La trappola di Oslo: come l’OLP firmò la propria condanna a morte

Raef Zreik

11 settembre 2023 – +972 Magazine

Dalle concessioni asimmetriche alla rinuncia alla lotta armata, il destino dei palestinesi era segnato prima ancora che Arafat e Rabin si stringessero la mano.

Gli Accordi di Oslo furono stipulati quando ero un giovane avvocato allinizio della carriera, dopo aver vissuto per anni come studente a Gerusalemme nel corso della Prima Intifada. Avevo lasciato la città nel 1990, profondamente logorato a causa della stessa Gerusalemme, della tensione costante e dellintensa attività politica contro loccupazione. Non c’è quindi da meravigliarsi che, nonostante la mia contrarietà nei confronti di Oslo, quei giorni mi abbiano comunque dato un piccolo barlume di speranza: forse, dopo tutto, stava nascendo qualcosa di nuovo. Ma per quanto volessi che laccordo funzionasse nel profondo della mia mente sapevo che non sarebbe stato così.

Allepoca lopinione pubblica palestinese comprendeva tutte le categorie di oppositori ad Oslo. Alcuni palestinesi non credettero fin dall’inizio alla soluzione dei due Stati e la consideravano una sconfitta per la causa palestinese. Io non ero uno di loro: piuttosto, la mia opposizione ad Oslo nasceva da una convinzione interiore che gli Accordi stessi non potessero effettivamente portare a una soluzione del genere. Non ero influenzato da ciò che veniva detto in televisione o nei dibattiti pubblici; preferii mettermi a sedere e leggere gli accordi attraverso gli occhi di un giovane avvocato. Dopotutto, un accordo politico deve contenere una propria logica contrattuale: stabilire una tempistica precisa, con delle regole in caso di violazione del contratto e così via. Ebbi l’impressione che i negoziatori palestinesi avrebbero potuto avvalersi di un minimo di consulenza legale.

Come si può ricavare dallo scambio di lettere tra il Primo Ministro israeliano Yitzhak Rabin e il leader dellOrganizzazione per la Liberazione della Palestina Yasser Arafat che precedette la firma degli accordi sul prato della Casa Bianca il 13 settembre del 1993, nella formulazione degli accordi di Oslo sussistono tre problemi centrali.

Il primo è uno squilibrio nel riconoscimento, da parte delle due parti, della reciproca legittimità. LOLP riconosceva Israele e il suo diritto ad esistere, e riconosceva la Risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza (che chiedeva il ritiro dei soldati israeliani dai territori occupati e il riconoscimento della rivendicazione di sovranità, integrità territoriale e indipendenza politica di ciascuno Stato della regione dopo la guerra del 1967) e 338 (che chiedeva un cessate il fuoco dopo la guerra del 1973). Ma, in cambio, Israele non riconosceva il diritto del popolo palestinese ad uno Stato o il suo diritto allautodeterminazione. Semplicemente riconosceva lOLP come unica rappresentante del popolo palestinese.

Questa mancanza di equivalenza rese lOLP poco più che un vaso vuoto; dopo tutto, c’è una differenza tra riconoscere lesistenza dellOLP e riconoscere la legittimità delle sue richieste politiche. Inoltre, allepoca Israele aveva un interesse strategico nel riconoscere lOLP come unica rappresentante del popolo palestinese. Se Israele lo fece è perché il riconoscimento da parte dellOLP del diritto di Israele ad esistere avrebbe rappresentato la voce dellintera nazione palestinese. Il riconoscimento di Israele da parte dellOLP non avrebbe avuto senso se non fosse arrivato da un autentico rappresentante.

In quest’ottica, la natura strumentale dellOLP come organismo rappresentativo è chiara. Un rappresentante può agire nell’interesse o a scapito di chi rappresenta. Il rappresentante può avanzare richieste alla controparte, ma può anche fare concessioni a nome del popolo che rappresenta. Quando lOLP presentò delle chiare rivendicazioni e richieste Israele le respinse, ma quando riconobbe Israele e fece concessioni a nome dei palestinesi Israele non ebbe problemi nel trattare lOLP come portavoce dei palestinesi.

Di fatto lOLP ha sfruttato il capitale simbolico costituito dall’essere il rappresentante del popolo palestinese per emergere sulla scena mondiale e dichiarare lassenza del popolo cancellandone la narrazione. In effetti, questo fu lultimo atto significativo dellOLP nellarena politica. Israele voleva che il riconoscimento dellOLP fungesse da dichiarazione de facto del suo suicidio. Da allora lOLP ha cessato di essere un attore politico importante, e tutto ciò che ne rimane sul piano funzionale è lAutorità Nazionale Palestinese, che funge da subappaltatore di Israele per le violente repressioni in Cisgiordania.

Due anni dopo la firma degli Accordi lOLP si impegnò ad annullare le sezioni della Carta Nazionale Palestinese che non riconoscevano Israele. All’epoca mi sembrò una mossa sconsiderata; pubblicai un articolo su Haaretz dal titolo Non c’è compromesso senza riconoscimento”. Lannullamento delle dichiarazioni della Carta avvenne senza alcuna azione in cambio da parte di Israele, che continuò a rifiutare di impegnarsi a riconoscere uno Stato palestinese nei territori occupati o il diritto allautodeterminazione del popolo palestinese e altri diritti nazionali nella sua patria.

Questi fattori storici hanno contribuito a creare la situazione attuale, in cui Israele è un dato di fattoinamovibile e lambito di territorio sul tavolo delle trattative è stato ristretto dall’intera regione costituita da Israele e Palestina alla sola Cisgiordania, ora lunico territorio rimasto a malapena materia di discussione. Se la disputa riguardasse la Palestina nel suo insieme allora la divisione dellintero territorio dal fiume al mare in due entità sarebbe la soluzione ottimale. Ma se lintero problema si riduce ai territori occupati nel 1967 allora una soluzione ragionevole porterebbe alla divisione del territorio conteso tra coloni e palestinesi.

Questo restringimento del territorio oggetto del dibattito altera drasticamente il campo di gioco: se i palestinesi insisteranno nel volere il controllo della totalità dei territori occupati saranno percepiti come radicali ostinati che rivendicano tutto per sè stessi. Il fatto che i palestinesi abbiano già rinunciato al diritto su più di due terzi della loro patria prima ancora di sedersi al tavolo delle trattative non viene mai preso in considerazione. Questa è stata una trappola tesa ai palestinesi e fino ad oggi non sono riusciti a liberarsene. Sfortunatamente non è lunica trappola di questo tipo.

Autoproclamati terroristi”

Recentemente un crescente coro di voci critiche ha chiesto che lOLP ritiri il riconoscimento di Israele, dal momento che Israele non ha rispettato le condizioni degli Accordi di Oslo. Ma questa è unaffermazione pericolosa. Il riconoscimento, per sua stessa natura, è una tantum e non può essere revocato. Inoltre, il riconoscimento non è un bene tangibile e materiale: la sua importanza risiede nel suo simbolismo e, in assenza di tale simbolismo, è privo di significato.

Se i palestinesi volessero ritirare il loro riconoscimento non potrebbero mai più barattarlo con il ritiro di Israele dai territori sotto suo controllo poiché gli israeliani non crederanno mai che quel riconoscimento non verrebbe nuovamente revocato.

Lo scambio di lettere tra Arafat e Rabin conteneva anche una clausola in cui l’OLP si impegnava non solo a condannare il terrorismo ma anche a rinunciarvi. Per cui la stessa OLP accettò di chiamare la sua lotta fino a quel momento terrorismo”. Ciò ha posto diversi problemi, ma voglio soffermarmi su uno in particolare. Non ho intenzione di avviare un dibattito sulla definizione di terrorismo. Piuttosto il problema è riferito al futuro: cosa accadrà se Israele non accetterà il ritiro dai territori occupati o una soluzione a due Stati? Quali mezzi saranno a disposizione dei palestinesi nella loro lotta contro loccupazione?

La difficoltà di poter dare una risposta a queste domande divenne dolorosamente evidente alla fine degli anni 90. Israele bloccò il processo di Oslo e continuò ad espandere il progetto di colonizzazione. Non era affatto chiaro dove avrebbe portato il processo di Oslo e quale sarebbe stata in definitiva la soluzione permanente. Israele controllava la terra, laria, i confini, lacqua e tutte le risorse, e si limitò a cedere allAutorità Nazionale Palestinese la gestione di parti della popolazione sotto occupazione; in altre parole, Israele ha mantenuto il controllo effettivo, ma ha scaricato tutta la responsabilità sulle spalle dellAutorità Nazionale Palestinese. Inoltre, laccordo non conteneva una clausola esplicita che vietasse la continuazione della costruzione di insediamenti coloniali nei territori occupati.

In questa situazione i palestinesi non potevano né progredire verso [la costituzione di] uno Stato indipendente né ritornare alla logica della rivoluzione e della lotta armata. Non solo non hanno più il potere e lorganizzazione per farlo, ma sono anche formalmente intrappolati dagli Accordi di Oslo. Il mondo, soprattutto Israele, l’Unione Europea e gli Stati Uniti, ha riconosciuto lOLP sulla base della rinuncia al terrorismo e dellaccettazione di alcune regole del gioco. Pertanto, un ritorno alla lotta armata sarebbe inevitabilmente visto come un ritorno al terrorismo; solo che questa volta, sarebbero proprio i palestinesi ad aver dato un nome alla loro lotta avendola essi stessi chiamata terrorismo. Quindi anche il resto del mondo è abilitato a chiamarla terrorismo.

Il significato pubblico diterrorismosi è trasformato tra la Prima e la Seconda Intifada. La Prima Intifada ebbe inizio nel corso di una generazione dallinizio delloccupazione quindi il mondo vide in essa e nella più ampia lotta palestinese una risposta legittima al dominio militare. La Seconda Intifada, che giunse come risposta alla massiccia violenza israeliana in seguito alla visita del primo ministro israeliano Ariel Sharon allHaram al-Sharif/Monte del Tempio nel settembre 2000, avvenne sullo sfondo dei colloqui di pace di Oslo. Per la maggior parte, gli osservatori internazionali considerarono ogni pietra lanciata durante la Prima Intifada come lanciata contro loccupazione e a favore della liberazione nazionale, ma il lancio di pietre avvenuto dopo Oslo è stato visto come [atto di] terrorismo”.

Il contesto era cambiato, e con esso il significato della resistenza palestinese. Il risultato è stato che i colloqui di pace con Israele non sono riusciti a raggiungere alcun obiettivo, ma anche il ritorno alla lotta armata è problematico. I palestinesi sono in trappola.

Non ho intenzione di proporre un programma per il futuro, ma penso che qualsiasi proposito di tornare indietro, ricostituire lOLP e tornare ai principi su cui lorganizzazione è stata fondata 60 anni fa sarebbe ormai destinato ad un fallimento. Da qui possiamo solo andare avanti.

LOLP ha fatto il suo lavoro; ha impresso la parola Palestinanella coscienza del mondo e ha dimostrato che esiste qualcosa come il popolo palestinese. La generazione di oggi ha un ruolo diverso in una realtà diversa: redigere un nuovo programma con la consapevolezza che tra il mare e il fiume ci sono 7 milioni di ebrei e 7 milioni di palestinesi, e che gli israeliani controllano i palestinesi e mantengono un regime di supremazia ebraica che ogni giorno espelle questi ultimi dalla loro terra. Questo è il nostro punto di partenza.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Insegnanti o terroristi? I parlamentari di estrema destra vogliono che lo Shin Bet controlli le scuole

Un disegno di legge che autorizza il servizio di sicurezza israeliano ad assumere e licenziare insegnanti, una politica condotta da tempo nelle scuole arabe, è così estremista che è contrario persino lo Shin Bet.

