivere l’espulsione di Hammouri da Israele come una deportazione.

Qualsiasi cosa si pensi della situazione in Palestina e delle politiche del governo israeliano, usare qui la parola ‘deportazione’ è spregevole e ancora una volta rivela i numerosi slittamenti nell’antisemitismo dei parlamentari di LFI,” ha affermato Attali in risposta a un tweet della parlamentare Ersilia Soudais.

Attali stava presumibilmente alludendo a come la parola francese “deportazione” sia usata per descrivere le azioni dei collaborazionisti francesi che mandarono migliaia di ebrei francesi a morire nei campi di concentramento del governo tedesco durante la Seconda Guerra Mondiale.

Ma il testo ufficiale in francese della Quarta Convenzione di Ginevra, che persino l’amministrazione Macron ammette si applichi ai territori occupati da Israele inclusa Gerusalemme Est, usa la parola “déportation” per descrivere il trasferimento forzato proibito di civili dai territori occupati da parte di una potenza occupante, esattamente quello che è successo ad Hammouri.

Spregevole sarebbe quindi una definizione più accurata dell’uso da parte di Attali degli orribili crimini commessi dai collaborazionisti francesi con i nazisti per spostare l’attenzione dai crimini israeliani di oggi contro i palestinesi.

I propagandisti di Israele definiscono Hammouri anche un “terrorista” perché Israele l’ha accusato nel 2005 sostenendo che abbia fatto parte di un complotto del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina”, [gruppo storico della resistenza armata marxista con numerosi appartenenti di origine cristiana, N.d.T.] per uccidere Ovadia Yosef, un famoso rabbino israeliano che ha abitualmente incitato a livelli di violenza genocida per “annientare” i palestinesi.

Hamouri ha sempre proclamato la propria innocenza. È stato tenuto per tre anni in detenzione amministrativa prima di accettare un patteggiamento del tribunale militare israeliano per ottenere una sentenza più breve dei 14 anni che gli accusatori militari avrebbero voluto.

Il tribunale militare israeliano ha un tasso di condanne per i palestinesi quasi del 100%.

Ora che è ritornato in Francia Hammouri probabilmente dovrà fronteggiare continue campagne di calunnie e diffamazione da parte dei lobbisti israeliani.

Ma prendendo ispirazione da altre lotte anticoloniali resta convinto che alla fine i palestinesi otterranno la libertà.

Gli israeliani non sono più forti degli americani e noi non siamo più deboli dei vietnamiti. Continueremo la lotta fino alla fine” ha detto Hammouri all’aeroporto di Paris. “Finché resistiamo significa che esistiamo.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Come Israele riesce a vincere nonostante l’UE non creda alle sue menzogne

Maureen Clare Murphy

10 giugno 2022 – Electronic Intifada

Questa settimana fonti diplomatiche hanno detto a un giornale israeliano che i Paesi europei non credono alla definizione di “terroriste” che lo scorso anno Israele ha imposto ad alcune organizzazioni palestinesi per i diritti umani e i servizi sociali.

Si tratta di Addameer, Al-Haq, the Bisan Center for Research and Development [Centro Bisan per la Ricerca e lo Sviluppo], Defense for Children International-Palestine [Difesa Internazionale dei Minori – Palestina], the Union of Palestinian Women’s Committees [Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi] e Union of Agricultural Work Committees [Unione dei Comitati del Lavoro Agricolo].

Israele accusa queste associazioni di dirottare fondi verso il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, un partito politico di sinistra della resistenza.

Questo gruppo è stato messo al bando da Israele, così come dagli USA e dall’UE, in quanto si è rifiutato di riconoscere Israele e di rinunciare alla resistenza armata contro l’occupazione e la colonizzazione.

Tutte e sei le organizzazioni prese di mira lavorano in Palestina da molti anni e hanno solidi rapporti a livello internazionale.

