Sheikh Jarrah: Israele attacca di nuovo i palestinesi in una seconda notte di tensione

Huthifa Fayyad

13 febbraio 2022, MiddleEastEye

Polizia e coloni intensificano gli attacchi contro i residenti del quartiere di Gerusalemme Est, trasformandolo in “zona di guerra”

Come hanno riferito i residenti palestinesi la sera di domenica a Sheikh Jarrah è iniziata una seconda notte di violenti attacchi della polizia israeliana e dei coloni, che hanno trasformato il quartiere occupato di Gerusalemme Est in “zona di guerra”.

Secondo i media locali almeno 31 persone sono rimaste ferite, inclusi dei medici e un giornalista, poiché le forze israeliane hanno usato granate assordanti e proiettili d’acciaio rivestiti di gomma per disperdere la folla palestinese. Sei persone sono state portate in ospedale.

Sono stati impiegati anche spargitori d’acqua puzzolente e polizia a cavallo. Almeno 12 palestinesi sono stati arrestati.

Decine di dimostranti palestinesi si sono radunati in tarda serata dentro e intorno alla casa della famiglia Salem, che sta affrontando un’imminente espulsione, per schierarsi in solidarietà con la famiglia contro le incursioni dei coloni.

Al mattino un gruppo di coloni, guidato dal membro di estrema destra della Knesset Itamar Ben-Gvir, aveva eretto una tenda su un terreno adiacente alla casa dei Salem e vi aveva allestito la postazione di un ufficio parlamentare.

I coloni sono stati visti ballare e intonare canti razzisti e islamofobi per provocare la famiglia e a tratti aggredirla.

Durante la sera sono scoppiate ripetute colluttazioni tra le due folle presenti nella proprietà. All’esterno, le forze di sicurezza hanno negato l’ingresso agli attivisti e hanno chiuso ai palestinesi tutti i punti di accesso alla casa.

L’attivista Muna al-Kurd, residente a Sheikh Jarrah che rischia anche lei un’imminente espulsione, ha detto nei suoi aggiornamenti in diretta su Instagram che la scena nell’area sembrava una “zona di guerra”.

Ramzi Abbasi, un attivista di Gerusalemme che documenta gli attacchi israeliani in città, ha confermato una simile impressione.”È come essere in un accampamento militare “, ha detto Abbasi nei suoi aggiornamenti Instagram in diretta dalla zona. “Ricorda molto la situazione che ha preceduto la rivolta di Sheikh Jarrah l’anno scorso”.

Il quartiere è da maggio un punto molto critico, da quando Israele ha cercato di espellere dall’area famiglie palestinesi per far posto a coloni israeliani.

La cosa ha provocato proteste diffuse in tutta la Cisgiordania occupata e nelle 48 comunità palestinesi all’interno di Israele, nonché un’operazione militare su larga scala nella Striscia di Gaza assediata.

Espulsione incombente  

Nel quartiere le violenze di domenica notte sono seguite a una tesa mattinata poiché Ben-Gvir aveva annunciato il giorno prima che intendeva aprire il suo ufficio a Sheikh Jarrah, su un appezzamento di terreno appartenente alla famiglia Salem che a gennaio era stato confiscato da gruppi di coloni.

Ben-Gvir è a capo del partito Jewish Power, parte dell’alleanza politica Sionismo Religioso che chiede lo sfratto dei palestinesi dalle loro terre per stabilirvi la gestione di Israele secondo i testi della Torah.

Dopo l’annuncio di sabato, subito dopo la mezzanotte decine di coloni hanno fatto irruzione nel quartiere, lanciando pietre contro le case dei palestinesi e danneggiando le auto.

I coloni hanno quindi raggiunto la casa della famiglia Salem e hanno aggredito donne e bambini con spray al peperoncino, come hanno riferito i residenti all’agenzia Anadolu [agenzia di stampa turca di Stato con sede ad Ankara, ndtr.]

“Sono comparsi dal nulla e hanno spruzzato peperoncino a me e al mio vicino, Abu Mohammad. Mi bruciavano gli occhi e non riuscivo ad aprirli. Non riuscivo a respirare”, ha detto Fatima Salem.

La famiglia Salem ha combattuto per decenni nei tribunali contro le pretese dei coloni sulla loro casa.

Nel 1987 un tribunale israeliano ha ordinato a Fatima Salem di lasciare la sua casa con l’accusa di non poter provare la sua residenza lì prima della morte dei genitori. Salem dice che è nata in quella casa e che da allora ha vissuto lì.

Ora vive nella casa con suo figlio, sua figlia e le loro famiglie.

La decisione del 1987 nello stesso anno è stata congelata ma il caso è stato riattivato nel 2015. Nel dicembre 2021 la famiglia ha ricevuto un avviso di sfratto definitivo.

La scorsa settimana le autorità hanno informato i Salem che hanno tempo fino all’inizio di marzo per lasciare la casa.

Attualmente 37 famiglie palestinesi vivono a Sheikh Jarrah, sei delle quali rischiano un imminente sfratto. Dal 2020, i tribunali israeliani hanno ordinato lo sfratto di 13 famiglie palestinesi da Sheikh Jarrah.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




L’hasbara di Israele a Sheikh Jarrah: il sasso ‘terrorista’ e la logica distorta di Gilad Erdan

Ramzy Baroud

24 gennaio 2022 – Middle East Monitor

L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Gilad Erdan, sta conducendo la propaganda (hasbara, ndtr.) antipalestinese del suo Paese, impegnandosi questa volta in una propaganda preventiva che anticipa una risposta palestinese alle continue espulsioni nel quartiere Sheikh Jarrah di Gerusalemme est.

Lo riterreste un attacco terroristico se un sasso come questo fosse scagliato contro la vostra macchina mentre state guidando con i vostri figli?”, ha chiesto Erdan al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite tenendo in mano la pietra. “Come minimo, condannereste questi brutali attacchi condotti da palestinesi contro civili israeliani?”

Questa logica israeliana è del tutto tipica, laddove i palestinesi oppressi sono descritti come aggressori e l’oppressore Israele – uno Stato razzista di apartheid sotto ogni aspetto – si presenta come vittima che non fa che difendere i propri cittadini.

Ma la logica selettiva di Erdan questa volta è dovuta ad altro. La sua messinscena all’ONU mira esclusivamente a stornare l’attenzione dai continui terribili fatti che avvengono a Sheikh Jarrah e in tutta la Gerusalemme est occupata. Mercoledì 19 gennaio la casa della famiglia palestinese Salhiya è stata demolita da Israele, lasciando senza un tetto 15 persone, in maggioranza bambini.

Pochi giorni prima è avvenuto un fatto straziante sul tetto di quella casa, quando membri della famiglia Salhiya hanno minacciato di darsi fuoco perché angosciati dall’imminente perdita della casa della loro famiglia.

Non abbiamo più niente a Gerusalemme. Questa è pulizia etnica. Oggi tocca a me, domani ai miei vicini. Meglio per noi morire sulla nostra terra con dignità che arrenderci a loro”, ha detto Mahmoud Salhiya, il proprietario della casa, prima di essere dissuaso dai vicini dal darsi fuoco.

A questi tragici eventi si assiste attentamente, anzitutto da parte dei palestinesi, ma anche della gente di tutto il mondo. Se la prassi delle distruzioni israeliane continuerà ci sono probabilità che assisteremo ad un’altra sollevazione popolare. Lo spettacolo di Erdan all’ONU è un disperato gesto di propaganda per dissuadere i membri della comunità internazionale dal criticare Israele.

Ma Israele non riesce a far valere la propria causa, come non è riuscito a difendere la propria terribile violenza contro i palestinesi in tutta la Palestina occupata nel maggio 2021. Persino i tradizionali alleati di Israele esprimono contrarietà verso l’ultima ondata di pulizia etnica a Sheikh Jarrah.

La rappresentante degli USA alle Nazioni Unite ha espresso ‘preoccupazione’ riguardo all’espulsione forzata nel quartiere palestinese. “Per compiere un passo avanti, sia Israele che l’Autorità Nazionale Palestinese devono evitare mosse unilaterali che esasperano le tensioni e soffocano gli sforzi per far progredire una soluzione negoziata di due Stati”, ha detto Linda Thomas-Greenfield, utilizzando l’usuale linguaggio prudente. Tuttavia Thomas-Greenfield ha proseguito mettendo in guardia contro “le annessioni di territori, l’attività di colonizzazione, le demolizioni e le espulsioni – come quelle che abbiamo visto a Sheikh Jarrah.”

Il 19 gennaio anche il deputato repubblicano USA Mark Pocan ha duramente criticato la decisione di Israele di espellere con la forza la famiglia Salhiya a Sheikh Jarrah.

La scorsa notte, con la complicità del buio e di un freddo pungente, le abitazioni della famiglia Salhiya a Sheikh Jarrah, Gerusalemme, sono state distrutte dalle forze israeliane, lasciando senza casa 15 persone. Ciò non è accettabile e deve finire”, ha twittato Pocan, aggiungendo il popolare hashtag # Savesheikhjarrah.

Da parte sua l’inviato speciale dell’ONU per il Medio Oriente, Tor Wennsland, ha duramente condannato l’espulsione della famiglia palestinese da parte delle autorità occupanti israeliane.

Chiedo alle autorità israeliane di porre fine agli sfratti ed alle espulsioni dei palestinesi, in base ai loro obblighi previsti dal diritto internazionale, e di approvare nuovi programmi che consentirebbero alle comunità palestinesi di costruire legalmente e di provvedere alle proprie necessità di sviluppo”, ha detto Wennsland, secondo quanto riportato sul sito web dell’ONU.

Torniamo allo spettacolo di Erdan, quando ha presentato il ‘terrorismo’ palestinese mostrando la presunta prova schiacciante di un sasso.

Va detto che criticare o difendere la resistenza palestinese, anche simbolica, permette ad Israele di impostare un dibattito fuorviante e futile, che crea un’equivalenza morale tra l’occupante e l’occupato, il colonizzatore e il colonizzato.

Che i palestinesi usino una pietra, un fucile o un pugno per resistere e difendersi, la loro resistenza è moralmente e legalmente giustificata. Israele invece, come tutti gli altri occupanti militari e colonialisti, non ha argomenti né morali né legali per giustificare la sua oppressione sui palestinesi, la distruzione delle loro case – come quella della famiglia Salhiya – e l’uccisione dei loro figli.

A giudicare dalla crescente solidarietà con i palestinesi dovunque, è chiaro che il patetico spettacolo di Erdan è solo un ulteriore esercizio di futilità politica.

Nulla di ciò che Israele può dire o fare potrà alterare la realtà lampante del fatto che una nuova generazione di palestinesi sta riunificando ancora una volta la narrazione palestinese, in particolare riguardo alla resistenza palestinese all’occupazione israeliana. Sia che l’oppressione israeliana avvenga a Sheikh Jarrah, a Gaza o nel deserto del Negev, ora i palestinesi rispondono in modo collettivo, come un unico corpo politico. Grazie alla rivolta del maggio 2021 sono finiti i tempi in cui i palestinesi vengono scacciati dalle loro case nel cuore della notte come fosse una consuetudine senza conseguenze.

Inoltre sta cambiando il linguaggio politico usato per descrivere gli eventi in Palestina in ambito internazionale. Il ‘diritto di Israele di difendersi’ non è più la reazione automatica che spesso viene adottata per descrivere la violenza israeliana e la resistenza palestinese.

Infine sembra che Israele non sia più la parte che determina gli eventi in Palestina e controlla la narrazione ad essi relativa. I palestinesi ed un crescente movimento internazionale di loro sostenitori stanno attivamente dando forma alla percezione globale della realtà sul campo. Né Erdan né i suoi capi a Tel Aviv possono ribaltare questo slancio a guida palestinese. Il suo intervento all’ONU non fa che rispecchiare il grado di disperazione e fallimento intellettuale di Israele e dei suoi rappresentanti.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Sheikh Jarrah: le forze israeliane hanno demolito la casa dei Salhiya durante un raid notturno

Huthifa Fayyad, Nadda Osman

19 gennaio 2022 – Middle East Eye

Le forze israeliane hanno preso d’assalto la casa nel quartiere occupato di Gerusalemme Est, arrestando diversi abitanti, tra cui il padre Mahmoud Salhiya, e demolito la casa

Alle prime ore di mercoledì le forze israeliane hanno fatto irruzione nella casa della famiglia Salhiya a Sheikh Jarrah nella Gerusalemme est occupata e prima di svuotare la casa e demolirla hanno arrestato con violenza e aggredito i membri della famiglia.

Intorno alle 3 del mattino, ora locale, un gran numero di unità di polizia, comprese forze antiterrorismo e antisommossa con bulldozer, hanno preso d’assalto la casa dei Salhiya.

Yasmin Salhiya, residente nella casa e figlia del proprietario Mahmoud Salhiya, racconta a Middle East Eye che numerose unità israeliane hanno interrotto la fornitura di elettricità alla casa mentre la perquisivano e hanno iniziato a sparare gas lacrimogeni, bloccando la vista a tutti.

