Candidata laburista si ritira dopo aver paragonato Israele a un “adulto maltrattatore”

Rowena Mason

7 novembre 2019 The Guardian

Kate Ramsden prima ha messo in rapporto lo Stato di Israele con un “bambino maltrattato” e potrebbe dover affrontare una sanzione disciplinare del partito

Una candidata laburista ha rinunciato [a partecipare alle elezioni] dopo essere stata messa sotto accusa per un blog in cui ha paragonato Israele a “un bambino maltrattato che diventa un adulto maltrattatore.”

Kate Ramsden, candidata a Gordon, nell’ Aberdeenshire [in Scozia, ndtr.], si è ritirata per “ragioni personali” dopo che il partito Laburista le ha chiesto di essere di nuovo sottoposta a selezione ed ha affermato che potrebbe dover affrontare un procedimento disciplinare.

Nel blog, riportato dal Jewish Chronicle [storico settimanale degli ebrei britannici schierato con Israele e sostenitore della campagna contro il presunto antisemitismo nel partito Laburista, ndtr.], lei ha detto: “Per me, lo Stato israeliano è come un bambino maltrattato che diventa un adulto maltrattatore.” L’articolo afferma che ha aggiunto: “Come i maltrattamenti contro i bambini, deve smetterla…Come interveniamo sui maltrattamenti contro i bambini, la comunità internazionale deve intervenire su Israele.”

Il partito Laburista ha detto di aver scoperto il blog e quindi di averle chiesto di essere di nuovo sottoposta a selezione, ma i dettagli sono comparsi sul “Jewish Chronicle” prima che lei venisse riesaminata. Ramsden allora ha dichiarato di rinunciare a candidarsi di sua spontanea volontà.

Una fonte laburista ha affermato: “Abbiamo immediatamente preso un’iniziativa perché la candidatura di Kate Ramsden venisse riconsiderata alla luce del materiale che abbiamo trovato. Personale della sede centrale del partito Laburista ha scoperto questi post quando stava facendo controlli supplementari relativi a comportamenti corretti.

Il personale ha immediatamente allertato il partito Laburista scozzese, che ha informato il comitato esecutivo scozzese, il quale ha deciso di rivalutare la candidatura di Kate Ramsden riguardo ai nuovi post che erano stati trovati. Kate Ramsden ha rinunciato alla candidatura e quindi non è una candidata del partito Laburista alle elezioni. Il partito ha preso un’iniziativa rapida e decisa sull’argomento.”

Un’altra candidata laburista, Zarah Sultana, è stata oggetto di una polemica dopo che ha accusato la destra del partito di “utilizzare come arma” contro la dirigenza accuse di antisemitismo. La candidata per Coventry Sud in precedenza era stata obbligata a chiedere scusa per aver detto che avrebbe festeggiato la morte di Tony Blair e di Benjamin Netanyahu.

Una terza candidata, Jane Aitchison, che si presenta a Pudsey, Yorkshire ovest, è stata criticata dai conservatori per la sua reazione alle affermazioni di Sultana. Intervistata da Emma Barnett della rete radiofonica 5 Live della BBC, Aitchison ha detto di ritenere che “a volte si dicono cose con molta passione e che sono sbagliate.”

Ma ha aggiunto: “A volte si festeggia la morte di qualcuno…Per esempio quella di Hitler.”

Andrew Percy, vice presidente del gruppo parlamentare interpartitico contro l’antisemitismo, ha affermato: “Paragonare il leader israeliano con Adolf Hitler, un uomo responsabile della morte di 6 milioni di ebrei, non è solo profondamente sconvolgente per la comunità ebraica, ma anche folle.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Un sistema di spionaggio del gruppo NSO sarebbe stato utilizzato in attacchi informatici contro avvocati e giornalisti

Nick Hopkins e Stephanie Kirchgaessner

Martedì 29 ottobre 2019 – The Guardian

WhatsApp denuncia un’impresa israeliana accusandola di aver violato i telefoni di attivisti

WhatsApp ha iniziato un’azione legale senza precedenti contro un’impresa di armi informatiche accusata di essere dietro attacchi segreti contro più di 100 attivisti per i diritti umani, avvocati, giornalisti e docenti universitari in sole due settimane all’inizio dell’anno.

L’impresa di social media ha presentato una denuncia contro NSO Group, una compagnia israeliana della sorveglianza, affermando che essa è responsabile di una serie di attacchi informatici molto complessi che a suo parere hanno violato le leggi americane con una “inconfondibile modalità di uso illecito”.

WhatsApp afferma di ritenere che durante il periodo di due settimane tra la fine di aprile e metà maggio questa tecnologia venduta da NSO sia stata usata per prendere di mira i telefonini di oltre 1.400 suoi utenti in 20 diversi Paesi.

WhatsApp pensa che in questo breve periodo tra quanti sono stati sottoposti agli attacchi informatici ci siano importanti difensori ed avvocati per i diritti umani, illustri personalità religiose, famosi giornalisti e funzionari di organizzazioni umanitarie.

Secondo quanto ritiene la compagnia, sono state vittime di attacchi anche un certo numero di donne precedentemente prese di mira dalla violenza informatica e personalità che hanno subito tentativi di assassinio e minacce di violenza, così come i loro parenti.

La denuncia di WhatsApp, presentata martedì a un tribunale californiano, chiede un’ingiunzione permanente che vieti a NSO di tentare di accedere ai sistemi su computer WhatsApp e Facebook, ad esso legato.

