Israele revoca la cittadinanza a centinaia di beduini del Negev facendoli diventare apolidi

Jack Khoury – 25 agosto 2017,Haaretz

Alcuni erano cittadini da 40 anni, hanno fatto il servizio militare e pagato le tasse, ma si sono trovati con lo status di cittadini cancellato schiacciando un tasto e senza ulteriori spiegazioni.

Decine di persone – uomini e donne, giovani e anziani – si ammassano sotto una grande tenda nel villaggio non riconosciuto [villaggi, soprattutto di beduini, che esistono da decenni ma che lo Stato israeliano non riconosce come tali, ndt.] di Bir Hadaj. Alcuni tengono i documenti in una borsa di plastica mentre altri stringono logore buste. Quello che li ha portati in questo villaggio a sud di Be’er Sheva, nel deserto del Negev israeliano, è stato che l’Autorità per la Popolazione, l’Immigrazione e le Frontiere ha revocato la loro cittadinanza, sostenendo che gli è stata concessa per errore.

A giudicare dal crescente aumento di denunce che si sono accumulate negli ultimi mesi, questo sembra un vasto fenomeno tra i beduini che abitano nel Negev. Centinaia se non migliaia di loro stanno perdendo la cittadinanza a causa di “registrazioni sbagliate”. Questa è la giustificazione che hanno ricevuto dal ministero dell’Interno, senza ulteriori dettagli o spiegazioni.

Il cinquantenne Salim al-Dantiri, di Bir Hadaj , per anni ha cercato inutilmente di ottenere la cittadinanza israeliana. Non capisce perché Israele non gliela voglia concedere; suo padre è stato soldato dell’esercito israeliano. “A volte dicono che c’è stato un errore con la registrazione dei miei genitori decine di anni fa. E’colpa nostra?” chiede al-Dantiri. Non è l’unico, ma molti di quelli che sono venuti all’incontro sono restii a dire il proprio nome per timore che ciò possa danneggiarli nei rapporti con l’Autorità per la Popolazione. Altri hanno già perso la speranza.

Mahmoud al-Gharibi, della tribù Al-Azazme della zona di Be’er Sheva è un falegname che è rimasto disoccupato per un anno in seguito a un incidente stradale. Ha 12 figli da due mogli. Una è cittadina israeliana e l’altra è della Cisgiordania. Sette dei suoi figli sono cittadini israeliani ma lui è apolide dal 2000. “Sono andato al ministero dell’Interno per rinnovare la mia carta d’identità,“ racconta. “Lì, senza nessun preavviso, mi hanno detto che hanno annullato la mia cittadinanza in quanto c’era stato un errore. Non mi hanno detto di cosa si trattasse o cosa ciò significasse. Da allora ho presentato 10 ricorsi, ricevendo 10 rifiuti, ogni volta con pretesti diversi. Ho due figli che hanno più di 18 anni ed anche loro sono apolidi. E’ inaccettabile. Ho vissuto in questa zona per decine di anni e mio padre era qui prima di me. Se c’è stato un errore, dovrebbero correggerlo.”

Nella tenda un’altra persona, che desidera rimanere anonima, dice che “molte di queste persone, soprattutto quelle che non parlano molto bene l’ebraico, non capiscono cosa gli stia succedendo. Nessuno spiega niente e improvvisamente il tuo status cambia. Entri come cittadino ed esci privato della cittadinanza, e allora inizia un processo infinito di lungaggini [burocratiche].

Per anni Yael Agmon, dei dintorni di Yeruham, ha accompagnato beduini al ministero dell’Interno per aiutarli a fare le pratiche per il passaporto o il rinnovo della carta d’identità. In molte occasioni ha assistito alla revoca della loro cittadinanza. “Puoi chiaramente vedere come un impiegato inserisce i loro dati nel computer ed essi perdono istantaneamente la loro cittadinanza. Allora devono fare i conti con un processo burocratico infinito. A volte gli costa decine di migliaia di shekel [10.000 shekel = 2.355 €] per l’onorario degli avvocati e alla fine non sempre riottengono la cittadinanza,” dice.

