Almeno 101 minori sono stati uccisi quest’anno in Cisgiordania

Redazione di MEMO

1 dicembre 2023 – Middle East Monitor

Un minore di otto anni colpito a morte in strada è una delle più recenti vittime delle continue incursioni e dei continui attacchi israeliani nella Cisgiordania occupata che quest’anno secondo Save the Children hanno ucciso finora 101 minori.

Secondo le Nazioni Unite dal 7 ottobre le forze di occupazione israeliane o i coloni illegali hanno ucciso almeno 63 minori nella Cisgiordania occupata, in media più di un minore al giorno – significativamente più uccisioni che nei primi nove mesi di un anno che è già stato il più letale. Durante lo stesso periodo le Nazioni Unite hanno riferito che circa 143 famiglie, inclusi 388 minori, sono state cacciate dalle loro case nella Cisgiordania a causa della violenza dei coloni e di restrizioni all’accesso.

Il numero di minori palestinesi uccisi in Cisgiordania da soldati israeliani o da coloni quest’anno è ora tre volte il numero di uccisi nel 2022 – già precedentemente l’anno più letale ufficialmente dal 2005 – quando 36 minori sono stati uccisi. Secondo quanto riferito quest’anno sono stati uccisi almeno 39 minori israeliani.

Save the Children è gravemente preoccupata che, senza una fine permanente della violenza, le vittime minorenni e più in generale civili continueranno a crescere in tutto il territorio occupato palestinese” ha affermato l’organizzazione per i diritti umani in un comunicato stampa. “La recrudescenza della violenza a Gaza si è riflessa sulle accresciute misure di controllo e violenza in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, con continui disordini che impediscono ai minori di andare a scuola e restringono il loro accesso a servizi fondamentali, inclusi quelli sanitari.”

Si è data notizia anche che ai minori che tentano di attraversare i posti di blocco in tutta la Cisgiordana vengono sequestrati i telefoni e che sono trattenuti nel sistema di detenzione militare “sulla base della loro attività sui social media, sollevando serie preoccupazioni sui diritti umani relativamente alla libertà di espressione, privacy e privazione della libertà.”

Mentre tutti gli occhi sono concentrati sul conflitto a Gaza, non c’è stata pausa nelle uccisioni di minori in Cisgiordania, dove la situazione continua a deteriorarsi,” ha affermato Jason Lee, il direttore di Save the Children per i territori palestinesi occupati.

Più a lungo continuano le uccisioni di civili a Gaza, maggiore è la probabilità che ciò si estenda alla Cisgiordania, dove i minori stanno già vedendo i loro diritti fatti a pezzi.”

Noi chiediamo un’indagine immediata e indipendente sulla – e l’obbligo di risponderne– uccisione di tutti i minori. Fin quando la cultura dell’impunità persisterà, è probabile che i cicli di violenza continuino.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




L’operazione Al-Aqsa ha cambiato il rapporto tra Palestina e Israele 

Ramzy Baroud

10 ottobre 2023 Middle East Monitor

A prescindere dalla precisa strategia del Movimento di Resistenza Islamico Palestinese, di Hamas, o di qualsiasi altra fazione palestinese in generale, l’audace campagna militare all’interno di Israele di sabato 7 ottobre è stata possibile solo perché i palestinesi sono semplicemente stufi. Israele, ricordiamolo, ha imposto alla Striscia di Gaza un assedio totale da 17 anni.

La storia dell’assedio è per lo più presentata in due modi nettamente diversi. Per alcuni si tratta di un atto disumano di “punizione collettiva”; per altri è un male necessario affinché Israele possa proteggersi dal cosiddetto terrorismo palestinese. Nel racconto, tuttavia, manca del tutto il fatto che 17 anni sono sufficienti perché un’intera generazione cresca sotto assedio, si arruoli nella Resistenza e combatta per la libertà.

Secondo Save the Children, quasi metà dei 2,3 milioni di palestinesi che vivono oggi a Gaza sono minori. La cosa è spesso citata per definire la sofferenza di una popolazione che non è mai uscita dalla piccola e impoverita Striscia di 365 chilometri quadrati [corrispondente alla provincia di Prato, ndt.]. Di nuovo, anche se i numeri possono sembrare precisi, vengono spesso utilizzati per raccontare una piccola parte di una storia complessa.