Gil Gertel

26 luglio 2023  –  +972 Magazine

In collaborazione con Local Call

 

La settimana scorsa la commissione per l’istruzione, la cultura e lo sport della Knesset ha discusso un disegno di legge che assegna allo Shin Bet, il servizio di sicurezza israeliano, poteri intrusivi nel sistema educativo del Paese. Se approvata, la legge autorizzerebbe lo Shin Bet a condurre un controllo dei precedenti di tutti gli insegnanti scolastici di nuova assunzione, rilevare le loro affermazioni nelle aule e sui social media, e persino licenziarli e revocare la loro abilitazione all’insegnamento.

Il disegno di legge, che unifica diverse versioni proposte dai membri di estrema destra della Knesset, è stato delineato come uno strumento atto a “proibire l’impiego di terroristi condannati”, creando l’impressione che la legge prenderebbe di mira solo un gruppo di persone molto specifico e pericoloso. Ma non è affatto così. Secondo il testo attuale, il divieto di assunzione non si riferisce solo a coloro che sarebbero coinvolti in “terrorismo”, ma anche a coloro che presumibilmente “sostengono” o “sarebbero collegati a” una “organizzazione terroristica”.

Cosa si intende per organizzazione terroristica? A dire il vero non lo sappiamo. In Israele il Ministro della Difesa ha l’autorità di dichiarare qualsiasi organizzazione come terroristica, con una procedura del tutto avvolta nella massima segretezza. Prendiamo, ad esempio, le sei organizzazioni palestinesi per i diritti umani che nel novembre 2021 sono state dichiarate fuori legge in quanto “organizzazioni terroristiche” dall’allora ministro della Difesa Benny Gantz nonostante non sia stata fornita alcuna prova attendibile.

Il termine è così generico che, secondo l’attuale ministro dell’Istruzione Yoav Kisch, le proteste di massa che hanno avuto luogo contro il governo nell’ultimo semestre equivalgono ad atti di “terrorismo”. Pertanto, secondo i termini del nuovo disegno di legge, un insegnante non ha nemmeno bisogno di partecipare alle proteste israeliane per essere colpevole di attività illecite: è sufficiente che esprima semplicemente simpatia per il movimento antigovernativo affinché lo Shin Bet lo ritenga un ” simpatizzante del terrorismo” e lo licenzi.

A partire da questa settimana i funzionari dello Shin Bet, della polizia, del ministero della Giustizia e delle Finanze hanno messo il comitato della Knesset di fronte alle numerose lacune giuridiche del disegno di legge e hanno chiesto delle revisioni. Tuttavia, i parlamentari ubriachi di potere sembravano determinati ad apportare dei semplici ritocchi e riportare la proposta sull’iter legislativo.

Né il Ministro dell’Istruzione né i dirigenti delle varie organizzazioni degli insegnanti erano presenti alla riunione della commissione della scorsa settimana, nonostante il fatto che la legge abbia a che fare in modo esplicito con le condizioni per l’assunzione e il licenziamento degli insegnanti. Neanche le organizzazioni di genitori e studenti hanno alzato la voce. Nessun membro ebreo dell’opposizione ha ritenuto opportuno uscire allo scoperto e difendere l’istruzione gratuita e il finanziamento statale in Israele. Solo i membri palestinesi della Knesset hanno trovato il tempo per venire a protestare contro la legge durante la riunione.

Il “segreto di Pulcinella” dello Shin Bet

Basti dire che l’idea che il governo dovrebbe avere il controllo sugli insegnanti attraverso l’apparato di sicurezza dello Stato ha un ampio sostegno alla Knesset. E non solo da parte di Netanyahu e i suoi amici fascisti.

Dall’istituzione dello Stato nel 1948 fino al 2009 Israele ha concesso allo Shin Bet la piena autorità di supervisionare gli insegnanti nelle scuole arabe del Paese, e questi sono stati monitorati, assunti e licenziati secondo la volontà dell’agenzia. Ciò è avvenuto attraverso un “segreto di Pulcinella” praticamente noto a tutti: il vicedirettore della Divisione Educazione Araba, che dipende dal Ministro dell’Educazione, è sempre stato un membro dello Shin Bet. Lui ha sempre preso parte con il suo staff alle commissioni di assunzione con il diritto di porre il veto su qualsiasi decisione.

Queste cose sono descritte in dettaglio nel libro dello storico Hillel Cohen del 2010, “Good Arabs” [Buoni Arabi, ndt.]. Attraverso l’esame di archivi di Stato consultabili, che confermano decisamente la narrazione pubblica dei cittadini palestinesi, Cohen ha descritto come lo Shin Bet compilasse un file di ogni preside o insegnante palestinese, che includeva tutte le loro dichiarazioni pubbliche nel corso degli anni. Non ci è voluto molto per fare questo lavoro. Per controllare una popolazione non è necessario che ognuno sia un collaboratore e informatore, basta che pensi che tutti gli altri lo siano.

Ad esempio, Cohen descrive come nel 1952, quando i cittadini palestinesi erano sotta la giurisdizione di un governo militare, 42 insegnanti — che all’epoca costituivano il sei per cento di tutti gli insegnanti delle scuole arabe in Israele — fossero stati licenziati perché “hanno abusato dell’opportunità data loro di educare la prossima generazione forgiandone l’immagine”. Naturalmente non sono stati condannati in nessun tribunale; è bastata una decisione arbitraria di un comandante militare.

I posti di lavoro che si sono resi vacanti sono stati poi assegnati, in segno di riconoscenza, a palestinesi che hanno collaborato con lo Shin Bet e che si sono distinti nel trasmettere informazioni alle autorità israeliane. Non era necessario che fossero qualificati all’insegnamento. Le parole sono state esplicitamente pronunciate alla conferenza dei funzionari del dipartimento responsabile degli affari arabi: “Tra i favori che possiamo fare, grazie alle nostre relazioni con il Ministero dell’Istruzione, vi è l’assunzione di insegnanti e l’ammissione di candidati all’insegnamento ai corsi [di formazione]”.

Questo terrorismo psicologico è stato applicato anche agli studenti. Nel 1958, gli studenti arabi di Nazareth celebrarono la Nakba, l’espropriazione dei palestinesi della loro patria nel 1948, tenendo una veglia silenziosa per cinque minuti. Gli insegnanti ebrei che lavoravano nella scuola hanno trasmesso le informazioni allo Shin Bet. Al preside della scuola fu chiesto di consegnare i nomi degli studenti e gli venne persino detto di informare gli studenti che: “sarà possibile che tra due anni, quando finiranno la scuola e faranno domanda per un lavoro, i funzionari governativi con il potere decisionale sull’assegnazione del lavoro ai laureati staranno in silenzio per cinque minuti in memoria della perdita della loro possibilità di carriera”.

Va da sé che la selezione degli insegnanti basata sulle loro opinioni piuttosto che sulle competenze, e la diffusione della paura tra presidi, insegnanti e studenti, ha danneggiato gravemente per decenni il sistema educativo arabo in Israele. Ha sofferto della mancanza di personale professionalmente valido, del paralizzante sospetto reciproco e dell’indebolimento del concetto stesso di educazione.

Fu solo nel settembre 2004 che il centro legale palestinese Adalah presentò una petizione all’Alta Corte per porre fine al coinvolgimento dello Shin Bet nel sistema educativo arabo. Venne posto alla luce del sole che l’intero sconvolgimento e degrado del sistema educativo era stato attuato senza alcuna base giuridica e portato a termine unicamente perché il governo israeliano aveva il potere di farlo. La petizione non venne nemmeno discussa in tribunale poiché il Ministero dell’Istruzione annunciò la cancellazione del ruolo del funzionario dello Shin Bet nel Dipartimento dell’Istruzione Araba.

“Un terribile mostro che danneggia il popolo ebraico”

Nel 2023, con la sua nuova legge, il governo israeliano vuole tornare alla vecchia realtà. Eppure i politici di estrema destra hanno affermato esplicitamente che l’intento del disegno di legge non è quello di tenere sotto controllo la società palestinese ma anche gli insegnanti ebrei-israeliani.

Il 4 luglio, nel corso del primo dibattito sul disegno di legge, i membri della Knesset hanno fatto a gara per scoprire chi fosse il più fascista. Il parlamentare Amit Halevi del Likud [partito nazionalista e di destra capofila della coalizione di governo, ndt.] ha detto, per esempio, che per licenziare un insegnante non bisogna aspettare che venga condannato per terrorismo e nemmeno che venga aperto un procedimento penale. Basta che lo Shin Bet scopra che l’insegnante “sia messo in relazione con il terrorismo”, e già “il solo fatto che si trovi in una scuola è di per sé un reato”.

Il collega di partito Avihai Boaron è andato anche oltre. Ai suoi occhi, non c’è nemmeno bisogno di aspettare informazioni dallo Shin Bet: “Il direttore generale del Ministero dell’Istruzione può farsi un’idea da quello che vede sui social media”, ha detto. In altre parole, basta ad esempio che il direttore generale navighi sulla pagina Facebook di un insegnante per poterlo licenziare e revocargli l’abilitazione.

Il parlamentare Limor Son Har-Malech del partito kahanista Otzma Yehudit [movimento ebraico della destra radicale suprematista, ndt.]  ha accusato gli insegnanti presi di mira di “presentare valori in un modo bellissimo che suona bene, ma che sotto tutti questi valori si nasconde un terribile mostro che danneggia e mina l’esistenza del popolo ebraico.”

Durante la seconda discussione del 18 luglio i funzionari dei vari ministeri hanno spiegato quanto sia inutile la proposta di legge. I rappresentanti del Ministero della Giustizia hanno sostenuto che non è possibile richiedere un controllo completo da parte dello Shin Bet di tutti gli insegnanti; una tale mossa, hanno detto, avrebbe un effetto intimidatorio che potrebbe impedire a molti di accedere alla professione. Inoltre, non è possibile escludere i dipendenti del sistema educativo dalle norme disciplinari già esistenti, che includono motivi sufficienti per la cessazione del rapporto di lavoro, come “comportamenti che possono ledere il nome del servizio statale”.

Un rappresentante della polizia israeliana ha spiegato che esiste già un sistema automatizzato attraverso il quale tutti i ministeri del governo, compreso il Ministero dell’Istruzione, ricevono informazioni sui dipendenti statali sospettati di aver commesso un crimine, nonché su quelli sotto inchiesta. Con l’ausilio di queste informazioni i ministeri competenti possono decidere se il motivo dell’indagine giustifichi la sospensione o la cessazione del rapporto di lavoro.

Inoltre un rappresentante del Ministero delle Finanze ha spiegato che la legge richiederebbe decine di milioni di shekel per l’istituzione e la gestione di un database nuovo di zecca, nonché per il controllo dei precedenti di 300.000 dipendenti.

Un rappresentante del Ministero dell’Istruzione ha inoltre spiegato che non ci sono problemi con il funzionamento attuale del sistema, dal momento che i condannati per terrorismo non occupano un impiego e che il ministero dispone già degli strumenti necessari per ottenere informazioni che consentano di affrontare la questione.