Tre di queste organizzazioni stanno rappresentando vittime palestinesi nell’inchiesta per crimini di guerra in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza della Corte Penale Internazionale.

Il fatto che Israele abbia inserito nella lista nera questi gruppi è stato denunciato da una nuova commissione d’inchiesta permanente dell’ONU che nel suo primo rapporto, reso pubblico martedì, prende in esame il sistema di oppressione israeliano nel suo complesso.

La commissione “nota con preoccupazione i crescenti attacchi e i tentativi di mettere a tacere difensori dei diritti umani e organizzazioni della società civile che sostengono la difesa dei diritti umani e la responsabilizzazione.”

Il responsabile ONU per i diritti umani ha affermato che le “decisioni riguardo alla definizione [di organizzazioni terroristiche, ndt.] sono basate su ragioni vaghe e inconsistenti” e che alcune delle giustificazioni di Israele “si riferiscono ad attività per i diritti umani totalmente pacifiche e legittime.”

In aprile decine di esperti indipendenti per i diritti umani dell’ONU hanno invitato i governi a riprendere i finanziamenti alle associazioni inserite nella lista nera.

Non convincenti

Secondo quanto riportato mercoledì dal giornale, rappresentanti diplomatici di sei Paesi hanno detto al quotidiano di Tel Aviv Haaretz [di centro sinistra, ndt.] che “Israele ha consegnato loro attraverso canali diplomatici e di intelligence materiale per dimostrare le sue affermazioni contro le associazioni.”

“È semplice: ci sono state fornite prove e noi non le abbiamo trovate abbastanza convincenti,” ha detto un diplomatico ad Haaretz.

Il giornale ha aggiunto: “Un altro [diplomatico, ndt.] ha affermato che funzionari di molti di questi Stati credono che le prove presentate da Israele ‘non rispondano al livello di prova richiesto per dimostrare il trasferimento di fondi.”

Benché nessuno Stato europeo abbia ritirato il proprio appoggio in seguito alla definizione israeliana, solo il Belgio ha pubblicamente affermato che non ci sono basi per le affermazioni di Tel Aviv.

Con una dimostrazione di estrema deferenza nei confronti di Israele, l’Unione Europea ha tuttavia sospeso i finanziamenti a due delle organizzazioni – Al-Haq e l’Union of Agricultural Work Committees – e altri finanziatori hanno rinviato i propri contribuiti mentre stanno indagando sulle affermazioni di Tel Aviv.

Fonti diplomatiche hanno detto ad Haaretz che è insolito che la Commissione Europea, l’organo esecutivo dell’UE, abbia congelato il proprio sostegno ad Al-Haq, prendendo quindi una posizione che si allontana da quella degli Stati membri dell’UE.

Ciò in effetti significa che funzionari non eletti di Bruxelles hanno imposto la propria politica estera a governi eletti di Stati membri dell’UE.

Alcuni diplomatici hanno detto al giornale che dietro a questa iniziativa c’è Olivér Várhelyi, un importante funzionario della Commissione Europea.

Várhelyi è il promotore del ritiro da parte dell’UE di circa 230 milioni di dollari di finanziamento per malati di tumore palestinesi e per altri servizi fondamentali.

Il pagamento è stato rimandato fin dallo scorso anno “in quanto l’Unione Europea continua a condizionare il rilascio dei fondi in base a specifiche accuse nei confronti dei libri di testo palestinesi,” ha affermato lo scorso mese il Norwegian Refugee Council [Consiglio Norvegese per i Rifugiati].

Várhelyi è stato nominato a questo incarico da Viktor Orbán, il primo ministro di estrema destra dell’Ungheria, suo Paese d’origine, che ha fatto circolare luoghi comuni antisemiti nelle campagne elettorali ed ha conferito lo status di eroe a un collaboratore dei nazisti, vere e proprie manifestazioni di fanatismo antiebraico che Várhelyi non ha ancora condannato.