Questa generazione di Gaza, cresciuta o nata dopo l’imposizione dell’assedio, ha vissuto almeno cinque importanti e devastanti guerre, in cui bambini come loro, insieme alle loro madri, ai padri e fratelli sono stati il bersaglio principale e quindi le vittime principali.

Nemmeno i tentativi di protestare pacificamente contro l’ingiustizia dell’assedio radunandosi in gran numero presso la recinzione che separa Gaza assediata da Israele sono stati autorizzati dallo Stato occupante. Le proteste di massa, conosciute come la Grande Marcia del Ritorno hanno ricevuto come risposta i proiettili dei cecchini israeliani. Immagini di giovani che trasportavano altri giovani che sanguinavano per ferite da arma da fuoco e gridavano “Dio è grande” erano diventate una scena normale lungo la recinzione. Man mano che le vittime aumentavano, nel tempo l’interesse dei media per la storia semplicemente svaniva.

Le centinaia di combattenti che all’alba di sabato scorso sono entrate in Israele attraverso quattro diversi punti di ingresso erano gli stessi giovani palestinesi che non conoscono altro che la guerra, l’assedio e il bisogno di proteggersi a vicenda. Hanno anche imparato a sopravvivere a tutti i costi, nonostante la scarsità o la totale mancanza di quasi tutto a Gaza, comprese l’acqua pulita e un’adeguata assistenza medica.

È qui che la storia di questa generazione si interseca con quella di Hamas, della Jihad islamica e di altri gruppi palestinesi.

Certo, Hamas ha scelto i tempi e la natura della sua campagna militare inserendola in una strategia molto precisa. Questo, tuttavia, non sarebbe stato possibile se Israele non avesse lasciato a questi giovani palestinesi altra scelta se non quella di contrattaccare.

I video che circolavano sui social media mostravano combattenti palestinesi che urlavano in arabo, con quel caratteristico, spesso aspro accento di Gaza: “Questo è per mio fratello” e “Questo è per mio figlio”. Hanno gridato queste e molte altre affermazioni rabbiose mentre sparavano contro coloni e soldati israeliani in preda al panico. Molti di questi ultimi, a quanto pare, avevano abbandonato le loro postazioni e si erano dati alla fuga.

L’impatto psicologico di questa guerra supererà sicuramente quello dell’ottobre 1973, quando gli eserciti arabi ottennero rapide conquiste contro Israele, anche allora a seguito di un attacco a sorpresa. Questa volta l’impatto devastante sul pensiero collettivo israeliano si rivelerà essere un punto di svolta, dal momento che la “guerra” coinvolge un solo gruppo palestinese, non un intero esercito o tre messi insieme.

L’attacco a sorpresa dell’ottobre 2023, tuttavia, è direttamente collegato alla guerra arabo-israeliana dell’ottobre 1973. Scegliendo il cinquantesimo anniversario di quello che gli arabi considerano un grande trionfo contro Israele, la Resistenza palestinese ha voluto inviare un messaggio chiaro: la causa palestinese è ancora la causa di tutti gli arabi. Tutte le dichiarazioni rilasciate dagli alti comandanti militari e dai leader politici di Hamas erano cariche di questo simbolismo e di altri riferimenti ai paesi e ai popoli arabi.

Il discorso pan-arabo non è casuale ed è comparso nelle dichiarazioni di Mohammed Deif, comandante delle brigate Al-Qassam, di al-Arouri comandante fondatore di Al-Qassam Saleh, del capo dell’Ufficio politico di Hamas Ismail Haniyeh e di Abu Obeida, il portavoce mascherato delle Brigate. Tutti hanno esortato all’unità e hanno insistito sul fatto che la Palestina non è che una componente di una più ampia lotta araba e islamica per la giustizia, la dignità e l’onore collettivo. Hamas ha chiamato la sua campagna “Al-Aqsa Flood” ricentrando l’unità palestinese, araba e musulmana attorno ad Al-Quds [nome arabo di Gerusalemme, ndt.], Gerusalemme e tutti i suoi luoghi santi.

Tutti sembravano scioccati, compreso proprio Israele, non dall’attacco di Hamas in sé ma dal coordinamento e dall’audacia di un’operazione relativamente massiccia e senza precedenti. Invece di attaccare di notte, la Resistenza ha attaccato all’alba. Invece di colpire Israele utilizzando i numerosi tunnel sotto Gaza, hanno semplicemente guidato, fatto parapendio, remato via mare e, in molti casi, attraversato a piedi il preteso confine.