Anche il consulente legale dello Shin Bet ha ritenuto la legge del tutto inutile, affermando che l’agenzia dispone già di un’interfaccia funzionante attraverso la quale può trasferire al Ministero dell’Istruzione le informazioni che ritiene rilevanti. “Quello che state proponendo qui”, ha detto il consulente, “è di vasta portata. Nessun partito ha mai ricevuto informazioni aperte dallo Shin Bet”. Guai a noi se i diritti degli insegnanti in Israele verranno “protetti” dallo Shin Bet.

 

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)

 




Sempre più israeliani accettano la legittimità della resistenza palestinese

Dr Adnan Abu Amer

20 settembre 2022 – Middle East Monitor

Mentre gli atti di resistenza nella Cisgiordania occupata si intensificano, l’esercito occupante israeliano continua la mobilitazione contro “attacchi terroristici” palestinesi. Tuttavia adesso ci sono voci in Israele che rifiutano una simile definizione: dicono che si sta conducendo una guerriglia. La differenza è chiara, ma non è ancora così ovvia per molti in Israele.

La guerriglia che i palestinesi conducono contro i soldati israeliani nei territori occupati gode di un certo grado di legittimazione nell’ambito della ricerca, della letteratura e del diritto internazionale”, hanno affermato molti opinionisti, articoli e dichiarazioni di politici, accademici ed esperti giuridici. “La guerriglia richiede maggior coraggio, perché in questo caso i palestinesi prendono le armi contro soldati israeliani addestrati e perché lottare contro soldati armati risiedendo nei territori occupati è la chiara definizione di guerriglia.”

Sharon Luzon è lettore alla Hebrew Open University, specializzato in questioni militari e di sicurezza, relazioni internazionali e scienze politiche. La sua spiegazione della resistenza palestinese è che: “Finché l’esercito israeliano rimane in Cisgiordania, che ha controllato per 55 anni, la terra è occupata e questi soldati mantengono l’occupazione. I palestinesi li combattono, perciò sono dei combattenti; questa è la loro definizione, oltre al termine ‘combattenti per la libertà’. Anche i coloni che risiedono nei Territori Palestinesi Occupati sono lì per scopi militari, cosa che fa di loro obbiettivi legittimi per i militanti palestinesi, specialmente quando (i coloni) sono adulti armati.”

Nonostante la mobilitazione dell’estrema destra in Israele e nonostante che i politici diano maggior potere all’esercito di occupazione per reprimere i palestinesi in risposta ai recenti attacchi di guerriglia, ci sono però alcune voci israeliane che sono fuori dal coro e rifiutano l’oppressione. Rifiutano di definire attacchi terroristici le azioni di resistenza condotte da militanti palestinesi contro i soldati occupanti e i coloni illegali.

Per esempio, il parlamentare Ofer Cassif non esita ad affermare che “i palestinesi che sparano ai soldati israeliani non sono terroristi, ma guerriglieri, simili ai rivoluzionari che combatterono l’occupazione nazista in Europa durante la seconda guerra mondiale.”

Questo suggerisce che gli israeliani e i loro sostenitori che definiscono “terroristi” i militanti palestinesi cercano di demonizzarli e disumanizzarli allo scopo di alimentare il conflitto. Il cosiddetto “terrorismo” palestinese ci spinge a ripensare a ciò che fecero i “terroristi ebrei” quando ammazzarono i soldati britannici e misero una bomba al mercato arabo di Haifa nel 1938; e quando fecero saltare in aria l’hotel David a Gerusalemme ed uccisero 90 dipendenti britannici e arabi del luogo, per la maggior parte civili, nel 1946; e compirono molte altre orrende azioni. Quello era terrorismo nel vero senso della parola.

E’ vero che israeliani come Luzon e Cassif si oppongono alla violenza, sostengono la lotta nonviolenta contro l’occupazione e non vogliono che nessuno venga ucciso. Al tempo stesso però ritengono che “ogni uomo armato ha il diritto di provocare danni ad una forza militare occupante, in base alle definizioni internazionalmente riconosciute e a quelle delle Nazioni Unite. Queste definizioni affermano che il popolo occupato ha il diritto di usare armi contro l’occupazione, perciò non può essere definito terrorista, in quanto il vero terrorismo è l’occupazione stessa.”

E’ difficile parlare del sorgere di una coscienza collettiva israeliana riguardo alla legittimità della resistenza palestinese. Tuttavia questa tendenza è in crescita da quando un personaggio come il drammaturgo e conduttore televisivo israeliano Yaron London disse, al culmine dell’Intifada di Al Aqsa (2000-2005) e delle azioni di guerriglia che la connotarono, che “le azioni ostili condotte dai palestinesi contro gli israeliani vanno considerate parte della guerra nazionale di liberazione, non terrorismo.”

Inoltre il professore di chimica all’università ebraica nella Gerusalemme occupata, Amiram Goldblum, ha accusato i coloni israeliani di essere terroristi. Il progetto coloniale israeliano, ha detto, è all’origine dell’industria terroristica e questo vero terrorismo iniziò 55 anni fa, nel 1967, quando ebbe inizio il progetto coloniale. Esso ha trasformato ogni abitazione costruita da Israele nei territori palestinesi occupati in una minaccia all’esistenza del popolo di Palestina. Il terrorismo non è solo sparare o usare armi, ma consiste anche nella presenza di coloni che vivono nelle case costruite sulla terra palestinese.”

Goldblum ha aggiunto che “Israele pratica terrorismo di Stato contro i palestinesi e chiunque non protesti contro il terrorismo dello Stato israeliano è complice in un modo o nell’altro.” Nel frattempo, ogni sforzo che possa fermare il terrorismo di Stato è utile ed apprezzabile. Ha sottolineato che alcuni settori della destra israeliana sono considerati neo-nazisti, definendo “ragazzi di Hitler” i membri del movimento di destra “Im Tirtzu”.

Mentre le agenzie di sicurezza, l’esercito e l’amministrazione civile di Israele continuano a controllare le vite dei palestinesi su tutte le terre occupate, gli insediamenti coloniali mirano a controllare la terra tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano senza la presenza dei suoi originari abitanti. Cercano di sfumare i confini tra queste aree e l’occupazione stessa.

Lo schema di controllo sui palestinesi non è un fatto collaterale, ma il nucleo principale del lavoro instancabile di Israele”, ha detto Menachem Klein, lettore all’università Bar Ilan e consulente della delegazione israeliana nei negoziati con l’OLP. “Israele ha sviluppato propri meccanismi per controllare i palestinesi. E’ arrivato al punto di produrre dispositivi di identificazione biometrica, computer avanzati che scansionano testi sui social media e sui telefoni cellulari e processano grandi quantità di dati, oltre allo spionaggio mediante applicazioni come Pegasus. Tutto è finalizzato a controllare i palestinesi.”

Le sue parole comportano una chiara e inequivocabile ammissione che la descrizione delle autorità israeliane dei guerriglieri palestinesi come “terroristi e sabotatori” non convince tutti gli israeliani; che vi è un numero crescente di coloro che sono convinti che la Cisgiordania sia una terra occupata; e che prendere di mira i soldati israeliani in quei luoghi sia un atto di legittima resistenza, conforme al diritto internazionale. Questi israeliani possono mostrare esteriormente di accettare la narrazione dell’esercito, ma nel profondo sono perfettamente coscienti che i palestinesi sono dei combattenti per la libertà in una lotta contro i soldati di un’occupazione illegale e reietta.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Direttore di un gruppo palestinese per i diritti umani arrestato dall’intelligence israeliana

Redazione di MEE

21 agosto 2022 – Middle East Eye

Israele continua a perseguitare sei organizzazioni per i diritti umani dicendo che sostengono il terrorismo, accuse respinte dall’ONU e da alcuni Stati UE

L’intelligence israeliana ha arrestato il direttore di un’importante associazione palestinese per i diritti umani mentre continua il giro di vite contro molte altre organizzazioni simili.

Secondo un tweet di Defense of Children International – Palestine (DCI Palestine) [ong indipendente che sostiene e promuove i diritti dei minori, ndtr.] Khaled Quzmar, il suo direttore generale sarebbe stato arrestato domenica dal servizio di sicurezza Shin Bet.

“Alle 14.25 ora locale Quzmar ha ricevuto una telefonata da un agente dello Shin Bet che lo convocava per un interrogatorio. Subito dopo è andato alla base militare israeliana di Ofer,” scrive l’organizzazione.

“Un testimone oculare nella base (militare di Ofer) ha visto Quzmar scortato dentro la sede dello Shin Bet intorno alle 15:20. Al legale di Quzmar non è stato permesso di accompagnarlo.”

Aggiunge che dopo due ore in custodia Quzmar è stato rilasciato.

L’arresto è solo l’ultimo episodio di una campagna lanciata da Israele contro varie organizzazioni palestinesi per i diritti umani nei territori palestinesi occupati.

Tolleranza zero verso le associazioni per i diritti umani

Sei gruppi per i diritti umani: Addameer Prisoner Support and Human Rights Association [Associazione Addameer per il sostegno e i diritti umani dei prigionieri], Al-Haq, il Bisan Center for Research and Development [Centro Bisan per la Ricerca e lo Sviluppo], l’Union of Agricultural Work Committees (UAWC) [Unione dei Comitati del Lavoro Agricolo], l’Union of Palestinian Women Committees (UPWC) [Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi] e DCI Palestine Defence for Children International [la sezione palestinese dell’associazione Protezione Internazionale dei Minori] sono state definite “organizzazioni terroristiche” da Israele nell’ottobre 2021e da allora sono state oggetto di crescenti controlli.

Molte di queste organizzazioni hanno ricevuto fondi da Paesi UE.

Domenica mattina presto Al-Haq aveva twittato che il suo direttore aveva ricevuto una telefonata di minacce relative al suo lavoro da parte di un agente dell’intelligence israeliano.

Secondo Al-Haq, Shawan Jabarin è stato convocato dallo Shin Bet per un “interrogatorio” e la persona al telefono l’aveva “minacciato di arresto e altre misure se Al-Haq avesse continuato le sue attività “.

Venerdì soldati israeliani hanno fatto irruzione, confiscato oggetti e chiuso gli uffici dei gruppi per i diritti umani in Cisgiordania. Sono stati perquisiti anche gli uffici dell’Union of Health Workers Committees [Unione dei comitati di operatori sanitari], che non è stata definita organizzazione terroristica.

I sei gruppi che sono stati così etichettati hanno negato le accuse di “terrorismo” e specificato che la loro chiusura è stata criticata sia dalle Nazioni Unite che da organizzazioni per i diritti umani.

I ministri degli esteri di Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Olanda, Spagna e Svezia hanno detto che Israele non è riuscito a fornire loro “informazioni sostanziali ” circa le accuse e si sono impegnati a continuare la cooperazione con i gruppi in l’assenza di ogni prova.

Venerdì in un comunicato congiunto hanno affermato: “Siamo profondamente preoccupati per i raid che si sono svolti la mattina del 18 agosto che fanno parte di una preoccupante riduzione degli spazi della società civile sul territorio. Queste azioni non sono accettabili.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Israa Jaabis: da un giorno all’altro da vittima a criminale

Israa Jaabis: da un giorno all’altro da vittima a criminale

Mahmoud Usruf

9 novembre 2021 – Monitor de Oriente

 

Nel 2017 un tribunale israeliano ha condannato una madre palestinese con gravi ustioni a undici anni di prigione senza che avesse fatto assolutamente niente. Solo in Israele si può essere incarcerati senza accuse di aver commesso un reato e venire condannati a tenersi le ferite per sempre, fino alla morte.