Ha anche chiesto al tribunale di sentenziare che NSO ha violato le leggi federali USA e della California contro frodi informatiche, ha violato i suoi contratti con WhatsApp ed ha “indebitamente abusato” di proprietà di Facebook.

Questa è la prima volta che un fornitore di messaggistica criptata ha preso un’iniziativa legale contro un ente privato che ha perpetrato questo tipo di attacchi contro i suoi utenti,” ha affermato un portavoce di WhatsApp. “Nella nostra denuncia spieghiamo come NSO abbia messo in atto il suo attacco, compresa l’ammissione di un dipendente di NSO che le nostre iniziative per porre rimedio all’attacco sono state efficaci.”

La compagnia sta anche appoggiando richieste del relatore speciale ONU per il diritto di espressione, David Kaye, per una moratoria di questo tipo di programmi di spionaggio invasivo.

Ci deve essere un deciso controllo giudiziario su armi informatiche come quella usata in questo attacco, per garantire che non vengano usate per violare i diritti individuali e le libertà a cui le persone hanno diritto ovunque nel mondo,” ha affermato WhatsApp.

Gruppi per i diritti umani hanno documentato una preoccupante tendenza in base alla quale tali strumenti sono stati usati per attaccare giornalisti e difensori dei diritti umani.”

WhatsApp ha sostenuto di aver lavorato con “Citizen Lab”, un gruppo di ricerca universitario con sede presso la Munk School di Toronto, per identificare le vittime degli attacchi e la tecnologia utilizzata contro di loro. L’organizzazione ha iniziato a contattare membri della società civile che siano stati colpiti dai presunti hacker.

John Scott-Railton, un ricercatore esperto di “Citizen Lab”, ha detto che l’azione legale di WhatsApp è stata “un importante passo positivo per la protezione dei diritti umani in rete e rappresenterà sicuramente un precedente.” Egli ha accusato NSO di agire con spregio nei confronti delle persone prese di mira. “Mentre dice all’opinione pubblica di essere preoccupata dei diritti umani, la società privata di sistemi di spionaggio ha cercato di ritagliarsi una nicchia di impunità, per cui, in virtù della sua vicinanza ad alcuni governi, sostiene di agire in modo legale, ma quando le fa comodo preferisce disconoscere qualunque responsabilità per questo comportamento.

L’annuncio di WhatsApp giunge sei mesi dopo che ha comunicato di aver scoperto un punto debole che ha consentito ad aggressori informatici di installare programmi di spionaggio sui telefoni con il programma sia iPhone che Android, chiamando destinatari che usano la funzionalità telefonica dell’applicazione. In quel momento non era ancora chiaro come molti degli 1,5 miliardi di utenti di WhatsApp siano stati colpiti.

Da allora WhatsApp, in collaborazione con “Citizen Lab”, nei giorni prima che la vulnerabilità venisse bloccata, ha cercato di capire come siano stati lanciati molti attacchi. Si ritiene che l’azienda sia rimasta scioccata da quello che ha scoperto.

Nella sua azione legale ha accusato NSO di “accesso e uso illegali dei computer di WhatsApp, molti dei quali si trovano in California.”

Sostiene anche che NSO “ha preso una serie di iniziative, utilizzando senza autorizzazione server di WhatsApp e il suo servizio, per spedire singoli componenti del programma ostile (‘codice dannoso’) per prendere di mira dispositivi elettronici” – e che ciò è stato fatto in modo da “occultare l’identità e il coinvolgimento degli accusati.”

La denuncia di WhatsApp non è l’unica rivolta contro NSO. L’impresa è stata accusata di aver preso di mira Omar Abdulaziz, uno stretto collaboratore di Jamal Khashoggi prima che il giornalista del Washington Post venisse assassinato l’anno scorso nel consolato saudita di Istanbul.

NSO ha affermato di prendere in esame le accuse nei confronti dei propri clienti e di riservarsi il diritto di ritirare agli utenti i permessi di utilizzo.

All’inizio di quest’anno l’azienda è stata acquistata da un’impresa privata con sede a Londra denominata “Novalpina Capital”, che in giugno ha affermato che avrebbe svelato nuove regole di governo dell’azienda. Nel passato NSO ha tenacemente difeso l’utilizzo della sua tecnologia e del sistema informatico di sorveglianza, noto come “Pegasus”, in quanto strumento di messa in pratica della legge che potrebbe contribuire a prevenire attacchi criminali e terroristici. “Novalpina” ha attribuito alla tecnologia di NSO il merito di aver bloccato piani di un attacco terroristico in uno stadio affollato in Europa e, citando il governo messicano, ha affermato che nel 2011 ha contribuito all’arresto del boss della droga noto come “El Chapo”.

In novembre l’impresa israeliana ha reso nota una “nuova politica per i diritti umani”, che a suo dire è fondata su un “rispetto incondizionato per i diritti umani”. Tra le altre iniziative, si è impegnata a inserire nuove procedure corrette di controllo per identificare, prevenire e mitigare “effetti contrari ai diritti umani” a causa del possibile abuso della sua tecnologia.

Ha anche affermato che avrebbe condotto una valutazione del “potenziale di effetti contrari ai diritti umani” dovuti ad un uso scorretto dei prodotti di NSO, così come avrebbe imposto “obblighi contrattuali” che impedirebbero ai clienti di NSO di utilizzare i suoi prodotti per qualcosa di diverso da un’inchiesta su gravi delitti.

Ma la nuova politica è stata criticata da alcuni esperti dei diritti umani e della sorveglianza informatica, compreso Kaye dell’ONU.