Gli olandesi hanno posto fine al loro appoggio a favore dell’Union of Agricultural Work Committees benché un’indagine governativa non abbia trovato “alcuna prova” di “flussi di finanziamento” tra questi e il FPLP.

L’Aia ha interrotto i suoi finanziamenti sulla base dell’affiliazione a titolo personale di collaboratori e membri della direzione dell’UAWC, punendo concretamente tutta l’organizzazione e tutti i suoi beneficiari in base alle presunte simpatie politiche di alcuni di essi.

Impatto incalcolabile”

Quindi, mentre non si prevede che l’ufficio antifrode della Commissione Europea indaghi le associazioni, in ogni caso Israele “ha ottenuto quello che voleva”, come ha ammesso una fonte diplomatica ad Haaretz.

“Ciò ha danneggiato il lavoro di queste organizzazioni palestinesi ed ha avuto un impatto incalcolabile sulle comunità che esse aiutano,” hanno detto in aprile gli esperti dell’ONU.

Israele sta cercando di espellere Salah Hammouri, un legale di Addameer che attualmente è detenuto senza accuse o processo.

Dall’inizio di marzo Israele tiene in arresto Hammouri, nato a Gerusalemme e con cittadinanza francese, e all’inizio di questa settimana ha prolungato di altri tre mesi l’ordine di detenzione amministrativa contro di lui la stessa mattina in cui avrebbe dovuto essere rilasciato.

Tel Aviv intende revocare la residenza permanente di Hammouri e deportarlo da Gerusalemme sulla base di accuse di “slealtà” nei confronti di Israele.

Nel 2016 Israele ha espulso la moglie di Hammouri, Elsa Lefort, quando era incinta di sette mesi. Lefort, di nazionalità francese, e i figli della coppia hanno il divieto di ingresso nel Paese.

La persecuzione di Hammouri da parte di Israele è stata sottoposta alla Corte Penale Internazionale.

Il Center for Constitutional Rights [Centro per i Diritti Costituzionali], con sede a New York, e la federazione per i diritti umani FIDH di Parigi hanno detto al procuratore generale della Corte che il caso di Hammouri è “un esempio lampante e un indicatore di una nuova tattica” nei tentativi israeliani di lunga data per cacciare i palestinesi da Gerusalemme.

Israele ha anche imposto al personale il divieto di viaggiare e sembra che gli USA abbiano vietato a Sahar Francis, la direttrice di Addameer, di viaggiare nel Paese a causa della definizione da parte di Israele.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Israele e il “trasferimento silenzioso” dei palestinesi fuori dalla Palestina

Ibrahim Husseini

27 settembre 2020 – Al Jazeera

Conferendo un precario status di residenza a Gerusalemme Est, Israele è riuscito a revocare e successivamente sradicare più di 14.200 palestinesi.

Gerusalemme Est occupata – Mentre un numero sempre maggiore di Paesi arabi normalizza le relazioni con Israele, si procede con una politica di “trasferimento silenzioso” – un intricato sistema che prende di mira i palestinesi nella Gerusalemme est occupata con revoca della residenza, espulsione attraverso la demolizione di case, ostacoli per ottenere licenze edilizie e tasse elevate.

Il ricercatore palestinese Manosur Manasra segnala che Israele ha iniziato questa politica ostile di trasferimento dei palestinesi da Gerusalemme est quasi immediatamente dopo la guerra del 1967 e la successiva occupazione della parte orientale della città.

Questa politica continua ancora oggi, con l’obiettivo di prendere il controllo di Gerusalemme Est.

L’espropriazione di terra per permettere l’insediamento di ebrei è avvenuta sin dal 1968 intorno a Gerusalemme est e nel cuore dei quartieri palestinesi quali i quartieri musulmani e cristiani della città vecchia e oltre, a Sheikh Jarrah, Silwan, Ras al-Amoud e Abu Tur.