Israa Jabbis, 37 anni, il 10 ottobre 2015, un giorno prima della presentazione finale del suo progetto di ricerca per un corso di Educazione per alunni con disabilità, stava tornando a casa a Gerusalemme. Improvvisamente la sua auto prese fuoco per un problema tecnico a cinquecento metri dal posto di controllo militare di Al-Zayyim, a Gerusalemme. I soldati israeliani che si trovavano nei pressi pensarono che Israa fosse un potenziale pericolo e puntarono le armi contro la signora, che perse il controllo del veicolo e venne avvolta dalle fiamme.

Secondo l’avvocato di Israa, dell’associazione per i diritti umani Addameer, nell’auto di Israa scoppiò accidentalmente una bombola di gas, e in seguito a ciò lei uscì di corsa dall’auto gridando per chiedere aiuto. Tuttavia le venne risposto puntandole la canna di un fucile e con le urla di un ufficiale israeliano: “Lascia il coltello.” Israa cadde in fiamme sull’asfalto e per 15 minuti rimase ad aspettare la pietà del soldato o una morte imminente. Ma alla fine fu arrestata.

I militari israeliani l’accusarono di “tentativo di assassinio”. Tuttavia non vennero fornite prove. La donna palestinese negò anche con veemenza queste accuse, sottolineando che stava trasportando mobili nella sua casa nel quartiere di Jabal Al-Mukaber.

Questo incidente avvenne durante la cosiddetta “Intifada di Gerusalemme”, scoppiata nel 2014 in seguito all’indignazione dei palestinesi per le provocazioni israeliane nella moschea di Al-Aqsa. L’insurrezione continuò fino alla seconda metà del 2015.

Gli scontri giornalieri e l’ondata di violenza si estesero in Cisgiordania e alla frontiera con Gaza. Tuttavia la risposta israeliana fu spesso una rappresaglia indiscriminata. Un giovane senza gambe, Ibrahim Abu Thuraya, è un esempio delle decine di palestinesi uccisi in modo arbitrario dalle forze israeliane. Venne assassinato nella barriera di separazione di Gaza mentre protestava pacificamente contro le violazioni israeliane a Gerusalemme.

Le forze israeliane uccisero nelle strade della Cisgiordania molti palestinesi anche adolescenti accusati di “avere con sé un coltello”. Durante questi avvenimenti il numero di morti arrivò a 222 palestinesi.

Secondo Addameer, Israa langue nella prigione di Damon, nel nord di Israele, con altre dieci madri palestinesi e trentacinque detenute.

Secondo un rapporto di Medici senza Frontiere presenta ustioni di secondo e terzo grado sul 60% del corpo. Otto delle sue dita si sono fuse a causa delle bruciature ed ha bisogno di assistenza medica urgente.

“Non c’è un dolore peggiore di questo”

Nasreen Abu Kmail, una detenuta rilasciata che è stata nella stessa cella della prigione di Damon con Israa, ha l’descritta come il “caso più difficile” dietro le sbarre. “Non può mangiare né respirare bene e a causa delle sue lesioni patisce di infiammazioni acute.”

Nonostante la sua sofferenza l’amministrazione del carcere di Damon non le fornisce l’assistenza medica necessaria per curare le ferite. Il Servizio Penitenziario Israeliano (ISP) lascia deliberatamente che Israa patisca le conseguenze della mancanza di cure.

“Ogni volta che Israa sollecita un trattamento medico, sia assistenza sanitaria di base che chirurgia plastica, l’amministrazione carceraria risponde che è stata lei stessa a provocarsi il dolore,” ha detto Anhar Al-Deek, una detenuta palestinese liberata su cauzione lo scorso settembre.

Israa è comparsa davanti al tribunale nel gennaio 2018 per presentare appello contro la sua condanna al carcere. Quando durante l’udienza le hanno chiesto del suo stato, ha alzato ciò che resta delle sue mani verso i giudici dicendo: “C’è un dolore peggiore di questo?”.  Il suo volto e gli occhi erano molto eloquenti riguardo a come si senta e a quanto soffra.

La sorella di Israa, Mona Jaabis, ha detto a MEMO che Israa ha bisogno di otto operazioni urgenti, per non parlare dei trenta interventi di chirurgia plastica per curare, almeno parzialmente, le estese lesioni. “Israa respira con la bocca perché le narici sono totalmente ostruite. Ora abbiamo avviato una battaglia legale per fare pressione sull’IPS perché permetta a Israa di sottoporsi alle necessarie operazioni chirurgiche al naso, alle orecchie, alla gola e al labbro inferiore.”

L’IPS non le fornisce alcun tipo di pomata per le ustioni né consente che lo faccia la sua famiglia. “Non consentono alcun tipo di assistenza sanitaria.”

Mona ha evidenziato che dalla sua detenzione sua sorella ha subito un trauma psicologico acuto e l’ha citata: “Quando mi guardo il volto nello specchio mi spavento… e il ricordo dell’incidente è un incubo quotidiano.”

Abu Kmail e Al-Deek, che hanno scontato la loro condanna nella stessa cella di Israa, hanno raccontato che questa madre palestinese si alza tutte le mattine gridando: “Fuoco, fuoco, fuoco!”

“Mamma, fammi vedere le mani.”

Gli attivisti palestinesi si sono mobilitati sulle reti sociali a favore della madre palestinese. L’hashtag #Save_Israa è stato il più utilizzato su Twitter all’inizio di settembre. La famiglia di Israa ha detto a MEMO che la campagna va avanti.

Mutasim, il figlio tredicenne di Israa, ha anticipato questi tentativi. “Ho passato 6 anni separato da mia madre. Tutti i bambini del mondo tornano a casa e vedono la mamma. Ma io no,” ha detto Mutasim in un video.

Fin dal suo arresto l’IPS ha negato a Israa le visite della sua famiglia, con una flagrante violazione della IV convenzione di Ginevra del 1949, salvo che in un incontro speciale tra Israa e Mutasim organizzato dalla Commissione Internazionale della Croce Rossa (CICR) 18 mesi dopo la detenzione.

“C’era un vetro doppio tra Israa e Mutasim e un telefono con un segnale molto debole da una parte e dall’altra della barriera divisoria. I due hanno parlato tra loro attraverso il telefono. “Fammi vedere la tua faccia, mamma.” Israa ha alzato di malavoglia una parte della testa che cercava di nascondere dietro a un ripiano di pietra che si trovava sotto il vetro divisorio. Israa si era anche coperta il volto con una maschera gialla che si era fatta lei stessa.

Ha disegnato sulla maschera un animale dei cartoni animati per nascondere le sue ferite e non spaventare il bambino.

“Fammi vedere il tuo viso, mamma”, ha ripetuto Mutasim, ha raccontato Mona, la sorella di Israa, che ha accompagnato il bambino nella visita.

“A quel punto tutti quelli che erano presenti nella sala visite sono scoppiati a piangere, compresi gli altri visitatori e le guardie carcerarie. ‘Mamma, ti voglio bene così come sei,’ ha detto Mutasim, e ha messo la sua mano da una parte del vetro, invitando sua madre a fare altrettanto.”

Quella è stata la prima e ultima “stretta di mano” tra i due.

Le autorità israeliane hanno anche annullato l’assicurazione sanitaria di Israa, impedendo così ogni possibilità di cure mediche in futuro, in quanto è stata considerata dimessa. L’IPS vuole sopraffare con il dolore e l’umiliazione Israa per il resto della sua vita. Allora, può essere più doloroso rimanere in vita?

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Monitor de Oriente.

 

(traduzione dallo spagnolo di Amedeo Rossi)




Gli esperti delle Nazioni Unite condannano la designazione da parte di Israele dei difensori dei diritti umani palestinesi come organizzazioni terroristiche

 

ONU DIRITTI UMANI

UFFICIO DELL’ALTO COMMISSARIO

GINEVRA (25 ottobre 2021) – Gli esperti delle Nazioni Unite in materia di diritti umani hanno condannato oggi in modo deciso e inequivocabile la decisione del ministro della Difesa israeliano Benny Gantz di definire organizzazioni terroristiche sei associazioni palestinesi per i diritti umani e a favore della società civile.

“Questa definizione è un attacco frontale al movimento per i diritti umani palestinese e ai diritti umani ovunque”, hanno affermato gli esperti. “Mettere a tacere le loro voci non è ciò che farebbe una democrazia rispettosa di diritti umani e norme umanitarie universalmente accettate. Chiediamo alla comunità internazionale di sostenere i difensori”.

Gli esperti hanno affermato che le leggi antiterrorismo sono progettate per uno scopo specifico e ristretto e non devono essere utilizzate per minare ingiustificatamente le libertà civili o per limitare il lavoro legittimo delle organizzazioni per i diritti umani. Essi hanno aggiunto che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’Assemblea Generale e il Consiglio per i Diritti Umani sono stati tutti chiari sulla necessità di applicare misure antiterrorismo in modo coerente con il diritto internazionale e di non violare gli obblighi internazionali degli Stati.

“Tale uso improprio delle misure antiterrorismo da parte del governo israeliano mette in pericolo la sicurezza di tutti”, hanno dichiarato gli esperti. “Le libertà di associazione e di espressione devono essere pienamente rispettate al fine di consentire alla società civile di svolgere il proprio indispensabile lavoro e non possono essere compromesse dall’abuso manifestamente eclatante della legislazione antiterrorismo e sulla sicurezza”.

Le sei organizzazioni palestinesi sono Addameer, Al-Haq, Defense for Children International – Palestine [Difesa internazionale dei bambini – Palestina, ndtr.], Union of Agricultural Work Committees [Unione dei comitati del lavoro agricolo, ndtr.], Bisan Center for Research and Development [Centro Bisan per la ricerca e lo sviluppo, ndtr.] e Union of Palestine Women Committees [Unione dei comitati delle donne palestinesi, ndtr.]. All’interno delle comunità con cui lavorano ci sono donne e ragazze palestinesi, bambini, famiglie di contadini, prigionieri e attivisti della società civile, ognuno dei quali esposto ad una crescita del grado di discriminazione e persino di violenza.

“Queste organizzazioni parlano il linguaggio dei diritti umani universali”, hanno affermato gli esperti. “Affrontano il loro lavoro basandosi sui diritti, inclusa un’analisi di genere, per documentare violazioni dei diritti umani di ogni tipo in Palestina, comprese quelle connesse alle imprese”.

Questa definizione vieterebbe di fatto a questi difensori dei diritti umani di svolgere il loro lavoro e consentirebbe ai militari israeliani di arrestare il loro personale, chiudere i loro uffici, confiscare i loro beni e proibire le loro attività e l’impegno a favore dei diritti umani. Gli esperti sottolineano la loro preoccupazione che almeno per una di queste organizzazioni questa decisione possa essere stata presa come una forma di rappresaglia nei confronti della cooperazione con gli organismi delle Nazioni Unite.

“Negli ultimi anni l’esercito israeliano ha spesso preso di mira i difensori dei diritti umani, mentre intensificava il suo intervento di occupazione, proseguiva la sua sfida al diritto internazionale e aggravava il suo primato di violazioni dei diritti umani”, hanno affermato gli esperti. “Mentre le organizzazioni internazionali e israeliane per i diritti umani hanno dovuto affrontare pesanti critiche, restrizioni legislative e persino espulsioni, i difensori dei diritti umani palestinesi hanno dovuto sempre subire le costrizioni più severe”.

