Funzionaria americana afferma che il numero di palestinesi uccisi a Gaza potrebbe essere “superiore a quello riportato”.

I commenti di Leaf sono in contrasto con la dichiarazione del mese scorso del presidente americano Joe Biden, che aveva affermato di non avere “nessuna fiducia” nei numeri palestinesi.

Redazione di Palestine Chronicle

9 novembre 2023 – The Palestine Chronicle

Il numero di palestinesi di Gaza uccisi nella guerra israeliana contro Gaza è probabilmente superiore ai 10.000 riportati dal Ministero della Sanità locale, ha detto al Congresso l’Assistente del Segretario di Stato americano per gli Affari del Vicino Oriente, Barbara Leaf.

Giovedì 9 novembre il Ministero della Sanità di Gaza ha dichiarato che dal 7 ottobre sono stati uccisi a Gaza 10.812 palestinesi. Il numero comprende 4.412 bambini e 2.918 donne.

Secondo The Hill [giornale politico statunitense con sede a Washington, ndt.] Leaf ha detto alla Commissione per gli Affari Esteri della Camera durante un’audizione mercoledì: “In questo periodo di conflitto e di condizioni di guerra è molto difficile per chiunque di noi valutare quante siano le vittime Francamente  pensiamo che siano molte e potrebbero essere anche più di quelle riportate.”

“Apprendiamo notizie da molte persone diverse che sono sul campo”, ha aggiunto Leaf. Non posso stabilire una cifra o un’altra, è molto probabile che siano anche più di quanto riportato.”

I commenti di Leaf sono in contrasto con la dichiarazione del mese scorso del presidente americano Joe Biden, che aveva affermato di non avere “nessuna fiducia” nei numeri forniti dai palestinesi.

In seguito il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale John Kirby ha detto ai giornalisti che il Ministero della Sanità di Gaza è “solo una copertura per Hamas”.

“Non possiamo prendere per oro colato nulla che venga da Hamas, incluso il cosiddetto ‘Ministero della Sanità’”, ha detto Kirby alla conferenza stampa della Casa Bianca il 26 ottobre.

Gli Stati Uniti avrebbero chiesto a Israele di evitare di uccidere civili, ma un articolo del New York Times della scorsa settimana ha rivelato che i funzionari israeliani “ritenevano che un alto numero di vittime civili fosse un prezzo accettabile nella campagna militare”, paragonando le operazioni a Gaza con i bombardamenti incendiari su Germania e Giappone nella Seconda Guerra Mondiale

Finora Israele ha ucciso oltre 10.812 persone – tra cui 4.412 bambini e 2.918 donne – e ne ha ferite 26.905. Rapporti del Ministero della Sanità palestinese e organizzazioni internazionali affermano che la maggior parte delle persone uccise e ferite sono donne e bambini.

Nonostante il massiccio rafforzamento militare israeliano attorno ai confini di Gaza e le sporadiche incursioni alla periferia della Striscia assediata, la Resistenza Palestinese continua a respingere gli attacchi israeliani.

Per giustificare il suo fallimento militare, l’esercito israeliano continua a martellare abitazioni civili in tutta la Striscia di Gaza, con nuovi massacri segnalati ovunque nell’enclave assediata.

Gaza è sotto uno stretto assedio militare israeliano dal 2007 in seguito ad un’elezione democratica nella Palestina occupata, i cui risultati sono stati respinti da Tel Aviv e Washington.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




“Furto” israeliano: ecco quanti soldi Tel Aviv “detrae” ogni mese dal bilancio dell’Autorità Palestinese

Redazione The Palestine Chronicle

2 ottobre 2023, The Palestine Chronicle

Il Ministero delle Finanze palestinese ha smentito oggi quanto pubblicato dai media israeliani secondo cui il governo israeliano fornirebbe assistenza finanziaria all’Autorità Nazionale Palestinese

Il Direttore Generale delle Dogane, delle Accise e dell’Imposta sul Valore Aggiunto del ministero Louay Hanash ha affermato in una dichiarazione che l’attuale governo israeliano ha di fatto raddoppiato illegalmente le detrazioni unilaterali dal denaro dei contribuenti palestinesi, contrariamente a quanto va sostenendo la stampa israeliana.

Senza spiegazione

Hanash, responsabile della contabilità con la controparte israeliana, ha affermato che le detrazioni mensili da Israele sulle tasse vanno da 240 a 260 milioni di shekel israeliani (oltre 60 milioni di euro), equivalenti al 25% delle entrate dell’Autorità palestinese, sottolineando che Israele non fornisce dettagli o spiegazioni a riguardo.

Hanash ha affermato che Israele trattiene anche il 3% dei fondi di compensazione come commissione di riscossione, cioè oltre 35 milioni di shekel mensili (quasi 9 milioni di euro), aggiungendo che questa commissione ha superato i tre miliardi di shekel negli ultimi dieci anni.

Hanash ha sottolineato ciò che il Ministro delle Finanze Shoukry Bishara aveva chiesto all’incontro con i donatori tenutosi a New York il mese scorso, quando aveva ribadito le precedenti richieste palestinesi relative alla necessità di abolire completamente questa commissione sugli acquisti di carburante.

Nell’incontro Bishara aveva rafforzato la sua dichiarazione con i rapporti emessi dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale sulla necessità di annullare la commissione, poiché tutte le transazioni per quegli acquisti vengono effettuate elettronicamente e direttamente tra le società israeliane e l’Autorità Petrolifera Palestinese.