Yasmin dice che gli agenti hanno poi aggredito la famiglia e arrestato cinque di loro, incluso Mahmoud. Anche circa 22 sostenitori che si erano accampati all’interno della proprietà in solidarietà con la famiglia sono stati aggrediti e arrestati.

Mio padre stava dormendo quando l’hanno preso. Non gli hanno permesso di indossare una giacca o delle scarpe”, racconta Yasmin, 19 anni, a MEE.

Hanno separato tutti quelli che erano lì e hanno iniziato a picchiare i giovani uomini prima di trattenerli nelle jeep e portarli via”.

Tra le persone aggredite c’erano la sorella di nove anni di Yasmin, Ayah, e la loro zia.

Hanno strattonato Ayah e aggredito suo padre, i suoi fratelli e sua zia proprio di fronte a lei. È sconvolta”, afferma Yasmin.

Dopo aver svuotato le case, le forze israeliane hanno iniziato a sparare proiettili di gomma contro giornalisti e sostenitori che erano fuori e hanno impedito alle ambulanze di accedere al sito, racconta Yasmin.

I bulldozer hanno terminato la demolizione tre ore dopo, lasciando la casa in rovina e i beni della famiglia sparpagliati a terra.

La demolizione e l’espulsione della famiglia sono avvenuti tra freddo e forti piogge, costringendo coloro che non erano stati arrestati a cercare rifugio presso i parenti.

Diciotto persone vivevano nella proprietà in due case adiacenti, tra cui Mahmoud, sua moglie e i suoi figli, sua madre e la famiglia di sua sorella.

“Quando guardo la casa in cui sono cresciuta con la mia famiglia in questo stato non so come descrivere i miei sentimenti”, dice Yasmin.

Torneremo a casa nostra. Qualunque cosa ci facciano, ritorneremo. Il nostro messaggio per tutti è restate nelle vostre case. Non lasciatele. Non vendetele. Stiamo perdendo la Palestina pezzo a pezzo”.

‘Voglio vivere con dignità o morire’

Ahmad al-Qadmani, l’avvocato della famiglia, dichiara a MEE che le forze israeliane hanno approfittato della quiete della notte per effettuare la demolizione. Afferma che la famiglia aveva cercato di bloccare la demolizione presentando un ricorso in tribunale, ma che la demolizione è andata avanti a prescindere.

“Ieri abbiamo presentato ricorso alla corte suprema per congelare l’ordine di demolizione, ma non abbiamo avuto risposta fino ad ora… è un attacco aggressivo che viola leggi e regolamenti”, aggiunge.

Lunedì le forze israeliane avevano tentato di espellere la famiglia Salhiya dalla loro casa, facendo irruzione nel terreno su cui sorge e distruggendo cinque attività commerciali di proprietà di Mahmoud. Il quale si è poi barricato sul tetto della casa e ha minacciato di darsi fuoco e di bruciare la casa se le forze israeliane avessero tentato di rimuoverlo.

Dopo 10 ore di stallo, le forze israeliane hanno lasciato l’area e sostenitori e giornalisti hanno potuto entrare. Da allora, decine di persone hanno visitato la casa per mostrare sostegno e alcune, nel timore di una successiva incursione israeliana, vi hanno pernottato.

“Voglio vivere con dignità o morire”, ha detto Mahmoud a MEE lunedì. “Stavo per darmi fuoco perché ogni giorno muoio, muoio da 25 anni”, ha aggiunto, riferendosi alle pressioni ricevute per decenni per vendere o rinunciare alla terra.

La morte è meglio che restare a guardare la tua casa che viene distrutta… stiamo morendo ogni giorno. Siamo stati ripetutamente espulsi dalla nostra patria. Siamo già morti. Siamo morti dentro. Siamo morti dal 1948″, ha detto Mahmoud.

Ultimatum

La famiglia di Mahmoud ha affrontato l’espulsione sin dal 2017, quando la loro terra è stata destinata alla costruzione di scuole, dopo 23 anni di azioni giudiziarie contro il governo israeliano. Israele ha emesso un ultimatum a dicembre per l’evacuazione della proprietà il 25 gennaio.

Il comune israeliano di Gerusalemme sostiene che i Salhiya non hanno alcun diritto sulla terra che un tempo apparteneva al Gran Mufti di Gerusalemme, Amin al-Husseini – che Israele confiscò dopo aver catturato la città nel 1967 – in base alla legge sull’assenza del proprietario. Mahmoud dice che la famiglia possiede la casa e vi vive da generazioni, da quando fu espulsa dalla milizia sionista da Ain Karem nel 1948 durante la Nakba o catastrofe palestinese: la guerra che portò alla creazione di Israele.

Dopo che Israele ha cercato di espellere le famiglie palestinesi dall’area lo scorso maggio per far posto ai coloni israeliani, Sheikh Jarrah è diventato nell’ultimo anno un luogo simbolo. Infatti le espulsioni hanno scatenato proteste in tutta la Cisgiordania occupata e nella comunità palestinese all’interno di Israele, nonché un’operazione militare su larga scala nella Striscia di Gaza assediata.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




I giovani palestinesi alle prese con le conseguenze della fama sui social media

Mary Steffenhagen

14 dicembre 2021 – Teenvogue

Alcuni lamentano di essere stati etichettati come “vittime” o “attivisti.”

Sotto molti aspetti Adnan Barq è un tipico zoomer [i nati dal 1995 e il 2010, ndtr.]. È sempre su Instagram dove condivide pensieri e immagini di vita quotidiana: foto artistoidi della città, selfie buffi con la famiglia e gli amici, opinioni su film e show televisivi. (Se proprio volete saperlo il cast dei suoi sogni per ‘Cime tempestose’ vede Mena Massoud nei panni di Heathcliff e Lily Collins in quelli di Cathy.)

Ma condivide anche immagini di muri di cemento, recinzioni di filo spinato e dispositivi di sorveglianza. Ha filmato i soldati mentre fanno arresti violenti in strada, aprendosi un varco tra la folla cittadina carichi di armi pesanti. Quasi sempre aggiunge la sua didascalia sardonica o un hashtag nel tentativo di scaricare con l’umorismo parte della sua frustrazione.

Barq vive nella Città Vecchia di Gerusalemme, poco lontano da Sheikh Jarrah, il quartiere dove la Corte Suprema israeliana avrebbe dovuto pronunciarsi sulla rimozione di alcune famiglie palestinesi. Quindi persino prima del maggio 2021, quando è cominciato il trend online #SaveSheikhJarrah, era inevitabile che Barq postasse immagini del conflitto. Anche queste fanno parte della vita quotidiana.

I suoi post di solito ricevevano qualche migliaio di like. Ma a maggio la polizia israeliana ha compiuto un raid nella moschea di Al Aqsa a Gerusalemme inducendo Hamas a rispondere con lancio di razzi. Quando Israele ha sua volta lanciato attacchi aerei contro Gaza, Barq ha postato una storia su Instagram chiedendo ai suoi follower a Gaza di raccontargli i loro sentimenti. Ha ricevuto frasi come “Non dormiamo da due giorni…”

Abbiamo paura di andare a letto e non svegliarci mai più.”

L’inferno è a Gaza.” 

In pochi giorni aveva migliaia di follower sui social media da tutto il mondo. Il post ha ricevuto circa 60.000 like, a oggi il più popolare che abbia mai postato.

Mi hanno scritto le loro ultime parole e sono sicuro che adesso molti di loro sono morti,” dice Barq. Nel corso di undici giorni gli attacchi aerei israeliani hanno ucciso almeno 243 palestinesi. Durante il conflitto hanno perso la vita anche undici israeliani.

Molti giovani palestinesi si sono trovati al centro di un’attenzione internazionale nuova per i loro video girati nei quartieri durante gli attacchi delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) [l’esercito israeliano, ndtr.] e dei coloni, e il loro sdegno è diventato virale sui social. Questa viralità ha dato vita a una campagna online unificata che ha avuto un impatto senza precedenti sull’atteggiamento internazionale verso la Palestina. Ma mesi dopo alcuni giovani palestinesi percepiscono la tensione fra l’accettare questo nuovo seguito e l’essere visti dal loro pubblico come simboli unidimensionali. Persino mentre usano queste nuove piattaforme per combattere per la causa palestinese per far riconoscere la propria dignità umana si trovano a disagio perché etichettati con identità che li appiattiscono: militanti, vittime o attivisti.

Agli inizi di maggio 2021 la Corte Suprema Israeliana doveva decidere se confermare l’espulsione di sei famiglie palestinesi da Sheikh Jarrah in seguito a un ordine di espulsione emesso da un tribunale di grado inferiore, una decisione a favore dei coloni israeliani. I palestinesi si sono mobilitati per protestare e prevenire le espulsioni che secondo le Nazioni Unite potrebbero essere considerate un crimine di guerra. Hanno condiviso sui social media video di soldati israeliani che maltrattavano i loro vicini o che sparavano pallottole di gomma e granate stordenti dentro la moschea di Al-Aqsa durante il Ramadan. Forse il video più memorabile è quello di una ragazza, Muna El-Kurd, che affronta un colono che secondo lei si trovava all’interno della proprietà della sua famiglia.

Stai rubando la mia casa!” urla El-Kurd.

Ma se non la rubo io, lo farà qualcun altro,” risponde lui.

Muna e suo fratello Mohammed, entrambi ventitreenni, sono ora diventati due dei palestinesi più visti sui media internazionali. Recentemente TIME Magazine li ha inseriti nella lista delle 100 persone più influenti del 2021. A maggio, dopo la sua apparizione sulla CNN, Mohammed ha raggiungo circa un milione di follower tra Twitter e Instagram. La sua intervista è diventata virale. Ha contestato l’uso fatto dalla presentatrice del termine “sfratto” per descrivere quello che sta succedendo alla sua famiglia, definendolo invece un trasferimento illegale. Quando lei gli ha chiesto se sosteneva le “violente proteste” a favore della sua famiglia, lui ha ribaltato la domanda: “Lei sostiene il violento esproprio mio e della mia famiglia?”

“Mi sono detto: ‘aspetta un momento, qui io sto perdendo la mia casa. E lei mi fa delle domande sulle, cito testualmente, ‘proteste’ violente’? No, io penso che in queste situazioni sia importante ricordare la propria posizione politica,” racconta a Teen Vogue.

El-Kurd crede che i media perpetuino da tempo l’archetipo dei palestinesi come bambini indifesi, donne in lacrime o uomini violenti, ma crede che sia una rappresentazione che lui e altri sono riusciti a ribaltare. El-Kurd dice che quest’estate lui, sua sorella e altri si sono rifiutati di impersonare questo stereotipo, non solo esprimendo una gamma di emozioni, ma usando termini come decolonizzazione, apartheid e occupazione che, secondo lui, i media tradizionali tendono a evitare o a mettere in dubbio.

Si sono impossessati del nostro linguaggio, della nostra realtà in quanto popolo palestinese ed è questo che quest’estate siamo riusciti a ribaltare,” dice.”

Ma persino a maggio quando #SaveSheikhJarrah e #FreePalestine erano un trend sulle piattaforme online, molti hanno detto che cominciavano a notare che il loro contenuto filopalestinese era in qualche modo censurato. 7amleh, un’organizzazione la cui missione dichiarata è l’avanzamento dei diritti digitali dei palestinesi, ha pubblicato un rapporto che elenca le proteste per account chiusi, certi hashtag oscurati e contenuti cancellati.

Secondo BuzzFeed News, (sito statunitense di notizie), Instagram ha etichettato i post che si riferivano alla moschea di Al-Aqsa (luogo delle proteste e sacro all’Islam), come associati a “violenze o a un’organizzazione terrorista.” Facebook, proprietaria di Instagram, ha detto di aver erroneamente associato l’hashtag #AlAqsa a “varie organizzazioni censurate,” come i gruppi designati dal Dipartimento di Stato (americano) quali organizzazioni terroriste straniere che usano “Al-Aqsa” nei loro nomi. I post che usano l’hashtag #AlAqsa sarebbero stati rimossi o bloccati. (Secondo BuzzFeed un dipendente di Facebook ha scritto in un gruppo interno: “Se ci fosse un movimento chiamato ‘I sobillatori di Washington’ e se i post che menzionano solo la parola Washington venissero rimossi, sarebbe totalmente inaccettabile”). Da allora l’Oversight Board [la commissione di sorveglianza esterna] di Facebook ha raccomandato una revisione indipendente dei post relativi a Israele e ai palestinesi “per stabilire se la moderazione dei contenuti di Facebook in arabo ed ebraico, compreso il suo uso di automatismi, sia applicata senza preconcetti.” Anche TikTok è stato accusato di aver cancellato gli account di giornalisti palestinesi e di organi di stampa.

