GERUSALEMME. Tensioni ad Al-Aqsa, nuovo punto di rottura

Ben White

Middle East Eye, 21 febbraio 2019

Roma, 25 febbraio 2019, Nena News –  Passate inosservate sui media occidentali, le tensioni nella Gerusalemme occupata si sono intensificate. La scorsa settimana è nato un nuovo scontro sulla questione del complesso della Moschea di Al-Aqsa, nel contesto degli sforzi sempre più intensi che le autorità israeliane e i coloni stanno mettendo in campo per cambiare lo status quo e impossessarsi delle proprietà palestinesi nella Città Vecchia e dintorni.

Il governo giordano ha recentemente deciso di allargare la struttura della Waqf – l’istituzione incaricata di gestire il complesso di Al-Aqsa – per includere un certo numero di “pezzi grossi” palestinesi, oltre ai consolidati membri giordani.

Accessi chiusi 

La mossa è giunta in risposta a quella che Ofer Zalzberg, dell’Unità di Crisi Internazionale, ha descritto ad Haaretz come “l’erosione dello status quo” nella zona, che include anche la tolleranza, da parte delle forze di occupazione israeliane, di un “tranquillo pregare” degli ebrei all’interno del complesso – “uno sviluppo alquanto recente”, nota il giornale.

Giovedì scorso, il comitato appena allargato ha fatto un sopralluogo, e pregato, nell’edificio situato alla Porta della Misericordia (Bab al-Rahma), chiuso dalle autorità israeliane di occupazione dal 2003. Al tempo, la chiusura venne motivata sulla base di ipotetiche attività politiche e legami con Hamas, ma l’edificio da allora è rimasto chiuso.

Domenica notte le forze israeliane hanno messo nuovi lucchetti ai cancelli metallici che portano all’edificio. Quando i fedeli palestinesi hanno cercato di aprire i cancelli, sono scoppiati scontri, e diversi palestinesi sono stati arrestati dalla polizia israeliana.

Martedì sera ci sono stati altri scontri e arresti, mentre un tribunale israeliano, mercoledì, ha vietato a una decina di palestinesi di entrare nel complesso. Sia l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina che Hamas hanno condannato tali sviluppi, e hanno lanciato l’allarme sulla precarietà della situazione.

Una nuova realtà dei fatti

Ciò che è successo al complesso di Al-Aqsa dev’essere considerato all’interno del più ampio scenario di Gerusalemme, e in particolare di ciò che l’ong israeliana Ir Amir ha definito una “rapida e sempre più intensa catena di nuovi avvenimenti”, tra cui “un crescente numero di campagne, sostenute dallo Stato, per gli insediamenti all’interno dei quartieri palestinesi”.

Un’espressione di tali campagne è lo sfratto di famiglie palestinesi dalle proprie case, in modo che i coloni possano prenderne possesso.  Domenica scorsa, la famiglia di Abu Assab è stata espulsa dalla propria casa nel quartiere musulmano della Città Vecchia, un destino che attende altre centinaia di famiglie palestinesi nella Gerusalemme Est occupata.

Ciò che si sta concretizzando a Gerusalemme è una “campagna organizzata e sistematica dei coloni, con il sostegno degli enti governativi, per espellere intere comunità da Gerusalemme Est e per stabilire insediamenti al loro posto”, secondo le parole di un supervisore israeliano degli insediamenti.

“Ciò che vogliono è evidente: una maggioranza ebraica qui e a Gerusalemme Est”, ha dichiarato recentemente all’Independent Jawad Siyam, un attivista di Silwan. La sua comunità è rovinata dalla presenza dell’insediamento coloniale “Città di David”, destinato a ricevere un nuova spinta dalle autorità israeliane di occupazione, sotto forma di un progetto per una stazione di teleferica.

Gerusalemme è stata per un bel po’ assente dai titoli dei giornali, visto che la gran parte dell’attenzione, per motivi più che comprensibili, è stata riservata alle manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno nella Striscia di Gaza e ai tentativi, arenati, di ottenere la liberazione dal blocco. Ci sono all’orizzonte anche le elezioni israeliane, e continuano le congetture su cos’abbia in serbo l’amministrazione Trump con il cosiddetto ‘piano di pace’.