Ha osservato che non basta ridurre la commissione all’1,5%, additando la portata del “furto israeliano in questa procedura”.

Il ministro delle Finanze ha posto l’accento anche sulla richiesta di ridurre la commissione di riscossione che Israele impone su tutti gli altri beni in base al costo, affermando che la Banca Mondiale ha stimato, in uno dei suoi rapporti, che non dovrebbe superare un massimo dello 0,6%.

Durante l’incontro con i donatori Bishara ha affermato che risolvere anche solo cinque dei numerosi dossier finanziari in sospeso tra Israele e l’Autorità Palestinese consentirebbe di raggiungere l’equilibrio finanziario nel bilancio palestinese.

Ulteriori “detrazioni”

Nel contempo Hanash ha illustrato che da parte israeliana è stato trattenuto punitivamente e illegalmente un importo di 2,8 miliardi di shekel (circa 700 milioni di euro) a “compenso” di quanto l’Autorità Palestinese provvede alle famiglie delle persone colpite dall’occupazione israeliana e alle famiglie di martiri, prigionieri e feriti.

Ha affermato che queste detrazioni sono ancora in corso.

Inoltre, ha detto Hanash, Israele opera ogni mese delle detrazioni dai fondi palestinesi, sottolineando che questa politica è in corso da molti anni e costituisce una violazione di tutti gli accordi.

Ha rivelato che il governo israeliano ha recentemente aggiunto una trattenuta mensile di 20-30 milioni di shekel per i debiti della Jerusalem Electricity Company, nonostante si tratti di una società privata.

Comunque, ha aggiunto, l’Autorità Palestinese aiuta l’azienda a pagare i suoi prestiti, fornisce sovvenzioni per l’elettricità oltre a sostenere il pagamento delle bollette dei campi.

Hanash ha sottolineato che i tagli dimostrano chiaramente che Israele è responsabile della crescente crisi finanziaria dell’Autorità Palestinese, affermando che questi tagli sono il principale ostacolo allo sviluppo dell’economia palestinese.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




‘Non siamo noi gli intrusi’: viaggio di un ragazzino palestinese dalla paralisi alla speranza

Nada Al Kahlout

27 febbraio 2023 – The Palestine Chronicle

Muhammad Zaqout è sempre stato un undicenne attivo, vivace e brillante. Era uno studente di seconda media alla scuola di Gaza gestita dall’UNRWA. Viveva con la sua famiglia, i suoi genitori, due fratelli e cinque sorelle.

La sua vita era piena delle attività di un ragazzino”, dice a The Palestine Chronicle la sorella ventiduenne di Muhammad, Eman. “Muhammad si svegliava come ogni altro ragazzino a Gaza, prendeva la sua colazione e i suoi libri e andava a scuola…”

Eman sorride mentre parla del suo fratellino: “Muhammad amava mangiare il maftoul (couscous palestinese), scherzava sempre e giocava a pallone coi suoi amici,” ma le cose sono cambiate. “La vita di Muhammad era del tutto normale prima che contraesse il virus Guillain-Barre, cosa che è avvenuta improvvisamente”, continua Eman. “Stava giocando a pallone a scuola e un attimo dopo è svenuto e lo hanno portato immediatamente all’ospedale.”

I crimini dell’occupazione israeliana e dell’assedio di Gaza assumono diversi aspetti e spesso colpiscono i più vulnerabili e innocenti tra i palestinesi, come il giovane Muhammad.

All’inizio, quando Muhammad è stato ricoverato d’urgenza in ospedale per cure immediate, i medici hanno pensato che la sua condizione fosse psicologica, causata dal continuo stress e pressione che il ragazzo subiva a Gaza. Questa diagnosi non era inverosimile, dopotutto i bambini a Gaza crescono assistendo a guerre, massacri e incursioni militari contro le loro famiglie, amici e comunità.

Tuttavia lo shock maggiore per Muhammad e per tutti quelli intorno a lui è arrivato quando infine ha ripreso conoscenza, solo per rendersi conto che non sentiva più le gambe. Aveva la metà inferiore del corpo paralizzata, con acuti dolori nella parte superiore.

Alla fine a Muhammad è stata diagnosticata una grave forma di sindrome di Guillain-Barre, che richiedeva attenzione medica e tempestività.

La sindrome di Guillain-Barre è una grave condizione neurologica che comporta che il sistema immunitario del paziente danneggi i nervi del corpo. Nella sua forma più grave questa patologia può provocare paralisi. È necessario un ricovero immediato in ospedale per impedire che i sintomi peggiorino. Prima inizia un trattamento adeguato, più vi sono possibilità di recupero. Ma ciò non sempre è possibile in un posto come Gaza, che da quasi due decenni è sotto totale assedio israeliano.

I famigliari di Muhammad hanno capito che dovevano agire in fretta per scongiurare al figlio una paralisi permanente. Sfortunatamente l’ospedale a Gaza da anni è sottoposto a blocco militare e scarsità di risorse, proprio come tutte le altre istituzioni nella Striscia assediata.

Perciò la famiglia è stata costretta a lasciare l’ospedale e a cercare le cure in una clinica privata, dove un medico ha prescritto una crema al cortisone che, come ha spiegato, “potrebbe curarlo”. Tuttavia egli ha raccomandato alla famiglia che Muhammad avrebbe dovuto andare immediatamente a Ramallah, nella Cisgiordania occupata, per farsi curare ed evitare un danno permanente al suo giovane e fragile corpo.

