“L’impunità a livello internazionale è la colonna portante dell’occupazione israeliana,” afferma un’associazione per i diritti

Anjuman Rahman

10 luglio 2022 – Middle East Monitor

Quando i ragazzi palestinesi, in maggioranza adolescenti, difendono le proprie case e la propria terra, l’esercito israeliano risponde picchiandoli e lanciando contro di loro granate assordanti e lacrimogeni. Si tratta niente meno che di un’aggressione su vasta scala.

“La maggioranza dei minori palestinesi presi di mira dalle forze di occupazione israeliane sono giovani maschi,” afferma Ayed Abu Eqtaish, direttore del programma per la responsabilizzazione di Defence for Children International-Palestine [Difesa Internazionale dei Minori – Palestina] (DCIP).

Secondo un rapporto di DCIP dall’inizio dell’anno 15 minori palestinesi sono stati uccisi dalle forze di occupazione. Tra le vittime ci sono stati Muhammad Akram Ali Abu Salah, Sanad Muhammad Khalil Abu Attia, Muhammad Hussein Muhammad Qassem e Amjad Walid Hussein Fayed, tutti sedicenni, e Shawkat Kamal Shawkat Abed, di 17 anni.

DCIP aggiunge che il 13 febbraio un cecchino israeliano ha ucciso colpendolo a un occhio il sedicenne Muhammad Abu Salah, abitante del villaggio di Al-Yamoun, a Jenin.

“Le violazioni dei diritti umani dei minori palestinesi sono causate dalla presenza delle forze di occupazione israeliane nei territori palestinesi occupati,” afferma Ayed.

“Nonostante i numerosi strumenti giuridici e i criteri che la comunità internazionale ha cercato di istituire per proteggere i diritti dei minori, nel corso degli anni la quantità delle violazioni nei confronti dei minorenni continua a peggiorare.”

“Per esempio lo scorso anno abbiamo documentato l’uccisione di 78 minori palestinesi per mano dell’esercito israeliano, 61 dei quali nella Striscia di Gaza e 17 in Cisgiordania.”

“Sessanta dei 61 morti nella Striscia di Gaza sono stati uccisi durante l’attacco militare contro Gaza nel maggio 2021. Ma, cosa più importante, dalla nostra documentazione vediamo che non era necessario sparare per uccidere i minori palestinesi, perché essi non rappresentavano alcuna minaccia alla vita dei soldati israeliani.”

I bombardamenti aerei e da terra durante l’aggressione di 11 giorni hanno ucciso 253 palestinesi e ferito più di 1.900 persone.

DCIP documenta l’arresto, il ferimento, la morte e l’incarcerazione di ragazzi e giovani palestinesi e offre difesa legale a quanti sono processati nei tribunali militari israeliani.

“Durante gli ultimi 10 anni per l’uccisione di un minore palestinese è stato rinviato a giudizio solo un soldato israeliano, e la condanna che ha subito è stata meno grave di quella a cui viene condannato un minore palestinese per aver lanciato una pietra contro un veicolo israeliano.”

Secondo Ayed questo è un doloroso ma perfetto microcosmo della politica israeliana di totale impunità, del suo sistema giudiziario corrotto e delle amare frustrazioni della lotta dei palestinesi per vivere nelle proprie case sulla propria terra.

Il problema principale, spiega, è incentrato sul livello di responsabilizzazione e impunità di cui godono i soldati agli occhi della comunità internazionale. “L’impunità a livello internazionale è la colonna portante dell’occupazione israeliana,” afferma.

I soldati che prestano servizio nei territori occupati sanno benissimo che quasi tutto quello che fanno verrà giustificato. Non saranno mai puniti né da Israele né dalle sue autorità né da chiunque altro. Le uccisioni, le incursioni notturne, gli arresti e le detenzioni senza processo, le punizioni collettive, le demolizioni di case, le confische di terre, l’espansione delle colonie e lo sfruttamento delle risorse naturali da parte delle forze di occupazione sono sistematicamente tollerate.

I dati raccolti dall’associazione israeliana per i diritti umani Yesh Din mostrano che solo il 2% delle denunce contro soldati israeliani presentate da palestinesi porta a incriminazioni. Nel contempo oltre l’80% dei casi vengono chiusi senza che venga svolta neppure un’inchiesta penale.

