Perché l’ONU ha partecipato ad una conferenza israeliana con un simpatizzante del nazismo?

 

Maureen Clare Murphy -14 September 2017, Electronic Intifada

Che cosa ci faceva il coordinatore speciale dell’ONU per il processo di pace in Medio Oriente in una conferenza sull’antiterrorismo insieme a sostenitori del genocidio e ideologi di destra che vedono il mondo come un conflitto tra la civiltà giudaico-cristiana e i suoi nemici?

Di per sé la presenza di Nickolay Mladenov alla conferenza annuale dell’Istituto Internazionale per l’Antiterrorismo ad Herzliya [sede di un’università privata che ha stretti rapporti con i servizi di sicurezza e l’esercito israeliani, ndt.] è sconvolgente, così come le sue affermazioni come oratore principale.
 
Durante una parte improvvisata prima di esporre le sue osservazioni scritte, Mladenov ha affermato che in futuro l’Europa, come Israele, dovrà sempre più discutere dell’“equilibrio tra diritti umani individuali e sicurezza, tra lo Stato e l’individuo e tra quello che si può e si deve fare e quello che non si può e non si deve fare, in base alle leggi dello Stato e al diritto internazionale nella lotta contro il terrorismo.”
 
Che i diritti non si possano negoziare, ma siano da “bilanciare”, è una strana nozione da suggerire da parte di un importante funzionario dell’ONU.
 
Il discorso di Mladenov è stato esposto alla presenza della ministra della Giustizia israeliana, Ayelet Shaked, che a suo tempo ha promosso un appello genocida a favore del massacro delle madri palestinesi “che fanno nascere piccoli serpenti.”
Ha condiviso questo appello sulla sua pagina Facebook nel 2014, poco prima dell’attacco israeliano contro Gaza che ha ucciso più di uno ogni 1.000 palestinesi che vivono lì.
 
Diritti individuali versus sionismo
 
Shaked più di recente ha denigrato il sistema giudiziario che lei stessa dirige, per quello che ha definito il suo rispetto dei diritti umani a spese del sionismo, l’ideologia dello Stato di Israele.
 
Il sionismo non può continuare, e, lo affermo in questa sede, non continuerà ad inchinarsi al sistema dei diritti individuali intesi in modo universalistico che li separa dalla storia della Knesset (il parlamento israeliano) e dalla storia del diritto che tutti noi conosciamo,“ ha dichiarato Shaked.
 
Ha descritto la cosiddetta “Legge sullo Stato-Nazione” di Israele – che impone all’Alta Corte israeliana di favorire il “carattere ebraico” dello Stato rispetto a quello “democratico” – come una “rivoluzione morale e politica.”
E’ stato in presenza di estremisti etnocratici come Shaked, che rifiutano il concetto di diritti universali, che Mladenov ha affermato che “resistere fermamente contro il terrorismo deve essere parte integrante di ogni processo di pace,” e che “dobbiamo opporci al terrorismo ogniqualvolta e ovunque si manifesti.”
 
Uno dei co-relatori di Mladenov alla conferenza è stato Gilad Erdan, ministro israeliano degli Affari Strategici che supervisiona un programma di “attività segrete” per combattere il movimento non violento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) in appoggio ai diritti dei palestinesi.
 
Secondo un importante analista israeliano, queste attività possono riguardare “campagne diffamatorie, persecuzione e minacce alla vita degli attivisti” così come “infrangere e violare la loro privacy.”
 
Minacce contro i difensori dei diritti umani
 
Erdan ha promesso che gli attivisti del BDS “sapranno che pagheranno un prezzo per questo,” minacciando esplicitamente il difensore dei diritti umani e co-fondatore del movimento BDS Omar Barghouti.
Erdan ha anche dichiarato che “ogni terrorista dovrebbe sapere che non sopravviverà agli attacchi che sta per perpetrare,” una politica di “sparare a vista” messa in atto contro decine di presunti assalitori palestinesi, compresi bambini, che corrisponde di fatto ad una sentenza di morte – nonostante il bando alla pena capitale in Israele.
 
Mladenov concorda con la politica israeliana secondo cui il “bilanciamento” tra diritti individuali e sicurezza necessita di un compromesso persino riguardo al diritto alla vita di un individuo?
 
In ogni caso sembra che Mladenov pensi che i palestinesi non abbiano il diritto all’autodifesa o alla resistenza.
 
Durante il suo discorso si è vantato di un rapporto redatto lo scorso anno dal cosiddetto “Quartetto per la Pace in Medio Oriente” (cioè l’ONU, l’UE, gli USA e la Russia) che identifica “l’incremento della militanza” da parte di gruppi palestinesi e, con le parole di Mladenov, “quello che sta succedendo a Gaza”, come un ostacolo alla pace.
 
Le sue osservazioni fanno eco alla posizione presa dal suo collega Robert Piper, il capo coordinatore delle questioni umanitarie dell’ONU in Palestina. L’ufficio di Piper quest’anno ha pubblicato un rapporto segnalando l’allineamento dell’organizzazione mondiale con Israele ed i suoi sostenitori internazionali nello spingere per la resa totale di Gaza.
 
Quel rapporto reputa illegittimo il governo di Hamas lì – nonostante la vittoria del partito nelle ultime elezioni legislative palestinesi – a causa del suo rifiuto di ottemperare alla richiesta del Quartetto di “riconoscere il diritto di Israele ad esistere e di rinunciare alla violenza.” Una richiesta simile di rinunciare alla violenza e di riconoscere il diritto all’esistenza dei palestinesi non è stata fatta ad Israele .
 
 
Resistenza al terrorismo di Stato
 
Alla conferenza di Herzliya Mladenov ha detto che Israele ha “convissuto per decenni con il terrorismo”, ma non ha ricordato che lo Stato stesso [di Israele] è stato fondato sul terrorismo e sulla pulizia etnica.
 
Né ha riconosciuto che i palestinesi, come qualunque altro popolo occupato, hanno il diritto all’autodifesa – un diritto riconosciuto dalle leggi internazionali.
 
Ma l’antiterrorismo è il paradigma attraverso il quale Stati come gli USA ed Israele – utilizzando una violenza massiccia e indiscriminata contro civili, di cui non sono mai stati chiamati a rispondere – portano avanti i propri interessi egemonici.
 
Un’occupazione militare infinita e bellicosa consente inoltre ad Israele di vendere la sua esperienza “antiterroristica” e i suoi armamenti come “collaudati in battaglia” – sulla pelle dei palestinesi.
 
L’antiterrorismo è il ringhioso smalto del “marchio Israele” e sembra che l’ONU se lo sia comprato.
 
Durante il suo discorso Mladenov ha ricordato che il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres ha recentemente formato un ufficio per l’antiterrorismo – un impegno che ha comportato “approfondite discussioni” con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e con esponenti dell’esercito israeliano.
 
Mladenov ha solo accennato alla necessità di un orizzonte politico che conservi la speranza di un futuro migliore in Medio Oriente.
 
 “Sacrifici umani”
 
Non ha evocato uno scontro di civiltà come David Friedman, il curatore fallimentare [di un casinò di Trump, ndt.] e finanziatore delle colonie, che funge da inviato di Trump in Israele.
 
Durante il suo discorso alla conferenza Friedman ha ripetutamente fatto riferimento al “terrorismo islamista radicale.”
 
Friedman che, come Mladenov, ha espresso le proprie opinioni nell’anniversario degli attacchi dell’11 settembre negli USA, ha affermato: “Sappiamo che gli israeliani non solo condividono il nostro lutto di fronte al terrorismo, ma anche la nostra determinazione a colpire i terroristi islamici radicali ovunque siano e di garantire che le loro tattiche non diventino mai dei successi politici.”
 
Ha letto un elenco di attacchi condotti da palestinesi contro israeliani, e di telefonate di condoglianze che ha recentemente fatto alle famiglie di israeliani uccisi da aggressori palestinesi, compresi due poliziotti che, ha detto, sono stati accoltellati da “terroristi islamisti radicali” – confondendo i palestinesi che resistono all’occupazione militare israeliana con i combattenti dello Stato Islamico in Siria. Friedman ha sostenuto che gli israeliani non sono i soli nella regione a soffrire in conseguenza del terrorismo, ma non si riferiva ai palestinesi uccisi dalle forze di occupazione israeliane.
 
Riprendendo l’ormai sfatato argomento secondo cui le scuole palestinesi insegnano “l’istigazione” [alla violenza contro gli israeliani, ndt.], Friedman ha affermato: “I ragazzi palestinesi che imparano a odiare gli ebrei invece di imparare matematica e scienze sono i sacrifici umani della causa dell’estremismo radicale.”
 
Non importa che le forze israeliane abbiano ucciso più di trenta bambini palestinesi nel 2016 – facendone così l’anno più sanguinoso per i bambini palestinesi in Cisgiordania da più di un decennio – ed ucciso decine di bambini nelle loro case a Gaza nell’estate del 2014.
 
La maggiore attenzione dei media nei confronti della conferenza sull’antiterrorismo a Herzliya ha riguardato la partecipazione di Sebastian Gorka, il consigliere di Donald Trump recentemente destituito e pseudo-intellettuale con legami con gruppi nazisti e violentemente anti-semiti in Europa.
 
