Ottobre 2000 vs maggio 2021: come i palestinesi hanno sfidato la frammentazione

Zena Al Tahhan

4 ottobre 2021 – Al Jazeera

Analisti e attivisti affermano che le proteste del maggio 2021 hanno segnato un punto di svolta nella mobilitazione e nell’unità dei palestinesi.

Gerusalemme Est occupata – Durante i primi otto giorni dell’ottobre 2000 le forze israeliane uccisero a colpi di arma da fuoco 13 giovani palestinesi disarmati nelle proteste di massa all’interno di Israele (denominati dai palestinesi territori occupati nel 1948).

Definite “ottobre habbet” in arabo – che significa l’esplosione popolare di ottobre – le proteste e gli scontri avvennero all’inizio della seconda Intifada, o insurrezione, dopo l’uccisione e il ferimento di palestinesi da parte dell’esercito israeliano nei territori occupati nel 1967.

Interrompendo decenni di sistematica frammentazione fisica, politica e sociale del popolo palestinese da parte di Israele, le proteste di ottobre e l’Intifada segnarono un momento di unità popolare tra i palestinesi nei territori occupati del 1948 e del 1967

In particolare dopo gli accordi di Oslo del 1993 – che miravano, senza successo, a creare uno stato palestinese nei territori del 1967 – i palestinesi all’interno di Israele

erano stati lasciati fuori dall’equazione del progetto politico palestinese e subirono tentativi da parte del governo israeliano di pacificarli attraverso finanziamenti e stringenti controlli di polizieschi, mantenendo la loro emarginazione politica, sociale ed economica.

Sebbene dal 2000 siano scoppiate diverse grandi rivolte popolari palestinesi – anche tra i palestinesi all’interno di Israele – secondo analisti e attivisti le proteste e gli scontri che hanno spazzato il paese da nord a sud nel maggio 2021, definiti “habbet Ayyar” (esplosione di maggio), hanno segnato un evidente punto di svolta nel rapporto tra palestinesi e Stato, e nella mobilitazione popolare palestinese.

Ameer Makhoul, analista politico e scrittore con sede ad Haifa, dice ad Al Jazeera che, mentre le proteste del 2000 avvennero “per inviare un messaggio che [anche noi in Israele ndt.] siamo parte del popolo palestinese” e furono caratterizzate come “sostegno alla lotta del nostro popolo” nei territori occupati nel 1967, le proteste del maggio 2021 “hanno inviato il messaggio che siamo un’unica causa – che siamo parti interessate direttamente” e aggiunge che “non sono state proteste di solidarietà”, ma che i palestinesi in Israele ” sono stati in prima linea”.

Molteplici fronti

A fronte della serie di eventi rapidamente succedutisi tra fine aprile e maggio – principalmente le proteste contro i piani israeliani di pulizia etnica del quartiere palestinese di Sheikh Jarrah a Gerusalemme, i giorni dei violenti raid israeliani con centinaia di feriti nel complesso della moschea di Al-Aqsa durante il Ramadan e alla campagna di bombardamenti sulla Striscia di Gaza – la quarta in 13 anni – i palestinesi all’interno di Israele si sono mobilitati, obbligando lo Stato ad affrontare molteplici fronti aperti.

Il 10 maggio in almeno 20 località, compresi i villaggi più piccoli e meno conosciuti, palestinesi nelle aree del 1948 migliaia di persone sono scese in piazza con proteste e scontri descritti come “senza precedenti”.

Gli abitanti hanno bloccato strade, lanciato bottiglie molotov e pietre contro le forze israeliane, dato fuoco alle auto della polizia, rotto le telecamere di sorveglianza israeliane e rimosso le bandiere israeliane dai lampioni per sostituirle con quelle palestinesi.

Nelle grandi città come Haifa, Lydd e Ramle – città che sono state sottoposte a pulizia etnica nel 1948 e che oggi ospitano una minoranza palestinese – la questione è cresciuta di intensità quando israeliani armati, molti dei quali provenienti dalla Cisgiordania occupata, si sono trasformati in bande di strada che hanno attaccato case palestinesi e perpetrato linciaggi, che Makhoul descrive come “una minaccia esistenziale per il popolo”

Il 12 maggio per la prima volta dal 1966 [anno in cui finì l’amministrazione militare nei territori abitati da palestinesi con cittadinanza israeliana, ndtr.] Israele ha dichiarato lo stato di emergenza a Lydd e ha imposto il coprifuoco alla città mentre iniziava la guerra a Gaza. Ha anche fatto affluire rinforzi della guardia di confine, un corpo dell’esercito che di solito opera nella Cisgiordania occupata.