Salman al-Amrat arriva all’incontro nella tenda a causa dello status di sua moglie e del suo figlio maggiore. Il cinquantaseienne membro della tribù Al-Azazme è cittadino israeliano. Sua moglie di 62 anni è apolide benché sia nata qui, dice. “Ogni volta che cerchiamo di avere la sua cittadinanza ci scontriamo con un rifiuto.” Anche il figlio maggiore di Al-Amrat, che ora ha 34 anni, è apolide benché i suoi fratelli minori abbiano finalmente ottenuto la cittadinanza. “Per anni abbiamo tentato di ottenere la cittadinanza per lui, ma inutilmente. Ogni volta dicono di aver perso qualche documento. Ora stiamo tentando con un avvocato. E’ illogico che sei dei miei figli ed io abbiamo la cittadinanza e il mio figlio maggiore no,” dice.

Atalla Saghaira, un abitante del villaggio non riconosciuto di Rahma, ha lottato durante 13 anni per ottenere la cittadinanza, nonostante il suo defunto padre abbia fatto il militare nell’esercito israeliano. Ha iniziato nel 2002, quando ha fatto richiesta di un passaporto e il ministero dell’Interno gliel’ha rifiutato. “Hanno detto che i miei genitori erano diventati cittadini, ma non ne avevano il diritto,” afferma. Alla fine ha ottenuto la cittadinanza israeliana nel 2015. “Ho insistito per avere i miei diritti ed ho iniziato da solo una campagna contro la burocrazia finché ho ottenuto la cittadinanza, ma so che c’è gente che ha rinunciato,” dice. Il padre di Saghaira è stato camionista nell’esercito per molti anni, e se n’è andato dopo essere rimasto ferito. All’epoca aveva sette figli (compreso Atalla), ma tre di loro sono ancora apolidi.

Un altro residente di Bir Hadaj, Abu Garud Salame, lavora nella zona industriale di Ramat Hovav. Sostiene che tutti i suoi cinque figli e tre dei suoi fratelli hanno ricevuto la cittadinanza israeliana ma a lui è stata negata ogni volta che ha chiesto che gli venisse restituita. “Abbiamo vissuto qui per decine di anni. I miei genitori sono stati registrati negli anni ’50 ed ora sono stato privato della cittadinanza. Anche se ci fosse stato qualche errore nella registrazione non so perché devo pagarne io le conseguenze,“ dice. “Perché dobbiamo essere responsabili di quello che è successo decenni fa?”

Cambiamento automatico di status

La parlamentare Aida Touma-Suliman della Lista Unitaria [coalizione di partiti arabo-israeliani arrivata terza alle ultime elezioni israeliane, ndt.] negli ultimi mesi ha ricevuto molti appelli da persone che sono state private della loro cittadinanza israeliana. L’avvocatessa Sausan Zahar del “Centro Legale per i Diritti della Minoranza Araba in Israele – Adalah” recentemente ha presentato ricorso al ministro degli Interni Arye Dery e al procuratore generale Avichai Mendelblit chiedendo loro di porre fine a questa politica.

Secondo la sua petizione, queste cancellazioni generalizzate della cittadinanza vanno avanti almeno dal 2010. Quando cittadini beduini vanno agli uffici del ministero degli Interni a Be’er Sheva per occuparsi di questioni di routine come cambiare il loro indirizzo, ottenere un certificato di nascita o per registrare un nome, l’anagrafe esamina il loro status e quello dei loro genitori e nonni, risalendo fino ai primi giorni dello Stato [di Israele].

In molti casi l’impiegato dice loro che la cittadinanza israeliana gli è stata concessa per sbaglio. Immediatamente cambia la loro condizione da cittadini a residenti e si consegna loro un nuovo documento. Alle persone che hanno perso la cittadinanza non viene data nessuna spiegazione né la possibilità di presentare ricorso. Invece l’impiegato gli suggerisce di presentare domanda ed iniziare il procedimento per ottenere la cittadinanza da zero, come se fossero appena arrivati in Israele.