I rapporti indicano che in Palestina la visibilità online può accrescere il rischio di arresto. A giugno Mohammad Kana’neh è stato arrestato dopo aver condiviso immagini di un discorso che aveva pronunciato a una protesta e registrato da un altro partecipante. Aveva gridato a un poliziotto nelle vicinanze “vattene dall’esercito.” La rivista progressista Jewish Currents [Correnti Ebraiche, trimestrale di politica e sito con orientamento di sinistra, ndtr.] ha riportato che secondo Adalah, il Centro Legale per i diritti della minoranza araba che lo sta rappresentando, Kana’neh è stato arrestato per incitazione alla violenza o terrorismo. Nel 2016 Israele ha ampliato la portata delle sue leggi antiterrorismo, includendo i discorsi che “supportano un atto terroristico.” I palestinesi sostengono che la legge prende di mira la loro libertà di parola quando denunciano e resistono all’occupazione.

Yara Hawari, analista senior di Al-Shabaka, The Palestinian Policy Network [Al Shabaka significa “La Rete”, è un sito palestinese indipendente di analisi politiche, ndtr.] un think tank la cui missione consiste nell’ “educare e promuovere il dibattito pubblico sui diritti umani dei palestinesi e l’autodeterminazione nel quadro del diritto internazionale,” crede che l’incremento di attenzione sui social media sia uno sviluppo largamente positivo per la causa. Lei pensa che quest’estate, collegando volti noti con storie avvincenti come quelle di Muna e Mohammed El-Kurd, sia stata presentata al pubblico internazionale una narrazione più coerente.

È anche facile riconoscerli e mettersi in contatto e un sacco di gente può identificarsi con loro,” dice Hawari, che osserva anche che questa facilità è diventata un po’ una spada a doppio taglio. Collegare volti e nomi a un movimento può aiutare a diffondere un messaggio attraverso circuiti mediatici, ma carica anche le persone reali di una nuova responsabilità e livelli di attenzione che possono diventare pericolosi.

Hawari conclude che, col tempo, potrebbe persino danneggiare il movimento stesso. “L’abbiamo visto nel corso della storia. C’è un movimento e poi ci sono queste vittorie simboliche concesse per zittirlo,” dice Mohammed El-Kurd.

Lui pensa che la sua inclusione nella lista dei 100 di TIME sia una di queste vittorie simboliche che ignora le migliaia di palestinesi che quest’estate erano sul posto e hanno fatto le riprese, lottato contro la polizia e messo a repentaglio le proprie vite. È arrivata sull’onda degli attacchi di quest’estate delle IDF contro la moschea di Al-Aqsa e le continue demolizioni di case nel quartiere di Silwan, a Gerusalemme Est. Gli abitanti di Sheikh Jarrah, inclusa la famiglia El-Kurd, hanno recentemente rifiutato una proposta della Corte Suprema Israeliana che li avrebbe trasformati in inquilini protetti, invece che proprietari, definendolo solo un altro rinvio per progettare di sfrattarli per sempre dalle loro case.

El-Kurd si chiede se proprio questa determinazione a resistere al diventare un simbolo e alla celebrità sia ciò che fa di persone come lui e sua sorella dei portavoce perfetti per il pubblico occidentale. “Noi raccontiamo la storia meglio di chiunque altro, perché è la nostra storia,” dice. Ma gli è ancora poco chiaro se l’aumentata attenzione dei media sia un segnale di accoglienza duratura o solo una cinica cooptazione di voci radicali. “E fa audience in TV,” aggiunge.

Quando quest’estate Adnan Barq ha risposto alla mia chiamata su Zoom si è scusato. Stava camminando per Gerusalemme Ovest e aveva perso la nozione del tempo. “Vengo raramente qui, ma devo trovare un lavoro,” ha detto Barq. Ventunenne, si è laureato quest’estate presso l’Università di Betlemme. “Ero in un hotel a chiedere se avessero bisogno di qualcuno per la reception. Il receptionist era stupefatto: ‘Hai studiato letteratura inglese e giornalismo e vuoi lavorare all’accoglienza?’” mi ha chiesto.

Mentre parlavamo stava attraversando un centro commerciale all’aperto. È passato per un cortile con gente che pranzava godendosi il sole, vicino a una giostra di cavallini colorati e si è infilato sotto una tenda in un mercato affollato. Barq era imperturbabile nonostante le occhiate degli astanti perché teneva in alto il cellulare per farmi vedere la scena. “A Gerusalemme ovest sembra davvero di essere in occidente,” ha osservato. “È un nome adatto.”

Dopo la nostra chiacchierata si è diretto verso Gerusalemme Est, verso la Città Vecchia, verso casa. Sembra una zona militare, mi dice, con tutta questa sorveglianza. La prossima settimana rifarà la breve camminata per andare a Sheikh Jarrah e cercare di vedere alcuni amici e stare con le famiglie che stanno protestando. Ma incontrerà una recinzione con dei soldati di guardia. Loro lo respingeranno, dice.

Prima che a maggio il suo account avesse tanto successo, poteva sfogare senza limiti su Instagram la sua frustrazione per l’occupazione. Ma da allora sente che lo spazio che era il suo sbocco creativo personale è diventato qualcosa di più, qualcosa con cui non è completamente a suo agio. Dice di aver notato che influencer con enorme seguito seguono lui e viene persino fermato per strada da gente che lo riconosce. Sua madre è preoccupata che possa diventare troppo visibile e che un giorno lo arrestino.

La piattaforma di Barq è cresciuta in un modo che non aveva assolutamente previsto ed è grato che gli permetta di raggiungere più persone che sostengono la causa palestinese. Ma ha dei problemi con il nuovo ruolo pubblico che la piattaforma gli ha conferito: “Ho paura che resterò congelato per sempre in quest’immagine di attivista palestinese. Voglio fare altre cose nella mia vita, non rimanere intrappolato nel mondo dell’occupazione,” dice. “Vivo un conflitto interiore.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




I residenti di Sheikh Jarrah rifiutano l’accordo con i coloni

 I residenti di Sheikh Jarrah rifiutano l’accordo “tirannico” con i coloni

I residenti di Sheikh Jarrah hanno respinto una proposta della Corte Suprema israeliana che li avrebbe resi “inquilini protetti” nelle loro stesse case e avrebbe aperto la strada a future evacuazioni da parte dei coloni israeliani.

 Yumna Patel  

 2 novembre 2021 Mondoweiss

 

Martedì i residenti di Sheikh Jarrah hanno annunciato che avrebbero respinto la proposta della Corte Suprema israeliana che li avrebbe resi “inquilini protetti” nelle loro stesse case, aprendo la strada a future evacuazioni delle loro famiglie da parte dei coloni israeliani.

Dopo aver mancato all’inizio di quest’anno di pronunciarsi in merito all’appello delle famiglie contro gli sgomberi, la Corte Suprema ha presentato ad agosto una proposta di “compromesso” tra le famiglie palestinesi e Nahalat Shimonim, l’organizzazione di coloni che cerca di sfrattarli dalle loro case.

L’accordo mirava a dichiarare i residenti palestinesi “inquilini protetti”, che avrebbero pagato un canone annuo di 2.400 shekel (750 dollari) all’organizzazione dei coloni per poter rimanere nelle loro case.

Accettare lo status di residenti protetti riconoscerebbe in effetti la proprietà della terra ai coloni, una condizione che i residenti hanno categoricamente rifiutato.

L’accordo offriva comunque ai residenti tale status solo per altre due generazioni, dopodiché le famiglie sarebbero state nuovamente costrette allo sfratto da parte di Nihalat Shimonim, che sostiene che la terra appartenga a coloni ebrei.

“È ora che la nostra Nakba finisca”

In una dichiarazione, le famiglie hanno definito la proposta un “accordo tirannico”, in cui la “espropriazione sarebbe comunque incombente e le nostre case sarebbero comunque considerate appartenere a qualcun altro”.

“Tali ‘accordi’ distraggono dal crimine in corso: la pulizia etnica perpetrata da una magistratura coloniale e dai suoi coloni”, afferma la dichiarazione.

Martedì, in conferenza stampa, Muna El-Kurd ha affermato che il rifiuto delle famiglie deriva “dalla convinzione della giustizia della nostra causa e dei nostri diritti alle nostre case e alla nostra patria”.

Le famiglie hanno accusato il tribunale di “eludere la responsabilità a pronunciarsi sul caso” e di costringere i residenti a prendere una decisione – qualcosa che secondo loro ha creato “l’illusione di essere noi ad avere la palla”.

Con il rifiuto delle famiglie, il tribunale dovrà ora pronunciarsi sulla causa di sfratto. Se la corte suprema deciderà a favore dei coloni, i residenti palestinesi del quartiere saranno allontanati con la forza dalle loro case e sostituiti dai coloni, una realtà che è già stata imposta a diverse famiglie di Sheikh Jarrah.

Il caso attuale riguarda solo quattro famiglie, ma una sentenza contro i residenti palestinesi aprirebbe la strada alla futura espulsione di più di una dozzina di altre famiglie di Sheikh Jarrah, anch’esse già sottoposte a ordini di sfratto.

La lotta delle famiglie di Sheikh Jarrah è piombata sulla scena mondiale all’inizio di quest’anno, attirando massicce proteste in Palestina e all’estero e l’attenzione dei leader mondiali.

Durante le proteste nel corso dell’estate, è stato documentato che le forze israeliane attaccavano violentemente i residenti locali e anche i giornalisti che seguivano gli eventi.

Sembrerebbe che la crescente attenzione internazionale che circonda Sheikh Jarrah abbia evitato per un po’ qualsiasi sgombero forzato, ma i residenti sostengono che occorre intraprendere un’azione effettiva per proteggerli.

“La comunità internazionale ha a lungo sostenuto che l’espansione dei coloni e l’espulsione forzata da Sheikh Jarrah sono crimini di guerra. Pertanto, deve rispondere a tali gravi violazioni del diritto internazionale con reali ripercussioni diplomatiche e politiche”, afferma la dichiarazione delle famiglie, aggiungendo che “la cultura dell’impunità non deve continuare”.

“È tempo che la nostra Nakba finisca”, hanno detto le famiglie. “Le nostre famiglie meritano di vivere in pace senza il fantasma incombente di un’imminente espropriazione”.

La Corte Suprema confisca terreni per il comune

Lunedì, in una sentenza separata, la Corte Suprema ha deciso di confiscare ai residenti di Sheikh Jarrah un pezzo di terra all’ingresso del quartiere e di consegnarlo alla municipalità israeliana di Gerusalemme.

Il terreno confiscato misura circa 4.700 metri quadrati e, secondo quanto riferito, dovrebbe utilizzarsi come terreno “pubblico” del comune.

In una dichiarazione a The New Arab, Hashem Salaymeh, membro del consiglio locale di Sheikh Jarrah, ha affermato che la decisione di confiscare la proprietà e consegnarla al comune è stata “estremamente dannosa” per la causa dei residenti.

“Questo manda il messaggio che Sheikh Jarrah è preso di mira da tutti gli attori israeliani: dal governo, dal comune e dai coloni privati. Questo rende il caso di Sheikh Jarrah ancora più complicato”, ha detto Salaymeh.

 

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)

 




Ebrei israeliani chiedono: Basta con l’apartheid israeliano. Lettera aperta alla comunità internazionale

#IsraelisAgainstApartheid

Agosto 2021

Noi, ebrei israeliani, ci opponiamo alle azioni del governo israeliano e quindi dichiariamo il nostro impegno ad agire contro di esse. Ci rifiutiamo di accettare il regime suprematista ebraico e chiediamo alla comunità internazionale di intervenire immediatamente in difesa dei palestinesi a Gaza, in Cisgiordania, a Gerusalemme, in Galilea, nel Negev, a Lydda, Giaffa, Ramleh, Haifa e in tutta la Palestina storica.

Il suprematismo ebraico è la pietra angolare del regime israeliano e il suo coerente obiettivo è espellere e cancellare il popolo palestinese, la sua storia e la sua identità nazionale. Questo obiettivo si manifesta in continui atti di pulizia etnica mediante sfratti e demolizioni di case, brutale occupazione militare, negazione dei diritti civili e umani ed emanazione di una serie di leggi razziste culminate nella legge Stato-Nazione, che definisce lo Stato come “lo Stato Nazione del popolo ebraico ”, e solo di quest’ultimo.

Tutto ciò costituisce di fatto un regime di apartheid che crea aree simili a bantustan e ghetti per le comunità native palestinesi. Crediamo che il sionismo sia un principio di governo non etico che porta intrinsecamente a un regime di apartheid razzista che per oltre settanta anni ha commesso crimini di guerra e negato ai palestinesi i diritti umani fondamentali. Tali crimini e violazioni includono: la distruzione di centinaia di città e villaggi e il loro spopolamento di 750.000 palestinesi nel 1948, impedendo nel contempo attivamente il ritorno dei rifugiati; l’espropriazione sistematica delle terre dei palestinesi e il loro trasferimento a proprietari ebrei sotto gli auspici dello Stato; l’occupazione della Cisgiordania, della Striscia di Gaza e delle alture del Golan e la messa in pratica di un regime militare colonizzatore, che governa su milioni di palestinesi; la graduale annessione dei territori occupati nel 1967 con una violenta operazione di ingegneria demografica; l’assedio in corso contro la Striscia di Gaza e i persistenti massacri della popolazione di Gaza da parte dell’aviazione israeliana; la persecuzione politica dei palestinesi in tutta la Palestina e l’incitamento in corso contro la leadership politica e la società in generale. Tutte queste atrocità hanno luogo a causa dell’impunità di cui Israele gode da parte della comunità internazionale e in particolare degli Stati Uniti.