Ramallah dista solo un’ora di viaggio da Gaza. Ma a Muhammad sono serviti mesi per arrivarci.

Cure mediche urgenti sotto assedio

La crema al cortisone non ha funzionato. Alla famiglia di Muhammad non è rimasto che tentare con la mossa successiva: come raggiungere Ramallah. Come superare i posti di blocco militari israeliani? Come fuggire da questo assedio?

Questi problemi sono sconosciuti alla maggior parte dei pazienti in tutto il mondo. Per i pazienti palestinesi, soprattutto a Gaza, è la realtà quotidiana.

Il medico di Muhammad ha scritto un referto per la cura presso la Clinica H di Ramallah. Ha sottolineato che la cura era urgente, prima che la salute del ragazzo potesse peggiorare. Tuttavia per i palestinesi come Muhammad il potere di curare un paziente non è nelle mani del medico, ma in quelle dei soldati israeliani ai posti di blocco militari.

Salvare mio figlio

La famiglia di Muhammad ha subito chiesto il permesso di Israele per andare a Ramallah con il figlio. Ha ricevuto un immediato rifiuto dall’esercito israeliano, che sosteneva che la famiglia non si era presentata ad un colloquio. Ma non era stato previsto alcun colloquio: se lo era, la famiglia non ne è stata informata.

Alla fine Muhammad ha lasciato l’ospedale ed è tornato a casa in sedia a rotelle.

I genitori di Muhammad hanno inoltrato una seconda richiesta, soprattutto quando il ragazzo ha iniziato a soffrire di battiti cardiaci rapidi e irregolari e difficoltà di respirazione, tutti sintomi della sindrome di Guillain-Barre che avrebbero potuto essere evitati con cure tempestive e adeguate.

La madre di Muhammad, Nailaa, ha preparato con cura una borsa da viaggio con vestiti pesanti e coperte, e con la documentazione necessaria e un po’ di denaro. Era decisa a portare suo figlio all’ospedale di Ramallah.

Al suo arrivo al posto di blocco militare i soldati israeliani occupanti le hanno negato l’accesso, senza darne alcuna ragione. Nailaa è tornata a casa, delusa ma non sconfitta.

Dopo tre dinieghi dell’esercito israeliano i genitori di Muhammad hanno inoltrato una quarta richiesta di viaggio come ultima speranza perchè il loro figlio potesse essere nuovamente in grado di camminare. Questa volta il permesso è stato concesso. Nel frattempo la salute del ragazzo era ulteriormente peggiorata.

Nell’attesa che l’esercito approvasse la mia richiesta di cure avevo molto dolore ai piedi e potevo a malapena muovere le gambe”, dice Muhammad a The Palestine Chronicle. “Avevo continui dolori allo stomaco e respiravo con molta difficoltà. Non potevo dormire e ho perso tante ore di scuola. I miei genitori e la mia famiglia erano molto depressi e sempre stressati. Le mie condizioni erano molto peggiori di quando mi sono ammalato all’inizio.”

Un temporaneo rilascio dal carcere

Muhammad descrive il suo viaggio a Ramallah come un temporaneo rilascio dalla prigione.

Gaza è circondata da ogni lato da soldati e posti di blocco. Tutti i soldati israeliani ci puntano contro il fucile. E’ opprimente”, dice.

Abbiamo aspettato molto tempo al posto di blocco e i soldati perquisivano tutti, minori e adulti, anch’io sono stato perquisito nella mia sedia a rotelle. La cosa insopportabile è che loro ci perquisiscono sulla nostra terra, mentre sono loro gli intrusi, non noi.”

La breve fuga di Muhammad dalla “prigione a cielo aperto più grande del mondo” ha voluto dire per lui poter fare qualcosa che la maggioranza dei gazawi può solo sognare. Ha visitato la città occupata di Gerusalemme.

La mia gioia nel vedere la moschea di Al-Aqsa è stata grande. Ho pregato là, nonostante la presenza intimidatoria dei soldati israeliani, che erano ad ogni cancello a sorvegliarci.”

Muhammad è tornato a Gaza ed ora sta facendo fisioterapia nell’ospedale Hamad. Le sue condizioni stanno lentamente migliorando ed è felice di essere di nuovo sé stesso, anche se usa ancora una stampella. Nonostante il suo snervante viaggio vuole vivere una vita normale.

È anche tornato a scuola. Dice a The Palestine Chronicle che sogna di diventare un giorno un insegnante.

Nada Al Kahlout è una giornalista indipendente di Gaza. ‘We are not Numbers’ ha concesso questo articolo a The Palestine Chronicle.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Lo Stato di Israele rinvia la deportazione dell’avvocato franco-palestinese Salah Hamouri

The New Arab, PC, SOCIAL

3 dicembre 2022 – The Palestine Chronicle

Sabato The New Arab ha riferito che la deportazione forzata dell’avvocato palestinese Salah Hamouri, che si occupa dei diritti umani, molto probabilmente non avrà luogo domenica come precedentemente annunciato.