L’elemento sorpresa è diventato ancora più sconcertante quando i combattenti palestinesi hanno messo in discussione i fondamenti stessi della guerriglia: invece di combattere una “guerra di manovra” hanno combattuto, anche se temporaneamente, una “guerra di posizione”, mantenendo per molte ore le aree di cui avevano ottenuto il controllo dell’interno di Israele.

In effetti, per i gruppi di Gaza, l’aspetto psicologico della guerra era essenziale quanto il combattimento fisico. Centinaia di video e immagini sono diventate virali sui social media, come se si sperasse di ridefinire il rapporto tra palestinesi, solitamente le vittime, e Israele, l’occupante militare.

L’insistenza sul non uccidere anziani e bambini è stata sottolineata dai comandanti sul campo. Questo non era destinato solo ai palestinesi. È stato anche un messaggio al pubblico internazionale, che la Resistenza Palestinese si atterrà alle regole universali della guerra.

Il numero di palestinesi che Israele uccide, e ucciderà in futuro, come rappresaglia per l’operazione Al-Aqsa sarà tragico, ma non salverà la reputazione a brandelli di un esercito indisciplinato, una società divisa e una leadership politica concentrata esclusivamente sulla propria sopravvivenza.

È troppo presto per giungere a conclusioni generali sugli esiti di questa guerra senza precedenti. Ciò che è chiarissimo, tuttavia, è che il rapporto di fondo tra l’occupazione israeliana e i palestinesi occupati di qui in poi è cambiato, probabilmente in modo permanente.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Gaza: nel 2023 Israele ha negato cure salvavita a “due minori palestinesi al giorno”.

Maha Hussaini

 

13 settembre 2023 – Middle East Eye

Secondo Save the Children in sei mesi quasi 400 minori malati di Gaza sono stati privati della possibilità di lasciare l’enclave assediata alla volta della Cisgiordania.

Gaza city, Palestina occupata.

Secondo un nuovo rapporto di Save the Children le autorità israeliane hanno impedito trattamenti salvavita a quasi 400 minori palestinesi a Gaza nel corso della prima metà del 2023.

Ogni mese una sconcertante media di 60 giovani pazienti non ha avuto il permesso di recarsi nella Cisgiordania occupata per ricevere cure mediche urgenti, il che significa oltre due minori al giorno.

Questi dinieghi hanno lasciato i minori privi di accesso ad interventi chirurgici cruciali e a farmaci d’urgenza che non sono disponibili nell’enclave assediata.

Alcuni sono minori gravemente malati, che non hanno altra scelta se non lasciare Gaza per sopravvivere”, ha affermato in una dichiarazione Jason Lee, direttore di Save the Children nel territorio palestinese occupato.

Negare ai minori l’assistenza sanitaria è disumano e una violazione dei loro diritti.”

L’organizzazione con sede a Londra ha detto che solo in maggio le autorità israeliane hanno respinto o inevaso le richieste di 100 minori per ottenere permessi di uscita attraverso il valico di Beit Hanoun (Erez), sotto il controllo di Israele, nel nord della Striscia di Gaza.

Nello stesso mese almeno sette minori comparivano fra i 33 palestinesi uccisi nell’attacco israeliano contro Gaza tra il 9 e il 13 maggio 2023.

Lasciati a morire

A causa della grave carenza di attrezzature e personale medico, una considerevole quota di pazienti a Gaza, in particolare quelli affetti da patologie come il cancro e le malattie croniche, devono ottenere impegnative mediche finanziate dall’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) per poter farsi curare nella Cisgiordania occupata o in Israele.

Dopo aver ottenuto le prescrizioni e le coperture finanziarie per le cure mediche, i pazienti devono poi fare domanda per il permesso di uscita israeliano per poter lasciare la Striscia attraverso il valico di Beit Hanoun, l’unico passaggio via terra per i palestinesi che vogliono muoversi tra Gaza e il resto dei territori palestinesi occupati.

Uno su 10 pazienti che richiedono permessi di uscita muoiono entro sei mesi dalla prima domanda.

Inoltre affrontano un periodo di attesa di quasi cinque settimane perché ogni domanda passi le procedure delle autorità israeliane.

Nel 2022 tre minori palestinesi sono morti dopo mesi di attesa dei permessi di uscita israeliani che avrebbero loro permesso di attraversare il confine ed accedere alle cure mediche salvavita nella Cisgiordania occupata. Tra loro vi erano il sedicenne paziente di leucemia Salim al-Nawati e Fatima al-Masri di 19 mesi.