Nelle ultime settimane, il governo israeliano ha aumentato i suoi tentativi di impossessarsi di case palestinesi a Gerusalemme Est (specialmente nel quartiere di Sheikh Jarrah) e ospitarvi coloni ebrei con l’obiettivo di completare l’ebraizzazione della città iniziata nel 1967. Durante il mese di Ramadan le forze israeliane hanno intensificato il loro violento assalto al complesso della moschea di Al Aqsa, dando ai coloni il via libera per vandalizzare e aggredire fisicamente i palestinesi in Cisgiordania, Gerusalemme e in tutti i territori del ’48. Folle di coloni agiscono sotto l’egida della polizia israeliana e in coordinamento con essa. I media israeliani stanno partecipando alla sfrenata istigazione contro i cittadini arabi di Israele. Di conseguenza, le bande di ebrei godono dell’impunità per la loro violenza, mentre centinaia di cittadini palestinesi di Israele vengono arrestati per aver protetto le proprie case e comunità, o semplicemente per essere stati nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Di tanto in tanto Israele commette un ulteriore massacro contro la popolazione del ghetto di Gaza, rifiutando iniziative e proposte di cessate il fuoco con le organizzazioni palestinesi nella Striscia di Gaza e continuando con la distruzione di quartieri residenziali nella Striscia di Gaza e con il brutale assedio imposto contro circa due milioni di persone.

Come individui che si trovano dalla parte dell’oppressore e che hanno cercato per anni di spostare l’opinione pubblica in Israele al fine di cambiare dalle fondamenta l’attuale regime, siamo da molto tempo giunti alla conclusione che è impossibile cambiare il regime suprematista ebraico senza un intervento esterno.

Chiediamo alla comunità internazionale di intervenire immediatamente per fermare le attuali aggressioni israeliane, di accogliere le richieste del movimento palestinese per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni, di agire per l’attuazione del diritto al ritorno dei palestinesi e per realizzare la giustizia storica, di raggiungere una soluzione giusta e democratica per tutti, basata sulla decolonizzazione della regione e sulla fondazione di uno Stato di tutti i suoi cittadini.

(Traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)