“Nonostante le molte violazioni delle leggi internazionali sui diritti umani, Israele non è stato chiamato a rispondere di nessuna delle sue prassi brutali e pensa di avere il permesso di continuare con le sue uccisioni e violazioni dei diritti dei civili palestinesi, compresi i minorenni.”

Oltre a questo disinteresse, Ayes accusa la comunità internazionale di applicare in modo palese un doppio standard nella risposta all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Non c’è differenza tra l’invasione di Kyiv da parte di Mosca e l’illegale occupazione delle terre palestinesi da parte di Israele, spiega.

“Non c’è la volontà politica da parte della comunità internazionale di rispettare i propri obblighi giuridici, cioè punire e sanzionare Israele per le sue pratiche illegali. Tutto quello che sta facendo è sacrificare le proprie responsabilità riguardo ai diritti umani per mantenere buoni rapporti politici e diplomatici con Israele.”

Egli denuncia anche l’ONU per non aver punito adeguatamente Israele, in particolare per essersi rifiutata di includere Israele nella lista di chi viola i diritti dei minori e nel rapporto su Minori e Conflitti Armati, dopo una delle più letali guerre israeliane contro Gaza nel 2014.

“Il numero di minori palestinesi uccisi quell’anno è stato il più alto a livello internazionale e, nonostante la nostra insistenza presso l’ONU perché aggiungesse Israele alla lista degli eserciti e gruppi armati che violano i diritti dei minori, essa si è ripetutamente rifiutata.”

Ogni anno DCIP raccoglie centinaia di testimonianze di minori palestinesi arrestati e sottoposti a lunghi interrogatori senza la presenza di un familiare, un tutore o un avvocato.

Spesso i minori sono obbligati a firmare false confessioni in documenti scritti in ebraico, una lingua che la maggioranza dei minori palestinesi non conosce. Oltretutto, mentre le leggi militari e civili israeliane fissano a 12 anni l’età minima per la responsabilità penale, DCIP afferma che le forze israeliane arrestano regolarmente minori palestinesi con un’età inferiore.

“Le dichiarazioni che raccogliamo rendono l’idea di come il sistema stia funzionando e delle tipologie di maltrattamenti e torture a cui sono sottoposti i minori, che poi noi utilizziamo per costruire le nostre campagne di sensibilizzazione,” afferma Ayed.

“Quello che riscontriamo è che fin dal momento dell’arresto i minori palestinesi subiscono maltrattamenti e torture per mano delle forze israeliane. Tre su quattro durante l’arresto o l’interrogatorio sperimentano violenze fisiche, che comprendono schiaffi, calci, pugni, e i minori vengono obbligati a stare seduti in posizioni dolorose.”

Nel contempo minori detenuti da Israele soffrono anche di pesanti violenze psicologiche consistenti in detenzione in isolamento, minacce contro le loro famiglie, intimidazioni e incarcerazione senza processo in base alla detenzione amministrativa.

Inoltre nelle prigioni non ci sono consulenti psicologici e, nonostante la loro età, spesso vengono tenuti insieme a delinquenti israeliani. Il loro arresto avviene spesso di notte e comprende metodi inumani di contenzione e trasporto intesi a distruggerne l’animo. Tutto il processo ha un profondo effetto psicologico, fisico e sociale su di loro.

“Metodi di tortura psicologica sono utilizzati per esercitare il massimo di pressione possibile sulla persona sotto interrogatorio per spezzarne la resistenza,” spiega Ayed.

“Crediamo che ogni minore che passa attraverso questo sistema ne rimarrà psicologicamente colpito, perché tutto il sistema israeliano è inteso ad attaccare non solo il fisico, ma anche la mente e il benessere psicologico di questi minori. Vogliono spezzarli dentro.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Rapporto OCHA del periodo 28 agosto – 10 settembre 2018( due settimane)

Lungo la recinzione israeliana che circonda Gaza, le manifestazioni e gli scontri del venerdì sono continuati, provocando, ad opera delle forze israeliane, la morte di tre palestinesi, tra cui due minori, e il ferimento di altri 666.