In sottofondo, comunque, l’accelerazione delle politiche coloniali israeliane a Gerusalemme Est potrebbe portare a un nuovo punto di rottura.

Attivismo di base 

La Waqf ha dichiarato di mirare all’apertura del sito di Bab al-Rahma, una richiesta che potrebbe diventare il punto fondamentale di quel genere di proteste di massa che si sono viste nell’estate del 2017. Allora, i metal detector introdotti dalle forze israeliane di occupazione fuori dal complesso della moschea di Al-Aqsa innescarono manifestazioni spontanee, e alla fine vennero rimossi.

Che il Waqf decida o meno di procedere, potrebbe ritrovarsi con le mani legate dalla pressione dell’attivismo di base; c’è parecchia preoccupazione, tra i palestinesi, che il governo israeliano – insieme al cosiddetto “Movimento del Tempio” – si stia adoperando per una divisione dello spazio del complesso di Al-Aqsa, con l’instaurazione al suo interno di preghiere ebraiche formalizzate.

Nel frattempo, gli Stati Uniti stanno procedendo alla chiusura del loro Consolato a Gerusalemme Est e allo spostamento degli “affari” palestinesi in un ufficio all’interno della nuova Ambasciata: un segnale potente, se ce ne fosse bisogno, del fatto che la visione dell’amministrazione Trump traccia una netta separazione anche dalla semplice finzione di una “soluzione dei due Stati”, e del suo timbro di approvazione su Israele come unico Stato di fatto.

Gli eventi di questa settimana, comunque si svilupperanno, costituiscono un monito: mentre Israele e gli Stati Uniti vedono in Gerusalemme una facile preda per un rapido processo di colonizzazione e di maggiore imposizione della sovranità israeliana, i residenti palestinesi della città sono navigati guastafeste dei piani israeliani e potrebbero presto riprendere questo ruolo

Traduzione di Elena Bellini/ Nena News




Gli israeliani che prendono molto sul serio la ricostruzione del Terzo Tempio

Ayelett Shani – 10 agosto 2017, Haaretz

Eran Tzidkiyahu, una guida per il conflitto israelo-palestinese, spiega perché gli attivisti del Tempio sono così determinati – e come la loro missione entra in conflitto con una parte fondamentale dell’identità palestinese.

Colloquio con: Eran Tzidkiyahu, 36 anni, ricercatore presso il “Forum per la Riflessione Regionale” e guida di percorsi “geopolitici”. Dove: ai piedi del Monte del Tempio. Quando: domenica [6 agosto]

Cosa vuol dire che lei è una “guida geopolitica”?

Significa che sono impegnato nel conflitto dalla prospettiva dei suoi aspetti geografici e politici. Essenzialmente, porto in giro le persone e mostro loro il conflitto sul campo – sul Monte del Tempio [la Spianata delle Moschee per i musulmani, ndt.], nei territori, nelle colonie. In luoghi che sono sacri per gli ebrei, i cristiani e i musulmani.

Quali persone sono interessate a questo tipo di visite?

Rappresentanti di varie organizzazioni della società civile, studenti e docenti di università israeliani e del resto del mondo, ebrei americani, gruppi di rabbini. Non molto tempo fa ho guidato importanti funzionari del Mossad [servizio segreto israeliano, ndt.]

Stamattina presto siamo anche saliti sul Monte del Tempio. Il poliziotto all’entrata ha chiesto se volevamo una scorta, ci ha avvertito di non toccare niente, di non entrare nelle moschee. Ha detto che la situazione è delicata.

Penso che ci dobbiamo fermare un attimo e guardare questo posto da di fuori. Cerco di leggere lo spazio come se fosse un testo. Non sono interessato solo agli eventi principali che si stanno svolgendo, ma anche alle piccole cose che li circondano. La guardia, il rancore degli Haredim (ebrei ultra-ortodossi) che attendono sul ponte. Le conversazioni dei poliziotti.

Interessante. Cosa vede lei che io non posso vedere?