In una lettera del 18 ottobre a Shalev Hulio, uno dei fondatori di NSO, Kaye ha sollevato dubbi sull’efficacia di queste nuove linee guida sui i diritti umani e delle procedure basate sulla necessaria attenzione, ed ha suggerito che [NSO] sembrava affidarsi totalmente ai suoi stessi clienti per l’autocertificazione sull’uso scorretto dei suoi prodotti.

NSO Group ha affermato: “Contestiamo con la massima fermezza le attuali accuse e ci opporremo fortemente ad esse. L’unico scopo di NSO è fornire una tecnologia ad agenzie di intelligence e forze dell’ordine governative per aiutarle a combattere il terrorismo e la grande criminalità. La nostra tecnologia non è destinata o autorizzata ad essere usata contro gli attivisti per i diritti umani e i giornalisti. Negli ultimi anni ha contribuito a salvare migliaia di vite.

La verità è che piattaforme fortemente criptate sono spesso utilizzate da circoli di pedofili, boss della droga e terroristi per proteggere le proprie attività criminali. Senza tecnologie sofisticate, gli organi di polizia che devono garantire la nostra sicurezza devono affrontare ostacoli insormontabili. Le tecnologie di NSO forniscono soluzioni adeguate e legali a questo problema.

Noi consideriamo ogni uso dei nostri prodotti diverso dalla prevenzione della grande criminalità e del terrorismo una misura vietata dai termini contrattuali. Se lo individuiamo, interveniamo. Questa tecnologia è radicata nella protezione dei diritti umani – compresi il diritto alla vita, alla sicurezza ed all’integrità fisica – ed è per questo che abbiamo cercato di adeguarci ai principi delle linee guida dell’ONU su attività economiche e diritti umani, per garantire che i nostri prodotti rispettino tutti i diritti umani fondamentali.”

Se siete stati colpiti da presunto hackeraggio di WhatsApp o avete informazioni su di esso contattate Nick.Hopkins@theguardian.com oppure  Stephanie.Kirchgaessner@theguardian.com

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Un ospedale di Gerusalemme in cui i bambini palestinesi muoiono da soli

Oliver Holmes a Gerusalemme e Hazem Balousha a Gaza

Giovedì 20 giugno 2019 – The Guardian

Il blocco israeliano di Gaza implica che i genitori siano separati dai figli con gravi malattie

A prima vista niente sembra fuori posto nell’unità pediatrica di terapia intensiva. Nove letti ospitano nove piccoli bambini appena nati, tutti con tubi collegati ai corpicini. Monitor emettono suoni di continui segnali elettronici. Infermieri passano da un letto all’altro. Un pediatra dall’aspetto stanco compila scartoffie.

Eppure manca qualcosa: non ci sono genitori.

Alcuni sono stati mandati a casa a riposare, o potrebbero stare a bere ansiosamente caffè nel bar al piano inferiore. Ma in questo ospedale palestinese di Gerusalemme le madri di due bambini sono rimaste intrappolate a un’ora e mezza di distanza al di là del blocco imposto da Israele contro Gaza. Entrambi i bambini sono in seguito morti senza aver rivisto la propria madre.

Bambini palestinesi gravemente malati portati da Gaza, impoverita e sconvolta dalla guerra, all’ospedale Makassed, meglio equipaggiato, soffrono e muoiono da soli.

In qualche caso Israele consente l’uscita temporanea da Gaza per ragioni di salute, ma non a tutti. Al contempo impedisce o ritarda in modo grave l’uscita di molti genitori, e altri non fanno neppure richiesta, temendo che gli approfonditi controlli di sicurezza per gli adulti blocchino l’uscita dei loro figli e facciano perdere tempo prezioso.

Secondo l’ospedale, dall’inizio dello scorso anno 56 bambini di Gaza, sei dei quali sono morti in loro assenza, sono stati separati dai loro padri e madri. In un caso a una madre di 24 anni di Gaza è stato permesso di viaggiare due mesi prima fino a Gerusalemme per dare alla luce tre gemelli gravemente malati. Due pesavano meno di un sacchetto di zucchero.

Ma il permesso di Hiba Swailam è scaduto e lei ha dovuto tornare a Gaza. Non era lì quando il suo primo figlio è morto, a nove giorni [dalla nascita], o due settimane dopo, quando è deceduto anche il suo secondo bambino. È stata informata per telefono. La figlia sopravvissuta, Shahad, ha passato i primi mesi della sua vita accudita da infermieri, e Hiba ha potuto vederla solo con videochiamate. Benché la bambina fosse pronta per essere dimessa da febbraio, nessun membro della famiglia è stato in grado di andarla a prendere.

Dopo essere state contattate per fare un commento, le autorità israeliane hanno concesso a Swailam di uscire da Gaza. Le è stato consentito di andare a Gerusalemme lo stesso giorno in cui Israele ha risposto alla richiesta del Guardian di fare un commento, il 29 maggio.

Medici per i diritti umani-Israele”, una Ong di medici israeliani, ha affermato che lo scorso anno più di 7.000 permessi sono stati rilasciati a minori di Gaza. Sono stati concessi meno di 2.000 permessi per genitori, il che lascia pensare che molti bambini abbiano viaggiato senza i propri genitori. Mor Efrat, il direttore del gruppo per i territori palestinesi occupati, ha affermato che “il governo israeliano dovrebbe essere chiamato a rispondere delle sofferenze umane.”