Masri, che soffriva di un difetto del setto cardiaco atriale (un foro nel cuore), era nata dopo otto anni di matrimonio ed è morta dopo che le autorità israeliane hanno lasciato inevase cinque richieste inoltrate dai suoi genitori per farle rilasciare un permesso di uscita.

Ho inoltrato la prima domanda alla fine del 2021 ed ho avuto un appuntamento il 26 dicembre, ma poco prima di quella data ho ricevuto un messaggio che diceva che la domanda era oggetto di riesame” ha detto a MEE tempo fa il padre di Masri, Jalal.

Sono passato nuovamente attraverso la stessa lunga procedura per inoltrare un’altra domanda ed ho avuto un nuovo appuntamento per il 13 febbraio. Tre giorni prima ho ricevuto di nuovo lo stesso messaggio. Allora ho inoltrato una terza domanda per avere un altro appuntamento il 6 marzo, che è stato rinviato fino al 27 marzo e poi al 5 aprile. Fatima è morta 11 giorni prima di quella data.”

Complesse restrizioni alle cure mediche

Devastato da 16 anni di assedio israeliano e da ripetuti attacchi militari, il sistema sanitario di Gaza affronta enormi sfide, con le severe restrizioni da parte di Israele all’ingresso di forniture mediche, attrezzature e farmaci vitali.

Secondo il Ministero della Sanità palestinese a Gaza, a maggio circa 224 articoli farmaceutici (il 43% dell’elenco di farmaci essenziali) e 213 prodotti medici monouso (il 25% dell’elenco essenziale) erano a scorta zero.

Mentre a decine di migliaia di pazienti sono concesse ogni anno prescrizioni mediche fuori da Gaza dall’ANP, a quasi un terzo dei gazawi vengono negati da Israele i permessi di uscita .

Nel 2022 circa il 33% delle 20.295 richieste di permesso di pazienti inoltrate alle autorità israeliane è stato respinto o rinviato. Ciò comprende come minimo il 29% di richieste inoltrate a nome di pazienti minori, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

Tuttavia i dinieghi di permesso non sono la sola sfida che i pazienti di Gaza affrontano attraverso la lunga procedura per ottenere adeguate cure mediche fuori dalla Striscia.

Nella maggior parte dei casi, circa il 62% delle volte, le autorità israeliane hanno respinto o rinviato le domande di permesso per i familiari assistenti e gli accompagnatori che dovrebbero accompagnare i pazienti nei viaggi per motivi medici.

Inoltre 225 pazienti sono stati sottoposti ad interrogatori di sicurezza da parte di Israele e solo a 24 di essi sono stati concessi permessi di uscita.

L’enclave costiera, che ospita più di 2 milioni di abitanti, ha 36 ospedali che dispongono di una media di 1.26 letti ospedalieri ogni 1000 persone, in base ai dati del Ministero della Sanità palestinese.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




La salute mentale dei bambini di Gaza va di male in peggio

Maha Hussaini, Gaza

13 giugno 2023, MiddleEastEye 

Mentre gli attacchi israeliani aumentano di frequenza e intensità, un numero crescente di bambini palestinesi soffre di un “trauma continuo” non risolvibile a breve

Nel quarto giorno dell’aggressione israeliana del 2021 contro i palestinesi di Gaza il bombardamento è stato intenso.

Sperando di distrarre i suoi figli dal rumore costante dei bombardamenti, Sarah Ali* li ha messi a letto presto. Ma per Samer*, sette anni, il danno era già fatto.

“Due ore dopo si è svegliato ed è venuto da me piangendo”, ha detto Sarah a Middle East Eye. “Aveva bagnato il letto.”

Nato nel 2016, la breve vita di Samer è stata segnata dal blocco israeliano e dai ripetuti bombardamenti.

Ma l’assalto di 11 giorni nel maggio 2021 ha avuto l’effetto di gran lunga più drammatico sul suo benessere psicologico.

Da due anni bagna regolarmente il letto a causa dell’ansia e della paura di morire.

E proprio mentre sua madre pensava di fare progressi aiutandolo a superare l’ansia, il mese scorso Israele ha lanciato un’altra campagna di bombardamenti.

Eravamo riusciti ad affrontare l’argomento appena prima dell’ultima offensiva, ma durante questo attacco il problema si è ripresentato”, ha detto Sarah, aggiungendo che le condizioni si sono aggravate dopo i sei giorni dell’attacco.