Per esempio, tutte le entrate al Muro del Pianto (Spianata) sono molto larghe. Solo l’entrata (per i non-musulmani) al Monte del Tempio è stretta e in disparte. Lo Stato non è interessato a che vi si entri, intenzionalmente non fa un ingresso in un terminal con 10 punti di controllo. No, è piccolo e gli ebrei che stanno lì vi vengono trattenuti per un bel po’ di tempo.

Prima che perquisissero la mia borsa, lei mi ha chiesto se avessi portato una copia del Libro dei Salmi. Lei ha detto che ci avrebbe potuto provocare più problemi del tablet e del registratore. Che cosa intende?

Gli ebrei non hanno il permesso di portare oggetti religiosi sul Monte del Tempio. La polizia impone lo status quo che vieta agli ebrei di praticare riti sul Monte. E se qualcuno non è al corrente di ciò ed è in possesso di un simile oggetto, il suo ingresso al Monte del Tempio sarà notevolmente ritardato.

Ma c’era un folto gruppo di ebrei haredim [ebrei ultra-ortodossi, ndt.] che aspettavano di salire. Non portavano siddurim (libri di preghiera)?

Per loro ci sono armadietti speciali in basso in cui sistemare i loro oggetti. Chiunque tiri fuori un libro ebraico sulla spianata del Monte del Tempio è immediatamente arrestato dalla polizia. Una novità che ho notato oggi per la prima volta è che hanno sistemato dei parasole lungo il percorso. Qualcuno ha preso la decisione di fare ombra a questa stretta e scomoda colonna di persone che aspettano in fila.

E lei cosa ne pensa?

Secondo me riflette un cambiamento di approccio da parte della polizia. Penso sia una prova del grande numero di pressioni esercitate sulle autorità responsabili del Monte del Tempio, da vari gruppi a favore del Tempio. Che questi gruppi stanno diventando sempre più potenti.

Forse mi potrebbe dire qualcosa di questi gruppi del Tempio.

Attualmente è un vero insieme di organizzazioni, gruppi ed individui che pongono il Monte del Tempio in cima ai loro programmi, sia che si tratti di ottenere diritti per salire e pregare sul Monte o per promuovere la costruzione del Terzo Tempio. Negli anni ’90 questi gruppi erano marginali, erano considerati fuori posto. Oggi una parte notevole delle loro richieste è entrata nell’opinione comune. In larga misura il (deputato del Likud) Yehudah Glick è il responsabile dell’unificazione di questi gruppi in un ente unico che agisce per promuovere strategicamente i suoi obiettivi. Insieme al (ministro della Sicurezza Pubblica) Gilad Erdan, al (ministro della Cultura e dello Sport) Miri Regev e al comandante del distretto di polizia di Gerusalemme, ha avuto successo nel raggiungere risultati concreti.

Specifichi i risultati.

Del Monte del Tempio si parla nei corridoi della Knesset e nell’ufficio del primo ministro. Il “Comitato per gli Affari Interni e l’Ambiente” guidato da Regev ha tenuto molte audizioni sul diritto degli ebrei di pregare sul Monte del Tempio. Il Murabitun ed il Murabitat (gruppi musulmani, il primo delle donne, il secondo degli uomini, che si considerano i guardiani del Monte del Tempio) sono stati dichiarati illegali. I gruppi di ebrei salgono al Monte del Tempio in numeri e frequenza in continuo aumento. Ma il risultato principale, come ho già detto, è la penetrazione nell’opinione generale. Oggi ogni israeliano laico può affermare che abbiamo diritti sul Monte del Tempio, e molti di loro appoggiano persino il diritto di pregarvi.

E’ un cambiamento nell’opinione pubblica.

Che si esprime anche in concreto. Dal livello di Gilad Erdan, che si esprime contro lo status quo che si suppone debba garantire, alla fuga di notizie dal governo in materia di metal detector, che dimostrano che la loro condotta non è limitata solo a ciò che è pratico e fattibile – che ci sono anche aspetti che riguardano la religione, l’identità, persino credenze messianiche; a cose che posso vedere con i miei occhi.