Giovedì alla famiglia di Hamouri è stato detto che il cittadino franco-palestinese, sotto detenzione amministrativa [cioè senza accuse né processo, ndt.] israeliana, questo fine settimana sarebbe stato deportato in Francia contro la sua volontà. Ciò accade dopo che il suo permesso di residenza è stato revocato per “violazione della lealtà”

Tuttavia venerdì il legale e la famiglia di Hamouri hanno tenuto una conferenza stampa a Gerusalemme spiegando che l’avvocato non sarà deportato questo fine settimana e che gli è stata concessa un’ udienza che si terrà martedì prossimo.

Ma i suoi sostenitori hanno affermato che la minaccia di deportare l’avvocato resta molto grave e Hamouri potrebbe essere costretto a salire su un aereo per la Francia in qualunque momento.

Hanno anche detto che, nonostante la sua duplice nazionalità franco-palestinese, Hamouri è nato e cresciuto a Gerusalemme che considera la sua casa.

Il permesso di residenza di Hamouri è stato revocato dalla ministra dell’Interno israeliana Ayelet Shaked nell’ottobre 2021. Egli non ha solo perso il diritto di risiedere a Gerusalemme, la sua città natale, ma anche la libertà di movimento e la possibilità di lavorare.

Lo Stato di Israele, che ha illegalmente occupato e annesso Gerusalemme Est, revoca regolarmente i permessi permanenti di residenza dei palestinesi in quella parte della città.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Un civile israeliano ucciso da un soldato israeliano dopo essere stato scambiato per un palestinese

Redazione di WAFA, PC, Social

14 novembre 2022 – The Palestine Chronicle

Media israeliani hanno riferito che lunedì un soldato israeliano ha aperto il fuoco e ha ucciso un cittadino israeliano dopo aver sospettato che fosse un palestinese.

A quanto riferito il soldato si è avvicinato ad un civile israeliano nella stazione degli autobus della città di Ranana, vicino a Tel Aviv, e ha aperto il fuoco verso di lui uccidendolo sul colpo.

La polizia israeliana ha confermato che il soldato ha aperto il fuoco dopo essersi sentito “in pericolo come un cittadino avvicinato in modo sospetto”, ferendo anche altre due persone.

Sul momento l’esercito israeliano non ha fatto commenti e la polizia non ha dato dettagli sull’identità della vittima.

I media israeliani hanno riferito quanto detto dall’addetto stampa della polizia, cioè che “il soldato ha aperto il fuoco credendo che la persona fosse un palestinese”.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Soldati israeliani uccidono un giovane palestinese nei pressi del muro dell’apartheid a Jenin

Redazione di WAFA, PC, Social

9 novembre 2022 – The Palestine Chronicle

Il ministero palestinese della Sanità ha riferito che mercoledì soldati israeliani hanno ucciso un giovane palestinese vicino al muro dell’apartheid, ad ovest di Jenin.

In una breve dichiarazione il ministero ha affermato che il ventinovenne Rafat Ali Issa è stato ucciso dai soldati israeliani che hanno aperto il fuoco contro di lui.

Secondo il responsabile della Mezzaluna Rossa [il corrispettivo musulmano della Croce Rossa, ndt.] Mahmoud Saadi, Issa, proveniente dal villaggio di Sanur a sud di Jenin, è stato colpito ad una gamba da soldati israeliani vicino al muro dell’apartheid.

Saadi ha affermato che i soldati israeliani lo hanno prima arrestato e portato in un vicino campo militare prima di consegnarlo alla Mezzaluna Rossa.

Issa è stato trasferito a Jenin in condizioni critiche in un ospedale, dove è morto a causa delle ferite.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Vittoria del BDS: il Sydney festival blocca i finanziamenti da governi stranieri dopo un boicottaggio di massa

The New Arab, PC, SOCIAL

27 settembre 2022 – The Palestine Chronicle

Martedì il direttivo di uno dei più importanti festival culturali australiani ha annunciato la sospensione immediata dei finanziamenti da governi stranieri, un anno dopo che l’evento è stato scosso dalla polemica relativa al finanziamento da parte dell’ambasciata israeliana.

Il direttivo del Sydney festival ha annunciato la decisione dopo “una revisione indipendente sul ruolo di investimenti governativi internazionali” commissionata, secondo quanto ha dichiarato, dal direttivo stesso.

Il Sydney festival oggi ha annunciato una serie di importanti misure per migliorare il processo decisionale riguardo a partenariati e sponsorizzazioni prima di lanciare il programma del Sydney festival 2023”, afferma la dichiarazione.

Questo include un’immediata sospensione degli investimenti provenienti da governi esteri e dai loro enti culturali”.

Il boicottaggio dell’edizione 2022 del Sydney Festival è cominciato lo scorso dicembre e ha avuto luogo dopo la rivelazione che l’evento di tre settimane aveva ricevuto decine di migliaia di dollari di finanziamento dall’ambasciata israeliana in Australia.

Il finanziamento serviva a contribuire a pagare uno spettacolo di danza di un coreografo israeliano.

In seguito alla sponsorizzazione Israele era stato indicato come “partner importante” sul sito web del festival.

Gli attivisti pro-Palestina hanno duramente criticato la gestione del festival per la sua decisione di approvare il finanziamento e hanno fatto appello al boicottaggio dell’evento.

Più di 20 spettacoli si sono ritirati dal festival a causa di questo finanziamento.

L’edizione del 2023 del festival è programmata per gennaio.