Separare bambini malati dai genitori può avere conseguenze devastanti. I medici credono che uno dei tre gemelli che è morto quando la madre era a Gaza si trovava in una condizione per cui una delle migliori misure di prevenzione sarebbe stato l’allattamento al seno. “Non potrei dire che se la madre fosse stata qui se la sarebbero cavata, ma ciò potrebbe aver ridotto le loro possibilità,” ha affermato Hatem Khammash, il capo dell’unità neonatale.

Ibtisam Risiq, la caposala del reparto dell’unità pediatrica di terapia intensiva, ha osservato un effetto psicologico nei neonati che sono affidati solo alle sue cure: “Hanno bisogno di amore. Il loro battito cardiaco aumenta. Sono depressi,” afferma.

Seduta alla sua scrivania, con pile di carta ovunque, controlla come le sue infermiere si affrettano per tenere in vita i bambini. Le rimprovera di aver lasciato le confezioni di prodotti medici sul pavimento. Un grande schermo di computer dietro di lei mostra il battito cardiaco dei pazienti. Mentre parla, uno sale a 200 battiti al minuto. “Dovrebbe essere a 130”, dice, e rapidamente manda un’infermiera.

Entrano ed escono medici. Risiq prende il telefono per discutere con un direttore amministrativo che l’ha chiamata perché un altro bambino ha bisogno di cure urgenti. Chiede invano se qualcuno dei pazienti di Risiq è sufficientemente stabile da essere spostato in un’unità a basso rischio. “Siamo al 100% della capienza,” dice Risiq. “Ciò succede tutti i giorni. Devo affrontare questa situazione tutti i giorni.”

Sempre alle prese con problemi finanziari, il Makassed è in una situazione critica da quando l’anno scorso Donald Trump ha tagliato milioni di fondi per l’assistenza medica a questo come ad altri ospedali che si occupano di palestinesi a Gerusalemme est. Anche la feroce rivalità tra le fazioni politiche palestinesi in Cisgiordania e a Gaza ha aggravato la crisi sanitaria. L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), con sede in Cisgiordania, l’unico gruppo con cui Israele collabora, è stata accusata di aver tagliato l’aiuto medico a Gaza per obbligare Hamas a cedere il controllo della Striscia – un’accusa che l’ANP smentisce.

Saleh al-Ziq, il capo dell’ufficio dell’ANP per Gaza che trasmette le richieste di permessi d’uscita per Israele, afferma che esso ha informato che i bambini malati siano accompagnati solo da persone con più di 45 anni, i cui permessi vengono di solito esaminati più rapidamente dalle autorità israeliane in quanto considerati meno rischiosi.

Il risultato è che, invece dei genitori, che di solito sono più giovani, il Makassed è pieno di nonni. L’ospedale deve farsi carico di vitto e alloggio, e ha sistemato roulotte per farceli dormire. Ma in qualche caso anche loro devono tornare a Gaza e i bambini vengono lasciati totalmente soli.

Nel reparto di terapia intensiva pediatrica Risiq prende un grande libro verde pieno delle sue annotazioni compilate a mano di ammissioni, molte delle quali di bambini prematuri.

Una neonata, Reema Abu Eita, è arrivata con la nonna da Gaza per un’operazione urgente al midollo spinale. Questa è stata rimandata perché aveva un’infezione, dice Risiq, guardando la bambina, con gli occhi chiusi e il petto ansimante. Il padre di Abu Eita, un guidatore di ambulanze, ha cercato di ottenere un permesso per visitare la figlia, ma la bambina è morta prima di tornare a Gaza. Un altro neonato di Gaza, Khalil Shurrab, è arrivato con il fegato ingrossato. Giallo per l’itterizia, soffriva di convulsioni.

Secondo suo padre, che parlava da Gaza, lo avrebbe accompagnato la nonna. “L’equipe ospedaliera le ha insegnato come mandare a me e a mia moglie foto del bambino con WhatsApp,” dice Jihad Shurrab, 29 anni.

Sua moglie, Amal, afferma di aver smesso di dormire dopo che suo figlio è partito: “Speravo di poter andare con lui a Gerusalemme. Ho implorato chiunque, ma mi hanno detto che sono giovane e che gli israeliani non avrebbero accettato.”

Con sollievo della famiglia, il Makassed alla fine ha dimesso Khalil dopo un mese, e il bambino ha potuto ritornare a Gaza. Ma quando lo ha fatto, hanno scoperto che lì i farmaci erano introvabili. “Il gonfiore stava aumentando,” dice suo padre. Ha deciso di cercare di andarsene da Gaza verso il sud passando dall’Egitto, che ha imposto anch’esso un blocco ma in alcuni casi consente di viaggiare. “Il giorno in cui avremmo dovuto partire è morto.”

Israele afferma che il blocco terrestre, aereo e marittimo contro Gaza intende impedire ad Hamas e ad altri gruppi di miliziani di lanciare attacchi. L’Onu lo definisce una “punizione collettiva” per 2 milioni di persone che vi sono intrappolate. Gli abitanti lo chiamano assedio.

Il COGAT, l’ente del ministero della Difesa [israeliano] responsabile del coordinamento delle attività governative israeliane nei territori palestinesi, afferma in una risposta scritta di non imporre limiti d’età per i permessi e che ogni richiesta viene esaminata in modo individuale.

Riguardo al caso dei tre gemelli, sostiene che “un errore umano nei moduli per la domanda”, intendendo una richiesta presentata dalla madre in aprile, ha fatto sì che fosse respinto.

