I disordini di Nablus mettono in questione il futuro dell’ANP

Ramzi Baroud

26 settembre 2022 – Arab News

L’arresto la scorsa settimana da parte della polizia dell’Autorità Nazionale Palestinese di due attivisti palestinesi, tra cui un importante militante, Musab Shtayyeh, non ha rappresentato la prima volta in cui il noto Servizio di Sicurezza Preventiva ha arrestato un palestinese ricercato da Israele.

Questo servizio è strettamente legato a continui arresti e torture di attivisti contrari all’occupazione israeliana. In passato molti palestinesi, il più recente dei quali è stato Nizar Banat, torturato a morte lo scorso giugno, sono morti in conseguenza della violenza del Servizio di Sicurezza Preventiva. L’uccisione di Banat ha provocato una rivolta popolare contro l’ANP in tutta la Palestina.

Per anni varie associazioni palestinesi e internazionali per i diritti umani hanno criticato, molto spesso all’interno degli stessi rapporti sui diritti umani critici contro l’occupazione militare israeliana della Palestina, le pratiche violente dell’ANP contro i palestinesi dissenzienti. Anche il governo di Hamas a Gaza ha ricevuto una giusta dose di critiche.

Nel suo “Rapporto sul mondo 2022”, pubblicato in gennaio, Human Rights Watch ha affermato che “l’Autorità Nazionale Palestinese…arresta e tortura sistematicamente e arbitrariamente i dissidenti.” Questa non è la prima volta né sarà l’ultima in cui un’associazione per i diritti umani solleva una simile accusa. Il rapporto tra la violenza israeliana e quella palestinese contro i dissidenti politici e gli attivisti è chiaro alla maggioranza dei palestinesi.

A un certo punto alcuni palestinesi possono aver creduto che il ruolo dell’ANP fosse di fungere da transizione tra il loro progetto di liberazione nazionale e la piena indipendenza e sovranità sul terreno. Tuttavia circa 30 anni dopo la formazione dell’ANP questa idea si è dimostrata una pia illusione. Non solo l’ANP non è riuscita a ottenere il desiderato Stato palestinese, ma si è trasformata in un apparato totalmente corrotto la cui esistenza è funzionale principalmente a una piccola classe di politici e uomini d’affari palestinesi – e, nel caso della Palestina, si tratta sempre dello stesso gruppo.

Oltre alla corruzione dell’ANP e alla conseguente violenza, ciò che continua a irritare molti palestinesi è che col tempo l’autorità è diventata un’altra incarnazione dell’occupazione israeliana, che riduce la libertà di espressione dei palestinesi e procede ad arresti per conto dell’esercito israeliano. Tristemente molti di quanti vengono arrestati dall’esercito israeliano in Cisgiordania sono stati arrestati anche dagli scagnozzi dell’ANP.

Le scene di violenti disordini a Nablus in seguito all’arresto di Shtayyeh hanno ricordato rivolte contro le forze di occupazione israeliane nella città del nord della Cisgiordania e altrove nella Palestina occupata. A differenza di precedenti scontri tra palestinesi e polizia dell’ANP – ad esempio in seguito all’uccisione di Banat -, questa volta la violenza è stata generalizzata ed ha coinvolto manifestanti delle organizzazioni politiche palestinesi, compresa la fazione di Fatah, che è al governo.

Il governo dell’ANP, forse inconsapevole del massiccio cambiamento psicologico collettivo avvenuto in Palestina negli ultimi anni, ha cercato disperatamente di contenere la violenza. Conseguentemente il comitato che rappresenta l’unità delle fazioni palestinesi a Nablus ha dichiarato di aver raggiunto una “tregua” con le forze di sicurezza dell’ANP in città. Il comitato, che include importanti personalità palestinesi, ha detto all’Associated Press e ad altri media che l’accordo esclude ogni futuro arresto di palestinesi a Nablus, a meno che siano implicati nella violazione delle leggi palestinesi, non di quelle israeliane. Questa clausola di per sé implica la tacita ammissione da parte dell’ANP che gli arresti di Shtayyeh e Ameed Tbaileh siano stati motivati dalle priorità israeliane e non da quelle palestinesi.

Ma perché l’ANP dovrebbe cedere così in fretta alle pressioni provenienti dalla piazza palestinese? La risposta riguarda il cambiamento del clima politico in Palestina.

In primo luogo, per anni il risentimento nei confronti dell’ANP è andato aumentando. Un sondaggio dopo l’altro ha indicato la scarsa considerazione che la maggior parte dei palestinesi ha nei confronti dei propri dirigenti, del presidente dell’ANP Mahmoud Abbas e in particolare del “coordinamento per la sicurezza” con Israele.

In secondo luogo, la tortura e la morte del dissidente politico Banat lo scorso anno hanno tolto di mezzo qualunque forma di sopportazione dei palestinesi nei confronti della loro dirigenza, in quanto hanno dimostrato loro che l’ANP non è un alleato ma una minaccia.