Samer è uno delle centinaia di migliaia di minori palestinesi di Gaza che, secondo gli addetti sanitari, soffrono di “trauma continuo”.

La Striscia, sotto un blocco imposto da Israele dal 2006, ospita oltre due milioni di persone la metà delle quali sono minori.

In meno di 18 anni Israele ha lanciato nell’enclave circa 15 operazioni militari, uccidendo migliaia di persone.

Il blocco e gli attacchi hanno devastato le infrastrutture e l’economia e portato a una “crisi acuta della salute mentale” che sta colpendo la stragrande maggioranza dei bambini.

Traumi ricorrenti

Sarah dice che suo figlio ha perso fiducia in sé stesso dopo aver iniziato nel 2021 a bagnare il letto, cosa che gli causa vergogna e senso di colpa ogni volta che il problema si ripresenta.

“Cerco sempre di rassicurarlo e confortarlo dicendo che è del tutto normale e che non sono arrabbiata con lui, [eppure] si sente comunque triste e si scusa di continuo come se fosse colpa sua”, ha detto a MEE.

“So che non è colpa sua e sono consapevole che questo è il risultato del trauma che sta vivendo”.

I genitori di Samer lo hanno portato da uno psicologo pochi mesi dopo l’attacco del 2021 e stanno valutando la possibilità di tornarci presto.

Secondo una ricerca di Save the Children pubblicata nel 2022, quasi l’80% dei genitori e degli operatori sanitari a Gaza ha riscontrato un aumento dell’enuresi notturna tra i propri figli.

Un ulteriore 78% ha riferito che i propri figli raramente concludono i compiti e il 59% ha affermato che i propri figli hanno difficoltà nel parlare, nel linguaggio e nella comunicazione.

Per la ricerca la ONG ha intervistato 488 bambini e 168 genitori e operatori scolastici, per aggiornare una ricerca simile del 2018.

È emerso che la salute mentale di bambini, giovani e tutori si è deteriorata drasticamente, con un aumento dal 55% all’80% del numero di minori che riferiscono un disagio emotivo.

“Ciò di cui soffrono i bambini di Gaza supera il disturbo da stress post-traumatico”, ha detto a MEE Ayed Abu Eqtaish, direttore del programma di responsabilizzazione presso Defence for Children International.

Ha aggiunto che la capacità dei bambini di vivere serenamente è stata minata dai ripetuti attacchi israeliani, dal blocco e dalla violenta repressione delle proteste pacifiche della “marcia del ritorno” del 2018.

“Mina il loro diritto alla salute, all’istruzione, a uno standard di vita adeguato e, cosa più importante, il loro diritto a essere liberi dalla paura”.

Durante l’assalto del 2021, Israele ha ucciso 256 palestinesi, inclusi 66 minori. I razzi palestinesi hanno ucciso 13 persone in Israele, tra cui due minori.

Tra i palestinesi uccisi c’erano 11 minori di età compresa tra i 5 e i 15 anni che prima della campagna militare erano in cura per trauma presso il Comitato Norvegese per i Rifugiati.

Un altro giro di bombardamenti nell’agosto 2022 ha provocato la morte di 49 palestinesi tra cui 17 minori, il più giovane di quattro anni.

Circa otto mesi dopo è stata lanciata un’altra offensiva che ha ucciso 33 palestinesi, di cui sette minori. I razzi palestinesi hanno ucciso un israeliano.

Durante l’attacco del 2021, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha descritto la vita dei bambini palestinesi a Gaza come “un inferno in terra”.

Non voglio sentire la parola ‘guerra’”

Joudi al-Samna, che fa la quinta elementare e soffre di disturbo da stress post-traumatico, gestisce bene le sue emozioni finché non sente la parola “guerra”.

Quando viene pronunciata vicino a lei da un genitore o da uno zio che discutono le notizie, smette immediatamente di ascoltare.

“Mi copro le orecchie con le mani e li prego di smetterla di parlarne”, ha detto l’undicenne residente a Gaza City.

“Dico ‘per favore cambiate argomento, per favore, mamma fagli cambiare argomento, non c’è nessuna guerra’”, aggiunge.

“Non importa se c’è una guerra o no, non voglio sentire la parola guerra, la odio”.

Samna ha crisi di panico quando sente dei rumori forti e cerca di essere costantemente vicino ai suoi genitori e fratelli.