E’ la polizia che dovrebbe incaricarsi degli ebrei che salgono al Monte del Tempio. Di impedirlo, di ritardarlo, di ridurlo. I sostenitori del Tempio sono, ovviamente, in buoni rapporti con i poliziotti sul Monte del Tempio, e i poliziotti li riconoscono. Lo scorso anno ho visto emergere un evidente rapporto più stretto tra i poliziotti e i sostenitori del Tempo. Quest’anno, circa un mese prima dell’uccisione dei poliziotti drusi (il 14 luglio 2017), il generale della polizia Yoram Halevi è salito sul Monte con un gruppo di sostenitori del Tempio, dove è stato fotografato con loro. E’ il comandante del distretto ed ha ricevuto sul Monte la loro benedizione, che è stata fotografata e documentata. Questa è pura follia. Nel suo blog Arnon Segal, un attivista del Tempio, ha scritto che questa (specifica) salita al Monte del Tempio è stata una “salita dello Stato nazionale” dedicata alla memoria di Hallel Ariel, la ragazza uccisa [da un attentatore palestinese, ndt.] a Kiryat Arba (nel 2016). I suoi genitori sono attivisti estremamente entusiasti ed impegnati del Tempio. Sua madre parla continuamente di una consapevolezza del Tempio.

Che cosa vorrebbe dire “consapevolezza del Tempio?

Vivere la propria vita con la consapevolezza che il proprio scopo in questo Paese in quanto ebreo è di vivere in base ai comandamenti della Torah e che c’è un grande numero di comandamenti che non possono essere osservati senza il Tempio. Per cui si deve vivere con una totale dedizione verso di esso. Per esempio, lavora con donne nel cuocere il pane speciale che deve essere preparato per il Tempio. Per questa gente il Tempio è la ragione per cui sono qui.

A lei sembra una cosa sincera?

Certo. Sono persone interessanti e serie, e non ho nessuna intenzione di ignorarle. In parte per le potenziali ripercussioni di quello che stanno facendo, e in parte perché stiamo parlando di persone intelligenti che hanno una profonda coscienza religiosa e nazionale, alcune delle quali sono totalmente coinvolte anima e corpo. Più li guardo e li ascolto da vicino, più vedo questa esperienza come assolutamente sincera.

Capisco che lei è in stretto contatto con loro.

Li conosco tutti personalmente. Ho anche seguito tutto un corso per guide del percorso del Monte del Tempio tenuto dalla “Fondazione per il Patrimonio del Monte del Tempio”.

Cos’è un corso per guida del percorso del Monte del Tempio?

Alla luce del fatto che sempre più ebrei stanno salendo al Monte, le organizzazioni del Monte del Tempio hanno deciso di lanciare un’iniziativa: l’obiettivo è che ogni ebreo che va al Monte trovi un altro ebreo che lo accompagnerà, gli dirà cose su di esso e gli spiegherà la storia e la teologia.

Non riesco ad immaginare lei inserito in un corso come quello.

Quando mi sono unito al corso loro erano veramente molto preoccupati. Mi hanno chiesto quali erano le mie motivazioni, perché conoscono me e le mie opinioni. Quando ho detto che volevo solo capire, hanno accettato che partecipassi – a condizione, naturalmente, che non avrei scritto nessun post su Facebook né condiviso con qualcuno i contenuti del corso.

Ma c’è un progetto ovvio.

Certamente. Il corso è tenuto da importanti attivisti del Tempio. Lo stesso Yehudah Glick mi ha consegnato il certificato che ho completato il corso.

Qual era il contenuto del corso?

C’era un contenuto principalmente storico-religioso riguardante il Tempio e il Monte. Molta attenzione era dedicata alle dimensioni del Tempio. Una delle principali ragioni del divieto halachitico (diritto ebraico) per la salita al Monte del Tempio ha a che fare con la preoccupazione in merito all’ingresso in zone sacre proibite, per cui questo è estremamente importante per loro, in quanto vogliono sapere dove gli è permesso camminare e dove è proibito. Per loro la questione più interessante è dove si trovasse in realtà esattamente l’altare sulla piattaforma rialzata ad est della Cupola della Roccia [la Moschea di Omar, che si trova sulla Spianata delle Moschee, ndt.].