Dopo la guerra del giugno 1967, Israele ha applicato la legge israeliana a Gerusalemme Est e ha concesso ai palestinesi uno status di “residente permanente”, che però è in realtà precario. B’tselem, il centro israeliano di informazione sui diritti umani nei territori palestinesi occupati, descrive questo status come “accordato a cittadini stranieri che desiderano risiedere in Israele” – senonché i palestinesi sono nativi del territorio.

I palestinesi di Gerusalemme est non hanno automaticamente diritto alla cittadinanza israeliana né l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) rilascia passaporti palestinesi. Di solito possono ottenere documenti di viaggio temporanei giordani e israeliani.

Assegnando ai palestinesi di Gerusalemme est un precario status di residenza, Israele è riuscito dal 1967 a revocare e successivamente sradicare da Gerusalemme est più di 14.200 palestinesi.

Queste misure sono unite ad una aggressiva pratica di demolizione di case. Le demolizioni di case in Cisgiordania non si sono fermate nonostante la pandemia di coronavirus.

Secondo le Nazioni Unite, il numero degli sfrattati è quasi quadruplicato da gennaio ad agosto 2020 e c’è stato un aumento del 55% delle strutture oggetto di demolizione o confisca rispetto all’anno precedente.

Il mese scorso a Gerusalemme Est sono stati demoliti 24 edifici, metà dei quali dagli stessi proprietari a seguito dell’emissione di un ordine di demolizione da parte del comune di Gerusalemme.

Lo status di “residenza permanente” si mantiene fino a che i palestinesi rimangono fisicamente in città. Tuttavia, in alcuni casi, le autorità israeliane decidono di ritirare lo status di residenza ai palestinesi di Gerusalemme est come provvedimento punitivo perché sono dissidenti politici. La persecuzione da parte di Israele degli attivisti palestinesi è tentacolare e non esclude alcuna fazione.

Il caso più recente è quello del 35enne Salah Hammouri, avvocato e attivista. Arye Deri, ministro degli Interni israeliano, afferma che Salah è membro del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP). Israele ha messo fuori legge il gruppo e vuole cacciarlo dal Paese.

In alcuni casi, le autorità israeliane annullano per rappresaglia i permessi di soggiorno dei coniugi di attivisti politici. Shadi Mtoor, un membro di Fatah a Gerusalemme Est, sta attualmente combattendo una causa nei tribunali israeliani per mantenere a Gerusalemme Est la residenza di sua moglie, originaria della Cisgiordania.

Nel 2010, Israele ha revocato la residenza a Gerusalemme di quattro alti membri di Hamas – tre dei quali sono stati eletti al parlamento palestinese nel 2006 e uno è stato ministro di gabinetto – perché rappresentano un pericolo per lo Stato. Tre ora vivono a Ramallah e uno è in detenzione amministrativa [cioè senza imputazione, ndtr.]. Il 26 ottobre è prevista un’udienza presso l’Alta Corte israeliana.

In alcuni casi, Israele non rilascia il documento di residenza a bambini il cui padre sia di Gerusalemme e la madre cisgiordana.

Il diritto internazionale condanna esplicitamente il trasferimento forzato di civili.

“In definitiva, la nostra decisione è di rimanere in questa città”, dice Hammouri.

All’inizio di settembre è stato convocato dalla polizia israeliana e informato dell’intenzione del Ministero degli Interni israeliano di revocare la sua residenza a Gerusalemme.

“Mi è stato detto che costituisco un pericolo per lo Stato e che appartengo al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina”, ha detto Hammouri.

Cittadino francese, Hammouri è nato a Gerusalemme da padre palestinese e madre francese. Nel 2017, la famiglia si è divisa quando Israele ha vietato a sua moglie, Elsa, anche lei di nazionalità francese e all’epoca incinta, di entrare nel Paese. Si disse che fosse a causa di un file segreto in possesso di Israele.