“Durante l’ultima guerra a Gaza sono rimasta accanto a mia madre e mio padre quasi tutto il tempo. I miei due fratelli e i cugini andavano ogni giorno a giocare in giardino, ma io mi rifiutavo di andare con loro”, ha detto a MEE.

“Ma quando i miei genitori scendevano andavo con loro. Ho sempre paura che ci siano bombardamenti mentre sono lontano da loro”.

Durante i 51 giorni di attacco israeliano a Gaza a luglio e agosto 2014, Samna aveva due anni.

Ma Wejdan Ghannam, sua madre, afferma che il trauma di sua figlia è iniziato durante l’attacco del 2021.

Sebbene all’epoca avesse solo nove anni, Ghannam ha affermato che era ben consapevole di ciò che stava accadendo e che aveva “moltissima” paura per la sua vita e la sua famiglia.

“Faccio del mio meglio durante le offensive per distrarre l’attenzione dei miei figli dai rumori dei bombardamenti. Ogni volta che inizia un attacco porto loro libri da colorare e giocattoli. Faccio quasi tutto ciò che vogliono per tenerli occupati”, ha spiegato Ghannam.

“Ma quando il bombardamento è vicino non funziona. Lasciano semplicemente tutto e vengono da me piangendo. Joudi a volte si rannicchia sulle mie ginocchia finché non si addormenta.

“Sempre, qualunque cosa accada, la regola in casa nostra è di non menzionare mai le parole guerra, aggressione o bombardamento”.

Sicurezza “inesistente”

L’entità del danno psicologico che accusano i bambini di Gaza si fa sentire maggiormente durante gli attacchi israeliani.

Durante l’attacco del mese scorso, genitori e insegnanti a Gaza hanno condiviso disegni e conversazioni con i loro figli e studenti che esprimevano il loro shock e la loro angoscia mentre piovevano le bombe israeliane.

Maram Azzam ha pubblicato un disegno sulla lavagna di sua figlia Sham, una ragazza con degli scarabocchi sopra la testa.

“Sham ha disegnato questo e mi ha detto: ‘Ecco come [si sente] la mia testa coi rumori degli aerei” – così recita la didascalia che Azzam ha messo alla foto su Twitter.

Eman Basher, insegnante di inglese presso una scuola dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e il Lavoro (UNRWA) a Gaza, ha condiviso schermate di conversazioni con i suoi studenti che parlano della loro paura dei bombardamenti.

“Non dormiamo la notte per la paura, e se dormiamo è possibile che non ci svegliamo più”, ha scritto uno studente. “Per me non è ok. Il bombardamento era vicino a casa nostra. Non potevamo fuggire”, ha detto un altro.

In un’altra conversazione, Basher chiede al suo studente: “Chi sta sanguinando?” La ragazza risponde: “Il fratello di Malak, mio compagno di classe. La loro casa è piena di fumo per via del missile”.

E ancora un tweet di Yaser Abu Odeh il primo giorno dell’attacco di maggio diceva: “Mio figlio di dieci anni indossa abiti di Eid [una popolare marca di abiti, ndt.] e ripete ‘godiamoceli prima di essere martirizzati’. Mia figlia ha dodici anni e sta cercando di spendere tutti i suoi soldi; dice: ‘saremo martirizzati, a chi dovremmo lasciarli?'”

Secondo lo psichiatra di Gaza Sami Oweida, un trauma è causato da un evento inaspettato che va oltre l’esperienza della persona e che minaccia la sua vita.

Una volta causato, può portare a squilibri emotivi, cognitivi e comportamentali.

Ma per i bambini di Gaza, ciò di cui soffrono “non è un disturbo da stress post-traumatico, ma un trauma continuo”, ha affermato.

“Abbiamo shock continui che esauriscono le capacità difensive di qualsiasi essere umano”.

Oweda ha detto a MEE che la maggior parte dei bambini che frequentano la sua clinica arrivano dopo gli attacchi israeliani, qualcuno mesi dopo e altri che aspettano fino a due anni.

Il lasso di tempo dipende dalla capacità di ogni bambino di adattarsi e resistere ai sintomi all’indomani di ogni attacco.

“Chi alla fine fallisce, viene da noi”, ha detto il consulente in psichiatria infantile e adolescenziale.

“La maggior parte dei bambini inizia a mostrare reazioni anormali tra cui enuresi notturna, fonofobia [paura del suono], paura dell’oscurità, paura della morte, isolamento, insonnia, anoressia, pianto durante il sonno ecc.”, ha aggiunto.