Perché?

Perché non c’è bisogno di un tempio per offrire sacrifici. Il sacrificio della Pasqua ebraica, per esempio. Loro dicono: “Perché non dovremmo entrare con un capretto e offrire il sacrificio della Pasqua sul Monte del Tempio?” Dopotutto, ciò non dovrebbe violare la santità per i musulmani. E’ consentito. E’ persino prescritto. Per questo è importante sapere dov’è l’altare.

Non posso neanche cominciare a dirle quanto mi risulta difficile identificarmi con tutto ciò.

Guardi, quando lei sta lì in piedi sul Monte, con quelle persone e sono in piedi sui gradini settentrionali e guardano la Cupola della Catena [piccola costruzione musulmana adiacente alla Cupola della Roccia, ndt.], loro non vedono quello che vede lei. Stanno vedendo il luogo dell’altare dei sacrifici. Il luogo del Tempio. Si trovano in un’altra dimensione.

Come in una specie di visione? E’ questo che lei ha sentito quando si trovava tra di loro?

Assolutamente. Loro sono al settimo cielo. Non vedono le cose che li circondano – la fila o i poliziotti o il Waqf [l’associazione musulmana che si occupa della gestione della Spianata delle Moschee, ndt.]. Vogliono andare subito su, e nel momento in cui attraversano le porte, alcuni di loro si inchinano e si prostrano. Ciò è consentito dall’ebraismo solo sul Monte del Tempio. Prostrazione totale, mani e piedi stesi a terra. In qualunque altro luogo ciò sarebbe considerato idolatria ed è vietato. Questa gente sta vedendo sul Monte un passato e un futuro mitologici, e non il presente.

Sì. Questo spiega decisamente molto.

Per quanto li riguarda, la costruzione del Tempio è un’idea logica e corretta. Guardi, dopotutto “Sion” non è costruire kibbutz. Se lei avesse chiesto ad un ebreo 200 anni fa quale fosse il significato del “Ritorno a Sion”, avrebbe risposto: “Tornare alla Terra Santa e ricostruire il Tempio.” Per questo la gente prega ed è dove la consapevolezza “sionista” era diretta – fino all’avvento del Sionismo. Il Sionismo è essenzialmente un ripudio di questo discorso, un tentativo di secolarizzarlo, di renderlo nazionalista. Il sionismo ha tentato di sfuggire a questa idea del Tempio, ed ora lo stiamo vedendo tornare.

Sta tornando o è stato ripreso dal Sionismo religioso?

Essenzialmente è rientrato in gioco come risposta alla possibilità di un compromesso territoriale. La gente di “Gush Emunim” [organizzazione dei coloni israeliani, ndt.] non è concentrata sul Tempio. [Gli accordi di] Oslo sono stati la crisi che ha portato settori più ampi dell’opinione pubblica sionista religiosa a dimostrare interesse per il Monte del Tempio. Nel marzo 1996 il consiglio rabbinico “Yesha” (che rappresenta i rabbini dei coloni) emanò un appello per salire al Monte del Tempio. Era al culmine del mese di Ramadan, e il venerdì seguente la diffusione dell’appello 250.000 palestinesi si recarono a pregare lì. Questa è la dinamica nelle due parti [in conflitto]. Pochi mesi dopo, scoppiarono gli scontri del tunnel del Muro del Pianto e il Movimento Islamico (israeliano) decise di impegnarsi a pieno nella questione di Al-Aqsa.

Lo status quo, gli accordi non scritti tra le autorità e il Waqf, che avevano retto per 30 anni crollarono. Essenzialmente sia il consiglio rabbinico “Yesha” che i dirigenti del Movimento Islamico in Israele sono uniti attorno allo stesso luogo sacro. Non si tratta di una coincidenza. E’ impossibile parlare del Monte del Tempio come guida dell’identità ebraica senza parlare di Al-Aqsa (con cui i musulmani si riferiscono a tutta la Spianata) come guida dell’identità palestinese. Allo stesso modo in cui questa idea è sorta in un momento in cui c’era un tentativo di raggiungere un compromesso e forse porre fine al conflitto, la stessa cosa è successa dal lato palestinese. Non si tratta di una questione accademica o di un argomento filosofico: si tratta di un dato di fatto per tutti i palestinesi.

