La prossima guerra dello Yom Kippur è in arrivo

Yossi Klein

4 ottobre 2022-Haaretz

Perdonaci per il peccato di arroganza: per il peccato che abbiamo commesso davanti a te con superbia e arroganza, per il peccato che ha portato alla morte di oltre 2.500 persone nella guerra dello Yom Kippur [del 1973, scatenata da Egitto e Siria contro Israele durante la festività ebraica dello Yom Kippur e che prese di sorpresa la dirigenza politico-militare israeliana, ndt.] e porterà alla morte di altri nelle guerre a venire. Se una caratteristica umana può essere associata a un‘intera popolazione, l’arroganza siamo noi. Così sono i suoi effetti collaterali: durezza di cuore, arroganza e concezioni errate.

Nell’eccellente serie “Nemici” (Kan Broadcasting [canale televisivo pubblico israeliano, ndt.]), gli ufficiali anziani non sono sorpresi dalla nostra arroganza né la criticano. La accettano come un dato di fatto, come una specie di peso di cui non possiamo liberarci e con cui dobbiamo imparare a convivere. Questo è il modo in cui siamo, dicono, abituiamoci. La risposta alla domanda su chi paga il prezzo dell’arroganza è nota: chi ha sbagliato non paga, chi erroneamente ha mandato altri a morte sono quelli che pagano.

Una linea sottile separa l’orgoglio dall’arroganza. L’orgoglio è desiderabile, l’arroganza è sbagliata. L’orgoglio aiuta lo spirito combattivo, l’arroganza lo indebolisce.

Ci innamorammo della concezione che avevamo degli egiziani e ora ci stiamo innamorando di quella che abbiamo dei palestinesi. Abbiamo sostituito il “non oserebbero” riguardo agli egiziani con “non c’è soluzione” riguardo ai palestinesi. Il vantaggio di “non c’è soluzione” è che ci si può convivere felicemente. Possiamo avvolgerci dentro, sdraiarci e non fare nulla. Il sangue di donne e bambini sarà versato, e noi staremo a guardare con calma e diremo che non c’è niente da fare.

C’era qualcosa da fare e non l’abbiamo fatto. Dopo il 1973 non abbiamo smesso di parlare di “prendere le misure [del nemico, ndt]” e “imparare la lezione”. Quali misure e quali lezioni? La stessa durezza di cuore e la stessa arroganza, la stessa sensazione che tutto in qualche modo si risolverà da solo, che non dobbiamo risolvere il problema ma solo “gestirlo”. Ma se ci sediamo sulle nostre chiappe e “gestiamo”, ci sarà un altro Yom Kippur.

“Non facciamo niente e crediamo che un esercito con missili e aerei vincerà sempre contro qualche migliaio di ‘uomini armati‘. Ci nascondiamo il fatto che non siamo in grado di vincere. Come possiamo vincere con l’occupazione? Non possiamo. Ignoriamo questa impossibilità. Ignoriamo anche la consapevolezza che il prossimo Yom Kippur è in arrivo. Ci costerà sangue, potrebbero volerci generazioni, ma credetemi, il giorno verrà.

Dopo 75 anni di guerre e vittime non ci siamo fermati un attimo a chiederci: forse ci sbagliamo? Forse c’è un altro modo? Non ci siamo posti la questione. Gli arroganti non chiedono, sono sicuri della giustezza del loro cammino. Si divertono a crogiolarsi negli escrementi della loro esistenza virtuosa. Puzzano, ma sono familiari e piacevoli. E se essi si muovono, è a destra, nell’abisso.

È appena uscito un libro intitolato “In the Mind of the Beholder” [Nella mente di chi guarda], un ampio volume di ricerche di Daniel Bar-Tal, Amiram Raviv e Rinat Abramovich. Leggendolo, ci si può rendere conto di quanto poco sia cambiato tra noi e gli arabi: la stessa disgustosa autogiustificazione, gli stessi errori infantili che passano di generazione in generazione come un’antica tradizione sacra. Le ragioni possono essere così riassunte: siamo più forti, più morali e più giusti. Sono primitivi e noi siamo high-tech. Punto e a capo.

E quindi ce lo siamo meritati [lo stato di Israele, ndt.]. È giusto che “non gli piacciamo”. Ce lo meritiamo perché “sei milioni”, perché “Dio ha promesso”, perché siamo i “pochi contro molti” e perché hanno trascurato la terra e noi l’abbiamo messa a frutto. Le stesse affermazioni che non sono cambiate per decenni.

E perché dovrebbero cambiare? Cosa abbiamo fatto perché cambiassero? Dopotutto, questo è ciò che abbiamo sentito a casa, abbiamo imparato a scuola, a cui siamo stati istruiti nell’esercito e abbiamo visto in televisione. Siamo così sottoposti al lavaggio del cervello che è al di sotto della nostra dignità imparare la loro lingua e conoscere la loro cultura. Coloro che cercano di capire sono traditori. Rabin, che ha cercato di capire, ha pagato con la vita.

Non cambieremo la nostra posizione anche se la realtà dimostra che dovremmo. Nel 1973 le vedette videro decine di volte gli egiziani addestrarsi per attraversare il Canale di Suez. Decine di volte ci hanno avvertito, decine di volte abbiamo risposto che era “solo un’ esercitazione”. Questa era la nostra arrogante convinzione (“non avrebbero osato”). Anche quando gli egiziani stavano già scavalcando le recinzioni non ci siamo mossi. Si possono scrivere mille articoli sulla polveriera su cui siamo seduti. Non aiuterà a modificare idee così radicate.

Abbiamo dimenticato tutto e non abbiamo imparato nulla.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)