Traduzione di Gianluca Ramunno




Chomsky sull’apartheid israeliano, le celebrità impegnate, il BDS e la soluzione dello Stato unico

Ramzy Baroud & Romana Rubeo

28 Giugno 2022 – The Palestine Chronicle

Questo è, secondo il socialista italiano Antonio Gramsci, l'”interregno” – il momento raro e sismico della storia in cui si verificano grandi cambiamenti, quando degli imperi crollano e altri nascono, con la conseguenza di nuovi conflitti e battaglie.

L'”interregno” gramsciano, tuttavia, non è un passaggio facile, perché questi profondi cambiamenti spesso incarnano una “crisi”, che “consiste proprio nel fatto che il vecchio sta morendo e il nuovo non riesce a nascere”.

“In questo interregno compare una grande varietà di sintomi morbosi”, scrisse l’intellettuale antifascista nei suoi famosi “Quaderni dal carcere”.

Anche prima della guerra Russia-Ucraina e del successivo aggravamento della crisi Russia-NATO il mondo stava chiaramente vivendo una sorta di interregno: la guerra in Iraq, la guerra in Afghanistan, la recessione globale, la crescente disuguaglianza, la destabilizzazione del Medio Oriente, la ‘primavera araba’, la crisi dei profughi, la nuova ‘spartizione dell’Africa’, il tentativo statunitense di indebolire la Cina, l’instabilità politica degli stessi USA, la guerra alla democrazia e il declino dell’impero americano.

Gli eventi recenti, tuttavia, hanno finalmente dato a questi cambiamenti sconvolgenti una maggiore chiarezza, con la Russia che si è mossa contro l’espansione della NATO e con la Cina e altre economie emergenti – le nazioni BRICS [associazione che vede riuniti al suo interno cinque Paesi caratterizzati da uneconomia in forte ascesa: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, con recente richiesta di adesione da parte di Argentina e Iran, ndt.].

Per riflettere su tutti questi cambiamenti e altro ancora abbiamo parlato con l’intellettuale “più citato” e rispettato al mondo, il professor Noam Chomsky del MIT [Massachusetts Institute of Technology, una delle più importanti università di ricerca del mondo, ndt.]

L’obiettivo principale della nostra intervista era di esaminare le sfide e le opportunità che la lotta palestinese deve affrontare durante questo “interregno” in corso. Chomsky ha scambiato con noi le sue opinioni sulla guerra in Ucraina e le sue vere cause profonde.

Tuttavia l”intervista si è concentrata in gran parte sulla Palestina, sulle opinioni di Chomsky riguardo il linguaggio, le tattiche e le soluzioni connesse alla lotta e alla questione palestinesi. Di seguito sono riportati alcuni dei pensieri di Chomsky su questi problemi, tratti da una conversazione più lunga che può essere visualizzata qui. 

Chomsky sull’apartheid israeliano

Chomsky crede che chiamare le politiche israeliane nei confronti dei palestinesi “apartheid” sia in realtà un “regalo per Israele”, almeno se per apartheid si intende l’apartheid in stile sudafricano.

Ho sostenuto per molto tempo che i Territori Palestinesi Occupati sono molto peggio del Sud Africa. Il Sudafrica aveva bisogno della sua popolazione nera, faceva affidamento su di loro”, dice Chomsky, aggiungendo: “La popolazione nera costituiva l’85% della popolazione. Era la forza lavoro; il paese non poteva funzionare senza quella popolazione e, di conseguenza, hanno cercato di rendere la loro situazione più o meno tollerabile da parte della comunità internazionale. (…) Speravano in un’approvazione internazionale, che non hanno ottenuto”.

Quindi, se i Bantustan [territori del Sudafrica e della Namibia assegnati alle etnie nere dal governo sudafricano nell’epoca dell’apartheid, ndt.] erano, secondo Chomsky, “più o meno vivibili”, lo stesso “non vale per i palestinesi nei Territori Occupati. Israele vuole solo sbarazzarsi delle persone, non le vuole. E le sue politiche degli ultimi 50 anni, con poche variazioni, hanno in qualche modo reso la vita invivibile, in modo che le persone vadano da qualche altra parte”.

Queste politiche repressive si applicano all’intero territorio palestinese: “A Gaza, (loro) [Israele, ndt.] li annientano e basta”, dice Chomsky. Ci sono oltre due milioni di persone che ora vivono in condizioni orribili, sopravvivono a malapena. Le organizzazioni di sostegno dei diritti internazionali affermano che probabilmente fra un paio d’anni non saranno nemmeno in grado di sopravvivere. (…) Nei Territori Palestinesi Occupati, in Cisgiordania, le atrocità (si verificano) ogni giorno”.

Chomsky pensa anche che Israele, a differenza del Sudafrica, non stia cercando l’approvazione della comunità internazionale. La sfrontatezza delle azioni israeliane è piuttosto sorprendente. Fanno quello che vogliono, sapendo che gli Stati Uniti li sosterranno. Bene, questo è molto peggio di quello che è successo in Sud Africa; non è un tentativo di accogliere in qualche modo la popolazione palestinese come forza lavoro subordinata, è solo [un tentativo, ndt.] di sbarazzarsene”.

Chomsky sulla nuova unità palestinese

Gli eventi del maggio 2021 e l’unità popolare tra palestinesi costituiscono, secondo Chomsky, “un cambiamento molto positivo”. Per prima cosa, ciò che ha gravemente ostacolato la lotta palestinese è il conflitto tra Hamas e l’OLP [le due principali organizzazioni politiche palestinesi che competono per garantirsi il controllo dei territori palestinesi, ndt.]. Se non viene risolto, ciò costituisce un grande regalo ad Israele”.