Secondo Mossawa, un’organizzazione per i diritti dei palestinesi, al 10 giugno la polizia aveva arrestato più di 2.150 palestinesi, oltre il 90% dei quali erano palestinesi residenti in Israele o a Gerusalemme. Le organizzazioni per i diritti umani hanno anche documentato l’uso eccessivo della forza, inclusi proiettili veri, proiettili di metallo ricoperti di gomma, lacrimogeni e granate stordenti. Si è anche rilevato che la polizia ha torturato i detenuti palestinesi in custodia e ha chiuso un occhio sugli attacchi di bande ebraiche contro abitanti palestinesi, collaborando in alcuni casi con loro.

Durante gli eventi Moussa Hassouna, un abitante palestinese di Lydd di 32 anni, è stato ucciso da un colono e il 17enne Mohammad Kiwan è stato ucciso in seguito dalla polizia a Umm al-Fahm. In migliaia si sono recati ai loro funerali.

Nel 2000 Israele ha trattato i “palestinesi in Israele” – come ci chiama – come se le questioni che si verificano in Cisgiordania– o in altre parole, alle questioni del popolo palestinese -non li riguardassero”, ha detto Makhoul. “Soprattutto dopo Oslo, ha tentato di separare e frammentare il popolo palestinese come se i palestinesi nei territori del ’48 fossero estranei alla causa Palestinese.

“Quello che è successo quest’anno è che Israele, per come ci ha aggrediti, ci ha trattati come se facessimo parte del popolo palestinese [nei territori occupati nel 1967, ndt.]. Continua “Nel 2000 ha cercato più di contenerci. Ora ha cercato di dissuaderci con la repressione… ha considerato gli ultimi scontri un fronte di guerra”.

Mohamad Kadan, uno scrittore palestinese che vive ad Haifa, è d’accordo. “Israele è rimasto scioccato dagli shabab (giovani) che sono scesi in strada, il che è dimostrato dal modo in cui la polizia ha interagito con loro”,dice ad Al Jazeera.

Loro (la polizia) erano stremati – era evidente. In alcuni casi, hanno finito le manette di metallo, quindi hanno portato quelle di plastica”, afferma Kadan, aggiungendo che “l’atteggiamento di Israele nei loro confronti è terrorizzare e incutere paura”.

Guidate dal basso

Ciò che distingue le proteste di maggio da quelle dell’ottobre 2000 è anche che sono state guidate dal basso, sia durante le proteste iniziali che nell’organizzazione dei movimenti giovanili che è seguita.

La decisione popolare di agire nel 2000 venne dai leader politici – dall’Higher Follow Up Committee [un’organizzazione che opera come coordinamento e rappresentanza nazionale dei palestinesi cittadini di Israele, ntd.] – e non dal basso”, afferma Makhoul.

Ora, le decisioni sono state prese dalla gente in tutti i sensi. Dai movimenti giovanili, dai movimenti popolari, dai comitati popolari di ogni città”, sostiene.

Kadan descrive coloro che inizialmente sono scesi in strada come provenienti da “situazioni di estrema marginalità”. Hanno gridato “dalle periferie più povere – le persone che qui non vedono un futuro”, dice. “Il potere e l’impatto di questi shabab sono stati molto chiari: è la voce che si è sentita e sempre lo dovrebbe essere”.

Mohammad Taher Jabareen, un 29enne abitante di Umm al-Fahm e uno dei fondatori del movimento (Hirak) di Umm al-Fahm, dice ad Al Jazeera che i giovani scesi in strada “non avevano nulla da perdere”.

Avevano bisogno di queste proteste, che hanno permesso loro di rompere la barriera della paura e prendere posizione per dire ‘quando è troppo è troppo’, per uscire dall’atmosfera di problemi familiari, politiche sistematiche contro di loro – tra cui criminalità organizzata, demolizioni di case, confisca di terre, restrizioni finanziarie, multe – tra le altre questioni”, afferma Jabareen.

Le organizzazioni per i diritti umani hanno da tempo documentato la lotta dei palestinesi in Israele, che sono 1,8 milioni. A parte gli sforzi di Israele nel corso degli anni per sopprimere la loro identità palestinese, la maggioranza vive in città densamente popolate e con scarso accesso alla terra e alle risorse – la maggior parte delle quali sono state espropriate durante e dopo il 1948 a beneficio dei coloni ebrei.

Dalla Seconda Intifada un nuovo fenomeno di criminalità organizzata – di cui gli abitanti affermano essere responsabile Israele– è diventato il problema numero uno per i palestinesi all’interno di Israele, ha causato centinaia di vittime e ha portato a grandi proteste.

Tuttavia gli abitanti sostengono che gli episodi che hanno spinto la gente a scendere in piazza sono stati gli attacchi israeliani a Sheikh Jarrah e al complesso della moschea di Al-Aqsa.

“La criminalità organizzata è uno dei mezzi attraverso i quali Israele allontana i palestinesi nelle aree del ’48 dalla scena politica”, sostiene Jabareen. “È come dire: ‘Tenetevi occupati tra voi con i vostri problemi e saremo liberi di agire come vogliamo con la moschea di Al-Aqsa e di imporre divisioni spaziali e temprali’”.