Durante le manifestazioni che si sono svolte il 7 settembre, ad est di Rafah, in due occasioni, le forze israeliane hanno colpito con armi da fuoco due ragazzi di 16 anni che si trovavano in prossimità della recinzione, uccidendo uno di loro e ferendo gravemente l’altro; per le ferite riportate, anche quest’ultimo è deceduto il giorno successivo. Dalle prime indagini e riprese video pare che nessuno dei ragazzi fosse armato o minacciasse la vita delle forze israeliane. Dal 30 marzo 2018, sono stati uccisi dalle forze israeliane 31 minori, in prevalenza nel corso di manifestazioni. Tra le persone ferite durante il periodo di riferimento, 260 sono state ricoverate in ospedale, 172 di esse erano state colpite con armi da fuoco; le rimanenti persone ferite sono state assistite sul campo. Non sono state segnalate vittime israeliane.

Altri 50 palestinesi sono stati feriti dalle forze israeliane durante due tentativi attuati da decine di imbarcazioni salpate da Gaza con l’intento di forzare il blocco navale israeliano. Le partenze, che si sono svolte il 2 e il 10 settembre, facevano parte delle dimostrazioni della Grande Marcia del Ritorno. Le barche sono state fermate dalla marina israeliana che ha aperto il fuoco verso di esse ed ha lanciato lacrimogeni.

Sempre il 7 settembre, alle stessa ora delle dimostrazioni del venerdì, a nord di Gaza, l’aviazione israeliana ha sparato contro un gruppo di palestinesi e contro una postazione di osservazione militare, senza provocare vittime. Il primo attacco era diretto contro persone che cercavano di lanciare palloncini incendiari verso Israele; il secondo, secondo fonti israeliane, era in risposta all’incendio di una torretta militare israeliana mediante un aquilone incendiario.

Per costringere [i palestinesi] al rispetto delle restrizioni di accesso alle Aree Riservate, sia di terra [la fascia interna alla recinzione] che di mare [lungo la costa di Gaza] imposte da Israele, sono stati registrati almeno 15 episodi in cui le forze israeliane hanno aperto il fuoco, costringendo agricoltori e pescatori a lasciare le aree. Inoltre, secondo fonti palestinesi, cinque pescatori sono stati costretti a togliersi i vestiti e a nuotare verso le imbarcazioni militari israeliane, dove sono stati arrestati, mentre la loro imbarcazione veniva sequestrata. Inoltre, in un caso, le forze israeliane sono entrate nella Striscia di Gaza ed hanno effettuato operazioni di spianatura del terreno e di scavo vicino al recinto perimetrale, a est della città di Gaza. In tre diversi episodi, le forze israeliane hanno arrestato nove persone, tra cui due minori, che erano vicine alla recinzione perimetrale; quattro di loro sono poi state rilasciate.

Il 3 settembre, nell’area H2 di Hebron, controllata dagli israeliani, le forze israeliane hanno sparato e ucciso un palestinese di 36 anni: a quanto riferito, avrebbe tentato di pugnalare un soldato israeliano; non sono stati segnalati israeliani feriti. L’episodio è avvenuto all’ingresso del complesso colonico di Giv’at Ha’Avot. Il corpo del presunto aggressore è stato trattenuto dalle Autorità israeliane, insieme ai corpi di almeno altri quindici palestinesi uccisi in circostanze simili nei mesi precedenti.

In Cisgiordania, in diversi episodi, 130 palestinesi (tra cui 37 minori) sono stati feriti dalle forze israeliane. Dei 130 ferimenti, 32 (di cui 8 di minori) sono avvenuti durante scontri con forze israeliane conseguenti all’ingresso di israeliani in luoghi religiosi che si trovano all’interno di città palestinesi. Altri 27 feriti sono stati registrati durante due manifestazioni nel governatorato di Ramallah: a Bil’in, durante la consueta protesta settimanale contro la Barriera e l’espansione degli insediamenti; a Ras Karkar, contro la costruzione, su proprietà privata palestinese, di una nuova strada destinata ai coloni. Inoltre, nella zona H2 della città di Hebron, le forze israeliane hanno aggredito fisicamente e ferito quattro insegnanti ed hanno sparato lacrimogeni nel cortile di un complesso scolastico, ferendo 20 minori; per più di 300 studenti le lezioni sono state sospese per il resto della giornata. Secondo fonti israeliane, l’accaduto ha fatto seguito al lancio di pietre, provenienti dal complesso scolastico, contro forze israeliane di pattuglia vicino alla scuola. Altri 19 palestinesi sono stati feriti durante scontri seguiti a sette operazioni di ricerca; complessivamente, le forze israeliane hanno condotto 140 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 205 palestinesi, tra cui dodici minori.