Molti, presi di sorpresa e senza una consulenza legale, non sanno cosa fare. Alcuni presentano una richiesta di cittadinanza, mentre altri semplicemente si disperano. Zahar dice che molte richieste vengono rigettate per la perdita di documenti, per la fedina penale (che non è una ragione valida per negare la cittadinanza) o persino per la difficoltà del postulante a parlare ebraico. Molte donne beduine che hanno perso la cittadinanza ricadono in quest’ultima categoria. Una di queste donne ha presentato appello contro la cancellazione della sua cittadinanza in base ad un presunto errore. Quando si è scoperto che il suo ebraico era lacunoso, il suo appello è stato rigettato. E’ rimasta apolide.

L’appello di “Adalah” al ministro degli Interni evidenzia che persone che sono state cittadine per 20, 30 o persino 40 anni, alcune delle quali hanno fatto il militare, che hanno votato e pagato le tasse, si sono trovate con impiegati che hanno cancellato il loro status schiacciando un tasto. Come residenti permanenti, possono votare per le elezioni amministrative ma non possono candidarsi, votare per le elezioni politiche o candidarsi alla Knesset [il parlamento israeliano, ndt.]. Ricevono servizi come quello sanitario e la sicurezza sociale, ma non possono avere un passaporto israeliano. Se stanno fuori dal Paese per un lungo periodo possono anche perdere la residenza permanente e, a differenza dei cittadini, non possono trasmettere automaticamente il loro status ai propri figli.

Tra quelli che restano senza cittadinanza israeliana ci sono persone nate in Israele da genitori che hanno la cittadinanza israeliana. Ci sono famiglie in cui un figlio è cittadino mentre un altro è residente permanente. Alcune delle persone colpite sono state private della loro cittadinanza quando hanno tentato di rinnovare il passaporto per andare in pellegrinaggio alla Mecca, un precetto obbligatorio dell’Islam e una cosa che ora non possono fare.

Registrazione durante il Mandato Britannico

Lo scorso anno la commissione della Knesset per gli Interni e l’Ambiente ha tenuto una discussione sul problema, in seguito alla serie di ricorsi per la restituzione della cittadinanza. Durante questa discussione i funzionari del ministero dell’Interno hanno confermato che questa politica esiste: quando cittadini beduini arrivano agli uffici del ministero, gli impiegati controllano l’anagrafe per [verificare] la registrazione dei loro genitori e nonni tra il 1948 e il 1952.

Forse quegli anni non sono stati scelti a caso. Tra la fondazione dello Stato [di Israele] nel 1948 e l’approvazione della legge sulla cittadinanza nel 1952, molti arabi non poterono registrarsi all’anagrafe in quanto le loro comunità erano governate da un’amministrazione militare. Ciò includeva zone del Negev che avevano un’alta concentrazione di abitanti beduini dopo il 1948. In molti casi controllare la registrazione dei nonni di una persona richiede la verifica della cittadinanza durante il Mandato Britannico – un periodo in cui la cittadinanza israeliana non esisteva neppure.

Dopo la discussione alla Knesset dello scorso anno, è stato chiesto al ministero dell’Interno di verificare le dimensioni del fenomeno, la sua legalità e tener aggiornata da allora la commissione per gli Affari Interni. Il capo del dipartimento per la cittadinanza del ministero, Ronen Yerushalmi, ha presentato i risultati al presidente della commissione, David Amsalem (del Likud), nel settembre 2016. Intitolato “Registrazioni errate dei residenti del Negev”, il rapporto afferma che “le dimensioni del problema possono riguardare 2.600 persone con cittadinanza israeliana, che potrebbero perderla a causa di errata registrazione da parte del ministero dell’Interno.” Aggiunge che, poiché non sono stati esaminati casi singoli, i dati non sono esatti e il numero potrebbe anche essere maggiore.

Durante un incontro della commissione nel dicembre 2015, il consulente legale della commissione, Gilad Keren, ha manifestato dubbi riguardo alla legalità della procedura: “La legge sulla cittadinanza si riferisce a casi in cui la cittadinanza è stata ottenuta in base a dati falsi, vale a dire in circostanze più gravi, non quando lo Stato ha commesso un errore. Riguarda persone che hanno fornito informazioni false prima di ottenere la cittadinanza. La legge consente al ministero dell’Interno di revocare la cittadinanza solo se sono passati meno di tre anni da quando è stata concessa. Dopo quel periodo per revocarla c’è bisogno dell’intervento di un tribunale. Quindi non capisco come, quando una persona è stata un cittadino per 20 anni e lo Stato fa un errore, lo status di questa persona venga modificato.”