Il 7 maggio, la notte più santa del Ramadan, su un’autostrada la polizia israeliana ha tentato di impedire ad alcuni grandi autobus che trasportavano palestinesi dalle aree del 1948 di raggiungere la moschea di Al-Aqsa. Quando i passeggeri sono scesi e hanno iniziato a farsi strada a piedi, i palestinesi di Gerusalemme sono andati ad accompagnarli con le loro auto in città, in quella che è stata salutata come una vittoria e un momento di coesione.

Kadan descrive la Città Vecchia e il complesso della moschea di Al-Aqsa come “l’ultima fortezza del movimento nazionale palestinese”.

Sheikh Jarrah rappresenta il passato – lo sradicamento e la Nakba –, mentre Al-Aqsa e la Città Vecchia rappresentano ciò che è ancora possibile – che c’è ancora speranza per la liberazione della Palestina”, dice Kadan.

Makhoul afferma che il modo in cui “Al-Aqsa e Sheikh Jarrah hanno mobilitato Gaza, che poi ha mobilitato Gerusalemme” ha mostrato che si tratta di questioni sulle quali esiste un “pieno consenso popolare”.

“Ogni palestinese sentiva di avere una responsabilità individuale e personale nei confronti di Sheikh Jarrah e Al-Aqsa”, un sentimento che secondo Makhoul deriva anche dalla “debolezza della leadership politica palestinese”.

Mobilitazione e movimenti giovanili

Secondo Kadan, molti movimenti giovanili, che in seguito hanno consentito un’unità sostanziale tra i palestinesi nelle aree del ’48 e del ’67, sono emersi dopo i primi scontri con la polizia

A seguito dell’uso eccessivo della forza da parte della sicurezza israeliana e “una volta che la gioventù (shabab) si è stancata degli scontri, sono nate forme di lotta diverse”, afferma Kadan, spiegando che “in ogni città sono cresciute cellule per organizzare movimenti” composte da giovani che sono attivi nelle università, nei partiti politici e in altri contesti.

“Tutti hanno iniziato a organizzare discussioni su ciò che è accaduto nei giorni precedenti di intensi scontri e su cosa possiamo fare per andare avanti”, continua Kadan, osservando che oltre a movimenti già organizzati come Hirak [cioè movimento ntd.] Haifa e Hirak Umm al-Fahm, hanno iniziato a organizzarsi nuovi movimenti giovanili anche nelle città di Shefa ‘Amr, Kabul, Baqa al-Gharbiya, Kufr Kanna.

Dalle mobilitazioni di maggio sono nati anche i comitati di volontari per rispondere alla crisi locale, che comprendono un comitato di avvocati e un comitato di supporto psicologico per aiutare i detenuti nelle aree di Gerusalemme e del ’48.

Questa generazione non ha solo elaborato progetti, ma ha iniziato a costruire alternative. Hanno visto che i partiti politici e le istituzioni – quelli tradizionali come The Higher Follow Up Committee – non avevano più un ruolo. Non sapevano cosa fare”, dice Kadan.

Il 17 maggio è stato proclamato uno storico sciopero generale organizzato dai giovani nelle aree del ’48 e del ’67 con lo slogan “dal fiume al mare”, che Kadan descrive come un “punto di svolta” per la mobilitazione dei giovani.

C’era un’atmosfera in cui ogni città e villaggio si impegnava a prepararsi per lo sciopero – i giovani hanno iniziato a incontrarsi, a parlare e ad organizzare attività per il giorno dello sciopero – girando per le strade per verificare che lo sciopero fosse in atto, distribuire volantini alle persone, organizzare conferenze, interventi, seminari”, ha affermato Kadan.

Tra le altre iniziative, tra cui una maratona a Gerusalemme, i movimenti giovanili nelle aree del ’48 e del ’67 hanno organizzato contemporaneamente una “Settimana dell’economia palestinese” per appoggiare l’economia palestinese e boicottare i prodotti israeliani.

Makhoul afferma che “la forza di questa sfida sta aumentando di giorno in giorno”, guidata dal ruolo dei giovani e dei social media nell’esplosione popolare del maggio 2021.

“I social media sono la nuova geografia”, dice Makhoul. “Oggi il popolo palestinese può agire e considerarsi come un unico popolo, anche se non è tutto in patria o se non può incontrarsi in patria.

Ciò che ci distingue oggi è che ci siamo resi conto che il nostro campo di gioco è prima di tutto e principalmente il mondo e che Israele non detta le regole del gioco su come protestiamo, lottiamo per la nostra causa e la nostra gente e lavoriamo per raggiungere gli obiettivi del nostro popolo”, continua.

Makhoul afferma di ritenere che, anche se Israele “cerca di distruggere la cultura della resistenza nelle aree del ’48”, “avrà un problema maggiore con le nuove generazioni, che non prestano attenzione a ciò che dice Israele e non ne sono intimidite”.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)