Gorka ha ricevuto una calda accoglienza quando ha assicurato ad un pubblico che  ne ha condiviso il discorso che “America ed Israele sono Stati fondatori della civilizzazione giudaico-cristiana e insieme sfideremo i nostri comuni nemici.”
Che cosa ha a che vedere un inviato ONU per la pace con una simile compagnia?
 
(traduzione di Amedeo Rossi)
 



La polemica su Shaked e sul sionismo

Nota redazionale: le dichiarazioni della ministra della Giustizia Ayelet Shaked hanno innescato una dura polemica sul giornale israeliano di centro-sinistra “Haaretz” tra le posizioni espresse dallo storico israeliano Daniel Blatman, da Gideon Levy, una delle firme più note del quotidiano, e dalla sua collega Ravit Hecht.

Riteniamo interessante per il lettore riportare lo scambio di opinioni tra gli editorialisti non solo per la questione specifica del giudizio sulle esternazioni di Shaked, quanto soprattutto perché evidenziano una visione radicalmente diversa del sionismo e della sua natura, sintetizzata in questi articoli di fondo e rappresentativa della divisione all’interno della sinistra israeliana. Blatman ritiene che la visione di Shaked rappresenti una novità nel campo sionista, Levy che si tratti di una manifestazione esplicita di quello che il sionismo è sempre stato come ideologia razzista basata su criteri etnico-religiosi, Hecht invece ritiene che si tratti di una sua degenerazione ideologica e politica propugnata dall’estrema destra israeliana. Infine Levy ribadisce la sua opinione, sostenendo che tra le posizioni di Hecht e di Shaked c’è una differenza di forma ma non di sostanza.

  1. Il nuovo sionismo nazionalista

La visione del mondo della ministra della Giustizia Shaked ricorda la xenofobia razzista degli Stati del sud degli USA dagli anni ’30 in poi

 Daniel Blatman, 1 settembre 2017 , Haaretz

La ministra della Giustizia Ayelet Shaked si pone sempre più come leader del nuovo sionismo. Ciò non è solo la conseguenza della rivoluzione costituzionale che sta conducendo, cercando di cambiare l’immagine della Corte Suprema, o della serie di proposte di legge che sta promuovendo, compresa la legge sullo Stato-Nazione. Queste sono solo manifestazioni concrete di una coerente e consolidata visione del mondo, incentrata sull’attuazione di una trasformazione ad ampio raggio delle fondamenta ideologiche su cui è stato fondato lo Stato di Israele.

Il sionismo di Shaked non è solo un’ulteriore variazione ebraica dell’idea liberale nazionalista europea della seconda metà del XX secolo, della scuola di Theodor Herzl, Chaim Weizmann, Ze’ev Jabotinsky ed altri. Il nuovo sionismo di Shaked è una sintesi rivoluzionaria dell’etica colonialista del movimento laburista e delle componenti ebree etnocentriche-razziste, che insieme portarono ad un’importante revisione delle definizioni fondamentali dello Stato ebraico. Shaked sta essenzialmente cercando di sostituire l’idea sionista – la quale, al di là delle dispute che si sono create tra le sue varie componenti, era incentrata sulla sovranità ebraica come necessità esistenziale di un popolo perseguitato – con una basilare consapevolezza che definisce lo Stato di Israele come uno Stato uni-etnico, che attuerà la visione ebraica antiliberale del colonialismo. Le sue dichiarazioni di questa settimana alla conferenza dell’ordine degli avvocati israeliani [Israel Bar Association] a Tel Aviv sono state un’altra tappa della messa a punto di questa ideologia.

Shaked ha già pubblicato recentemente i principi della sua visione del mondo in un articolo della rivista “Hashiloach”, e questo è anche il concetto centrale della proposta di legge sullo Stato-Nazione che sta promuovendo.

Lo Stato ebraico perciò è lo Stato del popolo ebreo. E’ diritto naturale del popolo ebreo vivere come ogni altra nazione,” scrive. “Uno Stato ebraico è uno Stato la cui storia è intrecciata e intessuta nella storia del popolo ebreo, la cui lingua è l’ebraico e le cui principali festività rappresentano la sua rinascita nazionale. Uno Stato ebraico è uno Stato per il quale l’insediamento di ebrei nei suoi campi, città e villaggi è una preoccupazione di primaria importanza. Uno Stato ebraico è uno Stato che favorisce la cultura ebraica, l’educazione ebraica e l’amore per il popolo ebreo. Uno Stato ebraico è la realizzazione di generazioni di aspirazioni per il riscatto ebreo. Uno Stato ebraico è uno Stato i cui valori derivano dalla sua tradizione religiosa, in cui la bibbia è il libro fondamentale ed i profeti di Israele il fondamento morale. Uno Stato ebraico è uno Stato in cui la legge ebraica riveste un ruolo importante. Uno Stato ebraico è uno Stato per il quale i valori della Torah di Israele, i valori della tradizione ebraica ed i valori della legge ebraica sono tra i suoi valori fondamentali.”

Nonostante Shaked si sforzi di presentare la sua visione del mondo come fondata sui principi classici neoconservatori e tenda ad usare citazioni di Milton Friedman [economista e teorico ultraliberista, ndt.], la sua visione del mondo proviene da zone molto più oscure. Più che il conservatorismo americano della fine del XX secolo, la sua visione del mondo ricorda la xenofobia razzista del sud degli Stati Uniti dagli anni ’30 in poi, e la destra razzista ostile all’immigrazione, che prospera oggi nei Paesi creati dal colonialismo europeo. La sua dichiarazione secondo cui “il sionismo non deve continuare, e non continuerà, a chinare la testa di fronte ad un sistema di diritti individuali interpretati in termini universalistici”, lo testimonia chiaramente.

Negli anni ’30, quelli della grande depressione e della nascita dei regimi totalitari in Europa, l’idea universalistica di diritti individuali affrontò una grave crisi negli Stati Uniti. Il rischio di guerra e di tensioni interrazziali creò difficoltà per gli attivisti dei diritti umani, soprattutto visti gli appelli a ridefinire l’essenza dell’ “americanismo” e lo status delle minoranze del Paese, definito attraverso la razza, il colore della pelle, la religione o la provenienza etnica. L’attacco ai diritti di queste minoranze si intensificò anche a causa della crescente popolarità del fascismo europeo, che propugnava la definizione di Stato come una comunità selettiva e collettiva, che escludeva chiunque non appartenesse alla collettività. Questo valeva specialmente negli Stati del sud dell’America e si manifestava attraverso le leggi a favore della segregazione razziale della regione.

La visione di Shaked dello Stato ebraico è parallela a ciò che i sudisti negli anni ’30 chiamavano “preservare lo stile di vita americano”. Per preservare questo concetto, non solo si potevano emanare leggi che lo sostenessero e lo difendessero dal doversi inchinare ai diritti umani; si poteva anche difenderlo con la violenza. Centinaia di casi di linciaggi e violenze contro i neri sono la prova più lampante di quanto fossero profondamente radicate queste concezioni. Israele non è così distante da fenomeni simili di violenza aggressiva non statale, per esempio contro i richiedenti asilo o contro i palestinesi. Ma ciò che caratterizzava in ultima istanza il sud americano era il suo sistema legale di segregazione razziale unico. A questo punta Shaked.

Tuttavia bisogna ricordare che la separazione geografica non è mai stata il principale obiettivo dei bianchi nel sud americano. Certamente essi accettavano la realtà, forse anche la necessità, che i bianchi e i neri vivessero gli uni accanto agli altri, interagendo tra loro e mantenendo relazioni basate su interessi economici o esigenze occupazionali. Tutto era soggetto ai dettami della gerarchia razziale, o ciò che un ricercatore ha definito “l’era del capitalismo razzista.”

A questo conduce la visione sionista di Shaked. Invece della supremazia bianca, avremo la supremazia ebraica, insieme ad una visione etnocentrica-razzista che consentirà alcune prassi economiche vitali. Dopotutto, lo Stato ebraico di Shaked non intende separarsi dai palestinesi e certamente non vuole renderli cittadini. Proprio come nel sud americano la segregazione e la discriminazione politica contro i neri ha creato un ordine sociale e politico brutale e razzista, così sarà nel nuovo Stato nazional-sionista di Shaked, che non accetterà di inchinarsi alle definizioni universali dei diritti individuali e continuerà ad opprimere brutalmente le minoranze, la cui unica difesa contro la tirannia ideologica che lei propugna sono proprio quelle definizioni universali.

All’interno di questa visione dobbiamo inserire anche la paura dei rifugiati e il desiderio di espellerli dal Paese ad ogni costo. L’atteggiamento razzista nei loro confronti è un fenomeno familiare nelle società con un passato ed una tradizione coloniali, di cui Israele fa parte. Dietro all’approccio che considera i rifugiati una minaccia c’è la necessità di preservare la superiorità etnica della maggioranza coloniale, la cui presa sul territorio in cui vive non ha ancora superato l’esame della legittimazione storica a lungo termine. Ecco perché la necessità di controllare rigidamente le frontiere – quelle territoriali, ma soprattutto quelle etniche e razziali – è così cruciale. I migranti e i rifugiati spezzano questi confini; sono diversi per colore, per religione e stile di vita e quindi non solo recano danno all’egemonia etnica, ma potrebbero anche annacquare le caratteristiche umane della maggioranza della società e trasformarla in un’entità etnica e culturale differente da quella originaria.