“Simili traumi possono danneggiare i bambini emotivamente, psicologicamente e biologicamente e ostacolare il loro naturale sviluppo “.

Oweida ha affermato che non esiste una fascia di età specifica di minori che visitano la sua clinica a causa di traumi legati alla guerra, ma gli scolari in generale hanno maggiori probabilità di soffrire di traumi a causa della loro consapevolezza del concetto di bombardamento e morte.

“Il bisogno fondamentale di ogni bambino dopo cibo e acqua è sentirsi al sicuro”, ha spiegato. “La sicurezza a Gaza non esiste”.

* Nomi inventati per proteggere la privacy delle famiglie

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Israele infligge ai minori palestinesi violenze fisiche e psicologiche

Anjuman Rahman

29 ottobre 2020 – Middle East Monitor

Israele è l’unico Paese al mondo che processa regolarmente dei minori in tribunali militari, che non garantiscono minimamente un processo equo

Hanno sfondato la porta d’ingresso, sono entrati nella mia stanza, mi hanno coperto la faccia con un sacco e mi hanno portato via,” spiega Abdullah. “Hanno detto a mio padre che sarei ritornato il giorno dopo.” Ma non è tornato dalla sua famiglia fino all’anno seguente ed è stato arrestato altre sei volte.

Questo non è insolito nella Palestina occupata, dove i minori prigionieri sono una parte rilevante della narrazione palestinese. Ogni anno centinaia di minori, alcuni di 12 anni, sono detenuti e processati nel sistema giudiziario militare.

L’accusa più comune è il lancio di pietre, che l’esercito israeliano considera un “attacco alla sicurezza”. Chi è giudicato colpevole può subire fino a 20 anni di carcere, a seconda dell’età del minore.

Israele è l’unico Paese al mondo che processa abitualmente i minori in tribunali militari, che non garantiscono minimamente un processo equo. Inoltre i minori palestinesi detenuti da Israele subiscono violenze e torture sistematiche, che sono state legittimate dal potere giudiziario e dal governo.

La terribile situazione di questi ragazzi è ben documentata. La portata del problema è stata delineata dall’ONG Save the Children [associazione internazionale che si occupa di bambini e adolescenti in tutto il mondo, con sede a Londra, ndtr.] in un nuovo rapporto.

Attualmente ci sono almeno 200 minori palestinesi detenuti nelle carceri israeliane di Ofer, Damon e Megiddo. Ci sono anche minori disabili e con problemi di salute mentale. Damon e Megiddo sono sovraffollate e i minori prigionieri sono tenuti a stretto contatto tra loro in condizioni di squallore e mancanza di igiene. C’è scarsa attenzione all’aspetto sanitario.

Gli attivisti dicono che le conclusioni di Save the Children dimostrano che i minori in custodia sono trattati peggio degli animali e descrivono il loro trattamento come “spaventoso”, avvertendo che “i minori vengono torturati”. La realtà è che se degli animali fossero trattati così scoppierebbe uno scandalo nazionale e persino internazionale.

Anche le ragazze detenute subiscono un trattamento terribile. Interviste condotte da Save the Children con ex detenute rivelano che le ragazze hanno riferito di essere state arrestate prevalentemente ai posti di blocco, mentre la maggioranza dei ragazzi sono stati arrestati a casa loro. È normale per i giovani palestinesi essere presi di mira quando si trovano vicino alle colonie illegali israeliane.

Mentre la maggior parte delle punizioni sono perpetrate all’interno delle prigioni israeliane, il rapporto documenta anche che più della metà dei minori intervistati ha affermato che le violenze normalmente iniziano prima di una qualunque indagine, nel corso della quale vengono umiliati e torturati ancor di più. Nelle testimonianze raccolte dalla ONG i ragazzi hanno riferito l’uso di manette e bende per gli occhi e di violenze fisiche e verbali durante il loro arresto e trasferimento [in carcere]. Inoltre molti sono stati arrestati di notte e non gli è stato permesso di dormire prima dell’interrogatorio.

Issa* aveva 15 anni quando è stato arrestato. “Mentre venivo interrogato”, ha spiegato, “mi urlavano contro e hanno messo un fucile sul tavolo di fronte a me per spaventarmi. Hanno detto parole brutte, brutte. Non voglio pensare a quelle parole. La prigione era un posto orribile. Mettevano la sveglia a mezzanotte, alle 3 e alle 6 del mattino in modo che non potessimo mai dormire a lungo. Se non eri sveglio in quei momenti ti picchiavano. Io sono stato picchiato alcune volte con bastoni di legno. Ho ancora adesso male alla schiena a causa di un pestaggio particolarmente duro.”