Gli esperti sui diritti umani hanno invitato la comunità internazionale a far uso della sua gamma completa di strumenti politici e diplomatici per chiedere a Israele di rivedere e revocare questa decisione. “Queste organizzazioni della società civile sono i canarini nella miniera di carbone dei diritti umani, che ci mettono in guardia sui modelli di violazioni, ricordando alla comunità internazionale i suoi obblighi di garantire l’attribuzione di responsabilità e fornendo voce a coloro che non ne hanno”, hanno affermato gli esperti.

Michael Lynk, Relatore Speciale sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967; Mary Lawlor, Relatrice Speciale sulla situazione dei difensori dei diritti umani; Sig.ra Fionnuala Ní Aoláin, Relatrice Speciale sulla promozione e la protezione dei diritti umani nella lotta al terrorismo; Irene Khan, Relatrice Speciale per la promozione e la tutela del diritto alla libertà di opinione e di espressione; Melissa Upreti (presidente), Dorothy Estrada Tanck (vicepresidente), Elizabeth Broderick, Ivana Radačić e Meskerem Geset Techane, gruppo di lavoro sulla discriminazione contro le donne e le ragazze; Reem Alsalem, Relatrice Speciale sulla violenza contro le donne, le sue cause e conseguenze; Clément N. Voule Relatore Speciale dell’ONU sul diritto di riunione e associazione pacifica; Surya Deva (presidente), Elżbieta Karska (vicepresidente), Githu Muigai, Dante Pesce e Anita Ramasastry del gruppo di lavoro su imprese e diritti umani: Siobhán Mullally, Relatrice Speciale sulla tratta di persone, in particolare donne e bambini;

I Relatori Speciali fanno parte delle cosiddette Procedure Speciali del Consiglio dei Diritti Umani. Procedure speciali, il più importante organismo di esperti indipendenti all’interno dell’istituzione sui diritti umani delle Nazioni Unite, è la denominazione generica dei sistemi indipendenti di indagine e monitoraggio conoscitivi del Consiglio che affrontano situazioni specifiche di un Paese o questioni tematiche in tutte le parti del mondo. Gli esperti delle Procedure Speciali lavorano su base volontaria; non sono dipendenti delle Nazioni Unite e non ricevono uno stipendio per il loro lavoro. Sono indipendenti da qualsiasi governo o organizzazione e prestano servizio a titolo individuale.

 

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Ci prendono di mira per una ragione: siamo riusciti a cambiare il paradigma

Yuval Abraham

25 ottobre 2021 – +972 magazine

Dopo essere state messe all’improvviso fuorilegge in quanto “organizzazioni terroristiche”, le associazioni palestinesi per i diritti umani parlano a +972 del perché le accuse israeliane non solo sono infondate, ma rappresentano un atto di persecuzione politica.

La scorsa settimana, quando il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz ha firmato un ordine esecutivo che dichiara “organizzazioni terroristiche” sei associazioni palestinesi per i diritti umani, il governo non si è nemmeno preoccupato di fingere che si trattasse di un procedimento corretto. Con un rapido colpo di penna le ong – Al-Haq, Addameer, Bisan Center, Defense for Children International-Palestine, the Union for Agricultural Work Committees e the Union of Palestinian Women’s Committees – sono state istantaneamente messe fuori legge senza neppure un processo né la possibilità di rispondere alle accuse contro di loro.

Eppure la grande maggioranza dei mezzi di informazione israeliani, invece di mettere in discussione la dubbia natura di questa iniziativa, ha semplicemente copiato la dichiarazione ufficiale del ministero della Difesa sull’argomento, che accusa le sei organizzazioni di essere legate al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), un partito e un movimento laico e marxista-leninista definito un gruppo terroristico da Israele.

Il governo sostiene che le ong hanno riciclato fondi destinati a interventi umanitari e li hanno trasferiti invece a scopi militari, accusando inoltre i funzionari delle organizzazioni di essere, o essere stati, dell’ FPLP. Per anni anche associazioni israeliane di destra, nel tentativo di troncare i finanziamenti dall’estero, hanno cercato di mettere in rapporto queste organizzazioni con il FPLP.

La decisione del ministero della Difesa è basata su informazioni raccolte dallo Shin Bet [servizio di intelligence interna, ndtr.], che non le ha rese pubbliche. Ma, secondo fonti a conoscenza del caso giudiziario, le prove del servizio segreto sarebbero basate sulla testimonianza di un unico impiegato licenziato per corruzione da una delle associazioni.

Tuttavia esistono parecchie prove che contraddicono la versione dello Shin Bet. Negli ultimi 5 anni, su pressione del governo israeliano e di ong filo-israeliane, vari governi europei e fondazioni private che finanziano la società civile palestinese hanno condotto approfonditi controlli su ognuna delle sei organizzazioni. Nessuno ha trovato prove di uso scorretto dei fondi.

Oltretutto le stesse organizzazioni prese di mira descrivono un quadro totalmente diverso dalle accuse sollevate dallo Shin Bet, con molte prove a loro sostengo.

Ho parlato con presidenti o importanti membri di cinque ong, tutti noti attivisti, avvocati e intellettuali che criticano duramente sia il regime israeliano che l’Autorità Nazionale Palestinese (l’ Union of Palestinian Women’s Committees [Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi] ha rifiutato di parlare con Local Call, il sito in ebraico di +972, in cui è stato originariamente pubblicato questo articolo). Rigettando totalmente le accuse israeliane, essi descrivono questi ultimi attacchi come parte della pluriennale persecuzione politica della società civile palestinese da parte di Israele per zittire il loro lavoro.

“Non abbiamo niente da nascondere”

“Siamo l’unica organizzazione per i diritti umani che si concentra sui minori in Palestina,” dice Ayed Abu Eqtaish, direttore del programma per la trasparenza di Defense for Children International-Palestine, fondata nel 1991.

“Il nostro lavoro è duplice,” spiega. “Il primo è giuridico: rappresentiamo circa 200 minori all’anno nei tribunali israeliani e palestinesi. Il secondo è politico: dal 2000 abbiamo documentato l’uccisione di oltre 2.200 minorenni palestinesi per mano delle forze militari israeliane, in particolare a Gaza.”

Il comunicato del ministero della Difesa distribuito ai giornalisti in seguito all’annuncio di Gantz non specifica la ragione precisa per cui DCI-Palestine, un’associazione molto rispettata e attiva nelle commissioni ONU e nel Congresso USA, sia stata etichettata come “organizzazione terrorista”.

“In passato siamo stati attaccati, ma ciò è avvenuto tramite gruppi di destra come NGO Monitor,” aggiunge Abu Eqtaish, in riferimento all’organizzazione che controlla le attività delle associazioni sociali palestinesi e della sinistra che criticano le politiche israeliane per bloccare le loro fonti di finanziamento. NGO Monitor afferma che DCI-Palestine “guida una campagna che sfrutta i minori per promuovere la demonizzazione di Israele ed è legata al gruppo terroristico FPLP. Molte delle sue accuse sono false e fanno parte dei tentativi di calunniare Israele con accuse di ‘crimini di guerra’ e di promuovere il BDS.”

Abu Eqtaish definisce le accuse contro DCI-Palestine “assurde”, sottolineando che non ci sono prove che la sua organizzazione finanzi l’FPLP. “Israele e le associazioni di destra si sono rivolte a tutti i governi e alle fondazioni che ci finanziano per mettere in dubbio la nostra legittimità come organizzazione. Invece di preoccuparci di denunciare le violazioni dell’occupazione contro i minori, abbiamo dovuto difendere noi stessi.”

Secondo Abu Eqtaish, in passato tutti gli enti che finanziano DCI-Palestine, compresi i governi di Italia e Danimarca, così come l’Unione Europea, hanno condotto indagini indipendenti riguardo alle affermazioni di Israele. “Ci hanno chiesto di produrre prove che le denunce erano senza fondamento, e noi gliele abbiamo fornite. Non abbiamo niente da nascondere. Tutti i nostri bilanci sono pubblici.”

Anche un tribunale britannico ha scoperto che queste accuse sono false. Nel 2020 ha ordinato a UK Lawyers for Israel [Avvocati del Regno Unito per Israele], un’organizzazione che opera in modo simile a NGO Monitor, di ritrattare le sue affermazioni secondo cui DCI-Palestine appoggerebbe l’ FPLP o gli trasferirebbe fondi. Il tribunale ha anche chiesto a UK Lawyers for Israel di dichiarare pubblicamente che DCI-Palestine non ha “attualmente stretti legami, e non fornisce alcun apporto finanziario o materiale ad alcuna organizzazione terroristica.”

“Utilizzando questa strategia non sono riusciti a raggiungere i loro obiettivi, e per questo l’hanno modificata,” dice Abu Eqtaish. “In luglio forze dell’esercito hanno fatto irruzione negli uffici dell’associazione a Ramallah e hanno confiscato computer e documenti giudiziari riguardanti minori. Ci siamo rivolti a un tribunale militare per chiedere la restituzione della documentazione. Il tribunale ha respinto la richiesta.”

Egli conclude: “Adesso nell’organizzazione stiamo cercando di capire quali passi intraprendere. Sappiamo che queste accuse sono infondate. L’attacco contro l’organizzazione è soprattutto un’aggressione contro i suoi scopi: evidenziare i crimini dell’occupazione contro i minorenni e chiedere alla comunità internazionale di punire Israele per essi.”

“Chiunque sa dove va a finire ogni singolo shekel”

Fondata nel 1979, Al-Haq è la più antica e grande ong palestinese per i diritti umani e il sostegno giudiziario nei territori occupati. Secondo Hisham Sharbati, operatore sul campo di Al-Haq che ha lavorato con l’organizzazione per 12 anni, la ragione della recente definizione da parte di Israele è esclusivamente politica. “Al-Haq ha un ruolo molto importante nel fornire informazioni contro Israele alla Corte Penale Internazionale dell’Aia,” spiega. “A causa delle nostre attività molti nel mondo stanno chiaramente definendo Israele uno ‘Stato di apartheid’. È per questo che siamo perseguitati.”

Sharbati cita il fatto che all’inizio del mese Gantz si è incontrato con il presidente dell’ANP Mahmoud Abbas a Ramallah e hanno parlato di ‘costruire fiducia’. “Che razza di costruzione della fiducia c’è quando (Gantz) attacca le associazioni della società civile palestinese in questo modo? Questa iniziativa intende privare il popolo palestinese di alcune delle organizzazioni più importanti che ha per difendere i propri diritti contro l’occupazione e contro l’Autorità Nazionale Palestinese.”

Né la dichiarazione del ministro della Difesa israeliano né il documento poco più dettagliato che è stato in seguito inviato ai giornalisti fanno riferimento ad Al-Haq, nonostante sia la più grande delle sei organizzazioni. Non è ancora per niente chiaro su quali basi Al-Haq sia stata messa fuorilegge.

Le accuse contro Al-Haq devono essere state originate da un’altra fonte. Nel 2015, mentre le pressioni internazionali contro Israele stavano montando, il governo destinò decine di milioni di shekel all’ormai abolito ministero degli Affari Strategici per guidare una “campagna contro gli effetti della delegittimazione e del boicottaggio contro Israele,” con Gilad Erdan, ora ambasciatore USA in Israele, nominato a capo dell’istituzione.