Si tratta di un concetto nuovo dello Stato di Israele. Il concetto di Shaked di superiorità etnica ebrea poggia non solo su un’ideologia rigidamente chiusa, ma sulle politiche della paura. L’arena politica israeliana è oggi controllata da partiti che propugnano una politica della paura e Shaked vi ricopre un ruolo importante. Il messaggio principale di questa politica della paura è la necessità di mantenere l’identità ebraica dello Stato contro il mondo minaccioso che potrebbe sopraffarla ed eliminarla. Le componenti arabe, islamiche ed africane che circondano lo Stato ebraico da ogni lato potrebbero spazzarla via se essa non si rafforzerà per impedire una simile tremenda invasione.

Proprio come l’estrema destra in Australia o negli Stati Uniti cerca di erigere un muro di leggi, supportato da una potente flotta o da veri e propri muri lungo i confini a protezione della patria (quella coloniale, ricordiamoci) da ogni parte dalle infiltrazioni dal Messico o dall’Afghanistan, allo stesso modo Shaked ed i suoi colleghi stanno promuovendo una legislazione supportata da barriere, checkpoint e da un potente esercito che blinda i confini israeliani dalle orde minacciose delle masse nere. Questa combinazione di superiorità etnico-razziale, legislazione apposita e castrazione del sistema giudiziario in modo che non possa proteggere ciò che Shaked disprezza tanto – le definizioni universalistiche dei diritti universali – sta dando luogo al nuovo nazional-sionismo, il successore del sionismo storico.

Il professor Blatman è uno storico dell’università ebraica di Gerusalemme.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)

  1. La ministra israeliana della verità

    La ministra israeliana della Giustizia ha detto chiara e forte la verità: il sionismo si contrappone ai diritti umani, e quindi è proprio un movimento ultranazionalista, colonialista e forse razzista

 Gideon Levy, 1 settembre 2017,Haaretz

Grazie, Ayelet Shaked, per aver detto la verità. Grazie per aver parlato onestamente. La ministra della Giustizia ha dimostrato ancora una volta che l’estrema destra israeliana è meglio degli impostori del centrosinistra: parla con sincerità.

Se nel 1975 Chaim Herzog [all’epoca ambasciatore israeliano all’ONU, ndt.] stracciò platealmente una copia della Risoluzione 3379 dell’Assemblea Generale dell’ONU che metteva sullo stesso piano sionismo e razzismo, la ministra della Giustizia ha ora ammesso la veridicità di quella risoluzione (che venne in seguito revocata). Shaked ha detto, forte e chiaro: il sionismo è in contrasto con i diritti umani e quindi è in realtà un movimento ultranazionalista, colonialista e forse anche razzista, come i fautori della giustizia sostengono in tutto il mondo.

Shaked predilige il sionismo rispetto ai diritti umani, la suprema giustizia universale. Crede che noi abbiamo un diverso tipo di giustizia, superiore a quella universale. Il sionismo al di sopra di tutto. E’ già stato detto prima, in altre lingue e da altri movimenti nazionalisti.

Se Shaked non avesse contrapposto tra loro questi due principi, avremmo continuato a credere ciò che ci è stato inculcato fin dall’infanzia: il sionismo è un movimento giusto e moralmente ineccepibile. Santifica l’uguaglianza e la giustizia: basta vedere la nostra dichiarazione d’indipendenza. Abbiamo imparato a memoria: “l’unica democrazia del Medio Oriente”, “una terra senza popolo per un popolo senza terra”, “tutti sono uguali nello Stato ebraico”; abbiamo appreso della giustizia della Corte Suprema araba e del ministro del governo druso. Che cosa possiamo volere di più? E’ tutto così giusto, così equo, potremmo esclamare.

Se tutto ciò fosse vero, Shaked non avrebbe motivo di ergersi a difesa del sionismo nei confronti dei diritti umani. Per lei e per la destra, la discussione sui diritti umani e civili è antisionista, addirittura antisemita. Mira a indebolire e a distruggere lo Stato ebraico.

Quindi Shaked crede, come tanti in tutto il mondo, che Israele sia edificato su fondamenta di ingiustizia e che perciò debba essere difeso dal discorso ostile sulla giustizia. In quale altro modo si potrebbe spiegare il rifiuto di discutere sui diritti? I diritti individuali sono importanti, lei dice, ma non quando sono slegati dall’ “impresa sionista”. E nuovamente: l’impresa sionista è in realtà in contraddizione con i diritti umani.

Quali sono oggi le sfide sioniste? “Giudaizzare” il Negev e la Galilea, eliminare gli “infiltrati”, coltivare il carattere ebraico di Israele e preservare la sua maggioranza ebraica. L’occupazione, le colonie, il culto della sicurezza, l’esercito – che è essenzialmente un esercito d’occupazione – questo è il sionismo nel 2017 circa. Tutti i suoi elementi sono il contrario della giustizia. Dopo che ci è stato detto che sionismo e giustizia sono fratelli gemelli, che nessun movimento nazionale è più giusto del sionismo, arriva Shaked e dice: è proprio il contrario. Il sionismo non è giusto, è contrario alla giustizia, ma noi dobbiamo stringerci ad esso e preferirlo alla giustizia, perché è la nostra identità, la nostra storia e la nostra missione nazionale. Nessun militante del movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni potrebbe dirlo più nettamente. Ma nessuna Nazione ha il diritto di rifiutare i principi universali e di inventarsi i propri principi, che chiamano giorno la notte, definiscono l’occupazione giusta e la discriminazione uguaglianza.

Il sionismo è la religione fondamentalista di Israele e, come in ogni religione, è proibito negarla. In Israele, “non sionista” o “antisionista” non sono insulti, sono ordini sociali di espulsione. Non c’è niente del genere in nessuna società libera. Ma adesso che Shaked ha messo a nudo il sionismo, ha messo la mano sul fuoco ed ha ammesso la verità, possiamo finalmente pensare al sionismo in modo più libero. Possiamo ammettere che il diritto degli ebrei ad uno Stato è in contraddizione con il diritto dei palestinesi alla propria terra, e che il sionismo di destra ha dato origine ad un terribile errore nazionale che non è mai stato sanato; che ci sono modi per risolvere e riparare a questa contraddizione, ma gli israeliani sionisti non saranno d’accordo.

Adesso quindi è tempo per una nuova divisione, più coraggiosa e più onesta, tra gli israeliani che sono d’accordo con le affermazioni di Shaked e quelli che non lo sono. Tra i sostenitori del sionismo ed i sostenitori della giustizia. Tra i sionisti ed i giusti. Shaked non ha contemplato una terza opzione.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)

Quando Gideon Levy si è innamorato di Ayelet Shaked

Il mio collega Gideon Levy preferisce gli estremisti di destra alla sinistra perché dicono la verità; cioè, esprimono sinceramente opinioni pericolose ma popolari tra la gente

 Ravit Hecht – 1 settembre 2017, Haaretz

 

Nel suo pezzo di ieri [in realtà del 1 settembre, ndt.], Gideon Levy ha ringraziato la ministra della Giustizia Ayelet Shaked per aver detto la verità; Shaked ha detto che il sionismo non si inchinerà più alla Corte Suprema. La ministra sta quindi continuando con la sua campagna di provocazione contro la Corte, una campagna che sta prosperando in tutta la destra.

Dal testo di Levy emana un aroma di amore vero per la sua onesta ed audace principessa. Il suo editoriale trasmette un messaggio di ammirazione tra  radicali che dicono le cose come stanno nella loro corsa a fare danni.

E danni sono stati fatti. Che rivoluzione. Apocalypse now. La corte aggressivamente intimidita, e presto i media saranno finalmente addomesticati e messi a tacere. Il razzismo sta avendo un’impennata con l’incoraggiamento dei dirigenti e la corruzione dilaga, senza bisogno di travestirsi, per la semplice ragione che nessuno se ne vergogna più.

Tutto ciò si aggiunge alla calamità dell’occupazione – effettivamente una grande calamità –, che è l’unica cosa che Levy vede. Per quanto lo riguarda, senza risolvere questo disastro, ogni altra cosa potrebbe essere e sarà distrutta. Ciò include, per esempio, il suo diritto fondamentale di dire la sua opinione su Israele, o semplicemente di vivere qui senza essere spedito in un campo di rieducazione se rifiuta di giurare fedeltà al capo della coalizione David Bitan [della destra del Likud, ndt.].

Il danno dell’alleanza di Levy con gente come Shaked è la sua opinione secondo cui quello che Shaked, il ministro del Turismo Yariv Levin e quelli come loro stanno proponendo è il sionismo. Non lo è. E’ una sadica distorsione che interpreta la giustificata difesa degli ebrei attraverso la fondazione di una patria come una selvaggia aggressione verso l’esterno (contro i palestinesi) e verso l’interno (contro chi critica il governo). Chaim Herzog [all’epoca dell’episodio citato ambasciatore di Israele all’ONU, ndt.] aveva ragione a stracciare la risoluzione ONU che sosteneva che il sionismo era una forma di razzismo, perché il sionismo è stato una risposta al razzismo, alla persecuzione degli ebrei ovunque nel mondo e alla reale minaccia alla loro esistenza.