#IsraelisAgainstApartheid

  1. Ruchama Marton

  2. Reuven Abergel

  3. Anat Matar

  4. Orly Noy

  5. Yehouda Shenhav

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  7. Moshé Machover 

  8. Rela Mazali

  9. Prof. Emmanuel Farjoun

  10. Ronit Lentin

  11. Marcelo Svirsky

  12. Hannah Safran

  13. Michel Warshawski

  14. Jeff Halper

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  189. Sigal Ronen

  190. Merav Devere

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  197. Abo Kouder Gaber

  198. Ur Shlonsky

  199. Rachel Giora

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  212. Dror Dayan

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  268. Eran Efrati

  269. Zohar Weiss

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  273. Dana Dahdal

  274. Zvi Gaster

  275. Raz BDV

  276. Emad Housary

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  281. Hadar Kleiman

  282. Talma Bar-Din

  283. Orit Friedland

  284. Tali keren

  285. Oded Carmi

  286. Hadas Rivera-Weiss

  287. Avi Blecherman

  288. Lior wachtel

  289. Avi Greenman

  290. Dina Leibermann

  291. Zurqab Razaq

  292. Tamir Sorek

  293. Oded Jacob

  294. Itamar Avraham Cohen Scali

  295. Chen Israel

  296. Rand Warren Aronov

  297. Gila Avni

  298. Bekah Wolf

  299. Alon Lapid

  300. Ehud Kotegro

  301. Entissar kharoub

  302. Lotem Zabinski

  303. Shai Carmeli Pollak

  304. Yael Admoni

  305. Hen Levi

  306. Shahar Tsameret

  307. Elik Nir

  308. Nir Nader

  309. Zoe Gutzeit

  310. Ossi Ron

  311. Raanan Alexandrowicz

  312. Sima Sason

  313. Ehud Sivosh

  314. Elías Deik Halabi

  315. Ben Gershovitz

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  325. David Nir

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  331. Anat Biletzki

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  333. Michael Kaminer

  334. Yaffit Windler

  335. Maya Wind

  336. Max Somerstein

  337. Hillel Barak

  338. Yaron Ben-Haim

  339. Ori Goldberg

  340. Milan Shiff

  341. Sivan Ben-Hayun

  342. Elana Wesley

  343. Tali Baram

  344. Hannah Goldman

  345. Ronen Meshulam

  346. Rotem Bahat

  347. Toviel Rose

  348. Miriam Meir

  349. Sivan Tal

  350. Naama Golan

  351. Ruth Lackner Hiller

  352. Afia Begum

  353. Gaia Beirak

  354. Assa Doron

  355. Ze’ev Ionis

  356. Mira Khazzam

  357. Matan S. Cohen

  358. Smadar Carmon

  359. Amira Tasse

  360. Shelly Yosha

  361. Tal Frieden

  362. Shai Shabtai

  363. Leah Even Chorev

  364. Reva Damir

  365. Iris Stern Levi

  366. Wael Sayej

  367. Ronit Marian Kadishay

  368. Freda Guttman

  369. Diana Dolev

  370. Annelien Kisch-Kroon

  371. Debbie Eylon

  372. Galit Eilat

  373. Daniel Gagarin

  374. Eyal Mazor

  375. Yael Messer

  376. Omri Goren

  377. Rachel Hayut

  378. Daphne Banai

  379. Nadav Harari

  380. Kamal Manzur

  381. Meital Yaniv

  382. Yudit Yahav

  383. Elisheva Gavra

  384. Dalia Sachs

  385. Angela Godfrey-Goldstein

  386. Shlomo Perets

  387. Idit Nathan

  388. Haim Yacobi

  389. Edna Gorney

  390. Hilla Kerner

  391. Naomi Raz

  392. Nir Lutati

  393. Daniel Ayzenberg

  394. Hava halevi

  395. Rona Sela

  396. Racheli Bar-Or

  397. Ruti Kantor

  398. Ayelet ophir

  399. Noki Olchovski

  400. Nina Jawitz

  401. Ma’ayan Levi

  402. Effi Ziv

  403. Reshef Agam-Segal

  404. Rami Heled

  405. Dalit Fresco

  406. Mirit Barashi

  407. Ido Even Paz

  408. Yoel Lion

  409. Michal Margaliot

  410. Tali Bromberg

  411. Sharon Cohen

  412. Hilla Bar-om

  413. Yuval Tenenbaum

  414. Lilit Bartana

  415. Gilad Nir

  416. Yael Gvirtz

  417. Namer Golan

  418. Ofir Shahar

  419. Maya Herman

  420. Guy Ronen

  421. Gidon Raz

  422. Ron Barkai

  423. Assaf Rotman

  424. Aaron Turgeman

  425. Asaf Ronel

  426. Nurit Peled-Elhanan

  427. Mia Perelmuter

  428. Sarit Tamura

  429. Or Glicklich

  430. Roni Meyerstein

  431. Ofra Hoffman

  432. Eran Razgour

  433. Shai Gortler

  434. Jacob Katriel

  435. Ofer Shinar Levanon

  436. Heidi Stern

  437. Orly Dumitrescu

  438. Rotem Levin

  439. Atalia Omer

  440. Yossi Shabo

  441. Michal Schwartz

  442. Itay Snir

  443. Roy Wagner

  444. Ella Gur

  445. Hadar Solomon

  446. Esther Bar Nathan

  447. Jonathan Preminger

  448. Moria Rabbani

  449. Yeela Lahav Raz

  450. Miriam Turmalin

  451. Tuly Flint

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  467. Nadav David

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  472. Mazal Etedgi

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  491. Yakov Pipman

  492. Netta Toledano

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  494. Noa Bar Hain

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  508. Michal Gabay

  509. Lea Pipman Dotan

  510. Yotam Ben Meir

  511. Kochav Shachar

  512. Haim Scortariu

  513. Dotan Moreno

  514. Gaya Feldheim Schorr

  515. Ariel Koren

  516. Layla Natour

  517. Maayan Iyar Averbuch

  518. Gilad Ben David

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  520. Itai Vonshak

  521. Matan Sandler Tadmor

  522. Hagit Borer

  523. Sharon Shmuel

  524. Yosefa Loshitzky

  525. Noga Emuna Avisar

  526. Aya Kook

  527. Gabriel Schubiner

  528. Elham Rokni

  529. Tamar Goldschmidt

  530. Avigail y. Zeleke

  531. Ofer Tisser

  532. Revital Madar

  533. Elana Lakh

  534. Zohar Regev

  535. Elana Summers

  536. Chava Finkler

  537. Sharon Orshalimy

  538. Guy Elhanan

  539. Michal Schendar

  540. Shir Darwin Regev

  541. N.Nur Zahor

  542. Ori Rom

  543. Noa Schwartz

  544. Anita S. Maroun

  545. Hani Abramson

  546. Glick Moshe

  547. Ortal Mizrahi

  548. Noam Schechter

  549. Yulie Cohen

  550. Eviatar Bach

  551. Amnon Keren

  552. Ella Levenbach

  553. Omer Shokron

  554. Shira Shvadron

  555. Gadi Schnitzer

  556. Natalie Rothman

  557. Ron Cohen

  558. Michal Halevy

  559. Shelly Mehari

  560. Andrea Koverman

  561. Ira Perelson

  562. Aviv Liplis

  563. Syed Fatima Hossain

  564. Yoav haas

  565. Vardit Goldner

  566. Nitzan Lebovic

  567. Nomi Drory

  568. Sivan Barak

  569. Gabriela Vollick

  570. Avi Incisiker Cohen

  571. Raya Fidel

  572. Maya Ober

  573. Itamar Feigenbaum

  574. Agan Tsabari

  575. Ronit Milo

  576. Lenny Lapon

  577. Alon Stotter

  578. Yael Kahn

  579. Moran Barir

  580. Omri Haven

  581. Felix Laub

  582. Daniella Aperlev

  583. Sarah Shapiro

  584. Yvonne Deutsch

  585. Itamar Stamler

  586. Lia Tarachansky

  587. Naava Weiner

  588. Daniella Krishevsky

  589. Efrat Levy

  590. Howard Cohen

  591. Daniel Flexer

  592. Victor Herstigg

  593. Julie Weinberg-Connors

  594. David L. Mandel

  595. Hanan Offner

  596. Ayelet Ben-Yishai

  597. Itay Sapir

  598. Nizan Weisman

  599. Bryan Atinsky

  600. Naama Or

  601. Talia Krevsky

  602. Mali Assaf

  603. Tom Sela

  604. Maya Mukamel

  605. Sigal Oppenhaim Shachar

  606. Elizabet Freund

  607. Yossi Cohen

  608. Itzik Gil

  609. Nomi Shir

  610. Haitham Salim

  611. Simma Chester

  612. Omri Cohen

  613. Gil Mualem-Doron

  614. Erez Moshe Amit

  615. Ehud Tamuz

  616. Tom Koren

  617. Rachel Milstein

  618. Gil Freund

  619. Yael Shein

  620. Rechavia Berman

  621. Shoshana Kahn

  622. Tania Jones

  623. Christoph Bugel

  624. Gaby Ron

  625. Mieka Polanco

  626. Naomi Lyth

  627. Ruth Noemi Pragier

  628. Tali Harkavi

  629. Danielle zini

  630. Mohammed Patel

  631. Yam-Nir Bejerano

  632. Sara Almog

  633. Susan Ettinger

  634. David Miller

  635. Michal David

  636. Yana Knopova

  637. Omer Shamir

  638. Simeon S. Jacob

  639. Ruth Sevack

  640. Lee Hemminger

  641. Jonatan Israel

  642. Nora Gottlieb

  643. Roni Roseman

  644. Omer Sharir

  645. Mijal Kimel

  646. Ilya Ziblat Shay

  647. Lian Malki-Schubert

  648. Aviv Nitsan

  649. Valerie Malki

  650. Omar Mahmoud

  651. Oz Malul

  652. Yael Edri

  653. Amir Zloof

  654. Sirah Foighel

  655. Keren Manor

  656. Eli Aminov

  657. Abigail Yanow

  658. Hagit Zohara M

  659. Daphna Thier

  660. Maya Lerman

  661. Yuula Benivolski

  662. Shlomit Altman

  663. Ivy Sichel

  664. Anael Resnick

  665. Tamar Sarfatti

  666. Irit Halperin

  667. Yaar Koren

  668. Ada Bilu

  669. Julieta Kriger

  670. Jackie Yarosky

  671. Uri Rodberg

  672. Mohammedi Fatima

  673. Maayan Priel

  674. Hadas Kedar

  675. Michal Peleg

  676. Hava Lerman

  677. Tal Nitzan

  678. Einat Amir

  679. Mia Kerner

  680. Gil Schneider

  681. Tzvia Thier

  682. Marina Ergas

  683. Irit Halavy

  684. Shahar Shnitzer

  685. Ibrahim Hawash

  686. Avishay Halavy

  687. Raphael Cohney

  688. Eran Stoler

  689. Dafi Cramer

  690. Or Gerlitz

  691. Anat Natasha Camran

  692. Hadas Thier

  693. Shachar Camran

  694. Dr. Ariela Bairey Ben Ishay

  695. Sr. Mary Beth Orr

  696. Oren Yehosha

  697. Rebecca Maria Goldschmidt

  698. Ohal Grietzer

  699. Mauricio Calderón F

  700. Nir Harel

  701. Yahav Erez

  702. Oz Marinov

  703. Zohar Alon

  704. Yiskah Bashevis

  705. Ilan Blumberg

  706. Amit Perelson

  707. Sarah Shartal Levinthal

  708. Simcha Stecklov

  709. Noga Elhassid

  710. Elia Koutavas

  711. Esther Kingston-Mann

  712. Mohd Isa Maaroff

  713. David Pollack

  714. Rina King

  715. Batya Gil Margalit

  716. Tamar Verete

  717. Tami Gold

  718. Khalil Toama

  719. Aviva Wexler

  720. Tamar Dover

  721. Hester Eisenstein

  722. Hamutal Fishman

  723. Shlomit Yerushalmi

  724. Dina Afek

  725. Avigail Yanow

  726. Dani Wachsmann

  727. Vered Keasar

  728. Ahmad Awad

  729. Adi Raz

  730. Shimrit Karni

  731. Lilach Ram Chupak

  732. Tamar Zamir

  733. B.H. Yael

  734. Dr. Amir Locker-Biletzki

  735. Jessica Falstein

  736. Yael Vishnizki-Levi

  737. Mela Itzhaki

  738. Shira Bitan

  739. Shir Hever

  740. Orna Meir

  741. Noa Moguillansky

  742. David Gilad

  743. Syeda Afia Sarah Hossein

  744. Hen Magen

  745. Shelli Ben Shachar

  746. Noa Poliakin Dotan

  747. Yossi Farjoun

  748. Uzi Nitsan

  749. Maya Azran

  750. Rotem Anna Diamant

  751. Rotem Linial

  752. David Cohen

  753. Shahar Zaken

  754. Yael Ben-Chaim

  755. Netanel Ben Yarden

  756. Bar Maor Neeman

  757. Ayelet Desta

  758. Ari Gold

  759. Ofra Ben Artzi

  760. Gioia Morris

  761. Layla Klinger

  762. Adi Savran

  763. Ari Gutman

  764. Sarah kashlan

  765. Sahar Khalil

  766. Gabriela Zappi

  767. Rann Bar-On

  768. Eitan Bronstein

  769. Michal Shalva

  770. Safeyah Levy

  771. Shiraz Grinbaum

  772. Sigal Kook Avivi

  773. Nizan Shaked

  774. Elimelech Dror

  775. Pnina Grietzer

  776. Dror Feiler

  777. David Tsinovoy

  778. Asma Daragmeh

  779. Imad Sayeed

  780. Yasmin Eran-Bardi

  781. Yael Plat

  782. Tal Gilad

  783. Omer Krieger

  784. Ofer Engel

  785. Omri Eran Vardi

  786. Shelley Sella

  787. Gili Lavy

  788. Gadi Cohen

  789. Alisa Klein

  790. Eden Mitsenmacher

  791. Meshulam Plaves

  792. Noa Assido

  793. Rubén Kotler

  794. Oreet Ashery

  795. Sigal Flint

  796. Yonah Gabbai

  797. Shira Inbar

  798. Orit Levy

  799. Roee Rosen

  800. Alma Ben Yossef

  801. Karen Russo

  802. Ilan Dadon

  803. Hadar Ben-Simon

  804. Ofer Gazit

  805. Michal Zak

  806. Dori Tal

  807. Maytal Strul

  808. Alma Halpern

  809. Ophir Gilad

  810. Udi Pladott

  811. Daniel Shaya

  812. Shlomo Regev

  813. Arie David Plat

  814. Zehava Greenfeld

  815. Sharon Mantel

  816. Shlomi Fogel

  817. Daniela Ma-yafit

  818. Anka Schneidermann

  819. Tal Iungman

  820. Maya Guttmann

  821. Naomi Kallner

  822. Osama Zatar

  823. Adi Ben Yaccov

  824. Carmit Wolberg

  825. Liat Fassberg

  826. Merav Amir

  827. Keren Samuel Dalach

  828. Noga inbar

  829. Yeheli Cialic

  830. Einat Walter

  831. Rivka Warshwsky

  832. Nait Rosenfelder

  833. Adi Maoz

  834. Michal Ben-Gera

  835. Irit Reinheimer

  836. Debby Lerman

  837. Lillian Rosengarten

  838. Aviva Konforty

  839. Tai Shani

  840. Hannah Kessler

  841. Henry Lowi

  842. Yoram Gelman

  843. Noa Farbstein

  844. Yael Tal-Barzilai

  845. James Marks

  846. Miriam Marmur

  847. Daniel Alexander Machover

  848. Yaar Peretz

  849. Marc Volovic

  850. Nufar Shimony

  851. Elana Golden 

  852. Tamir Lederberg

  853. Omer Katz

  854. Abe Hayeem

  855. Michael Schell

  856. Adam Shulman

  857. Sagi Raveh

  858. Tamar Gordon

  859. Orit Loyter

  860. Guy Oron

  861. Bracha Flicoteaux

  862. Roni Wang

  863. Nina Sodin

  864. Irit Sela

  865. Dalia Hager

  866. Hili Razinsky

  867. Alex Nissen

  868. Rivka Vitenberg

  869. Sarah Magen

  870. Shelly Nativ

  871. Yehudit Yinhar

  872. Gal Lugassi

  873. Matan Prezma

  874. Nomi Erteschik-Shir

  875. Elya Kravtsov

  876. Rachel Freudenthal

  877. Sophie Paulay

  878. Edna Kadman

  879. Michal Kaiser-Livne

  880. Elinor Azari

  881. Adi Shechter

  882. Anna Aharon

  883. Roni Sharabi

  884. Nora Bendersky

  885. Lior Elefant

  886. Avshalom Rov

  887. Daniel Shoshan

  888. Nir Falah

  889. Rachel Algazi

  890. Yara Agbaria

  891. Raz Weiner

  892. Nadia Jona

  893. Noga Spector

  894. Ofek Taragan

  895. Varda Heled

  896. Avi-ram Tzoreff

  897. Ronen Skaletzky

  898. Ron-Ethan Melamed

  899. Tal Marom

  900. Erella Shadmi

  901. Iftach Starik

  902. Sine Gadot

  903. Matan Golan

  904. Pepe Goldman

  905. Nabil Alfayoumi

  906. Gilad Paz

  907. Amit Salomon

  908. Iftach Shavit

  909. Batel Glor

  910. Yael Koren

  911. Mordechai Shilo

  912. Daphna Shochat

  913. Zuraya Hadad

  914. Yael Shoham

  915. Aharon Michael Keiser

  916. Daniel Avi Schneider

  917. Nitzan Marinov

  918. Rachel Barlow

  919. Gilad Ben Ari

  920. Talia Zohar

  921. Noga Kadman

  922. Ruben Serroussi

  923. Dafna Lichtmam

  924. Alma Itzhaky

  925. Ira Avneri

  926. Naor Ben Yehoyada

  927. Tamar Katriel

  928. Dochy Lichtensztajn

  929. Noa Shuval

  930. Ree Levin

  931. Ilana Zabari

  932. Jonathan Ofir

  933. Ayelet Chen

  934. Dov Caller

  935. Maya Goldman

  936. Ophir Hodel

  937. Rivka Pearl Etkin

  938. Rona Sela

  939. Tamar Fortuna

  940. Yifat Susskind

  941. David Opp

  942. Aviad Albert

  943. Cindy Goldstein

  944. Elhanan Lax

  945. Aryeh Shomron

  946. Shlomit Altman

  947. Nirit Sommerfeld

  948. Rotem Sudman

  949. Dror Dayan

  950. Dorit Shippin

  951. Veronica Hamutal

  952. Eyal Vexler

  953. Adi Lustigman

  954. Tally Gur

  955. Ofira Henig

  956. Shmuel Binyamin

  957. Diego Lewin

  958. Taliah Pollack

  959. Dror Sprung

  960. Inbar Birak

  961. Ben Ronen

  962. Daniel Solomon

  963. Alison Carmel

  964. Vardit Goldner

  965. Racheli Said

  966. Omri Najad

  967. Maya Eshet

  968. Nurit Dreamer

  969. Ofra Danon

  970. Tomer Avrahami

  971. Shimon Azulay

  972. Einav Kaplan Raz

  973. Noam Ben Chorin

  974. Eyal Hareuveni

  975. Shaked Kaufmann

  976. Irena Shofaniyeh 

  977. Iddo Naiss

  978. Asaf Bass

  979. Hillel David Greenwald

  980. Maayan Levi

  981. Asher Fried

  982. Asia Weksler

  983. Nadia Jona

  984. Itai Feitelson

  985. Hedva Isachar

  986. Ruth Erez

  987. Yossi Zabari

  988. Rina Goren

  989. Tali Bromberg

  990. Hillai Peli

  991. Goni Raz

  992. Shai Tal

  993. Guy Sapirstein

  994. Shahar Or

  995. Odelia Toder

  996. Neria Biala

  997. Ilana Meystelman

  998. Naor Urian

  999. Asaf Achai

  1000. Lior Kariel

  1001. Talia Vekshtein

  1002. Efrat Noy

  1003. Ruthie Ginsburg

  1004. Haya Livne

  1005. Daphna Ganor

  1006. Nama Landau

  1007. Daniela Darvasi

  1008. Mati Kroin

  1009. Ofir Sovan

  1010. Doron Orr

  1011. Alona Amram

  1012. Yuval Tirosh

  1013. Ron Amit

  1014. Emmanuel Jakob Auerbach

  1015. Yuval Benari

  1016. Dafna Saporta

  1017. Maayan Shtendel

  1018. Hila Amar

  1019. Oded Zinger

  1020. Shirli Tepper

  1021. Daniella Kaufman

  1022. Zohar Peled

  1023. Liane Rosenthal

  1024. Eitan Shaag

  1025. Daniel Jacobowitz

  1026. Guy Meltzer

  1027. Nirit Haviv

  1028. Oren Elbaz

  1029. Efrat Bella Levy

  1030. Sabi Yafffa

  1031. Eddie Saar

  1032. Maya Rizov

  1033. Galia Chai

  1034. Addi Ilan

  1035. Tammy Avichail

  1036. Diana Gilon

  1037. Tamara Pratt

  1038. Erin Toledano Farajov

  1039. Dora Lavie

  1040. Fanny Prizant

  1041. Yakov Horn




La Corte israeliana rinvia l’appello contro le espulsioni di Sheikh Jarrah

2 Agosto 2021 – Al Jazeera

Le famiglie palestinesi respingono la proposta della Corte di rimanere nelle loro case come “inquilini protetti”, se riconoscono la proprietà israeliana

La Corte Suprema di Israele ha rinviato la decisione su un appello da parte di quattro famiglie palestinesi contro l’espulsione forzata dal quartiere di Sheikh Jarrah nella Gerusalemme est occupata, in quanto le famiglie affermano di aver respinto una proposta della Corte di rimanere nelle case come “inquilini protetti”, riconoscendo però la proprietà israeliana.

Il caso esaminato lunedì riguardava quattro famiglie palestinesi, per un totale di circa 70 persone.

I tribunali israeliani di prima istanza hanno approvato le espulsioni delle quattro famiglie per far posto a coloni israeliani. Hanno sentenziato che le loro case sono state costruite su terreni di proprietà di ebrei prima della fondazione di Israele nel 1948.

Ma, tenendo conto del ricorso di ultima istanza da parte dei residenti, la Corte ha proposto un accordo che concederebbe loro lo status di “inquilini protetti”, che riconoscerebbero la proprietà israeliana delle case e pagherebbero un affitto annuale simbolico, ma le famiglie lo hanno rifiutato.

Il giudice Isaac Amit ha richiesto ulteriore documentazione e ha detto: “Renderemo nota una decisione più avanti”, ma non ha fissato una data.

Hoda Abdel-Hamid di Al Jazeera, riferendo dal tribunale di Gerusalemme ovest, ha detto che il giudice ha offerto alle famiglie palestinesi l’opzione di firmare un documento che attesta che la terra appartiene ai coloni israeliani.

In cambio avrebbero una locazione garantita nella casa per le prossime tre generazioni”, ha detto Abdel-Hamid.

Ci hanno fatto forti pressioni per raggiungere un accordo con i coloni israeliani, in cui noi saremmo affittuari delle organizzazioni di coloni”, ha detto Muhammad al-Kurd, membro di una delle quattro famiglie al centro della disputa.

Ovviamente questo accordo è stato respinto”, ha detto.