Ne è convinto?

Poco prima che ci incontrassimo, un vecchio palestinese nel quartiere musulmano mi ha detto: “In quanto palestinese, sono obbligato a proteggere questo luogo: le parlo col cuore e non con la testa.” Non è che ogni palestinese di Jenin [in Cisgiordania, ndt.] o di Umm al-Fahm [cittadina arabo-israeliana, ndt.] stia pensando tutto il tempo ad Al-Aqsa, ma al centro dell’identità palestinese, a cosa li differenzia dal mondo arabo e islamico attorno a loro c’è il loro rapporto con Al-Aqsa ed il senso della missione eterna di proteggerla nel corso della storia contro la conquista degli eretici. E’ un messaggio palestinese nazionale non meno che islamico religioso. Nello stesso modo in cui gli ebrei vedono come santo il periodo del Secondo Tempio, l’etica di Masada e di Hanukkah, l’ultimo periodo di sovranità ebraica, così l’Islam in questo Paese si unisce attorno all’idea della protezione dei luoghi santi di Gerusalemme -“Al-Aqsa, il cui luogo su cui sorge noi benediciamo” (dalla Surah 17:1 del Corano) – come il terzo luogo più sacro per l’Islam, là stiamo proteggendo i luoghi sacri dell’Islam dai pericoli che incombono. Queste sono le basi molto profonde dell’identità palestinese qui.

Non vogliamo ripercorrere tutta la lunga storia di scontro sul Monte del Tempio, ma quello che li accomuna tutti, penso, è una dinamica di reazione. Una parte vi viene trascinata in seguito alle azioni della parte avversa.

Le persone, sia da parte palestinese che da quella israeliana, la vedono come se “l’altra parte stia facendo ciò a noi,” mentre in effetti la situazione è come la descrive lei, c’è un flusso continuo di risposte e contr-risposte.

Forse potrebbe descrivermi questo luogo attraverso gli occhi dei palestinesi. Attraverso gli occhi dei singoli che vengono qui sul Monte per pregare cinque volte al giorno.

Il Monte del Tempio non è solo il terzo luogo più sacro per i musulmani in Israele, è il parco più grande di Gerusalemme est, lo spazio aperto più grande in una zona che per il resto è un disastro urbanistico. E’ l’unico luogo in cui c’è un certo livello di libertà e di indipendenza per i palestinesi, perché è il posto in cui la sovranità israeliana non è totale e l’occupazione israeliana è meno presente. Pertanto si possono vedere famiglie riunite per fare un picnic, persone che l’attraversano senza una ragione speciale in pieno giorno, solo per starci, per pregare, per mangiare. Questo fenomeno è gradualmente cambiato negli ultimi anni, e questo è proprio quello che i palestinesi sentono che stanno perdendo – non solo il loro simbolo nazionale, ma anche il proprio spazio di libertà personale a cui sono legati non solo al livello religioso ma anche a quello individuale. Di nuovo, si deve capire – non ci sono parchi, non ci sono giardini, c’è solo il Monte del Tempio. I ricordi dell’infanzia di molti di loro sono radicati in questo luogo. Alla luce del rapporto di forze in questo spazio, interpretano tutto quello che succede da parte israeliana come un tentativo di privarli del loro spazio qui.

Riguardo alla sovranità, ieri ho letto una vecchia citazione dello storico Shlomo Ben-Ami, che sosteneva che più abbiamo il controllo sul Monte del Tempio, più ne siamo ostaggi.

Ha ragione. Siamo ostaggi della questione della sovranità sul Monte del Tempio. La nostra sovranità qui è il problema e non la soluzione.

Ogni volta che c’è un esplosione di proteste, quando viene messa a dura prova, scopriamo che in realtà non abbiamo la sovranità [sul Monte del Tempio].