Senza sminuire la tragedia del popolo palestinese nel 1948, senza discolpare il partito Mapai, il predecessore del partito Laburista, per i suoi errori storici, e senza nulla togliere al ruolo del Likud nel fomentare le colonie e nell’accentuare la divisione tra israeliani, la disastrosa destra che è cresciuta negli ultimi anni è una questione completamente diversa. Non è un’evoluzione inevitabile del sionismo o una sua veritiera manifestazione, come sostiene Levy, ma un’espressione di pulsioni malefiche e pericolose – parte di un contesto globale avvelenato – che dirigenti normali ed accettabili hanno l’obbligo di frenare.

Levy preferisce la leadership di Shaked, di Miki Zohar [dirigente della destra del Likud, ndt.] e di Bezalel Smotrich [del partito di estrema destra “Casa ebraica”, ndt.] ai dirigenti del Likud liberali, sicuramente agli abominevoli dirigenti del Mapai, perché essi dicono la verità; cioè, esprimono sinceramente sentimenti popolari tra la gente. Non per fare un paragone diretto, ma anche Hitler diceva la verità, esprimendo i desideri segreti di molti, tedeschi e non solo. Né si faceva molti scrupoli nel metterli in pratica. Nei testi di storia era meglio lui dei dirigenti del suo tempo che dimostravano moderazione?

E’difficile ignorare il tango perfetto danzato da Shaked e Levy. Lei vuole un Israele più grande come parte della fantasia di una dominazione ebraica sancita dalla Bibbia, e lui vuole uno Stato binazionale come parte di un’esotica incursione nel campo del radicalismo selvaggio. Lei vede gli ebrei come una razza dominatrice con privilegi e gli arabi come una spina nel nostro fianco, mentre lui vede gli ebrei come i cattivi e gli arabi come carini Tamagogi senza responsabilità storiche per la loro difficile situazione.

Adesso quindi è tempo per una nuova divisione, più coraggiosa e più onesta, tra gli israeliani che concordano con le affermazioni di Shaked, e quelli che discordano. Tra i sostenitori del sionismo ed i sostenitori della giustizia. Tra i sionisti ed i giusti. Shaked non ha contemplato una terza opzione,” sintetizza Levy .

Ci sono ancora alcuni fautori della giustizia in Israele che credono nel principio fondamentale del sionismo del diritto degli ebrei ad avere una patria in Israele e al contempo aborrono nel profondo l’affermazione di Shaked. Né lei né Gideon Levy li faranno scomparire.

(traduzione di Amedeo Rossi)

Il tango sionista

Perché l’onesto razzismo del ministro della Giustizia Ayelet Shaked è preferibile alle false opinioni della sinistra israeliana.

 Gideon Levy – 3 settembre 2017, Haaretz

Ravit Hecht , nel suo editoriale “Quando Gideon Levy si è innamorato di Ayelet Shaked”, mi attribuisce un “aroma di amore vero” per la mia “onesta ed audace principessa”, la ministra della Giustizia Shaked. Hecht sa che i miei gusti in fatto di donne sono leggermente diversi, e che, nonostante quello che lei scrive, non so ballare il tango. Ma il mio apprezzamento per Shaked e per gente come lei è che non deludono: riconoscono apertamente il loro nazionalismo ed il loro razzismo. 

Non nascondono le loro opinioni secondo cui i palestinesi sono un popolo inferiore, abitanti indigeni che non si guadagneranno mai i diritti che gli ebrei hanno sulla terra di Israele-Palestina; che nessuno Stato palestinese vi sarà mai fondato; che Israele alla fine si annetterà tutti i territori occupati, come ha già fatto nella pratica; che gli ebrei sono il popolo eletto; che il sionismo è in contraddizione con i diritti umani ed è superiore a essi; che la spoliazione è redenzione; che i diritti biblici di proprietà sono eterni; che non esiste un popolo palestinese e non vi è un’occupazione; che l’attuale situazione durerà  per sempre.

Molte di queste opinioni sono diffuse anche tra la sinistra sionista, il campo ideologico di Hecht. L’unica differenza è che la sinistra sionista non le ha mai ammesse. Sviluppa le proprie opinioni nella luccicante carta da regalo dei colloqui di pace, della separazione e nel vuoto discorso dei due Stati, parole che non ha realmente inteso dire e che ha fatto ben poco per realizzare.

Questa è la ragione per cui preferisco Shaked. Con lei, quello che vedi è quello che hai – razzismo. Nelle sue azioni e nei suoi fatti, la sinistra sionista ha fatto di tutto per mettere in pratica le opinioni di Shaked, solo con parole ben educate e senza ammetterlo. La sinistra sionista è in imbarazzo per le cose di cui Shaked e i suoi colleghi non si vergognano. Ciò non rende la sinistra più morale o giusta. Nelle sue azioni è semplicemente stata quasi come Shaked.

L’occupazione non è stata meno crudele sotto i governi della sinistra israeliana, che è stata il padre fondatore dell’impresa di colonizzazione. Questi prìncipi della pace, Shimon Peres e Yitzhak Rabin, hanno fondato più colonie di Shaked e provocato la morte di più arabi. La sinistra ha entusiasticamente difeso ogni operazione militare che Israele ha condotto e ogni azione brutale commessa dall’esercito israeliano. Non è semplicemente rimasta in silenzio di fronte a queste azioni, le ha appoggiate. Sempre.

Le operazioni “Piombo fuso “ e “Margine protettivo” contro Gaza (nel 2008-09 e nel 2014, rispettivamente) hanno implicato migliaia di morti senza senso, e la maggioranza della sinistra sionista le ha appoggiate. La maggioranza di quelli di sinistra ha appoggiato l’assedio di Gaza, le esecuzioni ai posti di blocco, i rapimenti notturni, le detenzioni amministrative, gli abusi, la spoliazione e l’oppressione – durante questi fatti la sinistra è rimasta totalmente silenziosa.

Ma la verità è che non si tratta di Shaked e non si tratta della sinistra. E’ il sionismo. Danni sono stati fatti, come ha scritto la stessa Hecht. Ma invece di cercare di riparare le fondamenta instabili, tutto Israele – e non solo la destra – ha fatto il possibile per indebolirle ancor di più.

Sì, questo riguarda la guerra d’indipendenza del 1948 [definizione israeliana della guerra contro i palestinesi ed i Paesi arabi da cui è nato Israele, ndt.], di cui bisogna discutere anche se è imbarazzante. Lo spirito del 1948 non ha mai smesso di soffiare qui e, a questo proposito, Shaked e Hecht sono dalla stessa parte. Secondo il loro punto di vista c’è solo un popolo qui che deve essere preso in considerazione, solo una vittima, e ha il diritto di fare tutto il danno che vuole all’altro popolo. Questa è l’evoluzione sostanziale del sionismo.

Ciò avrebbe potuto e dovuto essere modificato, senza venir meno al diritto degli ebrei ad avere uno Stato. Ma la sinistra sionista non lo ha mai fatto. Non ha mai riconosciuto la Nakba [l’espulsione dei palestinesi nel 1947-48 dal territorio che sarebbe diventato Israele, ndt.] patita dai palestinesi, e non ha mai fatto niente per espiare i propri crimini. Ciò non è mai avvenuto perché la sinistra sionista crede esattamente in quello in cui crede Shaked.

E’ vero, ci sono molte altri problemi per cui la destra provoca disastri nazionali che la sinistra non avrebbe mai creato. Ma dall’altra parte della frontiera vive un popolo che negli ultimi 50 anni – in realtà negli ultimi 100 – ha sofferto ed è stato oppresso. Non passa un giorno senza che crimini orrendi vengano commessi contro di lui. Non possiamo dire: “Abbiate pazienza. Al momento siamo impegnati con lo status della Corte Suprema.”

E sul problema veramente fondamentale che oscura tutti gli altri, Shaked e Hecht stanno danzando un tango perfetto insieme, con un aroma di vero amore che emana da entrambe – un tango sionista.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Il ministro della Giustizia critica l’Alta Corte israeliana, dice che ignora il sionismo e la difesa della maggioranza ebraica

Revital Hovel

29 agosto 2017, Haaretz

Ayelet Shaked sostiene che il sistema giuridico israeliano assegna un’importanza eccessiva ai diritti individuali, definendo la legge sullo Stato-Nazione una “rivoluzione morale e politica”.

Martedì il ministro della Giustizia Ayelet Shaked ha criticato la Corte Suprema, affermando che il sistema giudiziario non prende sufficientemente in considerazione il sionismo e la maggioranza ebraica del Paese.

Parlando durante una conferenza dell’ordine degli avvocati israeliani a Tel Aviv, Shaked ha detto che il sionismo e “le sfide nazionali sono diventati una zona d’ombra legale” che non hanno un peso determinante rispetto alle questioni dei diritti individuali. Ha aggiunto che le decisioni della corte non prendono in considerazione la questione demografica e che la maggioranza ebraica “ha un valore che dovrebbe essere tenuto in conto.”