Anche Sami Ershied, un avvocato che rappresenta le famiglie palestinesi, ha detto a Al Jazeera che la proposta era inaccettabile.

Finora non abbiamo ricevuto un’offerta che fosse abbastanza equa e tutelasse i diritti dei residenti. Perciò non abbiamo aderito ad alcun compromesso”, ha affermato Ershied.

Però ha detto che l’udienza è stata “un buon passo avanti”.

I giudici hanno detto che ci convocheranno ad una seconda udienza. Non hanno ancora respinto il nostro appello: questo è un buon segno”, ha detto.

Speriamo che i giudici continuino ad ascoltare le nostre argomentazioni e prendano in considerazione tutti i nuovi dettagli che abbiamo fornito loro e alla fine prendano una decisione favorevole ai residenti di Sheikh Jarrah”, ha affermato.

Ershied ha aggiunto che la Corte deciderà quando fissare la prossima udienza e che essa si potrebbe svolgere in un arco di settimane o mesi.

Lunga battaglia legale

Era previsto che la Corte Suprema emettesse una sentenza a maggio, ma ha rinviato la decisione dopo che il procuratore generale ha richiesto più tempo per esaminare i casi.

La minaccia delle espulsioni ha scatenato proteste che hanno subito una dura repressione da parte delle forze di sicurezza israeliane in aprile e maggio ed hanno messo alla prova la nuova coalizione di governo israeliana, che comprende tre partiti favorevoli alle colonie ed un piccolo partito che rappresenta i palestinesi cittadini di Israele. Per amor di unità, il governo ha cercato di accantonare le questioni palestinesi per evitare divisioni interne.

Settimane di disordini –caratterizzati dalle violente tattiche della polizia israeliana contro gli abitanti e i dimostranti che li sostenevano – hanno attirato l’attenzione internazionale prima degli 11 giorni di bombardamenti israeliani sulla striscia di Gaza assediata a maggio.

Il 21 maggio è entrato in vigore un cessate il fuoco, ma la campagna di lunga durata dei coloni israeliani per cacciare decine di famiglie palestinesi è continuata.

I coloni hanno condotto una campagna di decenni per espellere le famiglie dai quartieri palestinesi densamente popolati appena fuori dalle mura della Città Vecchia, in una delle aree più sensibili della Gerusalemme est occupata.

I coloni hanno sostenuto che le case erano costruite su terreni di proprietà di ebrei prima della guerra del 1948, quando fu creato Israele. La legge israeliana consente agli ebrei di reclamare tale proprietà, diritto negato ai palestinesi che hanno perso terra e case nello stesso conflitto.

La Giordania ha avuto il controllo su Gerusalemme est dal 1948 al 1967. Le famiglie divenute rifugiate durante la guerra del 1948 hanno detto che le autorità della Giordania hanno offerto loro le case in cambio della rinuncia allo status di rifugiati.

Israele ha occupato Gerusalemme est, insieme alla Cisgiordania e Gaza, nel 1967 e la ha annessa con un’iniziativa non riconosciuta a livello internazionale. La soluzione di due Stati concepita dagli Accordi di Oslo del 1993 considerava le tre aree parte di uno Stato palestinese.

Nel 1972 gruppi di coloni dissero alle famiglie che stavano sconfinando su terra di proprietà di ebrei. Fu l’inizio di una lunga battaglia legale che negli ultimi mesi è culminata in ordini di espulsione contro 36 famiglie di Sheikh Jarrah e altri due quartieri di Gerusalemme est occupata.

Associazioni per i diritti hanno affermato che anche altre famiglie sono a rischio, stimando che più di 1.000 palestinesi rischiano di essere espulsi.

Qualunque sarà la sentenza del giudice sia per i coloni che per le famiglie palestinesi, essa darà il segnale di ciò che avverrà in seguito”, ha detto Abdel-Hamid.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)

 




Gli israeliani che sfidano le politiche antipalestinesi della sinistra tedesca

Mati Shemoelof

21 luglio 2021 – +972 magazine

Rifiutando l’orientamento filo-israeliano della sinistra tedesca un gruppo di ebrei israeliani di Lipsia sta sostenendo i palestinesi contro gli attacchi al loro attivismo.

Quando nel 2019 Michael Sappir si è trasferito a Lipsia, in Germania, aveva intenzione di partecipare alle attività della sinistra locale. Ma in quanto ebreo israeliano che ha passato anni in patria a militare contro l’occupazione israeliana è rimasto sorpreso di scoprire che spesso essere di sinistra in Germania significa essere schierato con lo Stato di Israele e partecipare ad attacchi violenti contro i sostenitori della causa palestinese.

Egli afferma che questi attacchi in città vengono per lo più da attivisti legati o ispirati da “Antideutsch” [Antitedesco], un movimento che fa tradizionalmente parte della sinistra radicale tedesca, ma che sta incondizionatamente dalla parte di Israele. Per Sappir la contraddizione tra i presunti valori della sinistra tedesca e sua posizione errata sui diritti dei palestinesi doveva essere affrontata.

Per questo Sappir, uno scrittore che sta conseguendo una laurea in filosofia e collabora con +972 Magazine, ha contribuito a fondare una nuova rete di ebrei israeliani di sinistra in Germania chiamata “Dissenso ebreo israeliano a Lipsia – JID”, che offre uno spazio agli attivisti ebrei per dimostrare solidarietà ai palestinesi nel criticare l’indiscusso appoggio della Germania a Israele.

Ho parlato con Sappir per la prima volta prima delle violenze scoppiate in Israele-Palestina a maggio e di nuovo un mese dopo riguardo alla creazione di JID, alla dannosa influenza di “Antideustch” a Lipsia, al fatto che la Germania mette a tacere l’attivismo filo-palestinese e al fatto di organizzarsi insieme ai palestinesi a Lipsia.

Chi ha dato vita alla rete di attivisti Jewish Israeli Dissent a Lipsia?

Ho formato il gruppo con pochi altri ebrei israeliani, la maggior parte dei quali erano politicamente attivi in Israele. Ho iniziato la scorsa estate dopo un incidente con il progetto locale di un collettivo femminista, in cui un piano dell’edificio (dove hanno la loro sede) è previsto per donne BIPOC [cioè black, indigenous e people of color, nere, indigene e di colore, ndtr.] e migranti e l’altro piano è per chiunque, per lo più tedeschi bianchi.

In pratica una rifugiata siriana è stata accusata di antisemitismo per aver criticato Israele. È stato un grande dramma, che ha incluso un comportamento minaccioso nei suoi confronti. È finita che molte donne migranti se ne sono andate.

La parte filo-israeliana l’ha avuta vinta ed ha fatto andare via le persone che volevano parlare di questo. Nella casa si è deciso di non parlare di Israele e di antisemitismo. Alcuni di noi ne hanno sentito parlare e sono rimasti orripilati.

Quindi nel luglio 2020 abbiamo deciso di organizzare un pomeriggio chiamato “Chiedeteci qualsiasi cosa”. È stata organizzata in particolare perché dei tedeschi ascoltassero il punto di vista della sinistra israeliana. Poi abbiamo deciso che avevamo bisogno di qualcosa per continuare, compreso un sito web e un nome con cui potessimo pubblicare reazioni alle cose che succedevano in città.

Quante persone ci sono nella vostra rete? Chiunque vi può partecipare?

Al momento siamo in sei. La rete è aperta a chiunque sia cresciuto in Israele e condivida i nostri principi. In termini israeliani ciò significa una prospettiva di sinistra che condivida le critiche alla storia di Israele. Se nuovi membri si vogliono unire a noi non possono dire che tutto andava bene fino al 1967 (l’inizio dell’occupazione israeliana della Cisgiordania, della Striscia di Gaza e delle Alture del Golan). Siamo molto critici riguardo a quello che è avvenuto prima.

Scegliere in nome “JID” sembra un richiamo alla parola “Yid”, un soprannome storicamente offensivo degli ebrei nell’Europa dell’est e in Russia.

Abbiamo discusso parecchio di questo. Sì, si tratta di un richiamo intenzionale, ma abbiamo capito che in effetti si sono trovate alcune interpretazioni diverse del termine. C’è la parola dell’Europa orientale “yid” – che in alcuni Paesi è un modo neutrale per dire “ebreo” e in altri è un insulto antisemita – a cui non avevamo pensato. In Paesi anglofoni in cui sono arrivate persone che parlavano in yiddish, esse chiamavano se stesse “yid”, ma quello è anche diventato (in seguito) un termine spregiativo per ebrei. Nella stessa Germania chi parlava yiddish si riferiva a se stesso come “yid”, però chi parla tedesco oggi non ha mai sentito questo termine prima. Abbiamo deciso che ci stava bene richiamarlo.

Quali sono i principali obiettivi dell’organizzazione?

Stiamo cercando di aprire uno spazio per voci come le nostre e per gente come noi, e soprattutto per i palestinesi, perché vediamo che ce n’è veramente poco per parlare di questi problemi da un punto di vista critico. È anche una questione per rafforzare noi stessi e altri, perché la sinistra a Lipsia aderisce al movimento Antideutsch. Ciò può essere molto escludente. Quando sono arrivato qui volevo proprio impegnarmi (nella sinistra), ma non è stato possibile perché c’erano troppe bandiere israeliane.

Cos’è Antideutsch?

Antideutsch è un movimento che viene dalla sinistra radicale tedesca che si concentra sull’appoggio incondizionato a Israele. A Lipsia sono dei fanatici. Alcuni non sono neppure più nella sinistra. La maggior parte di loro è vista come parte di “Antifa” [gruppo della sinistra radicale di origine statunitense, ndtr.]. E proprio come Antifa si oppone ai nazisti, Antideutsch-Antifa cerca di utilizzare le stesse tattiche contro chiunque veda come contestatore di Israele.

I gruppi antifascisti controllati da Antideutsch si oppongono alla solidarietà con i palestinesi nello stesso modo in cui si opporrebbero ai neo-nazisti: documentano tutto quello che fanno, a volte li minacciano individualmente, cercando di bloccare manifestazioni, mobilitando persone di sinistra per contro-manifestazioni. Passano un sacco di tempo in rete ad accusare gli attivisti solidali [con i palestinesi ndtr.] e a “spiegare” (spesso con argomenti dell’hasbara [la propaganda israeliana, ndtr.]) perché questo o quel gruppo o persona sia un pericoloso antisemita.

Fanno parte di un qualche partito?

Ci sono tendenze Antideutsch in tutta la sinistra, non si limitano a un partito o movimento. Di fatto oggi pochissime persone si considerano Antideutsch: alcuni si definiscono “ideologiekritisch” (critici dell’ideologia) e ce ne sono ancor di più che sono influenzati dalle loro idee ma che non fanno esplicitamente parte del movimento.

Come li contrastano i non sionisti e i palestinesi di Lipsia?

A Lipsia i palestinesi e le persone che solidarizzano con loro hanno difficoltà persino a protestare in pubblico. Gruppi Antideutsch sono riusciti a costringerli al silenzio. Ma ora c’è la sensazione che stiano perdendo forza e le manifestazioni durante la recente escalation in Israele/Palestina [si riferisce agli scontri del maggio 2021 a Gerusalemme, a Gaza e nelle città arabo-israeliane, ndtr.] lo hanno messo in evidenza: le manifestazioni filo-palestinesi sono state grandi il doppio e molto più vigorose delle contromanifestazioni filo-israeliane. In JID stiamo cercando di partecipare a questo cambiamento esponendo pubblicamente la nostra prospettiva critica di israeliani, e chiarendo che questa gente “filoisraeliana” non parla per noi e che non accettiamo quello che dicono riguardo alla nostra patria.

Come sono cambiate le cose dall’escalation a Gaza?

Abbiamo iniziato molto presto ad attivarci a maggio. In primo luogo abbiamo fatto una dichiarazione (in tedesco e in inglese) di solidarietà riguardo alla situazione. Ci siamo subito resi conto che è stata fatta circolare in giro nei circoli di attivisti e sulle reti sociali di Lipsia. Le persone l’hanno discussa, non solo in modo positivo, abbiamo avuto un sacco di reazioni negative da parte di attivisti Antideutsch. Ma quello che è importante è stato che se ne sia parlato.

Qual è stato il vostro ruolo come associazione di attivisti nelle manifestazioni che hanno appoggiato Sheikh Jarrah a maggio?

Abbiamo saputo di due manifestazioni previste a Lipsia. Una di pochi palestinesi organizzata in solidarietà con Sheikh Jarrah; alcuni di noi stavano parlando di andarci. Poi abbiamo visto che c’era una contromanifestazione organizzata con il nome “Contro l’antisemitismo: solidarietà con Israele”.

In JID abbiamo deciso che dovevamo rispondere. Tutti noi del gruppo in precedenza abbiamo partecipato alla lotta a Sheikh Jarrah, ed è stata anche molto importante per i membri delle nostre famiglie (che vivono a Gerusalemme) protestare insieme in solidarietà con il quartiere. Questa lotta è stata una questione molto personale per noi e ci siamo sentiti veramente insultati all’idea che questa lotta venisse definita “antisemita”, per cui abbiamo emesso un comunicato con un titolo provocatorio: “Il corteo in solidarietà con Israele non ha niente a che vedere con la solidarietà”.

