Per Israele espellere i beduini è economicamente remunerativo

Jeff Halper 30 agosto 2017, Middle East Monitor

Quando si parla di occupazione, repressione, deportazione e controllo, si tende a guardare alle fonti più potenti ed evidenti della coercizione e dell’ingiustizia: eserciti, politiche governative, poliziesche e diplomatiche.

La decisione della pretura di Be’er Sheva che sei abitanti beduini del villaggio di Al-Araqeeb, nel Naqb/Negev, tutti cittadini israeliani, paghino circa 100.000 dollari allo Stato come indennizzo per le spese sostenute per la demolizione delle loro case dimostra l’efficacia di micro-meccanismi meno visibili per colpire questi obiettivi fondamentali. In questo caso dimostra in che modo la legge possa essere utilizzata come un’efficace arma di deportazione.

Quando la gente non può essere intimidita perché smetta di fare resistenza contro la demolizione delle proprie case, una popolazione povera come quella beduina può essere aggredita nel punto più vulnerabile: economicamente. Circa il 75% della popolazione beduina – 200.000 persone su un totale in tutto il Paese di circa 270.000– vive nel Naqab, rappresentando oltre il 30% della popolazione totale di quella regione. Circa il 65% di loro è stato finora confinato nelle sette township [termine che in Sudafrica indica le baraccopoli in cui vivono i neri, ndt.] che Israele ha costruito per loro, posti isolati carenti di infrastrutture e di posti di lavoro, da cui sono trasportati nelle comunità israeliane come lavoratori manuali. Tutte e sette sono tra le dieci località più povere di Israele. Un terzo dei loro residenti non ha accesso ai servizi elettrici ed idrici nazionali. Solo il 37% dei beduini in età lavorativa ha un’occupazione e il 90% di loro guadagna meno dello stipendio minimo. Il salario medio di un beduino maschio è di 1.200 dollari al mese, quello di una donna di 730 dollari.

Dal 2010 Al-Araqeeb è stato demolito dalle autorità e ricostruito dagli abitanti 116 volte, un caso veramente impressionante di resistenza popolare all’espulsione e allo sradicamento culturale. (Non avendo perso il loro acuto senso di amara ironia, le 500 persone di Al-Araqeeb hanno fatto domanda di essere incluse nel Guinness dei primati per aver superato il record nel numero di demolizioni). Cambiando tattica, lo Stato ha quindi deciso di perseguire ognuna delle famiglie beduine impoverite con ordini giudiziari per fargli pagare i costi della demolizione delle loro case.

Il Comitato Israeliano contro la Demolizione delle Case (ICAHD) stima che più di 130.000 case di palestinesi (compresi i beduini) sono state demolite in tutto il Paese dal 1948. Come nel caso di molte demolizioni di case, l’obiettivo sotteso è di occupare terra araba e confinare la popolazione araba in angoli e nicchie ristretti del Paese. Gli “arabo-israeliani” rappresentano il 20% della popolazione israeliana, ma sono confinati dalle leggi, dalle politiche del territorio e dai piani regolatori solo sul 3,5% della terra.

Quasi metà della popolazione beduina, 90.000 persone, vive in “villaggi non riconosciuti”, come Al-Araqeeb. Dato che storicamente i beduini non registravano la proprietà della terra, sicuramente non come singoli proprietari privati, è stato facile per Israele sostenere in tribunale che non hanno la proprietà giuridica e che le loro terre tradizionali vengano restituite allo Stato. Ciononostante i beduini hanno lottato per i loro diritti sulla terra per anni nei tribunali israeliani, e il risultato finale deve ancora essere definito. Ciò rende le demolizioni delle case di Al-Araqeeb se non illegali (dato che non possono ottenere dallo Stato i permessi edilizi necessari), quanto meno ingiustificate e fatte in malafede, soprattutto dato che il vero motivo dello Stato non è la regolarizzazione della terra a beneficio di tutti i suoi cittadini, ma di impossessarsi delle terre dei beduini per le colonie ebraiche e per ragioni militari. Allontanata dalle proprie terre e dalla vita nomade, la popolazione beduina è quindi trasferita nelle township per languirvi in povertà.

Obbligare i palestinesi a pagare per la demolizione delle proprie case è una prassi comune anche in altre parti del Paese, compresa Gerusalemme est. Una variante di ciò è l’imposizione di pesanti sanzioni pecuniarie a famiglie che costruiscono “illegalmente” (anche se, di nuovo, non c’è modo in cui gli arabi possano ottenere da qualche parte permessi edilizi al di fuori di enclave approvate che non includono la grande maggioranza delle abitazioni e fattorie arabe) – multe che raggiungono i 15-20.000 dollari. Dato che la maggioranza delle famiglie arabe vive al di sotto del livello di povertà, possono essere obbligate dai tribunali a demolire esse stesse le proprie case in cambio di una riduzione dell’ammenda. L’ICAHD stima che l’autodemolizione, anche se non è stata rilevata, rappresenti un ulteriore terzo delle demolizioni di case.

Benché i diritti umani dovrebbero essere messi in pratica all’interno di Israele come nei Territori Palestinesi Occupati (TPO), è molto più difficile che lo siano là, dato che i tribunali israeliani non riconoscono la loro applicazione all’interno di Israele o sentenziano (come nel caso di Al-Araqeeb) sulla base di tecnicismi giuridici, escludendo quindi considerazioni relative ai diritti umani. Nei TPO la situazione è diversa, e a Israele è stata contestata la violazione dei diritti umani – soprattutto della Quarta Convenzione di Ginevra, che vieta le demolizioni di case.

Sfortunatamente gli attivisti per i diritti umani e l’ANP non sono riusciti a fare in modo che i tribunali internazionali si occupino di questi casi, come hanno l’obbligo di fare in base alla giurisdizione universale. Il sistema legale israeliano sostiene che le Leggi Umanitarie Internazionali (IHL) non si applicano ai TPO perché non c’è un’occupazione. (Israele sostiene che c’è un’occupazione solo quando uno Stato sovrano conquista il territorio di un altro Stato sovrano e che nessuno ha mai avuto sovranità sui TPO, una posizione non accettata da nessuno nella comunità giuridica internazionale, ma efficace nell’intralciare il lavoro giuridico e politico). I tribunali israeliani, quindi, nei TPO decidono solo sulla base delle leggi israeliane. Ciò è doppiamente illegale – rappresenta un’estensione di fatto delle leggi israeliane in un territorio occupato, in violazione delle IHL, e ignora le protezioni che le IHL garantiscono ai palestinesi che vivono sotto occupazione.

Le sei famiglie non hanno ancora deciso se presentare appello. Nel frattempo altre comunità beduine lottano per conservare le proprie terre e il proprio modo di vita – Umm Al-Hiran, le cui terre Israele vuole per un insediamento militare (non si pensi che tutte le colonie sono nei TPO) –rappresentando il bersaglio più immediato – mentre gli abitanti delle township stanno lottando semplicemente per sopravvivere nel sottoproletariato di Israele.

(traduzione di Amedeo Rossi)