Le osservazioni di Shaked sono arrivate il giorno dopo che la Corte Suprema, nelle vesti di Alta Corte di Giustizia, ha deciso che i richiedenti asilo possono essere deportati in Rwanda e in Uganda, ma non possono essere incarcerati per più di due mesi se rifiutano di andarsene.

Il sionismo non può continuare, e lo affermo in questa sede, non continuerà ad inchinarsi al sistema dei diritti individuali interpretati in un modo universalistico che li separa dalla storia della Knesset [il parlamento israeliano. Ndt.] e dalla storia della legislazione che tutti noi conosciamo,“ ha detto Shaked al suo pubblico, che includeva il procuratore generale Avichai Mendelblit, la presidentessa della Corte Suprema Miriam Maor, il procuratore di Stato Shai Nitzan e l’avvocato generale militare, generale Sharon Afek.

Il discorso di Shaked è stato momentaneamente interrotto quando alcuni avvocati tra il pubblico hanno urlato che quello israeliano è uno Stato dell’apartheid.

Il ministro ha detto anche che la legge sullo Stato-Nazione presentata ora dal governo sarà una “rivoluzione morale e politica”. La controversa legge sostiene che Israele è “la patria del popolo ebraico” e che il diritto a realizzare l’autodeterminazione nello Stato è solo suo [del popolo ebraico].

Shaked ha detto che le sentenze della corte riflettono un atteggiamento secondo il quale “la questione della maggioranza ebraica non è comunque rilevante.” Riguardo alla decisione dell’Alta Corte ha aggiunto: “Non è importante quando stiamo parlando di infiltrati dall’Africa che si sono stabiliti nel sud di Tel Aviv ed hanno formato una città nella città, espellendo gli abitanti dai quartieri e la risposta del sistema giudiziario in Israele è di bocciare in continuazione la legge che intende affrontare la questione.”

Riguardo alla maggioranza ebraica, Shaked ha anche citato l’aumento della popolazione ebraica in Galilea.

Shaked ha detto di considerare importante il sistema dei diritti individuali ma “non quando è slegato dal contesto, dai nostri compiti nazionali, dalla nostra identità, dalla nostra storia, dalle nostre sfide sioniste.”

Ha aggiunto che “a partire dalla rivoluzione dei diritti abbiamo smesso di vedere noi stessi come una comunità.”

Riguardo alla legge sullo Stato-Nazione, Shaked ha detto che quelli che vi si oppongono “credono che una Legge fondamentale che dia la preminenza ai nostri valori nazionali e sionisti ci renderà meno democratici. Io, al contrario, vedo i diritti individuali che la Knesset ha riconosciuto come una verità assoluta, così come anche i nostri valori nazionali e sionisti.”

Ha aggiunto: “Solo una rivoluzione morale e politica, sulla linea di quella che abbiamo sperimentato negli anni ’90, che riconfermerà i principali risultati del sionismo fin dalla sua concezione, cambierà questa tendenza problematica.” Il ministro ha affermato che questa tendenza ha portato ad una “interpretazione giuridica che ha trasformato la nostra unicità nazionale in un simbolo e un vascello vuoti.”

Rispondendo alle affermazioni di Shaked, il leader dell’opposizione nella Knesset, il parlamentare dell’ “Unione sionista” Isaac Herzog ha detto: “Di fronte ad un governo che sta ignorando gli orfani, i disabili, gli stranieri e le vedove, abbiamo bisogno di un forte sistema giudiziario che non si mostri di parte. I partiti della coalizione [di governo] dovrebbero togliersi dalla testa la rivoluzione di Shaked, per il bene del popolo nel suo complesso.”

La dirigente della corrente “Hatnuah” dell’ “Unione sionista”, Tzipi Livni, ha detto: “Il sionismo non si sta inchinando ai diritti umani. Sta tenendo orgogliosamente la testa alta, perché la protezione (dei diritti umani) è anche l’essenza dell’ebraismo e parte dei valori di Israele in quanto Stato ebraico e democratico.”

In risposta alla decisione di lunedì sui richiedenti asilo, il primo ministro Benjamin Netanyahu e il ministro dell’Interno Arye Dery, insieme a Shaked, hanno chiesto norme che consentano la deportazione dei richiedenti asilo contro la loro volontà. Il ministro della Sicurezza Pubblica Gilad Erdan ha criticato la sentenza della Corte Suprema, affermando che rende nulla la sua decisione, quando era ministro dell’Interno, “di mettere in pratica la politica di espulsione verso un Paese terzo e priva lo Stato di un efficace strumento per espellere infiltrati.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




La dichiarazione Balfour: uno studio sulla doppiezza britannica

Avi Shlaim

Venerdì 25 agosto 2017, Middle East Eye

Sono passati quasi 100 anni da quando questo documento ha cambiato il corso della storia, eppure la Gran Bretagna non ha ancora riconosciuto il rifiuto da parte di Israele del diritto all’autodeterminazione nazionale dei palestinesi– e la sua stessa complicità.

La Dichiarazione Balfour, emanata il 2 novembre 1917, è stato un breve documento che ha cambiato il corso della storia. Ha impegnato il governo britannico ad appoggiare la fondazione di un focolare per il popolo ebraico in Palestina, disponendo che non fosse fatto niente “per pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina.”

A quel tempo gli ebrei rappresentavano il 10% della popolazione della Palestina: 60.000 ebrei e poco più di 600.000 arabi. Eppure la Gran Bretagna scelse di riconoscere il diritto all’autodeterminazione nazionale della ridotta minoranza e di negarla recisamente all’incontestabile maggioranza. Nelle parole dello scrittore ebreo Arthur Koestler: c’era una Nazione che promise a un’altra Nazione la terra di una terza Nazione.

Alcuni resoconti contemporanei presentarono la Dichiarazione Balfour come un gesto disinteressato e come un nobile progetto cristiano per aiutare un antico popolo a ricostituire la propria vita nazionale nella sua patria ancestrale. Questi resoconti sgorgavano dal romanticismo biblico di alcuni funzionari britannici e dalla loro simpatia per la condizione degli ebrei nell’Europa orientale.

Studi successivi suggeriscono che il principale motivo dell’emanazione della dichiarazione era il freddo calcolo degli interessi imperiali britannici. Si credeva erroneamente, come è risultato in seguito, che gli interessi britannici sarebbero stati meglio tutelati da un’alleanza con il movimento sionista in Palestina.

La Palestina controllava le vie di comunicazione dell’impero britannico con l’Estremo Oriente. La Francia, il principale alleato della Gran Bretagna nella guerra contro la Germania, era al contempo una rivale nell’influenza sulla Palestina.

In base all’accordo segreto Sykes-Picot del 1916, i due Paesi si divisero il Medio Oriente in zone di influenza, ma vennero a un compromesso su un’amministrazione internazionale per la Palestina. Aiutando i sionisti ad occupare la Palestina, i britannici speravano di garantirsi una presenza preponderante nella zona e di escludere i francesi. I francesi definirono i britannici “perfida Albione”. La Dichiarazione Balfour era un esempio lampante di questa perenne perfidia.

Le principali vittime di Balfour

Le principali vittime della Dichiarazione Balfour, tuttavia, non furono i francesi ma gli arabi della Palestina. La dichiarazione era un classico documento coloniale europeo messo assieme da un piccolo gruppo di uomini con una mentalità totalmente colonialista. Venne formulato con assoluto spregio per i diritti politici della maggioranza della popolazione indigena.

Il ministro degli Esteri Arthur Balfour non fece nessuno sforzo per mascherare il proprio disprezzo per gli arabi.

Il sionismo, che sia giusto o sbagliato, buono o cattivo,” scrisse nel 1922, era “radicato in una tradizione di lungo periodo, nelle necessità presenti e nelle speranze future di importanza molto maggiore dei desideri e dei pregiudizi dei 700.000 arabi che ora abitano quella terra antica.” Difficilmente ci potrebbe essere una illustrazione più evidente di quello che Edward Said ha definito “l’epistemologia morale dell’imperialismo.”

Balfour era solo un languido aristocratico inglese. La vera forza motrice dietro la dichiarazione non era Balfour ma David Lloyd George, un impetuoso radicale gallese che guidava il governo. In politica estera Lloyd George era un imperialista britannico alla vecchia maniera e un usurpatore di terre. Il suo appoggio al sionismo, tuttavia, era basato non sulla corretta valutazione degli interessi britannici, ma sull’ignoranza: egli ammirava gli ebrei ma al contempo li temeva e non comprese che i sionisti erano la minoranza di una minoranza.

Schierando la Gran Bretagna con il movimento sionista, agì con l’opinione sbagliata – e antisemita – secondo cui gli ebrei erano straordinariamente influenti e che avrebbero accelerato un cambiamento storico. In effetti, il popolo ebraico era indifeso, senza nessun’altra influenza se non attraverso il mito di un potere occulto.

In breve, l’appoggio britannico al sionismo durante la guerra era radicato in un arrogante atteggiamento colonialista nei confronti degli arabi e nell’opinione sbagliata sul potere globale degli ebrei.