Imputa la crisi sanitaria a Gaza ad Hamas e all’ANP, che afferma “riduce drasticamente il bilancio degli aiuti medici per gli abitanti della Striscia di Gaza.” Afferma che Hamas ha utilizzato pazienti come corrieri per far entrare clandestinamente in Israele esplosivi e “finanziamenti per i terroristi”.

Il COGAT è “attivo nel rilascio di decine di migliaia di permessi a pazienti, così come a medici palestinesi, che ricevono formazione negli ospedali in Israele,” aggiunge.

Mentre è più difficile per la gente di Gaza, uscire, il Makassed presta servizio anche per la Cisgiordania, e anche lì i genitori palestinesi trovano difficoltà, e a volte l’impossibilità, di andare all’ospedale.

Israele sostiene di avere la sovranità su tutta Gerusalemme ed ha persino isolato dal resto dei territori palestinesi i suoi quartieri a maggioranza araba. Alcuni pazienti, molti bambini più grandi malati di cancro, hanno famiglie che vivono a pochi minuti di distanza ma non possono andarli a trovare.

La separazione di bambini dalle loro famiglie è talmente comune che gli ospedali palestinesi a Gerusalemme forniscono loro tablet per fare chiamate con Skype.

Un’organizzazione per la salute con sede in Gran Bretagna, “Medical Aid for Palestinians” [Aiuto Medico per la Palestina], ha organizzato visite guidate per parlamentari britannici all’ospedale Makassed per mostrare loro i risultati del fatto di separare i bambini dalle proprie famiglie. Una parlamentare laburista che l’ha visitato ha affermato di aver sollecitato il governo britannico ad intervenire. Rosena Allin-Khan, che lavorava come medico al pronto soccorso, ha affermato: “Nessun bambino, in nessuna parte del mondo, dovrebbe stare da solo in un momento di grande necessità. Il governo britannico dovrebbe fare pressione sulle autorità israeliane perché rivedano questo sistema inumano.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




I partiti europei sono stati invitati a sottoscrivere che le pratiche di boicottaggio sono antisemite

Arthur Neslen

24 ottobre 2018, The Guardian

Un convegno spalleggiato dal governo israeliano intende proporre linee rosse per i futuri membri del Parlamento Europeo

Una conferenza a Bruxelles spalleggiata dal governo israeliano intende spingere tutti i partiti politici europei a firmare delle “linee rosse” che dichiarino le pratiche di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) “essenzialmente antisemite”.

La conferenza di due giorni, a cui parteciperà il ministro israeliano per le questioni di Gerusalemme, Ze’ev Elkin, proporrà ai futuri membri del Parlamento Europeo e ai partiti politici un testo da firmare prima delle elezioni europee nel maggio del prossimo anno.

Il testo invita gli Stati membri dell’UE a firmare la “definizione operativa di antisemitismo” dell’Alleanza Internazionale per il Ricordo dell’Olocausto e ad escludere dal governo tutti i politici o i partiti che la violino.

La più controversa delle linee rosse – basata su una risoluzione adottata nel 2016 in Germania dall’Unione Cristiano-Democratica di Angela Merkel – invita “tutti i partiti politici ad approvare una risoluzione vincolante che respinga le attività BDS come essenzialmente antisemite.”

Il rabbino Menachem Margolin, fondatore dell’Associazione Ebraica Europea (EJA), una coalizione di organizzazioni che sta organizzando la conferenza insieme al gruppo Affari Pubblici Europa-Israele (EIPA), ha detto: “Quando saranno approvate, queste ‘linee rosse’rappresenteranno le nostre linee scritte non sulla sabbia, ma nel cemento, e fungeranno da sveglia per i politici per segnalargli che qui è davvero in gioco il futuro dell’Europa ebraica.”

Nel suo materiale promozionale per la conferenza del 6-7 novembre l’’EJA afferma che gli inviti sono coordinati con i ministeri israeliani per le Questioni di Gerusalemme e degli Affari Esteri, di cui sono indicati i loghi.

Nessuno dei due ministeri ha per ora risposto alle richieste di un commento.

Negli ultimi anni il governo israeliano ha cambiato atteggiamento, passando dall’ignorare il movimento BDS contro Israele, negli anni seguenti alla sua fondazione nel 2005, al lancio di una campagna internazionale contro di esso, sostenendo che mira a delegittimare lo Stato ebraico. Israele ha approvato una legge che vieta l’ingresso agli stranieri che sostengono pubblicamente il boicottaggio di Israele ed ha creato gruppi in altre Nazioni per contrastare le attività e le argomentazioni del BDS.

Il ministero israeliano per gli affari strategici, che pare abbia stanziato un budget di 72 milioni di dollari per contrastare il movimento mondiale BDS, dice di non essere coinvolto nella conferenza. Tuttavia, The Guardian è a conoscenza che i suoi funzionari pubblici ed altro personale del ministero degli Esteri israeliano sono stati regolarmente in contatto con almeno una figura coinvolta nell’organizzazione dell’evento.

Secondo il sito web del gruppo, l’anno scorso il ministro degli Affari Strategici, Gilad Erdan, ha visitato l’EIPA per dare sostegno e tenere riunioni informative che in parte riguardavano “il contrasto alla narrazione del BDS”. “Come posizione ufficiale, il ministero ritiene il BDS antisemita per i suoi doppi standard e per la demonizzazione di Israele”, ha riferito una fonte vicina all’ufficio di Erdan.

Margrete Auken [del gruppo dei Verdi/Alleanza Libera Europea, ndtr.], vice-capo della delegazione del Parlamento Europeo per le relazioni con la Palestina, ha detto di non appoggiare il BDS. Tuttavia ha affermato: “Respingo i continui tentativi di assimilare questo movimento a guida palestinese all’antisemitismo”.