Un’altra vittima è stata arrestata quando aveva 14 anni. La testimonianza di Fatima racconta come è stata aggredita dalle forze di sicurezza israeliane quando è stata arrestata ad un checkpoint militare mentre stava andando a scuola. “Hanno perquisito la mia borsa e mi hanno parlato in ebraico, una lingua che io non capisco. Mi hanno ammanettata, gettata a terra e presa a calci nella schiena.”

Quelli che non hanno avuto danni fisici permanenti sono spesso feriti psicologicamente. Quasi la metà dei minori intervistati concorda di non riuscire a tornare pienamente ad una vita normale. L’85% ha detto di essere cambiato a causa delle esperienze vissute. L’impatto della detenzione viene avvertito soprattutto quando cercano di tornare alla vita normale con i familiari.

Questi minori vulnerabili sono palesemente stressati e spezzati. Non si tratta solo del trauma per quello che gli è successo in prigione, ma anche di ciò che hanno dovuto subire prima di essere incarcerati. La brutale occupazione israeliana della Cisgiordania, l’assedio della Striscia di Gaza e la sistematica negazione dei legittimi diritti dei palestinesi hanno provocato una grave crisi molto complessa, che ha compromesso la salute psichica e fisica del popolo palestinese. I problemi emotivi sono molto diffusi.

Inoltre dal momento del loro arresto – che avviene spesso in piena notte – fino al processo in tribunale, i minori subiscono molte violazioni dei diritti, incluse violenze fisiche e verbali, coercizione e negazione della presenza di genitori o avvocati durante il loro interrogatorio. In più, quando infine vengono scarcerati, l’occupazione israeliana continua a costituire una parte brutale e costante della loro vita.

Le violazioni dei diritti umani e le dure condizioni di detenzione hanno significative conseguenze psicologiche sui minori e sulle loro famiglie. Il disordine da stress post-traumatico è frequente. “Come persona, io sono cambiato”, dice Mahmoud, arrestato quando aveva 17 anni. “La mia rabbia è aumentata e non riesco a sopportare niente.”

Minori ex detenuti riferiscono di non riuscire a fidarsi di nessuno né a costruire rapporti significativi nella “vita dopo il carcere”. Infatti mostrano scarsa attitudine relazionale e tendono ad isolarsi dal mondo esterno a causa delle proprie insicurezze e della paura “degli altri”. Gli effetti dell’incarcerazione si riscontrano anche nel continuo senso di insicurezza e molti ragazzi lasciano la scuola o faticano ad avere rapporti con i familiari a casa.

L’Autorità Nazionale Palestinese è stata più volte criticata per non aver agito per facilitare il ritorno a casa dei minori quando vengono scarcerati da Israele. Nel suo rapporto Save the Children suggerisce che l’ANP potrebbe agevolare il reinserimento degli ex detenuti nelle rispettive comunità e nel sistema educativo, per esempio modificando la prassi che non consente ai minori di proseguire l’anno scolastico dopo un certo numero di assenze. L’ONG chiede anche all’ANP di appoggiare un programma di presa di coscienza per aiutare i ragazzi a comprendere i loro diritti in ogni fase del loro percorso detentivo, compreso il diritto al silenzio, all’assistenza legale e all’educazione. Save the Children sostiene che ciò dovrebbe costituire parte integrante del curriculum scolastico.

La comunità internazionale deve intervenire e fare pressione su Israele per porre fine alle sue violazioni nei confronti dei minori palestinesi. Il diritto internazionale è esplicito riguardo a ciò che si può fare e che non si può fare rispetto ai minori che vengono arrestati. Tuttavia, come in molti altri ambiti, Israele disprezza le leggi.

La Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia del 1989 afferma che l’incarcerazione di minori deve essere “una misura estrema e per un periodo di tempo il più breve possibile”. Israele ha ratificato la Convenzione nel 1991, ma ha ricevuto le critiche dell’ONU per la sua applicazione o per non averlo fatto. È giunto certamente il momento che lo Stato si dimostri capace di agire perché l’impunità abbia immediatamente fine.

*Tutti i nomi citati sono stati modificati per proteggere l’identità delle vittime.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)