Secondo Chomsky i palestinesi sono comunque riusciti a superare la frammentazione territoriale: Inoltre, la divisione tra i confini legali” che separa Israele dall’”area larga della grande Palestina” è sempre stata un ostacolo all’unità palestinese. Ora questo viene superato, poiché la lotta dei palestinesi si sta trasformando nella stessa lotta. I palestinesi sono tutti nella stessa barca”.

Tuttavia la descrizione di B’tselem e Human Rights Watch [organizzazioni per i diritti umani, la prima israeliana, la seconda internazionale, ndt.] dell’intera regione come regione di apartheid – anche se non sono del tutto d’accordo con la definizione per i motivi che ho menzionato, perché penso che non sia abbastanza dura – è un passo verso il riconoscimento che c’è qualcosa di fondamentalmente in comune all’interno di tutta quest’area”.

Quindi penso che questo sia un passo positivo. È saggio e promettente per i palestinesi riconoscere che “siamo tutti sulla stessa barca”, comprese le comunità della diaspora. Sì, è una lotta comune”, conclude Chomsky.

Chomsky su uno Stato o due Stati

Sebbene negli ultimi anni il sostegno a uno Stato unico sia cresciuto in modo esponenziale, al punto che un recente sondaggio dell’opinione pubblica condotto dal Jerusalem Media and Communication Center (JMCC) [organizzazione no profit costituita da giornalisti e ricercatori palestinesi impegnata nella diffusione di informazioni e nella realizzazione di sondaggi su fatti e temi riguardanti la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, e la Striscia di Gaza, ndt.] ha concluso che la maggioranza dei palestinesi in Cisgiordania è attualmente favorevole alla soluzione ad un unico Stato, Chomsky mette in guardia contro discussioni che non diano priorità alla questione più urgente riguardante l’obiettivo coloniale di Tel Aviv per un “grande Israele”.

Non dovremmo illuderci nel pensare che le cose stiano evolvendo verso la realizzazione di uno Stato unico o di una confederazione, come ora viene argomentato da parte della sinistra israeliana. Non ci si sta muovendo in quella direzione, non è nemmeno un’opzione per ora. Israele non la accetterà mai finché avrà l’opzione di un grande Israele. E, inoltre, nella comunità internazionale non c’è nessun sostegno per tale opzione, da parte di nessuno. Nemmeno degli Stati africani”.

“I due Stati, beh, possiamo parlarne, ma bisogna riconoscere che si deve lottare contro l’opzione attualmente in gioco di un grande Israele”. In effetti, secondo Chomsky, “gran parte della discussione su questo argomento mi sembra fuori luogo”.

È soprattutto un dibattito tra soluzione a due Stati o a uno Stato che tiene fuori l’opzione più importante, l’opzione in gioco, quella che viene perseguita, ovvero un grande Israele. La costituzione di un grande Israele, per cui Israele si impossessa di tutto ciò che vuole in Cisgiordania, schiaccia Gaza e annette – illegalmente – le alture del Golan siriano .., prende semplicemente ciò che vuole, impedisce le concentrazioni di popolazioni palestinesi in modo da non incorporarle. Non vogliono i palestinesi a causa di quello che viene chiamato lo Stato ebraico democratico, la pretesa di uno Stato ebraico democratico in cui lo Stato è lo Stato sovrano del popolo ebraico. Quindi, il mio Stato, ma non lo Stato di una manciata di abitanti di un villaggio palestinese”.

Chomsky continua: “Per mantenere questa pretesa, è necessario mantenere un’ampia maggioranza ebraica, per cui si può in qualche modo fingere l’assenza di repressione. Ma in tal modo la politica è quella di un grande Israele, in cui non ci sarà alcun problema demografico. Le principali concentrazioni di palestinesi sono emarginate in altre aree, in pratica vengono espulse”.

Chomsky su BDS e Solidarietà Internazionale

Abbiamo anche chiesto a Chomsky la sua opinione sulla crescente solidarietà con i palestinesi nella scena internazionale e sui social media e sul sostegno alla lotta palestinese da parte di molte personalità pubbliche e celebrità.

Non credo che le celebrità popolari significhino così tanto. Ciò che conta è ciò che sta accadendo tra la popolazione in generale negli Stati Uniti. In Israele, purtroppo, la popolazione si sta spostando a destra. È uno dei pochi Paesi che conosco, forse l’unico, in cui i giovani sono più reazionari dei più anziani”.

“Gli Stati Uniti stanno andando nella direzione opposta”, continua Chomsky, poiché “i giovani sono più critici nei confronti di Israele e sempre più favorevoli ai diritti dei palestinesi”.

Per quanto riguarda il movimento per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS), Chomsky ha riconosciuto il ruolo significativo svolto dal movimento di base globale, sebbene abbia notato che il BDS “ha risultati non sempre positivi”. Il movimento dovrebbe diventare “più flessibile (e) più attento agli effetti delle azioni”, osserva Chomsky.

“Le basi ci sono”, conclude Chomsky. “È necessario pensare attentamente a come svilupparle”.