Una delle principali attività del ministero era etichettare le associazioni della società civile palestinese come affiliate ai terroristi per far pressione sui governi europei perché tagliassero i finanziamenti. Secondo rapporti ufficiali pubblicati dal ministero, le sei organizzazioni messe sulla lista nera la scorsa settimana erano uno dei principali obiettivi.

Il ministero degli Affari Strategici pubblicò rapporti con titoli come “Terroristi in giacca e cravatta”, “Soldi insanguinati” e “Rete di Odio”, riprendendo i messaggi di vari gruppi di destra. In particolare NGO Monitor accusò il direttore generale di Al-Haq, Shawan Jabarin, di essere attivista dell’FPLP. Eppure il ministero non ha ancora fornito una qualunque prova dei rapporti dell’ong con la violenza.

“Sono nell’organizzazione da 12 anni e nessuna persona di Al-Haq è stata arrestata durante questo periodo,” afferma Sharbati. “Il nostro lavoro è totalmente legale e trasparente. I nostri finanziatori ricevono relazioni dettagliate. Siamo sotto stretta osservazione e chiunque sa dove va a finire ogni singolo shekel.”

Riguardo alle accuse secondo cui alcuni degli operatori dell’organizzazione sarebbero membri dell’FPLP, Sharbati afferma: “Se qualcuno è stato attivo nell’FPLP, è stato messo in prigione ed è stato rilasciato qualche mese dopo, che c’è di male? Ciò significa che non dovrebbe lavorare da nessuna parte? Se qualcuno ha fatto qualcosa di illegale arrestatelo. Ma non ci sono prove di illeciti.”

“Assolutamente manipolatorio”

Il Bisan Center è un piccolo centro di ricerca palestinese di sinistra. È formato da otto accademici e guidato da Ubai Aboudi, che scrive di economia e sociologia.

“Siamo stati fondati nel 1986 da un gruppo di studiosi e scienziati,” spiega Aboudi. “Sosteniamo i diritti di comunità emarginate, facciamo pressione contro il riscaldamento globale, promuoviamo l’uguaglianza di genere e ci opponiamo alle politiche di occupazione di Israele.”

Aboudi è stato arrestato due volte negli ultimi due anni: una volta da Israele e poi dall’Autorità Nazionale Palestinese. Durante il primo arresto alla fine del 2019 il tribunale militare israeliano lo ha accusato di essere membro dell’FPLP. “Non avevano prove e il giudice ha deciso che c’erano problemi con gli indizi,” sottolinea.

Tuttavia Aboudi alla fine ha accettato di patteggiare ed è stato in prigione per 4 mesi (secondo varie associazioni per i diritti umani i tribunali militari israeliani, che operano come braccio integrato nel controllo di Israele sui palestinesi sotto occupazione, hanno una percentuale tra il 95% e il 99% di condanne).

“Non ho alcun rapporto con il FPLP, ma sono padre e volevo tornare prima possibile dai miei tre figli, per cui ho accettato il patteggiamento,” spiega. All’epoca la detenzione amministrativa di Aboudi aveva scatenato una campagna internazionale e circa un migliaio di scienziati e studiosi aveva firmato una petizione per la sua liberazione.

Quest’anno Aboudi è stato arrestato due volte dall’ANP per aver protestato contro l’uccisione di Nizar Banat, un attivista e critico del governo picchiato a morte in giugno quando era nelle mani delle forze di sicurezza palestinesi.

Un mese dopo l’esercito israeliano ha fatto irruzione negli uffici del Bisan Center a Ramallah ed ha confiscato i computer. Secondo il comunicato stampa del ministero della Difesa, Bisan è stato dichiarato “organizzazione terroristica” perché membri dell’FPLP hanno tenuto riunioni nei suoi uffici. Inoltre, sostiene la dichiarazione, il precedente direttore del Centro, I’tiraf Rimawi, era membro del braccio armato dell’FPLP. Rimawi è stato imprigionato per tre anni e mezzo in quanto membro del gruppo studentesco dell’FPLP, quando non era dipendente del Bisan Center.

“Questa prospettiva (israeliana) è assolutamente manipolatoria,” dice Aboudi. “Come può un’intera organizzazione essere responsabile delle azioni che una persona avrebbe commesso fuori dal lavoro? Se uno lavora in una banca degli Stati Uniti e viola la legge, allora la banca viene chiusa?”

Riguardo all’uso di locali di Bisan per riunioni dell’FPLP, Aboudi afferma: “Il nostro ufficio non serve ad alcuno scopo che non riguardi le nostre ricerche. Non è mai stato utilizzato da milizie armate e il centro non ha alcun rapporto con azioni violente. Legga le nostre ricerche, la nostra visione del mondo si basa sull’uguaglianza e sulla giustizia sociale.”

Come le altre associazioni, Aboudi afferma che la pretesa di Israele secondo cui i gruppi agiscono come “ancora di salvezza” e come procacciatori di fondi per l’FPLP è una totale invenzione e che “il bilancio del centro è pubblico e a disposizione di tutti.”

A maggio, nota Aboudi, Israele ha invitato rappresentanti di ambasciate estere ed ha chiesto che smettano di finanziare le organizzazioni palestinesi per i diritti umani. In seguito a ciò il governo belga ha condotto un controllo dei finanziamenti che invia a Bisan, ed ha stabilito che non ci sono basi per le accuse del governo. “Tutti i nostri finanziamenti, circa 800.000 shekel [circa 21.600 €] all’anno, vanno alle ricerche ed agli stipendi,” sostiene.

Come per le altre organizzazioni, i dipendenti di Bisan ora temono che, in seguito alla dichiarazione di Israele, i finanziatori del resto del mondo esiteranno ad appoggiare il centro, che fallirà. “Questa è sempre stata la lotta principale del (primo ministro) Naftali Bennett e della (ministra degli Interni) Ayelet Shaked: perseguitare le organizzazioni palestinesi dei diritti umani,” afferma Aboudi.

“I loro rapporti con i gruppi dei coloni di estrema destra, come NGO Monitor e Regavim, sono profondi. Per anni hanno pensato di mettere fuorilegge le associazioni palestinesi per i diritti umani. Ora si sono ritrovati con l’opportunità di farlo, e l’hanno colta al volo.”

“L’occupazione è la fonte della violenza”

L’Union of Agricultural Work Committees [Unione dei Comitati del Lavoro Agricolo] è stata fondata nel 1986. Tra le altre aree di attività, assiste i contadini palestinesi che coltivano le proprie terre nell’Area C, i due terzi della Cisgiordania che sono sotto totale controllo israeliano, in cui sono costruite e si espandono le colonie israeliane e dove Israele impedisce sistematicamente lo sviluppo dei palestinesi. Secondo il direttore dell’UAWC Abu Seif, Il suo lavoro è la ragione per cui sono stati messi fuorilegge.

“Israele vuole annettere l’Area C,” afferma. “Il nostro lavoro rafforza la presenza palestinese lì, in una zona in cui non è gradita. È per questo che da anni ci stanno perseguitando.”

Abu Seif continua: “Regavim (un’organizzazione israeliana di destra) ci ha attaccato quotidianamente, perché aiutiamo i contadini palestinesi a coltivare circa 3.000 dunam [300 ettari] di terreno all’anno e ad aprire strade agricole che mettono in relazione le aree A, B e C. Tutto il nostro lavoro viene fatto su terra privata, per aiutare gli agricoltori. Per ragioni politiche Israele impedisce loro di sfruttare i propri terreni, per espellerli.

Israele ha accusato due ex-dipendenti di UAWC di essere coinvolti nella morte di Rina Shenrab, una diciassettenne israeliana, in Cisgiordania nell’agosto 2019. Il ministro della Difesa ha citato l’assassinio dell’adolescente come la ragione dell’indicazione dell’unione come “organizzazione terroristica”.

“Erano due persone su un’organizzazione con 120 dipendenti, in cui nel corso degli anni hanno lavorato in migliaia,” afferma Abu Seif in merito alle accuse. “Non è che l’organizzazione abbia deciso di operare in quel modo. In quanto associazione rifiutiamo la violenza e diciamo che l’occupazione ne è la causa.”

Secondo Abu Seif per anni Israele ha cercato motivazioni relative alla sicurezza da utilizzare come scusa per chiudere varie associazioni palestinesi che operano nell’Area C.

Alla fine del 2020 la Commissione per gli Esteri e la Difesa della Knesset [il parlamento israeliano, ndtr.] si è riunito per discutere della lotta del governo contro queste organizzazioni. Durante la riunione il deputato Zvi Hauser [del partito di destra Nuova Speranza, ndtr.] ha evidenziato che la discussione era “di interesse nazionale prioritario” perché “ciò determinerà i futuri confini dello Stato.”

“Non si tratta solo di una lotta per la terra e per chi comanda, ma anche una lotta diplomatica, “ha detto durante la riunione della commissione Ghassan Alyan, ex- capo dell’Amministrazione Civile, l’ente del governo militare israeliano che gestisce i territori occupati. Alyan ha aggiunto che nel 2020, quando Bennett era ministro della Difesa, egli ha incontrato gli ambasciatori e diplomatici dei Paesi europei ed ha chiesto che smettessero di finanziare le organizzazioni palestinesi che operano nell’Area C.

“Abbiamo avvertito tutti: non tollereremo alcun progetto internazionale senza il consenso israeliano… e negli ultimi due anni siamo riusciti a ridurre il numero dei progetti,” ha affermato Alyan durante la riunione. “Nel 2019 c’erano circa 12 progetti, mentre nel 2015 ce n’erano in corso circa 75.”

“Israele sta tentando di stravolgere la reputazione di queste organizzazioni presso i nostri finanziatori,” afferma Abu Seif. “Se gli europei smettono di finanziarli, tutti questi gruppi spariranno. E sta funzionando”.

“Si stanno concentrando su due tipi di organizzazioni: quelle che agiscono a livello internazionale, come Al-Haq, e quelle che operano nell’Area C, come noi,” aggiunge Abu Seif. “Non è iniziato tutto due giorni fa, va avanti da anni.”

Il 7 luglio di prima mattina forze israeliane hanno fatto irruzione negli uffici dell’UAWC e li hanno chiusi. Quella mattina Abu Seif è arrivato e ha scoperto che i computer erano stati confiscati e le porte sigillate. Sulla porta era anche attaccato un ordine di chiusura emesso dal governatore militare israeliano.

“Devi capire che la nostra organizzazione si occupa solo di agricoltura. La maggioranza di noi è composta da ingegneri. Anch’io sono un ingegnere. Ora Israele ci arresterà tutti? Questa organizzazione è esistita per 35 anni,” dice Abu Seif.

Comunque la dichiarazione di sei organizzazioni storiche come “terroriste” non ha precedenti, afferma Abu Seif. “Ciò è stato possibile solo per via del nuovo governo,” sostiene. “Per quanto Netanyahu fosse malvagio, non è mai arrivato a un’iniziativa così drastica. A mio parere era più cauto. La lobby dei coloni e Regavim possono fare pressione più facilmente sull’attuale governo, che è molto più estremista.”

“Le radici di questo attacco”

Sahar Francis dirige Addameer, che fornisce supporto legale a prigionieri e detenuti palestinesi rinchiusi nelle prigioni di Israele e dell’ANP. “La maggior parte del lavoro della nostra organizzazione è con le autorità israeliane,” dice Francis. “Aspetto di vedere quello che diranno ai nostri avvocati nei tribunali militari.”