Terzo, la cosiddetta Intifada dell’Unità del maggio 2021 ha rinfrancato molti segmenti della società palestinese nei Territori Occupati. Per la prima volta da anni ora i palestinesi si sentono uniti intorno a un unico slogan e non sono più ostaggio della conformazione della politica e delle fazioni. Una nuova generazione di giovani palestinesi ha avviato un dialogo ben al di là di Abbas, dell’ANP e della loro sconfinata e inefficace retorica politica.

Quarto, la lotta armata in Cisgiordania è cresciuta in modo talmente rapido che questo mese [settembre, ndt.] il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano Aviv Kochavi ha affermato che da marzo circa 1.500 palestinesi sono stati arrestati in Cisgiordania e che sarebbero stati sventati centinaia di attacchi contro l’esercito israeliano.

Di fatto stanno crescendo le prove di un’Intifada armata nelle regioni di Jenin e Nablus. Ciò che è particolarmente interessante e preoccupante dal punto di vista di Israele e dell’ANP riguardo alla natura del fenomeno della nascente lotta armata è che essa è in buona parte guidata dall’ala militare del partito Fatah al governo, in collaborazione diretta con Hamas e altre fazioni armate islamiste e nazionaliste.

Per esempio, lo scorso mese l’esercito israeliano ha assassinato, insieme ad altri due, Ibrahim Al-Nabulsi, un importante comandante militare di Fatah. Come reazione, non solo l’ANP ha fatto molto poco per impedire alla macchina militare israeliana di condurre ulteriori assassinii di questo tipo, ma sei mesi dopo ha arrestato Shtayyeh, un compagno di lotta molto vicino ad Al-Nabulsi. Cosa interessante, Shtayyeh non è un membro di Fatah, ma un comandante di Al-Qassam, l’ala militare di Hamas. Benché Fatah e Hamas siano considerati rivali politici accaniti, in Cisgiordania le loro divergenze politiche non sembrano essere rilevanti per i gruppi armati.

Sfortunatamente è probabile che ne segua un’ulteriore violenza, per varie ragioni: la determinazione israeliana a stroncare ogni Intifada armata in Cisgiordania prima che si diffonda in tutti i Territori Occupati, l’imminente transizione al comando dell’ANP a causa dell’età avanzata di Abbas e la crescente unità tra i palestinesi riguardo alla questione della resistenza.

Mentre la risposta israeliana a tutto ciò può facilmente essere dedotta dal suo retaggio di violenza, la futura linea di azione dell’ANP probabilmente determinerà i suoi rapporti da una parte con Israele e i suoi sostenitori occidentali e dall’altra con il popolo palestinese. Da quale parte si schiererà l’ANP?

Ramzy Baroud scrive di Medio Oriente da più di 20 anni. È un editorialista di fama internazionale, consulente dei media, autore di vari libri e fondatore del sito PalestineChronicle.com.

Avvertenza: gli autori di questa sezione sono responsabili delle opinioni da loro espresse, che non riflettono necessariamente il punto di vista di Arab News.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Violenza, oppressione e morte: in Cisgiordania l’ANP fa il lavoro sporco per Israele  

Ramzy Baroud

5 marzo 2020 – Middle East Monitor

Solo due settimane dopo che il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas aveva dichiarato che l’ANP avrebbe sospeso ogni “coordinamento per la sicurezza” con Israele, forze dell’ordine palestinesi in Cisgiordania hanno ucciso un ragazzo disarmato, Salah Zakareneh.

Zakareneh non è il primo e, purtroppo, non sarà l’ultimo palestinese ad essere ucciso dalle forze di sicurezza dell’ANP, che negli ultimi anni hanno notevolmente accentuato la loro azione repressiva contro ogni forma di dissenso politico in Palestina.

Il ragazzo diciassettenne è morto poco dopo che le forze dell’ordine dell’ANP erano state inviate nel villaggio di Qabatiya, a sud di Jenin, nella zona settentrionale della Cisgiordania, dove in teoria avrebbero dovuto affrontare una prevista “manifestazione militarizzata”.

La versione ufficiale della vicenda sostiene che, appena le forze dell’ANP sono arrivate a Qabatiya, uomini armati del villaggio hanno aperto il fuoco, mentre altri lanciavano pietre, obbligando i poliziotti dell’ANP a rispondere con proiettili veri e lacrimogeni, causando la morte di Zakareneh e il ferimento di altri. Nessun agente dell’ANP è rimasto ferito da colpi di arma da fuoco.

Non si può negare che negli ultimi mesi in tutti i territori occupati siano cresciuti in modo esponenziale sentimenti avversi all’ANP. L’Autorità di Abbas è corrotta e continua a governare i palestinesi, pur con le possibilità limitate consentite da Israele, senza alcuna legittimità democratica.

Per di più, l’ANP è formata in gran parte da fedeli del partito Fatah di Abbas, che a sua volta è diviso in vari centri di potere.

Nel 2016 l’ANP ha creato a Gerico un ente che riunisce le agenzie di intelligence palestinesi con l’unico obiettivo di reprimere i sostenitori dell’arci-nemico di Abbas, Mohammed Dahlan, attualmente in esilio.