In Zona C e Gerusalemme Est, citando la mancanza dei permessi edilizi israeliani, le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato 25 strutture di proprietà palestinese, provocando lo sfollamento di 47 persone, tra cui 23 minori, e colpendo i mezzi di sostentamento di altre 108 persone. Diciassette delle strutture prese di mira erano nell’Area C: i due episodi più rilevanti sono stati registrati nella Comunità beduina di Deir al Qilt (Gerico), situata in un’area designata [da Israele] come “zona per esercitazioni a fuoco”, e nel villaggio di Barta’a ash Sharqiya (Jenin), una città separata dal resto della Cisgiordania dalla Barriera. Le altre otto strutture erano a Gerusalemme Est, cinque delle quali in un’area del villaggio di Al Walaja situata all’interno del comune di Gerusalemme, ma separate dal resto della Città dalla Barriera. Due dei casi di demolizione segnalati, tra cui quello di Al Walaja, hanno provocato scontri con forze israeliane: venti palestinesi sono stati feriti.

Il 5 settembre, l’Alta Corte di Giustizia Israeliana ha respinto tutte le petizioni relative alla sua sentenza del 24 maggio [vedere bollettino 223], che autorizzava la demolizione dell’intera Comunità beduina palestinese di Khan al Ahmar-Abu al-Helu, situata nell’Area C del governatorato di Gerusalemme. Una precedente ordinanza, contraria alle demolizioni, è scaduta il 12 settembre, lasciando la Comunità, che ospita 35 famiglie comprendenti 188 persone, più della metà delle quali minori, a rischio demolizione di massa e trasferimento forzato. Le Nazioni Unite avevano in precedenza chiesto alle Autorità israeliane di rinunciare ai piani di demolizione e di trasferimento della Comunità, in quanto tali provvedimenti sarebbero stati in contrasto con le norme del Diritto internazionale.

Il 4 agosto, nella parte settentrionale della Valle del Giordano, per consentire addestramenti militari israeliani, in due distinti episodi, le forze israeliane hanno spostato, per 17 ore, cinque famiglie palestinesi di due Comunità di pastori. Entrambe le Comunità si trovano in aree designate come “zone per esercitazioni a fuoco”. Insieme alle demolizioni ed alle restrizioni di accesso, questa pratica contribuisce ad accrescere la pressione su queste Comunità, esponendone i residenti ad un elevato rischio di trasferimento forzato.

Undici attacchi da parte di coloni ed altri israeliani hanno provocato sei feriti e danni a proprietà palestinesi. Il 1° settembre, vicino all’incrocio di Yitzhar (Nablus), coloni israeliani hanno lanciato pietre contro veicoli palestinesi, ferendo quattro palestinesi, tra cui un bambino di cinque anni. In due distinti episodi accaduti nella zona H2 della città di Hebron, coloni israeliani hanno aggredito con spray al peperoncino e ferito un ragazzo palestinese 15enne che tornava a casa da scuola ed hanno anche danneggiato, con lancio di pietre, un’ambulanza in servizio. A Gerusalemme Est un palestinese autista di autobus è stato aggredito fisicamente e ferito da un gruppo di israeliani. Secondo quanto riportato, circa 90 ulivi, di proprietà palestinese, sono stati vandalizzati da parte di coloni israeliani in quattro diversi episodi avvenuti in At Tuwani (Hebron), Al Lubban ash Sharqiya e Burin (entrambi a Nablus). In altri quattro diversi episodi verificatisi ad Asira al Qibliya, Al Lubban ash Sharqiya, Madama e Beita (tutti a Nablus), coloni israeliani hanno vandalizzato veicoli e case palestinesi, anche con scritte “Questo è il prezzo”. La violenza dei coloni è in aumento dall’inizio del 2018, con una media settimanale di cinque attacchi risultanti in ferimenti o danni a proprietà, rispetto ad una media di tre nel 2017 e di due nel 2016.