Come hanno influenzato queste proteste la vostra dichiarazione e il vostro coinvolgimento?

Il giorno dopo ci sono state due manifestazioni nella Augustusplatz, nel centro di Lipsia. Abbiamo avuto una reazione molto positiva da parte di tedeschi di sinistra e altri di sinistra che vivono da molto tempo in Germania. Ci hanno detto che la nostra dichiarazione ha cambiato il modo di pensare di persone che (in origine) volevano andare alla manifestazione filo-israeliana, ma dopo averlo letto hanno deciso di starsene a casa.

C’era molto più vigore e il doppio di persone alla manifestazione filo-palestinese. È stata un’esperienza molto positiva. Mi sono sentito come se fossi tornato a casa in un posto che mi è molto familiare. C’è stato un contatto tra alcuni di noi e gli organizzatori. In seguito essi dal palco hanno annunciato che alla manifestazione era presente un gruppo di ebrei israeliani e che loro erano molto contenti di accoglierci e che fossimo con loro. Hanno detto molto chiaramente che il loro messaggio non è contro gli ebrei, ma contro le azioni di Israele.

All’inizio JID ha evitato di lavorare con altre organizzazioni. Cosa vi ha fatto cambiare la vostra decisione e iniziare a lavorare con gruppi palestinesi a Lipsia?

Prima di maggio ci siamo detti che non avremmo collaborato con altri gruppi. Ma appena abbiamo visto che era iniziata la (violenza) in Israele/Palestina, ci è risultato evidente che avremmo dovuto collaborare con associazioni palestinesi. Siamo qui per (essere) solidali con loro. Vogliamo lottare insieme ai palestinesi. Ci è sembrato molto naturale e giusto.

Credi che la solidarietà degli ebrei israeliani a Lipsia possa fermare la caccia alle streghe contro i militanti del BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) in Germania?

Per noi è facile concentrarci su piccole cose come Antideutsch perché spesso condividiamo gli stessi spazi con loro. Ma tutto ciò rappresenta qualcosa di più grande. Essi sono molto in sintonia con la politica del governo tedesco e riflettono la risoluzione del Bundestag [il parlamento tedesco, ndtr.] sul BDS di due anni fa (nel 2019 il parlamento tedesco ha approvato una risoluzione simbolica e non vincolante che definisce antisemita il movimento BDS).

Pensiamo che parte del problema sia che tutta la discussione su Israele/Palestina stia avvenendo in un vuoto, senza le prospettive di israeliani e palestinesi. C’è qualcosa di molto cinico e perverso nel pensiero dominante nella società tedesca riguardo a Israele/Palestina. I tedeschi dicono: “Le persone responsabili dell’antisemitismo sono straniere.” Vogliono vedere se stessi come illuminati e non antisemiti. Ma ciò è paradossale perché quando concentrano tutti i loro sforzi su Israele, stanno anche dicendo che il posto per il popolo ebraico non è qui. Una cosa è essere d’accordo con Israele, un’altra è dire che Israele è l’unica risposta all’antisemitismo, il che significa che non possiamo liberarci dell’antisemitismo in Germania e l’unica soluzione è che gli ebrei se ne vadano da qui.

Perché i tedeschi hanno paura di sentire voci critiche?

Ho l’impressione che i tedeschi amino vedersi come osservatori obiettivi. Stanno mettendo a posto il mondo, anche se solo in teoria. Appena entrano in contatto con persone che vivono la situazione lì, queste teorie crollano. Le nostre voci minacciano il tipo di ordine che hanno creato nella loro mente, le loro posizioni politiche e la loro possibilità, individuale e collettiva, di dire: “Abbiamo imparato dall’Olocausto, siamo una Nazione migliore, siamo i migliori amici degli ebrei.”

Credono di essere assolutamente consapevoli dei diritti umani, ma appena sentono parlare delle cose disumane che Israele sta facendo, ciò minaccia la loro identità, la loro concezione di se stessi e la loro possibilità di presentare la Germania come la forza trainante sulla scena progressista. La Germania esporta un grande numero di armamenti ed è coinvolta in ogni forma di oppressione e interferenza (straniera) nei Paesi poveri.

In Germania il campo progressista, ponendo sopra ogni cosa la questione israelo-palestinese, come spesso fa, pregiudica la possibilità di politiche realmente progressiste nel Paese. Continuiamo a sentire di come questo problema venga utilizzato per dividere la sinistra, persino qualche giorno prima dell’annuale corteo del Primo Maggio a Berlino. Tutta la manifestazione è stata dipinta come antisemita perché sono stati coinvolti i palestinesi.

I tedeschi sono restii a partecipare a un boicottaggio di Israele per via della memoria storica tedesca. Come vi rapportate a questo?

Capisco perché i tedeschi abbiano difficoltà con l’idea di boicottare uno Stato che si definisce lo “Stato ebraico”. Ma spero proprio che comprendano che ciò non riguarda loro. Mi auguro che vedano il BDS come una questione palestinese e appoggino la causa palestinese semplicemente perché i palestinesi meritano appoggio, e che le cose che vengono fatte a loro potrebbero essere fatte a qualunque altro popolo.

Mati Shemoelof è scrittore, poeta, attivista, autore e redattore che ora vive a Berlino, in Germania.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Due adolescenti palestinesi uccisi da Israele fanno salire a 77 il numero delle giovani vittime nel 2021

Yumna Patel

26 luglio 2021 – Mondoweiss

Le uccisioni di Muhammad Munir al-Tamimi e Yousef Nawaf Mhareb portano a 11 il bilancio dei giovani palestinesi uccisi dal fuoco israeliano in Cisgiordania dal gennaio 2021.

Due adolescenti palestinesi sono stati uccisi dal fuoco israeliano nell’arco di soli pochi giorni nella Cisgiordania occupata, portando il totale dei giovani palestinesi uccisi da Israele nel 2021 a 77.

Lunedì il diciassettenne Yousef Nawaf Mhareb, abitante del villaggio di Abwein nella zona di Ramallah, è morto in seguito alle ferite subite due mesi prima, quando era stato colpito al collo dalle forze israeliane.

Secondo WAFA, l’agenzia di notizie ufficiale dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese), Mhareb è stato in terapia intensiva per 74 giorni prima di morire lunedì per le ferite. Secondo le informazioni dei media arabi, è stato colpito dalle forze israeliane durante le proteste di maggio contro l’aggressione israeliana a Sheikh Jarrah e alla moschea di Al Aqsa – proteste che hanno scatenato le “rivolte unitarie” e l’ultima guerra contro Gaza.

Solo pochi giorni prima le forze israeliane avevano colpito un altro diciassettenne palestinese durante le proteste del venerdì nel villaggio di Nabi Saleh fuori Ramallah.

Secondo ‘Defense for Children International – Palestina’ (DCIP) [organizzazione non governativa indipendente per la protezione dei bambini, ndtr.], le forze israeliane hanno sparato alla schiena di Muhammad Munir al-Tamimi con pallottole vere. Il proiettile è uscito attraverso l’addome, “causando un’ampia lacerazione e facendo fuoruscire gli intestini”, ha affermato la DCIP, aggiungendo che al-Tamimi è stato sottoposto a quattro ore di intervento chirurgico prima di essere trasferito in terapia intensiva.

E’ morto in seguito alle ferite diverse ore dopo e ne è stata dichiarata la morte circa a mezzanotte.

Al-Tamimi, abitante della cittadina limitrofa di Deir Nitham, stava presumibilmente partecipando alle proteste del venerdì a Nabi Saleh, un’iniziativa che si tiene nel villaggio ogni settimana dal 2009, dopo che coloni israeliani della vicina colonia illegale di Halamish presero il controllo della sorgente d’acqua del villaggio.

Le forze israeliane utilizzano abitualmente armi letali durante le proteste a Nabi Saleh, nonostante siano manifestazioni decisamente pacifiche.

La madre di Al-Tamimi ha detto all’Associated Press che le forze israeliane hanno sparato a suo figlio “a bruciapelo”, aggiungendo che c’è un video che mostra un soldato israeliano che apre la porta della jeep militare, uccide suo figlio e se ne va.

Le sue accuse sembrano essere confermate dalle conclusioni della DCIP, che affermano che Al-Tamimi è stato colpito da una distanza di circa 3 metri al massimo da un soldato su una jeep militare.

L’esercito israeliano ha detto a Haaretz [quotidiano israeliano, ndtr.] che i soldati “hanno individuato un palestinese sospetto che stava lanciando pietre e minacciando la vita di uno dei soldati. Il soldato ha applicato le regole d’ingaggio ed ha sparato al sospettato.”

Le forze israeliane uccidono abitualmente in modo illegale minori israeliani impunemente, ricorrendo intenzionalmente ad armi letali in circostanze non giustificate dal diritto internazionale”, ha detto Ayed Abu Eqtaish, direttore del programma di responsabilizzazione della DCIP, in risposta all’uccisione di al-Tamimi.

L’uso eccessivo della forza è la norma e la sistematica impunità garantisce che i minori palestinesi che vivono sotto occupazione israeliana possano essere uccisi in qualunque momento senza che vi siano ricorsi o attribuzioni di responsabilità.”

L’uccisione di al-Tamimi e Mhareb hanno portato a 11 il totale dei giovani palestinesi morti per il fuoco israeliano in Cisgiordania da gennaio. Includendo i 66 minori uccisi durante l’attacco israeliano a Gaza di maggio, il numero totale dei giovani palestinesi uccisi dalle forze israeliane nel 2021 è ad oggi di 77.

Il terzo palestinese ucciso in una settimana

All’inizio della settimana scorsa un uomo palestinese è stato dichiarato morto mentre si trovava sotto custodia israeliana nel centro di detenzione di Moscovia a Gerusalemme est – un centro famigerato tra i palestinesi per le crudeli modalità israeliane di interrogatorio e tortura.

Il 43enne Abd Yusuf al-Khatib al-Tamimi, di Gerusalemme est, è stato trovato morto mercoledì nella sua cella. Secondo il Servizio Carcerario Israeliano (IPS) è stato trovato senza coscienza nella sua cella dagli agenti, che poi hanno tentato inutilmente di rianimarlo.

Secondo Haaretz, al-Tamimi era stato arrestato tre giorni prima dalle forze israeliane per “infrazioni stradali”.

Haaretz ha riferito che l’IPS ha detto che indagherà sulla morte di al-Tamimi, ma ha suggerito che la sua morte potrebbe essere la conseguenza di preesistenti condizioni di salute.

La famiglia di al-Tamimi pare abbia negato che avesse malattie pregresse ed ha rifiutato la versione degli avvenimenti dell’IPS, citando “testimonianze di altri prigionieri, secondo cui al-Tamimi è stato aggredito o sottoposto a pressioni fisiche o mentali”, ha detto Haaretz.

Non sappiamo esattamente come sia morto…ma dei detenuti hanno chiamato i familiari dal carcere e hanno detto loro che era stato picchiato e vi erano state delle grida”, ha detto a Times of Israel Khaldoun Najm, legale della famiglia.

La famiglia pare abbia chiesto che un medico fosse presente all’autopsia di al-Tamimi. I risultati dell’autopsia non sono stati resi pubblici.

Yumna Patel è la corrispondente per la Palestina di Mondoweiss

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Per la legge israeliana ‘ebraicità equivale a proprietà’

Rabea Eghbariah

9 luglio 2021- Mondoweiss

Nell’ambito del progetto coloniale israeliano, quadri giuridici distinti sono estesi a uno spazio giuridico frammentato, ma condividono una chiara logica comune. Questa logica unificante è che all’ebraicità corrisponde il diritto di proprietà e ciò è al centro di questo sistema di dominio del colonialismo di insediamento.

Nel dibattito pubblico su Sheikh Jarrah è la legge ad essere diventata il punto focale della controversia. Contro la tesi palestinese della pulizia etnica, la propaganda israeliana continua a tentare di descrivere l’imminente espulsione dei palestinesi di Sheikh Jarrah come una “disputa immobiliare”, sottolineando che il ricorso è ancora in sospeso presso la Corte Suprema israeliana. Ma le rivendicazioni di terreni e abitazioni, cioè le “dispute immobiliari”, sono il fulcro sia del progetto israeliano di colonizzazione che della resistenza palestinese. I tribunali israeliani, Corte Suprema inclusa, non sono arbitri neutrali, ma al contrario sono protagonisti in un progetto nazionale-coloniale che dispensa valore, sofferenza e risorse in base a criteri etnico-nazionali.