Secondo me questo è vero per tutta Gerusalemme. Lo Stato di Israele crede che la soluzione a Gerusalemme sia nel mettere in pratica la sovranità, ma sono già 50 anni che la sovranità a Gerusalemme si è manifestata solo come potere, ed ogni bambino che frequenta un corso preparatorio in scienze politiche può affermare che più si usa la forza fisica, meno tu possiedi realmente un vero potere istituzionale. Una sovranità che si esprime attraverso battaglioni di poliziotti di frontiera non è una sovranità profonda, e non ci sarà una soluzione per il Monte del Tempio finché parleremo in termini di sovranità assoluta. Chi è il proprietario “riconosciuto” del Monte del Tempio? Importa realmente? Il processo giuridico è desiderabile per la gestione di questa faccenda? In fin dei conti non abbiamo la sovranità né sul Monte del Tempio né su Gerusalemme est, e questa è la realtà. Non siamo neanche in grado di sistemarvi dei metal detector.

Qualcuno fa riferimento alla sensazione di successo tra i palestinesi in seguito a questo recente ciclo (di violenze). Lei che cosa ha sentito dire?

Ho sentito amici palestinesi, anche del tutto laici, parlare con assoluto entusiasmo del potere e dell’organizzazione comunitaria. Dicono di non essersi mai sentiti così. Se erano stati bambini durante al Seconda Intifada, o nati dopo, non sono mai stati abituati a questa sensazione di comunità; hanno conosciuto solo la sopravvivenza giorno per giorno, spaventati da chiunque vedessero. Improvvisamente si sono sentiti legati, una sensazione di comunità, una speranza che potesse cambiare. I media palestinesi sono pieni di appelli a trarre le conclusioni da questa vittoria. La prima conclusione è che Israele non può opporsi ad azioni organizzate di massa non violente.

Di chi è stata l’idea che i fedeli musulmani rifiutassero di entrare sulla Spianata (finché fossero rimasti sul posto i metal detector)? Delle preghiere di sfida fuori dalle porte?

Non lo so. Stavo seduto qui qualche giorno da con degli amici, esperti di Gerusalemme, tra loro dei palestinesi, e non riuscivamo a trovare una risposta su chi abbia iniziato tutto questo – i leader religiosi, il Waqf o gli abitanti. Dopotutto, il Waqf non avrebbe potuto sapere che gli abitanti lo avrebbero appoggiato.

Come appare sul campo?

Un sacco di gente nelle strade. Le donne della città gli hanno portato una grande quantità di cibo. Stiamo parlando di cinque preghiere al giorno, che è praticamente tutto il giorno. Gente che arriva da ogni parte del Paese. Il giorno prima ero a Baka al-Gharbiyeh [cittadina a maggioranza araba in Israele, ndt.], dove ho incontrato intellettuali arabi molto noti che stavano dicendo – domani andremo su ad Al-Aqsa, tutta la famiglia. Abbiamo una missione qui, abbiamo un dovere. La polizia ha messo sbarramenti su una strada. Di notte hanno controllato ogni macchina per cercare di scoraggiare la gente dal cercare di attraversarli, ma ciononostante decine di migliaia lo hanno fatto.

Qual è esattamente il ruolo che il Waqf ha giocato nella vicenda dell’organizzazione spontanea?

Quello che è successo qui nelle ultime due o tre settimane è sorto dalla piazza palestinese di Gerusalemme est. A Gerusalemme non c’è una dirigenza. Semplicemente non esiste. C’è il Waqf. E’ l’istituzione più vasta e più influente. In seguito a questi avvenimenti, il Waqf e la piazza si sono incontrati. Un’istituzione ben organizzata con potere, danaro e gerarchia ha incontrato una piazza che stava desiderando ardentemente una dirigenza e un’azione collettiva. Gli interessi convergevano – il Waqf ha guadagnato dalla piazza un rinnovato potere, e la piazza ha guadagnato una dirigenza. A un certo livello, è la stessa piazza di Gerusalemme che si è preoccupata per anni di Al-Aqsa.