Da quando è stato creato, il nuovo organismo di intelligence, che fa diretto riferimento al presidente, ha esteso il suo mandato e sta reprimendo attivamente ogni individuo, organizzazione o gruppo politico che osi mettere in discussione le politiche di Abbas e del suo partito.

Poco dopo che Abbas aveva affermato durante un discorso alla Lega Araba al Cairo il 1 febbraio che l’ANP interromperà ogni contatto con Israele “compresi i rapporti per la sicurezza”, un importante dirigente dell’ANP ha informato i media israeliani che la cooperazione tra ANP e Israele continua ancora.

Fino ad ora il coordinamento continua, ma i rapporti sono estremamente tesi,” ha detto il dirigente a Times of Israel [quotidiano in rete israeliano, ndtr.].

Il “coordinamento per la sicurezza” è forse l’unica ragione per cui Israele sta consentendo all’ANP di esistere, nonostante il fatto che Israele, con il sostegno degli Stati Uniti, sia venuto meno a tutti gli impegni in base agli accordi di Oslo e a tutte le intese che li hanno seguiti.

È veramente surreale che la dirigenza palestinese di Ramallah, che un tempo prometteva ai palestinesi libertà e liberazione in uno Stato indipendente e sovrano, ora esista soprattutto per garantire la sicurezza dell’esercito israeliano e dei coloni ebrei illegali nella Palestina occupata.

Ora l’ANP e l’occupazione israeliana coesistono in una sorta di rapporto simbiotico. Per garantire la continuazione di questi rapporti vantaggiosi per le due parti, sono entrambi impegnati nell’eliminazione di ogni forma di resistenza, o anche semplice protesta, nella Cisgiordania occupata.

In realtà, che i manifestanti di Qabatiya fossero o meno accompagnati da uomini armati avrebbe fatto ben poca differenza. L’unica forma di protesta o di riunione che attualmente è consentita in Cisgiordania è quella dei fedeli ad Abbas, che scandiscono il suo nome e se la prendono con i suoi nemici.

Lo scorso anno l’Organizzazione Araba per i Diritti Umani [ong che intende difendere i diritti umani nei Paesi arabi, ndtr.] del Regno Unito ha accusato i servizi di sicurezza dell’ANP di utilizzare misure repressive contro attivisti palestinesi e di impiegare torture psicologiche e fisiche contro chi critica. In altre parole, copiano le politiche israeliane nei confronti dei palestinesi.

Il Servizio di Sicurezza Preventiva (SSP) dell’ANP e varie altre agenzia di intelligence prendono spesso di mira studenti e prigionieri dopo che questi sono stati rilasciati.

Nel suo rapporto su Israele e Palestina, Human Rights Watch (HRW) [una delle principali ong per i diritti umani, ndtr.] ha affermato che centinaia di palestinesi sono stati arrestati e torturati dalle forze di sicurezza dell’ANP per i “reati” più insignificanti.

Secondo i dati di HRW “il 21 aprile (2019) l’ANP teneva in detenzione 1.134 persone”. I gruppi per i diritti umani hanno anche informato che “tra il gennaio 2018 e il marzo 2019 (l’ANP) ha arrestato 1.609 persone per aver ingiuriato ‘importanti autorità’ e aver provocato ‘conflitti settari’, imputazioni che di fatto criminalizzano il dissenso pacifico, e 752 per post sulle reti sociali.”

Mentre molti prigionieri palestinesi detenuti illegalmente in Israele intraprendono prolungati scioperi della fame chiedendo l’immediato rilascio o migliori condizioni di detenzione, spesso mancano notizie su prigionieri palestinesi che facciano scioperi della fame nelle prigioni dell’ANP.

Ahmad al-Awartani, 25 anni, è stato uno delle migliaia di palestinesi arrestati con l’accusa di oltraggio; il giovane è stato fermato grazie alla cosiddetta legge sui “Crimini informatici”. È stato arrestato dalla polizia dell’ANP per un solo post su Facebook in cui criticava l’Autorità Nazionale Palestinese.

Nell’aprile 2018 al-Awartani ha iniziato uno sciopero della fame quasi totalmente ignorato dai media palestinesi, arabi e internazionali.

Arresti arbitrari, torture e violenze sono episodi ricorrenti nella Palestina occupata. Mentre Israele è responsabile della maggior parte delle violazioni dei diritti umani dei palestinesi, l’ANP è parte integrante della stessa strategia israeliana.

Benché sia vero che la repressione operata da Abbas è fatta su misura per garantire i suoi interessi personali, le azioni dell’ANP in ultima istanza sono funzionali agli interessi di Israele che intende tenere divisi i palestinesi e sta utilizzando le forze di sicurezza dell’ANP come ulteriore livello di protezione dei suoi soldati e coloni.

Alla luce di ciò la morte di Zakareneh non può essere vista come un fatto marginale nella lotta palestinese contro l’occupazione e l’apartheid israeliane. Infatti l’Autorità Nazionale Palestinese ha fatto capire chiaramente che la sua violenza contro i palestinesi che dissentono non è diversa da quella israeliana che prende di mira ogni forma di resistenza in tutta la Palestina.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)