Il ruolo del diritto nel progetto di colonizzazione si capisce esaminando il modo in cui quadri legali distinti, estesi a uno spazio legale frammentato, condividano tuttavia una logica comune. Questa logica condivisa diventa evidente quando si analizzano i ricorsi circa le terre e le sentenze dei tribunali israeliani: le agenzie statali israeliane e i gruppi di coloni ebrei sono trattati a priori come proprietari legittimi, mentre, nel migliore dei casi, i palestinesi non ebrei sono considerati degli inquilini che non hanno diritto alla proprietà, ma occupano la terra solo per concessione delle autorità israeliane. Stando a questa logica, le terre di proprietà statale sono convertite in terre ebraiche, come sancito ulteriormente nel 2018 dall’emendamento costituzionale della legge sullo Stato-Nazione ebraico che afferma che “lo sviluppo della colonizzazione ebraica è un valore nazionale”, ed esige che lo Stato debba agire attivamente in suo favore. Parafrasando la famosa frase di Cheryl Harris [autrice di ‘Whiteness as property’ – Bianchezza come proprietà, 2005, in K. Thomas e G. Zanetti (a c. di); ed. it. Legge, razza e diritti. La Critical Race Theory negli Stati Uniti, Diabasis, Reggio Emilia] io definisco questo modo di pensare “l’ebraicità come proprietà” secondo la legge israeliana. 

L’elaborazione di ebraicità come proprietà secondo il diritto israeliano è centrale per una struttura che può essere definita coloniale: la terra è un prerequisito e una risorsa materiale su cui si regge una società di coloni che prospera a spese degli abitanti autoctoni. Entro questa struttura, il diritto agisce come una tecnologia d’avanguardia: è la legge che consente, facilita e impone l’esproprio continuo ai danni dei palestinesi e la ridistribuzione delle loro risorse a favore degli ebrei israeliani. La combinazione di una distribuzione di terre e proprietà fortemente politicizzata e razzializzata, in presenza di un sistema giuridico che perpetua e facilita questa distribuzione, produce quello che da tempo molti palestinesi chiamano pulizia etnica. Dispute circa le proprietà e la guerra giuridica contro i palestinesi non sono il contrario della pulizia etnica: sono proprio uno dei suoi metodi.

Una cronologia degli sfratti secondo la legge: Umm al-Hiran, Khan al-Ahmar e Sheikh Jarrah

Possiamo rintracciare la logica dell’ebraicità come proprietà per la legge israeliana ripercorrendo tre cause su “dispute immobiliari” che sono microcosmi di tre contesti legali diversi: Umm al-Hiran, Khan al-Ahmar e Sheikh Jarrah (cittadine situate rispettivamente in Israele, Cisgiordania e Gerusalemme Est). A sopraintendere a tutte queste diverse realtà c’è la Corte Suprema israeliana, che è l’unica istituzione che delibera sui ricorsi dei palestinesi provenienti da frammenti territoriali e concettuali diversi. Ognuna di queste cause è soggetta a leggi diverse e gli abitanti sono soggetti a situazioni legali differenti: a Umm al-Hiran ci sono dei cittadini di Israele che teoricamente godrebbero della protezione costituzionale secondo il diritto civile israeliano; gli abitanti di Khan al-Ahmar risiedono in Cisgiordania (Area C), soggetti al controllo diretto dell’esercito israeliano, e quelli di Sheikh Jarrah sono residenti (ma non cittadini) di Israele sottoposti a un status legale distinto che permette, fra altre cose e in certe condizioni, la revoca del loro permesso di residenza. 

Il caso di Umm al-Hiran dimostra come le tutele costituzionali si azzerino e le “terre statali” siano usate per spossessare e rimuovere i palestinesi. Fra gli anni ’50 e gli inizi degli anni ’60 Israele ha sfrattato non solo i palestinesi dalla gran parte delle loro terre, ma ha anche trasformato il 93% dei terreni sotto il suo controllo in proprietà statale. Ha ottenuto ciò rendendo più difficile fornire prove per dimostrarne la proprietà, ricorrendo a espropri di massa e usando altre leggi, inclusa quella sulla Legge Proprietà degli Assenti. In Cisgiordania e a Gaza ha usato in modo simile leggi giordane e ottomane in vigore sino al 1967 e permesso al governatore militare di acquisire il controllo di terre in quanto “terre statali” (principalmente, ma non solo, in quella che è diventata l’Area C dopo gli accordi di Oslo). In flagrante violazione del diritto internazionale, la Corte Suprema di Israele ha più volte consentito l’insediamento di colonie israeliane in questi territori. 

Le terre statali sono in pratica trasformate in terra ebraica, per rendere concreta l’ebraicità in quanto proprietà. Dal 1948 Israele non ha fondato una sola località palestinese per i palestinesi, mentre dagli inizi degli anni ‘90 ha creato più di 900 “località ebraiche” in Israele e quadruplicato il numero di coloni in Cisgiordania. Allo stesso tempo, la continua presenza palestinese sulle terre è stata spesso interpretata come un mero favore concesso dallo Stato di Israele, ma che non può costituire un diritto di proprietà. Umm al-Hiran ne è un classico esempio: nel 1948 gli abitanti sono stati sfrattati e spossessati delle loro terre di Khirbet Zubaleh e insediati dalle autorità israeliane a Umm al-Hiran nel 1956. Nel 2002, il governo israeliano ha deciso di fondare la città di Hiran, provocando un altro spostamento dei palestinesi di Umm al-Hiran. All’inizio lo Stato ha affermato che gli abitanti di Umm al-Hiran erano degli squatter su terre statali, ma in tribunale poi ha ammesso che avevano abitato lì per generazioni con il permesso dello stesso Stato israeliano. 

Eiakim Rubinstein, giudice della Corte Suprema, ha deliberato che “i membri della tribù non hanno acquisito il diritto di proprietà delle terre ai sensi delle nostre leggi sulle proprietà, sebbene (da generazioni) ci risiedano con un permesso”. Apprendiamo che questo permesso potrebbe essere revocato facilmente, ignorando quelle garanzie costituzionali che dovrebbero essere applicate ai cittadini palestinesi in Israele. Dato che le rivendicazioni territoriali dello Stato hanno la prevalenza su quelle dei palestinesi, lo Stato può proseguire con la sua ridistribuzione razzializzata di terra secondo la logica dell’ ‘ebraicità come diritto di proprietà’. Il risultato è che ora Hiran, una cittadina abitata solo da ebrei, sta per essere edificata sui terreni espropriati agli abitanti di Umm al-Hiran. Una legge che permette l’insediamento di tali comunità segregate, basata su un comitato delle ammissioni che decide sull’ “idoneità sociale e culturale”, è stata confermata dalla Corte Suprema israeliana nel 2014.

La causa relativa a Khan al-Ahmar, i cui abitanti palestinesi hanno presentato una petizione alla Corte Suprema chiedendo di impedire la demolizione del loro villaggio, dimostra che in Cisgiordania la Corte fa affidamento su un altro strumento: l’“abuso edilizio”, un’accusa mossa quando i palestinesi non riescono a ottenere dalle autorità israeliane di occupazione le licenze edilizie previste dalla legge. Ma ottenerli è praticamente impossibile. Non si può negare la natura sistemica di questa illegalità: fra il 2016 e il 2018, per esempio, Israele ha respinto oltre il 98% delle richieste di permesso edilizio presentate dai palestinesi nell’Area C. Lo stesso “regime di permessi” è diventato uno strumento per creare illegalità e imporla ai villaggi palestinesi.

Per la Corte, il fatto che le autorità israeliane in Cisgiordania per decenni non abbiano rilasciato nessuna licenza edilizia o stilato dei piani regolatori a Khan al-Ahmar non è stato neppure un fattore deterrente per decidere che l’intero villaggio è illegale, anche se esisteva persino prima dell’occupazione israeliana della Cisgiordania. Secondo loro il problema è sorprendentemente chiaro: “Il punto di partenza di questa decisione sta nel fatto che le costruzioni sul sito di Khan Al-Ahmar, la scuola e le abitazioni, sono illegali”, ecco come inizia la decisione del 2018 della Corte sul caso di Khan al-Ahmar (scritta dal giudice Noam Solberg, lui stesso colono di un insediamento illegale in Cisgiordania). 

Costruita l’illegalità contro le comunità palestinesi, la strada è spianata per la demolizione di edifici, la rimozione degli abitanti palestinesi e la ridistribuzione di terre a favore di coloni israeliani. (Comunque il governo israeliano non ha ancora proceduto all’evacuazione di Khan al-Ahmar a causa della pressione internazionale. Ora le petizioni delle organizzazioni di coloni israeliane chiedono di “applicare la legge” e demolire il villaggio e restano in sospeso presso quella stessa Corte Suprema che ha dichiarato legittimi i piani per rimuoverlo).

A Sheikh Jarrah diventa più importante una concomitanza di dispositivi giuridici: la legge sulla Proprietà degli Assenti e quella su questioni legali e amministrative. Insieme queste leggi permettono a gruppi di coloni ebrei di rivendicare proprietà a Gerusalemme Est presumibilmente appartenute a ebrei prima del 1948, ma negando lo stesso diritto ai palestinesi che possedevano proprietà prima di quella data a Gerusalemme Ovest o altrove. Di nuovo, la presenza continua dei palestinesi su questi terreni con il permesso delle autorità governative (in questo caso, giordane) diventa irrilevante nelle “dispute sulla proprietà” esaminate dai tribunali israeliani. 

Altri tribunali di prima istanza hanno consistentemente respinto i ricorsi dei palestinesi di Sheikh Jarrah e la Corte Suprema dovrebbe deliberare alla fine di quest’anno. Nel frattempo il Procuratore generale ha dichiarato alla Corte che non intende intervenire nel presente procedimento giudiziario e sulle decisioni degli altri tribunali che hanno ordinato lo sfratto forzoso dei palestinesi dalle loro case in favore di gruppi di coloni ebrei. In altre parole il Procuratore Generale ha deciso che lo Stato non ha un ruolo nella disputa e che le “parti civili,” dato che le organizzazioni di coloni israeliani e gli abitanti palestinesi di Sheikh Jarrah stanno semplicemente disputandosi delle proprietà. Questo atteggiamento non solo ignora l’infrastruttura legale discriminatoria che permette tali dispute, ma in effetti chiede anche alla Corte Suprema di deliberare in modo tale da mantenere e validare il sistema legale israeliano che distribuisce la proprietà a ebrei israeliani a discapito dei palestinesi.

Frammentazione legale

Le leggi adottate in ognuno di questi casi sono diverse, così come l’identità dei ricorrenti israeliani (Stato di Israele o organizzazioni di coloni), la procedura (civile o amministrativa), il criterio del riesame, le dottrine legali, l’applicabilità delle protezioni costituzionali israeliane e altro ancora. Ma lo schema è chiaro: la costruzione coerente di leggi formalmente neutrali per spogliare i palestinesi della terra e ridistribuirla a ebrei israeliani. Indipendentemente dal quadro giuridico in gioco, in pratica i palestinesi non riescono a presentare azioni legali per dimostrare la proprietà: sono meramente soggetti ai ricorsi dello Stato e dei coloni.

Mentre i palestinesi sono sottoposti alla frammentazione, agli ebrei israeliani si applica un sistema legale unificato con in gioco protezioni costituzionali indipendentemente dalle suddivisioni concettuali e territoriali.

Ciò diventa ancora più chiaro quando i casi di spossessamento delle terre subiti da palestinesi, come dimostrato brevemente qui sopra, sono confrontati con la decisione del 2005 della Corte Suprema Israeliana sulla legalità dello sgombero degli insediamenti israeliani a Gaza. In quel caso la Corte Suprema deliberò che le disposizioni giuridiche che limitano la possibilità dei coloni israeliani di richiedere un indennizzo erano incostituzionali, dato che costituivano una violazione del diritto costituzionale alla proprietà. La Corte Suprema crea ed estende norme costituzionali ai coloni ebrei in territori internazionalmente riconosciuti come occupati per proteggere l’ebraicità in quanto diritto di proprietà, mentre nega ai palestinesi il diritto alla proprietà e ignora del tutto la costituzione quando si tratta di Umm al-Hiran, Khan al-Ahmar o Sheikh Jarrah. 

Il presupposto unificante dell’ebraicità come proprietà, centrale in un sistema di dominio coloniale, rende coerente al suo interno questo sistema giuridico frammentario. La possibilità di rivendicare l’ebraicità come proprietà è ulteriormente rafforzata dalle leggi sull’immigrazione che permettono a qualsiasi ebreo/a, ovunque nel mondo, di diventare immediatamente un/una cittadino/a israeliano/a e rivendicare diritti di proprietà sotto controllo israeliano. Lo stesso intreccio di leggi su immigrazione e cittadinanza è usato simultaneamente per frammentare ulteriormente i palestinesi, revocando lo status di residente, negando il diritto al ritorno ai rifugiati palestinesi, vietando il ricongiungimento delle famiglie palestinesi e l’ingresso ad altri palestinesi della diaspora. 

Jacob, il colono israeliano-americano in video diventato virale in cui dice alla famiglia El-Kurd di Sheikh Jarrah che “se non ve la rubo io (la casa della famiglia El-Kurd), lo farà qualcun altro,” dimostra chiaramente la logica della legge israeliana. Jacob riconosce che si tratta di un furto, ma in conclusione la legge israeliana lo premia quando rivendica l’ebraicità per ottenere la proprietà. È grazie alle macchinazioni della legge israeliana che il ladro diventa il proprietario.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)