Il dottor Ramzy Baroud è un giornalista e caporedattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “Our Vision for Liberation: Engaged Palestinian Leaders and Intellectuals Speak out” [La nostra visione per la liberazione: parlano i leader palestinesi e gli intellettuali coinvolti”. Baroud è ricercatore anziano associato presso il Center for Islam and Global Affairs (CIGA) [Centro no profit di ricerca sociale e politica sul mondo islamico, con sede ad Istambul, ndt.]. Il suo sito web è www.ramzybaroud.net

Romana Rubeo è una scrittrice italiana e caporedattrice di The Palestine Chronicle. I suoi articoli sono apparsi su molti giornali online e riviste accademiche. Ha conseguito una master in Lingue e Letterature Straniere ed è specializzata in traduzione audiovisiva e giornalistica.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Il comitato israeliano per la scarcerazione rigetta l’appello per la liberazione del prigioniero palestinese Ahmed Manasra.

WAFA, PC, Social Media

Martedì 28 giugno 2022 – The Palestine Chronicle

L’agenzia di notizie ufficiale palestinese WAFA ha riferito che lunedì durante seduta della commissione per la scarcerazione anticipata della prigione israeliana di Ramle è stato rigettato l’appello per liberare il ventenne prigioniero palestinese Ahmed Manasra che sta soffrendo per una condizione di salute mentale in progressivo peggioramento.

L’avvocato Khaled Zabarqa, che rappresenta Manasra, ha affermato che il comitato per la scarcerazione anticipata si è rifiutato di discutere l’appello per il rilascio di Manasra, che è stato presentato dal suo collegio difensivo a causa del serio deterioramento delle sue condizioni fisiche e mentali, dichiarando che la pratica è stata considerata in base alla “legge sul terrorismo”.

Manasra, residente nella Gerusalemme Est occupata, aveva 13 anni quando nel 2015 insieme a suo cugino Hassan aggredì degli israeliani a Gerusalemme.

Mentre Manasra venne arrestato, quel giorno suo cugino fu ucciso. Manasra adesso sta scontando una condanna a nove anni e mezzo di prigione, di cui finora ne ha scontati circa sei.

Gli è stato diagnosticato un deterioramento delle condizioni mentali a causa del pestaggio da parte dei coloni israeliani dopo l’attacco e di mesi di interrogatori e torture brutali nelle prigioni israeliane.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Palestina e Ucraina: un esperto di diritto internazionale parla dei doppi standard della Corte Penale Internazionale (INTERVISTA ESCLUSIVA)

Romana Rubeo

7 marzo 2022 – PALESTINE CHRONICLE

Il 2 marzo la Corte Penale Internazionale (CPI) ha annunciato che procederà immediatamente ad un’indagine sull’operazione militare russa in Ucraina. Quella che è stata denominata “invasione” dall’Occidente e “operazione militare speciale” da Mosca, ha immediatamente generato una rapida condanna e reazione internazionale. La CPI è stata in prima linea in questa reazione.

Il procuratore della CPI Karim Khan ha affermato in un intervento che l’indagine è stata richiesta da 39 Stati membri e che il suo ufficio ha già trovato una base ragionevole per ritenere che siano stati commessi crimini rientranti nell’ambito giurisdizionale della Corte e ha identificato dei casi come potenzialmente ammissibili.”

Mentre qualsiasi procedura genuina e non politicizzata volta a indagare su possibili crimini di guerra e crimini contro l’umanità in qualsiasi parte del mondo dovrebbe, in effetti, essere accolta favorevolmente, il doppio standard della CPI è palpabile. Tra le altre nazioni, i palestinesi e i loro sostenitori sono perplessi in considerazione dei numerosi indugi da parte della CPI nell’indagare sui crimini di guerra e contro l’umanità in Palestina, che si trova da decenni sotto l’occupazione militare israeliana.

Per comprendere meglio questo argomento ho parlato con il Dr. Triestino Mariniello, professore associato di diritto presso la Liverpool John Moores University, e membro della squadra di avvocati per le vittime di Gaza presso la Corte Penale Internazionale. Gli ho chiesto:

D. Per prima cosa, ci faccia conoscere a quale stadio si trova attualmente il procedimento della CPI sulla Palestina.

R. Il 3 marzo 2021 l’ex procuratrice della CPI Fatou Bensouda ha aperto ufficialmente un’indagine, attualmente incentrata su possibili crimini di guerra, in particolare legati all’aggressione militare del 2014 a Gaza, alla Grande Marcia del Ritorno e alle colonie israeliane illegali in Cisgiordania.

Tecnicamente, il passo successivo dovrebbe essere la richiesta di mandati di arresto o di comparizione, passando quindi da una fase procedurale” a una fase processuale”, sulla base dello Statuto di Roma [trattato internazionale istitutivo della Corte Penale Internazionale, ndtr.].

D. Tuttavia, finora non è successo nulla.

R. Tutto è iniziato molto prima del 2021. La situazione della Palestina è stata inizialmente portata all’attenzione della Corte nel 2009. Nel 2015, a seguito dell’aggressione israeliana alla Striscia di Gaza assediata, lo Stato di Palestina ha formalmente accettato l’autorità della Corte e ha ratificato lo Statuto di Roma. Ci sono voluti quasi sei anni (dicembre 2019) perché Bensouda dichiarasse che sussisteva “una base ragionevole per procedere ad un’indagine sulla situazione in Palestina”. La questione è stata deferita alla Camera preliminare, alla quale è stato chiesto di deliberare in merito alla giurisdizione sulla Palestina. La Camera ha emesso una decisione solo più di un anno dopo, nel febbraio 2021.