Francis continua: “Questa è una decisione politica, che deriva dalle continue persecuzioni contro di noi.  Come si può pubblicare sui giornali una dichiarazione simile senza sentire quello che queste associazioni hanno da dire? Senza un processo o il diritto a un dibattimento?”

Secondo Francis la decisione del governo fa parte di un’iniziativa ampia e a lungo termine contro la società civile palestinese. “È iniziata con un attacco da parte di organizzazioni di destra come NGO Monitor, che era in rapporto diretto con il governo israeliano,” spiega. “Poi, nel 2015, è stato lanciato il ministero degli Affari Strategici di Gilad Erdan, ed ha cercato di prosciugare i nostri finanziamenti a tempo indefinito.”

Secondo il comunicato stampa del Ministero della Difesa, Addameer è stata definita una “organizzazione terroristica” perché è stata creata da importanti membri dell’FPLP per occuparsi di prigionieri politici e delle loro famiglie. Eppure Addameer è stata fondata nel 1991, il che, se le accuse fossero vere, renderebbe la recente definizione da parte di Israele in ritardo di 30 anni.

La dichiarazione del ministro sostiene anche che negli uffici di Addameer ci sono stati incontri con importanti membri dell’FPLP e che l’organizzazione porta messaggi ai prigionieri per conto dell’FPLP. Tuttavia non sono state fornite ulteriori spiegazioni.

“Queste accuse sono semplicemente false,” risponde Francis. “L’associazione non è dell’FPLP. Ci occupiamo solo di difesa legale e di fare pressione a livello locale e internazionale. Siamo stati presi di mira per anni per una ragione: siamo riusciti a cambiare il paradigma in tutto il mondo parlando di apartheid e non solo di occupazione, e stiamo fornendo materiali all’Aia [cioè alla Corte Penale Internazionale, ndtr.].

“Dobbiamo tornare alle radici di questo attacco,” evidenzia. “Dall’inizio dell’occupazione Israele ha agito contro le organizzazioni della società civile. Ha definito illegali i sindacati dei lavoratori e degli studenti. Durante la Seconda Intifada ci fu un massiccio attacco contro le associazioni di solidarietà con il pretesto che erano legate ad Hamas. Penso che allora abbiamo fatto l’errore di non averlo preso sufficientemente sul serio. All’epoca l’Autorità Nazionale Palestinese ne era contenta perché, colpire quelli che vi si opponevano, favoriva i suoi interessi.

Il nostro messaggio, insieme alle altre organizzazioni, è che non smetteremo di lavorare. Non smetteremo di fornire servizi a quelli che hanno bisogno di noi. Rifiutiamo di stare in silenzio sul governo di apartheid dell’occupazione.”

  • Yuval Abraham è un fotografo e uno studente di linguistica.

 

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




L’UE stronca il ministro israeliano: così si alimenta la disinformazione e si mescolano BDS e terrorismo

Noa Landau

17 luglio 2018, Haaretz

Federica Mogherini dell’UE ha scritto una lettera molto critica al ministro della Sicurezza Pubblica di Israele Gilad Erdan, accusandolo di fare affermazioni infondate e inaccettabili secondo cui l’Unione appoggerebbe il terrorismo

La ministra degli Esteri dell’Unione Europea, Federica Mogherini, ha inviato una lettera personale molto tagliente al ministro degli Affari Strategici Gilad Erdan chiedendogli di fornire le prove delle affermazioni “vaghe e non comprovate” che l’UE stia finanziando terrorismo ed attività di boicottaggio contro Israele attraverso organizzazioni no profit.

Nella sua lettera, acquisita da Haaretz, Mogherini risponde a un rapporto diffuso in maggio dal ministero degli Affari Strategici intitolato “I milioni dati da istituzioni dell’UE a Ong legate al terrorismo e al boicottaggio contro Israele.”

Nella lettera inviata insieme al rapporto a Mogherini, Erdan scriveva: “Uno studio approfondito realizzato dal mio ministero ha rivelato che nel 2016 l’UE ha finanziato 14 Ong europee e palestinesi che promuovono esplicitamente e chiaramente il BDS.” Ha anche accusato che “molte Ong che promuovono il BDS e che ricevono finanziamenti diretti o indiretti dall’UE sono legate a organizzazioni che l’UE definisce terroristiche.” Erdan ha aggiunto che tali finanziamenti minacciano i rapporti tra l’UE e Israele ed anche “le possibilità di una pace.”

In seguito il rapporto è filtrato al giornale “Israel Hayom” [“Israele oggi”, giornale gratuito israeliano di destra, ndtr.], che lo ha pubblicato sotto il titolo “Milioni di euro di odio”. Nel giorno in cui il rapporto è stato reso noto, Erdan ha twittato: “L’Ue continua a finanziare con decine di milioni di shekel all’anno organizzazioni del BDS, alcune delle quali legate a organizzazioni terroristiche.”

Nella sua lettera, che è stata inviata a Erdan il 5 luglio, Mogherini scrive: “Le accuse secondo cui l’UE appoggerebbe l’incitamento all’odio o il terrorismo sono infondate e inaccettabili. Anche lo stesso titolo del rapporto è inopportuno e fuorviante: mette insieme il terrorismo e il tema del boicottaggio e crea nell’opinione pubblica una confusione inaccettabile riguardo a due fenomeni differenti.” Aggiunge che l’UE si oppone fermamente “a ogni insinuazione sul coinvolgimento dell’UE nel sostegno al terrore o al terrorismo,” e che “accuse vaghe e insostenibili servono solo a contribuire a campagne di disinformazione.”

Mogherini sostiene anche che il rapporto in questione contiene degli errori: “Per esempio, delle 13 organizzazioni elencate nel rapporto, 6 non ricevono finanziamenti dell’UE per attività in Palestina e nessuna di loro riceve fondi UE per attività del BDS,” scrive. Nota anche: “Inoltre, come riportato ampiamente dalla stampa israeliana nelle ultime settimane, un certo numero di organizzazioni citate nel rapporto riceve finanziamenti anche da altri donatori internazionali, compresi gli Stati Uniti.”

Riguardo al presunto appoggio al movimento BDS, Mogherini scrive a Erdan: “L’Unione Europea non ha cambiato la propria posizione riguardo al cosiddetto movimento “Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni” (BDS). Confermando la propria politica di chiara distinzione tra il territorio dello Stato di Israele ed i territori da esso occupati dal 1967, L’UE rifiuta ogni tentativo di isolare Israele e non appoggia appelli al boicottaggio. L’UE non finanzia azioni relative ad attività di boicottaggio. Tuttavia il semplice fatto che un’organizzazione o un singolo individuo sia in rapporto con il movimento BDS non significa che questa entità sia coinvolta nell’incitamento a commettere atti illegali, né la esclude da finanziamenti dell’UE.”

L’UE è fortemente impegnata nel rispetto della libertà di espressione e di associazione in linea con la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani. La libertà di espressione è applicabile anche ad informazioni ed idee ‘che offendono, scioccano o disturbano lo Stato e qualche settore della popolazione.’ Ogni azione che abbia come risultato di chiudere lo spazio in cui operano organizzazioni della società civile, limitando indebitamente la libertà di associazione, dovrebbe essere evitata.”

Riguardo alle accuse di appoggiare il terrorismo, Mogherini scrive: “L’UE ha norme molto severe per selezionare e vagliare i beneficiari dei fondi UE. Prendiamo molto seriamente in considerazione ogni accusa di uso scorretto dei fondi UE e siamo impegnati a verificare tutte quelle che vengono presentate con prove concrete. Siamo sicuri che i finanziamenti UE non siano stati utilizzati per appoggiare il boicottaggio di Israele o attività del BDS e sicuramente non per finanziare il terrorismo.”

Alla fine della lettera Mogherini invita Erdan a Bruxelles a mostrare le prove delle sue accuse: “Lei e i suoi funzionari siete i benvenuti a Bruxelles in qualunque momento a presentare le prove che dovreste avere per sostenere queste accuse,” scrive. “Nel contempo invitiamo il vostro governo a perseguire con noi un dialogo produttivo su questioni della società civile, come previsto dal “Piano d’Azione UE-Israele”, in uno spirito di cooperazione aperta e trasparente piuttosto che con materiale senza fondamento reso pubblico senza un dialogo e un coinvolgimento preventivi.”

Nel rapporto diffuso dal ministero degli Affari Strategici si sosteneva che nel 2016 l’UE ha trasferito più di 5 milioni di euro a organizzazioni “che promuovono la delegittimazione e il boicottaggio contro Israele.” Benché il rapporto sia descritto come “approfondito”, la maggior parte delle accuse è basata su un piccolo numero di casi da fonti accessibili a tutti. Haaretz ha esaminato qualcuna delle affermazioni fatte dal rapporto ed ha scoperto che l’interpretazione di alcuni degli avvenimenti descritti si discosta dalle informazioni su cui si basa. Per esempio, un boicottaggio solo delle colonie è occasionalmente interpretato come un appoggio al BDS, anche se le organizzazioni in questione non lo sostengono necessariamente, o addirittura vi si oppongono, applicando i principi del movimento al vero e proprio Israele. Questa interpretazione si collega con il modo in cui il governo israeliano negli ultimi anni ha cercato di annullare la distinzione tra i due.

Tuttavia per l’UE questa distinzione è importante. Mentre l’UE non finanzia direttamente attività che promuovono il boicottaggio dello Stato di Israele – escludendone le colonie – vede l’appoggio ideologico al movimento come legittima libertà di espressione politica. L’UE è in grado di controllare l’uso dei suoi finanziamenti, dato che in genere sono destinati in anticipo ad attività specifiche e c’è una supervisione costante.

In altri casi il rapporto del ministero definisce come “sostegno al terrorismo” esempi specifici in cui agenti di Hamas o del Fronte Popolare [per la Liberazione della Palestina, gruppo armato palestinese di orientamento marxista, ndtr.] hanno preso parte ad altre attività sostenute da Ong che ricevono fondi UE. Su questa base Israele sta accusando l’UE di finanziare indirettamente il terrorismo. Una lettura del rapporto mostra anche che un grande numero di denunce sono una riproposizione di affermazioni fatte da organizzazioni di destra, soprattutto dall’Ong “Monitor” [Ong israeliana che si occupa di controllare le Ong internazionali da un punto di vista filo-israeliano, ndtr.].

Erdan ha risposto a questo rapporto dicendo: “È triste che il ministero degli Esteri dell’Unione Europea abbia ancora una volta scelto di nascondere la testa nella sabbia e ignorato le evidenti prove che le organizzazioni del BDS che ricevono fond, sia direttamente che indirettamente, sono legate o collaborano con organizzazioni terroristiche come Hamas e il Fronte Popolare. Mogherini ammette che la maggior parte delle organizzazioni che appaiono nel rapporto del mio ministero in effetti promuovono il boicottaggio di Israele, eppure utilizza la risibile scusa che i soldi sono dati a organizzazioni del boicottaggio ma utilizzati per altri scopi, e non per le loro attività intese a boicottare Israele.”

Purtroppo scuse come questa rappresentano la politica dell’Unione Europea anche in altre questioni, come il suo atteggiamento nei confronti dell’Iran e del terrorismo palestinese,” continua. “Anche su questi problemi l’UE ha scelto di agire come un’ostrica e si comporta come se fosse cieca nei riguardi dell’odio, dell’incitamento alla violenza e del boicottaggio.”