Un duplice obbligo

La Gran Bretagna aggravò il proprio errore originario inserendo i termini della Dichiarazione Balfour nel mandato della Società delle Nazioni per la Palestina. Quella che era stata una semplice promessa da parte di un grande potere a un alleato minore divenne a quel punto uno strumento internazionale legalmente vincolante.

Per essere più precisi, la Gran Bretagna in quanto potere mandatario assunse un duplice obbligo: di aiutare gli ebrei a costituire un focolare in tutta la Palestina mandataria e, allo stesso tempo, di proteggere i diritti civili e religiosi degli arabi. La Gran Bretagna rispettò il primo obbligo, ma mancò di onorare persino questo secondo, pur misero, impegno.

Che la Gran Bretagna fosse colpevole di doppiezza e facesse il doppio gioco è fuori discussione. Perciò la vera domanda da porsi è: questa politica immorale ha portato alla Gran Bretagna qualche vantaggio concreto? La mia risposta a questa domanda è che non ne ha portato nessuno.

La Dichiarazione Balfour è stata una palla al piede della Gran Bretagna dall’inizio del mandato [sulla Palestina] fino alla sua ingloriosa fine nel maggio 1948.

I sionisti sostennero che ogni cosa che la Gran Bretagna faceva per loro nel periodo tra le due guerre era molto lontano da quanto originariamente aveva promesso. Sostenevano che la dichiarazione implicava un appoggio ad uno Stato ebraico indipendente; i funzionari britannici ribattevano che avevano promesso solo un territorio nazionale, che non è lo stesso di uno Stato. Al contempo la Gran Bretagna subì l’ostilità non solo dei palestinesi, ma di milioni di arabi e musulmani in tutto il mondo.

Elizabeth Monroe, nel suo classico saggio Britain’s Moment in the Middle East [“Il periodo della Gran Bretagna in Medio Oriente”], fornisce un giudizio equilibrato su questa vicenda. “Valutato in base ai soli interessi britannici,” scrive Monroe, “ciò è uno dei più grandi errori della storia del nostro impero.”

Con il senno di poi, la Dichiarazione Balfour appare come un colossale abbaglio strategico.

Il risultato finale fu di permettere ai sionisti di occupare la Palestina, un’occupazione che continua fino ai nostri giorni nella forma di una espansione delle colonie, illegale ma senza sosta, in Cisgiordania a spese dei palestinesi.

Mentalità radicata

Data questa documentazione storica, ci si potrebbe aspettare che i dirigenti britannici abbassino il capo per la vergogna e rinneghino questa velenosa eredità del loro passato coloniale. Ma gli ultimi tre primi ministri britannici dei due principali partiti politici – Tony Blair, Gordon Brown e David Cameron – hanno dimostrato uno strenuo appoggio ad Israele e un’assoluta indifferenza per i diritti dei palestinesi.

L’attuale primo ministro Theresa May è uno dei leader più filo-israeliani d’Europa. In un discorso del dicembre 2016 agli “Amici conservatori di Israele”, che includono oltre l’80% dei parlamentari conservatori e tutto il governo, ha osannato Israele come “un Paese eccezionale” e “un faro di tolleranza”.

Spargendo sale sulle ferite palestinesi, ha definito la Dichiarazione Balfour “una delle più importanti lettere della storia,” ed ha promesso di festeggiarne l’anniversario.

Una petizione che chiede al governo di scusarsi per la Dichiarazione Balfour è stata firmata da 13.637 persone, compreso chi scrive. Il governo ha risposto come segue:

La Dichiarazione Balfour è una affermazione storica per la quale il governo di Sua Maestà non intende chiedere scusa. Siamo orgogliosi del nostro ruolo nella creazione dello Stato di Israele.

La dichiarazione è stata scritta in un mondo di poteri imperialisti in competizione tra loro, nel mezzo della Prima guerra mondiale e del tramonto dell’impero ottomano. In quel contesto, fondare una patria per il popolo ebraico sulla terra con cui ha legami storici e religiosi così forti era la cosa giusta e morale da fare, soprattutto di fronte a una storia di plurisecolari persecuzioni.

Molte cose sono successe dal 1917. Riconosciamo che la dichiarazione avrebbe dovuto chiedere la protezione dei diritti politici delle comunità non ebraiche in Palestina, in particolare il loro diritto all’autodeterminazione. Tuttavia la cosa importante ora è guardare avanti e garantire la sicurezza e la giustizia sia agli israeliani che ai palestinesi attraverso una pace duratura.”

Sembrerebbe che, nonostante sia passato un secolo, la mentalità colonialista dell’élite politica britannica sia ancora profondamente radicata. I dirigenti britannici dei nostri giorni, come i loro predecessori della Prima guerra mondiale, fanno ancora riferimento agli arabi come alle “comunità non ebraiche in Palestina.”

E’ vero, il governo riconosce che la dichiarazione avrebbe dovuto proteggere i diritti politici degli arabi di Palestina. Ma non riconosce l’ostinata negazione da parte di Israele del diritto dei palestinesi all’autodeterminazione nazionale e la complicità della Gran Bretagna in questa costante negazione. I dirigenti britannici, come i Borboni, re di Francia, a quanto pare non hanno imparato niente e niente hanno dimenticato nei 100 anni trascorsi [dalla Dichiarazione Balfour].

Avi Shlaim è professore emerito in Relazioni internazionali all’università di Oxford e autore di The Iron Wall: Israel and the Arab World (2014) [ed. italiana:“Il muro di ferro: Israele e il mondo arabo”, Il Ponte editrice] e di Israel and Palestine: Reappraisals, Revisions, Refutations (2009) [“Israele e Palestina: riesami, revisioni, confutazioni”].

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(traduzione di Amedeo Rossi)




L’alleanza tra i sionisti ed i suprematisti bianchi nella Casa Bianca di Trump

Ali Abunimah Lobby Watch

15 agosto 2017, Electronic Intifada

Un articolo molto discusso del New York Times sulle pressioni sul presidente Donald Trump perché licenzi il suo consigliere Steve Bannon contiene questa affermazione intrigante:

La capacità del signor Bannon di inserirsi come populista all’interno dell’amministrazione Trump è in parte dovuta ai suoi collegamenti con un pugno di ricchissimi padrini politici, compreso Sheldon G. Adelson, il magnate filo-israeliano dei casinò di Las Vegas.

Come presidente esecutivo di Breitbart News prima di unirsi alla campagna elettorale di Trump, Bannon ha trasformato il sito informativo di estrema destra in quello che ha definito come la “piattaforma per l’alt-right” – l’insieme di neonazisti, suprematisti bianchi e razzisti che sabato sono stati la nuova causa di indignazione dopo la loro violenta aggressione a Charlottesville, in Virginia.

Il silenzio di Israele

Bannon è universalmente visto come il campione dei suprematisti bianchi – alcuni dei quali hanno sfilato apertamente con bandiere naziste – e la ragione per cui Trump non li ha esplicitamente condannati immediatamente dopo che uno di loro, a quanto pare James Alex Field, di 20 anni, ha lanciato la sua macchina contro i manifestanti contrari, uccidendo la 32enne Heather Hever e ne ha ferito più di una dozzina di altri.

Da qui le rinnovate pressioni su Trump perché licenzi Bannon. Ma se Bannon appoggia i suprematisti bianchi e la far-right chiaramente antisemita, perché gode del sostegno di Adelson? Il miliardario di Las Vegas, com’è ben noto, è un importante finanziatore del partito Repubblicano USA e uno dei maggior donatori delle organizzazioni filo-israeliane negli Stati Uniti. Adelson ha affermato di essere dispiaciuto per aver fatto il servizio militare nell’esercito USA invece che in quello israeliano.

E’ anche uno stretto alleato del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu – ed è qui che si può trovare la risposta.

I leader israeliani, compreso Netanyahu, sono rimasti in silenzio in maniera molto evidente riguardo ai nazisti che si sono scatenati a Charlottesville – cosa particolarmente strana dato che Israele è in genere molto lesto nello sfruttare avvenimenti internazionali a proprio vantaggio. (Dopo tre giorni di silenzio alla fine Netanyahu, martedì, ha twittato una condanna generica dell’ “antisemitismo, neonazismo e razzismo” senza citare specificamente Charlottesville).

Perché lo “Stato ebraico” è apparentemente così riluttante ad esprimersi contro i nazisti?

Le alleanze antisemite di Israele

Mentre Israele pretende di essere il protettore degli ebrei di tutto il mondo, storicamente i sionisti hanno stretto alleanza con i più letali antisemiti del mondo. Sionisti e antisemiti, dopo tutto, condividono l’analisi che gli ebrei non appartengono all’Europa, quindi perché non collaborare per trasportarli da qualche altra parte – in Palestina?

Questa odiosa alleanza continua in forme attuali, come ha osservato [in alcuni tweet] il giornalista Max Blumenthal il 14 agosto:

Un ‘liberal’ israeliano incita gli ebrei a lasciare l’America. E’ quello che vogliono che facciamo anche i nazisti che hanno marciato a Charlottesville. Che vadano entrambi al diavolo.”