Hammouri si aspetta che, dopo la revoca formale della sua residenza, Israele lo espellerà verso la Francia. Il governo francese, in risposta, ha rilasciato una dichiarazione chiedendo a Israele di consentire ad Hammouri di continuare a risiedere a Gerusalemme.

E afferma: “Il signor Salah Hammouri deve poter condurre una vita normale a Gerusalemme, dove è nato e dove risiede”.

Il Ministero degli Esteri israeliano sostiene che Hammouri è “un agente operativo di alto livello” di un’organizzazione terroristica e continua a impegnarsi in “attività ostili” contro lo Stato di Israele.

È ora in corso in Francia una campagna di solidarietà che invoca il diritto di Hammouri di mantenere la sua residenza a Gerusalemme, e i diplomatici francesi a Gerusalemme stanno attualmente negoziando con i funzionari israeliani per convincerli a revocare la decisione. Hammouri intende ricorrere in tribunale contro la revoca della sua residenza.

Hammouri ha trascorso in tempi diversi più di otto anni nelle carceri israeliane. Nel 2011, dopo una condanna a sette anni di reclusione, è stato liberato grazie ad un accordo per lo scambio di prigionieri tra Hamas e Israele (noto come accordo Shalit [dal nome di un soldato israeliano rimasto per 5 anni prigioniero a Gaza e scambiato con più di 1.000 detenuti palestinesi, ndtr.]).

Sahar Francis, direttore della Prisoner Support and Human Rights Association [Associazione per il Sostegno e i Diritti Umani dei Prigionieri, ndtr.] nota come Addameer, ha detto ad Al Jazeera: “Secondo il diritto internazionale la revoca della residenza è illegale “.

Lo Stato di occupazione non ha il diritto di togliere la residenza alle persone, protette ai sensi della Quarta Convenzione di Ginevra. Si chiama trasferimento forzato, e il trasferimento forzato è proibito”, ha detto Francis.

Il FPLP si è inizialmente opposto agli accordi di Oslo del 1993, ma poi è arrivato ad accettare la soluzione dei due Stati. Tuttavia nel 2010 ha invitato l’OLP a porre fine ai negoziati con Israele e ha affermato che è possibile solo la soluzione di uno Stato unico per palestinesi ed ebrei.

“Vedo un orizzonte molto buio”, dice Khaled Abu Arafeh, 59 anni, ex Ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese.

“Israele farà fruttare i recenti sviluppi locali e regionali della normalizzazione e il risultato sarà l’espulsione degli abitanti della Cisgiordania e la riformulazione dello status dei palestinesi del 1948”, aggiunge.

Abu Arafeh è stato Ministro per le Questioni di Gerusalemme tra marzo 2006 e marzo 2007 nel governo di Ismail Haniyeh, formato dopo che Hamas ha ottenuto la maggioranza dei seggi alle elezioni parlamentari del 2006.

Due mesi dopo la formazione del governo palestinese, la polizia israeliana ha notificato a tre membri del Consiglio Legislativo Palestinese (PLC) e al ministro del governo Abu Arafeh, tutti di Gerusalemme, che avevano 30 giorni per lasciare il loro incarico o il loro status di residenti sarebbe stato revocato.

La minaccia della polizia israeliana è stata respinta e i quattro sono ricorsi in tribunale per contestare l’ultimatum del ministero dell’Interno.

Il 29 giugno 2006, la polizia israeliana ha condotto un’ampia campagna di arresti che ha preso di mira 45 membri neoeletti del PLC e 10 ministri del governo. I membri del PLC di Gerusalemme Muhammad Abu Teir, Muhammad Totah, Ahmad Atoun e Abu Arafeh erano tra gli arrestati. Israele li ha accusati di appartenere alla lista “Riforma e Cambiamento”, affiliata al movimento islamico Hamas.

Abu Arafeh è stato condannato a 27 mesi di prigione ed è stato rilasciato nel settembre 2008. Abu Teir e Totah sono stati condannati a pene più lunghe e sono stati rilasciati solo a maggio 2010.