L’Ue ha commentato questo rapporto informativo dicendo: “In genere non commentiamo o facciamo filtrare scambi di messaggi con i Paesi che sono nostri partner, ma sulla questione delle accuse contenute nel recente rapporto pubblicato dal ministero degli Affari Strategici, i nostri uffici centrali hanno esaminato accuratamente il rapporto e sono arrivati alla conclusione che le accuse presentate nel rapporto sono infondate.”

L’Ue ha norme molto rigide per verificare e vagliare i beneficiari di fondi UE. Siamo quindi fiduciosi che i fondi UE non siano stati usati per finanziare il terrorismo.”

La nostra lotta contro il terrorismo non è mai stata così dura, ed abbiamo sempre mantenuto una posizione chiara sulle organizzazioni terroristiche. Siamo anche sicuri che i nostri fondi non sono stati usati per appoggiare il boicottaggio di Israele, in particolare non le attività del BDS,” si legge nel commento.

L’UE ripudia ogni tentativo di isolare Israele e non appoggia appelli al boicottaggio. Nel contempo l’UE rimane ferma nel proteggere la libertà di espressione e di associazione in base alla Carta Fondamentale dei Diritti dell’Unione Europea. Come sempre l’UE verifica ogni seria denuncia presentata in relazione a tali attività e finanziamenti. Se ci dovesse essere una qualche prova che confermi quelle affermazioni, le autorità israeliane saranno le benvenute a presentarcele come parte di un dialogo aperto e trasparente.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Israele ha creato una nuova categoria di terrorismo

Amira Hass

|30 gennaio, 2018 | Haaretz

Sul sito della Knesset compare una nuova categoria di terrorismo, “costruzione di terrore.” Quelli condannati in anticipo comprendono l’Autorità Nazionale Palestinese, i beduini e l’Unione Europea.

Coerenza esige che durante il loro viaggio a Bruxelles questa settimana, i delegati israeliani presentino alla responsabile della politica estera dell’Unione Europea, Federica Mogherini, una convocazione al commissariato di polizia di Ma’aleh Adumim per essere interrogata su una sospetta attività terroristica.

Con una mano i rappresentanti israeliani, per via dei loro subappaltatori palestinesi, riceveranno un lauto assegno dall’UE per compensare l’ingente taglio di Donald Trump al finanziamento all’Autorità Nazionale Palestinese e all’UNRWA. (Vedi sotto: “Il taglio al finanziamento dell’ANP indebolisce il coordinamento della sicurezza”). Con l’altra mano consegneranno la convocazione per indagare su una sospetta attività e aiuto al terrorismo.

Per via di Auschwitz o a causa dei legami scientifici e militari con Israele, i rappresentanti europei accetteranno la convocazione con un sorriso. “Abbiamo sempre saputo che gli ebrei hanno uno sviluppato e alto senso dell’umorismo” diranno.

Ma si sbagliano. Questo non è uno scherzo. Si preparano altre espulsioni. Sul sito della Knesset è comparso una nuova categoria di terrorismo, “costruzione di terrore”. Quelli condannati in anticipo comprendono l’ANP, i beduini e l’Unione Europea. Il pubblico ministero, il giudice ed esecutore è il parlamentare Moti Yogev di Habayit Hayehudi [Casa Ebraica, il partito di estrema destra dei coloni ndt] che è anche presidente della sottocommissione del Comitato per la politica estera e la difesa della Knesset per l’espulsione dei palestinesi, anche conosciuta come sottocommissione per gli affari civili e la sicurezza nella Giudea e Samaria [cioè la Cisgiordania ndt]

Egli ha dichiarato che la costruzione palestinese nella Cisgiordania costituisce “terrorismo” quando avviene nel territorio che Israele con scaltrezza ha trasformato in un altro macigno sulla nostra esistenza – l’area C, nella quale ogni tenda, recinto per animali e condotto dell’acqua richiede un permesso israeliano di costruzione che non è mai concesso. Chiunque voglia alloggiare una giovane coppia in una stanza di sua proprietà, o ricostruirne una in pessime condizioni, [sostituire] una tenda fallata, o costruire un’aula di un asilo, è costretto a violare le leggi del padrone.

Giovedì scorso, la sottocommissione per le espulsioni era fuori di sé per la gioia: nel 2017 ci sono stati progressi nelle demolizioni di strutture palestinesi nell’area C, alcune delle quali costruite con finanziamento europeo. Nelle audizioni della commissione i parlamentari non si sono mai stancati di sottolineare la faccia tosta europea di finanziare strutture. Creando una realtà immaginaria con la loro terminologia, hanno definito le strutture “caravillas” [assente nel vocabolario inglese da assimilare a baracche ndt]. Le comunità palestinesi vengono chiamate “avamposti” e la loro presenza per decenni in questo territorio, “una sopraffazione”. Il territorio occupato [da Israele] è definito “territorio dello Stato”.

Abbiamo inventato il termine “terrorismo popolare” per descrivere le manifestazioni dei civili contro i nostri soldati armati. Abbiamo criminalizzato il BDS come terrorismo anche se il boicottaggio è lo strumento più antico nella storia della lotta nonviolenta contro i regimi oppressivi. Abbiamo chiamato “atto di guerra l’uso di istanze legali ”, quando i palestinesi hanno osato presentare il loro caso ai tribunali internazionali. Ora abbiamo anche accusato di terrorismo chiunque costruisca una scuola o una latrina. Presto li accuseremo di terrorismo per la loro tenace insistenza a respirare.

La riunione di giovedì scorso era incentrata sulla comunità [beduina] Jahalin che ha costruito una scuola con vecchi copertoni in un’area dove vivono da decenni, ma che la colonia di Kfar Adumim desidera [incamerare]. L’Amministrazione Civile [è l’istituzione israeliana che sovrintende al posto del potere militare, ndt] è determinata a deportare con la forza la comunità in un’area assegnata a loro a Abu Dis contro il parere di Abu Dis.

L’oratore più esplicito nella riunione è stato probabilmente il vice sindaco di Ma’aleh Adumim Guy Yifrah. Nell’interesse di espandere la sua colonia negli anni novanta , durante i negoziati di Oslo, i nostri soldati e burocrati hanno espulso centinaia di appartenenti alla tribù Jahalin dalle terre su cui hanno vissuto fin da quando furono espulsi dal Negev dopo il 1948.

Sono stati scaricati su una terra accanto alla discarica di Abu Dis. Ora, il vice sindaco ha detto che dare persino più terra nella stessa area a un altro clan della stessa tribù sarebbe un errore. “ Potrebbe far pensare ai Jahalin che stanno vicino a Ma’aleh Adumim , che lo Stato si è riconciliato con la loro residenza lì.”

Cosa stava dicendo esattamente? Che in effetti lo Stato non si è riconciliato con la loro presenza anche a Abu Dis. Il signor Yifrah ci sta dicendo che l’espulsione pianificata deve essere un altro passo verso l’espulsione finale in una località ignota.

(Traduzione di Carlo Tagliacozzo)




Il direttore di B’Tselem: perché ho parlato contro l’occupazione all’ONU

di Hagai El-Ad

Haaretz16 ottobre 2016

Non ci sono possibilità che la società israeliana, di sua spontanea volontà e senza alcun aiuto, metta fine all’incubo. Troppi meccanismi nascondono la violenza che mettiamo in atto per controllare i palestinesi.

Ho parlato alle Nazioni Unite contro l’occupazione perché mi sforzo di essere umano. E gli esseri umani, quando si assumono la responsabilità di un’ingiustizia contro altri esseri umani, hanno l’obbligo morale di fare qualcosa.

Ho parlato alle Nazioni Unite contro l’occupazione perché sono israeliano. Non ho un altro Paese. Non ho un’altra cittadinanza né un altro futuro. Sono nato e cresciuto qui e qui sarò sepolto: mi sta a cuore il destino di questo luogo, il destino del suo popolo e il suo destino politico, che è anche il mio. E alla luce di tutti questi legami, l’occupazione è un disastro.

Ho parlato alle Nazioni Unite contro l’occupazione perché i miei colleghi di B’Tselem ed io, dopo così tanti anni di lavoro, siamo arrivati ad una serie di conclusioni. Eccone una: la situazione non cambierà se il mondo non interviene. Sospetto che anche il nostro arrogante governo lo sappia, per cui è impegnato a seminare la paura contro un simile intervento.

L’intervento del resto del mondo contro l’occupazione sarebbe semplicemente legittimo come per qualunque questione di diritti umani. Lo è ancora di più quando ciò coinvolge un problema come il fatto che governiamo su un altro popolo. Non è una questione interna israeliana. E’ palesemente una questione internazionale.

C’è un’altra conclusione: non ci sono possibilità che la società israeliana, di sua spontanea volontà e senza alcun aiuto, metta fine all’incubo. Troppi meccanismi nascondono la violenza che mettiamo in atto per controllarli. Si sono accumulate troppe giustificazioni. Ci sono state troppe paure e troppo odio – da entrambe le parti – nel corso degli ultimi 50 anni. Alla fine, ne sono sicuro, israeliani e palestinesi porranno fine all’occupazione, ma non lo possiamo fare senza l’aiuto del resto del mondo.

Le Nazioni Unite sono molte cose. Molte di queste sono problematiche, altre sono realmente stupide. Con queste non sono d’accordo. Ma le Nazioni Unite sono anche l’organizzazione che ci ha dato uno Stato nel 1947, e questa decisione è la base della legittimità internazionale del nostro Paese, l’unico di cui sono cittadino. E ogni giorno di occupazione che passa, non solo ci mangiamo con diletto la Palestina, distruggiamo anche la legittimità del nostro Paese.

Non capisco cosa il governo voglia che facciano i palestinesi. Abbiamo dominato la loro vita per circa 50 anni, abbiamo fatto a pezzi la loro terra. Noi esercitiamo il potere militare e burocratico con grande successo e stiamo bene con noi stessi e con il mondo.

Cosa dovrebbero fare i palestinesi? Se osano fare manifestazioni, è terrorismo di massa. Se chiedono sanzioni, è terrorismo economico. Se usano mezzi legali, è terrorismo giudiziario. Se si rivolgono alle Nazioni Unite, è terrorismo diplomatico.

Risulta che qualunque cosa faccia un palestinese, a parte alzarsi la mattina e dire “Grazie, Raiss”- “Grazie, padrone” – è terrorismo. Cosa vuole il governo, una lettera di resa o che i palestinesi spariscano? Non possono sparire.

Neanche noi possiamo sparire, né staremo in silenzio. Dobbiamo ripeterlo ovunque: l’occupazione non è il risultato di un voto democratico. La nostra decisione di controllare le loro vite, per quanto ci possa stare bene, è un’espressione di violenza, non di democrazia. Israele non ha un’alternativa legittima per continuare in questo modo.

E il resto del mondo non può continuare a trattarci come è accaduto finora – tutte parole e niente fatti.

Ho parlato alle Nazioni Unite contro l’occupazione perché sono ottimista, perché sono israeliano, perché sono nato ad Haifa e vivo a Gerusalemme [due città in cui vivono molti palestinesi. Ndtr.], e perché non sono più giovane e ogni giorno della mia vita è stato accompagnato dal nostro controllo su di loro. E perché è impossibile andare avanti così.

Non dobbiamo continuare in questo modo. Ho parlato al Consiglio di Sicurezza dell’ONU contro l’occupazione perché mi sforzo di essere umano.

Hagai El-Ad è il direttore esecutivo del gruppo per i diritti umani di B’Tselem.

(traduzione di Amedeo Rossi)