Ma questa è l’essenza del Sionismo ed è la ragione per cui è stato accolto in modo così accondiscendente dai fascisti gentili [cioè non ebrei, ndt.] che vogliono anche loro che gli ebrei se ne vadano.”

Una pietra miliare della politica israeliana di oggi è rafforzare i legami con altre forze ultranazionaliste, razziste ed islamofobe in tutto il mondo – persino se sono anche anti-semite.

Un esempio lampante è l’abbraccio dello stesso di Netanyahu con il primo ministro ungherese Viktor Orban, nonostante il recente elogio di quest’ultimo a Viktor Horthy, l’alleato di Hitler durante la guerra che diresse l’uccisione di 500.000 vittime dell’Olocausto.

Gli interessi di Israele hanno assunto priorità rispetto alla preoccupazione per la sicurezza degli ebrei ungheresi, dato che Netanyahu ha ordinato al suo ministro degli Esteri di soffocare le critiche contro i richiami antisemiti di Orban.

In modo significativo Richard Spencer, l’ideologo neonazista che vuole creare una patria ariana in Nord America, ha definito la sua missione “una specie di sionismo bianco”. Spencer ha rapporti con un altro consulente importante della Casa Bianca, Stephen Miller.

Una simile alleanza ideologica prevale all’interno della Casa Bianca. E Israele l’ha protetta: Ron Dermer, l’ambasciatore israeliano a Washington, ha difeso pubblicamente Bannon nei giorni che hanno seguito le elezioni di novembre, dopo che gruppi di ebrei americani hanno duramente criticato la nomina di Bannon a posizioni di vertice.

Ideologia e convenienza

Ma l’alleanza Adelson-Bannon è anche di convenienza. L’ “Organizzazione Sionista d’America”, sostenuta da Adelson, sta conducendo una campagna contro il consigliere per la Sicurezza Nazionale di Trump H. R. McMaster, che intende presentare il generale dell’esercito come “ostile ad Israele”.

McMaster sembra anche essere uno dei principali oppositori di Bannon all’interno della Casa Bianca. Figure dell’establishment della lobby israeliana, come l’ambasciatore dell’amministrazione Obama in Israele Daniel Shapiro, sono insorte a difesa di Mc Master:

Due figure importanti della sicurezza israeliana smentiscono la frottola assurda ed offensiva che McMaster sia ostile ad Israele.”

Scegli la tua guerra

Ci sono diverse questioni in gioco. Parte dell’agenda dell’ultranazionalista “Prima l’America” di Bannon è l’opposizione ad alcuni interventi militari USA, in particolare a un rinnovato “slancio” in Afghanistan ,che è appoggiato da McMaster e dal ministro della Difesa USA James Mattis.

Tuttavia ciò non è interesse né di Adelson né di Netanyahu. Bannon ed altre figure dell’estrema destra, compreso il consigliere della Casa Bianca Sebastian Gorka, sono stati gli oppositori principali dell’accordo internazionale con l’Iran sul suo programma per l’energia nucleare. Per anni bloccare o indebolire l’accordo con l’Iran è stata una delle preoccupazioni di Netanyahu.

Bannon e Gorka si sono opposti furiosamente alla recente certificazione da parte del dipartimento di Stato che l’Iran sta rispettando i termini dell’accordo.

L’accusa fondamentale dell’ “Organizzazione Sionista d’America” contro McMaster è che è troppo comprensivo con l’Iran.

Informazioni riportate da “The Forward” [storica rivista ebreo-statunitense, ndt.] hanno rivelato che Gorka è membro del gruppo ungherese di estrema destra che era controllato dai nazisti durante la guerra ed ha fornito appoggio ad una milizia antisemita.

Per chi sostiene la giustizia e si oppone alla guerra e al razzismo non c’è una “parte” da scegliere in questa battaglia. Da una parte c’è la fazione di Bannon-Adelson che sostiene il sionismo estremista, l’antisemitismo, la supremazia bianca e la possibile guerra contro l’Iran. Dall’altra, c’è quella di McMaster, appoggiata dall’apparato di Washington, che vuole perpetuare le attuali guerre imperialiste dell’America, a cominciare da un’escalation in Afghanistan.

(traduzione di Amedeo Rossi)




L’innamoramento di Israele per gli antisemiti ungheresi mette in luce l’orribile essenza del sionismo

Asa Winstanley – 26 luglio 2017,Middle East Monitor

Il sionismo, l’ideologia ufficiale dello Stato di Israele, è sempre stato un progetto politico antisemita. Benché il sionismo si sia presentato come una soluzione all’antisemitismo europeo, in realtà ha significato una sua continuazione nello spirito e nella pratica.

La premessa di base che sta dietro al sionismo è sempre stata fondamentalmente anti-ebraica. L’idea che gli ebrei non siano autentici cittadini dei loro Paesi d’origine in Europa ed altrove e che dovrebbero andarsene per diventare coloni in un Paese straniero – Israele – è tale che la sinistra politica non ha problemi a riconoscerla come antisemita quando è sostenuta dalla destra politica. Quando la stessa menzogna esce dalla bocca dei sionisti, allora (compreso qualche qualche gruppo progressista e di sinistra) viene accettata perché appoggiano Israele. E’ ora di porre fine a questa ipocrisia e di ammettere che il sionismo è antisemitismo.

Un’ulteriore prova di ciò è risultata evidente all’inizio di questo mese con la questione di George Soros in Ungheria. Il governo di destra ha lanciato una campagna di manifesti esplicitamente anti-semiti che ha preso di mira gli immigrati; i manifesti mostravano il volto sorridente di Soros e una didascalia: “Non lasciamo che Soros abbia l’ultima parola [letteralmente: che rida per ultimo, ndt.]!”

Nato ebreo ungherese, Soros è un finanziere miliardario e finanziatore di cause progressiste attraverso le sue “Fondazioni per una Società Aperta”. I beneficiari della sua generosità includono gruppi che promuovono politiche immigratorie più aperte.

Il messaggio chiaramente insito nei manifesti era che ricchi ebrei stanno dietro una trama per inondare l’Ungheria di immigrati, una tipica menzogna della propaganda fascista. “Human Rights Watch”, un’organizzazione in parte finanziata da Soros, ha condannato la campagna, affermando che “evoca ricordi dei manifesti nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale.”

Anche la comunità ebraica ungherese ha manifestato preoccupazione, e l’ambasciata israeliana a Budapest inizialmente ha fatto lo stesso. Tuttavia, ore dopo, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu – che è anche il ministro degli Esteri – in un comunicato rilasciato dal ministero degli Esteri ha scavalcato l’ambasciata. Il “chiarimento” ha sostenuto che George Soros “minaccia continuamente i governi israeliani democraticamente eletti” ed ha affermato che finanzia organizzazioni “che diffamano lo Stato ebraico e cercano di negargli il diritto di difendersi.”

B’tselem, il gruppo per i diritti umani israeliano che si dedica a documentare le violazioni a danno dei palestinesi da parte di Israele, è un altro gruppo sostenuto dalle fondazioni di Soros.

Il “chiarimento” di Netanyahu è molto significativo in quanto ha offerto un appoggio al primo ministro ungherese Viktor Orban. Lo scorso mese Orban ha elogiato il leader ungherese della Seconda Guerra Mondiale Miklos Horthy, definendolo uno “statista eccezionale”. Horthy fu un alleato di Adolf Hitler e il suo regime collaborò con i nazisti nella deportazione degli ebrei. Mezzo milione di ebrei ungheresi furono uccisi durante l’Olocausto nazista.

Ciononostante Netanyahu ha dato il proprio sostegno al leader ungherese alla vigilia della sua visita a Budapest all’inizio del mese, durante la quale ha lodato le credenziali filo-israeliane di Orban. “C’è un nuovo antisemitismo che è rappresentato dall’anti-sionismo e che consiste nel delegittimare l’unico Stato ebraico,” ha detto Netanyahu dopo colloqui con Orban. “L’Ungheria è, in molti modi, all’avanguardia degli Stati che vi si oppongono.”

Questa è in sintesi la politica israeliana: l’antisemitismo è ridefinito da “odio degli ebrei in quanto tali” a “critiche contro Israele”. Ciò ha raggiunto un culmine talmente estremo che persino ai sionisti non ebrei è consentito di uscirsene con i giudizi anti-ebraici più stravaganti finché appoggiano Israele sempre e comunque.

La faccenda ci ricorda un cartone animato orribilmente antisemita creato nel 2015 da un’organizzazione di coloni israeliani che riceve finanziamenti pubblici. Il grottesco esempio di propaganda era un attacco generalizzato contro B’tselem, Yesh Din e altri gruppi israeliani per i diritti umani. In esso un personaggio losco, con il naso grande definito come “Lo ebreo” [nel testo inglese “Ze Jew”], ha delle monete europee lanciategli in cambio di bugie propagandistiche inventate contro Israele. Classico esempio antisemita di incitamento contro gli ebrei critici di Israele, era persino intitolato “L’ebreo eterno”, come un film di propaganda nazista del 1940.

Come ha scritto recentemente Haaretz in un editoriale sulla faccenda di Soros, “Chi sostiene progetti universalisti e lotta per i diritti umani, compresi i diritti delle minoranze e degli stranieri, in Israele è denunciato come nemico.”