Quando (il re di Giordania) Abdullah e Bibi (Netanyahu) si sono messi d’accordo sull’installazione di telecamere nel 2015, la piazza semplicemente non lo ha permesso. Ora la piazza è di nuovo entrata sulla scena. Secondo me c’è stato un cambiamento profondo nella concezione delle attività organizzate a Gerusalemme est. Stanno emergendo nuove strutture, un nuovo modus vivendi. E’ ragionevole ipotizzare che qui sorgeranno nuovi dirigenti. Qui è successo qualcosa di molto importante – un’organizzazione popolare non violenta che ha obbligato Israele a cedere. L’internet palestinese si sta già occupando dell’argomento.

Cosa vede lei? Cosa stanno scrivendo?

“Siamo riusciti ad incidere su Israele e dobbiamo continuare così.” Questa opinione pubblica, che ha sempre subito accordi sulla propria testa, è ora l’opinione pubblica che ha guidato gli avvenimenti, e (il presidente turco) Erdogan e (il presidente USA) Trump e re Adbullah e Bibi possono solo rimanere ai margini. La piazza di Gerusalemme sta attualmente riscoprendo la propria forza.

Pensa che Netanyahu l’abbia capito?

Non lo so. Sulla questione del Monte del Tempio, Netanyahu si è costantemente nascosto dietro poliziotti di basso rango.

Cosa pensa di Yoram Halevi, il comandante del distretto di Gerusalemme, di cui abbiamo parlato prima?

Non lo conosco. A giudicare solo dal suo risultato, è un disastro. Yoram Halevi sale sul Monte del Tempio con gli attivisti del Tempio, cambia il loro status, si esprime in modo arrogante in materia di metal detector, come se si trattasse dell’ingresso in un supermercato. Stiamo parlando di una mancanza di professionalità e di comprensione del terreno. E’ questa idea di voler impartire una lezione, di agire in modo inflessibile, tanto da scatenare la protesta popolare.

Voleva “evitare che i palestinesi avessero l’impressione della vittoria.”

E’ quello che ha detto. E alla fine ha perso. Se è davvero un professionista serio, è apparentemente motivato da altre considerazioni.

La conclusione di questa conversazione è davvero sconfortante.

In realtà sono ottimista. Penso che se togliamo dall’equazione la questione della sovranità, sarà possibile pensare a soluzioni creative. A un discorso di cooperazione. Quando saremo uguali, non ci sarà la differenza nell’equilibrio di forze che esiste attualmente: potremmo proseguire questo dialogo, e gli ebrei potrebbero pregare sul Monte del Tempio come fanno i musulmani.

Non ci conterei molto.

Perché no? E’ successo in Irlanda, con gli accordi del Venerdì Santo. Anche là c’era un conflitto di secoli, con un aspetto religioso. E’ un lungo percorso, e spetta a noi tentare e prendere quel percorso – o soccombere al pessimismo. Non possiamo cambiare il corso della storia, possiamo solo scegliere il nostro percorso.

Sa, sono tornato qui, dopo tre anni in Francia, nel mezzo dell’operazione “Margine protettivo” (nel 2014). Dalla tranquilla Strasburgo proprio dentro alle sirene dell’allarme aereo. Non è stata una cosa semplice, ma non dubito di aver fatto la scelta giusta. Sento che la mia vita è ricca di valori e di senso, nonostante le sfide e le preoccupazioni sul futuro dei bambini.

Strasburgo mi ha ispirato. Dopotutto è stata al centro del conflitto tra Francia e Germania per secoli ed è diventata un simbolo della riconciliazione europea. C’è un grande numero di coppie franco-tedesche che vivono lì e che non sono in grado di comprendere come qualcuno possa aver combattuto per questo, così come i bambini nati dopo la riconciliazione in Irlanda.

Se c’è una cosa che ho imparato è che devi essere umile quando si tratta di storia e non dire che qualcosa non accadrà perché può sempre succedere. Un bambino nato un minuto dopo la firma degli accordi sarà incapace di capire come noi abbiamo potuto pensare o vivere in modo diverso.

(traduzione di Amedeo Rossi)