C’è un’evidente intenzione di mettere a tacere i sostenitori del BDS per proteggere le politiche illegali di annessione e spoliazione da parte del governo Netanyahu. La criminalizzazione e la repressione della legittima espressione della libertà di parola non possono essere accettate nelle nostre società.”

Durante l’estate le questioni relative all’assimilazione tra antisemitismo e antisionismo hanno diviso il partito Laburista nel Regno Unito. Un ‘organizzatore della conferenza ha detto che le linee rosse “potrebbero creare difficoltà ai compagni del partito Laburista nelle elezioni europee che sostengono Jeremy Corbyn come il salvatore della socialdemocrazia.”

Ed ha aggiunto: “Dobbiamo stilare queste linee e fare in modo che le persone le firmino prima di queste elezioni, in modo che in seguito noi possiamo chiedergliene conto.”

Un altro segnale che una nuova battaglia su questa questione potrebbe essere in preparazione, è il fatto che l’ambasciatore israeliano presso l’Unione Europea, Aharon Leshno-Yaar, ha accusato la vice-capo del gruppo socialista nel Parlamento Europeo, Elena Valenciano, di avere “una strana ossessione nei confronti dello Stato ebraico”, dopo che lei aveva criticato le politiche israeliane.

Sono preoccupato per il crescente numero di episodi antisemiti in Europa negli ultimi tempi”, ha detto Yaar, citando rapporti sullo spionaggio iraniano in centri ebraici. “Il vostro silenzio su questi argomenti è assordante. State adottando una narrazione che ha un unico scopo – denigrare lo Stato democratico del popolo ebreo.”

Quest’anno le accuse del ministero di Erdan secondo cui l’Unione Europea ha finanziato Ong che supportavano il BDS e il terrorismo gli si sono ritorte contro, quando il capo della politica estera dell’Unione, Federica Mogherini, le ha definite “disinformazione”.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Festival tedesco contro gruppo musicale a favore del BDS

Un festival artistico tedesco prima revoca poi rinnova l’invito ai “Young Fathers”

Il dietrofront del festival arriva dopo che il gruppo era stato liquidato per il suo sostegno a un’organizzazione filo-palestinese

The Guardian

Philip Oltermann da Berlino

Martedì 26 giugno 2018

Un importante festival tedesco di musica e arte è stato messo in subbuglio dopo che i suoi organizzatori hanno revocato – e poi rinnovato –  l’invito al gruppo scozzese “Young Fathers” per il suo sostegno al movimento filo-palestinese Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS).

All’inizio del mese la direttrice artistica della “Ruhrtriennale”  ha annunciato che il trio britannico di hip-hop  sarebbe stato tolto dal programma del festival, che si svolge dal 18 agosto al 30 settembre.

In un comunicato Stefanie Carp ha affermato che, benché non creda che criticare le politiche del governo israeliano sia antisemita, il gruppo, vincitore del premio “Mercury” [importante premio musicale britannico assegnato al miglior disco dell’anno, ndtr.],  “purtroppo non ha preso le distanze dal BDS”.

Ma giovedì gli organizzatori del festival hanno fatto una svolta a 180 gradi. Non solo hanno invitato i Young Fathers, ma li hanno anche invitati a spiegare la loro posizione sul palco.

“In quanto tedesca, ovviamente è difficile per me essere messa in rapporto con un movimento che boicotta Israele,” ha detto Carp. “Ma io ho invitato i Young Fathers e non il BDS.”

Un portavoce della Ruhrtriennale ha detto a “The Guardian” che i Young Fathers li hanno informati di non poter accettare il nuovo invito.

Alcuni artisti che inizialmente si erano ritirati dalla Ruhrtriennale in solidarietà con il gruppo scozzese, compreso il chitarrista libanese Sharif Sehnaoui, hanno detto di aver accettato di essere inseriti nel programma del festival. Gli organizzatori della Ruhrtriennale hanno detto che gli altri eventi andranno avanti come previsto, con in più un dibattito sulle ragioni alla base di queste reazioni.

Comunque in Germania il dietrofront di Carp è stato criticato  da organizzazioni ebraiche locali e da Isabel Pfeiffer-Poensgen, ministra della Cultura dello Stato Nord-Reno Wstphalia.

“Non si può escludere che questa decisione darà alla campagna BDS una tribuna alla Ruhrtriennale,” ha detto  Pfeiffer-Poensgen. “In un momento di incremento dei delitti di antisemitismo ed altri incidenti, purtroppo anche nel Nord-Reno Wstphalia, questo è un segnale sbagliato.”

Nel corso degli  ultimi 10 mesi sindaci di città tedesche, comprese Berlino, Monaco e Francoforte, hanno messo in relazione l’appello del BDS al boicottaggio contro Israele a pratiche del periodo nazista. Ci sono state richieste di mettere al bando l’uso di spazi pubblici per le attività del BDS.

In una lettera a “The Guardian” 75 artisti e personaggi della cultura  hanno criticato quello che ritenevano essere un “tentativo di imporre un condizionamento politico ad artisti che appoggiano i diritti umani dei palestinesi,” descrivendo la decisione iniziale di togliere dal programma i Young Fathers come “censura, persecuzione e repressione.”