Il 1 giugno 2010, la polizia israeliana ha di nuovo convocato i quattro. Questa volta è stato ordinato loro di consegnare i loro documenti di identità di Gerusalemme e gli è stato concesso un mese per lasciare Israele.

Proprio quando il termine stava per scadere, la polizia israeliana ha arrestato Abu Teir.

Abu Arafeh, Atoun e Totah, presentendo un imminente arresto, si sono rifugiati nell’edificio del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) a Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est. La loro permanenza è durata 19 mesi, e vivevano in una tenda all’interno dei locali. La polizia israeliana ha infine preso d’assalto l’edificio e arrestato i tre uomini.

Sono stati accusati di appartenere a un “gruppo terroristico” e di ricoprire ruoli importanti nel movimento di Hamas, nonché di istigazione contro lo Stato di Israele. Sono stati condannati a due anni di carcere. Dopo il loro rilascio, si sono stabiliti a Ramallah.

“Lontano da al-Quds [Gerusalemme per i musulmani, ndtr.], mi sento tagliato fuori, assolutamente un estraneo”, ha lamentato Abu Arafeh.

La famiglia di Abu Arafeh continua a risiedere a Gerusalemme est. “Vivo a Ramallah e loro vivono ad al-Quds”, ha detto Abu Arafeh ad Al Jazeera. “Mi vengono a trovare ogni fine settimana e poi tornano a casa.”

Atoun è attualmente in detenzione amministrativa, la sua quarta dal 2014.

Nel 2018, l’Alta Corte israeliana ha stabilito che la decisione del Ministero degli Interni di revocare lo status di residente era illegale in quanto non c’erano leggi a sostegno. Tuttavia, ha dato al ministro degli Interni sei mesi per presentare una legge alla Knesset [il parlamento israeliano, ndtr.]. La Knesset ha approvato una legge che consente la revoca della residenza a individui ritenuti non fedeli allo Stato di Israele.

Fino ad oggi i quattro palestinesi non hanno documenti d’identità che permettano loro di attraversare i posti di blocco israeliani all’interno della Cisgiordania. L’unico documento che hanno potuto ottenere è stata la patente di guida dall’Autorità Nazionale Palestinese, ma solo dopo l’approvazione da parte dell’esercito israeliano.

Poiché non hanno documenti d’identità, raramente si avventurano fuori Ramallah per paura di essere fermati e arrestati a un posto di blocco israeliano.

I quattro si sono appellati alle leggi dell’Alta Corte e hanno chiesto a Israele di fornire loro una residenza alternativa che consenta loro di vivere legalmente in Cisgiordania. Per il 26 ottobre è prevista un’udienza in tribunale, ma Abu Arafeh non si aspetta una sentenza.

Non ci aspettiamo una decisione; l’autorità di occupazione sta usando il tempo contro di noi”, ha detto.

Una donna palestinese ventiquattrenne, che ha chiesto di essere identificata come JA, è nata nella città di Betlemme in Cisgiordania. Suo padre è di Gerusalemme Est e possiede un documento di identità di Gerusalemme. Ma sua madre è di Betlemme e possiede una carta d’identità rilasciata dall’Autorità Nazionale Palestinese.

Il Ministero degli Interni israeliano ha respinto tutte le domande di rilascio di una carta d’identità a JA perché è nata in Cisgiordania. Peraltro, l’ANP non le ha rilasciato una carta d’identità perché suo padre ha un documento d’identità di Gerusalemme.

Quindi attualmente JA non ha alcun documento. Questa situazione le ha causato infiniti problemi nell’iscrizione a scuola, nella ricerca di un impiego, nell’apertura di un conto in banca e in altre necessità ordinarie. Non ha mai viaggiato.

JA sta ora intentando una causa contro il Ministero degli Interni israeliano nel tentativo di ottenere una residenza legale.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)