Il ricorso di “Adalah” al ministro dell’Interno e al procuratore generale chiede una sospensione immediata della prassi di cancellazione della cittadinanza. Zahar sostiene che la persona colpita da questa cancellazione non ha neppure il diritto ad un processo prima che la sua cittadinanza israeliana gli venga ritirata. Oltre ad infrangere il diritto alla cittadinanza, scrive, questa politica viola in modo palese il diritto all’uguaglianza. Si fonda in modo discriminatorio sulla nazionalità, in quanto i cittadini non ebrei si sono trovati con la revoca della cittadinanza in seguito ad un errore nella registrazione dei loro genitori o nonni in base alla “Legge del Ritorno” [che consente a chiunque sia ebreo di ottenere la cittadinanza israeliana, ndt.].

Temo che quello che si vede sia solo la punta dell’iceberg e che quello che non si è ancora visto sia ancora più grave,” afferma Touma-Suliman. Dice che se Dery e Mendelblit non risolvono presto la questione, questa arriverà all’Alta Corte di Giustizia. “Non ci sono giustificazioni per questa politica,“ dice. “Il ministero viola in modo evidente la legge. E’ inaccettabile che in una famiglia che vive sotto lo stesso tetto metà dei bambini siano cittadini mentre l’altra metà siano residenti o persone con uno status indeterminato.”

Haaretz ha contattato una serie di importanti ex funzionari del ministero dell’Interno e dell’Autorità per la Popolazione, compreso il capo dell’agenzia fino al 2010, Yaakov Ganot, e Amnon Ben-Ami, il suo direttore fino a poco tempo fa. L’ex ministro dell’Interno Eli Ben-Yishai, che ha recentemente ricoperto l’incarico nel 2013, ha affermato che se è stata presa una decisione per revocare la cittadinanza dei beduini del Negev, “non ne so niente e non ricordo di aver avuto una discussione riguardo a questo problema durante il mio mandato.”

L’Autorità per la Popolazione ha risposto che i casi succitati non erano esempi di revoca della cittadinanza ma di errori di registrazione nel passato, in cui persone sono state registrate come cittadini ma non lo erano. Ha detto che ora è il momento di risolvere il problema, aggiungendo che il ministero sta discutendo della questione, il ministro ha preso una decisione e la commissione per gli Affari Interni della Knesset è stata informata. Afferma che “sono stati fatti dei tentativi per affrontare questo problema dal punto di vista legale in un modo che non colpisca lo status in Israele di queste persone.” L’Autorità per la Popolazione sostiene anche che il procuratore generale si occuperà del ricorso presentato da “Adalah”.

L’ufficio di Dery ha insistito sul fatto che i casi non erano assolutamente esempi di revoca della cittadinanza ma piuttosto situazioni di risistemazione dello status legale. “Il ministero ha destinato funzionari presso l’Autorità per la Popolazione e l’Immigrazione per occuparsi del processo che riguarda questo gruppo di persone nel modo più facile e semplice possibile. Il ministro Dery ha chiesto loro di trovare ogni modo possibile per accelerare la procedure nel tentativo di evitare di imporre loro qualunque tipo di disagio,” afferma l’ufficio.

L’ufficio del procuratore generale ha detto ad “Adalah” che l’anagrafe generale sta procedendo ad un esame di migliaia di persone che sono state erroneamente registrate come cittadini invece che come residenti permanenti. La risposta afferma che a coloro i quali vengano trovati registrati come tali per errore sarà concesso di ottenere la cittadinanza con un processo accelerato, nel caso in cui rispondano ai criteri legali.

In base alla risposta, finora a nessuno è stata negata la cittadinanza ed i diritti dei residenti sono stati rispettati. Di conseguenza la risposta afferma che la Procura Generale non vede ragioni per intervenire sulla decisione dell’Autorità per la Popolazione.

(traduzione di Amedeo Rossi)