I firmatari della lettera includono Patti Smith, che si è esibita alla Ruhrtriennale nel 2005, e i Massive Attack, che hanno suonato al festival nel 2013 [e tra gli altri anche i musicisti Brian Eno, Peter Gabriel e Roger Waters, gli intellettuali Judith Butler, Noam Chomsky, Angela Davis, Alice Walker, Desmond Tutu, Naomi Klein e Eyal Weizman, i registi e attori Aki Kaurismaki Mike Leigh, Ken Loach, Mira Nair, Julie Christie e Viggo Mortensen, ndtr.].

L’esibizione dei Young Fathers è l’ultima di una serie di concerti recentemente annullati in Germania in relazione con l’appoggio di artisti al movimento BDS. Nel 2017 i Young Fathers sono stati una delle numerose band che si sono ritirate dal festival “Pop-Kulture” di Berlino, dopo che si è scoperto che l’ambasciata israeliana ha regalato 500 € per contribuire a coprire le spese di viaggio di artisti provenienti da Israele. L’ambasciata israeliana era indicata come partner sui manifesti dell’evento.

Il musicista britannico Richard Dawson, così come gli artisti di “Shopping” e Gwenno , si sono ritirati dal programma del festival “Pop-Kultur” di quest’anno, con quest’ultima che ha citato l’uccisione di palestinesi a Gaza da parte delle forze di frontiera israeliane come una delle ragioni per annullare la sua apparizione.

Lo scorso settembre la poetessa e performer inglese Kate Tempest ha annullato un concerto al teatro ” Volksbühne” di Berlino in seguito a quelle che il suo manager ha definito “minacce personali via mail e sulle reti sociali” per il suo appoggio al movimento BDS.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Secondo l’ONU Israele a Gaza ha colpito scuole e rifugi

Da un’inchiesta risulta che Israele è responsabile di aver colpito scuole e rifugi delle Nazioni Unite a Gaza

 

Ban Ki-moon condanna gli attacchi, compreso quello alla scuola delle Nazioni unite, in cui furono uccise 20 persone e ferite dozzine, qualificandoli “ questione di estrema gravità”

Peter Beaumont, Gerusalemme

The Guardian – Lunedì 27 aprile 2015

Israele è responsabile per aver colpito sette siti delle Nazioni Unite utilizzati come rifugi per i civili durante la guerra di Gaza del 2014, azione in cui sono morti 44 palestinesi e 227 sono rimasti feriti:

questa la conclusione di un’inchiesta ordinata dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon.

Presentando il rapporto lunedì, Ban ha condannato gli attacchi definendoli “una questione di estrema gravità” e ha detto che “coloro che hanno confidato di essere al sicuro e che hanno chiesto e ottenuto riparo in quei luoghi si sono viste negare le loro speranze e la loro fiducia.” Ban ha ribadito che i siti ONU erano “inviolabili”.

Il problema è particolarmente delicato in quanto la posizione delle strutture dell’ONU – comprese le scuole usate come rifugi – viene regolarmente comunicata all’esercito israeliano ed aggiornata in tempo di guerra. Le critiche di Ban sono state pubblicate in una lettera che riassumeva un rapporto interno riservato di 207 pagine, commissionato dal Segretario Generale a novembre.

In questa lettera Ban accusa anche gruppi di miliziani palestinesi per aver messo a rischio alcune scuole dell’ONU a Gaza nascondendo armi in tre luoghi che non erano usati come rifugi.

“Sono sconcertato dal fatto che dei gruppi armati palestinesi abbiano messo a rischio scuole dell’ONU nascondendovi le loro armi”. Ha comunque aggiunto che “le tre scuole dove sono state trovate le armi erano vuote in quel momento e non erano utilizzate come rifugi.”

Diplomatici israeliani hanno fatto pressione sulle Nazioni Unite perché rinviassero la pubblicazione del rapporto fino alla conclusione delle inchieste dello stesso Israele sugli attacchi – condotte dall’avvocato generale dell’esercito israeliano Danny Efroni. L’esercito israeliano a settembre ha avviato cinque inchieste penali sulle proprie operazioni belliche a Gaza, compresi gli attacchi contro alcune scuole delle Nazioni Unite ed un incidente in cui sono rimasti uccisi quattro bambini palestinesi su una spiaggia.

L’inchiesta delle Nazioni Unite, che ha preso in esame sia prove giudiziarie che testimonianze dello staff delle Nazioni Unite a Gaza durante i 50 giorni di guerra della scorsa estate, ha concluso che sette episodi erano attribuibili all’esercito israeliano.

Ban ha aggiunto: “Lavorerò con tutti gli interessati e non risparmierò alcuno sforzo per assicurare che tali incidenti non abbiano mai più a ripetersi.”

Benché il rapporto non abbia valore giuridico, la diffusione delle conclusioni dell’inchiesta avviene in un momento difficile per Israele sulla scena internazionale, a fronte di un crescente isolamento internazionale della sua politica e dopo l’accettazione, all’inizio di questo mese, dell’adesione dell’Autorità Palestinese alla Corte Penale Internazionale.

Gli attacchi alle scuole ONU utilizzate come rifugi sono stati tra gli episodi più controversi della guerra. Il diritto umanitario internazionale – peraltro complesso – esige che le forze attaccanti in aree in cui si trovino dei non-combattenti proteggano i civili e rispettino il principio di proporzionalità, garanzie ancor più tassative quando i civili si trovino sotto protezione ONU.

In uno degli incidenti più gravi, la scuola dell’UNRWA a Jabaliya è stata colpita dal fuoco israeliano, che ha ucciso 20 persone e ne ha ferite decine.

In seguito all’attacco Israele ha sostenuto – anche in un rapporto sull’incidente – che i soldati nei pressi della scuola erano stati presi di mira.