D. Come descriverebbe le differenze tra i due casi: Russia in Ucraina, Israele in Palestina? E perché nel caso russo il tribunale ha potuto agire immediatamente e senza indugi?

R. Ovviamente è difficile mettere a confronto le due situazioni.

L’Ucraina ha accettato l’autorità della CPI nel 2013 e l’ex procuratore capo della CPI Bensouda aveva già dichiarato che esisteva una base ragionevole per procedere.

Dopo l’inizio dell’operazione militare russa, l’attuale procuratore della CPI Khan ha annunciato l’apertura ufficiale delle indagini.

Avendo già ricevuto mandati da 39 Stati contraenti la CPI il suo ufficio non è tenuto a richiedere un’autorizzazione alla Camera preliminare competente. In realtà anche nella situazione della Palestina la Corte non necessitava di ulteriori autorizzazioni e la richiesta della Procura alla Camera era del tutto facoltativa.

In qualità di rappresentanti legali delle vittime, abbiamo espresso ai giudici della CPI le nostre preoccupazioni sul fatto che questa richiesta non necessaria della Procura avrebbe causato un ulteriore ritardo nell’apertura delle indagini.

Tra i 39 Stati ci sono tre paesi che si erano apertamente opposti alle indagini in ambito israelo-palestinese, ovvero Austria, Germania e Ungheria.

 Generalmente si dice che i procedimenti penali internazionali siano particolarmente lunghi. Se questo è vero nel caso della Palestina, per l’Ucraina la durata è ridotta al minimo. Lo stesso è accaduto per la situazione libica, dove la decisione di aprire un’indagine è stata presa con una rapidità senza precedenti, a soli sette giorni dal deferimento del Consiglio di Sicurezza [dell’ONU, ndtr.].

Tuttavia, nel caso della Palestina la quantità di prove è molto più significativa. Anche prima di avviare le indagini la Corte dispone di una quantità impressionante di prove, grazie al meticoloso lavoro della società civile palestinese, che non ha mai smesso di raccogliere prove, anche durante le guerre israeliane.

D. Lei fa parte di una squadra che difende le vittime di Gaza. Ritenete che da parte della CPI ci sia una politica di doppio standard?

R. Indagare su gravi violazioni dei diritti umani è sempre un’iniziativa lodevole. Ciò che è meno lodevole è la politica del doppio standard. La realtà dolorosa è che dopo 13 anni non abbiamo ancora un procedimento.

Per decenni i civili palestinesi hanno subito le più gravi violazioni dei loro diritti fondamentali, equivalenti a crimini di guerra e crimini contro l’umanità. L’interesse principale delle vittime di Gaza è che l’indagine tanto attesa e tanto necessaria passi immediatamente alla fase successiva: l’identificazione dei presunti colpevoli. Per loro è davvero difficile capire quali siano gli ostacoli che gli impediscono di presentarsi in tribunale per raccontare finalmente le loro vicende e ottenere giustizia.

L’assenza fino ad ora di misure efficaci adottate dalla Corte rafforza l’opinione delle vittime di aver subito per lungo tempo una negazione della giustizia. Inoltre l’impunità concessa da tanto tempo a Israele incoraggia i responsabili a commettere nuovi crimini.

Dall’inizio dell’operazione militare russa in Ucraina abbiamo assistito al ritorno del diritto internazionale nell’arena globale. Quello che sta accadendo ora mostra che il diritto internazionale può essere, nei fatti, uno strumento efficace, se attuato correttamente.

Le vittime palestinesi continuano a nutrire grandi speranze per le indagini della CPI, ma sono seriamente preoccupate che “la giustizia rimandata sia giustizia negata”.

D. Cosa può fare la società civile per accelerare le procedure relative alla Palestina?

È essenziale continuare a fare pressione sulla CPI anche presentando ulteriori prove che possano attestare gravi violazioni dei diritti umani in corso, equivalenti a crimini di guerra. Pensiamo, ad esempio, ai crimini di guerra commessi lo scorso maggio a Gaza, che dovrebbero essere immediatamente inseriti nell’indagine in corso.

Inoltre, la società civile dovrebbe invitare la CPI ad ampliare l’ambito delle indagini per includere altri crimini internazionali, in particolare crimini contro l’umanità, compreso il crimine di apartheid, anche alla luce dei recenti rapporti di Amnesty International e di altre organizzazioni per i diritti umani.

Il messaggio alla Corte e alla comunità internazionale deve essere chiarissimo: i palestinesi non sono vittime di serie B e continueranno a far sentire la loro voce.

Sebbene apprezziamo gli sforzi della CPI per fare luce sulla situazione ucraina, dobbiamo ribadire che altri casi non dovrebbero essere dimenticati o archiviati.

La CPI è stata creata per porre fine all’impunità di cui godono gli autori dei crimini più gravi. Dopo vent’anni, dovremmo pretendere che lo Statuto sia pienamente attuato, indipendentemente dall’origine geografica delle vittime.

Romana Rubeo è una scrittrice italiana e caporedattrice di The Palestine Chronicle. I suoi articoli sono apparsi su molti giornali online e riviste accademiche. Ha conseguito un Master in Lingue e Letterature Straniere ed è specializzata in traduzione audiovisiva e giornalistica.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)