Attivisti ebrei nei movimenti di solidarietà con la Palestina in Gran Bretagna raccontano sistematicamente di essere vittime delle denunce più ferocemente antisemite da parte dei sionisti, che spesso esprimono l’auspicio che gli attivisti o le loro famiglie fossero stati uccisi durante l’Olocausto.

Riguardo a Soros, la destra ungherese e quella israeliana sembrano aver trovato una causa comune. Poco dopo che Netanyahu ha appoggiato la campagna di odio anti-semita di Orban, un parlamentare del suo partito di estrema destra, il Likud, ha proposto quella che ha chiamato la “Legge Soros”, per bloccare le donazioni ai gruppi di sinistra che godono di finanziamenti stranieri.

L’innamoramento di Israele per gli antisemiti ungheresi mette in luce l’orribile essenza del sionismo. La sua china verso il fascismo sempre più esplicito continua a ritmo sostenuto.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Come Israele è passata dal sionismo ateo allo Stato ebraico

 Shlomo Sand 21 gennaio, 2017, Haaretz

La sintesi di sionismo e socialismo si è disintegrata, aprendo la strada ad una simbiosi vincente di religione ed etno-nazionalismo

E’ triste leggere le recenti denunce degli intellettuali israeliani circa il collasso dell’unica democrazia ebraica del Medio Oriente. La malinconia laica suscita probabilmente l’identificazione tra i lettori – ma, ahimè, non li illumina.

A volte sembra che le parole non siano altro che attrezzi di scena nelle mani di abili acrobati da circo. Ad esempio, c’è una profonda relazione tra i termini laicismo e ateismo, ma non sono affatto coincidenti o identici. Tra gli intellettuali israeliani, e non casualmente, le differenze tra i due termini sono molto più vaghe che in altri ambiti del discorso nazionale.

Ad esempio, una persona può essere laica nel senso politico del termine e credere in un potere superiore (come il prof. Yeshayahu Leibowitz [grande filosofo religioso israeliano, ndr.] dell’ultimo periodo) oppure un ateo può non essere davvero laico (come il Primo Ministro David Ben-Gurion nei suoi ultimi anni). Il laicismo è – non soltanto, ma principalmente – un punto di vista politico, mentre l’ateismo è prima di tutto un punto di vista filosofico.

Nello sviluppo storico della democrazia liberale – e, in effetti, anche nella crescita di alcune delle democrazie autoritarie – laicismo ha voluto dire la separazione tra religione e Stato. O, per essere più precisi, una rottura del tradizionale nodo gordiano tra la società politica e la Chiesa (o le chiese).

E’ pur vero che la secolarizzazione dello spazio pubblico-politico non è mai stata totale – si veda ad esempio le bandiere di Svezia e Norvegia [contenenti entrambe una croce, ndr.] – o il rapporto duraturo tra il Regno Unito e la Chiesa Anglicana. Ma la legislazione riguardo allo stato civile, alla neutralità su questioni di credo e rito, all’istruzione pubblica senza l’intervento del clero e alla definizione della cittadinanza e della nazionalità senza criteri religiosi, è diventata la norma nella maggioranza dei Paesi nel XX° secolo (fatta eccezione in quelli del Medio Oriente e del Nord Africa).

Il sionismo, come movimento nazionale che si ribellò all’ebraismo storico, fu principalmente ateo. La maggior parte dei suoi leader e attivisti smisero di credere nella redenzione attraverso l’arrivo del Messia, l’antica essenza del credo ebraico, e presero il proprio destino nelle loro stesse mani. Il potere del soggetto umano sostituì il potere del Dio onnipotente.

I rabbini lo sapevano, ed erano terrorizzati – e, pertanto, la maggior parte di loro divenne dichiaratamente anti-sionista. A partire dal rabbino chassidico [Chassidismo: movimento ebraico mistico diffuso a livello internazionale, ndr.] Sholom Dovber Schneersohn, l’Admor di Lubavitch, fino al rabbino Capo Riformista degli USA Isaac Mayer Wise, fondatore della Reform Central Conference, i Mitnagdim [movimento costituito da ebrei lituani ortodossi, rabbini e talmudisti, ndr.] gli Hasidim, gli Ortodossi, i Riformisti e i Conservatori, tutti videro nell’ascesa del sionismo la fine dell’ebraismo. A seguito della radicale opposizione dei rabbini tedeschi, Theodor Herzl fu costretto a trasferire il Primo Congresso Sionista da Monaco alla città svizzera di Basilea.

Ma a partire dai primi passi del consolidamento e della costituzione del movimento sionista, esso fu obbligato a selezionare meticolosamente e nazionalizzare accuratamente alcune delle credenze religiose, al fine di trasformarle in miti fondanti della nazione.

Per i sionisti atei, Dio era morto quindi la Terra Santa è divenuta la patria; tutte le feste tradizionali [religiose ndr.] sono diventate feste nazionali; Gerusalemme ha smesso di essere la città celeste per diventare la capitale del tutto terrena di un popolo eterno. Ma non sono state queste decisioni, o molte altre, che hanno impedito che il nazionalismo laico fungesse da fondamento per la realizzazione dello Stato di Israele.

La ragione principale dell’incapacità del sionismo di instaurare un’identità laica con una costituzione – in cui la religione sia separata dallo Stato – va ricercata altrove. La natura problematica della definizione di “ebreo” secondo criteri laici – culturali, linguistici, politici o “biologici” (nonostante tutti gli sforzi è ancora impossibile determinare chi è ebreo mediante il DNA) – fu ciò che escluse l’opzione di una identità laica. Ad esempio Ben-Gurion – il futuro fondatore dello Stato – era convinto, come molti altri, che la maggioranza della popolazione della Terra di Israele non fosse stata esiliata, bensì convertita all’Islam durante la conquista Araba, e quindi in origine fosse evidentemente ebraica.

Nel 1948 egli aveva già rinunciato a questa idea confusa e pericolosa, per affermare invece che il popolo ebraico era stato esiliato con la forza e aveva vagato in isolamento per 2000 anni. Poco prima egli aveva consegnato alla debole e impoverita corrente religiosa sionista un dono prezioso: nella famosa lettera dello “status quo”, tutte le leggi riguardanti il matrimonio, l’adozione e la sepoltura furono lasciate direttamente al Rabbino Capo. Il timore di assimilazione fu l’incubo condiviso sia dal Giudaismo sia dal Sionismo, e alla fine questo timore ebbe il sopravvento.

In breve tempo, il principio di adottare la definizione religiosa fu accettato nella politica identitaria: un “ebreo” è qualcuno che è nato da una madre ebrea o convertita e non è membro di un’altra religione. In altre parole, chi non risponde a questi requisiti non può essere parte del risveglio del “popolo ebraico”, nonostante adotti la cultura israeliana, parli in ebraico fluente e festeggi il Giorno dell’Indipendenza israeliana. Si tratta di un processo storico molto logico: poiché non esiste una cultura ebraica laica, è impossibile essere parte di qualcosa che non esiste attraverso strumenti laici.

E poi arrivò il 1967. Lo Stato di Israele si espanse in modo significativo, ma allo stesso tempo un’ampia quota di popolazione “non-ebrea” venne tenuta insieme sotto la muscolosa ala ebraica del paese. I vincoli ebraici dovettero essere rinsaldati di fronte ai confusi fraintendimenti che tendevano a prodursi come risultato del campo minato della questione territoriale – demografica.

Da quel momento in poi, più che mai, l’enfasi fu posta sul titolo di “ebraico” – in altre parole, l’appartenenza allo Stato riguardava chi è nato da madre ebrea o si è convertito secondo la legge ebraica, e, Dio ce ne scampi, non era il Paese di tutti i suoi cittadini. Le giustificazioni addotte alla bramosia nei confronti delle nuove colonie fecero affidamento infatti molto di più sull’idea biblica della Terra Promessa e molto meno sulla rivendicazione sionista di autodeterminazione. Ecco perché non è una coincidenza che, contestualmente, l’establishment religioso sia diventato sempre più invasivo.

Come è accaduto al socialismo e al nazionalismo liberale, la crisi delle ideologie laiche di fronte alla globalizzazione capitalistica ha anche prodotto un’atmosfera ideale per l’ascesa delle identità “premoderne”, principalmente etnico-religiose, ma anche etnico-biologiche. E se queste identità devono ancora ottenere la vittoria completa in tutto il mondo occidentale, in altri angoli del pianeta – dall’Europa dell’Est al Terzo Mondo – hanno conseguito considerevoli successi. In Israele, a seguito del precedente background etnocentrico, le nuove-vecchie identità sono diventate molto popolari. La sintesi di sionismo e socialismo si è completamente disintegrata, aprendo la strada alla simbiosi vincente di religione e forte nazionalismo etnico.

Per i sionisti pseudo-laici – e non soltanto per loro – questa nuova situazione è difficile ed opprimente. Ma poiché essi non hanno risposte ai problemi identitari e alle contraddizioni che sono state parte della società israeliana fin dalla sua nascita, a quanto pare possiamo prevedere ulteriori catastrofi.

Chi scrive è l’autore di “Twilight of History” (Ed. Verso 2017)

Traduzione Viviana Codemo