In un altro incidente, in cui l’artiglieria israeliana ha colpito una scuola delle Nazioni Unite a Beit Hanoun, nel cortile sono stati uccisi 15 palestinesi , ed altre decine sono state ferite, mentre attendevano di essere evacuati.

Fonti israeliane hanno inizialmente cercato di insinuare che l’attacco era stato causato da un razzo di Hamas che aveva fallito l’obbiettivo.

L’inchiesta delle Nazioni Unite – distinta da un’inchiesta avviata dal Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU – è stata condotta dal generale a riposo Patrick Cammaert, ex ufficiale dell’esercito olandese, ed ha incluso esperti militari e legali.

Oltre 2.100 palestinesi, per la maggior parte civili, sono rimasti uccisi durante il conflitto di Gaza lo scorso luglio ed agosto. 67 soldati israeliani e 6 civili sono stati uccisi in Israele dai razzi e dagli attacchi di Hamas e di altri gruppi di miliziani.

I contenuti in dettaglio della commissione d’inchiesta sono riservati e solo la lettera di Ban è stata resa pubblica. Ammettendo che il rapporto è di “notevole interesse”, egli ha affermato di aver preso la decisione di pubblicare una sintesi dei risultati dell’inchiesta.

Il rapporto contiene analisi sulle armi, relazioni mediche, fotografie e materiale filmato, dichiarazioni e testimonianze sia dello staff delle Nazioni Unite che di altre organizzazioni.

Ban ha ringraziato Israele per la cooperazione nella stesura del rapporto e per aver permesso agli inquirenti di entrare a Gaza. Egli ha scritto: “Deploro il fatto che almeno 44 palestinesi siano stati uccisi dalle azioni di Israele ed almeno 227 siano stati feriti in edifici delle Nazioni Unite utilizzati come rifugi di emergenza. Gli edifici delle Nazioni Unite sono inviolabili e dovrebbero essere luoghi sicuri, soprattutto in situazioni di conflitto armato.”

Ha aggiunto: “Rilevo che questa è la seconda volta nel corso del mio mandato di Segretario Generale in cui sono stato costretto a nominare una commissione d’inchiesta su incidenti che hanno coinvolto edifici e personale delle Nazioni Unite a Gaza, verificatisi durante i tragici conflitti nella Striscia di Gaza.”

“Ancora una volta devo sottolineare la mia profonda e costante preoccupazione per la popolazione civile della Striscia di Gaza e di Israele, ed il loro diritto a vivere in pace e sicurezza, libere dalle minacce di violenza e terrorismo.”

Quando Ban ha visitato Gaza in ottobre, ha affermato che la distruzione era “indescrivibile” e “molto più grave” di ciò di cui era stato testimone nel territorio palestinese nel 2009 dopo la precedente guerra tra Israele e Hamas.

Ban ha detto lunedì di aver nominato un gruppo di alti funzionari per occuparsi delle raccomandazioni dell’inchiesta. Diverse questioni non sono state affrontate nella sintesi del rapporto, non ultimo il problema di quali comunicazioni esistevano tra il personale delle Nazioni Unite e l’esercito israeliano, in particolare prima dell’attacco alla scuola di Beit Hanoun, quando lo staff delle Nazioni Unite risulta aver comunicato alle forze armate israeliane l’intenzione di portare via con degli autobus i civili che aspettavano di essere evacuati al momento dell’attacco.

Senza spiegazione è anche il perché le forze armate israeliane abbiano colpito luoghi protetti in assenza di condizioni di immediata necessità di autodifesa, benché fossero a conoscenza della concentrazione di civili che vi avevano trovato rifugio.

Chris Gunnes, portavoce dell’UNRWA, che gestisce le scuole delle Nazioni Unite a Gaza, ha detto: “L’inchiesta ha rilevato che, nonostante diverse comunicazioni all’esercito israeliano delle precise

coordinate GPS delle scuole e sulla presenza di sfollati, in tutti i sette casi indagati dallaCommissione d’Inchiesta in cui le nostre scuole sono state colpite direttamente o nelle immediate vicinanze, l’attacco è attribuibile all’esercito israeliano (IDF).

“La Commissione conferma l’utilizzo da parte dell’esercito israeliano di armi quali proiettili anticarro da 120 mm e proiettili da 155 mm sull’area delle scuole dell’UNRWA o nelle sue vicinanze, dove dei civili avevano trovato rifugio. Negli incidenti esaminati almeno 44 persone sono state uccise e 227 ferite, comprese donne e bambini. In nessuna delle scuole colpite direttamente o nelle immediate vicinanze sono state trovate armi o sono stati sparati colpi. Se venisse confermato che dei miliziani hanno sparato razzi dalle nostre scuole noi lo condanneremmo, come abbiamo fermamente condannato altre violazioni della nostra neutralità.”

“I risultati dell’inchiesta del Segretario Generale sono perfettamente coerenti con le dichiarazioni dell’UNRWA secondo cui noi non abbiamo consegnato nessun’arma ad Hamas. La Commissione d’Inchiesta non ha trovato alcuna prova che lo abbiamo fatto. La Commissione d’Inchiesta ha rilevato che dopo la prima scoperta i responsabili dell’UNRWA hanno riferito delle armi alle autorità locali ed hanno chiesto che venissero rimosse. Entro pochi giorni dalla prima scoperta, senza precedenti, l’ONU ha messo in atto un meccanismo per occuparsi delle armi e al momento della terza scoperta erano disponibili degli esperti internazionali.”

 

(Traduzione di Cristiana Cavagna)