In Cisgiordania, secondo fonti israeliane, in almeno quattordici occasioni, palestinesi hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani vicino a Hebron, Betlemme e Ramallah, danneggiando almeno quattordici veicoli privati; in tre di questi episodi, vicino a Ramallah e Betlemme, tre coloni israeliani sono rimasti feriti.

In Cisgiordania, durante il periodo di riferimento, in occasione delle festività ebraiche di Capodanno, le Autorità israeliane hanno imposto una chiusura generale di quattro giorni. A tutti i detentori di documenti di identificazione della Cisgiordania, inclusi lavoratori e commercianti con permessi validi, è stato impedito di entrare a Gerusalemme Est e Israele attraverso tutti i checkpoint; hanno fatto eccezione i casi di emergenza medica, gli studenti e gli impiegati palestinesi di ONG internazionali e di Agenzie delle Nazioni Unite.

Il 5 settembre, e fino al termine del periodo di riferimento di questo Rapporto, le Autorità israeliane hanno chiuso il valico di Erez con la Striscia di Gaza, facendo transitare solo casi di emergenza per due giorni. Secondo quanto riferito, la chiusura è stata imposta per riparare i danni alle infrastrutture causati dai palestinesi durante le manifestazioni del venerdì e, a seguire, per le festività ebraiche.

Il valico di Rafah tra Gaza e l’Egitto, sotto controllo egiziano, ha aperto in entrambe le direzioni per sette giorni e per altri cinque giorni in una sola direzione (verso Gaza). Hanno potuto entrare in Gaza 6.307 persone (inclusi 3.229 pellegrini di ritorno dalla Mecca) e ne sono uscite 2.695.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

la versione in italiano è scaricabile dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it

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Israele colpisce a morte un giovane palestinese a Gaza durante le proteste di venerdì

Redazione di MEE

venerdì 27 luglio 2018Middle East Eye

Il ministero della Salute di Gaza afferma che durante le proteste di venerdì ci sono state due vittime, tra cui un ragazzino di 14 anni

Due palestinesi, tra cui un ragazzino di 14 anni, sono stati uccisi durante una protesta per commemorare i minorenni uccisi durante mesi di manifestazioni nella Striscia di Gaza.

Il ministero della Salute di Gaza ha confermato le due vittime e ha detto che il quarantatreenne Ghazi Abu Mustafa è stato colpito direttamente alla testa da cecchini israeliani a est di Khan Younis.

Ha aggiunto che 85 persone sono rimaste ferrite durante le proteste di venerdì, cinque delle quali in modo grave.

Venerdì sono stati feriti anche tre paramedici e quattro donne.

Queste ennesime vittime si sono avute mentre i palestinesi della Striscia di Gaza continuavano le proteste contro l’occupazione israeliana come parte della “Grande Marcia del Ritorno”.

I palestinesi a Gaza hanno approfittato della protesta del venerdì di questa settimana per ricordare i minori uccisi da Israele dall’inizio delle proteste. Piccole bare sono state portate da ragazzini per ricordare i palestinesi uccisi e sono state intonate preghiere funebri in ricordo.

Durante le proteste sono state anche portate immagini del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e del presidente USA Donald Trump con la scritta “assassino”.

Abdullah al-Qaoud, 15 anni, si è rivolto ai manifestanti di oggi a Gaza prima che Israele iniziasse a sparare sui manifestanti.

Oggi porto la piccola bara di Iman Hijo, il martire dell’Intifada. Forse il mio feretro sarà portato durante future marce del ritorno, ma la nostra lotta continuerà e le nostre richieste non cambieranno,” ha detto Qaoud.

Ognuno di loro ha una storia che l’Occidente e il mondo arabo conoscono attraverso le informazioni dei loro mezzi di comunicazione.”

Portiamo queste bare oggi come messaggio al mondo. La politica di uccisione deliberata di minori e la violazione dei loro diritti devono finire.”

La Grande Marcia del Ritorno è stata organizzata dai palestinesi di Gaza per chiedere il diritto al ritorno e la fine dell’assedio contro Gaza e dell’occupazione israeliana.

(traduzione di Amedeo Rossi)